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70. un decennio folgorante

Idee per un programma televisivo mai realizzato dedicato agli anni Settanta come decennio dominato dall'inventiva più che dalla violenza

70. 1 70. GLI ANNI DELLA POESIA E DEL PIOMBO un programma di Pino Casamassima e Massimiliano Griner 1. ANNI AFFOLLATI. Gli anni Settanta? Si possono forse aprire con l'episodio che li ha chiusi, la marcia dei Quarantamila a Torino. La richiesta di riportare l'ordine alla Fiat, e quindi nel Paese, quando ormai il Paese aveva cambiato faccia, e la fabbrica non è più centrale come agli inizi di quel decennio, quando le BR debuttarono incendiando i depositi della Pirelli, nonostante da un paio d’anni fosse nato – finalmente – Lo Statuto dei Lavoratori, frutto delle lotte operaie della fine dei Sessanta. Eppure ci sarebbe bisogno di un centro di gravità permanente, perché in questo decennio sono molte le certezze che vanno in pezzi. Anche se nessuno, al momento, ne ha ancora una coscienza chiara, e tutto ciò che infiamma gli spiriti, appartiene già al passato. È proprio adesso infatti ad aver inizio quella cosa che oggi chiamiamo globalizzazione, mentre inesorabilmente tramonta lo Stato gestore della mediazione tra capitale e lavoro, quello che dopo un secolo di lotte ha dato vita al welfare. I partiti di sinistra abbandonano lentamente la spinta alla rivoluzione, scavalcati come sono da formazioni armate che a fine decennio il ministero dell’Interno conterà a centinaia. Si allarga intanto la disoccupazione, perché la tecnologia riduce, anno dopo anno, il bisogno di manodopera. Keynes e la socialdemocrazia, insomma, sembrano avere i giorni contati. La classe operaia va ancora in paradiso? Per Pasolini la fabbrica ha distrutto la civiltà contadina. Per Moravia la fabbrica ha democratizzato i rapporti. Nel mezzo, un’Italia che cambia. Comunque. 2. MODE E GURU. Gli intellettuali sono nuovi guru alla moda: a volte aggregati (come la Scuola di Francoforte), o individualmente, come Horkheimer, Pasolini, Adorno, Marcuse e Asor Rosa. I loro scritti, spesso volutamente impenetrabili, diventano (proprio per questo) best seller come un romanzo di Liala, anche se non altrettanto letti. 70. 2 L’uomo a una dimensione viaggia sotto le ascelle, ma non supera la soglia della percezione visiva. Tutto ciò ha un nome che esalta e demonizza: “Cultura”. Cultura di massa: cultura per tutti. Davvero? E' proprio negli anni Settanta che si diffonde l'idea di una “democrazia culturale”: l'intervento diretto dello Stato perché decentri e pluralizzi, perché diffonda cultura investendo denaro pubblico attraverso forme di decentramento. La scuola di adegua e, finalmente, tradisce il ’68, sdoganando l’ignoranza per tutti con il 6, ma quel che è peggio, il 18 politico. E se la cultura diventa un fatto di massa, parallelamente anche il mondo della scuola si massifica: è il trionfo dei Decreti Delegati, della partecipazione democratica, della sindacalizzazione della scuola. La scolarizzazione di massa che investe gli anni Settanta è in fondo il pendant della decresciuta importanza di un'altra istituzione tradizionale, che perde peso e consistenza: la famiglia. 3. UNA CULTURA DI MASSA. Da parte loro, coerentemente, regioni, comuni, province, si fanno promotori di iniziative di ogni genere: concerti, teatro, animazione, mostre, festival, una tendenza, ormai degenerata, che arriva fino ai giorni nostri. Spinti dai figli acculturati e moderni, ne Le vacanze intelligenti Sordi e consorte vanno a visitare la Biennale di Venezia disegnata da Carlo Ripa di Meana. Per scoprire che anche il mondo delle arti figurative è attraversato, e sconvolto, dallo stesso fermento che non comprendono e che li turba: l'impegno politico. L'arte povera ricicla materiali di scarto per ripensare alla bellezza in termini non borghesi, le performance collettive sostituiscono il talento individuale, si contesta il mercantilismo. Sono gli anni di Mario Schifano, al culmine della sua fama; di Joseph Beuys, Mimmo Rotella, Mario Merz, Mimmo Paladino, Luigi Di Sarro, Pino Pinelli, Giulio Paolini, Enrico Baj, Vincenzo Accame e Gina Pane (che si taglia un orecchio come Van Gogh). Emblematica è la Biennale di Venezia del 1976, la più visitata di tutta la storia, governata da un socialista che guarda ad Allende e inneggia alla dissidenza sovietica: Carlo Ripa di Meana. Dissidenza che 70. 3 è perfettamente rappresentata dal successo, anche in Italia, di Arcipelago Gulag, di Aleksandr Sol enycin. La rivelazione dei crimini del comunismo, anche poststaliniano, suscita ancora polemiche in un paese in cui solo l'egemonia culturale del PCI si coniuga col progresso: «a sinistra del Pci non esiste niente» ricorda Berlinguer ai “diciannovisti” del ’77. Luciano Lama lancia segnali d’approvazione dal suo calumet della pace sociale. Dopo Il dottor Zivago pubblicato in Italia dall’eretico Feltrinelli che per questo sarà espulso dal Pci, Arcipelago Gulag diventa modo l'ultimo grande “romanzo” epico russo. E se in Italia trionfa Elsa Morante con La storia, che vende 600.000 copie, la letteratura è caratterizzata anche da una conclamata “discesa al popolo”, da un adeguamento della parola al lettore, anziché di questi al testo. Un esempio è il successo di Porci con le ali, di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice. La descrizione del sesso vissuto e sperimentato da due adolescenti è forse la vera ragione del successo del libro – inevitabilmente diventato film di altrettanto successo –in una editoria sempre più rivolta alla massa, dove il genere più amato è proprio quello erotico, seguito, nell'ordine, dalla fantascienza, dal giallo, dai libri romantici, dai teleromanzi, dai romanzi rosa, da quelli in costume, finendo con le scienze occulte e l'astrologia. La Arancia a orologeria di Burgess diventata meccanica con Kubrick, soddisfa gli appetiti di una cultura di massa “massificata” e quindi coerente con se stessa. Kubrick diventa icona come lo era stato Fellini ai suoi tempi, an che se pochi avevano realmente capito il suo 8 e . Ma sono infine tutti segnali di un’estensione del consumo “culturale” che prevedono nuove biblioteche, libri tascabili che invadono le edicole a colpi di mille lire al libro, come fa Stampa Alternativa del vulcanico Marcello Baraghini, che promulga l’abolizione del copyright e della SIAE. Fenomeno tutt'altro che di secondo piano, si afferma a livello nazionale l'editoria meridionale, da Laterza a Dedalo a Sellerio a Rubbettino. É il boom dei cineforum: il film non lo si guarda (legge) più: lo si dibatte. E non importa se non ci sono messaggi, l’importante è cercarli (e trovarli, implacabilmente). Nell'esplosione di generi, il 70. 4 cinema italiano conosce la sua ultima grande stagione. Il Cinema d'autore (quello realizzato dai padri nobili) genera sequel popolari (di figli meno nobili). Da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ha genesi il genere poliziesco, mentre Salò o le centoventi giornate di Sodoma di Pasolini degenera nel nazi-porno, con la variante de Il Portiere di notte della Cavani che con la sua rivisitata tesi sul rapporto servo-padrone (nella fattispecie carnefice nazista-vittima ebrea) fa imbufalire Primo Levi: «Io so che vittima sono stato e non carnefice!». Ma mai come in questo decennio il cinema diventa centrale per proclamare la propria identità di spettatore e fruitore, spesso in chiave politicizzata. Proliferano riviste specializzate, mentre quelle della sinistra storica, da Nuovi Argomenti a Rinascita a Vie Nuove dedicano al cinema sempre più spazio. Lo raccontiamo, questo cinema, attraverso il percorso di un suo protagonista, Gian Maria Volontè, epitome dell'artista impegnato, e dal temperamento ribelle, che mischia bravura recitativa e impegno politico generoso quanto a volte ingenuo (aiuterà anche dei ricercati a salvarsi nella latitanza). 4. RIVOLUZIONI? In America è Diane Arbus a stupire con i suoi scatti fotografici. In Italia non è da meno Letizia Battaglia, che fissa l'obiettivo sulla Sicilia dove la nuova mafia si prepara a sterminare quella tradizionale; Carla Celati racconta la chiusura dei manicomi voluta da Franco Basaglia, mentre Tano D'Amico si specializza nei movimenti, con immagini fotografiche che da sole racconteranno un’epoca. Ed è la fotografia la nuova scoperta di massa di un’arte che Antonioni ha imposto con la forza di Blow-Up. Dall'immagine statica a quella in movimento, anche se chiusa nel piccolo schermo. Mai come in questo decennio la televisione cambia. Coerentemente col nuovo che avanza prepotentemente, la Rai continua nella politica editoriale – inaugurata alla fine dei Sessanta - di concedere spazi a nuovi linguaggi, che arrivano agli italiani attraverso le gag di Cochi Ponzoni, Renato Pozzetto, Felice Andreasi, Enzo Jannacci e Paolo Villaggio. Il ragionier Fantozzi inventa 70. 5 una neolingua destinata a entrare nell’uso corrente del lessico italiano, con locuzioni ormai assunte anche dalle nuovissime generazioni che non ne conoscono la genesi. Avanguardie espressive che non trovano riscontro nelle neonate tv commerciali (impropriamente chiamate “libere” o più correttamente “private”), che proprio in quanto tali non possono permettersi il lusso della sperimentazione, ma devono seguire e inseguire un pubblico molto largo, molto pop. Nel nuovo corso della Rai si aprono impreviste brecce nell'immaginario con il proliferare di programmi e trasmissioni che la televisione di Stato, educativa e didascalica, non avrebbe trasmesso: Atlas Ufo Robot, Happy Days. Intanto sono già “libere”, o si proclamano tali, le Radio. Il capofila, neanche a farlo apposta, è un intellettuale impegnato, Danilo Dolci, che trasmette dalle onde di Radio Sicilia Libera. E cosa trasmettono, se non musica che in televisione non si può sentire, e tanta, tanta politica, spesso sotto forma di dibattito. Sono per necessità radio locali, che coprono porzioni di territorio ristretto, lo spazio locale, domestico. Consentono quindi di riscoprire i territori, e valorizzare le radici locali, fino a quel momento trascurate dalle reti nazionali, che devono parlare didascalicamente alla “nazione”. Mentre a Milano Radio popolare intercetta la cultura si sinistra, a Cinisi, provincia di Tano Badalamenti, l’agitatore culturale di un’altra emittente realmente libera, Peppino Impastato, paga con la vita lo scotto dello sfottò ai mafiosi: l’offesa più grave. Radio libera si accoppia spesso a squallore diffuso, per i tanti tentativi che dal Piemonte alla Sicilia vengono operati in termini commerciali: si trasmette dalle cantine e dalle cucine, scimmiottando un linguaggio simil-professionale («mi dicono dalla regia…»). L’etere è un pullulare di libertà e di culatelli della premiata salumeria Rustichelli, mentre gli accenti regionali fanno piazza pulita delle asettiche espressioni da annunciatori Rai. Si «parla come si mangia»: una constatazione, non un elogio. E proprio sul tema del linguaggio e dell’espressione, si verifica la rivoluzione dei ruoli, con la messa in crisi del modello “io parlo tu ascolti” (modello broadcast). Lo spettatore non si limita più a fruire, ma chiede di partecipare, di fare parte, 70. 6 e chiunque sente l'esigenza di esprimersi deve e può farlo, a prescindere dalla conoscenza di una tecnica. Una massificazione – soprattutto nella musica – che da lì a poco germoglierà frutti velenosi.