FOLIA CANONICA 4 (2001) 93–116.
PÉTER SZABÓ
OSSERVAZIONI INTORNO ALLO STATO GIURIDICO
DELLA CHIESA GRECO-CATTOLICA D’UNGHERIA
Figura codiciale e particolarità locali
INTRODUZIONE; I. FIGURA CODICIALE: 1. La storia e la motivazione dell’inserimento dei cc.
174–176 nel CCEO; 2. La fisionomia interna della figura canonica: 2.1 L’ufficio del capo-gerarca
e la qualificazione della sua potestà di governo; 2.2 Rettificazione delle configurazioni anomale e
determinazione del gerarca-capo; 2.3 Il soggetto attivo del potere superiore di governo e la sua
competenza; 3. Soggezione immediata alla Sede Apostolica; II. PARTICOLARITÀ DELLA CONFIGURAZIONE ATTUALE DELLA CHIESA GRECO-CATTOLICA D’UNGHERIA: 1. Soggezione suffraganea; 2. Relazioni
con la Primazia d’Ungheria; ULTERIORI OSSERVAZIONI.
INTRODUZIONE
Nove delle ventuno Chiese cattoliche orientali, non avendo una propria
struttura sopraepiscopale (cioè un’istituzione metropolitana), rientrano, per lo
meno potenzialmente, nella categoria giuridica delle “altre Chiese sui iuris”
(CCEO cc. 174–176).1 Per quanto sappiamo, finora non sono stati pubblicati
studi propriamente specifici su questo istituto giuridico.2 Questo fatto, da una
parte, e le discordanze tra le scarse affermazioni riguardanti la figura in questione, dall’altra, sembrano richiedere una riflessione più sistematica e dettagliata
sull’argomento.
Date le attuali configurazioni alquanto diverse ed anomale che contrassegnano non poche Chiese orientali cattoliche carenti di una struttura gerarchica più
sviluppata, non c’è da meravigliarsi che il CCEO, come sistema astratto-generale, non può darci che un brevissimo orientamento per l’istituto giuridico in
questione, rinviando la rettificazione strutturale della costituzione di queste
1 Sono la Chiesa cattolica albanese, quella bielorussa, bulgara, greca, italo-albanese,
“ex-jugoslava” (eparchia di Križevci), russa, slovacca, ungherese, tutte quante di tradizione
costantinopolitana: cf. Nuntia 31 (1991) 30–31; Annuario Pontificio 2000, 1226–1227.
2 Forse l’unica eccezione è lo studio autorevole di Marco Brogi, il quale però ha come
punto centrale piuttosto la riflessione sull’affermabilità dell’attuale stato sui iuris delle varie
comunità orientali che un’analisi astratta della figura da applicare a loro: cf. M. BROGI,
Prospettive pratiche nell’applicare alle singole Chiese «sui iuris» il CCEO, in PONTIFICIUM
CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS INTERPRETANDIS, Ius in vita et in missione Ecclesiae, Acta
Simposii Internationalis Iuris Canonici occurente X anniversario promulgationis Codex Iuris
Canonici, diebus 19–24 Aprilis 1993 in Civitate Vaticana celebrati, Città del Vaticano 1994,
739–751.
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PÉTER SZABÓ
comunità ad ulteriori provvedimenti singolari. L’integrazione delle formazioni
attuali, per renderle consone alla normativa codiciale in base alla quale la loro
attività è prevista, ora tocca unicamente alla Sede Apostolica, tramite uno ius
particulare pontificium preannunciato dallo stesso Codex (CCEO c. 174).
Il presente studio ha una doppia finalità. Da un lato nei primi capitoli
vorremmo dare un’esposizione articolata dei tre canoni in questione. Più concretamente, mettendo in rilievo alcuni punti di interpretazione controversa nella
letteratura canonistica, cercheremo di delimitare la flessibilità ammissibile della
figura canonica descritta dai cc. 174–176. Infatti, data l’immancabile breviloquenza della normativa comune al riguardo, come risulta, tra l’altro, dai pareri
ogni tanto marcatamente divergenti, si può sostenere che i limiti possibili della
configurazione sono praticamente fin ad oggi in corso di formazione. E questo
è così nonostante nella letteratura si possa notare una tendenza che, al contrario
delle riserve prima dimostrate, adesso sembra affermare lo stato sui iuris attuale
di tutte le comunità orientali cattoliche, indipendentemente dai loro vizi strutturali.3
Nella parte finale diamo un’analisi dell’attuale situazione giuridica della
Chiesa greco-cattolica d’Ungheria. A nostro avviso infatti lo stato attuale delle
relazioni gerarchiche di questa Chiesa è un esempio concreto per una nostra
conclusione decisiva, derivata dalla riflessione generale sulla figura delle “altre
Chiese di diritto proprio”. Questa nostra conclusione è che –almeno che se non
vogliamo rischiare di arrivare al punto che il concetto di Ecclesia sui iuris si
diluisca tanto da diventare un concetto puramente dichiarativo quasi privo di un
contenuto giuridico effettivo– non è fortunato il riconoscimento automatico e
3 Sebbene, nel pubblicare il Codice orientale, Autori competenti mettessero in rilievo le
loro riserve per quanto riguardava la netta affermabilità dello stato sui iuris attuale per tutte
le Chiese cattoliche orientali (cf. I. ŽUŽEK, Presentazione del Codex Canonum Ecclesiarium
Orientalium, in Monitor Ecclesiasticus 115 [1990] 600 ss. D. SALACHAS, Diritto orientale,
in Nuovo dizionario di diritto canonico, C. SALVADOR – V. DE PAOLIS – G. GHIRLANDA [a cura
di, Milano 1993, 409; a proposito del punto discusso – prima del dicembre 1992! – della
situazione sui iuris della Chiesa malabarese, vedasi: G. NEDUNGATT, A New Code for the
Oriental Churches, in Vidyajyoti Journal of Theological Reflection 55 [1991] 339), attualmente le opinioni riguardanti la questione sembrano unificarsi nel senso affermativo: cf.
BROGI, Prospettive pratiche (nt. 2), 745–747; I. ŽUŽEK , Incidenza del «Codex Canonum
Ecclesiarum Orientalium» nella storia moderna della Chiesa universale, in Ius in vita (nt. 2),
731–734; Code of Canon Law Annotated, E. CAPARROS – M. THÉRIAULT – J. THORN (eds.),
Montréal 1993, 131; P. ERDÕ, Egyházjog, Budapest [1992], 105. Va però notato che l’attuale
configurazione giuridica di alcune Chiese cattoliche orientali – come vedremo anche noi in
seguito dagli esempi – è difficilmente conciliabile con la normativa per loro prospettata nei
cc. 174–176, per lo meno prendendo a rigore le condizioni fissate dal CCEO. Sul punto di
vista negativo in connessione con lo stato sui iuris attuale della Chiesa italo-albanese e quella
ungherese vedasi: E. FORTINO, Aspetti ecclesiastici della Chiesa italo-albanese – Tensioni e
comunione, in Oriente Cristiano 34 (1994) 18; P. SZABÓ, Sajátjogú egyházak a CCEO
174–176. kánonjának szabályozása szerint, in Athanasiana 2 (1996) 117–142.
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
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quasi incondizionato di questo stato a tutte le comunità orientali-cattoliche, e
cioè senza un’analisi precedente delle relazioni giuridiche esteriori e della
fisionomia delle singole comunità.4
I. FIGURA CODICIALE
1. La storia e la motivazione dell’inserimento dei cc. 174–176 nel CCEO
La tipologia costituzionale delle comunità orientali cattoliche nella legislazione precedente era meno ricca di quella attuale. Sebbene la nozione larghissima
del ritus sui iuris applicata dal mp. Postquam Apostolicis5 teoricamente anche
prima rendesse possibile che una qualsiasi comunità orientale cattolica potesse
inquadrarsi nell’ambito del diritto vigente di allora, il mp. Cleri sanctitati non
le fece ancora classificare nel modo introdotto dal CCEO, e addirittura, di quelle
di grado inferiore, come delle comunità sui iuris, non se ne occupò affatto (!).
Dal decreto Orientalium Ecclesiarum – per la prima volta a livello di Concilio
ecumenico – venne dichiarata la piena parità giuridica di tutte le Ecclesiae
particulares seu ritus (OE 3). Era una convinzione comune presente fin dai primi
passi del processo formativo della nuova codificazione che questa dichiarazione
richiedeva l’eliminazione della lacuna sopra riferita in riferimento alla vecchia
normativa. Di conseguenza, si sentiva la necessità di elaborare un ordinamento
codiciale adatto a tutte le “Chiese particolari”6, ovvero, secondo la terminologia
precisata dalla codificazione attuale, a tutte le Chiese sui iuris.
4 Certo, i rischi sopra riferiti si verificano soprattutto nel caso di quelle Chiese di cui la
fisionomia è ancora meno sviluppata di quella della Chiesa ungherse; cf. P. SZABÓ, A bizánci
rítusú sajátjogú egyházak pillanatnyi jogállásának beazonosítása, in Athanasiana 14 (in
corso di stampa). Tuttavia certi elementi della struttura, come vedremo, mettono in serio
dubbio l’affermabilitá attuale e senza condizioni dello stato sui iuris anche della Chiesa
ungherese.
5 C. 303 – § 1 1° Ritus orientales quibus canones decernunt sunt alexandrinus, antiochenus, constantinopolitanus, chaldaeus et armenus, aliique ritus quos uti sui iuris expresse
vel tacite agnoscit Ecclesia; in PIUS XII, m.p. Postquam Apostolicis Litteris, 9. II. 1952, in
AAS 44 (1952) 144.
6 Cf. Proposta del 1973 della Facoltà di Diritto Canonico del Pontificio Istituto Orientale
circa le norme per la ricognizione del diritto canonico orientale, in Nuntia 26 (1988) 110;
[PCCICOR], Principi direttivi per la revisione del Codice di diritto canonico orientale, in
Nuntia 3 (1976) 7: “Per quanto riguarda la struttura delle singole Chiese particolari, siano
codificate le conseguenze giuridiche del principio di uguaglianza di tutte le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente, affermato dal Concilio Vaticano II (Orientalium Ecclesiarum 3), come,
per esempio, che ogni Chiesa orientale deve avere la propria gerarchia organizzata secondo
gli antichi canoni e le genuine tradizioni orientali.”
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PÉTER SZABÓ
Come risulta dalla proposta del PIO, a prima vista, sembrava che la soluzione
più facile del problema sarebbe stata quella di estendere lo stato arcivescovile a
tutte le Chiese orientali cattoliche, benché non aventi il grado patriarcale, ma
riconosciute autonome. Così alla testa di queste Chiese ci sarebbe stato sempre
un prelato con il titolo di Arcivesco maggiore; allo stesso tempo, per quanto
riguardava gli istituti giuridici conformi al livello dell’arcivescovado maggiore,
di essi naturalmente sarebbero stati applicati nei singoli casi solo quelli che
potevano essere stabiliti in base all’attuale grado di perfezione strutturale di
ciascuna comunità.7
Nonostante queste affermazioni iniziali, il primo schema sulla struttura
gerarchica delle Chiese orientali comunque non si riferisce per nulla alle comunità non aventi almeno una struttura metropolitana.8 Per eliminare questa lacuna
giuridica ormai palese, durante la discussione generale del piano, il titolo V dello
schema De Constitutione Hierarchica, che trattava le Chiese metropolitane,
venne diviso in due capitoli di cui il secondo riguardava le caratteristiche generali
della categoria “riassuntiva”, chiamata ceterae Ecclesiae sui iuris.9
Quanto alla divisione sistematica di questa parte del CCEO si tenga presente
che l’attuale titolo VI, il quale regola sia lo statuto metropolitano che quello di
“altre Chiese”, è l’unico che contenga la descrizione giuridica di più di una
variante di Chiesa sui iuris. Questo fatto, cioè che la normativa riguardante le
cosiddette altre Chiese sui iuris non è stata inserita sotto un titolo distinto da
quelle metropolitane, è significativo. Visto le loro configurazioni codiciali, le
comunità orientali metropolitane ed a fortiori quelle di grado strutturalmente
meno perfette rappresentano varianti “provvisorie” delle Chiese sui iuris. Infatti,
in forza della direttiva conciliare già riferita, vi è una presunzione giuridica per
l’uguaglianza di tutte le Chiese sui iuris (OE 3). Di conseguenza, il fatto che il
diritto comune non prevede lo stesso e identico spazio d’azione (cioè grado
d’autonomia) a tutte loro, non dev’esser interpretato come segno della
disuguaglianza, bensì come una conseguenza inerente al loro grado di perfezione
attuale. Infatti, è solo la mancanza di strutture che le esclude dallo statuto di
autonomia più perfetta della Chiesa arcivescovile maggiore. In breve, le diversità
negli spazi d’azione concesse dal CCEO attraverso i diversi statuti di «Ecclesia
sui iuris» non bisogna che siano interpretate come differenza in diritti, bensì
semplicemente come segni della diversità dei modi d’applicazione dei diritti in
fondo simili (ius – usus iuris). Quando poi la perfezione strutturale di una Chiesa
7 Nuntia 26 (1988) 110. Come proposta, la questione dell’attribuire il titolo arcivescovile
si è sollevata anche più tardi: cf. Nuntia 22 (1986) 123.
8 Cf. Schema canonum de constitutione hierarchica Ecclesiarum Orientalium, in Nuntia
19 (1984).
9 Nuntia 22 (1986) 11–12; 122–124. A prescindere da alcune modifiche di poca importanza (vedi Nuntia 27 1988 41 28 1989 46), il diritto vigente è praticamente identico al testo
iniziale, inserito in occasione della divisione sopra menzionata del titolo.
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
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– i cui fattori sono molto vari – arriverà ad un livello che potrà formare un
fondamento stabile per poter funzionare anche secondo uno statuto che garantisce una maggiore competenza di autogoverno, allora, proprio a motivo della
detta dichiarazione conciliare sulla parità giuridica, a quella Chiesa sembrerà
occorrente anche il riconoscimento supremo della situazione che di fatto si è
formata (cf. CCEO c. 27 b). Questo fatto non è richiesto solamente dal principio
di sussidiarietà indicato come aspetto fondamentale della codificazione,10 ma
anche da OE 3 stesso.
2. La fisionomia interna della figura canonica
Il secondo capitolo del titolo VI del Codex, dal punto di vista del contenuto,
può essere diviso in due parti ulteriori. La prima (CCEO cc. 174–175 a) ci
presenta una descrizione approssimativa sulle “altre Chiese sui iuris”, mentre la
seconda (cc. 175 b–176) precisa il soggetto ed il modo d’agire dell’autorità
superiore di governo, esercitato sulle unità ecclesiali in questione.
L’istituto giuridico che si trova qui in confronto con i primi tre tipi di Ecclesia
sui iuris non forma una categoria uniforme, come risulta chiaro anche dal
carattere riassuntivo della sua denominazione. La normativa comune, la quale a
questo punto evidentemente non è piú che una “legge cornice” che definisce solo
le condizioni minime della figura canonica, viene formulata intenzionalmente
in maniera negativa, perché sotto questa figura (almeno potenzialmente) possano
essere classificate tutte le comunità cattoliche orientali.11
Oltre alle condizioni generali dello stato sui iuris, fissate dal CCEO c. 27, nel
loro statuto codiciale vengono elencate in tutto tre caratteristiche comuni a tutte
queste comunità:
1) tutte le “altre Chiese sui iuris” sono sottomesse alla presidenza di un unico
prelato che agisce come gerarca-capo;
2) il gerarca-capo esercita in queste Chiese sui iuris uno specifico potere
superiore, delimitato dalla norma canonica;
3) queste comunità sono sottoposte direttamente alla Sede Apostolica.
2.1 L’ufficio del gerarca-capo e la qualificazione della sua potestà di governo
1. L’ufficio. Come risulta dal CCEO c. 174, anche alla testa di queste Chiese
dev’esserci un solo gerarca, come avviene per tutte le altre. Benché a proposito
della determinazione del concetto giuridico “gerarca”, lo ius orientale neanche
ora fa esplicito riferimento al carattere ordinario del suo potere, come ad una
3 (1976) 6.
c. 174 – Ecclesia sui iuris, quae neque est patriarchalis nec archiepiscopalis
maior nec metropolitana, concreditur Hierarchae, qui ei praeest ad normam iuris communis
et iuris particularis a Romano Pontifice statuti. Cf. Nuntia 22 (1986) 12.
10 Nuntia
11 CCEO
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PÉTER SZABÓ
condizione indispensabilmente occorrente di questo stato,12 tuttavia l’obiettività
di questo fatto viene testimoniata sia dalla letteratura canonistica che dall’usanza
del linguaggio giuridico. Infatti, il concetto viene considerato come il riscontro
esatto del latino ordinarius.13 Di conseguenza, anche i capi-gerarchi devono
avere un ufficio, in quanto la potestà ordinaria per definitionem è solo quella
annessa dal diritto stesso ad un ufficio (CCEO c. 981 § 1).
Durante il corso della codificazione, in riferimento ai prelati che sono a capo
delle “altre Chiese sui iuris”, oltre ai Vescovi eparchiali, sono stati menzionati
solamente gli Esarchi. Il fatto però che attualmente vi sono alcune comunità
orientali cattoliche che non hanno un gerarca proprio che sia almeno del rango
di Esarca, a prima vista spingerebbe a fare altre ricerche, riflettendo sui limiti
possibili del contenuto del concetto hierarcha, per stabilire quali altri prelati
potrebbero conformarsi all’esigenza del c. CCEO 174.14
Tuttavia, a nostro parere, per stabilire i limiti minimi giuridici della flessibilità
del concetto appena menzionato del gerarca-capo, l’attenzione non pun limitarsi
al solo c. 174 e neppure al solo Codex. Se per l’affermazione dello stato sui iuris
bastasse la presenza di un qualsiasi gerarca/ordinario, allora anche la configurazione odierna della communità bizantino-cattolica dei bielorussi, carente di
una Chiesa particolare propria, sarebbe perfettamente in accordo con la figura
codiciale.15 Noi siamo invece del parere che non si possa avere un concetto
corretto della cetera Ecclesia sui iuris separandolo dalle linee fondamentali
12 Cf. CCEO c. 984 § 1 rapportato al CIC c. 134 § 1.
13 A. SZENTIRMAI, The Legal Language of the New Code of Canon Law of the Oriental
Churches, in The Jurist 22 (1961) 53 G. NEDUNGATT, Glossario dei termini principali usati
nel CCEO, in Enchiridion Vaticanum 12, 909. Nonostante che, a riguardo della stesura di cui
si tratta, a questo punto neanche il c. 306 del m.p. Postquam Apostolicis Litteris parlasse
direttamente del bisogno della giurisdizione ordinaria (cioè del fatto che lo stato di hierarcha
dovrebbe necessariamente collegarsi ad un dato ufficio), tuttavia solo questi tali funzionari
ecclesiali vennero considerati come gerarchi: cf. C. PUJOL, Hierarcha, in Dictionarium morale
et canonicum, P. PALLAZZINI (ed.), Roma 1965, vol. II, 535–542.
14 Cf. SZABÓ, A bizánci (nt. 4).
15 Per dati storici di questa comunità vedasi: Oriente cattolico. Cenni storici e statistiche,
Città del Vaticano 31963, 185, 187. Poiché la comunità bielorussa attualmente non ha neppure
una Chiesa particolare, sembra che – in conseguenza dell’automatismo del CCEO c. 916 § 5
– la gerarchia locale di questi fedeli orientali sia quella latina, cioè il metropolita di Minsk e
i suoi suffraganei. Infatti, gli elenchi ufficiali della Sede Apostolica sulle Chiese orientali
cattoliche indicano di quali Chiese particolari esse consistono. Guardando bene, l’unica
Chiesa dove non vi è nessuna indicazione di tali strutture è quella bielorussa (Annuario
Pontificio 2000, 1226). In verità essa aveva un Exarca (cf. Oriente cattolico, op. cit.; P.
PALLAZZINI, Ritus byzantinus, 10, “Belorussi”, in Dictionarum morale [nt. 13], vol. IV,
[1968] 141); tuttavia la sua figura non è mai stata collegata ad una Chiesa particolare
(esarcato). Come risulta anche dall’indicazione attuale dell’Annuario appena riferita, si
trattava quindi di un titolo onorifico e non di un ufficio collegato ad una circoscrizione
ecclesiastica.
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
99
ricavabili da OE 3.16 Come vedremo anche più avanti, tutto ciò comporta
l’immancabilità di un ufficio di potestà generale, indipendente da qualsiasi altra
Chiesa sui iuris, che non si dà a meno che tramite una propria Chiesa particolare
(eparchia o per lo meno esarcato). La varietà degli uffici possibili è più larga di
quella prevista nei Codici.17 Tuttavia nel nostro caso l’erezione degli ulteriori
tipi andrebbe contro il principio dell’economia giuridica. Infatti, non sarebbe
ragionevole l’applicazione di un ufficio (e tanto meno di una semplice denominazione) extracodiciale, in quanto esso praticamente non potrebbe essere altro
che una sottospecie della figura esarchiale.18
Osservando bene la diversità tra i pareri sull’affermabilità o meno dell’attuale
stato di Chiesa sui iuris di tutte quante le comunità orientali, come tante volte
nel diritto, veniamo ricondotti in una parte non secondaria alle comprensioni
diverse dello stesso concetto. Infatti, quando esso viene inteso in modo statico,
cioè soprattutto come la questione dell’attribuire un titolo per dichiararne
l’uguaglianza, allora non si hanno difficoltà ad affermare lo stato di Ecclesia sui
iuris di tutte quante le comunità cattoliche orientali, senza che si debba prestare
attenzione alle loro configurazioni. Se invece, in una prospettiva dinamica,
vogliamo far entrare sotto quest’idea una perfetta indipendenza giuridica dalle
altre figure simili, e la capacità attuale di un certo livello di autogoverno
(caratteristiche che per noi sembrano costituire proprio l’essenza dello stato sui
iuris!), allora la presenza almeno di un Esarca proprio, a nostro parere, è
assolutamente necessaria. Tutto ciò rileva l’opportunità di un’ulteriore
distinzione tra le Chiese per le quali la configurazione attuale rende possibile che
rientrino nella categoria delle “altre Chiese sui iuris” e tra le altre comunità
cattoliche che, a causa delle loro configurazioni carenti, per ora optano solo per
quello stato.
2. Natura della potestà del gerarca-capo. Il potere esercitato dal gerarcacapo, stranamente questa volta non viene dichiarato di carattere proprio. Tuttavia
non c’è nessuna motivazione per cui, differentemente dalle altre Chiese sui iuris,
in questo caso dobbiamo considerarlo diverso. Come è noto, il potere patriarcale
e quello metropolitano sui iuris viene espressamente qualificato come potestas
propria (cf. CCEO cc. 78 § 1 e 157 § 1).19 Abbiamo rilevato che la presunzione
16 Cf. la nt. 44 di questo studio.
17 Infatti, oltre i tipi espressamente previsti dalle leggi, se ne possono fondare anche altri,
anche in via amministrativa: ERDÕ, Egyházjog (nt. 3), 124.
18 Infatti, nel regime attuale la figura dell’exarchatus ha una flessibilità enorme, capace di
contenere quasi tutte le varianti delle circoscrizioni ecclesiastiche previste dal diritto latino:
cf. CCEO cc. 311 § 1 e 312.
19 Evidentemente il termine qui usato non deve esser inteso nel senso classico, e cioè come
se questa qualificazione implicherebbe una stabilità di natura strettamente teologica (ius
divinum), ma solo in quello giuridico. La qualificazione «propria» questa volta si riferisce al
solo fatto che si tratta di una forma di potere legato ad un ufficio ed esercitato non da un
100
PÉTER SZABÓ
giuridica per l’assoluta parità possibile tra le Chiese sui iuris suppone che le
diversità normative tra i loro statuti vengano spiegate con la limitatezza strutturale, e cioè con l’incapacità di funzionare in base a regole identiche a quelle delle
strutture costituzionali più sviluppate. Questo (unico) motivo di differenza però,
palesemente non regge sotto l’aspetto della qualifica in questione. Certo, l’esarcato apostolico sotto questo aspetto costituisce un’eccezione, in quanto il suo
prelato esercita la sua potestà a nome del Romano Pontefice. Tuttavia, detta
vicarietà, solo e propio in questo caso, è ammissibile, in quanto, la partecipazione
alla potestà del Pontefice non implica soggezione ad una Chiesa “estranea”. Tutto
sommato, non sembra ragionevole perché la potestà superiore del gerarca-capo
debba venire qualificata come potestas delegata.20
2.2 Rettificazione delle configurazioni anomale e determinazione del gerarca-capo
Per sottolineare la molteplicità strutturale delle comunità classificabili nella
categoria delle “altre Chiese sui iuris”,21 basta riferirsi al fatto che attualmente
una Chiesa sola, l’esarcato bulgaro di tradizione costantinopolitana, è l’unica
che massimamente è conforme alla figura definita dai cc. 174–176 del CCEO.
Proprio a causa di questa pluriformità delle configurazioni atipiche, in questo
caso è assai limitata la possibilità delle norme comuni, cioè delle dettagliate
prescrizioni codiciali, generalmente applicabili. Mentre nel caso delle Chiese
strutturalmente più perfette, sia la relazione tra le Chiese particolari sia il modo
dell’esercizio del potere superiore di governo, svolto nel loro ambito, fondamentalmente vengono regolati dalla legge comune in forma di regole uniformi che
fanno riferimento alle istituzioni sinodali; per contro, nei riguardi di quest’ultime
comunità – benché in modi differenti in ogni Chiesa – sarà dominante il diritto
particolare rilasciato caso per caso dalla suprema autorità. Lo scopo di questa
legislazione sarà proprio quello di eliminare le tensioni tra le formazioni giuridiche di fatto e la configurazione prospettata dai cc. 174–175 del CCEO.22
rappresentante diretto del superiore gerarchico, bensì a nome proprio. Per la distinzione di
questo tipo nell’interpretazione del termine potestas propria, vedasi p.e.: L. CHIAPPETTA, Il
Codice di diritto canonico. Commento giuridico pastorale, Napoli 1988, vol. I, 178–179. Ciò
spiega perché, nonostante l’aspetto «proprio» del potere esercitato dalle superiori autorità, dal
punto di vista teologico esso è stato qualificato «partecipante» dell’autorità suprema della
Chiesa: IOANNES PAULUS II, const. ap. Sacri canones, 18. X. 1990, in AAS 82 (1990) 1037.
20 Sotto questo aspetto sembra essere meno preciso quel parere secondo il quale il potere
del gerarca in questione sia basato su una delega pontificia: J. FARIS, The Eastern Catholic
Churches: Constitution and Governance according to the Code of Canons of the Eastern
Churches, New York 1992, 398.
21 Cf. BROGI, Prospettive pratiche (nt. 2), 739–751.
22 Giova notare che la proposta originale eseguita sul CCEO c. 174 non parlava ancora di
uno ius particulare papale, ma di un diritto particolare solamente approvato dalla Sede
Apostolica: Nuntia 22 (1986) 123. La formula attuale sembra venir giustificata da un duplice
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
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Benché sia chiaro che possono ottenere lo stato di Ecclesia sui iuris anche
comunità il cui grado di perfezione gerarchica magari è per nulla sviluppato, la
presenza di un gerarca proprio (perlomeno Esarca) sembra essere conditio sine
qua non, se vogliamo intendere il termine nel senso dinamico sopra riferito.
Nonostante le anomalie – le quali si verificano quasi in ciascuna di questa
categoria di Chiese! – non vengano considerate da competenti autori come fattori
che escludano assolutamente la sostenibilità dello stato di Ecclesia sui iuris,23
queste incongruenze costituzionali sono comunque da risolvere. Sebbene la
risoluzione spetti esclusivamente alla suprema autorità ecclesiastica, l’iniziativa
(le proposte concrete) si aspetta da parte delle Chiese stesse interessate.24
Cinque delle comunità che possono venir raggruppate sotto la figura dei cc.
174–176 sono inserite in più di una circoscrizione ecclesiastica.25 Questa caratteristica comporta già in sé una certa divergenza dalla normativa codiciale la
quale prevede comunità sotto un unico gerarca (normalmente di rango non
sopraepiscopale). Nonostante quest’anomalia, il gerarca che fa da capo a queste
motivo: da una parte solo così il soggetto attivo di questa legislazione e chiaramente distinto
dall’autorità superiore interna, mettendo in rilievo il fondamento ultimo della delimitabilità
del potere vescovile (CD 8); dall’altra è una scelta favorevole anche dal punto di vista
didattico. Infatti favorisce la chiarezza della distinzione tra due tipi di diritto particolare: quello
papale, riguardante la forma giuridica essenziale di queste Chiese (fisionomia e ordine
d’azione del geraca-capo), e quello che è da rilasciare per la vita interna dal capo stesso in
qualità di autorità superiore.
23 M. BROGI, Le Chiese sui iuris nel Codex Canonum Ecclesiarium Orientalium, in Revista
Española de Derecho Canónico 48 (1991) 539. Un’affermazione nell’introduzione alla denua
recognitio dello Schema «De Costititione Hierarchica» sembra andare nella stessa direzione
affermando come segue: “… in tal modo tutte le Chiese orientali possono essere configurate
nell’una o nell’altra figura giuridica di Ecclesiae sui iuris, prescindendo da certe situazioni
contingenti che non possono essere risolte se non con uno ius particulare stabilito dalla
suprema autorità della Chiesa”: Nuntia 22 (1986) 12. Senza prender in considerazine altri
cenni, questa citazione smebrerebbe ritenere le situazioni atipiche in questione solo di carattere
secondaria. Da ciò si potrebbe dedurre che esse fossero da considerare solo come accidentiali
anomalie fisionomiche le quali, dopo l’entrata in vigore del CCEO, non escludono la
possibilità di considerare tutte le comunità cattoliche orientali classificabili in questa quarta
categoria come già effettivamente aventi lo stato Chiesa sui iuris. Tale affermazione però è
difficilmente riconoscibile come basata su un’analisi dettagliata delle relazioni giuridiche
concrete. Un’analisi del genere – come documentato proprio da certe osservazioni di questo
nostro studio – rende evidente che certe relazioni giuridiche oggi effettivamente esistenti sono
incompatibili con lo stato sui iuris. Se non fosse così non si capirrebbe perché al tempo della
promulgazione del CCEO anche autori rinomati della stessa codificazione orientale hanno
espresso qualche loro dubbio sul fatto se tutte le Chiese cattoliche orientali in vigore dello
stesso Codice e cioè indipendentemente qualsiasi ulteriore intervento Superiore per correggere la loro fisionomia, possono essere automaticamente considerate sui iuris o meno.
24 BROGI, Le Chiese (nt. 23), 539.
25 Sono la Chiesa bizantino-cattolica di Grecia, quella italo-albanese, russa, slovacca e
quella ungherese; cf. Annuario Pontificio 2000, 1226–1227.
102
PÉTER SZABÓ
Chiese, il più delle volte eppure sembra venir chiaramente determinato in base
all’origine storica e/o al pondus sociologicum.
Per quanto riguarda quei casi dove eventualmente possono sorgere dubbi
sulla persona alla quale spetta l’ufficio di capo-Chiesa, bisogna chiedersi: è
possibile anche una via indiretta per determinarlo tramite una iniziativa locale?
È ipotizzabile una soluzione di tipo diverso da quella ordinaria di fare proposte
per rilasciare una legge papale a norma del c. 174? Diremmo di sì. Infatti, dato
che sarebbe un riconoscimento ufficiale seppure indiretto di un’attività di
governo alla quale non sono autorizzati, fuorché i capi di Chiese sui iuris, tramite
la concessione del consensus da parte della Sede Apostolica sia ad un unico atto
legislativo oppure amministrativo previsto dal CCEO c. 176, verrebbe determinato anche l’ufficio al cui titolare spetta di rilasciare gli atti di governo superiore,
e cioè presiedere la Chiesa interessata.
Nel rilasciare un atto di tipo conforme al diritto particolare o ad un atto
amministrativo superiore Ecclesiae sui iuris, una tale risposta affermativa da
parte del dicastero competente della Sede Apostolica, a nostro parere, non
sarebbe immotivato. Il Codex non può ritenersi come opera compiuta, finché
non verranno emanate le norme spettanti alle autorità superiori delle Chiese sui
iuris. È questa la ragione per cui papa Giovanni Paolo II ha dichiarato più di una
volta l’urgenza della formazione dello ius particulare Ecclesiae sui iuris.26
Proprio per questo sarebbe vantaggioso se la rettificazione ormai prolungata
delle forme costituzionali atipiche in via legislativa non si dovesse ritenere come
condizione assolutamente indispensabile per l’attività prescritta dal c. 176.
Secondo questa ipotesi, quindi, la correlazione gerarchica potrebbe venir definita
perfino indirettamente, ancor prima che fosse una sistemazione costituzionale,
o addirittura anche senza che ci fosse quest’ultimo provvedimento. Per il fatto
che gli atti governativi di un’autorità superiore devono essere esercitati da un
unico ed identico prelato, l’eventuale aspirazione di questo tipo da parte degli
altri gerarchi verrebbe automaticamente eliminata, subito quando uno di loro
otterebbe il consesnsus della Congregazione Orientale sia ad un singolo atto
governativo di autorità superiore previsto dal can. 176.27
Giova ancora notare che, se vi fossero dubbi sullo stato sui iuris attuale di
una comunità, tramite la concessione del consenso menzionato, si avrebbe un
atto che evidentemente equivarrebbe al riconoscimento tacito, previsto dal c. 27.
Quindi, le comunità che si considerano Chiesa sui iuris hanno mezzi diretti per
assicurarsi ciò. Quando le anomalie costituzionali di una Chiesa orientale sono
facilmente eliminabili (ad esempio tramite un semplice atto dichiarativo da partre
26 Cf. Sacri canones (nt. 19), 1038.
27 Se più tardi si verificassero dei motivi che rendessero necessario di attribuire lo stato di
gerarca-capo ad un altro prelato della Chiesa interessata, si potrebbero sempre eseguire le
modifiche necessarie tramite una legge particolare a norma del c. 174.
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
103
della suprema autorità, come vedremo concretamente in seguito), pensiamo che
sarebbe perlomeno molto opportuno fare, parallelmente alla richiesta del consenso per gli atti superiori, anche le proposte necessarie per rettificare le
deviazioni strutturali. Come abbiamo detto, fare la proposta spetta alle stesse
comunità interessate.
2.3 Il soggetto attivo del potere superiore di governo e l’estensione della sua
competenza (c. 176)
1. Il soggetto attivo. Il diritto pontificio prospettato dal CCEO c. 174 mira a
definire la struttura giuridica essenziale di queste comunità, modificandone in
modo adatto la stessa costituzione gerarchica, dove ciò è necessario a causa di
eventuali anomalie fisionomiche. Il c. 176 invece si riferisce alla formazione del
diritto particolare sui iuris di grado meno elevato.28 Qui si tratta infatti di un
diritto interno, rilasciato dall’autorità superiore delle stesse Chiese, che riguarda
la loro attività, però non può per nulla intaccare la loro struttura costituzionale
di livello sui iuris. Infatti, la determinazione di quest’ultima è, in qualsiasi Chiesa
rituale, di competenza esclusiva dell’autorità suprema.
Riguardo alle attività previste dal c. 176 due fattori di fondamentale importanza
sono da tener conto: la stabilità particolare di queste norme o atti amministrativi di
livello sui iuris da una parte, e, per effetto del sottosviluppo strutturale dall’altra,
l’impossibilità di rilasciarli tramite un’attività sinodale. Questi fattori fanno sì che
l’intervento della Sede Apostolica in questo caso è essenziale (cf. «consensus») come
negli statuti delle Chiese sui iuris più elevate.29
Come è stato rilevato, bisogna distinguere il diritto particolare rilasciato dal
gerarca nell’ambito proprio della sua competenza (cioè a livello eparchiale), e il
diritto particolare più stabile a livello di Chiesa sui iuris, sempre da lui rilasciato.
Nel caso di quest’ultimo – al contrario del diritto eparchiale, competenza integra
dell’Eparca – ci vuole sempre il consenso della Sede Apostolica anche per le
eventuali modifiche, e per di più, le leggi particolari di quest’ultimo tipo, saranno
automaticamente obbligatorie relativamente anche alle altre Chiese particolari,
le quali verranno in futuro dismembrate da una Chiesa sui iuris attualmente
consistente in una sola eparchia o esarcato.30 Bisogna rilevare che il detto
28 CCEO c. 176 – Si ius commune aliquid remittit ad ius particulare aut ad superiorem
auctoritatem administrativam Ecclesiae sui iuris, auctoritas competens in his Ecclesiis est
Hierarcha, qui ei ad normam iuris praeest, de consensu Sedis Apostolicae, nisi aliud expresse
statuitur.
29 Per le difficoltà nel determinare il preciso contenuto giuridico del ruolo della Sede
Apostolica nell’attività legislativa del “Consiglio dei Gerarchi” vedasi: P. S ZABÓ, Az Apostoli
Szentszék közremûködésének értelmezése a hierarchák tanácsának felsõbb kormányzati
hatalma vonatkozásában (CCEO 167. kán. 2. §), in Athanasiana 4 (1997) 113–123.
30 Nuntia 22 (1986) 123. Così le leggi sui iuris almeno virtualmente, anche in questo caso
riguardano l’integrità del potere del Vescovo eparchiale, perciò dovrebbero costruirsi confor-
104
PÉTER SZABÓ
consenso, sebbene sia elemento essenziale che tocca la validità degli atti in
questione (CCEO c. 934 § 2 1°), non cambia il soggetto attivo dell’atto in
questione. Esso rimane il presidente prelato, nella sua competenza sempre
ordinaria ed a nome proprio (ovvero vicaria, nel caso dell’Esarca apostolico).31
L’organo competente che accorda il consensus è la Congregazione per le
Chiese Orientali, la cui competenza, tra l’altro, si estende anche sugli affari che
sono da deferire alla Sede Apostolica da parte delle Chiese orientali.32 Uno
schema di diritto particolare sui iuris, per ottenere l’approvazione, dev’essere
corretto sia dal punto di vista del contenuto che da quello formale. Per quanto
riguarda il giudizio del contenuto, il cui obiettivo è tra l’altro assicurare l’accordo
dei progetti di norme con la traditio propria della Chiesa in questione,33 esso è
di competenza della Congregazione suddetta. Prima che sia concesso il consenso
però bisogna che il piano di legge sia revisionato anche dal punto di vista formale;
perciò va mandato al Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. Qui
viene controllato l’accordo della data norma legale con il diritto comune (cf.
CCEO c. 985 § 2), e anche l’esatta elaborazione del piano dal punto di vista
tecnico-giuridico.34
memente alle regole della sinodalità (la cui legittimità in ultima analisi è garantita dalla
suprema autorità). Dato che in conseguenza del sottosviluppo strutturale è escluso che sia
realizzabile uno svolgimento del genere, occorre in questo caso la collaborazione più intensiva
della Sede Apostolica: cf. M. BROGI, Strutture delle Chiese orientali sui iuris secondo il
C.C.E.O., in Apollinaris 65 (1992) 310.
31 Il consensus rappresenta un concorso sostanziale dell’autorità superiore; tuttavia il
Codice non dà nessun motivo per considerarlo come atto che modifichi la natura degli atti
emanati. Ecco, qui si vede l’importanza della netta distinzione tra i soggetti attivi dei cc.
174–176. Al contrario delle funzioni riferite nel CCEO c. 175, la competenza superiore del
capo-gerarca non viene qualificata come compppetenza di carattere delegato, e perciò neppure
noi siamo autorizzati a farlo (e tanto meno a identificare il soggetto attivo dei cc. 174 e 176,
ritenendo che pure l’attività nel campo di quest’ultimo canone fosse indicata come pertinenza
diretta del Romano Pontefice). Il carattere stabile, a nostro parere, va inteso strettamente in
connessione con la già riferita impossibilità di agire in via sinodale, e cioè che come per
l’emanazione degli anzidetti atti così pure per la loro eventuale modificazione è indispensabile
l’intervento (quasi “suppletivo”) della Sede Apsotolica. Tuttavia gli atti emanati in base al c.
176 non sono per loro natura propria più stabili del diritto particolare delle Chiese sui iuris
di altro grado. (M. Brogi sembra invece ritenere che anche in questo caso si trattasse di leggi
di natura pontificia; cf. “… quando il diritto comune rinvia allo «ius particulare» egli [vale a
dire, il gerarca riferitio nel c. 176] deve applicare il diritto pontificio…”, in BROGI, Strutture
[nt. 30], 310.)
32 IOANNES PAULUS II, const. ap. Pastor Bonus, 28. VI. 1988, in AAS 80 (1988) 841–912;
art. 58 § 1, 875.
33 Cf. OE 1 e 5; CCEO c. 40.
34 Su questo tipo di attività del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi vedasi ad esempio: J. HERRANZ, Il Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei testi
legislativi, in A. BONNET – C. GULLO (a cura di), La Curia Romana nella Cost. Ap. “Pastor
Bonus” (Studi giuridici 21), Città del Vaticano 1990, 476. Per la competenza ulteriormente
dichiarata del Consiglio in riferimento alle Chiese orientali si veda: SECRETARIA STATUS,
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
105
2. Competenza del gerarca-capo. Le competenze di governo della gerarcacapo come autorità superiore vengono descritte nel can. 176. Quindi, a meno che
non sia espressamente stabilito diversamente, la potestà superiore di questa
gerarca si estende su tutte le questioni che il diritto comune (e cioè soprattutto il
CCEO stesso) rimanda al diritto particolare o alla superiore autorità amministrativa della Chiesa sui iuris. Per la validità di qualsiasi atto di governo superiore
è necessaria il previo consenso della Sede Apostolica.35
Riassumendo, bisogna quindi chiaramente sottolineare che ognuno dei tre
canoni, i quali si trovano nel capitolo II del titolo VI, ha un diverso soggetto
attivo. Nel primo si tratta di legislazione pontificia, nel secondo si parla di un
gerarca delegato dalla Sede Apostolica che va evidentemente distinto dal prelato
che si trova a capo della Chiesa in questione,36 mentre nel c. 176 si tratta
dell’attività propria di governo del gerarca-capo.
3. Soggezione immediata alla Sede Apostolica
Secondo il CCEO c. 175, anche i gerarchi, che stanno a capo delle cosidette ceterae
Ecclesiae sui iuris, sono sottomessi ad un controllo di tipo metropolitano37 (pertinenza
Epistula..., in Communicationes 23 (1991) 14–15.
35 Nella luce del CCEO can. 178 sembra che il c. 176 intendi dare una delimitazione
tassativa della competenze superiori in questione. (A questo punto si potrebbe notare che il
CCEO lascia a desiderare nella tecnica giuridica della delimitazione di competenze delle
autorità sui iuris. Per un’analisi di tale problematica riguardo al Consiglio dei Gerarchi della
Chiesa metropolitana sui iuris vedasi il nostro studio: La questione della competenza legislativa del Consiglio dei gerarchi [Consilium Hierarcharum]. Annotazioni all’interpretazione
dei cc. CCEO 167 § 1, 169 e 157 § 1, in Apollinaris 69 [1996] 485–515.)
36 Giova notare che la mancanza degli articoli nella lingua latina grammaticalmente
renderebbe forse possibile una duplice interpretazione del c. 175. (Per il testo originale del
canone vedasi la nota seguente.) Difatti, la prima edizione inglese traduce l’espressione
Hierarcha del c. 175 con un articolo determinativo, e per conseguenza – almeno considerandolo nel contesto del c. 174 – dà l’impresssione che il gerarca con facoltà metropolitane sia
lo stesso capo-presidente che viene menzionato nel canone precedente, e cioè, i soggetti attivi
dei cc. 174 e 175 siano identici: “These Churches immediately depend on the Apostolic See,
however the hierarch exercises the rights and obbligations mentioned in can. 159, n. 3–8, as
a delegate of the Apostolic See”, in Code of Canons of the Eastern Churches. Latin-English
Edition. Translation Prepared under the auspices of the Canon Law Society of America,
Washington D.C. 1992, 83 (il corsivo è nostro). Forse è in base a questa traduzione imprecisa
che autori di lingua inglese affermano espressamente la detta identificazione; vedasi ad
esempio: A. VALIYAVILAYIL, The Notion of sui iuris Church, in The Code of Canons of the
Eastern, Essays in honour of Joseph Cardinal Parecattil, J. C HIRAMEL – K. B HARANIKULANGRA (ed.), Alwaye 1992, 86 FARIS, The Eastern (nt. 20), 397. Tuttavia la logica interna (lo
scopo) del c. 175 esclude assolutamente la detta interpretazione identificativa. Le funzioni
metropolitane sono di carattere vigilativo e suppletivo; per conseguenza ex natura rei vanno
esercitate da un soggetto diverso dal “controllato”.
37 Can. 175 – Hae Ecclesiae immediatamente a Sede Apostolica dependent; iura et
106
PÉTER SZABÓ
che più delle volte viene esercitata da prelati latini). Questa configurazione però
non dev’essere confusa con l’ammissibilità teorica dell’incorporazione completa
delle “altre Chiese sui iuris” in metropolie “estranee”, che si dà nel caso della
soggezione suffraganea ad una provincia di un’altra Chiesa sui iuris.
Nella luce di questa distinzione basiliare giustificata da molteplici argomenti
di cui parleremo ancora più avanti, suscita qualche perplessità il fatto che due
Chiese cattoliche orientali (nella letteratura ormai ritenute senz’altro sui iuris38),
nelle pubblicazioni ufficiali della Sede Apostolica sono indicate come eparchie
suffraganee, facenti quindi parte ordinaria di province latine.39
Come risulta dalla formulazione del c. 175 («Hae Ecclesiae immediate a Sede
Apostolica dependent»), la soggezione diretta dev’essere una caratteristica immancabile anche dei capi di queste Chiese sui iuris. La relazione immediata qui
riferita, propria quindi di tutti i capi di Chiesa sui iuris, indipendentemente dal
grado della comunità a cui presiedono, a nostro parere, esclude ogni possibilità
che a questo punto venga inserita tra la suprema autorità e una Chiesa sui iuris
qualsiasi unità gerarchica “estranea” che esercita il suo potere di governo a titolo
proprio (vale a dire a nome di un’altra Chiesa sui iuris). Di conseguenza, nel
caso di una Chiesa particolare che fosse parte ordinaria di una metropolia di
un’altra Chiesa sui iuris, avremmo un’anomalia che non semplicemente
devierebbe dalla figura giuridica prospettata dal CCEO, ma, dal nostro punto di
vista, sarebbe diametralmente opposta ad essa. Infatti, come risulta evidente
dalla ferma tradizione dell’uso del linguaggio giuridico, lo stato sui iuris e quello
suffraganeo si escludono reciprocamente!40
È vero che nel passato l’affermabilità dello stato di ritus sui iuris di alcune
comunità orientali non veniva impedita, tra l’altro, neanche dal fatto che erano
sottomesse a Metropoliti latini. Tuttavia, alla luce del Concilio Vaticano II
l’indipendenza gerarchica è un’indiscutibile conditio sine qua non
dell’uguaglianza di tutte le Ecclesiae particulares, cioè sui iuris. Prendendo in
considerazione che, in confronto del ritus sui iuris41, lo stato di Ecclesia sui iuris
obligationes vero, de quibus in can. 159, nn. 3–8, Hierarcha a Sede Apostolica delegatus
exercet.
38 Cf.: la nota 3 di questo lavoro. Per le riserve precedenti, espresse nei riguardi dello stato
Ecclesia sui iuris dell’eparchia di Križevci (le quali però non partono dallo stato suffraganeo),
vedasi: ŽUŽEK, Presentazione (nt. 3), 600–602.
39 Cf. nt. 48.
40 “Dioeceses varies sunt... suffreganeae vel sui iuris, prout pertinet ad aliquem provinciam
ecclesiasticam vel directe dependent a Sede Apostolica”: P. TOCANEL, Dioecesis, in Dictionarium morale (nt. 13), vol. II, 97. Per il confronto dello stato suffraganeo e quello sui iuris,
vedasi ancora: P. C IPROTTI, Lezioni di diritto canonico. Parte generale, Padova 1943, 283 L.
CHIAPPETTA, Prontuario di diritto canonico e concordatario, Roma 1994, 1011.
41 Come risulta dall’analisi delle condizioni giuridiche dello stato ritus sui iuris, previste
nella legislazione precedente, praticamente neanche una di esse (!) formava una condizione
immancabile dal punto di vista dell’affermabilità dello stato in questione: cf. W. BASSETT,
The Determination of Rite (Analecta Gregoriana 157), Rome 1967, 244–249. Di conseguezza,
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
107
ha ormai dei limiti minimi espressamente stabiliti dal diritto comune (cc. 27 e
174–176), fra i cui elementi uno è proprio la diretta sottomissione alla Sede
Apostolica, a nostro parere detto stato giuridico oggi difficilmente può venir
accordato con quello suffraganeo.
L’intento di un nuovo regolamento – più conforme alle acquisizioni sulla
parità tra i vari riti cattolici – viene già testimoniato dall’OE. Oltre all’affermare
il loro carattere veramente ecclesiale,42 proprio la correlazione diretta con il
Sommo Pontrfice è una delle loro proprietà più peculiari ricavabili dai documenti
conciliari. Come abbiamo visto, l’uguaglianza fra le Ecclesiae particulares seu
ritus è stata affermata dal Concilio. Come conseguenza di questo fatto è stato
stabilito che queste Chiese particolari sono affidate allo stesso modo al governo
del Sommo Pontefice. Sebbene – come risulta da uno schema primitivo dell’OE
– questo brano conciliare voleva dichiarare soprattutto lo stato soprarituale del
Pontefice,43 vale a dire che egli non favorisce il proprio rito a scapito di altri;
tuttavia, proprio perché il motivo ne è il fondamento oggettivo dell’uguaglianza
tra le Chiese, non si vede immotivata la deduzione di un’altra conclusione
formulata dalla stessa dichiarazione conciliare. Tenendo presente questo, dal
brano conciliare consegue non solamente la sottomissione al Sommo Pontefice
e l’eliminazione definitiva della dottrina della praestantia ritus, ma anche che
la sopraritualità della sua persona richiede addirittura la correlazione simmetrica
con tutti i capi di Chiese orientali. Questa però giuridicamente si esprime solo
nella soggezione immediata alla Sede Apostolica di tutti i capi di Chiesa sui iuris.
Così non è per caso che – anticipando la palese formulazione del c. CCEO 175
– già nel corso dell’interpretazione del decreto conciliare, è stato sottolineato
come elemento fondamentale della distinguibilità delle Chiese particolari, il fatto
che esse gerarchicamente sono indipendenti dalle altre Chiese simili.44 Se si
vuole prestare un contenuto giuridico alla dichiarazione di OE (che era senz’altro
l’intenzione anche del Concilio), la parità bisogna che comprenda anche il detto
nel caso di una comunità di livello strutturalmente meno perfetto, fu piuttosto la convinzione
comune, formata pian piano dall’influsso comune degli elementi in sé, quindi del tutto
accidentali, che incise sull’affermabilità dello stato ritus sui iuris. Si trattava di una convizione
che – in mancanza delle chiare condizioni sine qua non – si era formata dopo esser arrivata
ad un “punto critico”, dal punto di vista giuridico più dettagliatamente non definibile. Cf. PAL
c. 303 § 1 1º (nt. 5), in confronto al CCEO c. 27.
42 Cf. P. S ZABÓ, Opinioni sulla natura delle Chiese «sui iuris» nella canonistica odierna”,
in Folia theologica 7 (1996) 235–247.
43 Cf. ŽUŽEK, Incidenza (nt. 3), 698–700.
44 C. PUJOL, Decretum concilii Vaticani II “Orientalium Ecclesiarium”. Textus et Commentarium, Romae 1970, 29–30; “Per riti secondari si intendono in senso canonico queste
stesse comunità ecclesiastiche (le Chiese orientali cattoliche) come sui iuris, cioè gerarchicamente indipendenti le une dalle altre, benché tutte soggette al Sommo Pontefice”: I. ŽUŽEK,
Che cosa è una Chiesa, un Rito orientale, in Seminarium, nova series, anno XV/2, apr–iun.
1975, 264–265.
108
PÉTER SZABÓ
rapporto diretto, che si esprime in un unico modo adeguato nella detta soggezione
diretta.
Prima di proseguire bisogna rilevare che la detta inconciliabilità non regge
qualora la sottomissione di un’eparchia si basasse su una situazione conforme
alla quella prevista dal c. 285 del CIC 1917. Come è noto, il Codice pio-benedettino obbligò i gerarchi delle diocesi esenti a scegliere semel pro semper un
Metropolita facente le veci del Metropolita ordinario a loro mancante. Infatti,
nonostante una tale aggregazione ad una provincia, la diocesi non venne incorporata in essa, bensì ha conservato il suo stato immediatamente soggetto alla
Sede Apostolica.45 Però la relazione delle due eparchie con i loro Metropoliti, o
perlomeno lo stato di Hajdúdorog stabilito dalla bolla di erezione,46 non si basava
mai sulla normativa del c. 285, bensì è stata una vera incorporazine suffraganea
a tutti gli effetti.47
Sebbene la problematica che le dette suffraganeità suscita nei riguardi dell’affermare dello stato di Chiesa sui iuris non si presenta neppure nella letteratura
canonistica, in base alle ragioni sopra elencate, essi sono evidentemente inconciliabili l’uno con l’altro.
II. PARTICOLARITÀ DELLA CONFIGURAZIONE ATTUALE DELLA CHIESA
GRECO-CATTOLICA D’UNGHERIA
1. Soggezione suffraganea
Come abbiamo già menzionato, due Chiese cattoliche orientali nel bolletino
statistico della Sede Apostolica vengono indicate come eparchie suffraganee,
facenti quindi parte ordinaria di province ecclesiastiche latine.48 Certo, si può
porre la domanda se la qualifica suffraganea dell’eparchia di Hajdúdorog e di
Križevci di rito bizantino non si tratti solo di un errore nel bollettino statistico
della Sede Apostolica. Infatti con il suo entrare in vigore pure il Codice orientale
45 CIPROTTI, Lezioni (nt. 40), 286.
46 Dioecesim praeterea Hajdu-Doroghensem,
ut praefertur erectam, iurisdictioni ac dependentiae sacrae Congregationis de Propaganda Fide pro negotiis Rituum Orientalium
subiicimus, simulque suffraganeam constituiumus archidioecesis Latini ritus Strigoniensis,
cuius archiepiscopi metropolitico iure episcopos pro tempore existentes Hajdu-Doroghenses
subdimus: PIUS X, const. ap. Christifideles graeci, 1. VII. 1912, in AAS 4 (1912) 433.
47 Lo stato suffraganeo consiste soprattutto nella soggezione ai determinati poteri ordinari
del Metropolita, sia della Chiesa particolare suffraganea sia del suo capo: cf. R. NAZ,
Suffragant, in Dictionnaire de droit canonique, tom. VII, Paris 1965, 1112. col.; CIPROTTI,
Lezioni (nt. 40), 285.
48 In riferimento alla sottomissione in qualità suffraganea dell’eparchia di Hajdúdorog alla
metropolia di Esztergom-Budapest, e quella di Križevci alla metropolia di Zagabria, vedasi:
Annuario Pontificio 2000, 297, 388.
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
109
abroga –anche senza menzionarlo espressamente– ogni legge comune o particolare che gli sia contraria (CCEO can. 6 1°) e le disposizioni papali riguardanti
l’erezione di Chiese particolari –trattandosi di costituzioni apostoliche– possono
giustamente essere considerate leggi particolari. In base a tale considerazione e
ricordando il fatto che la subordinazione suffraganea ad un Ordinario di rito
diverso indicata nelle costituzioni di erezione e lo stato sui iuris sono in netta
opposizione, possiamo giungere alla conclusione che nel caso delle due eparchie
bizantine sopramenzionate la precedente subordinazione suffraganea automaticamente cessò come risultato dell’effetto abrogativo dell’entrata in vigore del
CCEO.
Arriviamo alla stessa conclusione esaminando l’effetto della formula abrogativa generale ed assai efficace che si trova nella clausola della Sacri canones
costituzione promulgatoria del CCEO. È noto che le formule abrogatorie generali
abbiano vari tipi il cui effetto esatto può essere stabilito in base alla prassi della
curia romana (Stylus et praxis Curiae).49 La versione riscontrabile nella Sacri
canones50 è indubbiamente tra le più efficaci dei tali formule e abroga anche le
leggi speciali51 opposte anzi può essere adatta anche a revocare diritti acquisiti,
rescritti, privilegi.52
Tenendo quindi conto di questo passaggio della cost. ap. promulgativa del
CCEO, sembrerebbe che – almeno dal punto di vista della suffraganeità – non è
sullo stato di Chiesa sui iuris che sorgono dei dubbi, nel caso delle due Chiese
sopra riferite, bensì, al contrario, sulle notifiche dell’Annuario riguardo alla loro
attuale soggezione giuridica a province di cui facevano parte ordinaria prima
dell’entrata in vigore del Codex. Infatti la formulazione generalissima appena
citata della clausola abrogatoria della cost. ap. Sacri canones sembra annullare
qualsiasi configurazione ordinaria che non può essere accordata con le norme
del CCEO. In base a questo dobbiamo dire che la soggezione suffraganea cessò
di tutte qulle circoscrizioni ecclesiastiche le quali a partire dell’entrata in vigore
del CCEO sono passate al regime dei cc. 174–176.53
49 G. MICHIELS, Normae generales iuris canonici, I, Parisiis –Tornaci –Romae 21949, 660.
50 Non obstantibus quibuslibet rebus contrariis etiam peculiarissima mentio9ne dignis;
Sacri canones (nt. 19), 1044.
51 Cf. MICHIELS, Normae (nt. 49), 660.
52 A. VAN HOVE, De legibus ecclesiasticis (Commentarium Lovaniense) in CIC, I/2,
Mechliniae 1930, 352.
53 A questo punto giova notare che l’annullamento appena riferito non elimina necessariamente ogni relazione giuridica con i Metropoliti precedenti, bensì piuttosto la ridimensiona.
Infatti, non è il controllo metropolitano che è inconciliabile con lo stato di Chiesa sui iuris,
anzi lo è addirittura richesto. Di conseguenza, da una parte l’incorporazione alle province
latine viene abrogata, dall’altra la qualificazione della potestà metropolitana viene modificata
(da potestà ordinaria a potestà delegata). Comparando le relative competenze elencate nei due
Codici risulta che un eventuale modifica del genere di cui stiamo trattando, nella pratica non
produrrebbe la restrizione delle pertinenze metropolitane di Esztergom, ma proprio il con-
110
PÉTER SZABÓ
In base agli argomenti qui elencati e in mancanza di ulteriori informazioni
contrarie, dobbiamo supporre che per quanto riguarda l’eparchia di Križevci il
suo stato suffraganeo (conseguentemente al doppio effetto abrogativo del CCEO
sopra presentato) è cessato nel 1991. Ne deriva il fatto che il dato dell’Annuario
Pontificio che descrive quest’eparchia come suffraganea alla provincia latina di
Zagabria è da correggere come non corrispondente alla realtà.
Invece, almeno oggi, lo stesso non vale per l’eparchia di Hajdúdorog. In
occasione alla sua erezione canonica questa Chiesa particolare è stata dicihiarata
suffraganea della provincia latina di Esztergom.54 È vero che gli effetti abrogativi
sopra descritti erano validi anche riguardo a questa disposizione della cost.
Christifideles graeci. Questo vuol dire che solo in base a questi dati per quanto
riguarda lo stato giuridico dell’eparchia di Hajdúdorog dovremmo arrivare alla
stessa conclusione che nel caso di Križevci e cioe che i cenni dell’Annuario non
sono stati aggiornati e non rispecchiano il cambiameno di stato dovuto all’entrata
in vigore del CCEO. Esiste invece un documento di più recente datazione che
sembra escludere tale conclusione. Infatti la legge ponteficia che regola la
riorganizzazione delle Chiese particolari in Ungheria (rilasciata nel 1993),
dichiara di nuovo che l’eparchia di Hajdúdorog è suffraganea della provincia
ecclesiastica latina di Esztergom-Budapest.55 Supponendo che sia giusto il
parere, a nostro avviso sufficientemente motivato, sull’incompatibilità dello
stato suffraganeo e quello sui iuris, questa dichiarazione che è l’ultima presa di
posizione del Supremo legislatore al riguardo, esclude la soggezione diretta
dell’eparchia di Hajdúdorog alla Sede Apostolica. Per conseguenza la Chiesa
greco-cattolica d’Ungheria oggi difficilmente può essere considerata Ecclesia
sui iuris. La sua fisionomia giuridica contiene un’elemento che non può essere
considerato un semplice anomalia, perchè è diametralmente opposto ad un
elemento espressamente determinato dal CCEO come essenziale dello stato sui
iuris («subiectio immediata»).56
trario, in quanto esse ormai verebbero determinate in base al CCEO le estenderebbe leggermente. Infatti, in confronto della normativa latina, il Metropolita, delegato secondo il c. 175
CCEO, nel caso di negligenza, può supplire la visita canonica del gerarca sui iuris anche senza
previa autorizzazione della Sede Apostolica (c 436 § 1, 2° CIC / c. 159, 5° CCEO). È di sua
competenza designare le persone canonicamente elette e adatte alle prescrizioni rispettive se
il detto gerarca lo trascura; poi può confermare altri ufficiali oltre all’amministratore diocesano (c. 436 § 1, 3° CIC / c. 159, 7° CCEO).
54 Cf. nt. 46.
55 IOANNES PAULUS II, litt. ap. Hungarorum gens, 9. X. 1993, in AAS 85 (1993) 871:
Provincia Srigoniensis-Budapestinensis (vetere nomine Strigoniensis appellata) constituetur
sede metropolitana Strigoniensi-Budapestinensi, necnon suffraganeis dioecesibus Iaurinensi,
Alba-Regalensis, Haidudoroghensi (corsivo è nostro).
56 Osserviamo che l’altra Chiesa particolare della Chiesa ungherese, l’Exarcato apostolico
di Miskolc eretto nel 1925, è rimasto immediatamente soggetto alla Sede Apostolica anche
dopo la riordinazione del 1993. Eppure sarebbe molto discutibile di presentare questa
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
111
Un’altra difficoltà d’interpretazione e di pratica potrebbe sorgere nel caso
della celebrazione di un Concilio provinciale. È vero che questi istituti secondo
la legislazione latina vigente, formano solamente un elemento straordinario del
governo ecclesiastico, in quanto per essi la legge non ordina né periodicità né
competenze esclusive;57 tuttavia, a proposito delle loro eventuali riunioni, i
membri previsti dal CIC c. 443 sembra che debbano essere invitati indipendentemente dalla loro appartenenza ecclesio-rituale, inoltre i Vescovi con incarico
pastorale hanno voto deliberativo e devono parteciparvi.58
Orbene, questa possibilità non si accorda col principio conciliare dell’indipendenza mutua delle Ecclesiae particulares di cui abbiamo già detto sopra,
e forse va anche contro l’intenzione chiara della codificazione che, per seguire
il principio appena riferito di OE, ha fatto tutto per escludere le ingerenze
interrituali di carattere giurisdizionale.59 A seconda delle varie interpretazioni
sulla relazione precisata dai due Codici, sembrano ipotizzabili diverse opinioni
sull’obbligo o meno di un Vescovo orientale, suffraganeo di una provincia latina,
a parteciparvi. Comunque sembra che, in quanto vero suffraganeo (relazione
giuridica che si basa su un provvedimento singolare) ne avrebbe diritto con voto
deliberativo. Tutto ciò comporta una seria di ulteriori questioni riguardo sia
all’obbligatorietà delle eventuali norme conciliari sia all’indipendenza mutua
delle Chiese sui iuris. (Giova notare che la detta partecipazione potrebbe toccare
anche l’indipendenza della provincia interessata, parte della Chiesa «sui iuris»
latina, se fosse decisivo il voto del gerarca orientale).
Un problema analogo si presenta riguardo alle Conferenze Episcopali. Secondo lo statuto approvato della Conferenza Episcopale Ungherese, diversamente
circoscrizione ecclesiastica come il depositario dello stato sui iuris della Chiesa ungherese,
almeno per due ragoni. Da una parte lo esclude il suo irrilevante pondus sociologicum. (I
fedeli dell’Esarcato non superano il numero di 10 mila persone che fa meno di 4 %
dell’eparchia di Hajdúdorog). Dall’altro la Sede dell’Exarcato da più di cinquant’anni è
vacante e viene governata proprio dal vescovo eparchiale di Hajdúdorog. In qualità di
amministratore apostolico «ad nutum Sanctae Sedis» dell’exarcato egli è senz’altro immediatamente soggetto alla Sede Apostolica, però, come vescovo eparchiale è suffraganeo di una
provincia latina. (Per ulteriori informazioni vedasi ancora il nostro studio: 75 éves a Miskolci
Apostoli Exarchátus, in Athanasiana 10 [2000] 152–157.)
57 W. AYMANS, Synodale Strukturen im Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium”, in
Archiv für katholisches Kirchenrecht 160 (1991) 384–388.
58 CIC cc. 440 § 1; 443 § 1 1°; 444 § 1. Come è stato messo in rilievo, il tenore del CIC c.
1 in sé non costituisce un divieto di comprendere nell’ambito di significato di certe parole
delle sue norme anche persone e rapporti giuridici delle Chiese orientali, per le quali il Codice
latino in linea di massima non ha valore obbligatorio: P. ERDÕ, Questioni interrituali dei
sacramenti (battesimo e cresima), in Periodica de re canonica 84 (1995) 321–322.
59 Quest’intenzione è molto chiara, tra l’altro anche dall’iter del CCEO c. 322; cf. per es.
il nostro studio: Hierarchák egyházközi konventje (CCEO 322. kán.), in Studia Wesprimiensia
3 (in corso di stampa).
112
PÉTER SZABÓ
dalla figura prospettata nel diritto universale, sono membri ordinari dell’organo
anche i Vescovi di rito orientale.60 Tuttavia, la serie delle relazioni che sorgono
da questa configurazione – sebbene sollevi sia dei problemi teorici sia pratici,
soprattutto dal punto di vista della Chiesa latina – sembra che non tocchi la
questione dello stato sui iuris. Infatti, il diritto deliberativo dei gerarchi orientali,
previsto dallo statuto (in quanto quest’organo, a differenza dei Concili particolari, non può essere considerato come “riunione anche delle Chiese particolari”),
sembra che questa volta non comporti l’estensione della competenza dell’organo
sulle Chiese particolari orientali.61
Tutto sommato, i due elementi stabiliti dal c. 175 (soggezione immediata /
carattere delegato delle competenze metropolitane) sono, a nostro parere, del
tutto inseparabili. Se viene esercitata un’autorità di carattere non supremo su
una circoscrizione ecclesiastica, non si dà soggezione immediata, e per conseguenza nemmeno status sui iuris.
2. Relazioni con la Primazia d’Ungheria
Come ad una situazione atipica, dobbiamo riferirci al fatto che la Chiesa
ungherese di tradizione costantinopolitana, oltre allo stato suffraganeo rispetto
al Metropolita di Esztergom-Budapest, ne è sottomessa anche in quanto costui
è Primate d’Ungheria. Infatti i diritti primaziali si estendono verso tutti i cattolici
dimoranti entro i confini politici del paese.
Come è noto, alla sede di Esztergom, oltre all’incarico metropolitano, spettano anche altre competenze non poco significative. In base a questo fatto nella
Chiesa latina quella di Esztergom è una (se non addirittura l’unica) sede primaziale nel cui caso il titolo di Primate oltre alla prerogativa di onore, comporta
anche una considerevole potestas governativa la quale si estende anche su
Metropoliti.62 Tali diritti si basano in parte su consuetudini legittime in parte su
privilegi apostolici che risalgono ai secc. XIII-XV.63
60 Statuta Conferentiae Episcoporum Catholicorum Hungariae, art. 1.
61 Così P. ERDÕ, La participation des évêques orientaux à la conference épiscopal.
Observations au 1er § du can. 450, in Apollinaris 64 (1991) 306. Per una conclusione contraria
riguardo alla conseguenza dell’eventuale «ritualità» delle conferenze, sostenendo che i
Vescovi orientali, a meno che non si tratti di interesse esclusivo da parte della Chiesa latina,
saranno assoggettati alle decisioni giuridicamente vincolanti: G. FELICIANI, Le conferenze
episcopali nel Codice di diritto canonico del 1983, in Le nouveau Code de droit canonique.
Actes du Ve Congrês international de droit canonique, Ottawa 19–25 aout 1984, M. THÉRIAULT – J. THORN (dir.), Ottawa 1986, vol. I, 499.
62 “… jura Primatum… ad merum titulum absque jurisdictione et praerogativas honorificas
redacta erant… excipiendus vero erat Archiepiscopus Strigoniensis, qui et Primas et Legatus
Natus in Hungaria praeter titulum et honorem Primatis etiam vera quaedam jura jurisdictionis
primatialis retinuit; quod jus singulare non videtur esse sublatum”, in X. WERNZ – P. VIDAL,
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
113
Benché la clausola abrogativa prima citata della Sacri canones sia assai
categorica e in teoria potrebbe riguardare perfino i privilegi oltre alle leggi,64 i
diritti in questione del primate sulla Chiesa greco-cattolica ungherese sono
rimasti sicuramente intatti.
Infatti i canoni introduttivi del Codice dispongono espressamente sia del
vigore dei privilegi papali sia di quello delle consuetudini immemorabili. Da
queste norme si vede che come regola principale sia i privilegi apostolici che le
consuetudini immemorabili rimangono in vigore. Per abrogare i primi è necessaria la revoca espressa nei canoni del Codice, mentre per quanto riguarda le
consuetudini immemorabili – assai diversamente dalla norma latina parallela –
il CCEO espressamente non ne mette neanche in prospettiva l’abrogazione.
Rispetto alla già citata clausola abrogatoria, molto generale come abbiamo detto,
della cost. Sacri canones questi canoni sono norme speciali, consequentemente
rimangono in vigore. Da tutto ciò deriva che i diritti del Primate, siccome essi
riguardano tutti i cattolici che vivono entro i confini politici del Paese indipendentemente dal loro rito,65 sono rimasti intatti anche per quanto riguarda i fedeli
dell’eparchia bizantina di Hajdúdorog.
Tra questi diritti primaziali, attualmente abbastanza limitati, è sopratutto il
potere giudiziario che, dal nostro punto di vista, ha un’importanza pratica, in
quanto viene esercitato nell’ambito di un tribunale ordinario di terzo grado.
Prendendo in considerazione la qualifica di questa potestà (ordinaria ad instar
propriae66), la quale quindi è diversa ad ogni modo dalla qualificazione “delegata” prospettata dal CCEO c. 175, anche questa subordinazione difficilmente
sembra essere conciliabile – in base alle ragioni analoghe a quelle menzionate
sopra, sul potere metropolitano “estraneo” – con lo stato sui iuris della Chiesa
ungherese di rito bizantino.
Riassumendo quest’ultimo capitolo possiamo affermare che le prerogative
del Primate d’Ungheria, quantunque siano competenze modeste, trattandosi di
una giurisdizione ordinaria, segno quindi dell’ingerenza giurisdizionale di
un’altra Chiesa sui iuris dal punto di vista della Chiesa di Hajdúdorog, non sono
Jus canonicum, II, Romae 1928, 556; cf. CIC c. 438.
63 J. TÖRÖK, Magyarország prímásának jogai, Pest 1859; I. KÉSMÁRKY, Az esztergomi
érseknek mint Magyarország primásának jogai és kiváltságai, Budapest 1896; BERESZTÓCZY,
A hercegprímási fõszentszék, in Notter-Emlékkönyv, Budapest 1941; PAPP, Magyarország
prímásának joghatósága és a görögkatolikus egyház, Miskolc 1942, 3; A. SZENTIRMAI, The
Primat of Hungary, in The Jurist 21 (1961) 27–46; P. ERDÕ, Il potere giudiziario del primate
d’Ungheria, I. Rilievi storici, in Apollinaris 53 (1980) 272–292.
64 Cf. nt. 52.
65 GY. PAPP, Magyarország (nt. 63), Miskolc 1942, 3.
66 P. ERDÕ, P., Il potere giudiziario del primate d’Ungheria, II. Osservazioni canonistiche,
in Apollinaris 54 (1981) 214.
114
PÉTER SZABÓ
compatibili con la soggezione immediata richiesta dal can. 175 come elemento
essenziale dello stato sui iuris.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
1) Dobbiamo mettere in rilievo che certamente non è la presenza di un gerarca
“estraneo” (vale a dire di appartenenza ad un’altra comunitr cattolica) come tale
che è inconciliabile con lo stato sui iuris. Neppure l’esercizio del potere governativo da parte sua sopra la Chiesa interessata. Quello che è determinativo non
è l’appartenenza personale di un dato prelato, bensì il titolo in base al quale egli
esercita il suo potere. Di conseguenza “l’estraneità” di una data persona, anzi
pure di un ufficio, è riconciliabile con lo stato in questione, a condizione che il
titolare del potere non lo eserciti a nome proprio, bensì come delegato del
Romano Pontefice.
2) Le cautele dimostrate in questo lavoro riguardo all’affermare incondizionale dello stato di Ecclesia sui iuris non vogliono mirare per nulla a degradare
alcuna comunità di costituzione imperfetta. Ma, al contrario, secondo noi, solo
le riserve espresse nei loro confronti possono effettuare le ulteriori rettificazioni
costituzionali. Allora, paradossalmente, è proprio il riconoscimento giuridicamente incondizionato dello stato sui iuris che può risultare svantaggioso per
le comunità interessate, poiché svia l’attenzione dall’inevitabilità della rettificazione dei vizi costituzionali che in qualche caso le paralizzano addirittura.
Infatti, proprio il mettere in rilievo delle imperfezioni strutturali come limiti che
ancora impediscono il riconoscimento dello stato sui iuris può presentarsi come
la migliore garanzia e il catalizzatore del loro sviluppo istituzionale. In assenza
delle condizioni stabilite dal Codex, l’attribuzione dello stato sui iuris sembra
essere incerto, soprattutto perché senza di esse il significato del concetto irragionevolmente si allarga. In quanto lo stato viene attribuito anche in quei casi
dove mancano almeno le condizioni minimalissime, chiaramente si crea il rischio
del nominalismo giuridico. Secondo questa logica infatti, il riconoscimento in
ultima analisi non si basa su una struttura giuridica che garantisce una certa
capacità di governarsi autonomamente, bensì semplicemente sul “sentire di
essere costretto a dichiarare la parità” per evitare l’impressione che il sistema
del CCEO mantiene la disparità tra le Chiese. Orbene, sembra che non è il sistema
presente a determinare tale effetto, bensì piuttosto il ritardo dell’integrazione
costituzionale a norma del c. 174. All’uguaglianza delle Ecclesiae particulares
a livello teorico, poiché è stata proclamata da un Concilio ecumenico, nuove
dichiarazioni non possono aggiungere nulla in merito. Però tale affermazione
non ha avuto immediati effetti giuridici. L’ordinamento giuridico del dopo
Concilio si è adoperato perché la detta proclamazione venga tradotta in istituzioni
FIGURA CODICIALE E PARTICOLARITÀ LOCALI
115
giuridiche, elaborando sul livello codiciale un sistema sofisticato dei vari statuti
di Ecclesiae sui iuris. Ci sono però dei casi dove si verificano di rapporti giuridici
di particolare stabilità oppure di sostanziali insufficienze costituzionali che non
sono stati (e neppure si potevano) rettificate sul livello della produzione delle
norme comuni. Di conseguenza in tali casi l’obiettivo del Concilio non può venir
realizzato tramite sole dichiarazioni. Senza condizioni giuridicamente valutabili
(vale a dire, senza una minimale capacità d’iniziativa nell’attualizzare l’autogoverno), il riconoscimento verbale dello stato sui iuris non avrà più valore di
una pura dichiarazione nominalistica.67
Si noti inoltre che, almeno in un contesto di una visione più articolata della
natura dell’Ecclesia sui iuris, la seconda parte della denominazione (relatà
giuridica, definita in ultima analisi dalla flessibilità virtualmente illimitata del
pensiero del canonista) non deve ignorare la prima. Nella concezione orientale
l’ecclesialitas di una comunità sui iuris sembra avere un significato anche
teologico. L’espressione Ecclesia viene attribuita alle comunità sui iuris, perché
anch’esse rispecchiano la Chiesa di Cristo, in quanto contengono tutti i requisiti
indispensabili.68 Di conseguenza, in quanto la rappresentazione sacramentale di
Cristo e l’unità di governo sono elementi imprescindibili perché si possa parlare
di una comunità nel senso di Chiesa, anche la vera ecclesialità delle comunità
orientali richiede che esse siano radunate intorno ad un gerarca proprio,
preferibilmente segnato dal carattere episopale. Questa “emancipazione” della
dimensione teologica del fenomeno in questione (si tratta di nuovo non solo di
enti sui iuris, i quali, come fenomeni nettamente giuridici, a loro volta possono
essere molto vari, ma anche di Ecclesiae), è un aspetto che meriterebbe ulteriori
riflessioni.
3) La Chiesa greco-cattolica in Ungheria, avendo delle Chiese particolari
proprie ed un vescovo eparchiale, ha una struttura relativamente sviluppata che
la rende capace di emettere atti governativi di livello sui iuris. Tuttavia l’analisi
comparativa della composizione giuridica di questa Chiesa con la figura codiciale delle ceterae Ecclesiae sui iuris dimostra che la Chiesa ungherese tuttora
ha dei rapporti giurisdizionali con una parte della Chiesa latina che –partendo
dal significato dei concetti di Chiesa “sui iuris” contra “suffraganeo” ricavabile
dalla dottrina– non possono essere accordati con l’idea dell’Ecclesia prevista nel
OE 3 e codificata dai CCEO cc. 174–176.
67 In alcune delle Chiese orientali cattoliche saranno ragioni ecumeniche che sconsigliano
la pianificazione delle loro strutture. Ci sono però anche dei casi, come dimostra ad esempio
la situazione della Chiesa ungherese, dove non ci sono tale difficoltà ed inoltre la rettificazione
delle anomalie costituzionali potrebbero essere rimediate con degli interventi molto semplici.
68 SZABÓ, Opinioni (nt. 42); 235–247; I D., A «sajátjogú egyházak» ekkleziológiai értéke a
decr. «Orientalium Ecclesiarum» és a Keleti Kódex (CCEO) tükrében, in Studia Wesprimiensia 1 (1999) 2, 93–107.
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PÉTER SZABÓ
Mentre non è facile a determinare con precisione lo stato giuridico della
Chiesa ungherese durante il periodo di 1991–1993,69 il testo limpido del Hungarorum gens promulgato alla fine del 1993 non lascia alcun dubbio sulla
soggezine suffraganea (ri-effettuata?) di questa Chiesa orientale alla riorganizzata provincia ecclesiastica di Esztergom-Budapest.
La stessa conclusione proviene dall’analisi dei rapporti con la Primazia di
Esztergom. Malgrado il fatto che nella letteratura non si trovi un’affermazione
del genere che riguardo all’incompatibilità dello stato sui iuris e quello suffraganeo –un dato dovuto senz’altro al fatto che la figura primaziale è atipica ed
eccezionale, priva di proprietà ben definite sul livello dello ius universale–
almeno nel caso concreto di Esztergom la detta incompatibilità eppure si regge.
Infatti, dato che la potestà primaziale di questo Prelato è di simile natura a quella
metropolitana (potestas ordinaria, nel caso concreto annessa ad una Sede
episcopale latina), le ragioni che escludono lo stato suffraganeo di un capo-Chiesa sui iuris altrettanto escludono la sua soggezione ad una tale giurisdizione di
terzo grado.
È da notare però che questi problemi relativi allo stato sui iuris attuale della
Chiesa greco-cattolica d’Ungheria potrebbero essere facilmente risolti. La subordinazione alla potestà ordinaria di una Chiesa “estranea” (e cioè ad un’altra
Chiesa sui iuris): situazuine diametralmente opposta allo stato sui iuris, come
abbiamo visto sopra, potrebbe essere liquidata anche con una semplice dichiarazione rilasciata dalla Sede Apostolica. Una tale dichiarazine proclamerebbe che
la relazione tra l’arcidiocesi di Esztergom-Budapest e l’eparchia di Hajdúdorog
in seguito va intesa nel senso di una delegazione papale prevista dal CCEO c.
175, per quanto riguarda sia lo ius metropoliticum sia le prerogative primaziali.
69 Come dicevamo, l’effetto abrogatorio sia del CCEO c. 6 1° sia della clausola finale della
cost. Sacri canones sembrano provare la cessazione della soggezione sugffraganea stabilita
all’erezione dell’eparchia di Hajdúdorog. In questa ipotesi però ci troviamo di fronte alla
questione imbarazzante, come mai la cost. Hungarorum gens non prende in considerazione
della figura canonica stabilita dal CCEO c. 175?