Raffaele Mellace
I L S ASSONE
AL BIVIO
IL SASSONE AL BIVIO
J OHANN A DOLF H ASSE
E L ’ ARIA COL DA CAPO
Il rapporto tra Johann Adolf Hasse, universalmente noto nel
Settecento come il Sassone, e l’istituto dell’aria col da capo è la
storia d’una fedeltà cinquantennale. Dagli esordi scenici napoletani del 1725-26 1, fino all’ultimogenito operistico, Il Ruggiero del
1771, il da capo è per Hasse una formula mai rinnegata, la colonna portante non solo di tutti i suoi drammi per musica, ma anche
degli oratori e delle cantate, solidamente insediata perfino negli
intermezzii. Il compositore ne adotta precocemente la variante
dal segno, che diventerà sin dai primi anni Trenta la forma tipica
e normale della sua produzione. Così già il Siroe bolognese della
primavera 1733 presenta esclusivamente arie dal segno 2. Com’è
noto, il Sassone rappresenta un esempio quasi paradigmatico di
intima coerenza stilistica, di fedeltà tetragona a una cifra stilistica
elaborata in gioventù e perseguita per una vita intera, un tratto
distintivo riconoscibilissimo, cui non sarebbe difficile adusarci,
se solo ci fosse concessa qualche occasione d’ascolto in più. La
scrittura di Hasse obbedisce insomma a un habitus stilistico che
potremmo definire un piccolo miracolo di “variazione ad infinitum su un tema proprio”, quella formula messa a punto nella
straordinaria Napoli dei maturi anni Venti, dalla quale il Sassone
si adoperò per molti decenni a distillare suadentissimi succhi
vitali con pazienza e perizia non meno che petrarchesche.
Complessivamente occorrerà rilevare nell’atteggiamento di
Hasse verso la forma col da capo la tendenza verso una notevole
coerenza interna nella costruzione dell’aria: la tensione verso una
scrittura molto coesa basata sull’opzione per un materiale assai
1
A non voler contare la primizia dell’Antioco (1721) pervenutoci parzialmente (sei arie in tutto), forse poiché composto soltanto parzialmente, da un
Sassone ancora in duplice veste di cantante/compositore.
2
Per un quadro sintetico dei numeri chiusi di quest’opera, la prima a escludere completamente il da capo completo, cfr. R. D. Schmidt-Hensel, «La musica è
del Signor Hasse detto il Sassone...». Johann Adolf Hasses “Opere serie” der Jahre
1730 bis 1745. Quellen, Fassungen, Aufführungen, diss. Universität Hamburg,
2004, II,1, pp. 330-337.
«Musica e Storia», XVI/3 (2008)
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omogeneo che il compositore elabora continuamente, senza peraltro svilupparlo in senso classico-romantico, deducendo da una
medesima materia soluzioni sempre diverse. Una tendenza latente
al risparmio tematico, insomma, rinvenibile già dalla serenata
Marc’Antonio e Cleopatra del 1725, atto d’esordio del Sassone in
ambito napoletano 3. Questa, press’a poco, la formula su cui il
Sassone basò una fortuna pressoché ineguagliata presso i contemporanei. Ad avvicinare meglio lo sguardo su un paesaggio apparentemente tanto regolare, è possibile tuttavia distinguere due
tendenze antitetiche, due comportamenti, due atteggiamenti compositivi collocati in realtà agli antipodi. Novello Alcide, il
Sassone si trova insomma a fronteggiare un bivio. Si badi bene,
tuttavia: le opzioni alternative che Hasse di volta in volta viene ad
adottare hanno sempre come scopo l’arricchimento della formula
col da capo, il suo approfondimento, l’introduzione d’una varietas che renda più interessante la sequenza delle arie introducendo
elementi di sorpresa che deludano le aspettative dello spettatore,
spiazzandolo e accrescendone di conseguenza il godimento estetico. Risulta molto interessante a tale scopo l’adozione cosciente di
due strategie perfettamente opposte, che mirano a realizzare esiti
del tutto divergenti. Prima d’imboccare i due sentieri che si dipartono da questo bivio, non sarà inutile un’avvertenza preliminare che sgombri sin da subito il campo da qualsivoglia teleologismo: quelle che si osserveranno sono strade alternative che si
mantengono sempre disponibili al compositore fin negli anni della maturità, vocaboli presenti stabilmente nella lingua del Sassone, opzioni cui di volta in volta Hasse ricorrerà nelle diverse fasi
del suo percorso creativo, senza che si possa dedurne un’associazione immediata e vincolante tra il decorso della produzione hassiana e il ricorso all’uno o all’altro modello formale.
Drammi in miniatura
Dalla fine degli anni Trenta, ovvero all’indomani della messe
copiosissima del primo decennio di carriera (venti drammi allestiti tra il 1726 e il ’36) 4, Hasse mette a punto una varietà più
complessa di aria col da capo, il cui intento parrebbe la realizzazione, attraverso mezzi unicamente musicali, d’un dramma in mi3
Per una concisa considerazione dell’espediente dell’imparentamento tematico tra sezioni diverse dell’aria in Marc’Antonio e Cleopatra, cfr. R. Mellace,
Johann Adolf Hasse, Palermo, L’Epos, 2004 («L’amoroso canto», 1), pp. 198 s.
4
Diciotto titoli nuovi e almeno due rifacimenti.
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niatura. Naturalmente non viene affatto rinnegata la formula fortunata secondo cui ogni aria è portatrice d’un singolo affetto, cui
dovrà corrispondere una veste musicale univoca esposta compiutamente sin dall’attacco del pezzo: un profilo chiaramente caratterizzato, riconoscibile e persuasivo, cui potrà al limite contrapporsi una sezione B contrastante 5. E tuttavia, a partire perlomeno
dalla Clemenza di Tito di Dresda del 1738 si stabilisce permanentemente nel linguaggio di Hasse una formula alternativa, poi stabilmente insediata nei titoli successivi degli anni Quaranta e Cinquanta: titoli come la Didone abbandonata (1742), il Demofoonte
(1748), l’Arminio (1753), L’olimpiade (1756) e l’Achille in Sciro
(1759). Benché nei medesimi drammi – giova ribadirlo – sia ancora ampiamente presente la tipologia che associa a ogni aria un
singolo affetto, magari corredato da una strofa di natura contrastante), in queste opere i testi di maggior peso drammatico sono
fatti oggetto d’una rilettura più articolata, che segue da presso le
svolte semantiche del dettato poetico, imprimendo alla musica, in
corrispondenza di tali svolte, un carattere nuovo, una tournure
repentina, inaspettata, in qualche misura imprevedibile per le
convenzioni coeve. Il compositore si comporta in questo modo
con un alto grado di autonomia rispetto al testo: procede volentieri a scomporlo e ricomporlo, talvolta persino indipendentemente
rispetto alla cesura tra le due strofe, talora ignorata o perlomeno
svalutata, posta in secondo piano nella percezione del testo musicato offerta allo spettatore.
L’organizzazione musicale dell’aria col da capo viene così a
prevalere su quella verbale, senza contraddirla necessariamente,
ma assumendo senz’altro su di sé il valore semantico espresso dal
testo. La musica sembra così scippare alla parola poetica quella
supremazia che per il sommo autore di quasi tutti questi drammi
hassiani, l’amico Metastasio, costituiva un dato pacifico e indubitabile. La semplice contrapposizione tra sezioni successive diversamente intonate, procedimento convenzionale coltivato da Hasse, come s’è già detto, sin dagli esordi, cede così il passo a una ben
5
Sulle due tipologie base di rapporto tra sezioni dell’aria col da capo cfr.
R. Kubik, Händels Rinaldo: Geschichte – Werk – Wirkung, Neuhausen-Stuttgart,
Hänssler, 1982, pp. 125-128. Arie hassiane costruite su sezioni contrastanti sono
ad esempio “Ombra cara, ombra tradita” nella Didone, “Se tronca un ramo, un
fiore” nel Demofoonte, “Gemo in un punto e fremo” nell’Olimpiade, tutti esempi
riguardanti primo uomo o prima donna dell’opera. Nella contrapposizione drammatica tra sezioni A e B Hasse aveva peraltro dimostrato il suo talento già dagli
anni napoletani (cfr. l’aria di Ezio “Ecco alle mie catene”, discussa e pubblicata
in facsimile in R. Strohm, Italienische Opernarien des frühen Settecento, in «Analecta Musicologica», XVI, 1976, I, pp. 65-67 e II, pp. 120-134).
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più complessa e, come si è detto, interessante drammatizzazione
musicale del testo poetico, che giunge a configurare, nel breve
spazio delle due strofette col da capo, un «picciol dramma». Lo si
verifichi nell’aria capitale con la quale a Enea – ovvero al grande
contraltista Domenico Annibali – spettava concludere l’atto I
della Didone abbandonata del 1742: situazione in cui il personaggio si trova sospeso in una radicale inquietudine esistenziale, imprigionato nel ben noto dissidio tra il dovere di una partenza
voluta dal fato e i «moti del cor» (cfr. Tab. 1, p. 575). Hasse
intona il celebre testo metastasiano come un’aria dal segno in cui
la prima strofa è articolata in modo particolarmente complesso 6 .
Il primo distico – che rappresenta l’incertezza dell’eroe, conteso
tra le due opposte tensioni («il lido» e «le vele») – è immobilizzato in un Lento inerte, che viene ad animarsi dal terzo verso in un
energico Allegro assai, quando i contrapposti epiteti ingiuriosi di
Anchise («infido») e Didone («crudele») turbano la coscienza
dell’eroe. A questa scrittura più vivace, già anticipata dal ritornello
strumentale, si rifà anche la sezione B, che esprime in termini più
dinamici e urgenti il rovello di Enea. Ci troviamo così di fronte a
una drammatizzazione sottile del testo: un’operazione che non
s’arresta al mero valore semantico della singola parola, ma si
concentra piuttosto sul dramma interiore espresso dall’aria metastasiana nel suo complesso. Non si tratta insomma d’una traduzione
puramente descrittiva del testo, bensì, in tutt’altra direzione, dell’espressione del contrasto morale che costituisce il cuore del dramma.
«Restare sul lido» e «scioglier le vele» sono le due facce d’uno
stesso dilemma, esprimono la medesima inerzia di Enea lacerato
da due tensioni uguali e contrarie e reclamano perciò la medesima
intonazione, sebbene si riferiscano a due azioni contrapposte;
sarà piuttosto l’ira di Anchise e Didone l’elemento volitivo che
infonde dinamismo e tensione alla pagina musicale. Si noti poi
come Hasse pensi a variare la già complessa intonazione, da un
lato realizzando con un unico Allegro la prima reiterazione della
strofa A (A': mss. 60-81), dall’altro ridistribuendo il testo di A nel
corso della sua terza (e dunque già irrituale) intonazione (potremmo azzardarci a chiamarla A"), in cui Lento e Allegro si rispondono per due volte mentre la strofa viene a comporsi progressivamente, col risultato di reiterare all’infinito il conflitto tra l’irresolutezza dell’eroe e l’ira dei suoi severi interlocutori.
Considerazioni analoghe andranno riferite all’impaginazione,
altrettanto articolata ed efficacissima, di arie quali “Come potesti,
6
574
Cfr. la partitura in I-Mc, Noseda F-67.
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Tabella 1. Didone abbandonata, aria di Enea, “Se resto sul lido” (1742)
Struttura
Testo
Tempo
Misure
Allegro di molto
1-22
Lento
23-30
[Allegro]
31-52
[Allegro]
53-59
Se resto sul lido,
se sciolgo le vele,
infido, crudele
mi sento chiamar.
[Allegro]
60-63
Se resto sul lido,
[Lento]
infido mi sento
[chiamar.
Se sciolgo le vele,
Allegro
Ritornello
Sezione A
Se resto sul lido,
se sciolgo le vele,
infido, crudele
mi sento chiamar.
Ritornello
Sezione A'
[Allegro]
64-81
(ampio melisma su «chiamar»)
Sezione A''
crudele mi sento
[chiamar.
infido, crudele
mi sento chiamar.
Ritornello
Sezione B
[Allegro]
82-85
(pausa generale)
86-89
(pausa generale)
90-93
(pausa generale)
94-100
(pausa generale)
101-106
Allegro
107-115
Lento
Allegro
E intanto, confuso
Allegro
nel dubbio funesto,
non parto, non resto,
ma provo il martire
che avrei nel partire,
che avrei nel restar.
Ritornello
Allegro
Dal segno (da m. 23, cioè ripresa di A, A' e A'')
116-142
143-156
oh Dio” di Vitellia dalla Clemenza di Tito 7, “Sperai vicino il lido”
di Timante nel Demofoonte 8, “No, del tuo figlio il sangue” di
7
Al terzo verso (m. 23) il Presto è sostituito da un Larghetto, e la medesima
successione agogica si ripropone nella sezione B (m. 100). Concordano le versioni
dell’opera per Pesaro (Tito Vespasiano, 1735) e per Dresda (La clemenza di Tito,
1738). Il testo non è invece intonato nell’ultima versione hassiana dell’opera
(Napoli, 1759).
8
Al terzo verso al Lento subentra l’Allegro assai. In quest’aria Hasse impone
al Carestini un’estensione di due ottave, dal Sol 2 al Sol 4.
575
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Marzia nell’Arminio 9 ,“Placa lo sdegno ormai” di Megàcle nell’Olimpiade 10, “Involarmi il mio tesoro?” di Achille nell’Achille in
Sciro 11, così come anche l’aria della Guida “D’aspri legato” nell’oratorio I pellegrini al Sepolcro di Nostro Signore 12.
“Edle Einfalt”. Classicismo e unitarietà
Nonostante l’elaborazione di arie tanto complesse e l’innegabile incremento numerico di arie fondate sul criterio del contrasto – è sufficiente mettere a confronto i due Siroe intonati a
distanza di trent’anni, in cui le arie con alternanze interne di
metro e tempo passano da una nel 1733 a sei nel ’63 –, 13 la complessità non si afferma mai, nemmeno nella più tarda maturità,
II,4: al terzo verso il Presto in c sostituisce l’Un poco lento in 3/4.
Ancora una volta al terzo verso si passa da Lento ad Allegro di molto.
11
Il Lento in c scalza l’Allegro assai in 6/8 al quinto verso, ovvero in apertura
della seconda strofa, ma è nuovamente sopraffatto da metro e tempo originari al
settimo e penultimo verso dell’aria, dunque nel bel mezzo della sezione B.
12
La vasta e complessa aria (quindici quinari) è così organizzata: sette versi
in c , Allegro di molto; due versi (appena quattro misure di musica) in Lento;
quattro versi in Alla breve, Moderato assai; ancora quattro in c , Allegro. Le prime
due parti formano la sezione A, le altre due la B.
Sulle arie citate cfr. F. L. Millner, The Operas of Johann Adolf Hasse, diss.
Univ. of California-Berkeley, 1976, Ann Arbor, UMI, pp. 43 s.; H. Lühning,
Titus-Vertonungen im 18. Jahrhundert: Untersuchungen zur Tradition der Opera
seria von Hasse bis Mozart, in «Analecta musicologica», XX, 1983, pp. 423-430;
K. Hortschansky, Die Rolle des Sängers im Drama Metastasios. Giovanni Carestini
als Timante im «Demofoonte», in Metastasio e il mondo musicale, a cura di M. T.
Muraro, Firenze, Olschki, 1986, pp. 207-234: 222 s.; S. Mamy, Les Révisions pour
Giovanni Carestini du rôle de Timante dans le “Demofoonte” de J. A. Hasse
(Venise 1749), ivi, pp. 235-273: 250 s.; R. Mellace, Tre intonazioni dell’«Achille
in Sciro» a confronto: Caldara, Leo, Hasse, in «Il Saggiatore musicale», III, 1,
1996, pp. 33-70: 65 s.; C. Fertonani, «Vo solcando un mar crudele». Per una
tipologia dell’aria di tempesta nella prima metà del Settecento, in «Musica e Storia»,
V, 1997, pp. 67-110: 85 s.; N. Niemann, Hasse als Komponist für das Theater.
Bemerkungen zum Inszenierungsstil und zur Schauspielkunst in der opera seria, in
Johann Adolf Hasse in seiner Epoche und in der Gegenwart. Studien zur Stil- und
Quellenproblematik, a cura di Szymon Paczkowski und Alina Zórawska-Witkowska,
Varsavia, Instytut Muzykologii Uniwersytetu Warszawskiego, 2002, pp. 99-121:
119-121; Mellace, Johann Adolf Hasse cit., pp. 401 s.
13
Cfr. Millner, The Operas of Johann Adolf Hasse cit., p. 156. Ma si pensi
anche al comportamento del compositore nella nuova intonazione di un testo
musicato negli anni Trenta: riscrivendo l’aria “Risponderti vorrei” nell’Achille in
Sciro del 1759, già intonata come testo spurio nella Viriate del ’39, Hasse era
passato da un pezzo unitario in c , Lento (di appena 28 misure) alla più complessa
articolazione C , Lento – 3/8, Allegro della nuova aria, una pagina monumentale
che conta 114 misure (cfr. R. Mellace, «Viriate», ossia «Siface»: una negletta
esperienza veneziana di Hasse (e Metastasio), in Il canto di Metastasio, a cura di M.
G. Miggiani, Bologna, Forni, 2004, pp. 247-276).
9
10
576
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come paradigma esclusivo di riferimento, come la strada maestra
della scrittura del Sassone. L’affermazione di un’articolazione dialettica – per quanto efficace, affascinante e certamente in linea col
gusto coevo si fosse dimostrata – viene continuamente contesa da
una tendenza opposta, mirante a un’intima, coesa unitarietà espressiva: la tensione cioè alla massima concentrazione del materiale, a
un risparmio tematico che rappresenta una tendenza da sempre
latente nella produzione del Sassone, perfettamente coerente con
la cifra stilistica più autentica del compositore 14.
Sembrerebbe lecito individuare in questa scelta una tendenza
che avvicina straordinariamente Hasse al classicismo viennese e ai
procedimenti messi in atto da quest’ultimo. Quanto Haydn e
Mozart debbano al Sassone è stato dimostrato ad abundantiam,
sia attraverso le dichiarazioni esplicite degli autori più giovani,
sia sul campo della critica stilistica 15. Risulta dunque particolarmente significativo rilevare come, in una fase cruciale per la maturazione dello stile classico come gli anni Sessanta del Settecento, Hasse dimostri un eccezionale interesse per la coerenza del
materiale tematico, al punto da assumere tale principio, come si
vedrà, a fondamento d’un intero componimento drammatico. Si
tratta di una vicenda che proviene in realtà da lontano. Nell’apparentamento tematico, sia tra sezioni A e B della stessa aria sia tra
14
A proposito dello sfruttamento di questo procedimento nell’oratorio
Sant’Elena al Calvario del 1746 cfr. P. Fabbri, Quid quaeritis? L’“amorosa inchiesta” di sant’Elena al Calvario, in Drammaturgia dell’oratorio. Metastasio, Hasse e
il caso di «Sant’Elena al calvario», Atti della giornata di studi musicologici (Faenza, 14 maggio 2005), a cura di G. Tasso, Cesena, Musigramma, 2006 («I Quaderni
di Creator», 1), pp. 7-12: 11 s.
15
Cfr. in particolare D. Heartz, Haydn’s «Acide e Galatea» and the Imperial
Wedding Operas of 1760 by Hasse and Gluck, in Bericht über den Internationalen
Joseph Haydn Kongress, Wien, 5-12 settembre 1982, a cura di E. Badura-Skoda,
München, Henle, 1986, pp. 332-340; G. Feder, Haydn und Hasse, in Colloquium
Johann Adolf Hasse und die Musik seiner Zeit (Siena 1983), a cura di F. Lippmann,
in «Analecta Musicologica», XXV, 1987, pp. 305-327; O. Landmann, Johann
Adolf Hasse und Wolfgang Amadeus Mozart: Anregung zu einer der möglichen
Behandlungen des Themas, in Studien zur Aufführungspraxis und Interpretation
von Musik des 18. Jahrhunderts, Blankenburg-Michaelstein, 1991, pp. 73-102; R.
Wiesend, Hasse und Mozart – ein ungleiches Paar?, in «Hasse-Studien», II, 1993,
pp. 5-27; D. Heartz, Haydn, Mozart and the Viennese School, 1740-1780, New
York, Norton, 1995, pp. 304-309 e 713 s.; R. Mellace, «Il Ruggiero» o vero
Metastasio e Hasse tra Ariosto e Mozart, in Festschrift Leopold M. Kantner zum 70.
Geburtstag, a cura di M. Jahn e A. Pachovsky, Tutzing, Schneider, 2002 («Studien
zur Musikwissenschaft», 49), pp. 341-361; Id., Johann Adolf Hasse cit., pp. 141146 e 290-293; J.A. Rice, Hasse’s Viennese Settings of «Sant’Elena al Calvario» and
the Tonkünstler-Sozietät Oratorio of the 1770s, in Johann Adolf Hasse in seiner
Zeit. Bericht über das Symposium vom 23. bis 26. März 1999 in Hamburg, a cura di
R. Wiesend, in «Hasse Studien», Sonderreihe I (Schriftenreihe der Hasse-Gesellschaften in Hamburg-Bergedorf und München), 2006, pp. 261-272.
577
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Es. 1. Apparentamenti tematici tra sezioni A e B in Partenope (1767)
1a-1b: aria di Alceo, “Chi vuol tra i flutti umani” (I,2; sezioni A e B)
1c-1d: aria di Elpinice, “Bel piacer d’un core amante” (I,3; sezioni A e B)
1e-1f: aria di Ismene, “Nel sereno d’un giorno sì lieto” (I,9; sezioni A e B)
1g-1h: aria di Ismene, “Credon cercar diletto” (II,6; sezioni A e B)
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1i-1j: aria di Cleanto, “Le dimore Amor non ama” (I,7; sezioni A e B)
1k-1l : aria di Cleanto, “Calmate il suo tormento” (II,4; sezioni A e B)
1m-1n : aria di Cleanto, “Splende un balen di luce” (II,8; sezioni A e B)
579
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numeri diversi del medesimo dramma, andrà certamente individuato il retaggio di un’illustre tradizione barocca 16. Hasse tuttavia
fa proprio questo procedimento sin dagli esordi, assimilandolo e
metabolizzandolo quale componente imprescindibile della sua scrittura. Coltivato e perfezionato per un’intera carriera, l’espediente
assume un ruolo dominante nell’ultima stagione operistica del
compositore – non a caso, forse, trascorsa all’ombra della Corte
di Vienna, per la quale Hasse si trovò a lavorare per tutti gli anni
Sessanta 17.
Si prenda in considerazione la terz’ultima fatica drammatica
del Sassone, la festa teatrale Partenope, composta su testo metastasiano nel 1767 e andata in scena al Burgtheater alla presenza
dell’undicenne Wolfgang e con l’approvazione (rispetto alla musica, non all’allestimento nel suo complesso) di Leopold Mozart 18.
Ebbene, come emerge chiaramente dall’esempio 1, è semplicemente impressionante la tensione verso la massima coerenza interna esibita da un numero altissimo di arie, in cui sezioni A e B
condividono il medesimo materiale tematico. Una coerenza perseguita talora attraverso artifici metrici che riescono funambolicamente a conciliare unità tematica e complessità sul piano metrico-agogico. Si consideri ad esempio l’aria di Cleanto “Le dimore
Amor non ama” (I,7), in cui l’ottonario metastasiano è dapprima,
nella sezione A (Es. 1/i), aggiustato alla misura regolare di quattro
battute in c, col disporsi disciplinato di due sillabe per ciascuna
battuta, e viene al contempo reso interessante da una cura per la
fisionomia ritmica a un punto tale che ogni battuta presenta un
profilo proprio (due minime; seminima con appoggiatura, minima
e semiminima; minima, due semiminime; semiminima puntata con
appoggiatura, croma, semiminima, pausa di semiminima: tra queste la seconda battuta, vivificata dalla sincope, offre l’elemento di
maggior varietà rispetto alla regolarità ritmica). Il medesimo metro ottonario è disposto invece nella sezione B della stessa aria
(Es. 1/j) sempre lungo quattro battute, questa volta però in metro
ternario (3/8), tali da conservare la suddivisione di due sillabe per
battuta; il verso poetico viene tuttavia adattato di necessità al
flusso delle terzine di crome, cosicché la prima sillaba (di norma
16
Cfr. Kubik, Händels Rinaldo cit., pp. 125-128.
Su questa tarda produzione hassiana cfr. il mio L’autunno del Metastasio.
Gli ultimi drammi per musica di Johann Adolf Hasse, Firenze, Olschki, 2007
(«Historiae Musicae Cultores», 110).
18
Cfr. lettera del 29 settembre 1767 di Leopold Mozart a Lorenz Hagenauer in cui si giudica positivamente la musica di Hasse, ma non al livello dell’occasione il cast assoldato (cfr. Mozart. Briefe und Aufzeichnungen. Gesamtausgabe,
a cura di W. A. Bauer e O. E. Deutsch, Kassel, Bärenreiter, 1962, I, p. 239).
17
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tonica) occuperà due terzi della battuta e la rimanente sillaba
(atona) il terzo residuo. Ad assimilare ulteriormente due strutture
musicali all’apparenza distanti, conservandone al tempo stesso
l’irriducibile autonomia, concorrerà anche l’agogica delle singole
sezioni: la sezione A consumerà infatti nel rapido incalzare d’un
Allegro assai le quattro semiminime di cui consta ciascuna misura,
mentre l’indicazione Un poco lento prescritta alla sezione B costringerà quest’ultima a rallentare il flusso delle crome nella grazia cortigiana d’un incedere disteso. Ne risulterà un tempo d’esecuzione per battuta sostanzialmente assimilabile, nonostante la
disparità di valori ( c vs 3/8), col risultato che a un’analoga distribuzione degli ottonari metastasiani (un verso ogni quattro battute, sia in A sia in B) corrisponderà una durata di esecuzione
analoga.
D’altra parte, che l’intima coerenza dell’invenzione tematica
sia uno degli obiettivi primari di questa estrema stagione dell’Hasse operista, pur coeva del lavoro forse più noto, irregolare
ed eccentrico del compositore, il Piramo e Tisbe, lo dimostrano
anche pagine come l’aria “Mille dubbi mi destano in petto” con
cui nel 1762, cinque anni prima della Partenope, la protagonista
del Trionfo di Clelia, sulla scena Marianna Bianchi, aveva coronato l’atto I dell’opera: uno splendido Andante di portamento, di
compostezza e serenità supreme, ricondotto da Hasse a un’unica,
apollinea radice tematica comune alle sezioni A e B, con superiore
indifferenza rispetto all’angoscia instillata dal Metastasio nel proprio testo. Insomma, la «edle Einfalt und stille Größe» di
winckelmanniana memoria 19.
Si verifichi questa seconda strada hassiana tramite la partitura
che inaugurò il decennio viennese, offrendo involontariamente
una figura mitologica che calza a pennello al dilemma formale che
andiamo discutendo: l’Alcide al bivio. L’intera partitura è percorsa da un’evidente tensione verso l’unitarietà musicale, ben rappresentata da due dispositivi impiegati con intenzionalità progettuale. Da un lato un memorabile gesto icastico, corrispondente a
un salto discendente della melodia spesso isolato dalla pausa, che
unifica ben sette numeri, a cominciare dalla primissima aria del
dramma, la fondamentale aria di Fronimo, “Pensa che questo
istante” (I) (Es. 2, p. 582) 20. Dall’altro una formula ritmico-melo19
Ideale estetico elaborato, forse non casualmente, da un altro tedesco
attivo a Dresda e impregnato di cultura italiana.
20
Tale soluzione compositiva discenderebbe da una progettualità condivisa
tra poeta e musicista, che perseguono un comune obiettivo didascalico. Già nel
testo poetico, infatti, il Metastasio «seems consciously to have included repeated
581
R AFFAELE M ELLACE
Es. 2. Alcide al bivio: aria di Fronimo, “Pensa che questo istante” (1).
dica ricorrente, in metro ternario e in posizione tetica, la cui
versione base è la successione di croma, croma puntata con trillo
(nota ribattuta), due biscrome e una croma (Es. 3, p. 583). Impiegata anche in altre opere tarde di Hasse (Il re pastore, La clemenza
di Tito e l’Artaserse di Napoli, la Partenope), tale formula caratterizza una decina di temi in altrettanti numeri chiusi e sembrerebbe ritornare in punti chiave del dramma, in corrispondenza col
dilemma tra dovere e piacere 21. Tale tendenza a sviluppare legami
verbal clues suggesting pauses for reflection, which Hasse translated musically as
fermatas ... Even within the Sinfonia (in the middle movement) and the Chaconne,
Hasse emphazises contemplative pauses (followed, in both cases, by vigorous,
decisive musical gestures), extending the poet’s suggestions beyond their original
scope and helping provide a unifying sound-symbol for the opera as a whole»: B.
A. Brown, «Mon opéra italien»: Giacomo Durazzo and the Genesis of «Alcide al
bivio», in Pietro Metastasio – uomo universale (1698-1782), a cura di A. SommerMathis e E. T. Hilscher, Wien, Österreichische Akademie der Wissenschaften,
2000, pp. 115-142: 138.
21
Annunciata dal terzo tempo della Sinfonia, viene dotata di un senso specifico
già dalla prima intonazione, quando compare come tema autonomo nella sezione
A della capitale, citata aria di Fronimo “Pensa che in questo istante”, in corrispondenza coi versi «Ch’oggi rinasce Alcide | per la futura età»; si ripropone modificata
nell’aria di Edonide, ritorna con la voce solista dei seguaci del Piacere («I consigli
ognun seconda») e nella strofa a due del medesimo coro “È la vita appunto un
fiore”; ricompare ai violini nella strategica aria di Edonide della scena 5 “Mira
entrambe, e dimmi poi”), e più tardi nel coro dei seguaci della Virtù “Se bramate
esser felici”; se anche il ballo ne offre una variante, la ricomparsa più significativa
della formula è in funzione di tema della sezione B nell’ultima aria di Fronimo
“Come rapida si vede”, in posizione simmetrica rispetto alla prima intonazione.
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I L S ASSONE
AL BIVIO
Es. 3. Formula unitaria in Alcide al bivio (1760)
3a. Aria di Fronimo, “Pensa che in questo istante” (I)
3b-3c. Coro dei seguaci del Piacere, “Alme incaute che solcate” (4)
3d-3e. Coro dei seguaci della Virtù, “Se bramate esser felici” (7)
3f. Aria di Fronimo, “Come rapida si vede” (9).
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R AFFAELE M ELLACE
Es. 4. Alcide al bivio: aria di Alcide, “Dèi clementi, amici dèi” (1).
#
tematici è confermata dal raro caso di parodia interna tra l’aria di
Aretea “Quell’onda che ruina” e quella di Fronimo “Come rapida
si vede”, che ottiene il risultato di unire due testi che parimenti
sollecitano l’eroe alla soluzione dell’alto dilemma.
Si apprezzi infine, sempre dall’Alcide al bivio, un ultimo esempio di coesione interna, emblematico dei procedimenti compositivi messi in atto da questo Hasse della tarda maturità. Secondo il
noto mito, l’eroe eponimo, alias l’arciduca poi imperatore Giuseppe (II), si confronta nella festa teatrale metastasiana col dilemma tra Virtù e Piacere, come già gli era accaduto molto spesso nel
lungo itinerario della cultura barocca (Bach incluso). Il suo interprete in teatro, il sopranista Giovanni Manzuoli, nella propria
aria di sortita “Dèi clementi, amici dèi” (Es. 4), si trova per
sovrammercato di fronte a un ulteriore bivio: quello tra diverse
tipologie d’aria col da capo. A differenza dell’Alcide, non gli
toccherà l’onere di decidere personalmente. Il Sassone prescrive
per lui la soluzione più coesa e coerente di scrittura musicale,
quella che fa derivare tutto il materiale tematico dall’incipit, compresa la sezione B, la cui filiazione da A viene opportunamente e
studiatamente dissimulata attraverso quella smaliziata sapienza
ritmica che abbiamo già considerato, in grado di bilanciare due
sezioni di metro, modo e agogica diversi ma accomunate dal medesimo, caratterizzante profilo melodico. Con quest’aria Manzuoli/Alcide non inaugura soltanto una partitura che a tale coerenza è intimamente ispirata, bensì un intero, ricco decennio che
impegnerà l’ancor fecondissimo sessagenario Sassone nella pratica inesausta d’una assidua, tenace e ferace ricerca formale. Difficile dar torto al Metastasio, che ricevendo pochi anni prima alcune arie hassiane fresche d’inchiostro, ne ammirava la «vivacità» e
«novità», meravigliandosi di «com’egli [Hasse] si fecondi in vece
d’insterilirsi nella perpetua produzione» 22.
22
Lettera del 7 gennaio 1758 a Faustina Bordoni, in P. Metastasio, Tutte le
opere, a cura di B. Brunelli, Milano, Mondadori, 1943-54, III, p. 1085.
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AL BIVIO
S UMMARY
In the fifty years he cultivated the aria with da capo (or more correctly dal segno) in every kind of genre (theatre, oratorio, cantata), on the
whole Johann Adolf Hasse displayed a preference for highly homogeneous material. If Hasse’s da capo compositions, which were met with such
great success by his contemporaries, are subjected to closer scrutiny, it is
possible to identify two approaches that are both extreme and opposite
and which, from the end of the 1730s onwards, imposed themselves as an
alternative in the conception of the greater arias: two paths that were
followed to the end of the Saxon composer’s lengthy creative experience,
without corresponding to any specific, consecutive phases. On the one
hand there was the tendency to create a sort of miniature drama within
the aria with da capo, thanks to the subtle, analytical reinterpretation of
the poetical text while – on the other, there was the exacerbation that
was so typical of Hasse to thematic frugalness in the direction of the
aesthetics of Viennese Classicism. It is perhaps no coincidence that the
clearest examples of this tendency go back to the composer’s stay in
Vienna during the 1760s.
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