A Colui
che per la forza che opera in noi
ha potere di fare molto di più
di quanto chiediamo
o immaginiamo,
a Lui la gloria nella Chiesa
e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni e per sempre.
Amen.
(Efesini 3,20)
a G.P.
Maksym Adam Kopiec
“L’evangelizzazione nel recente magistero dei papi –
Tra le sfide, il mandato e la carità”
© Proprietà letteraria riservata
Maksym Adam Kopiec
© Kion Editrice, Terni
Prima Edizione marzo 2016
ISBN: 978-88-97355-90-8
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Maksym Adam Kopiec ofm
L’evangelizzazione
nel recente magistero dei papi
Tra le sfide, il mandato e la carità
~~~~~~
Terni – Roma 2016
ABBREVIAZIONI
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Apostolicam actuositatem
Acta Apostolicae Sedis
autori vari
Ad gentes
Apostolos suos
Associazione Teologica Italiana
Centesimus annus
Conferenza Episcopale dell’America Latina
Codex Iuris Canonicis
confronta
citato
Catechesi tradendae
Commissione Teologica Internazionale
Caritas in veritate
Dialogo e annuncio
Deus caritas est
Dignitatis Humanae
Dialogo e missione
Dizionario di teologia fondamentale
Evangelii nuntiandi
Evangelii gaudium
Enchiridion Vaticanum
Evangelium vitae
Fides et ratio
Gaudium et spes
idem
Laborem exercens
Mulieris dignitatem
Novo Millennio ineunte
numero
numeri
nota della redazione
Redemptor hominis
Redemptoris Mater
Redemptoris missio
Regola non Bollata di san Francesco
Lumen gentium
s.
ss.
SRS
UR
VD
vol.
seguente
seguenti
Sollicitudo rei socialis
Unitatis redintegratio
Verbum Domini
volume
INTRODUZIONE
La divina missione alle nazioni del mondo, che il Signore Risorto,
accompagnandola con il Dono inconsumabile dello Spirito Suo e del Padre,
trasmette e prescrive agli Apostoli e alla Chiesa ad essi affidata, non solo
non è mai terminata, ma oggi come non mai si rivela ancor più necessaria e
inevitabile. Essa è l’espandersi e l’attuarsi tra le coordinate spazio–temporali
della divina salvezza, della stessa missione divina primordiale, eterna ed ontologica: quella che l’amore e la volontà salvifica universale del Padre dispone con l’invio del Figlio e tramite lo Spirito Santo. Il fine è manifestare e
donare il Mistero indicibile dell’Amore eterno con cui il Dio Trino ed Unico vive immanentemente nel suo essere intra-divino e con cui ama tutto ciò
che è altro da Lui, in modo particolare tutti gli uomini che, per lo stesso
amore, sono creati “ad immagine e somiglianza di Dio”. Da qui infatti la
loro capacità del divino, del colloquio con il Creatore, di ricevere la Vita
senza tramonto; oppure, usando le categorie dell’antropologia filosofica e
teologica, il desiderio umano di felicità. È il desiderio, soprattutto nei
nostri tempi, ridotto e compreso nel senso che l'uomo, così come egli si
esprime attraverso le forme di comunicazione mediatica (talk televisivi,
interviste o lettere a giornali o a settimanali, e così via), dimostra di avere
la convinzione che la felicità mondana o storica sia il fine della vita, in
ordine al quale tutto va rapportato. Si rivendica per così dire il diritto alla
felicità soggettiva, che si concentra sull'appagamento immediato, hic et
nunc, dei bisogni e dei desideri individuali, e in ordine a ciò le passioni
vengono assunte come positive. Le passioni, le emozioni, gli affetti, i legami sono tutte modalità attraverso le quali si esprime il desiderio di felicità, proiettate sulla soddisfazione del singolo, concentrato sul presente e
sui desideri del proprio io. Di fronte a questa emergenza antropologica, la
filosofia e la cultura di oggi vanno alla ricerca della felicità che ricorre infatti a percorsi di introspezione psicologica, genetica, nanotecnologica, robotica, ecc., orientati all'incremento dell’indagine razionale–empirica e della
7
INTRODUZIONE
promozione del trans-umanesimo1, ma che comunque restano sempre disposti sul piano dell'immanenza soggettiva. Non è nel nostro intento iniziare o riprendere una “apologetica a basso prezzo”, che a priori nega o per lo
meno ritiene inferiore una ricerca umanistica di matrice laica in quanto dimostra di essere aperta al mondo dei valori universali, del senso dell’esistenza, della bellezza dell’essere o della gioia di vivere senza però dover ricorrere ineluttabilmente alla fede (Z. Bauman, L. Kołakowski, J. Kristeva).
Proprio l’identità e la dignità dell’essere umano stanno al centro dell’odierna
discussione sulle varie forme di umanesimo in opposizione alle visioni riduttive o perfino disumane. É quindi necessario dimostrare la stima e il rispetto verso quegli umanisti che, senza richiamarsi alla trascendenza, riconoscono il valore supremo della vita umana e la possibilità della sua piena
realizzazione nei limiti dell’immanenza. Anzi tali posizioni filosofico–
antropologiche sono da considerare come maggiore stimolo e sfida per i cristiani a divenire capaci di rendere ragione della loro speranza e della loro
concezione della felicità in modo ancora più persuasivo, convincente e soprattutto attraente.
Infatti il pensiero e il discorso specificamente cristiano percorrono
una linea diversa cioè quella verticale che muove alla ricerca di un itinerario
verso la felicità in un ordine trascendente, ossia non legato alla soddisfazione primaria delle attese del soggetto sul piano dell'esistenza storica concreta,
bensì volto alla ricerca di qualcosa di beatificante in modo permanente,
completo e non più minacciato dall'erosione, dalla precarietà, dal venir meno e infine dall’annichilimento. L'itinerario teologico verso la felicità si confronta certamente con le aspirazioni appetitive e desiderative dell'uomo storico, non assumendole però come richieste di una felicità da raggiungere qui
e ora interamente, bensì come dati da cui si può partire per un cammino di
conoscenza esteriore e interiore che consenta all'uomo di raggiungere alla
fine la soddisfazione e l'appagamento pieno dei propri desideri. La teologia
offre e sviluppa percorsi di elevazione mentale e di potenziamento del desiderio umano, relativizzando la felicità che si può conseguire nella vicenda
storica concreta, e puntando verso la pienezza di una felicità che non possa
più cessare. Anzi, l'uomo che cammina nel deserto della vita, è l'icona perfetta di quello che la teologia chiamava l'homo viator, l'uomo "viaggiatore,
viandante", nel senso che intende l'esistenza come un camminare, un essere
in via (sulla terra) verso la patria (il cielo). Una prospettiva caratterizzabile,
sinteticamente, come passaggio dalla felicità perseguibile nell'immanenza
1
Cfr. T. TOSOLINI, L’uomo oltre l’uomo. Per una critica teologica a transumanesimo e postumano, Bologna 2015.
8
INTRODUZIONE
della soggettività, alla felicità conseguibile mediante l'elevazione e il radicamento nella trascendenza. In modo particolare la tradizione francescana2,
implicando questa istanza antropologica, sembra anche a contribuire e spiegare il “desiderio” divino stimolato dall’amore gratuito e completamente disinteressato al creare l’uomo come aperto alla felicità, alla pienezza, alla perfezione. Ora l’uomo creato con quella struttura intrinseca costituita dall’apertura che lo spinge incessantemente a desiderare la felicità, non è stata né determinata né imposta da Dio in modo che l’uomo fosse costretto a cercarla
solo in Dio, ma richiede una certa educazione3, la sua buona volontà e il riconoscimento interiore dell’autentica finalità di una tale apertura verso il
“sempre di più”. Tuttavia intraprendere e percorrere tale cammino di educazione, perseverando e cercando di raggiungere l’obbiettivo, seppur esige l’impegno totale dell’essere umano, non è realizzabile senza l’attiva e salvifica
azione di Dio Educatore/Pedagogo che guida l’uomo. Egli però non lo fa
senza la mediazione storico–escatologica dell’Incarnazione compiuta una
volta per tutte e senza la conseguente opera storico–sacramentale della Chiesa e del suo mandato missionario teso ad aiutare, accompagnare l’umanità
intera nell’indirizzare ed orientare il desiderio della salvezza in modo da farlo dirigere verso l’Amore Trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ovviamente la necessità di una tale missione educativa è ostacolata dal
peccato. Per questo la Chiesa non si stanca mai di annunciare al mondo intero il Mistero Pasquale per mezzo del quale ottiene la redenzione universale
e recupera definitivamente lo splendore della santità per tutti gli uomini,
santità che in questa ottica si identifica con la felicità ricercata da ogni uomo; santità che prima era deturpata dal peccato. In tale orizzonte splende il
volto misericordioso di Dio che amando fino alla fine l’uomo, non l’abbandona ma lo riscatta dalla sua auto-schiavitù ridandogli la vera libertà intrinsecamente legata alla sua responsabilità. È giusto (dal termine: giustizia)
che Dio, nel suo amore verso l’uomo, rispetti la sua libertà responsabile e
che non gliela tolga con una arbitraria “misericordia” imponendo il perdono e decretando la riconciliazione senza la risposta umana. Questa sarebbe
2
Cfr. J.B. FREYER, Homo viator: l’uomo alla luce della storia della salvezza. Un’antropologia teologica in prospettiva francescana, Bologna, 2008; G. PASQUALE – P.G. TANEBURGO
(edd.), L’uomo ultimo. Per una antropologia cristiana e francescana, Bologna 2006; R. ZAVALLONI, L’uomo e il suo destino nel pensiero francescano, Assisi, 1994; J.A. MERINO, Visione francescana della vita quotidiana, Cittadella, Assisi, 1993; CZ. GNIECKI, Visione
dell’uomo negli scritti di Francesco d’Assisi, Roma, 1987; J.A. MERINO, Umanesimo francescano: francescanesimo e mondo attuale, Cittadella, Assisi, 1984.
3 Cfr. A. GHISALBERTI, “Come si educa il desiderio”, in L’Osservatore Romano,15 luglio
2008.
9
INTRODUZIONE
la contraddizione della misericordia. Per tale motivo, è necessario delineare
questo largo orizzonte in cui amore-verità-desiderio-felicità-santità-redenzione-libertà-misericordia-giustizia costituiscono i tratti essenziali di un evento
teandrico integrale entro il quale si vuole svolgere la riflessione sul principio, significato ed obbiettivo dell’evangelizzazione e dell’opera missionaria
della Chiesa permanentemente valida e quindi tuttora vitale. Tale premessa
ci permette di inserire il nostro argomento circa la missione cristiana in
quella indispensabile dialettica del mandato di annunciare (obbedienza) e
dell’amore (servizio) da diffondere.
Dopo questa iniziale premessa preliminare di carattere antropologico, si deve fare un passo ulteriore per comprendere la ragione e la finalità
dell’opera missionaria compiuta sin dall’inizio dalla Chiesa per portare
l’annuncio del Vangelo ai confini estremi. La vita stessa di Gesù Cristo, Verbo di Dio fattosi uomo, non può essere pienamente compresa se non nell’ottica della missione affidatagli dal Padre; una missione in cui egli realizza il
mandato ricevuto (ne è il soggetto) e ne diventa il contenuto (l’oggetto). La
sua opera salvifica di carattere universale, compiuta definitivamente con il
Mistero Pasquale, contiene intrinsecamente la necessità di essere diffusa e
portata agli estremi confini della terra. Questo compito si rende evidente nel
mandato consegnato da Cristo ai discepoli dopo la Risurrezione: “Andate
dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
ordinato…” (Mt 28,19-20). La forza missionaria della comunità primitiva assume e riceve la sua efficacia con la Pentecoste e con la presenza dello Spirito Santo che guiderà tutta la Chiesa. A partire da questi eventi storico–
salvifici, la Buona Novella della salvezza e dell’amore di Dio rivelatosi nel
suo Figlio si propone sotto forma di dono di fronte alla ricerca umana della
verità, della salvezza e delle risposte alle domande essenziali, quelle che da
sempre sono iscritte nella natura stessa dell’essere umano e che da sempre
rivelano l’intrinseco desiderio, la nostalgia del “ritorno alla casa del Padre”.
L’evangelizzazione non sarà dunque un semplice compito da realizzare, bensì entrerà nella natura stessa della Chiesa. Così l’opera rivelatrice e redentrice
compiuta in Gesù Cristo, pur avendo il suo luogo nel tempo e nello spazio
e quindi avendo la sua accessibilità storica, allo stesso tempo è un evento
escatologico ed universale, che implica la sua successiva diffusione e il suo
venir incontro alle aspettative e alle attese dell’umanità intera di ogni tempo.
Da questo evento deriva la continua chiamata rivolta a tutti i cristiani a vivere la loro fede e l’incontro con Gesù – conosciuto da loro nella
Chiesa e mediante la Chiesa missionaria – concretizzandolo con una apertura verso chi non ha ancora ascoltato la Parola di Dio, oppure non l’ha conosciuta in modo autentico. Per questo ogni credente con il battesimo riceve
10
INTRODUZIONE
la vocazione missionaria di portare il Vangelo agli altri. La Chiesa da sempre
si sente in dovere di ricordarlo ai cristiani e di risvegliare, a seconda dei contesti socio–culturali, politici, religiosi ecc., lo stimolo ad impegnarsi concretamente in questa opera. In questa prospettiva ci sembra di grande attualità
richiamarci alle iniziative in materia, soprattutto al recente, post-conciliare
magistero della Chiesa e farlo avvicinare e conoscere meglio ai fedeli e a tutta la comunità ecclesiale. L’urgenza di riprendere tale argomento risulta anche dalle serie e gravi sfide odierne che non permettono alla Chiesa di stancarsi mai nella sua opera evangelizzatrice. D’altra parte papa Francesco, sulla
scia dei suoi predecessori e ben interpretando il ruolo della Chiesa, nel suo
ancor breve pontificato, mai si stanca di invitare tutti i credenti “ad uscire”,
“ad andare nelle periferie del mondo”. Lo stesso invito ripropone alla Chiesa nel suo insieme ricordandole che “non deve essere autoreferenziale”, concentrata su se stessa, ma piuttosto deve raggiungere con la sua concreta presenza e con il suo annuncio, ogni genere di “periferia”.
Da una angolazione storica, ci rendiamo conto che le continue traversie non hanno impedito né la missione divina trinitaria, né la missione e
le missioni della Chiesa lungo le generazioni degli uomini e delle donne, dei
vari popoli, etnie, culture, religioni. I documenti del magistero che saranno
oggetto del nostro studio, ne esprimono piena consapevolezza, rilanciando a
tutto campo la missione della Chiesa, in quanto al contempo esperta e serva
dell’umanità intera, di guidare ed ‘educare’ le nazioni a riscoprire il vero
obbiettivo dei loro desideri e delle loro nostalgie. Inoltre essa, cerca di risolvere dubbi e perplessità dei cristiani d’oggi, non solo confermando la fede e
la fiducia missionaria “sul campo”, ma quelle dell’intera Chiesa, che abbraccia ogni battezzato. In questi documenti risuona per i nostri tempi la voce
di Cristo Risorto che continuamente manda la Chiesa a realizzare la missione ad gentes e rinnova la promessa della sua presenza fino alla fine dei
tempi e di conseguenza anche per questo speciale periodo storico – un vero
kairós – tempo di salvezza. Il terzo millennio, in cui ci troviamo da più di
15 anni, deve segnare una primavera missionaria come affermava Giovanni
Paolo II. La Chiesa deve riaffermare con ardore la propria fede vivendola e
donandola con inestinguibile entusiasmo.
Il libro ripercorre la recente storia della missiologia prospettata dal
magistero post-conciliare della Chiesa. Anche se si adopera il determinativo
“post-conciliare”, comunque non potevamo cominciare il nostro studio senza l’esposizione del contributo offerto dal Concilio Vaticano II con il decreto Ad gentes. Segue la presentazione di altri documenti scelti, dal momento
che ovviamente non era possibile trattarli tutti quanti, tra quelli che ci sono
apparsi più incisivi e rappresentativi di ogni pontificato, ad eccezione di
quello di Giovanni Paolo I, che pur essendo stato molto intenso ed entusia11
INTRODUZIONE
smante da un punto di vista pastorale, non è stato purtroppo abbastanza
durevole da consentire al pontefice di esprimere concretamente la sua articolazione missionaria. In tal modo sono stati scelti Evangelii nuntiandi di
Paolo VI, Redemptor hominis di Giovanni Paolo II, Verbum Domini di Benedetto XVI ed Evangelii gaudium di Francesco4. La scelta e l’individuazione
di questi cinque documenti ha determinato anche l’impostazione del nostro
testo in 5 capitoli. Ognuno di essi avrà la stessa struttura composta di tre
paragrafi in cui all’inizio si cercherà di offrire le considerazioni introduttive
contestualizzando storicamente e teologicamente il documento, ma anche i
tratti “missionari” delle personalità degli ultimi successori di Pietro; in seguito verranno esposti in via diacronica i contenuti dei medesimi documenti volendo essere più conformi e fedeli alla struttura interna di ogni testo
magisteriale; infine si vorrà, anche se sarà un’impresa più difficile, entrare,
in via sincronica negli elementi originali, contraddistinti, innovativi, provocatori o stimolanti. Insomma l’intento sarà quello di far emergere gli aspetti
che hanno suscitato successivamente i vari commenti, risonanze, ricezioni o
critiche sia sul piano teologico che su quello pastorale. Questa triplice struttura di ogni capitolo comporterà anche l’uso di un determinato linguaggio,
che a volte può assumere caratteristiche espositive, descrittive e in certo qual
modo divulgative; in altri passaggi, forse più ampi, sarà impiegato un linguaggio specificamente tecnico, conforme al rigore del discorso teologico –
scientifico e del pensiero critico; infine, non mancheranno i brani in cui
prevarrà un linguaggio saggistico, in quanto legato ad una lettura ermeneutica in chiave propositiva o espressiva del proprio pensiero.
Da quanto indicato sopra risulta anche lo scopo di questo lavoro:
quanto il concetto della missione si inserisce nella rete dei vari campi teologici essendo l’oggetto studiato non separatamente e in modo svincolato a
seconda di una determinata disciplina teologica, ma in quanto mantiene e
incrementa la sua interna unità e integralità. Per questo emergeranno nel
corso dello studio gli aspetti trinitari, cristologici, ecclesiologici, antropologici, morali e pastorali. Inoltre ciò che continuamente stimola a riprendere
4
Giustamente osserva M.L. Grignani che “ai documenti magisteriali relativi all’attività missionaria della Chiesa è importante collegare non solo le encicliche e le lettere apostoliche
emanate lungo il pontificato, ma anche quelle di inizio pontificato, comunemente ritenute
il testo programmatico di esso, ovvero le lettere encicliche Ecclesiam suam (1964) di Paolo
VI e Redemptor hominis (1979) di Giovanni Paolo II, nonché la Deus caritas est (2005) di
Benedetto XVI; in esse si possono cogliere gli iniziali orientamenti di governo del nuovo
pontefice e in esse non mancano i riferimenti alla missione evangelizzatrice della Chiesa”:
ID., “I Papi nel postconcilio: da Paolo VI a Benedetto XVI”, in A. TREVISIOL (ed.), Il cammino della missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, 277.
12
INTRODUZIONE
la problematica missionaria è il dinamismo contestuale: sia quello interno
alla Chiesa sia quello esterno del mondo di ogni tempo e di ogni luogo, con
le loro domande, problemi, sfide, contributi e con la vita di ogni persona.
Non è nostro intento trattare in modo esaustivo l’argomento; già dal
punto di vista storico ci siamo posti dei limiti prendendo in considerazione
solo l’arco degli ultimi decenni a partire dal Concilio Vaticano II e avendo
come punto di riferimento principale la posizione del Magistero, anche se
non prescinderemo da alcuni ulteriori sviluppi teologici. Oggi ovviamente
non mancano gli studi specialistici dedicati alle analisi più dettagliate e particolareggiate di grande valore che fanno avanzare la nostra percezione della
questione missionaria sul piano teorico e offrono una certa ‘strategia’ per il
nostro impegno pastorale d’evangelizzazione sul piano pratico, in modo che
non vadano mai considerati separatamente o autonomamente: l’annuncio/il
messaggio e la pastorale/la prassi5. È appunto questo che vogliamo sottolineare prima di tutto perché recentemente è molto sentita l’idea e la tendenza
di intravedere le due dimensioni in modo isolato. In ogni caso esprimiamo
la nostra modesta speranza di poter offrire al lettore una piccola opera che
lo possa introdurre ed accompagnare nei primi passi dello studio in questa
materia.
5
Apposta vogliamo evidenziare la sintesi tra la teoria e la prassi che a volte viene esposta ad
essere considerata separatamente come avviene nell’attuale dibattito sulla famiglia intorno a
due ultimi sinodi dedicati ad essa, in cui non mancavano le voci di separare due aspetti del
Vangelo: la dottrina e la pastorale. Anche in questo caso, del tema dell’evangelizzazione,
non si può escludere che tale rischio con le sue grosse e nocive conseguenze possa apparire.
13
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
CAPITOLO
I
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA
AD GENTES DEL CONCILIO VATICANO II
“La Chiesa scopre e corrobora la sua vocazione missionaria che è
quanto dire la sua essenziale destinazione a fare dell’umanità, in qualunque
condizione essa si trovi, l’oggetto dell’appassionata sua missione evangelizzatrice”1. La Chiesa infatti sin dalle sue origini aveva compreso la sua connaturale chiamata a condividere e diffondere il dono della fede.
A distanza di cinquanta anni dalla promulgazione del Decreto Ad
gentes – il 7 dicembre 1965 – diventa forse ancora più palese quanto la prospettiva e la preoccupazione missionaria siano state determinanti per la riflessione ecclesiologica complessiva. Contemporaneamente la distanza temporale permette di cogliere meglio quali siano state le sfide e le intuizioni
che i padri conciliari hanno indicato e nonostante i loro limiti, che è una
cosa naturale, rimangono un punto fermo per il successivo magistero ecclesiale post-conciliare al riguardo2. In questa sede non ci preoccuperemo tanto
di ricostruire la storia del testo e del dibattito conciliare sul Decreto, quanto
di evidenziare i temi principali e gli snodi della teologia e della prassi missionaria. Prima però desideriamo offrire una esposizione del periodo storico
in cui si inscrive il concilio e, in special modo, il decreto Ad gentes.
1. Un breve sguardo retrospettivo: la contestualizzazione
Prima di passare al testo conciliare dell’Ad gentes, alla sua esposizione e alla sua lettura teologico–pastorale, pare molto conveniente offrire
un’introduzione storica sulla dimensione missionaria della Chiesa e deli-
1
PAOLO VI, Discorso di inizio della seconda sessione, in EV 1/183.
Cfr. S. NOCETI, “Con Ad gentes, oltre Ad gentes”, in Ad gentes. Teologia e antropologia
della missione 1/2012 (16), p.5.
2
15
CAPITOLO PRIMO
nearne i tratti principali3. Ovviamente non si tratta di passare in rassegna
tutta la storia della missionarietà cristiana, ma di concentrarsi piuttosto sul
periodo che immediatamente precede il Concilio Vaticano II.
1.1. La condizione missionaria prima del Concilio
Secondo molti esperti della missiologia nei primi decenni del 1800,
malgrado una situazione socialmente e politicamente molto complessa e
sfavorevole, all’interno della Chiesa presero il via il risveglio e la riflessione
missionaria. Esse rappresentano nell’epoca moderna la fase di autentica crescita e maturazione concettuale della realtà missionaria della Chiesa, da
sempre vissuta in forma riflessa nella coscienza cristiana. Il movimento missionario dell’800-’900 può essere detto il vero retroterra culturale su cui si
baserà l’orientamento del Vaticano II: “L’attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa”. Purtroppo per lungo tempo la
missione veniva considerata come una semplice attività della Chiesa. Per
questo, le “chiese di missione” avevano origine e si sviluppavano con una
struttura diversa dalle chiese particolari del “cristianesimo occidentale”. A
questo, sottolinea C. Semeraro, si aggiungeva il fraintendimento, di cui solo
con molta lentezza i missionari occidentali si sono liberati, che risultava
dall’indebita sovrapposizione delle conquiste e delle imposizioni culturali
dell’occidente all’annuncio cristiano. Il sistema del patronato e quello del
protettorato missionario mantenevano per lungo periodo le “chiese di missione” in una umiliante dipendenza dai governi coloniali e dalle cosiddette
“chiese madri”. Tuttavia, malgrado questi fattori del tutto sconvenienti, la
Congregazione Propaganda Fide continuava a svolgere un’intensa attività anticolonialista, sforzandosi di costruire autentiche chiese locali affidate alla responsabilità amministrativa e governativa dei ministri indigeni4. Spesso proprio per liberare le missioni cattoliche dalle potenze colonizzatrici, la Congregazione fondava le comunità al di fuori dei territori occupati dall’occidente,
specialmente in Asia e poi, nell’ottocento, anche in Africa e in Oceania5.
3
Per una lettura più dettagliata con gli altri riferimenti bibliografici si consiglia il saggio di
P. CHIOCCHETTA, “La Redemptoris missio nel contesto del magistero sulle missioni”, in
AA.VV., Cristo Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1992, 11-31.
4 Cfr. C. S EMERARO , “Le missioni cattoliche nell’epoca contemporanea. Dalla «Chiesa di
missione» alla «Chiesa particolare indigena»”, in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a cura di),
La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, Torino
1992, 160-162.
5 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma. L’annuncio alle genti dal Concilio a Papa
Francesco, Bologna 2013, 46.
16
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
In quest’opera la Congregazione era sostenuta dall’attività dei vecchi ordini e nuovi istituti religiosi, dalle opere di aiuto missionario, cui
contribuirono i fedeli cattolici – qui un ruolo particolare svolgevano appena fondate, di solito dall’iniziativa dei laici, le pontificie opere missionarie. Tale risveglio religioso a dimensioni universali fece sì, che la missione visse effettivamente un periodo di fioritura. Soltanto all’inizio del XX
secolo questo processo era frenato, anzi, gravemente sconvolto dalla catastrofe della prima guerra mondiale, ma poi di nuovo caldeggiato dai pontefici Benedetto XV e Pio XI. Si era dunque ripreso il passaggio dalla “chiesa di missione” all’autentica “chiesa particolare” sotto una guida indigena,
con personale indigeno e con tutte le istituzioni appartenenti a una vera e
propria Chiesa locale, al punto che il Vaticano coraggiosamente poteva affermare: “Le nuove Chiese particolari, conservando tutta la bellezza delle
loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale” (AG
22). In effetti, l’acquisizione indiscutibile della pari dignità tra quelle che
una volta venivano chiamate Chiese-madri e Chiese-figlie permetteva di
scorgere sempre più la crescente comunione ecclesiale. E inoltre, superando ritardi, contrasti e opposizioni dovuti innanzitutto allo spirito colonialista e alla mentalità eurocentrica, la Chiesa ha potuto impiantarsi tra i diversi popoli e le nazioni diventando, non solo di nome ma di fatto, la
Chiesa “cattolica”6.
1.2. Il magistero ecclesiale
Senza entrare in un lungo discorso storico sull’opera missionaria della Chiesa, come è stato accennato già prima, in questa sede si vuole delineare
a grandi linee generali l’impegno della Santa Sede e gli interventi decisivi da
parte del Magistero a tale riguardo nel XX secolo7. Tuttavia, secondo un’opinione comune, l’inizio dell’era moderna delle missioni viene legata con
l’istituzione della, già sopra nominata, Sacra Congregazione De Propaganda
Fide nel 1622 dal papa Gregorio XV. Attraverso le azioni e le competenze di
questa Congregazione si doveva rendere ancora più evidente il compito e la
responsabilità del Vicario di Cristo di diffondere la Parola di Dio nel mondo. Dal punto di vista dell’insegnamento magisteriale fin dall’inizio la Congregazione pubblicava le sue Istruzioni che erano una guida saggia e concre-
6
Cfr. C. SEMERARO , “Le missioni cattoliche nell’epoca contemporanea. Dalla «Chiesa di
missione» alla «Chiesa particolare indigena»”, 160-162.
7 Sulla storia della coscienza ed azione missionaria è da considerare il contributo di S.
DIANICH, Chiesa estroversa, Torino 1987.
17
CAPITOLO PRIMO
ta per il lavoro missionario8. Nel 1659 viene pubblicata quella che viene
spesso definita “la Magna Charta di Propaganda Fide”, cioè l’Istruzione per
i Vicari Apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina in cui emerge
la caratteristica di apertura spirituale e culturale della nuova Congregazione9. In questo documento si insiste particolarmente sulla formazione del
clero locale. È significativo il seguente passaggio:
Non compite nessun sforzo, non usate alcun mezzo di persuasione per
indurre quei popoli a mutare i loro riti, le loro consuetudini e i loro
costumi, a meno che non siano apertamente contrari alla religione e ai
buoni costumi. Che cosa c’è infatti di più assurdo che trapiantare in
Cina la Francia, la Spagna, l’Italia o qualche altro paese d’Europa?
Non è questo che voi dovete introdurre, ma la fede, che non respinge
né lede i riti e le consuetudini di alcun popolo, purché non siano cattivi, ma vuole piuttosto salvaguardarli e consolidarli. (…) Quanto ai
costumi che sono manifestamente cattivi, sarà bene rimuoverli con
l’atteggiamento e col silenzio più che con le parole, cogliendo beninteso l’occasione di sradicarli pian piano e quasi insensibilmente, una
volta che gli animi siano disposti ad abbracciare la verità10.
Tra il secolo XVII e l’inizio del XX la storia della Chiesa, spesso non
deliberatamente, ha conosciuto varie vicende e casi specifici a volte non
sempre conformi all’ideale missionario. Bisogna comunque evitare ogni pregiudizio o una opinione estratta dal contesto particolare e non abbastanza
documentata. Per cui ogni opera missionaria ha praticamente la propria storia. In ogni modo non mancano i tentativi di intraprendere le iniziative
missionarie nei paesi lontani come India, Cina, Giappone, Africa subsahariana, America Latina11.
Nella prima metà del 1900 non mancano la preoccupazione e gli interventi intrapresi dai pontefici di quei decenni. Anche se la Chiesa era ancora coinvolta nell’affrontare e confutare quelle idee del modernismo che
non potevano in nessun modo essere compatibili con la dottrina della fede,
8 Cfr. F.G. FERNÁNDEZ, “Il movimento missionario contemporaneo”, in A. TREVISIOL (ed.),
Il cammino della missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, Urbaniana University
Press, Roma 2015, 16-18.
9 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 46.
10 Il testo in Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, vol. III/2, RomFreiburg-Wien, Herder 1976, 696-704. Cfr. anche JEAN GUENNOU , L'Instruction de 1659
aux vicaires apostoliques français, in Les missions catholiques, nuova serie, IX (1959) 78-79.
11 Cfr. F.G. FERNÁNDEZ, “Il movimento missionario contemporaneo”, 26-32.
18
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
tuttavia già apparivano i segnali di un passaggio da un atteggiamento ‘difensivo–apologetico’ verso quello ‘offensivo–propagativo’, favorevole per una
rinnovata coscienza missionaria.
Ancora durante il pontificato di Pio X, travagliato sia dai problemi
interni della Chiesa (controversia antimodernista, le ideologie anti-ecclesiali,
la nascita delle ideologie totalitarie) e soprattutto dagli anni fatali della
Grande Guerra, non potevano agevolare e incentivare ulteriori progressi nel
settore specificamente missionario. Solo dopo la guerra, nel 1919, con la
Lettera Apostolica di Benedetto XV Maximum illud12 si è verificato un passo avanti. Questa enciclica può essere definita come una svolta nella storia
della diffusione della fede. Il papa raccomanda che ogni missionario
dev’essere intellettualmente all’altezza del suo compito, non solo per i motivi attinenti alla controversia teologica, ma anche allo scopo di riscuotere
maggior considerazione presso il popolo che egli deve evangelizzare per il
mandato ricevuto. Il papa indica la necessità di introdurre i corsi di scienza
delle missioni all’Ateneo Urbaniano. Di capitale importanza nell’enciclica è
la raccomandazione di non compromettere l’attività missionaria con interessi politici e nazionali, soprattutto con la politica coloniale. Appena finita,
la guerra ha un’altra volta dimostrato le disastrose conseguenze della mescolanza fra missione e politica. L’ultima parte del documento tratta degli aiuti
alle missioni da parte dei fedeli: è dovere di ogni cristiano sostenere le missioni con la preghiera, con il sostegno economico a seconda delle possibilità
nonché promuovendo e suscitando vocazioni missionarie. Questi sono i
doveri che i fedeli possono adempiere nel modo migliore, dice il papa, per
mezzo delle varie associazioni come Opere missionarie della Propagazione
della Fede, della Santa Infanzia e di San Pietro Apostolo. I sacerdoti invece, secondo le indicazioni dell’enciclica, devono aderire all’Unione missionaria del Clero, che va introdotta in tutte le diocesi. Benedetto XV insisteva
molto sulla formazione del clero indigeno e sulla sua preparazione ad assumere la guida della missione, e quindi la fondazione di Chiese particolari locali. I superiori missionari vengono investiti della responsabilità di
questo compito.
Pio XI, riprendendo le linee del suo predecessore, nell’enciclica Rerum Ecclesiae del 192613 ha aggiunto nuovi elementi necessari per la costituzione di autentiche Chiese particolari. In essa si avverte che l’opera missionaria è un obbligo di carità verso Dio e il prossimo e spetta a tutti i fedeli, soprattutto al clero e ai superiori ecclesiastici, che il papa invita a una più
12
13
BENEDETTO XV, Lettera apostolica Maximum illud, in AAS 11 (1919) 440-455.
AAS 18 (1926) 65-83.
19
CAPITOLO PRIMO
feconda attività missionaria. I fedeli sono chiamati a una continua preghiera
per le missioni e per le nuove vocazioni missionarie. I vescovi debbono favorire le stesse vocazioni senza preoccuparsi per l’eventuale numero scarso
dei sacerdoti nella diocesi. Per la propagazione della fede viene esplicitato il
rilevante ruolo delle Pontificie Opere Missionarie. In seguito il papa raccomanda che gli indigeni, sia gli uomini che le donne, vengano ammessi alle
congregazioni religiose già esistenti, e di fondare anche congregazioni nuove
ed autoctone conformi alla mentalità e alla cultura della popolazione locale
e alle condizioni ambientali, perché anche questo è un componente costitutivo della Chiesa locale. Oltre ciò, occorre stimolare nelle missioni pure la vita contemplativa, tanto a causa del suo valore intrinseco, quanto perché corrisponde alle disposizioni naturali dei vari popoli. L’enciclica chiude con
alcuni consigli pratici riguardo all’organizzazione esterna delle terre missionarie e allo sviluppo delle scuole superiori.
Un altro contributo magisteriale al tema viene dato dalle due encicliche missionarie di papa Pio XII. La prima, Evangelii praecones del 195114,
è stata scritta in occasione del 25º anniversario della Rerum Ecclesiae. Pio
XII mette in rilievo il patrimonio culturale di tutti popoli che reciprocamente si arricchiscono in profonda unione e l’intenzione della Chiesa di accogliere e promuovere tali valori culturali. Egli esorta allo studio della missiologia e delle scienze ad essa sussidiarie. Il papa esprime autentico desiderio
di introdurre l’Azione Cattolica nelle chiese locali delle missioni. Inoltre tra i
compiti delle giovani Chiese vengono sottolineati l’assistenza sanitaria e sociale. Sulla seconda il pontefice insiste particolarmente in quanto può diventare
lo strumento visibile per la propagazione della dottrina sociale cristiana. Infine non si deve dimenticare il compito che spetta alle Chiese particolari, cioè
impegnarsi per l’ulteriore sviluppo e perfezionamento delle culture autoctone,
dimostrando così anche un reale rispetto verso le loro peculiarità. La seconda
enciclica missionaria di Pio XII, Fidei donum del 195715, riguardava in modo
speciale le Chiese locali dell’Africa. La Chiesa, benché abbia fatto grandi
progressi in terra africana, deve incrementare i suoi sforzi per affrontare le
incombenti difficoltà. Il suo più grande problema è l’insufficiente quantità
di sacerdoti. È necessario erigere in tutti i territori missionari scuole e istituti sociali più numerosi; occorre la stampa moderna insieme con altri mezzi
di propaganda; si raccomanda di rafforzare la presenza e l’attività dell’Azione Cattolica e di garantire la formazione degli ausiliari laici.
14
15
AAS 43 (1951) 497-528.
AAS 49 (1957) 225-248.
20
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
Nell’ambito missionario non mancò neanche la voce di papa Giovanni XXIII che nell’enciclica Princeps pastorum del 195916 auspicava una
formazione in scienze missionarie anche da parte dei sacerdoti autoctoni,
affinché giungessero alla maggiore comprensione e migliore valutazione delle proprie culture nazionali; il papa sosteneva la necessità che loro ne conoscessero le concezioni e le problematiche filosofiche e religiose. Tutto questo
gioca a favore, anzi è indispensabile per rendere più comprensibile ed efficace l’annuncio della fede cristiana.
Questi quattro pontefici nel loro insegnamento, grazie alla profondità e alla densità di pensiero delle succitate encicliche, hanno costituito in un
certo modo la Carta delle missioni contemporanee. Non meraviglia dunque
che i padri del Concilio Vaticano II, nel decreto Ad gentes si siano richiamati a tanta ricchezza contenuta in tali encicliche e ai vari aspetti in esse
considerati e sviluppati17.
2. La struttura e i principali contenuti del decreto Ad gentes18
Il testo, composto di sei capitoli, pone in primis le fondamenta teologiche indicandone “i principi dottrinali” e poi le implicazioni pragmatico
– pastorali. È uno dei documenti che con maggiore fatica è stato elaborato.
Nell’arco di tre anni, ne sono state fatte ben sette redazioni per arrivare alla
sua versione definitiva approvata il 7 dicembre19. Quel giorno il documento
veniva votato e rivotato capitolo per capitolo e a volte paragrafo per paragrafo per essere accettato con il più alto livello di unanimità da parte dei
padri conciliari20.
2.1. I principi dottrinali
Il primo capitolo mette in rilievo la dimensione trinitaria della missione parlando del disegno del Padre di “chiamare gli uomini alla partecipazione della sua vita non solo ad uno ad uno, senza alcuna mutua connessione, ma riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli che erano dispersi si
16
AAS 51 (1959) 833-864.
Cfr. C. SEMERARO, “Le missioni cattoliche nell’epoca contemporanea. Dalla «Chiesa di
missione» alla «Chiesa particolare indigena»”, 168-172.
18 EV 1/1087-1242.
19 Sui lavori preparatori si veda S. MAZZOLINI, “Aspetti della preparazione del Concilio nella prospettiva della Commissione preparatoria de missionibus”, in A. TREVISIOL (ed.), Il
cammino della missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, 49-68.
20 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 40.
17
21
CAPITOLO PRIMO
raccogliessero in unità”21. Per realizzare questo disegno universale, Dio inviò
il Figlio, per mezzo del quale creò l’universo, che compisse la salvezza di tutto il genere umano e che in lui fosse tutto riunito. Affinché quanto è stato
operato in/da Cristo fosse diffuso all’estremità della terra e realizzato compiutamente in tutti nel corso dei secoli, Egli inviò da parte del Padre lo Spirito Santo. Questo Spirito compie dal di dentro e in tutti i tempi la Sua
opera di salvezza, stimola la Chiesa a estendersi, infonde nel cuore dei fedeli
quello spirito della missione, da cui era stato spinto Gesù stesso22.
In questa ottica si rende evidente la dimensione ecclesiologica della
missione. Gesù ha affidato alla Chiesa, nascente dal mistero pasquale, il dovere di andare verso tutti i popoli, istruendoli, battezzandoli e predicando il
Vangelo (Mt 28,19-20; Mc 16,15). “Pertanto la missione della Chiesa si realizza attraverso un’azione tale, per cui essa, obbedendo all’ordine di Cristo e
mossa dalla grazia e della carità dello Spirito Santo”, che la “fornisce dei diversi doni gerarchici e carismatici”23, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l’esempio della vita e la
predicazione, con i sacramenti e gli altri mezzi della grazia, alla fede, alla
libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro libera e sicura la possibilità di
partecipare pienamente al mistero di Cristo” 24. Non di rado l’annuncio e
la testimonianza del Vangelo da parte della Chiesa porta al martirio e al
sacrificio.
Sempre nello stesso primo capitolo viene trattato anche il tema della
natura della missione. Il compito di annunciare il Vangelo e impiantare la
Chiesa è uno e identico in ogni luogo ed in ogni situazione, benché le circostanze possano essere differenti. Le differenze non nascono dalla natura intima della sua missionarietà, ma dalle condizioni in cui l’attività missionaria
si esplica. Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai
gruppi, o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. La Chiesa infatti non
sempre e non subito può agire in maniera completa e sempre uguale. Essa
conosce inizi e gradi: in certi casi dopo un progresso felicemente avviato,
subisce di nuovo un regresso, o almeno si viene a trovare in uno stato di
inadeguatezza e di insufficienza; in altri casi, solo gradatamente essa raggiunge gli uomini e i popoli, li penetra e li accetta così nella pienezza cattolica, adoperando, a seconda del contesto, atti appropriati e strumenti adeguati. Le iniziative speciali intraprese dai cristiani, di predicare il Vangelo e
21
AG 2.
Cfr. AG 2-4.
23 LG 4
24 AG 4.
22
22
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
di impiantare la Chiesa in mezzo a popoli, culture, tradizioni, uomini che
ancora non credono in Cristo, sono chiamate “missioni” e si realizzano attraverso l’attività missionaria che assume le diverse forme, tenendo sempre
conto della specificità del contesto. Se l’azione missionaria riesce a raggiungere il suo obbiettivo fondando le comunità di base e facendo nascere le giovani
chiese locali, allora tocca alle stesse chiese particolari continuare la missione
evangelizzatrice predicando il Vangelo ai singoli, che sono ancora fuori. In tal
modo si manifesta evidentemente che l’attività missionaria scaturisce intimamente dalla natura stessa della Chiesa, diffondendone la fede che salva25.
Il decreto spiega anche la questione delle ragioni e della necessità
dell’attività missionaria. La ragione principale discende direttamente dalla
volontà di Dio, il quale vuole che, in e per mezzo di Cristo, tutti gli uomini
raggiungano la salvezza e arrivino alla conoscenza della verità (1Tim 2,4-6).
“Benché Dio attraverso vie a lui note, possa portare gli uomini, che senza la
loro colpa ignorano il Vangelo, alla fede”, tuttavia la Chiesa non si può mai
dispensare dal compito e insieme dal sacro diritto di evangelizzare, sicché
l’attività missionaria conserva in pieno oggi come sempre la sua validità e
necessità. Di conseguenza le membra della Chiesa desiderano condividere
con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e futura. Grazie a
questa attività missionaria gli uomini possono accogliere l’opera salvatrice di
Dio compiuta in Gesù. In tal modo si realizza il piano di Dio, cioè di costituire tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, di riunirlo nell’unico
corpo di Cristo e di edificarlo nell’unico tempio dello Spirito Santo 26.
L’attività missionaria deriva anche dal fatto che Cristo e la sua Chiesa superano ogni particolarismo di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei. Infatti nessuno di per se stesso e con le
sue forze riesce a liberarsi dal male e dal peccato, dalla sua debolezza e dalla
sua solitudine, dalla sua limitatezza e dalla sua schiavitù, ma tutti hanno bisogno di Cristo modello, maestro, liberatore, salvatore, vivificatore27. Il primo
capitolo si conclude mettendo in rilievo il carattere escatologico dell’attività
missionaria. Come affermano i padri conciliari, l’attività missionaria non è
nient’altro che l’epifania e la realizzazione del piano divino nel mondo e
nella storia, in cui Dio, attraverso la missione, attua la storia della salvezza;
così l’attività missionaria tende alla pienezza escatologica28.
25
Cfr. AG 6.
Cfr. AG 7.
27 Cfr. AG 8.
28 Cfr. AG 9.
26
23
CAPITOLO PRIMO
2.2. L’opera missionaria in se stessa
Nel secondo capitolo, in cui si riflette sulla natura e sul significato
della missione, il decreto conciliare presta una particolare attenzione ai tre
aspetti della medesima opera: la testimonianza cristiana, la predicazione del
Vangelo e la riunione del Popolo di Dio, e infine, la formazione della comunità cristiana.
Poiché la Chiesa è chiamata a portare il Vangelo e la salvezza di Cristo a tutti i popoli e soprattutto a tutti gli uomini e le donne che non conoscono ancora la buona novella, allora anche le sue membra, dovunque si
trovano, la devono annunciare. Si può dire che l’idea dell’evangelizzazione è
inscritta nel DNA della Chiesa e scaturisce dalla struttura interna della fede29. Il primo annuncio si realizza attraverso la testimonianza di Cristo, cioè
la presenza e i rapporti di stima e di carità verso le persone destinatarie
dell’annuncio; poi, tramite la partecipazione alla loro vita sociale e culturale,
la conoscenza delle loro tradizioni, scoprendo in esse i germi del Verbo, illuminando, alla luce del Vangelo, le loro ricchezze, liberandole e riferendole
al dominio di Dio salvatore. Tale atteggiamento crea le vere condizioni per
il dialogo con gli uomini di ogni razza, cultura, nazione, religione, ecc. La
forma migliore per dare un’autentica testimonianza cristiana avviene, in
modo particolare, mediante la carità che, a sua volta, assume vari aspetti: la
condivisione delle loro esperienze esistenziali, l’impegno sociale ed economico, l’attività educativa e formativa dei fanciulli e dei giovani, la promozione della dignità umana in quanto radicata in Dio stesso, la lotta contro
la fame, l’ignoranza e le malattie, la proclamazione della pace30.
In seguito il documento si occupa del tema della predicazione e della
riunificazione del Popolo di Dio. Dovunque Dio apre la porta della parola
per parlare del Dio vivo che ha mandato il suo Figlio Gesù Cristo per la salvezza di tutti, lì deve essere annunziato con franchezza e con fermezza il
Vangelo. Questo annuncio indirizzato ai non cristiani, ha come obiettivo la
loro conversione, la loro libera adesione al Signore e nello stesso tempo di
offrire loro la risposta a tutte le attese del cuore umano; una risposta che
non solo soddisfa le loro aspirazioni ma le supera infinitamente. La conversione però implica la piena libertà, la buona volontà e la purezza delle intenzioni. Così il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui passa
dall’uomo vecchio all’uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione.
Questo passaggio implica un progressivo cambiamento della mentalità e dei
29
Cfr. S. DIANICH, “Evangelizzare: dal Vaticano II alla problematica contemporanea”, in
Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 16 (2012) 1, 78.
30 Cfr. AG 11-12.
24
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
costumi che si sviluppa progressivamente nel tempo del catecumenato. È il
compito, non solo dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità introdurre i catecumeni alla piena appartenenza al popolo di Dio mediante la
conoscenza dei misteri della fede, la liturgia e la carità31.
L’ultima parte del secondo capitolo dell’Ad gentes è dedicata alla formazione della comunità cristiana. A questo punto i padri conciliari mettono
in rilevo il ruolo dei missionari, cooperatori di Dio, di dare vita ad assemblee di fedeli che seguano una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate. Fin dall’inizio la comunità cristiana deve essere strutturata in modo da provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal gruppo di fedeli in possesso del patrimonio culturale della nazione cui appartiene, deve mettere profonde radici nel proprio popolo: vivendo per Dio e per il Cristo, deve seguire gli onesti costumi della propria
gente; i fedeli delle nuove comunità, come buoni cittadini, devono coltivare
un sincero e fattivo amor di patria ed, evitando ogni forma di razzismo e di
nazionalismo, promuovere l’amore evangelico ed universale tra i popoli. In
seguito, l’insegnamento conciliare sottolinea che per la impiantazione della
Chiesa e il suo successivo sviluppo sono necessarie: la costituzione del clero
indigeno, la formazione dei catechisti e la promozione della vita religiosa 32.
2.3. Le Chiese particolari
Il terzo capitolo parla soprattutto delle giovani Chiese impiantate
dall’opera missionaria, fornite di una schiera, anche se insufficiente, di sacerdoti, di religiosi e di laici, guidati da un proprio vescovo, per condurre e
sviluppare la loro vita di fede. La fede infatti è insegnata per mezzo della catechesi, celebrata nella liturgia e introdotta grazie ad un’adeguata legislazione canonica. I vescovi con il loro presbiterio devono sentire e vivere con la
Chiesa universale in modo che resti intima la comunione delle giovani Chiese
con tutta la Chiesa. Esse devono saper collegare gli elementi della tradizione
con la propria cultura, per aumentare e arricchire la vita del corpo mistico.
Dall’altra parte, l’azione missionaria di tutta la Chiesa deve fornire loro
quegli aiuti che sono indispensabili per lo sviluppo delle giovani chiese locali e per la crescita della vita cristiana33.
Il decreto aggiunge anche che l’attenzione prestata a quelle giovani
comunità non si limita solo ad aiutarle affinché diventino a poco a poco in
grado di provvedere a se stesse e di portare aiuto alle altre, ma che, malgrado
31
Cfr. AG 13-14.
Cfr. AG 15-18.
33 Cfr. AG 19.
32
25
CAPITOLO PRIMO
la scarsità del clero, abbiano la piena coscienza di essere esse stese inviate a
coloro che non credono in Cristo e convivono nello stesso territorio, soprattutto nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche in altre diocesi. Così le Chiese particolari partecipano alla missione universale della Chiesa. Se, invece, mancano i ministri adatti e ben preparati per
svolgere questo compito, i singoli vescovi si rivolgano alla sede apostolica
che invii loro missionari preparati a questo scopo34. Il terzo capitolo pone
un forte accento sul ruolo dei laici senza la cui collaborazione, la Chiesa
non sarebbe realmente e pienamente costituita, e neanche sarebbe segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini. Il loro compito principale è la
testimonianza di Cristo fatta con la vita e con la parola, nella famiglia, nel
ceto sociale a cui appartengono e nell’ambito della professione che esercitano. Il loro apostolato è reso più urgente dal fatto che moltissimi uomini e
donne non possono né ascoltare il Vangelo né conoscere Cristo se non per
mezzo di laici, che sono loro vicini. Il capitolo si conclude con l’affermazione che nella diversità si manifesta e si realizza l’unità. Questo si fa
percepibile nel fatto che le giovani Chiese, radicate in Cristo e costruite sopra il fondamento degli apostoli, hanno la capacità meravigliosa di assorbire, senza cadere nel sincretismo, tutte le ricchezze delle nazioni e delle culture, che a Cristo sono state assegnate in eredità. Perciò le nuove Chiese particolari, arricchite dalle loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale riconoscendo nel primato della cattedra di Pietro, il segno
dell’unità e dell’universalità35.
2.4. I missionari
Il tema dei missionari è trattato nel quarto capitolo orientando verso
una particolare attenzione alle questioni della vocazione e della spiritualità
missionaria, della formazione integrale e infine degli istituti che lavorano
nelle missioni. È innegabile che l’impegno di diffondere la fede riguarda
ogni cristiano a seconda delle sue possibilità, però dalla moltitudine dei suoi
discepoli Cristo chiama quelli che egli vuole, perché stiano con sé e per inviarli ad annunciare alle genti. Per mezzo dello Spirito Santo, che distribuisce i carismi, Cristo accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e
suscita nella Chiesa istituti che assumono come proprio il compito dell’evangelizzazione, che appartiene a tutta la Chiesa. A tale chiamata di Dio il credente è in grado di rispondere in maniera totale e di mantenersi fedele per
tutta la vita alla specifica vocazione, solo grazie all’ispirazione ed alla forza
34
35
Cfr. AG 20.
Cfr. AG 21-22.
26
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
dello Spirito Santo. Inoltre i messaggeri del Vangelo, per non trascurare la
grazia che è in loro, devono rinnovarsi di giorno in giorno nel loro spirito.
Per questo, gli ordinari ed i superiori in determinati periodi devono riunire
i missionari perché si rinvigoriscano nella speranza della vocazione, e si rinnovino nel ministero apostolico, fondando anche delle case a questo scopo36. La spiritualità missionaria richiede una perenne formazione che in
modo particolare cerca di integrare quattro aspetti: interiore, morale, dottrinale e apostolico. Solo una formazione integrale, teoretica e pratica, crea le
condizioni per una adeguata preparazione di tutti i missionari, a seconda
delle loro capacità e del contesto in cui compiono la loro vocazione37. Da
quello che è stato detto risulta che la vocazione missionaria dei singoli non
può essere compiuta senza la comune vocazione e l’impegno di tutte le
membra del Corpo di Cristo riunite in istituti convocati dalla Chiesa. Questi istituti hanno il compito di offrire ai missionari una adeguata formazione, si prendono la responsabilità dei vasti territori da evangelizzare dove costituiscono o sostengono le Chiese locali e i loro pastori, ed esercitano la cura delle anime. Già per queste fondamentali ragioni gli istituti restano assolutamente necessari38.
2.5. L’organizzazione dell’attività missionaria
Un’altra questione che è stata presa in considerazione dall’Ad gentes,
è “l’organizzazione dell’attività missionaria”. Il pensiero dei padri conciliari
si rivolge innanzitutto verso l’organizzazione generale e, nel senso più preciso, verso il dicastero specificamente e completamente convocato ad assumere
la responsabilità di regolare e coordinare in modo competente tutta l’attività
missionaria, ovvero si tratta della “Propaganda Fide”. I suoi compiti fondamentali sono quelli di promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria,
lo zelo e la preghiera per le missioni, suscitare e distribuire i missionari, secondo i bisogni più urgenti delle regioni. Per quanto riguarda la direzione,
in essa devono avere parte attiva i vescovi di tutto il mondo, su parere delle
conferenze episcopali, i direttori degli istituti e delle opere pontificie, secondo la modalità ed i criteri che saranno stabiliti dal romano pontefice; inoltre
anche coloro che sotto l’autorità del successore di Pietro, convocati periodicamente, reggeranno l’attività missionaria della Chiesa. Lo stesso dicastero
deve avere anche a sua disposizione una commissione permanente di esperti
consultori, insigni per dottrina ed esperienza; infine, agli impegni della
36
Cfr. AG 23-24.
Cfr. AG 25-26.
38 Cfr. AG 27.
37
27
CAPITOLO PRIMO
“Propaganda Fide” devono partecipare gli istituti religiosi, le opere regionali
per le missioni, le organizzazioni di laici. Sul piano locale invece, è compito
del vescovo promuovere, dirigere e coordinare l’attività missionaria, per cui
è conveniente che egli costituisca un consiglio pastorale per coordinare le
iniziative missionarie. Evidenziando l’importanza degli istituti in tutta
l’opera missionaria, il documento pone l’accento sulla loro fedeltà alla diocesi e sulla reciproca collaborazione tra di essi. Inoltre agli istituti spetta anche il ruolo dinamico di partecipare alla fondazione dei seminari, delle
scuole superiori e tecniche, dei centri pastorali, catechistici e liturgici, e
dunque di garantire la preparazione integrale degli operai evangelici39.
2.6. La cooperazione
Il tema della cooperazione è l’ultimo argomento trattato dal Decreto
Ad gentes. Nel sesto capitolo viene ribadito che tutta la Chiesa, per sua natura, è missionaria. Da ciò risulta che tutte le membra del Corpo di Cristo
sono chiamate a cooperare alla sua espansione e dilatazione, attraverso la vita, la preghiera, le opere di penitenza. Questa cooperazione si manifesta già
sul piano comunitario, nella vita delle diocesi e delle parrocchie, soprattutto
quando mantengono i contatti con i loro missionari e li sostengono nella
loro attività. In tal modo diventa visibile la comunione tra le comunità che
conduce ad una reciproca edificazione40. Il dovere missionario riguarda in
maniera particolare i vescovi che non sono consacrati soltanto per una diocesi ma per la salvezza di tutto il mondo. Il loro compito è quello di suscitare, promuovere e dirigere l’opera missionaria nella propria diocesi, in modo
che quest’ultima si completi missionaria coinvolgendo le preghiere e le opere di tutto il popolo, in specie dei malati e dei sofferenti; creando le condizioni favorevoli ai sacerdoti che desiderano andare ad evangelizzare gli altri
popoli per una adeguata preparazione e formazione; organizzando i modi e
i mezzi ordinati al soccorso diretto delle missioni; promuovendo le opere
che consentono di accogliere e di assistere pastoralmente coloro che immigrano dalle terre di missione. In cooperazione con i vescovi e con le conferenze episcopali anche i sacerdoti hanno il dovere di sensibilizzare i fedeli e
destare tra di loro lo zelo per l’evangelizzazione del mondo. La cooperazione riserva un posto importantissimo agli istituti religiosi di vita contemplativa ed attiva. Non deve mancare neanche l’apostolato e l’impegno da parte
dei laici sia nelle terre già cristiane che nelle terre di missione41.
39
Cfr. AG 28-32.
Cfr. AG 35-37.
41 Cfr. AG 38-42.
40
28
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
La presentazione dei contenuti principali del documento permette di
scorgere gli elementi costitutivi della concezione cristiana e cattolica della
missionarietà; rende possibile notare la sua complessità e la sua estensione
che abbraccia tutta la Chiesa ed ogni suo membro; viene vista come vocazione e diritto, ma anche come dovere e mandato. Richiede una armoniosa
collaborazione e organizzazione. Rivolge lo sguardo verso quelli che aspettano l’annuncio della salvezza, evitando così l’auto-referenzialità dei cristiani
ed assumendo l’atteggiamento di apertura verso il mondo. Ovviamente la
comprensione del decreto esige una giusta ermeneutica in modo che vada
letto alla luce degli altri documenti conciliari, innanzitutto quelli dedicati
alla Chiesa (GS, LG), ai laici (AA), alla libertà religiosa (DH) ecc.
3. Alcuni snodi teologici e pratici
A differenza degli altri documenti conciliari che, sì, trattano il tema
dell’attività missionaria della Chiesa, ma in quanto inserito in un contesto
teologico o pastorale più vasto, l’Ad gentes ne parla nel modo più denso ed
esplicito facendo della missionarietà della Chiesa il suo campo di interesse
esclusivo e comprensivo, offrendo così un riassunto riflessivo del passato e
una proiezione valida per l’avvenire42.
3.1. Il fondamento ecclesiologico della missione e la natura missionaria della Chiesa
Una delle note più importanti del decreto è l’impostazione propria
della questione missionaria che offre un’elaborazione e un’interpretazione
teologica e pratica del contenuto come tale. Così si giunge ad una grandiosa
visione che toglie la missionarietà della Chiesa da una condizione di esistenza marginale, riconoscendo allo stesso tempo il suo vero carattere ecclesiale.
La missionarietà, come sottolinea E. Nunnenmacher, non viene più vista
come una funzione secondaria o supplementare ma come l’aspetto essenziale della Chiesa in modo da essere considerato sul piano teologicamente e pastoralmente giusto, perché corrisponde alla sua stessa natura43: “La Chiesa
pellegrinante è missionaria per sua natura”44. Pertanto il documento identifica la base primaria di ogni attività missionaria della Chiesa nel fatto che
42
Cfr. E. NUNNENMACHER , “La natura missionaria della Chiesa”, in PONTIFICIA UNIONE
MISSIONARIA , Missione per il terzo millenio. Corso di missiologia, Roma 1992, 92.
43 Cfr. E. N UNNENMACHER , “La natura missionaria della Chiesa”, 93.
44 AG 2.
29
CAPITOLO PRIMO
essa stessa possa e debba considerarsi per divino mandato “inviata alle genti
per essere «sacramento universale di salvezza»”45. Tale impostazione comporta le conseguenze pratiche spostando l’idea missionaria dalla periferia
della consapevolezza di tanti credenti e facendone di nuovo un pensiero
centrale e connaturale della coscienza cristiana, come fu già nelle prime comunità apostoliche e in tutta la storia della Chiesa46.
3.2. La Trinità, la Chiesa e le chiese particolari
G. Canobbio facendo un commento all’Ad gentes, punta su tre
aspetti: l’origine trinitaria della missione, la sua natura ecclesiologica, infine
la missione della Chiesa universale e il compito missionario delle chiese
particolari. Secondo Canobbio il tratto caratteristico dell’Ad gentes sta nella
riflessione sul fondamento della missione. Quest’ultima infatti affonda le
sue radici nelle missioni trinitarie. Ad gentes inserisce la missione della
Chiesa nel dinamismo dell’invio del Figlio e dello Spirito da parte del Padre.
In tal mondo risulta chiaro che la missione della Chiesa ha l’origine nel
disegno di Dio, cioè nell’“amore fontale”, inteso come amore del Padre, dal
quale Principio senza principio procedono il Figlio e lo Spirito. In effetti –
constata il teologo – nel n. 2 dell’Ad gentes si allude alla vita intima della
Trinità, più precisamente alle processioni, in corrispondenza delle quali poi
fluiscono le missioni, sulla scia della dottrina trinitaria classica, secondo la
quale “missione” indica sia la dipendenza o l’origine di colui che è inviato
rispetto a colui che invia, sia una presenza nuova presso colui al quale
l’inviato si rende presente. In questa ottica la Chiesa si manifesta in quanto
posta nel mondo come esito della comunicazione di Dio e con il compito
di lasciar trasparire tale comunicazione (AG 2). L’obiettivo di tale comunicazione è pervadere tutte le cose. La comunicazione si realizza però non
raggiungendo gli uomini solo singolarmente, ma costituendo un popolo47.
In secondo luogo, Canobbio afferma che gli autori del decreto hanno voluto
mettere in evidenza il fatto che la missione non si riduce all’attività
missionaria, né è una funzione aggiuntiva alla realtà della Chiesa, dovuta
alla condizione del mondo non ancora (o non più) cristianizzato, ma
appartiene alla sua stessa natura (AG 2)48. Interrogarsi dunque sulla missione coincide con l’interrogarsi sulla Chiesa; questa esiste infatti solo dalla
45
Una presentazione raccomandabile di questa tematica si può trovare in A. WOLANIN,
Teologia della missione, Casale Monferrato, 1989.
46 Cfr. E. NUNNENMACHER , “La natura missionaria della Chiesa”, 93.
47 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, in Ad gentes.
Teologia e antropologia della missione 1 (1997) 2, 138-139.
48 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 137.
30
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
e per la missione, al punto che si potrebbe giungere a identificare la riflessione
sulla Chiesa con la riflessione sulla missione49. La riflessione sulla missione
deve tendere a coincidere con l’ecclesiologia: parlare della missione non vuol
dire parlare di una delle tante attività della Chiesa, ma del senso di questa
nel mondo; si è così rimandati all’origine e allo scopo della Chiesa in
rapporto al disegno di Dio per il mondo50. Poiché la Chiesa, come è stato
sottolineato diverse volte, è per sua natura missionaria, allora la missione è
compito della Chiesa intera e di ogni sua particolare forma di realizzazione:
ovunque essa si renda presente si incontra il principio di un’attività tendente
a dilatare il Vangelo senza confini. Così il compito missionario riguarda
tutti membri della Chiesa e si realizza nella vita e nella attività di ogni Chiesa particolare e locale, a partire dai vescovi, attraverso i presbiteri, religiosi, i
responsabili delle opere missionarie e delle varie forme dell’apostolato laico,
fino a tutti i fedeli. Anche se questa, a prima vista, sembra essere una affermazione scontata, tuttavia ha il suo speciale spessore: non di rado infatti
l’ecclesiologia si trovava nel binomio tra l’attribuire la priorità o alla Chiesa
universale o alla Chiesa particolare; inoltre, all’interno della riflessione
teologica sulla Chiesa particolare, non sempre si riusciva a integrare organismi
sovralocali vedendovi il residuo di una concezione troppo universalistica o
romanocentrica della Chiesa. Per questo, come nota Canobbio, in diversi
luoghi dell’Ad gentes si insiste sulla cooperazione delle Chiesa51 e sul
coordinamento tra i vari organi particolari impegnati nell’opera missionaria.
E poi sarà anche compito della successiva riflessione teologica e del magistero
di approfondire la “giustificazione” teologica e pastorale (pratica) degli Istituti
missionari52. Cannobio giustamente osserva che la riflessione missionaria nei
primi anni del post-concilio ha conosciuto nuove problematiche, come la
dimensione politica della missione (la liberazione e la promozione umana), il
problema dell’inculturazione e la questione dell’incontro con le religioni e di
conseguenza l’elaborazione di una adeguata teologia53. Questi temi emergeranno e verranno affrontati nel magistero successivo.
49
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 169.
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 137.
51 Questo appello dell’Ad gentes ha trovato un’eco in alcune chiese particolari; basta riportare qui una specie di sussidio della COMMISSIONE MISSIONARIA REGIONALE LOMBARDIA,
I laici missionari ad gentes nella cooperazione tra le chiese, Milano 2002.
52 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 163-168.
53 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 142-163.
50
31
CAPITOLO PRIMO
3.3. Il ruolo necessario dell’apostolato laico
Già dalla prima lettura del documento spicca un’idea fondamentale,
che supera definitivamente la comprensione dell’evangelizzazione come una
particolare missione affidata agli specialisti del primo annuncio, osserva S.
Dianich. Dall’Ad gentes, infatti, risulta chiaro che essa, in quanto inscritta
nel DNA della Chiesa, scaturisce dalla struttura della vocazione di ogni
cristiano in virtù del sacramento del battesimo. Ne consegue che la responsabilità di evangelizzare non è riservata né al ministero papale né ai pastori
delle Chiese locali, ma compete a tutti i singoli fedeli: “Ad ogni discepolo di
Cristo incombe il dovere di disseminare, per quanto gli è possibile, la fede”
(LG 17, AG 15.20.21, AA 6). Il n. 21 dell’Ad gentes tratta in modo
particolare dell’impegno dei laici di testimoniare Cristo “con la vita e con la
parola, nella famiglia, nel gruppo sociale cui appartengono e nell’ambito
della professione che esercitano”. Così, secondo Dianich, si manifesta il
valore e la preziosità della missione dei laici negli ambienti di lavoro e nelle
attività sociali. Il concilio sviluppa questa convinzione innanzitutto nel
decreto Apostolicam actuositatem, dove il termine “evangelizzazione” in
riferimento ai laici era usato in coppia con “santificazione”, e la loro
testimonianza cristiana viene anche legata sia con il loro ministero dei
sacramenti che con il ministero della parola (AG 6.20.26)54.
3.4. Munus Evangelium praedicandi et Ecclesiam ipsam implantandi – verso un’ecclesiologia missionaria55
Traendo le sue origini dal mistero trinitario ed avendo il suo
insostituibile posto nell’universale disegno di salvezza (AG 2-4), la Chiesa si
fa pienamente e attualmente presente a tutti i popoli per rendere loro “libera
e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo” (AG 5).
In base a tali presupposti, afferma G. Colzani, la sua missione ad gentes si
riassume nel munus Evangelium praedicandi et Ecclesiam ipsam implantandi, cioè nel compito di predicare il Vangelo e di impiantare la Chiesa in
mezzo ai gruppi che ancora non conoscono il Vangelo di Cristo. Colzani
sottolinea la necessità di leggere e interpretare questo fondamentale frammento dell’Ad gentes, alla luce degli altri documenti conciliari, innanzitutto
della Lumen gentium e della Gaudium et spes56. Infatti la missione appare
una realtà complessa che comprende inseparabilmente vuoi l’annuncio del
54
Cfr. S. DIANICH, “Evangelizzare: dal Vaticano II alla problematica contemporanea”,
78-79.
55 AG 6.
56 Cfr. G. COLZANI , “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 16 (2012) 1, 33.
32
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
Vangelo vuoi l’edificazione della Chiesa che “già con la sola sua presenza,
con tutti i doni che contiene è sorgente inesausta di quelle forze di cui ha
assoluto bisogno il mondo moderno”57. Il suo ruolo, con una terminologia
diversa che lega la missione della Chiesa al Regno di Dio, lo esprime la
Lumen gentium al n. 5 insegnando che la Chiesa “riceve la missione di
annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio e di
questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio”. Instaurare il Regno in
tutte le genti, spiega Colzani, è molto più che impiantare la Chiesa, dal
momento che essa non può essere mai separata né dal Regno né dal Cristo
nel quale questo Regno si manifesta e realizza58. Della plantatio Ecclesiae
parla anche P. Giglioni. Di fatto, fin dall’inizio l’impiantazione e fondazione delle nuove comunità cristiane è stata oggetto di una continua
preoccupazione da parte della Chiesa nel compiere la sua missione evangelizzatrice, anzi ha costituito il suo fine specifico e immediato, benché non
unico, constata Giglioni. Essa come “sacramento universale di salvezza” (LG
48), sa di essere fondata da Cristo come necessaria affinché gli uomini possano essere incorporati a Cristo e partecipare della sua opera di redenzione
(AG 7)59. Da qui il dovere per la Chiesa di essere presente e di radicarsi in
quegli ambienti in cui ancora non esiste60. È da sottolineare che la plantatio
Ecclesiae, alla luce della Lumen gentium 13, offre maggior spazio alle Chiese
particolari superando un certo centralismo romano che aveva accompagnato
la precedente opera missionaria61; la plantatio è invece un processo di
crescita per tappe successive e attraverso mezzi adeguati. Tra questi ultimi
Giglioni specifica: il metodo dell’incarnazione [inculturazione] (AG 10);
ricorso ai sacramenti e ai mezzi della grazia [liturgia] (AG 15); costituire una
gerarchia propria unita al popolo fedele e dotata di mezzi appropriati per
vivere bene la vita cristiana [pastorale] (AG 16); utilizzare funzioni e
istituzioni che si richiedono perché il popolo di Dio conduca e sviluppi la
sua vita [ministeri] (AG 15,17-21)62.
57
GS 43.
Cfr. G. COLZANI, “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, 34.
59 Cfr. P. GIGLIONI , “L’attività missionaria della Chiesa”, in PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA , Missione per il terzo millenio. Corso di missiologia, 142.
60 Cfr. A. W OLANIN , Teologia della missione, 109.
61 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 153.
62 Cfr. P. GIGLIONI , “L’attività missionaria della Chiesa”, 143.
58
33
CAPITOLO PRIMO
3.5. Pregi e limiti dell’Ad gentes
Certamente, nonostante tutto l’indubitabile valore del documento
conciliare non mancano alcune osservazioni critiche. Così S. Noceti da una
parte mette in rilievo certi particolari pregi del documento conciliare e,
dall’altra, non esita ad esplicitare gli innegabili limiti dell’Ad gentes. Tra i
pregi annovera l’abbandono del concetto tradizionale della missione come
espansione del cristianesimo, di impianto giuridico e gerarchico, consapevole del suo fondamento trinitario e del framework antropologico – sul piano
contenutistico. Sul piano linguistico e concettuale resta da apprezzare la distinzione tra “missione” e “attività missionaria”. Invece sul piano pastorale
il decreto prende in seria considerazione le nuove sfide: il rapporto con le
culture, la libertà religiosa e l’importanza del clero locale e dei fedeli laici.
Secondo Noceti è da valutare l’importanza data dall’Ad gentes alla conoscenza delle problematiche presenti nelle “giovani Chiese” che apre ad una
adeguata discussione sul rapporto tra la natura missionaria della Chiesa e la
necessità di attività missionaria ad gentes, di annuncio esplicito della fede
cristiana a chi appartiene ad altre religioni o è non credente, e sulle forme
istituzionali di promozione, esercizio e coordinamento delle attività missionarie, con una decisa richiesta di revisione dello statuto di Propaganda Fide
e di ridimensionamento del suo ruolo63. Noceti individua anche alcuni elementi che richiederanno ulteriori approfondimenti e precisazioni. Ad esempio nel primo capitolo il soggetto della missione sembra essere l’intero popolo di Dio (AG 2); nei capitoli successivi, in specie quelli dedicati
all’azione pastorale, riappare una forte centratura gerarchica (i vescovi, il
romano pontefice). In effetti, sempre secondo il parere di Noceti, a un concetto teologico di missione che riguarda la Chiesa intera, presente innanzitutto nei primi capitoli, viene avvicinata una lettura della missione come allargamento territoriale che toccherebbe solo i paesi extraeuropei, e una
comprensione primariamente istituzionale e gerarchica nell’impianto64. Tuttavia per una piena e più completa comprensione e interpretazione del decreto è necessaria una ermeneutica ‘totale’ che spieghi e leghi i contenuti
dell’Ad gentes all’interno di tutta l’ecclesiologia conciliare65.
63 Cfr. S. NOCETI , “Con Ad gentes, oltre Ad gentes", in Ad gentes. Teologia e antropologia
della missione 16 (2012) 1, 7.
64 Cfr. S. NOCETI , “Con Ad gentes, oltre Ad gentes", 8.
65 Cfr. G. COLZANI, “Ad gentes e la svolta conciliare missionaria” in A. TREVISIOL (ed.), Il
cammino della missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, 83-117; F. BOSIN,
“L’estroversione della Chiesa: la nuova prospettiva missionaria nell’evento Concilio e nei
suoi documenti”, in ibid. 119-149.
34
IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
3.6. La missione e le giovani chiese
P. Gheddo, dalla ricca lettura dell’Ad gentes, mette invece in risalto il
ruolo delle giovani chiese, fondate da poco, nella vocazione missionaria di
tutto il popolo di Dio. Egli parte da una presunta critica nei confronti
dell’Ad gentes, secondo cui la teologia missionaria di questo decreto sarebbe
una ripetizione della Lumen gentium. Gheddo risponde a questa critica affermando che la Costituzione sulla Chiesa svolge il suo discorso missionario
in modo diverso e originale, collegandolo con tutto il resto del documento.
Quanto invece alla stessa Ad gentes, essa mostra la peculiarità nell’elaborazione sia dei propri punti di partenza sia delle originali finalità della questione missionaria che differisce da quelli della Lumen gentium66. Di fronte
al sospetto di presentare il tema dalla prospettiva delle Chiese d’antica cristianità e di riflettere ancora la classica visione delle missioni che si muovono dall’Occidente verso altri continenti, Gheddo riprende i contenuti del
capitolo III intitolato De Ecclesiis particularibus, che fa risaltare il progresso
e la salda stabilità delle Chiese giovani e le vede non più solo come fine della missione alle genti ma come agenti attivi e soggetti della missione. In effetti la missionarietà delle Chiese giovani, fondate da poco, le orienta, sì,
verso la missione alle genti nel loro stesso paese, ma anche all’estero67. In
conformità con questa visione e diffondendo l’idea dell’Ad gentes Paolo VI
lancerà l’appello a Kampala in Uganda nel 1969: “Africani, siate missionari
di voi stessi!”68. Secondo Gheddo il principio conciliare che la Chiesa locale
deve essere missionaria nel suo stesso territorio dovrebbe essere riscoperto
anche oggi, quando molte diocesi dell’Europa hanno in casa molti non cristiani di altri paesi e religioni. Secondo il suo parere le opinioni secondo cui
i missionari si dovrebbero fermare in Europa per fornire aiuto nell’esistenza
religiosa agli emigranti, forse ignorano la posizione e i contenuti del testo
conciliare e non tengono conto del fatto che le giovani Chiese hanno sempre bisogno dei “missionari stranieri”. I missionari infatti, oltre all’opera
evangelizzatrice, rappresentano il collegamento indispensabile per l’universalità e l’unità della Chiesa cattolica69. Infine Gheddo sottolinea ancora
un altro pregio nell’elaborazione del tema missionario dell’Ad gentes, cioè
“la diversità nell’unità”:
66
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 41.
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 42.
68
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1969/documents/hf_p-vi_hom_19690731.html.
69 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 42-43.
67
35
CAPITOLO PRIMO
Le nuove Chiese hanno la capacità… di assorbire tutte le ricchezze
delle nazioni… Dalle consuetudini e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli, esse sanno ricavare tutti gli elementi che valgono a rendere gloria al Creatore, a mettere
in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana70.
Da qui risulta chiara l’intenzione del documento di promuovere una
approfondita “ricerca teologica” per capire quali costumi e valori dei popoli
non sono contrari alla Parola di Dio e alla Tradizione della Chiesa71. Di fatto, dal momento che il dato rivelato rimane sempre un orizzonte definitivo
e un costante punto di riferimento, allora sarà esclusa ogni forma di sincretismo e le nuove Chiese particolari, conservando tutta la bellezza e il valore
delle loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale.
Gheddo evidenzia ancora gli altri temi da non sottovalutare presenti nel decreto72: la “vocazione speciale” missionaria e la specifica funzione degli “Istituti missionari”, la spiritualità missionaria, la formazione dottrinale ed apostolica, la necessità delle comunità di consacrati”73. Tra molte considerevoli
novità del decreto che esprimono una maggiore comprensione e sensibilità
missionaria nella Chiesa, egli, similmente a Noceti, non esita però a puntualizzare anche una insufficiente ricezione dell’insegnamento conciliare74 inerente alla Propaganda Fide, oggi Congregazione per l’Evangelizzazione delle
Nazioni, e a sottolineare il suo maggior ruolo nell’intensificare la collaborazione tra la Chiesa di Roma e le giovani chiese locali75.
70
AG 22.
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 43.
72 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 43-44.
73 AG 23.
74 Cfr. AG 29.
75 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 44-47.
71
36
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
CAPITOLO II
EVANGELII NUNTIANDI
DI PAOLO VI – 10 ANNI DALLA CHIUSURA
DEL V ATICANO II
1. Alcune considerazioni introduttive
1.1. La situazione culturale – religiosa
Paolo VI era il Papa del Concilio, aveva portato avanti e chiuso un
evento straordinario che apriva orizzonti nuovi alla Chiesa; egli aveva osservato e letto bene la situazione dell’epoca, comunicava in modo comprensibile con tutti e con la sua prima enciclica Ecclesiae Sanctae (1964) indicava il
dialogo col mondo (dare e ricevere) come metodo di annunzio del Vangelo
nei tempi moderni; di fatto è stato il primo papa a visitare tutti i continenti.
Eppure, all’inizio degli anni settanta si è scontrato con le contestazioni violente e sprezzanti (anche da parte di cattolici) seguite alla Humanae Vitae
(1968); l’enciclica accusata per la mancata espressione della sinodalità – così
promossa dal Vaticano II – che avrebbe accompagnato la sua promulgazione: infatti il papa ha deciso di pubblicarla avendo dalla sua parte la minoranza dei vescovi. Intanto non pochi vescovi, presbiteri, teologi, associazioni
e gruppi ecclesiali, seguivano la travolgente ondata culturale che portava verso il laicismo, il relativismo, la lettura “scientifica” della società (prevalentemente di stampo marxista). Secondo la testimonianza di P. Gheddo, diventava un’avventura azzardante dire forte e chiaro che un “mondo nuovo”,
sì, è possibile, ma solo a partire da Cristo. Paolo VI lo diceva, lo ripeteva,
ma la sua voce era ascoltata solo dai semplici credenti e da coloro che venivano definiti “papalini” in senso negativo.
La crisi dell’ideale missionario nell’Occidente cristiano è nata nella
crisi di fede che squassava la Chiesa intera, ha preso tutti alla sprovvista e ha
diviso profondamente le forze missionarie (istituti missionari, riviste, animazione missionaria, ecc.). Un esempio significativo risale all’estate 1968
quando si è tenuta la solita Settimana di Studi missionari a Lovanio (“Liberté des Jeunes Églises”), organizzata dal gesuita padre Joseph Masson, docente
di Missiologia della Gregoriana. Diverse voci non di missionari sul campo,
ma di studiosi, teologi, missiologi esprimevano forti dubbi sul mandare
37
CAPITOLO SECONDO
missionari europei in altri continenti; molto meglio, si diceva, lasciare che le
giovani Chiese raggiungessero una loro maturità e si organizzassero secondo
le loro idee e culture. Una tesi e un’opinione tanto sconvolgente se si pensa
che solo tre anni prima la totalità dei vescovi delle missioni si era espressa in
modo radicalmente opposto, chiedendo nuovi missionari. Chi partecipava al
concilio conosceva bene gli interventi dei vescovi missionari. Molti di loro
sentivano ed esprimevano la necessità di avere più forti legami con la sede di
Pietro e le Chiese cattoliche antiche. Era solo un esempio della mentalità
che si era infiltrata e diffusa nella Chiesa in quel tempo post-conciliare e
metteva in dubbio la missionarietà ad gentes della Chiesa1.
1.2. L’Evangelii nuntiandi2 come voce del Sinodo e delle “giovani”
Chiese
L’esortazione è stata scritta a conclusione del Sinodo del 1974 su
“L’evangelizzazione del mondo contemporaneo” e così si mostra come il
frutto di questo evento ecclesiale. Emanata al termine dell’Anno Santo, dieci
anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, sembra che alla sua stesura
contribuì anche il teologo Zoltán Alszeghy3, si legava ad altri documenti
precedenti emanati dal papa come il Motu proprio Africae terrarum4 definito come la “carta culturale dell’africanità”5 e i testi dei viaggi apostolici in
Asia e Oceania6, tutti presentati dal papa in connessione all’enciclica Populorum progressio7. In ogni modo, in questa esortazione il papa in piena sintonia con tutti vescovi partecipanti al Sinodo ha espresso la loro voce ponendosi tre domande scottanti8:
1 Cfr. http://www.gheddopiero.it/index.php/lad-gentes-in-giovanni-xxiii-e-giovanni-paolo-iiradio-maria-2014/.
2 EV 5/1588-1716.
3 “Paolo VI incaricò di preparare il Sinodo dei vescovi sull’evangelizzazione, dopo di che –
si dice – rimase l’ausilio del papa per formulare anche il testo dell’esortazione Evangelii
nuntiandii”: F. PATSCH – P. NEMESHEGYI, “Zoltán Alszeghy: la vita di un teologo”, in La
Gregorianum. Virtus et Scientia, 48 (2015), 46.
4 Emanato il 29 ottobre 1967, in AAS LIX (1967), 1073-1097.
5 G. ADORNATO, Paolo VI. Il coraggio della modernità, Cinisello Balsamo 2008, 216. Secondo il cardinale Sarah con l’affermazione “Nova Patria Christi Africa”, Paolo VI ha inteso enfatizzare quanto l’Africa fosse indispensabile alla storia della salvezza. Cfr. ID., Dio o
niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 117.
6 Cfr. Summi Pontificis Peregrinantis iter in Asiam et Oceaniam, in AAS LXIII (1971),
10-114.
7 Promulgata il 26 marzo 1967, in AAS LIX (1967), 257-299.
8 Cfr. M.L. GRIGNANI, “I Papi nel postconcilio: da Paolo VI a Benedetto XVI”, 288-289.
38
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
- Che ne è oggi di questa energia nascosta della Buona Novella, capace di colpire profondamente la coscienza dell’uomo?
- Fino a quale punto e come questa forza evangelica è in grado di
trasformare veramente l’uomo di questo secolo?
- Quali metodi bisogna seguire nel proclamare il Vangelo affinché la
sua potenza possa raggiungere i suoi effetti?9
Tali interrogativi hanno segnato un certo cambiamento delle prospettive dovute al fatto che in questo sinodo per la prima volta le Chiese del
terzo mondo hanno assunto un ruolo di primo piano. Venute a Roma con i
loro esperti dopo un’ampia riflessione sui Lineamenta, i vescovi di queste
Chiese hanno chiesto e ottenuto un distacco dalla prospettiva europea imponendo, più che occuparsi dei rapporti fede – scienze – ateismo, una riflessione sulla natura e sulle modalità della evangelizzazione. Si postulava di
trattare i temi a cui il Concilio non prestava ancora sufficiente attenzione,
come la povertà e l’inculturazione, il dialogo con le religioni e le modalità
concrete dell’annuncio10.
1.3. Punti nevralgici del contesto teologico
Uno dei problemi più seri da affrontare negli anni immediatamente
successivi al Concilio era quello delle relazioni della Chiesa, e quindi anche
della missione, con il mondo; problema che aveva ricevuto la prima risposta
nella Gaudium et spes, ma che nel periodo post-conciliare era esploso in
modo più violento. Si criticava (J. B. Metz, L. Rütti) il fatto che la missione
avesse perso il mondo e si richiedeva un nuovo deciso orientamento al
mondo; si rifiutava l’“ecclesiocentrismo” e di conseguenza anche una concezione ecclesiocentrica ed espansionistica della missione; si rinfacciava l’identificazione della missione con il colonialismo, ecc. D’altra parte, si veniva
sempre più imponendo tutta la problematica della giustizia e della pace e
soprattutto l’urgenza di chiarire meglio, dal punto di vista teologico, il rapporto fra il cristianesimo e le religioni non cristiane, con cui era strettamente collegato il problema del dialogo. Tutti questi motivi avevano finito per
esaurire completamente l’entusiasmo missionario, sprigionato dal concilio, e
avevano spinto non pochi teologi ad evitare persino di pronunciare il termine “missione”11.
9
EN 4.
Cfr. G. COLZANI, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico della Chiesa: 19452007, Cinisello Balsamo 2010, 108-109.
11 Cfr. K. MÜLLER , Teologia della missione. Un’introduzione, Bologna 1991, 65.
10
39
CAPITOLO SECONDO
Tale contesto è caratterizzato anzitutto da influenti fattori. Il primo
è il dibattito teologico che si pone la domanda: la missione evangelizzatrice
appartiene alla dimensione intrinseca connaturale della Chiesa (aspetto ecclesiologico) o alla funzione estrinseca salvifica della Chiesa in vista del Regno (aspetto soteriologico). Con la seconda opzione si insisteva sulla visione
dell’evangelizzazione a cui veniva assegnato il carattere prettamente soterico,
ma con una palese rilevanza dell’aspetto socio-economico a discapito di
quello ecclesiologico. Di conseguenza era subentrata la tendenza a considerare il tema della missione vestendolo delle categorie proprie del linguaggio
politico. Evangelii nuntiandi e l’ulteriore magistero della Chiesa dovrà intervenire al riguardo e darne i necessari chiarimenti. Oltre questo apparirà il
problema dell’inculturazione (adattamento o incarnazione del Vangelo) di
cui Evangelii nuntiandi tratta in modo generale e che il magistero nel corso
del pontificato di Giovanni Paolo II riprenderà e imposterà in una maniera
più analitica, ampia e frequente: infatti, le questioni ecclesiologiche, missiologiche, antropologiche, etiche e sociali spesso saranno studiate nel loro reciproco legame, come dimostrerà il ricco insegnamento di san Giovanni
Paolo II.
1.4. Alcuni elementi peculiari dell’esortazione
Anche se successivamente verranno presentati complessivamente e
diacronicamente i contenuti dell’Evangelii nuntiandi e poi anche una lettura sincronica di approfondimento, nondimeno si ritiene opportuno indicare
dapprima i motivi12 ed alcuni punti cruciali del testo di papa Paolo VI. Innanzitutto occorre notare che l’Evangelii nuntiandi riprende e sviluppa le
tematiche fondamentali del Decreto Ad gentes del Concilio Vaticano II. I
contenuti dell’esortazione: 1) Cristo come primo evangelizzatore e a un
tempo il Vangelo impersonalizzato; da qui il passaggio e l'affermazione costantemente ripetuta della natura missionaria della Chiesa13, come enunciata
nel n. l dell'Ad gentes; 2) il bisogno di una Chiesa evangelizzata ed evangelizzatrice (n. 15, AG 5.11-12); 3) la tematica dei semi del Verbo in un contesto di grande valorizzazione del senso delle religioni (n. 53: AG 8), che sarà
ampiamente ripresa dal magistero di Giovanni Paolo II; 4) il profondo
12
EN 2.
Emblematico è il detto dell’allora cardinale G.B. Montini, poco prima di essere eletto
papa: “When the Church becomes conscious of itself, it becomes missionary”: S. BEVANS,
“Challenging the Church to Be «Conscious of itself: Missionary Congregations and Missionary Bishops in the genesis of Ad gentes», in A. TREVISIOL (ed.), Il cammino della missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, 69.
13
40
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
commento nel n. 75 sullo Spirito Santo e la missione, che prolunga ed approfondisce il prezioso testo pneumatologico ecclesiale dell’Ad gentes 4; 5)
L'importanza dell'unità dei cristiani per la testimonianza della missione nel
n. 77 (AG 6); 6) il diritto e dovere della Chiesa ad evangelizzare nel n. 80
(AG 7). 7) Infine il documento prolunga e propone con particolare slancio
quella che possiamo chiamare una più esplicita spiritualità missionaria che
si ispira all'azione dello Spirito Santo nella Chiesa espressa già inizialmente
nel n. 4, ma ampiamente sviluppata con un testo pneumatologico di grande
valore nel n. 75, parlando del soffio dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e nei suoi vari settori, come teologia, liturgia, esperienza della comunità.
Forse è uno dei capitoli più importanti ed una delle dimensioni più valide
dell'azione missionaria, che si rende evidente per come vengono scanditi i
titoli dei particolari numeri, quasi come una sintesi della spiritualità missionaria più autentica: testimoni autentici (n. 76), artefici di unità (n. 77),
servitori della verità (n. 78), animati dall'amore (n. 79), col fervore dei santi
(n. 80) che sarà ripreso dalla Redemptoris missio.
2. La struttura e i principali contenuti dell’Evangelii nuntiandi
Nell’introduzione il papa Paolo VI spiega i motivi per cui ha voluto
scrivere questa esortazione, promulgata l’8 dicembre 1975: la fine dell’Anno
Santo, il decimo anniversario della conclusione del Concilio e ad un anno
dalla Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi dedicata all’evangelizzazione14. Prima ancora descrive in modo sintetico le sfide, il contesto
culturale e le provocazioni del mondo d’oggi, che, a causa di sfiducia, angoscia, incertezza, disordine sul piano sociale, culturale, politico e religioso,
difficilmente favoriscono l’evangelizzazione15. In un tale contesto la Chiesa
non si rassegna ma riprende il suo essenziale compito di annunciare il Vangelo della salvezza a tutto il mondo, nonostante le difficoltà, i sincretismi e
gli accomodamenti. Per questo essa vuole “dare nuovo slancio a tutti, specialmente a «quelli che si affaticano nella parola e nell’insegnamento» (1Tim
14
Cfr. EN 2.
Cfr. EN 1. Si veda anche una descrizione sintetica della situazione post-conciliare, ma
non priva di ragioni, offerta da P. Gheddo; la situazione sociale, culturale, politica e religiosa che non favoriva la ricezione dello spirito missionario del Concilio Vaticano II e dell’Ad
gentes, in particolare. Cfr. ID., Missione senza se e senza ma, 53-72.
15
41
CAPITOLO SECONDO
5,17) affinché ciascuno di essi sia «un fedele dispensatore della parola della
verità» (2Tim 2,15)”16.
Grosso modo i punti cruciali dell’Evangelii nuntiandi riprendono le
tematiche fondamentali dal Decreto Ad gentes del Concilio Vaticano II e le
sviluppano cercando di rispondere alle sfide d’allora.
2.1. Soggetto: “Dal Cristo evangelizzatore alla Chiesa evangelizzatrice”
L’esortazione parte dalla persona stessa di Gesù Cristo che dà testimonianza di se stesso: “Per questo sono stato mandato” (Lc 4,18.43). I padri
sinodali hanno ricordato che Gesù stesso è il Vangelo di Dio, per cui Egli è
il primo evangelizzatore per eccellenza e l’unico sui generis. Annuncia il Regno con cui arriva il tempo della salvezza e della liberazione; lo istituisce, lo
realizza e lo rappresenta, anzi in Lui è presente il Regno e Lui è la salvezza
mandata dal Padre. Nella vita di Gesù la missione di proclamare il Vangelo
della salvezza si compie attraverso la predicazione e i segni, connessi intrinsecamente (DV 2)17. La buona novella del Regno è per tutti gli uomini di
tutti i tempi. Coloro che l’hanno ricevuta e quelli che essa raccoglie nella
comunità della salvezza, hanno sia il diritto sia il dovere di comunicarla e
trasmetterla. La Chiesa ha la consapevolezza che la parola del Signore si applica a lei stessa: “il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la
missione essenziale della Chiesa”. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire
per predicare ed insegnare, essere il canale della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa, il memoriale e l’attuazione della Sua morte e risurrezione. La Chiesa dunque è legata
all’evangelizzazione e questo per alcuni motivi fondamentali. Prima di tutto
essa è nata dall’azione evangelizzatrice di Gesù ed è inviata dal suo Maestro;
di più essa resta come il segno di una nuova presenza di Gesù, diventando
evangelizzatrice chiamata a continuare la missione del suo fondatore. Tuttavia la Chiesa, come afferma Paolo VI, comincia la sua vocazione con
l’evangelizzare se stessa: essa si evangelizza mediante una conversione e un
rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo in modo credibile. Inoltre la Chiesa è depositaria della buona novella del Vangelo, lo conserva come un deposito vivente e prezioso, non per tenerlo nascosto, ma per comunicarlo e condividerlo con gli altri. Di conseguenza essendo inviata, la Chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori i quali non sono – come nemmeno
la Chiesa stessa – né padroni né proprietari del Vangelo per disporne a loro
arbitrio, ma ministri per trasmetterlo con estrema fedeltà. Da tutto questo
16
17
EN 5.
EN 6-12.
42
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
risulta chiaro il legame profondo tra il Cristo e la Sua Chiesa che ha ricevuto il mandato di evangelizzare. Di fronte a chi vorrebbe separare Cristo e la
Chiesa bisogna riportare le parole stesse del Signore: “Chi respinge voi, respinge me” (Lc 10,16); e a chi pensa di poter amare il Cristo senza amare la
Chiesa risponde san Paolo: “Egli ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per
lei” (Ef 5,25).
2.2. La natura: “Che cosa significa evangelizzazione?”
Approfondendo il tema principale dell’evangelizzazione evita qualsiasi spiegazione frettolosa, superficiale o scontata. Infatti nessuna formulazione parziale e frammentaria può definire quella realtà così ricca, complessa e dinamica come lo è l’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla o perfino di mutilarla. È impossibile capirla se non si cerca di abbracciare molti elementi essenziali che costituiscono la sua natura18. In primis, l’evangelizzazione è l’opera di portare la buona novella in tutto il
mondo, renderla presente nei vari settori dell’umanità e trasformarla dal di
dentro rendendola nuova; essa tende al cambiamento interiore, a convertire
la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini secondo il Vangelo.
A parte le fasce geografiche sempre più vaste, la forza del Vangelo deve quasi
sconvolgere i criteri di giudizio, i valori determinati, i punti di interesse, le
linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità 19. In tal
modo la Chiesa, con l’impegno evangelizzatore, opera per un rinnovamento
integrale dell’umanità. L’esortazione tocca anche la questione del rapporto
tra l’evangelizzazione e la cultura. A questo punto conferma l’autonomia del
Vangelo e dell’evangelizzazione e la loro non riconducibilità alle culture, ma
allo stesso tempo non esclude una certa compatibilità tra ambedue. Questa
compatibilità rende possibile che il Vangelo – malgrado la drammatica rottura con la cultura evidente nei nostri tempi – sia in grado di impregnarla e
di farla rigenerare promuovendo gli autentici e universali valori umani20.
Detto questo il papa considera fondamentale nella comprensione dell’evangelizzazione la testimonianza di vita. A questa forma di evangelizzazione
sono chiamati tutti i cristiani, provocando con il loro stile di vita, conforme
agli ideali evangelici, che i non credenti, o non cristiani oppure non praticanti si pongano le domande esistenziali e irresistibili. Una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto efficace e a volte più
18
Cfr. EN 17.
Cfr. EN 18-19.
20 Cfr. EN 20.
19
43
CAPITOLO SECONDO
eloquente delle parole21. Tuttavia questa prima proclamazione con il tempo
deve essere completata e resa esplicita attraverso l’annuncio della parola di vita. Difatti non c’è vera e piena evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la
vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio,
non sono proclamati chiaramente22. Tuttavia l’annuncio del Vangelo non
acquista tutta la sua dimensione se non è inteso ed accolto in modo che chi
lo ascolta non aderisca col cuore. Si tratta di un’adesione al Regno, al mondo nuovo, al nuovo stato di cose, alla nuova maniera di vivere che si concretizza mediante un ingresso visibile nella comunità dei fedeli che è la Chiesa
e quindi attraverso la vita sacramentale23. Infine, chi è stato evangelizzato riceve la missione di evangelizzare: è impensabile che un uomo abbia accolto la
parola e si sia dato al Regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia
ed annunzia, partecipando all’apostolato comune dei battezzati24.
2.3. L’oggetto: “Il contenuto dell’evangelizzazione”
Nel terzo capitolo l’Evangelii nuntiandi presenta il contenuto essenziale del Vangelo che, malgrado le circostanze mutevoli, rimane sempre vivo
senza essere modificato a pena di snaturare gravemente il Vangelo stesso. Il
primo oggetto dell’annuncio è Dio rivelato da Gesù Cristo nello Spirito
Santo, che non è una potenza anonima e lontana, ma il Padre che offre a
tutti il Suo amore e rende gli uomini Suoi figli25. In seguito al centro del
messaggio si trova la salvezza in/di Cristo come dono di grazie e misericordia
di Dio. Non è una salvezza immanente che si esaurisce nel quadro dell’esistenza spazio-temporale, ma che oltrepassa tutti i limiti: salvezza trascendente26. Per questo tutta l’evangelizzazione è impregnata intrinsecamente dalla
incancellabile speranza fondata sulle promesse fatte da Dio, storicamente già
adempiute ed escatologicamente non ancora pienamente manifestate. Tale
messaggio di speranza coinvolge tutta l’esistenza del credente, il quale però
la vive in modo particolare nelle celebrazioni sacramentali all’interno della
comunità ecclesiale27. Il Vangelo contiene anche il messaggio di liberazione,
sempre attuale. Pure oggi milioni di persone restano ai margini della vita a
causa delle carestie, delle malattie croniche, dell’analfabetismo, del pauperismo, dell’ingiustizia, del neo-colonialismo economico. L’Evangelii nuntiandi
21
Cfr. EN 21.
Cfr. EN 22.
23 Cfr. EN 23.
24 Cfr. EN 24.
25 Cfr. EN 26.
26 Cfr. EN 27.
27 Cfr. EN 28-29.
22
44
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
lega dunque intimamente il tema della liberazione alla promozione umana
intesa come piena e integrale crescita dell’uomo, che per raggiungerla, da
una parte ha il pieno diritto di accedere ai valori come giustizia, libertà, pace, rispetto ecc., e dall’altra orienta l’uomo e lo accompagna nel cammino
verso la definitiva realizzazione metastorica. In tal modo il documento del
magistero vuole superare qualsiasi riduzione o ambiguità nel modo di comprendere la liberazione cristiana, la riduzione che l’appiattirebbe alla dimensione politica, economica, sociale, culturale e che la confonderebbe con una
ideologia o sistema propri di certi gruppi politici. La liberazione propriamente cristiana percependo la natura spirituale dell’essere umano aperto verso l’“assoluto”, precisamente verso Dio, non può dare la stessa valenza a
quella temporale o politica, anche se non la esclude; tuttavia è evidente il
primato della liberazione evangelica e spirituale in quanto finalizzata alla
salvezza e alla beatitudine in Dio. Comunque non rinunciando al suo impegno di proclamare la liberazione integrale, la Chiesa lancia continuamente
l’appello al mondo ad edificare strutture sempre più umane, più giuste, più
rispettose dei diritti della persona senza però mai servirsi della violenza per
ottenere questi risultati e chiama ad una incessante conversione del cuore
umano. Essa riconosce anche il suo impegno cercando sempre più di suscitare numerosi cristiani che si dedichino alla liberazione degli altri. Offre a
questi cristiani «liberatori» una ispirazione di fede, una motivazione di amore fraterno, un insegnamento sociale e una formazione grazie alla quale potranno, come persone della Chiesa, promuovere nella vita sociale i valori
evangelici e la liberazione portata da Cristo28.
2.4. “Le vie dell’evangelizzazione”
Nell’esortazione il papa si interroga anche su “come evangelizzare”
nell’attuale contesto culturale e sprona specialmente i pastori a cercare i
modi più adatti e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico. Il
primo mezzo di evangelizzazione è la testimonianza. È mediante la sua condotta, la sua vita alla sequela del Signore Gesù che la Chiesa evangelizza il
mondo29. Un altro modo è quello della predicazione vivente. Paolo VI si richiama alle scoperte degli studiosi secondo i quali l’uomo moderno si mostra stanco di ascoltare, anzi avrebbe superato la civiltà della parola, creando
la civiltà dell’immagine. Questo dato dovrebbe essere preso in seria conside28
Cfr. EN 30-38. Il magistero successivo, inclusi anche i documenti della Congregazione
per la Dottrina della Fede, riprenderà e cercherà, a scanso di equivoci, di dare un vero ed
evangelico senso alla liberazione integrale dell’uomo.
29 Cfr. EN 40-41.
45
CAPITOLO SECONDO
razione dagli evangelizzatori per rendere il loro impegno effettivo in modo
che possa raggiungere l’attenzione dell’uomo d’oggi. Dall’altra parte però il
papa sottolinea che l’attualità delle nuove forme di comunicazione non può
diminuire la forza permanente della parola che resta sempre attuale, soprattutto quando è portatrice della potenza di Dio. Quella parola risuona particolarmente nella liturgia, soprattutto attraverso l’omelia. Infatti i fedeli “si
attendono molto da questa predicazione, e ne ricavano frutto purché essa sia
semplice, chiara, diretta, adatta, profondamente radicata nell’insegnamento
evangelico e fedele al magistero della Chiesa…”. In seguito viene valorizzato
l’insegnamento catechetico con cui si intende un insegnamento religioso sistematico che contiene i dati fondamentali e il contenuto vivo della verità
che Dio ha rivelato alla Chiesa e per mezzo di essa al mondo. La catechesi
va offerta innanzitutto ai fanciulli e agli adolescenti; tuttavia le condizioni
attuali rendono sempre più urgente l’insegnamento catechistico per i giovani e gli adulti. I padri sinodali mettono in rilievo anche la necessità di una
adeguata preparazione dei catechisti30. Per una maggiore efficacia della predicazione, Evangelii nuntiandi esorta a servirsi dei mezzi più moderni e
avanzati, in specie dei mass media e degli strumenti di comunicazione sociale. Usandoli la Chiesa “predica sui tetti” il messaggio che le è stato affidato e
così riesce a parlare alle moltitudini31. Un’altra forma di annuncio che resta
sempre valida è quella “da persona a persona”. Essa è molto frequente nella
vita e nella missione di Gesù e degli apostoli. Oggi dovrebbe essere praticata
dai sacerdoti nel sacramento della penitenza o nei dialoghi pastorali e spirituali con i fedeli, ma anche dai laici, nel loro apostolato quotidiano, dove
spesso i pastori non possono arrivare. Il momento di una particolare efficacia evangelizzatrice si realizza nella vita sacramentale quando la ricchezza
della parola comporta e rafforza il legame intimo tra l’uomo e il Cristo. La
qualità della vita sacramentale e il suo effetto nella vita del credente, richiedono però un solido sostegno della catechesi circa i medesimi sacramenti.
L’opera evangelizzatrice non può essere completata senza tener conto del valore della pietà popolare. La sua importanza è stata riscoperta da tanti vescovi presenti al sinodo. Poiché la religiosità popolare è spesso aperta alla
penetrazione di molte deformazioni della religione e di superstizioni, allora
deve essere “ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione”. È indiscutibile che “essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; (…) comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e
30
31
Cfr. EN 42-44.
Cfr. EN 45.
46
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
costante”; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce, apertura agli altri, devozione,
eroismo. Una tale pietà popolare più che religiosità va definita come religione del popolo32. Infine esistono ancora molte altre forme di attività che
possono essere di aiuto per l’evangelizzazione come l’arte, le scienze, la ricerca filosofica, il ricorso legittimo ai sentimenti umani ecc.33
2.5. “I destinatari dell’evangelizzazione”
Un altro argomento studiato dall’esortazione è quello dei destinatari
della missione compiuta dalla Chiesa. Il mandato di Gesù (Mc 16,15) conferisce all’evangelizzazione una dimensione universale; così anche gli apostoli
l’hanno compreso facendone un programma di azione, malgrado tutti gli
ostacoli. In effetti la Chiesa lungo oltre venti secoli compie la sua missione
universale nonostante le resistenze, gli impedimenti, le avversità, le contrarietà e le continue persecuzioni. Il sinodo comunque ha confermato la speranza che malgrado queste prove dolorose, alla fin fine l’opera dei cristiani
non verrà meno in nessuna regione del mondo. La finalità universale della
missione della Chiesa permette di individuare i gruppi specifici che sono destinatari dell’evangelizzazione. Prima di tutto quelli che sono i più lontani,
cioè quanti non hanno mai sentito la Parola di Dio. Nei loro confronti il
primo annuncio potrebbe essere designato con il nome di “pre-evangelizzazione”34. L’attenzione dei padri sinodali si rivolge anche a quanti pur
essendo battezzati vivono, a causa della sempre progressiva scristianizzazione, al di fuori della vita cristiana. Un altro gruppo a cui è indirizzata l’evangelizzazione sono le persone e i popoli interi che appartengono alle altre religioni. Tutto il rispetto e la stima verso di esse, anzi il riconoscere il loro
valore e le loro ricchezze non dispensa i cristiani dall’annuncio di Cristo di
fronte ai non cristiani. Le altre religioni sebbene tengano le braccia tese verso il cielo, comunque non riescono di per sé a stabilire e garantire un rapporto pieno ed autentico con Dio. Pertanto anche i loro membri, secondo
l’esortazione, hanno il diritto di ascoltare e conoscere il messaggio su e di
Cristo, in modo da poter trovare in Lui tutto ciò che cercano a tentoni su
Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità 35. Dato
il contesto attuale del secolarismo e dell’ateismo militante, la Chiesa ritiene
indispensabile e di capitale importanza abbracciare con l’opera evangelizza32
Cfr. EN 46-48.
Cfr. EN 51.
34 Cfr. EN 49-51.
35 Cfr. EN 53.
33
47
CAPITOLO SECONDO
trice la vita e la fede dei cristiani esposti a vari rischi e prove, ma anche bisognosi di approfondire, consolidare e nutrire continuamente la loro fede36. In
seguito il papa esprime la sua significativa preoccupazione nei confronti di
due sfere differenti ma allo stesso tempo anche vicine per la sfida che lanciano all’evangelizzazione. La prima percepita all’interno del progressivo aumento della non credenza nel mondo moderno e definita con il concetto del secolarismo – a differenza della secolarizzazione – che comprende le varie correnti
di pensiero, valori e contro-valori, aspirazioni latenti o semi di distruzione
che in fin dei conti confluiscono nel fenomeno chiamato “umanesimo ateo”,
spesso pragmatico, programmatico e militante. Per secolarismo la esortazione
intende “una concezione del mondo nella quale questo si spiega da sé senza
che ci sia bisogno di ricorrere a Dio”, divenuto superfluo e ingombrante; il
secolarismo “finisce col fare a meno di Dio ed anche col negarlo”. Una seconda sfera è quella dei non praticanti, cioè i battezzati che non hanno rinnegato formalmente il loro battesimo, ma ne sono completamente al margine e
non lo vivono. Non di rado spiegando e giustificando il loro atteggiamento
in nome di una religione interiore, autonoma, personale ecc., cadono nell’inerzia, nello scetticismo e nella privatizzazione dell’esperienza religiosa. Anche
queste due sfere costituiscono le sfide dell’evangelizzazione e chi vi sta dentro
pure diventa parimenti il destinatario dell’opera missionaria della Chiesa verso cui essa esprime la sua premura e preoccupazione37. Come ultimo gruppo
di destinatari vengono individuate le cosiddette “comunità ecclesiali di base”
che, per quanto possano differire tra di loro, se però sempre rimangono in
piena comunione con la Chiesa, diventano “ascoltatrici del Vangelo” e “destinatarie privilegiate dell’evangelizzazione”. Nella parte conclusiva del capitolo
il documento evidenzia l’universalità dell’opera evangelizzatrice in quanto essa deve risuonare continuamente “nel cuore delle masse”38.
2.6. “Gli operai dell’evangelizzazione”
Secondo i padri sinodali non si poteva riflettere sulla questione dell’evangelizzazione senza considerare il tema degli operai, ovvero di tutti coloro
che partecipano e sono responsabili dell’opera missionaria. Come è stato affermato all’inizio dell’esortazione e in conformità con il decreto Ad gentes
del concilio Vaticano II, la Chiesa tutta intera è missionaria per sua natura e
quindi l’evangelizzazione rappresenta non una azione individuale e isolata,
ma è da comprendere come un atto essenzialmente ecclesiale. Perciò chi evan36
Cfr. EN 54.
Cfr. EN 55-56.
38 Cfr. EN 57-58.
37
48
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
gelizza, anche se in certe circostanze da solo, non predica se stesso e le sue
proprie idee, bensì trovandosi sempre in una profonda comunione con la
Chiesa annuncia in nome della Chiesa il messaggio del quale la Chiesa per il
mandato divino è depositaria39. L’esortazione raccomanda l’unione tra la
Chiesa universale e le chiese particolari nell’attività missionaria. Invita tutti
gli operai dell’evangelizzazione ad adottare un linguaggio in grado di giungere ai cuori dei destinatari. Il concetto del linguaggio non si limita al suo
aspetto verbale, semantico o letterario ma a quello più ampio, cioè antropologico – culturale. Tuttavia con l’adattamento delle nuove forme linguistiche
ai diversi ambienti culturali, sociali, razziali, non si deve perdere né deviare
l’essenza del messaggio evangelico. Inoltre si insiste che gli operai che lavorano nei contesti particolari e specifici mantengano il legame delle loro comunità con la Chiesa universale e rimangano fedeli al deposito della fede
affidato agli apostoli e ai loro successori40. Seppure tutta la Chiesa abbia la
missione di evangelizzare, questo tuttavia non esclude la diversità di servizi e
di attività che costituiscono la ricchezza e la bellezza dell’evangelizzazione. Il
ministero preminente di insegnare la verità rivelata spetta ad ogni successore
di Pietro; al suo vicario, infatti, Cristo ha conferito la potestà piena, suprema e universale per il governo pastorale della Chiesa e in ordine a predicare
e a far predicare la buona novella della salvezza41. Uniti al successore sono i
vescovi che ricevono l’autorità per insegnare la verità rivelata. A loro invece
“sono associati nel ministero dell’evangelizzazione coloro che mediante
l’ordinazione sacerdotale «agiscono in persona di Cristo». Tutti i pastori
dunque sono chiamati ad annunziare il Vangelo di Dio. Questo fa parte della loro identità42. In modo del tutto specifico partecipano all’evangelizzazione i religiosi attraverso la vita consacrata, con cui si collocano nel dinamismo della Chiesa chiamata alla santità. Loro sono testimoni di questa
santità, anzi la loro testimonianza è primordiale nell’evangelizzazione. Nel
loro caso quest’ultima si realizza per mezzo di preghiera, silenzio, penitenza,
sacrificio, opere di carità. La loro consacrazione li rende liberi per lasciare
tutto ed annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo 43. Il vasto campo
dell’opera missionaria è stato affidato ai laici: il mondo complesso e difficile
della politica, della realtà sociale, dell’economia, della cultura, delle scienze,
delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione so39
Cfr. EN 59-60.
Cfr. EN 61-65.
41 Cfr. EN 66-67.
42 Cfr. EN 68.
43 Cfr. EN 69.
40
49
CAPITOLO SECONDO
ciale, ma soprattutto la trasmissione dei valori evangelici nei rapporti interpersonali, nei posti di lavoro, nelle associazioni o comunità fondate e gestite
da loro. Il primo e il più privilegiato luogo dell’evangelizzazione è costituito
dalla famiglia, in cui tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati.
Il documento non dimentica di parlare del ruolo dei giovani, della loro
formazione religiosa e di quanto siano importanti per il futuro della Chiesa
e della sua vocazione missionaria44. Tutto questo elenco di coloro che assumono l’incarico di evangelizzare mostra quanto sono diversificati i ministeri
a loro affidati e contemporaneamente quanta ricchezza c’è nella Chiesa circa
i modi di evangelizzazione. La Chiesa, consapevole e responsabile di questi
doni e carismi, vuole sensibilizzare e coinvolgere tutti quanti nella missione
evangelizzatrice affidata ad essa e quindi a tutti i battezzati dal Cristo stesso.
2.7. “Lo Spirito dell’evangelizzazione”
L’ultima parte dell’esortazione medita sul tema dello spirito dell’evangelizzazione. Anche se questo argomento è stato trattato nella parte finale,
tuttavia il papa dà ad esso uno spessore e un valore rilevante per la piena e
completa visione cristiana dell’evangelizzazione. Egli “lancia un pressante
appello riguardante le attitudini interiori che devono animare gli operatori
dell’evangelizzazione”, che la renderanno “non soltanto possibile ma anche
attiva e fruttuosa”. La prima condizione per un’autentica evangelizzazione è
la presenza e l’azione dello Spirito Santo. Il sinodo dei vescovi del 1974 ha
molto insistito sul ruolo dello Spirito Santo nell’evangelizzazione. Di fatto,
come il ruolo e l’attività dello Spirito si erano resi manifesti nell’esistenza
storica di Gesù Cristo, così il Corpo di Cristo, che è la Chiesa, e la sua attività, radicata nell’evento pasquale e fondata nella Pentecoste, non è immaginabile senza l’effettiva presenza dello Spirito Santo. Egli è l’anima della
Chiesa, perciò ogni evangelizzatore deve lasciarsi possedere e condurre da
Lui. Infatti le più perfette e raffinate tecniche e i più elaborati schemi a base
sociologica, o psicologica rimangono vuoti e privi di valore senza di Lui, per
mezzo del quale il Vangelo penetra nel cuore del mondo. Per questo lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione, ma anche il suo termine45. Riguardo alla persona stessa degli evangelizzatori, l’esortazione sottolinea l’importanza dell’autenticità, della coerenza o, meglio ancora, della testimonianza. Quest’ultima è divenuta più che mai una condizione essenziale
per l’efficacia della predicazione. Il papa ricorda a tutti i membri della Chiesa che il loro zelo per l’evangelizzazione deve scaturire da una vera santità di
44
45
Cfr. EN 70-73.
Cfr. EN 74-75.
50
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
vita, e che la predicazione deve essere alimentata dalla preghiera e soprattutto dall’amore all’eucaristia. Così l’opera evangelizzatrice realizzata dal credente, lo farà crescere ancora più in santità46. Ciò che ostacola gravemente
la diffusione del Vangelo sono le varie divisioni dei cristiani: le discussioni
dottrinali, le polarizzazioni ideologiche, le reciproche condanne. La credibilità dei cristiani e del loro annuncio del messaggio di Gesù si manifesta attraverso la loro unità. Gli evangelizzatori sono chiamati ad offrire al mondo
l’immagine dei cristiani non in quanto uomini divisi e separati, bensì come
persone mature nella fede e capaci di ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni. Per questo l’evangelizzazione è legata alla testimonianza di unità. Tale
unità, anche se è dono del Signore, richiede però un impegno concreto dei
fedeli. A questo proposito i padri sinodali insistono innanzitutto sull’intensificare la preghiera e la collaborazione con i fratelli delle altre chiese cristiane47. Lo spirito dell’evangelizzazione richiede anche un amore sincero
verso la verità, quella verità che è stata rivelata e trasmessa a noi da Dio. Pertanto il predicatore ha il dovere di ricercare e approfondire continuamente
la verità divina per poterla trasmettere fedelmente senza offuscarla; egli non
deve mai rinunciare a questo impegno né per pigrizia, né per comodità né
per paura48. Lo spirito dell’evangelizzazione suppone anche un amore fraterno verso coloro che sono destinatari della Parola di Dio. Si tratta di un
amore che si esprime in diverse maniere: mediante l’affezione paterna; mediante il rispetto della situazione religiosa e spirituale delle persone evangelizzate, delle loro coscienze e convinzioni; mediante l’attenzione a non ferire
l’altro, soprattutto a chi fa fatica nel suo cammino verso la fede; e anche mediante lo sforzo di trasmettere alcune certezze solide ancorate nella Parola di
Dio49. Infine il papa esorta tutti gli evangelizzatori a trovare nell’esempio
dei grandi santi che hanno dedicato tutta la loro vita all’apostolato
un’inestinguibile ispirazione per alimentare il fervore del loro spirito. Senza
questo fervore si ricade nella stanchezza, nella delusione, nell’accomodamento, nel disinteresse, nella mancanza di gioia e di speranza. Da qui un
forte appello del papa a conservare il fervore dello spirito, la dolce e confortante gioia di condividere il Vangelo – seppur a volte tra le lacrime e le fatiche – con gli altri che l’attendono e che hanno il diritto di ascoltarlo50.
46
Cfr. EN 76.
Cfr. EN 77.
48 Cfr. EN 78.
49 Cfr. EN 79.
50 Cfr. EN 80.
47
51
CAPITOLO SECONDO
3. Le sfide e le ripercussioni dottrinali e pastorali dell’Evangelii
nuntiandi nel suo contesto
3.1. Il legame intrinseco «Chiesa – Vangelo – missione» e la perenne
attualità del mandato ad gentes
Come è stato accennato all’inizio del capitolo, con la data del 1968,
assunta convenzionalmente, inizia una svolta culturale, sociale e politica caratterizzata dalla diffusa e onnipresente contestazione che ha forti ripercussioni anche nella vita della Chiesa che ancora respira dell’entusiasmo del
Concilio Vaticano II. Intanto, come afferma P. Gheddo, appaiono le prime
significative crisi della fede e soprattutto dell’idea della missione. In realtà
diventava sempre più complicato definire che cos’è la missione alle genti. La
confusione di voci e una certa teologia disincarnata dalla realtà minavano le
fondamenta dell’ideale missionario, mal intendendo o andando contro la
dottrina del Vaticano II. Diventavano sempre più frequenti le ipotesi –
d’altronde entrate nel sentire comune – che proclamavano l’inutilità dell’opera missionaria ad gentes. Tra queste tesi alcune sono le più emblematiche: 1)
la Chiesa è fondata in tutto il mondo, sono le giovani Chiese che devono
annunziare Cristo ai loro popoli e alle culture dei loro territori; 2) ormai i
non cristiani sono anche in Europa e nel mondo occidentale, la missione
alle genti è dunque qui, non altrove; 3) in Europa mancano drammaticamente le vocazioni, i sacerdoti; perché mandare i missionari agli altri continenti se sono necessari qui? 4) non è importante che i popoli si convertano
a Cristo, purché prendano il messaggio di amore, di giustizia e di pace; 5)
ogni religione ha i suoi valori e tutte portano a Dio, che senso ha il “proselitismo” missionario verso altri popoli? 6) il “proselitismo” è finito; bisogna
fare in modo che il cristiano sia un miglior cristiano, il musulmano un miglior musulmano, il buddhista un miglior buddhista ecc.51
Queste provocazioni stanno anche sullo sfondo dell’intenzione per
cui Paolo VI sentiva indispensabile convocare il sinodo del 1974 sull’evangelizzazione e poi ribadire l’attualità dell’insegnamento ecclesiale sulla missio ad gentes con l’esortazione. Come afferma Nunnenmacher le implicazioni e conclusioni di un peculiare spessore, attinente al tema della perenne
vocazione missionaria della Chiesa, si trovano già nel primo capitolo, particolarmente al n. 15, dell’Evangelii nuntiandi, dove il testo indica cinque
punti nei quali il legame intimo evidenziato dal “doppio” carattere ecclesiale
– missionario della medesima tematica. In sintesi, si distinguono le idee seguenti: La Chiesa stessa è frutto della missione e allo stesso tempo essa è la
51
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 55-56.
52
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
condizione della missione. A parere del docente della Pontificia Università
Urbaniana si distinguono le seguenti idee: 1) La Chiesa stessa è frutto della
missione (“nasce dall’evangelizzazione”); 2) “nata di conseguenza dalla missione, la Chiesa è, a sua volta, inviata da Gesù”, riceve la sua condizione di
evangelizzatore e di continuare la missione; 3) un altro aspetto non trascurabile è che l’evangelizzazione della Chiesa “comincia con l’evangelizzare se
stessa”; 4) quanto al contenuto del Vangelo, la Chiesa lo ha ricevuto come
un prezioso tesoro vivo “non per tenerlo nascosto, ma per comunicarlo”; 5)
infine l’autore mette in risalto che, in quanto “inviata ed evangelizzata, la
Chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori”, aggiungendo però che “né essi
né essa sono padroni e proprietari” del Vangelo, ma “ministri per trasmetterlo con estrema fedeltà”. In effetti, in questa parte dell’esortazione di papa
Paolo VI, Nunnenmacher individua uno dei tratti più caratteristici52.
3.2. “Chiesa – mondo – Regno” – la svolta politica della missione nel
post-concilio
Con questo punto si tocca un argomento molto delicato, ma anche
nevralgico per quanto riguarda la problematica della missionarietà della
Chiesa, per come è stata prospettata dall’Evangelii nuntiandi e per come si
era confrontata con lo spirito dell’epoca in cui è stata emanata. Per tale ragione è necessario soffermarci un po’ più a lungo su questo aspetto lasciandoci accompagnare da alcune osservazioni di G. Canobbio53.
Il terzo capitolo dell’Evangelii nuntiandi, che tratta dell’oggetto
dell’evangelizzazione, tra cui anche le questioni antropologiche e sociologiche, si inserisce in un ampio orizzonte del pensiero teologico sorto all’inizio
degli anni settanta dello scorso secolo caratterizzato da una marcata dimensione politica. Infatti, in quel periodo alcuni teologi, protagonisti della cosiddetta svolta politica della teologia, cercavano di riflettere sulla missione
in quanto “liberata” dalle strettoie ecclesiologiche. Nei suoi presupposti questa corrente teologica, nota Canobbio, con il suo metodo induttivo – pragmatico, conduceva all’assunzione di una riflessione critica che partiva dalla
drammatica situazione del mondo. Di conseguenza, la missione della Chiesa
non può essere delineata a partire dalla sua propria natura, ma al contrario,
la Chiesa deve essere descritta a partire dalla missione, il cui contenuto viene
indicato dalla situazione del mondo: la Chiesa si costruisce agendo nella
52
Cfr. E. NUNNENMACHER , “La natura missionaria della Chiesa”, 101.
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 142-149. Nella
ulteriore esposizione della tematica riguardante l’Evangelii nuntiandi ci si è serviti ampiamente della profonda ed accurata analisi dello stesso autore e del suo saggio.
53
53
CAPITOLO SECONDO
storia, per cui la riflessione teologica non può avviarsi con una nozione
astratta di Chiesa, dalla quale potrebbe dedurre i contenuti e le modalità
della missione: deve piuttosto partire dal “luogo” in cui la Chiesa opera: è
questo infatti che ne dice il senso e ne delinea l’identità; se la Chiesa è per il
mondo è questo che stabilisce l’agenda dei lavori.
Si evidenzia qui un radicale ripensamento del rapporto tra Chiesa,
mondo e Regno. Se finora si pensava alla Chiesa come realtà intermedia, e
quindi mediazione, tra il Regno e il mondo, ora si ritiene che il mondo sia
la mediazione tra il Regno e la Chiesa. Il mondo, infatti, è il luogo del Regno di Dio al cui servizio la Chiesa è posta. La Chiesa, in base a ciò, non sarebbe che una visibilizzazione storica del Regno e la sua identità sarebbe
configurata solo a condizione che la sua prassi corrisponda al Regno 54.
Questa visione ha trovato un’esplicitazione nell’opera di L. Rütti, in cui la
missione si fonda sulla promessa di Dio di creare un mondo nuovo e consiste nella responsabilità dei cristiani davanti al mondo, nella speranza di trasformarlo. Tale speranza, tuttavia, non è introdotta nel mondo dalla Chiesa,
ma vi è già presente in forza della promessa di Dio. In tal senso la Chiesa
non conosce già prima di agire quale sia il suo compito, ma lo impara dal
mondo. La missione non è dunque deducibile dalla natura stessa della Chiesa, come ancora afferma il Vaticano II; la Chiesa sarebbe piuttosto compresa
come momento integrante della storia della promessa e quindi è essa stessa
storica, in quanto “il libero, aperto processo della storia dischiuso dal futuro
costituisce il suo orizzonte”55. In tale ottica la Chiesa si comprenderebbe
come comunità dell’esodo; non ha se stessa al centro, ma sta in posizione
eccentrica; è Chiesa per il mondo, in quanto è Chiesa per il Regno di Dio e
quindi per il rinnovamento del mondo, per il progresso dell’umanità. Solo
una Chiesa che si aliena e si espropria nel mondo può rompere il circolo
Chiesa – missione, il quale rinchiude l’una e l’altra in un ambito salvifico
separato dal mondo e quindi toglie l’universalità della promessa 56. La missione consiste pertanto “nella responsabilità della speranza nella situazione
storico – concreta del mondo”, al cui sviluppo contribuisce costantemente57.
54
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 142.
L. RÜTTI, Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen,
München-Mainz 1972, 125.
56 Cfr. L. R ÜTTI , Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen,
286.
57 L. R ÜTTI , Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen, 80.
55
54
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
3.3. “Chiesa – prassi sociale – salvezza” – la missione nel contesto
della teologia della liberazione
Se la riflessione “classica” sulla missione era aperta all’orizzonte escatologico del Regno di Dio, in America Latina sotto la spinta di urgenze politiche e sociali nasceva la teologia della liberazione, nella quale si riscontra
il luogo di maggiore sviluppo della comprensione socio–politica della missione58. Tuttavia alcune correnti all’interno della teologia della liberazione
pretendevano di essere un teologare prima che una teologia e in quanto tali
cercavano agganci notevoli con molte teologie contestuali. Queste correnti
sviluppavano in effetti una riflessione mirata a identificare la missione della Chiesa con la prassi di liberazione degli oppressi, perché questa dovrebbe essere l’esigenza primaria del mondo latino-americano; il mondo impoverito (empobrecidos) nel quale stabilire il Regno deve coincidere con l’affermarsi della giustizia e della liberazione59. Lo scopo della Chiesa non sarebbe quindi quello di dilatare se stessa, ma di servire il Regno impegnandosi e ritrovando la sua vera vocazione nell’impegno sociale, economico e
politico.
L’orientamento “socio–politico” della missione appariva ineludibile in un mondo che manifestava sempre più le sue contraddizioni alla
luce del Regno che Cristo aveva introdotto e che coincideva, stando alla
prassi e alla predicazione di Gesù, con un’umanità buona, vera, felice sulla strada della prosperità. Se la Chiesa voleva porsi a servizio del Regno,
pena perdere il suo senso e divenire il luogo della non-salvezza, non poteva che lavorare allo stabilirsi di un nuovo ordine mondiale. Il suo
compito è quello di opporre resistenza alle forze dannose ancora all’opera,
dedicandosi alla lotta contro ogni alienazione e disordine sociale, economico e politico. Canobbio nota che in tale visione l’annuncio del
Vangelo, la plantatio della Chiesa là dove essa ancora non esisteva e la
dimensione meta-storica della salvezza venivano spostati in secondo piano – se non erano dimenticati – rispetto all’impegno pragmatico per una
nuova umanità. Il Regno di Dio non coincide con lo stabilirsi della Chiesa,
ma con un’umanità liberata da ogni forma di disuguaglianza, di sofferenza, di ingiustizia ecc.60.
58
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 143.
Cfr. L. GALLO, “La teologia latinoamericana e la missione, in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 1 (1997) 2, 214-235.
60 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 143-144.
59
55
CAPITOLO SECONDO
3.4. La missione della Chiesa: annuncio o liberazione politica? –
l’Assemblea del Sinodo dei vescovi del 1971
Sempre in quel periodo, della prima metà degli anni ’70, il problema
del compito specifico della Chiesa appariva pertanto necessariamente vivo e
attorno ad esso sorgevano conflitti tra coloro che ritenevano che la Chiesa
dovesse solo annunciare il Vangelo e coloro che sostenevano invece che
avesse una funzione politica. In ultima analisi, era in gioco il contenuto
stesso del Vangelo: è messaggio di salvezza escatologica o storica? Era in gioco altresì l’identità della Chiesa: è il segno e lo strumento della comunione
degli uomini con Dio o degli uomini tra di loro e con le strutture socio–
politiche? Il problema era acuto per cui non poteva passare inosservato alle
istanze istituzionali della Chiesa cattolica e al suo Magistero. In effetti nel
1971 è stata convocata l’Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata a due
temi di cui il secondo doveva rispondere alle questioni che sono oggetto del
nostro interesse61. Il documento finale di questo Sinodo era intitolato “La
giustizia nel mondo” e sviluppava una riflessione in quattro parti precedute
da un’Introduzione: 1. La giustizia e la società mondiale; 2. Il messaggio
evangelico e la missione della Chiesa; 3. L’attuazione della giustizia; 4. Una
parola di speranza. Senza entrare in una analisi dettagliata del testo sinodale
sarà sufficiente riportare qui un asserto che diventa l’asse intorno al quale si
svolge tutta la successiva riflessione dei padri sinodali: “L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente
come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della
missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione
da ogni stato di cose oppressive”62. Tale atteggiamento della Chiesa trova
certamente il suo fondamento e la sua giustificazione teoretica nel Vangelo.
Infatti se l’essenza del messaggio evangelico è l’amore, questo implica anche
l’impegno per la giustizia perciò, come afferma il documento, “la missione
di predicare il Vangelo, ai nostri giorni, richiede che ci impegniamo per la
totale liberazione dell’uomo già nella sua esistenza terrena”63. Secondo Canobbio l’espressione “ai nostri tempi” (e nella frase successiva ripetuta parlando degli “uomini del nostro tempo”) lascia intendere che nella comprensione della missione della Chiesa la situazione nella quale essa si attua svolge
un ruolo determinante: come se la missione non fosse più fissata una volta
per tutte, ma assumesse connotazioni particolari a seconda dei tempi; invece
61
Difatti il sinodo aveva lavorato su due argomenti: “Il sacerdozio ministeriale” (EV 4/
1134-1237) e “La giustizia nel mondo” (EV 4/1238-1308).
62 EV 4/1243.
63 EV 4/1270.
56
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
il teologo bresciano esplicita che tali connotazioni particolari non vengono
ricavate semplicemente dai “tempi”, ma dal messaggio evangelico; i “tempi”
hanno piuttosto solo la funzione di provocare un’esplicitazione del messaggio64. Un’altra osservazione, di grande importanza scaturisce dall’uso dell’espressione “dimensione costitutiva”; ma questo sarà l’oggetto della riflessione
nel paragrafo seguente.
3.5. Evangelii nuntiandi contro ogni riduzionismo
La questione della giustizia e dell’impegno sociale e politico della
Chiesa per una nuova umanità, una “umanità riuscita” è diventato anche
uno degli argomenti trattati dall’altro Sinodo dei vescovi del 1974 dedicato
appositamente all’evangelizzazione del mondo contemporaneo. L’effetto del
lavoro sinodale era l’Esortazione Evangelii nuntiandi che si riferiva anche ai
problemi derivanti dal contesto sopra delineato. Il documento, pur rimanendo essenzialmente in continuità con “La giustizia nel mondo”, si distingue per come pone gli accenti su certe questioni.
Il primo elemento caratteristico dell’esortazione è la maggiore importanza data al termine “evangelizzazione”, quasi come se sostituisse la “missione”; in realtà non è così, anzi emerge ancor di più il legame stretto tra la
missione e l’evangelizzazione. La scelta dell’“evangelizzazione” indica già un
preciso contenuto della missione della Chiesa. L’evangelizzazione si riferisce
alla Parola di Dio, più precisamente a Cristo come evangelizzatore65. Da
Cristo si passa quindi alla Chiesa; richiamandosi ad una delle dichiarazioni
del Sinodo, il papa afferma che “il mandato di evangelizzare tutti gli uomini
costituisce la missione essenziale della Chiesa”, per cui “evangelizzare deve
essere ritenuta la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità
più profonda. La Chiesa esiste per evangelizzare, cioè per predicare ed insegnare la parola di Dio, per essere lo strumento attraverso il quale giunge a
noi il dono della grazia, perché i peccatori si riconcilino con Dio…” 66.
L’evangelizzazione diventa quindi l’elemento che congiunge strettamente
Cristo con la Chiesa67. Deve però essere salvaguardata dalle descrizioni riduttive. L’evangelizzazione consiste nel “portare la buona novella in tutti gli
strati dell’umanità e con il suo influsso trasformare dal di dentro, rendere
nuova l’umanità stessa”68. La trasformazione sta poi nel far accettare nuovi
64
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 145-146.
Cfr. EN 6-12.
66 EN 14.
67 Cfr. EN 16.
68 EN 18.
65
57
CAPITOLO SECONDO
criteri di giudizio, nuovi modelli di vita, conformi alla Parola di Dio. È
quello che vuol dire essenzialmente “evangelizzare le culture” 69. L’evangelizzazione infatti porta un messaggio esplicito, adatto alle diverse situazioni,
costantemente attuato70, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla
vita familiare senza la quale la crescita personale difficilmente è possibile,
sulla vita sociale, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo;
un messaggio infine, particolarmente valido e vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione71.
In questo contesto entra il tema del rapporto tra liberazione e Regno
di Dio: la Chiesa non può identificare una qualsivoglia liberazione con
l’avvento del Regno di Dio. Si rende evidente una critica alle tendenze
emergenti in alcune correnti di pensiero, già presentate prima, secondo le
quali la liberazione socio–politica e il progresso economico uguale per tutti
sarebbe già avvento del Regno di Dio. Nel n. 35 dell’esortazione Paolo VI
conferma la verità che la dimensione trascendente è indispensabile e fondamentale affinché si possa parlare cristianamente della liberazione integrale,
che conduca cioè alla beatitudine di Dio72.
Appare comunque chiaro che l’Evangelii nuntiandi, da una parte
vuole evitare ogni riduzione dell’evangelizzazione alla promozione umana,
al progresso, alla liberazione o alla soluzione dei problemi sociali ecc.,
dall’altra però non li rimuove ma li include in una visione completa della
salvezza il cui fondamento è ontologicamente meta-storico (attenzione, non
a-storico!). In tal modo mostra che l’accento cade non più sulla missione
della Chiesa, intesa come evangelizzazione (sul “fare”), ma sul contenuto di
questa (sul “che cosa”): esso consiste in una liberazione che va oltre le forme
di liberazione ridotte alle dimensioni immanenti e intra-storiche73.
Sullo sfondo delle preoccupazioni dell’esortazione apostolica si profila una vicenda storica, quella che ha condotto alla separazione di Chiesa e
società moderna, che ora alcuni vorrebbero superare identificando la missione della Chiesa con la promozione umana e lo sviluppo mondiale. Questo tentativo diventa un appiattimento della Chiesa sulla società e quindi
della salvezza in Gesù Cristo sulle liberazioni storiche. Si evidenzia inoltre
una critica alla concezione teologica secondo cui il compito della Chiesa sarebbe quello di introdurre soltanto la salvezza escatologica, indifferente
69
EN 20.
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 146.
71 Cfr. EN 29-35.
72 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 147.
73 Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 147.
70
58
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
dunque alla dimensione sociale e storica. Anche questa, come mette in risalto Evangelii nuntiandi, non è coerente con la natura e la missione della
Chiesa.
Anche se l’insistenza sul rapporto tra l’evangelizzazione e la liberazione è chiara, tuttavia – conclude Canobbio – non può sfuggire al lettore
una differenza di accento tra il documento finale del sinodo del 1971 “La
giustizia nel mondo” e l’Evangelii nuntiandi. Infatti il primo affermava che
l’impegno per la giustizia è costitutivo dell’evangelizzazione o missione della
Chiesa. La seconda invece lo considera una parte integrante, quando al n. 29
dice che l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto della
vita concreta, personale e sociale dell’uomo74.
3.6. L’idea dell’inculturazione, il timore delle Chiese africane, gli interrogativi inevitabili
L’evangelizzazione realizzata dalla Chiesa si incontra con un mondo
che non è omogeneo, dal punto di vista sociale, culturale o religioso. Se
prima si cercava di puntare sulla questione sociale nell’opera missionaria,
ora emerge la problematica del rapporto tra il Vangelo e le culture. Il concetto stesso di “cultura” non si riconduce solamente al bagaglio di conoscenze, usanze, effetti di lavoro che dalle civiltà passate giungono ad oggi,
ma soprattutto a un insieme di valori, di simboli, di segni che connotano i
vari popoli, le nazioni, le etnie e le altre forme sociali. Tale concezione – pur
sintetica, ma più allargata – richiedeva un nuovo collegamento tra il Vangelo, che ha valore universale, e le diverse culture. La missione si attua dunque
nella forma dell’inculturazione. Tale istanza era già avanzata negli anni ’40
ed è stata accolta dall’Ad gentes la quale chiama ad entrare “in ogni vasto
territorio socio-culturale” per studiarne il patrimonio umano e culturale. In
tal modo si potrà realizzare un incontro della tradizione cristiana con la visione della vita e la struttura sociale di un ambiente e di conseguenza rendere la vita cristiana più commisurata/adatta al genio e all’indole di ciascuna
cultura senza cadere in alcun tipo di sincretismo75. In effetti, se da una parte
si voleva esplicitare che il cristianesimo, benché legato alla civiltà europea,
non si identifica con la veste culturale occidentale, dall’altra parte il medesimo cristianesimo esprime il bisogno di assimilare le culture degli altri continenti riconoscendo il loro valore e la dignità.
Tuttavia durante il Sinodo su “L’evangelizzazione del mondo contemporaneo” del 1974 è risultata insufficiente l’idea dell’aptatio e dell’accom74
75
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 147.
Cfr. AG 22.
59
CAPITOLO SECONDO
modatio76 come forma di incontro tra il Vangelo e le culture indigene. Soprattutto i vescovi dell’Africa hanno espresso il loro parere critico nella dichiarazione “Evangelizzazione e corresponsabilità”77, considerando “completamente superata una certa teologia dell’adattamento” e avanzando contemporaneamente “la teologia dell’incarnazione”. Sul piano pratico loro ricusavano la proposta dell’invio di missionari stranieri nelle Chiese africane;
proposta voluta dall’Assemblea per esplicitare e rendere visibile la comunione tra le Chiese; anzi, a volte si poteva assistere a un quasi esodo di missionari stranieri. Intanto le Chiese africane spiegavano il loro atteggiamento
con la necessità di scoprire la loro identità e di superare la situazione di dipendenza, per poter giungere ad un’autentica e tanto aspettata africanizzazione del cristianesimo. Certo che dietro queste posizioni si risentiva ancora
l’idea della missione in quanto plantatio Ecclesiae nel senso di trapiantare in
altri luoghi del mondo la Chiesa come si era storicamente configurata in
Europa78. Tuttavia ci si è forse presto scordati che tale idea è stata già superata dal Vaticano II con la Lumen gentium 13 che esplicita e favorisce le diversità delle culture e delle Chiese che convergono nell’unità del popolo di
Dio.
Anche se la categoria stessa dell’inculturazione non è trattata esplicitamente e non trova un determinato e specifico spazio nel documento papale, nondimeno non si può dire che la tematica stessa sia assente o mancante.
Di fatto la sfida dell’inculturazione, l’universalità del Vangelo e la sua concreta incarnazione nella storia impongono alcune domande inevitabili che
trovano il loro impulso proprio nell’attenta lettura dei primi tre capitoli
dell’Evangelii nuntiandi, dedicati alla natura evangelizzatrice e missionaria
della Chiesa (cap. 1), al significato stesso dell’evangelizzazione (cap. 2) e al
suo contenuto (cap. 3). La prima osservazione, secondo il parere di Canobbio, riguarda il postulato sopramenzionato che proclamava la necessità di
passaggio dall’“adattamento” all’“incarnazione”, il che pone non pochi problemi. Se da un lato si voleva sganciare il cristianesimo da una storia culturale particolare (europea), dall’altro lasciava intendere che si potesse trovare
76
Cfr AG 22.
Il testo integrale della Dichiarazione in G. BUTTURINI (a cura di), Le nuove vie del vangelo. I vescovi africani parlano a tutta la Chiesa, Bologna 1975, 287-291.
78 Sulle attuali correnti teologiche che si inseriscono nella stessa linea, si veda ad esempio:
B. DI MPASI LONDI, “Dinamica del pensiero teologico africano sulla missione”, in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 1 (1997) 2, 174-197. A. POZZI, “Africa. Per la
teologia nuova primavera o riflusso?”, in http://www.centrofernandes.it/africa%20teologia.htm; U. PICCOLI, “Percorsi di teologia in Africa”, (26.04.2012), in http://www.noidibussolengo.org/percorsi-di-teologia-in-africa/.
77
60
EVANGELII NUNTIANDI DI PAOLO VI
un cristianesimo “distillato”, puro, originario, che avrebbe potuto creare
nuove sintesi unendosi ad altre culture. Ora, dove si può trovare questo cristianesimo? Nel Vangelo? Ma il Vangelo stesso non esiste senza una cultura.
Del resto, l’evento cristiano è l’evento storico, avvenuto nell’ambiente giudaico ed ellenico. E se non si vuole cadere in una forma di gnosticismo o di
una astratta spiritualità, non si può togliere a Gesù la sua radicazione
nell’ebraismo; agli apostoli e agli autori scritturistici nell’ambiente giudaico
ed ellenistico. Perciò si giunge al cuore del problema dell’annuncio evangelico nelle culture: come può un evento storico che ha valore universale essere
liberato da ciò che lo ha reso possibile e accessibile storicamente in modo
tale che, appunto, senza la sua storicizzazione e concretizzazione non potrebbe essere mai conosciuto?!79
3.7. La priorità veritativa e la funzione profetica del Vangelo
Stanti questi problemi cruciali, diventa facilmente percettibile che
anche l’istanza dell’inculturazione sia stata assunta dall’Evangelii nuntiandi,
dal momento in cui pone l’accento sull’evangelizzazione delle culture. Paolo
VI nell’esortazione dà per scontato che il cristianesimo non si identifica con
la cultura occidentale, ma nello stesso tempo indica criteri in base ai quali le
nuove sintesi tra il cristianesimo e le culture possono realizzarsi: il criterio
definitivo è quello della priorità veritativa del Vangelo rispetto alle culture.
Si tratta di un criterio realistico; mette in conto che le culture portino in sé
non solo valori o semina verbi, ma anche segni del male, deformazioni o difetti, che il Vangelo mira e ha la forza di correggere. Sullo sfondo sta l’idea
che Gesù Cristo porta a compimento la creazione anche liberandola dal male che storicamente in essa si è depositato. Cristo continua questa opera tuttora mediante la sua Chiesa. D’altronde, se così non fosse non si vede come
si potrebbe parlare di conversione. Questa difatti non si riferisce solo alle
singole persone, bensì anche ai costumi e alle istituzioni di un popolo. E
nella sua missione la Chiesa, mettendo le culture a contatto con il Vangelo,
permette loro di purificarsi ed elevarsi80. In questo senso il Vangelo in relazione ad ogni cultura e all’interno di ogni contesto sociale, ideologico, politico, scientifico ecc., costituirà una novità meta-storica, trascendente ed escatologica. Rispetto a tali situazioni e circostanze in cui molte forze mondiali
appesantiscono la cultura, il Vangelo svolgerà anche la funzione profetica e
critica, dicendo un chiaro “no” a tutto ciò che distrugge l’uomo e lo condu79
80
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 150-153.
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 153-154.
61
CAPITOLO SECONDO
ce alla morte81. In questi casi il Vangelo oltre che essere inculturato deve essere anche controculturale. Esso non deve essere inculturato in modo tale da
perdere la sua distanza dalla cultura, la quale distanza rende possibile che
esso, all’occorrenza, sia profetico e critico82.
81
Cfr. G. CANOBBIO , “La teologia della missione dal Vaticano II ad oggi”, 154.155.
Cfr. M. AMALADOSS , “The Challenges of Mission Today”, in W. JENKINSON – H.
O’SULLIVAN, Trends in Mission toward 3rd Millennium, Maryknoll N.Y. 1991, 359-397.
82
62
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
CAPITOLO III
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
L ’ENCICLICA A 25 ANNI DALL ’AD GENTES
1. Un orientamento per la lettura
1.1. La continuità teologica e un’adeguata ermeneutica del testo
La Redemptoris missio1 a differenza della Evangelii nuntiandi e della
recente Evangelii gaudium che sono Esortazioni è una Enciclica e quindi ha
un maggior spessore magisteriale. Inoltre è stata scritta nel XXV anniversario
dell’Ad gentes e nell’anno 2015 abbiamo ricordato anche il XXV dalla pubblicazione della Redemptoris missio. Il documento di Giovanni Paolo II,
contro una diffusa opinione, fino ad oggi non ha perso nulla della sua attualità, anzi Evangelii gaudium rappresenterà la ripresa e lo sviluppo dei
suoi contenuti più essenziali. Questa enciclica non è soltanto un gesto celebrativo del XXV del decreto missionario del Concilio Vaticano II, come è
ricordato nell’introduzione e nella data finale, ma è un vero grido del Papa,
che invita tutta la Chiesa a riconsiderare lo specifico impegno missionario e
ad impegnarsi per l’evangelizzazione del mondo non cristiano. Giovanni
Paolo II incoraggia gli uomini ad aprirsi a Cristo e chiede alla Chiesa il coraggio di testimoniarlo e proporlo. Questo infatti è il primo dovere assegnato da Cristo alla sua comunità, è il primo servizio offerto per la crescita integrale dell’umanità, è il modo più sicuro per il rinnovamento della
vita cristiana superando le tensioni interne, è un’esigenza di condivisione
dei doni divini ricevuti, ma è anche un diritto di scelta da parte dei singoli
e dei popoli.
In questo momento così difficile, l’invito del Papa perché la Chiesa
intera si rinnovi nell’impegno per realizzare il mandato del Signore suona
molto diverso da tante propagande. Le comunità cattoliche sono chiamate al
loro dovere di testimoniare e annunciare il Cristo nella carità fattiva ed effettiva verso tutti, nel rispetto delle persone e delle culture, nella promozione della libertà da parte degli individui e dei popoli. Questi atteggiamenti,
1
EV 12/547-732.
63
CAPITOLO TERZO
fondamenti della pace, sono connaturali a tutto il messaggio cristiano che è
la rivelazione dell’amore di Dio per noi. L’annuncio del Vangelo non può essere opprimente, perché è per sua natura liberatorio. Ad imitazione di Cristo,
la Chiesa missionaria non condanna nessuno a morte, ma si lascia mettere in
croce, come espressione culmine dell’amore e della salvezza. Gli esempi di
missionari testimoni di Cristo fino al martirio sono notizie continue anche
in tempi recenti2. “Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata
nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti –
sacerdoti, religiosi, laici – hanno operato una grande semina di martiri in
varie parti del mondo”3. Infatti, come dice R. Fisichella, per paradossale che
possa sembrare, i martiri sono dei nostri giorni; nei tempi di libertà religiosa, rispetto, tolleranza, dialogo, apertura ecc., giovani, ragazzi e ragazze, uomini e donne di ogni età, sono ancora uccisi, violentati, torturati, scherniti
ed emarginati solo perché cristiani. Quanti nomi potrebbero riempire un
nuovo e aggiornato martirologio dei nostri tempi. Purtroppo, il secolo XX
ha visto un numero di martiri cristiani superiore a quello dei diciannove secoli che ci hanno preceduto. L’ingresso nel XXI secolo, tristemente, sta allungando l’elenco senza lasciar intravedere una diminuzione o almeno una
sosta. Ciò che rende spesso inconcepibile questa situazione è il silenzio di
tanti – anche tra le autorità della Chiesa stessa d’oggi – che diventa purtroppo complice per l’incapacità di debellare la violenza4.
Nonostante tutto ciò, l’enciclica è radicata nella visione del Vaticano
II, non solamente per le basi teologiche e per le aperture pastorali, ma per
l’ottimismo5 che la domina e che è stato espresso quasi profeticamente dallo
stesso papa: “Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria, che diventerà
giorno radioso e ricco di frutti, se tutti i cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani chiese risponderanno con generosità e santità agli appelli e
alle sfide del nostro tempo”6. Malgrado le diverse difficoltà e contro ogni
tentazione di scoraggiamento e di pessimismo, il papa offre dunque una
2
Cfr. P. GHEDDO, L’Ad gentes in Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, (25.05.2014), in
http://www.gheddopiero.it/index.php/lad-gentes-in-giovanni-xxiii-e-giovanni-paolo-ii-radiomaria-2014/.
3 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, in EV 14 (1994)
1781, 37.
4 Cfr. R. FISICHELLA, I segni del giubileo. Il pellegrinaggio, la città di Pietro e Paolo, la Porta
Santa, la professione di fede, la carità, l’indulgenza, Cinisello Balsamo 2015.
5 Cfr. M. LEMONNIER, “Svolte storiche della missione”, in AA .V V., La missione del redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», Bologna 1991, 27.
6 RMi 92.
64
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
visione ottimistica e piena di speranza. Questo ottimismo viene dalla fede 7.
Egli parla di “nuova primavera del cristianesimo”, di “una umanità più preparata alla semina evangelica”8 e ribadisce la convinzione che “Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si vede l’inizio” 9. Dopo
venticinque anni – dalla chiusura del Concilio Vaticano II – di cammino
travagliato del mondo e della Chiesa, il documento traccia il punto della situazione nei riguardi della missione. Ha ereditato dal Concilio una coraggiosa dinamica e una visione aperta, facendo però un discernimento delle
posizioni teoriche e pratiche nella Chiesa. Ne risulta un «manifesto per la
missione», una sintesi teoretico-operativa per la Chiesa del prossimo millennio10.
Nella Redemptoris Missio si ritrovano le grandi linee dell’insegnamento e dell’attività pastorale di Giovanni Paolo II. Già il titolo richiama
la sua prima enciclica programmatica (Redemptor hominis). Del resto le
sue otto encicliche precedenti ritrovano un riscontro puntuale. Quelle antropologico–trinitarie (Redemptor hominis, Dives in misericordia, Dominum et vivificantem) costituiscono il punto di partenza dei tre primi capitoli, che sono di natura teologica e che rispondono alle grandi tematiche
attuali che rafforzano la sollecitudine missionaria della Chiesa d’oggi, come l’unicità e l’universalità della salvezza in Gesù Cristo (cap. I), del Regno di Dio in rapporto a Cristo, alla Chiesa e quindi all’attività missionaria (cap. II), della presenza attiva dello Spirito nella Chiesa e nel mondo
(cap. III). Anche se il respiro teologico è consistente, comunque vengono
profondamente trattati gli aspetti pratici che sono importanti e innovativi.
Su questo piano la Redemptoris Missio proporrà di promuovere l’impegno
missionario ad gentes, armonizzando le diverse attività invece di escluderle, dando priorità all’annuncio, verso il quale tutto tende. In tal modo i
successivi capitoli (IV – VIII), piuttosto di carattere operativo, vanno letti
nel loro rapporto con la dottrina sociale della Chiesa, esposta e sviluppata
negli altri documenti del magistero di Giovanni Paolo II (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis). È anche da notare che la pubblicazione
dell’enciclica precede immediatamente l’inizio dell’Anno della Dottrina
7
Cfr. CARD. J. TOMKO, “La «Magna charta» per la missione del duemila”, AA.VV., La missione del redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», 9.
8 RMi 2-3.
9 RMi 86.
10 Cfr. M. ZAGO , “Riscoprirci tutti missionari. La «Redemptoris Missio»: un orientamento
per la lettura”, in www.indaco-torino.net/gens/34gens91.html. (Gen’s - Rivista di vita ecclesiale 34 (1991) 4).
65
CAPITOLO TERZO
Sociale della Chiesa proclamato il 1° gennaio 199111 e che avrà la sua particolare espressione con la promulgazione di un’altra enciclica, Centesimus
Annus, 1 maggio 1991. L’orizzonte operativo in cui si colloca la seconda
parte dell’enciclica precisa dunque la verità degli impegni della Chiesa,
originati dal suo essere «connaturalmente» missionaria: la cura pastorale di
coloro che si riconoscono cristiani, la nuova evangelizzazione per coloro
che non sono più o non si riconoscono cristiani e membri ecclesiali,
l’attività missionaria verso i gruppi e i popoli che non sono mai stati cristiani. La missione ad gentes è poi chiarita da tre approcci convergenti:
quello geografico, quello sociale, collegato ai nuovi fenomeni sociali, e
quello culturale del rapporto con i moderni «areopaghi» (cap. IV). Il rapporto tra il dovere missionario di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa locale e i
«carismatici della missione» è un altro argomento trattato profondamente
dall’enciclica12. Infatti l’attenzione alle giovani Chiese accompagna tutto il
documento. L’avvenire della missione dipenderà in gran parte dal loro impegno missionario nel proprio ambiente e in tutto il mondo13. L’attività
missionaria si realizza in un clima di rispetto e di dialogo. Il dialogo, talvolta, è la sola espressione possibile e sufficiente di una presenza missionaria. La promozione umana, l’impegno per la pace e la giustizia, l’inculturazione sono parti integranti della missione, ma per natura propria tendono all’annuncio della Buona Novella; questo annuncio costituisce il
cuore, il centro dinamico e l’apice di tutte le attività missionarie (cap.
V)14. Non c’è missione senza missionari, e d’altra parte non ci sono missionari senza comunità coinvolte nella cooperazione e nella testimonia nza della propria incorporazione a Cristo (cap. VI e VII). La connessione
tra santità e missione, non solo per i missionari («i santi sono gli aute ntici missionari»), ma anche per tutta la Chiesa, è un’altra sottolineatura
11 “Voglio quindi proclamare quello che oggi s’avvia Anno della Dottrina Sociale della
Chiesa, invitando con ciò i fedeli, nel contesto della commemorazione dell’Enciclica Rerum
novarum, a meglio conoscere, approfondire e diffondere l’insegnamento della Chiesa in
materia sociale”, in Insegnamenti XIV,1/1995,1-5.
12 Cfr. D. COLOMBO , “Mandati ad gentes ieri, oggi e sempre”, in AA .V V ., La missione del
redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», 75-87.
13 Cfr. M. ZAGO, “Riscoprirci tutti missionari. La «Redemptoris Missio»: un orientamento
per la lettura”, in www.indaco-torino.net/gens/34gens91.html. (Gen’s - Rivista di vita ecclesiale 34 (1991) 4)
14 Cfr. M. F ITZGERALD , “Religioni in dialogo nel segno di Assisi”, in AA .V V ., La missione
del redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», 102-107; cfr. M. FITZGERALD ,
Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, Cinisello Balsamo 2007, 29-52.
66
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
importantissima. L’impegno missionario rinnova la Chiesa; e la santità dei
cristiani è l’anima del suo dinamismo missionario (cap. VIII)15.
1.2. Redemptoris missio e l’attività missionaria di Giovanni Paolo II
Il Papa ha rilanciato la “missione alle genti” in modo teologico e
programmatico nell’enciclica RMi ma soprattutto nei suoi 62 viaggi missionari extra-europei (e circa 40 in Europa), quando ha rinfrancato e incoraggiato le giovani Chiese in paesi non cristiani. Si diceva che il Papa viaggiava
troppo, ma chi diceva questo non è stato nei paesi da lui visitati dopo un
suo viaggio. Inoltre richiamandosi a Paolo VI ha detto a Loreto nel 1994 durante l’incontro personale con i vescovi italiani:
“I viaggi, le visite, sembra che oggi il papa deve essere presente non
solamente spiritualmente, ma anche personalmente in diverse parti del mondo, e così io l’ho capito da Paolo VI. Se lui con la sua salute, che era piuttosto debole, poteva fare tutto questo, questo papa giovane più atletico, (…)
deve anche lui avere il coraggio di andare in tutto il mondo, così ci ha detto
Cristo, non ci ha detto ‘sedete in Vaticano’, ma ci ha detto: ‘andate in tutto
il mondo!’ cioè, ai confini della terra”16.
Il titoletto “Giovanni Paolo II è il centravanti delle missioni” è
quanto ha detto padre Schiavone, un missionario domenicano toscano, che
nel 1982 era in Pakistan da una quarantina d’anni. Secondo la sua testimonianza il Papa l’anno precedente aveva fatto una visita a Karachi, allora capitale del Pakistan, e aveva suscitato un grande entusiasmo nello stadio cittadino pieno di giovani musulmani ad applaudirlo. Diceva: “Noi missionari
che siamo in questo paese da decine d’anni, tollerati e a volte perseguitati,
non avevamo mai nemmeno immaginato di poter essere testimoni di una
scena simile: una folla di musulmani che applaudiva il nostro Papa! Abbiamo pianto di gioia”. E concludeva dicendo: “Noi missionari abbiamo trovato il nostro centravanti!”. Un caso simile racconta il cardinale Robert Sarah
sull’accoglienza di Giovanni Paolo II in Guinea (sotto il governo dittatoriale
di Sékou Touré) sia dai cristiani che dai musulmani; questi ultimi spiegano
così la loro presenza e il loro saluto nei confronti del papa al suo arrivo: “Al
tempo della rivoluzione siamo stati forzati a venire ad accogliere i dirigenti
15
Cfr. M. ZAGO, “L’urgenza di tutte le vocazioni missionarie”, in AA.V V., La missione del
redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», 88-91.
16 A. AMBROGETTI , Il mistero dei 12. I vescovi del mondo a tavola con Giovanni Paolo II,
Tau Editrice 2014, 91.
67
CAPITOLO TERZO
dell’URSS; non c’è alcun motivo per cui non dobbiamo uscire nelle strade
per un grande credente e un uomo di Dio!”17.
Secondo A. Riccardi il papa slavo è una grande figura del Novecento,
di cui esprime appieno la storia. È anche un personaggio del Duemila: si è
spento nel nuovo secolo già iniziato e la sua ricchissima eredità religiosa,
teologica e pratica deve continuare ad essere un punto di riferimento fermo.
Testimone del complesso crocevia polacco e protagonista della scena mondiale per ventisette anni, Karol Wojtyła è stato un personaggio decisivo della
vicenda religiosa contemporanea, ma anche un leader che ha collocato la
Chiesa nel cuore e sul palcoscenico della storia mondiale e della vita sociale,
un leader globale che ha toccato le fibre di tanti popoli e nazioni18.
Giovanni Paolo II ha lottato con tutte le sue forze, affinché l’Europa
riconoscesse le radici cristiane nella sua Costituzione19, ma capiva che la civiltà di radici cristiane che si è sviluppata nel nostro continente nell’ultimo
mezzo millennio, non aveva più la forza e la gioia della fede per portare
Cristo ai miliardi di uomini e donne che ancora non lo conoscono. Aveva
una visione profetica della missione e viaggiava il più possibile nelle giovani
Chiese, proprio per promuovere il primo annunzio e il dialogo interreligioso chiamando i giovani e le giovani Chiese ad esserne protagonisti. Alla X
Giornata Mondiale della Gioventù a Manila (5-10 gennaio 1995) ha gridato:
“A ciascuno di voi Cristo dice: ‘Io mando voi’. Ecco l’ideale del giovane cristiano: sentirsi mandato da Cristo, avere nella vita lo scopo ben preciso di
realizzare il mandato di Cristo. Non si può vivere senza ideali. I giovani (ma
anche tutti quanti) hanno bisogno di dare senso ed entusiasmo alla vita,
proporsi grandi mete, sentirsi protagonisti di grandi conquiste, spaziare per
grandi orizzonti. Ecco, la missione è tutto questo”. “Il mondo è stanco delle
vecchie ideologie” ha detto visitando Cuba nel 1998 e riferendosi, tra l’altro,
al comunismo, secolarismo, neoliberalismo economico, consumismo, vuoto
spirituale e spiegava che la missione non è un’ideologia, ma un ideale che
risponde al vuoto e alla più profonda ricerca umana e che viene dall’avvenimento che ha cambiato il corso della storia: la persona di Gesù Cristo
unico Salvatore dell’uomo.
17
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, Siena 2015,
89-90.
18 A. RICCARDI, Giovanni Paolo II Santo. La biografia, Cinisello Balsamo 2014, 590.
19 Cfr. C.M. MARTINI, “L’Europa interpellata dalla Redemptoris missio”, in in AA.VV., Riflessioni sulla «Redemptoris missio», Pontificia Università Urbaniana, Roma 1991, 237-247.
68
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
La dimensione missionaria è essenziale per essere cristiani autentici
invitando gli altri alla fede. Aggiungeva pure che la Chiesa non può non essere missionaria. Ma come? La missionarietà va intesa in due modi principali. Anzitutto verso i non cristiani, soprattutto le masse umane dell’Asia, che
ancora attendono di conoscere la Buona Notizia della nascita del Salvatore.
La Chiesa ha bisogno di missionari per annunziare Cristo alle genti, quelle
che, come ha detto il Papa, “anelano all’autentica liberazione e realizzazione.
I poveri cercano giustizia e solidarietà; gli oppressi chiedono libertà e dignità; i ciechi invocano la luce e la verità”. La missione verso i non cristiani è la
giovinezza della Chiesa. C’è anche un secondo modo di realizzare la missione: “Essere missionari nella nostra società”. C’è una “missione nel quotidiano” a cui dobbiamo educarci: testimoniare e annunziare Cristo con la nostra vita nella famiglia, nella società, nella scuola, sul lavoro, in politica. Ma
per esercitare questa missione dobbiamo andare contro-corrente (il Vangelo
è sempre all’opposizione rispetto allo spirito del mondo). Il Papa, nel discorso della Veglia di preghiera a Manila, ha ammonito i giovani con forza:
“Attenti ai falsi maestri! Appartengono alle élites intellettuali della scienza,
della cultura e dei mass media. Loro presentano un anti-vangelo che dichiara
morto ogni ideale. Vogliono che voi siate come loro: dubbiosi e cinici”.
“Chi ci ha rubato le ali?” chiedeva un giovane filippino. Il Papa a Manila ha
proposto, per volare, due ali ai giovani credenti: fede e missione20.
1.3. La missionarietà e l’impegno sociale di Giovanni Paolo II
La missione della Chiesa è quella di annunciare e portare in tutto il
mondo il Vangelo della libertà e della liberazione da ogni forma di schiavitù, di alienazione, da qualsiasi ostacolo che impedisce all’uomo di realizzarsi
pienamente e in tutta la sua dignità come persona umana creata a immagine
e somiglianza di Dio e redenta dal Figlio di Dio fattosi uno con ogni essere
umano. In questa ottica si comprende quell’ardore di Giovanni Paolo II che
lo accompagnava nei viaggi per dare a tutti un messaggio di liberazione. Un
eclatante esempio è quello di Puebla in Messico nel gennaio 1979, quando
ha aperto l’Assemblea del CELAM (dei vescovi latino-americani). Il documento di preparazione era impostato sul tema “Vedere, Giudicare, Agire”,
che portava ai problemi economico-politico-sociali: vedere la situazione dei
popoli dell’America Latina, giudicare di chi è la colpa e poi agire per liberare i popoli da ogni oppressione. Il Papa, nel discorso iniziale dice che lo
schema di preparazione va cambiato: “Per liberare i popoli latino-americani,
20
Cfr. P. GHEDDO , http://www.gheddopiero.it/index.php/lad-gentes-in-giovanni-xxiii-egiovanni-paolo-ii-radio-maria-2014/
69
CAPITOLO TERZO
ripartiamo da Cristo”. Giovanni Paolo II era profondamente innamorato di
Gesù Cristo, di cui parlava come di una persona viva che egli aveva incontrato e di cui si era innamorato. Ai vescovi e sacerdoti dell’America Latina
diceva: “Lasciatevi prendere dall’amore di Cristo; lasciatevi penetrare, coinvolgere, illuminare e cambiare dall’amore di Cristo; nella misura in cui sarete tutti di Cristo, sarete anche tutti degli uomini”. Riaffermava chiaramente
che la missione della Chiesa è di natura religiosa, portare la salvezza in Cristo, liberando l’uomo prima dal peccato personale e poi cambiando la società oppressiva attraverso l’azione e la testimonianza dei credenti in Cristo.
La Chiesa, portando il Vangelo di Gesù, si schiera inequivocabilmente dalla parte dei poveri. Pertanto oltre che di fede e di conversione a Cristo
nel senso verticale, insisteva sulla fraternità e solidarietà universale in senso
orizzontale, proclamava di dover portare alla ribalta tutte le sofferenze e le
ingiustizie del mondo, gli sfruttamenti, le oppressioni, le persecuzioni che
cercano di rendere l’essere umano una “non-persona”, “un insignificante”,
“un oggetto” ed annunciare, per contro, la liberazione integrale, evangelica
della persona umana e della sua dignità21. Questa idea è intrinsecamente legata alla “nuova evangelizzazione” alla cui base c’è irrinunciabilmente la solidarietà verso i poveri; solidarietà che ha trovato la sua articolazione nella
nota espressione “opzione preferenziale per i poveri” presente in tanti documenti di Giovanni Paolo II in cui trattava e sviluppava la dottrina sociale
della Chiesa22. In essi emerge la visione dell’uomo liberato nella sua totalità
e ri-dotato della sua dignità; questo il papa lo confermava in modo pratico e
concreto visitando 13 volte i vari villaggi della popolazione indigena in
America Latina, parlando ai “favelados” di Rio de Janeiro, ai lebbrosi di
Marituba in Amazzonia, agli indios di Oaxaca in Messico o ai pescatori di
Baguio nelle Filippine; quando condannava con forza ogni violazione dei
diritti dell’uomo davanti a dittatori come F. Marcos (Filippine), A. Pinochet
(Cile), A. Stroessner (Paraguay), Mobutu Sese Seko (Zaire), Fidel Castro (a
Cuba), i Sandinisti (in Nicaragua)23. Per dimostrare l’amore di Cristo in
modo concreto è stato convocato il Pontificio Consiglio Cor Unum al fine
di aiutare i popoli di tutto il mondo che vivono nell’estrema miseria, pover21 Cfr. G. GUTIÉRREZ, Perché Dio preferisce i poveri. La teologia della liberazione è sempre
attuale, Bologna 2015, 29. Inoltre basta menzionare solo alcuni più noti testi di Giovanni
Paolo II: RH, LE, SRS, CA, EV, MD.
22 Per una sintesi della dottrina sociale da Leone XIII fino a Benedetto XVI, si consiglia M.
ORMAS, Umanesimo cristiano e modernità. Introduzione alle Encicliche sociali. Dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate, Città del Vaticano 2014.
23 Cfr. G. MAZZOLENI , L’eredità missionaria di Giovanni Paolo II, in www.consolata.org/.../13273-leredita-missionaria-di-giovanni-paolo-ii.
70
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
tà e sofferenza. È da notare che nella stragrande maggioranza dei casi i paesi
aiutati sono quelli con popolazione non cristiana, spesso con maggioranza
musulmana24.
In Messico Giovanni Paolo II ha preso solennemente le difese degli
indios. A Oaxaca un indio gli dice: “Santità, noi viviamo peggio delle vacche
e dei porci. Abbiamo perso le nostre terre, noi che eravamo liberi, ora siamo
schiavi”. Il papa si stringe la testa fra le mani e rispondendo dice: “Il Papa
sta con queste masse di indios e di contadini, abbandonate ad un indegno
livello di vita, a volte sfruttate duramente. Ancora una volta gridiamo forte:
rispettate l’uomo! Egli è l’immagine di Dio! Evangelizzate perché questo diventi realtà, affinché il Signore trasformi i cuori ed umanizzi i sistemi politici ed economici, partendo dall’impegno responsabile dell’uomo”. Inoltre
non si dimentichi la sua richiesta ai paesi ricchi di cancellare i debiti esteri
dei popoli poveri nell’anno 2000 in occasione del grande giubileo, inteso nel
senso biblico del termine25. Nemmeno si deve scordare che è stato Giovanni
Paolo II a far costruire sul territorio dello Stato Vaticano la casa per i poveri
gestita dalle suore della Congregazione delle Missionarie della Carità fondata dalla beata Teresa di Calcutta. Gesti e fatti pieni di significato.
Sul piano politico e diplomatico voleva realizzare la vocazione missionaria attraverso e nella forma del dialogo. Basta pensare all’insistenza con
cui cercava di instaurare e poi sviluppare i contatti di dialogo con i vari capi
degli stati e delle nazioni, come ad esempio, con il capo dello Stato Sovietico M. Gorbačëv. Simili contatti di dialogo ha realizzato anche quando parlava del valore della cultura africana (in Benin) e dello “sviluppo dal volto
umano” (in Gabon); egli incideva fortemente sulle coscienze dei popoli.
Quante volte un popolo sofferente e umiliato (si pensi alla Guinea Equatoriale appena uscita dalla spaventosa dittatura di Macias Nguema) ha ricevuto
dalla visita del Papa il provvidenziale stimolo a riprendere con coraggio la
via della riconciliazione e della ricostruzione26.
1.4. Le sfide della missione cristiana e la necessità dell’enciclica
Anche se il papa esprimeva ottimismo riguardo all’opera missionaria
che stava vivendo la sua “nuova primavera”, tuttavia affermava già dall’inizio che “la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben
24
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 179.
Non sarebbe opportuno in occasione dell’anno Santo della Misericordia 2016 rifare lo
stesso appello ai paesi ricchi e ai loro governanti?
26 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 119-120.
25
71
CAPITOLO TERZO
lontana dal suo compimento” e “che tale missione è ancora agli inizi” 27.
Inoltre sono ben evidenti i fattori negativi che causano perfino il rallentamento dell’evangelizzazione. Non mancano secondo il papa le difficoltà interne ed esterne che indeboliscono lo slancio missionario della Chiesa verso
i non cristiani e questo deve preoccupare tutti credenti in Cristo28. Tra gli
ostacoli esterni si potrebbero individuare la radicale secolarizzazione della
vita, la rinascita del fondamentalismo nazionalistico e religioso, il ripiegamento sulla cultura laica, la speranza intra-storica legata al primato dello sviluppo economico, scientifico, tecnologico, biogenetico ecc. Invece tra i fattori interni si potrebbero annoverare la considerazione teologica delle religioni come fonti della rivelazione e come vie della salvezza, e quindi un radicale pluralismo religioso il cui denominatore comune è l’humanum e il
benessere umano, il progresso, l’auto-realizzazione della persona.
Se il papa nella Redemptoris missio punterà e riprenderà gli elementi
costitutivi del messaggio evangelico come la centralità di Cristo, la salvezza
realizzata pienamente nel Regno di Dio inteso escatologicamente (senza sottovalutare la sua dimensione storica), la necessità della Chiesa, la presenza e
attività universale dello Spirito Santo, sarà perché tiene conto degli attuali e,
radicalmente presenti nella vita della società globalizzata d’oggi, fenomeni
particolari che esprimono la profonda crisi della fede. La civiltà postmoderna prima di tutto si caratterizza per il rifiuto di Dio: la cultura benché non neghi evidentemente l’esistenza di Dio, non la ritiene più di alcun
significato. Secolarizzazione, laicismo e ateismo pratico significano il rifiuto
del rapporto con Dio e della presenza di Dio nella società e nella cultura
moderna. Semmai la relazione con Dio assume una forma del tutto individualistica e ricondotta al piano privato, diventando una religione fai da te o
credi a modo tuo. Sul piano epistemologico ed etico il primato viene dato
all’effimero, come dirà il papa otto anni dopo nella Fides et ratio29. Per il
relativismo non esiste una verità assoluta sull’uomo e sul suo destino, anzi è
lo stesso relativismo che in certo qual modo diviene la nuova religione
dell’uomo moderno30. Questi presupposti inevitabilmente portano, sul piano esistenziale, al nichilismo, cioè alla perdita del senso della vita. Se non
esiste più una verità assoluta, non esistono più valori universali e metastorici, quindi nulla per cui valga la pena di spendere la vita, difendere la verità anche dando la propria vita; tutto diventa provvisorio, transitorio, pas27
RMi 1.
Cfr. RMi 2; P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 122.
29 Cfr. FR 46.
30 Cfr. J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza, Siena 2003, 75. 87.
28
72
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
seggero. Non si capisce più a che serve la vita dell’uomo, se non ad andare
verso il nulla, cioè la morte, senza alcuna speranza31. Già da decenni nella cultura occidentale si può constatare la carenza della fede, l’eclissi del senso di
Dio e dell’uomo, la mancanza di conoscenza reale della dottrina di Gesù Cristo, la presa di distanza di certi paesi dalle loro radici cristiane e anche quella
che Giovanni Paolo II chiamava un’“apostasia silenziosa”32. Per questo i fenomeni specifici della cultura occidentale, caratterizzata dal proselitismo ateo,
hanno portato Giovanni Paolo II a lanciare l’appello per una nuova evangelizzazione. L’immensa influenza economica, militare, tecnica, biogenetica e
mediatica di un Occidente senza Dio potrebbe tradursi in un disastro per il
mondo. Il cardinale Sarah, riallacciandosi all’appello di Giovanni Paolo II, afferma che se l’Occidente non si converte a Cristo e non risponde alla ‘nuova
evangelizzazione’ potrebbe finire per paganizzare il mondo intero33.
A tale crisi è legato l’orientamento di colmare il vuoto esistenziale
con le speranze intra-storiche che vedono la salvezza umana realizzata nelle
dimensioni immanenti. Infatti “salvezza” è un termine con molti significati.
C’è nella nostra epoca una tendenza generale a ridurla a qualcosa di puramente secolare e temporale34. “La tentazione oggi è ridurre il cristianesimo
ad una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un
mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una ‘graduale secolarizzazione
della salvezza’, per cui ci si batte, sì, per l’uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale”35. Da qui nascono gli atteggiamenti comuni come materialismo e consumismo che vedono la vita umana
volta ai beni terreni: benessere economico, potere politico, fama mediatica o
carriera professionale. Già nel suo discorso ai partecipanti al congresso internazionale su “La salvezza oggi” tenutosi ad ottobre 1988 alla Pontificia
Università Urbaniana, Giovanni Paolo II ha detto:
31
P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 153-154.
Un esempio dello “sradicamento” dalle origini cristiane si vede in certe posizioni delle
Chiese dell’area germanica. In questo contesto può sembrare strano il silenzio di papa Francesco nel suo discorso ai vescovi tedeschi ricevuti il 20 novembre 2015 in cui ammonisce per
certe tendenze nella Chiesa tedesca o indica i vari particolari della sua vita e, allo stesso
tempo, non fa nessun accenno alla pratica estremamente diffusa e illegittima tra i pastori in
Germania di ammettere i divorziati risposati alla Comunione Eucaristica. Cfr. I. SCARAMUZZI, “Strutture nuove e perfette non rispondono all’erosione della fede”, in http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-francis-francisco44783/.
33 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 188-189.
34 Cfr. S. KAROTEMPREL, “Motivazioni e validità permanente della missione cristiana”, in
AA.VV., Riflessioni sulla «Redemptoris missio», 41-42.
35 RMi 11.
32
73
CAPITOLO TERZO
Correnti di pensiero e modelli di vita secolarizzati, sconvolgenti trasformazioni socio-culturali, meravigliose conquiste della scienza e della tecnica, sollecitazioni pressanti dei mezzi di comunicazione, l’idea stessa o il
pregiudizio circa tutto quello che costituisce la modernità, possono far credere all’uomo d’oggi che il concetto di salvezza si riduca all’ambito temporale, così che egli possa trovare in sé e nel suo progresso terreno quanto occorre per realizzarla36.
In tal modo si è realizzata la profezia articolata nella sua prima enciclica: “L’uomo d’oggi sembra essere sempre più minacciato da ciò che produce (…) i frutti del suo lavoro si rivolgono contro l’uomo stesso (…) che
pertanto vive sempre più nella paura”37. Si parla di una promozione umana
e degli umanesimi laici che in effetti risultano incapaci di rispondere e appagare i più profondi aneliti del cuore umano. Senza ignorare i problemi e
la condizione di estrema povertà materiale e lo sfruttamento subito da molte popolazioni del mondo (problema che è stato profondamente affrontato
nelle encicliche sociali), il papa afferma: “Il contributo della Chiesa e della
sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto
il Sud del mondo, per combattervi la miseria materiale e il sottosviluppo,
ma anche il Nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata dal
super-sviluppo”38. Per tale motivo l’enciclica parlando dei destinatari e degli
immensi areopaghi della missione cristiana contemporanea considera anche
il mondo scristianizzato, ossia i popoli e le nazioni che avendo la loro storia
e il loro passato strettamente legato alla fede cristiana comunque si sono
sradicate da essi. In tale contesto il documento del magistero mette in guardia da qualsiasi concezione ‘regnocentrica’ della salvezza intesa o ridotta alla
sua dimensione immanente, che pretenderebbe la realizzazione della missione della Chiesa in quanto impegnata primariamente o semplicemente nelle
questioni sociali, politiche, economiche e così via. In questo contesto si capisce ancora di più il desiderio ardente di Giovanni Paolo II di ridare slancio alla vita missionaria della Chiesa, da lui chiamata nuova evangelizzazione in tempi in cui sempre più evidenti sono i disaccordi, i dissensi, le divisioni sulle questioni dogmatiche, etiche, legislative, pastorali e sociali non
36
http://www.fjp2.com/fr/jean-paul-ii/bibliotheque-en-ligne/discours/10585-to-the-participants-at-the-international-missiology-congress-held-by-the-urbanian-pontifical-university-october-7-1988
37 RH 15.
38 RMi 59.
74
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
solo nel mondo, ma che penetrano anche la Chiesa provocando profondi
disorientamenti tra i fedeli39.
Un'altra sfida di fronte a cui sta oggi la validità della missione evangelizzatrice della Chiesa è piuttosto di carattere interno e teologico; precisamente si tratta della sempre più diffusa teologia del pluralismo religioso che
non di rado assume una forma radicale. Infatti un notevole indebolimento
dello slancio missionario è anche dovuto in gran parte ad un certo relativismo religioso40 espresso da alcune correnti teologiche indicate dal papa41.
Nella seconda metà del XX secolo la ricerca teologica su una piattaforma
comune per l’umanità intera in ordine alla salvezza, ha portato molti teologi a optare per un’accettazione teoretica del pluralismo religioso. In modo
molto sintetico, secondo la loro tesi, la salvezza e la rivelazione per l’uomo,
sia che gli sia donata da un Dio personale, sia che provenga da forze intrinseche all’uomo stesso, si basa sull’evidenza della volontà salvifica universale
di Dio confermata dalle Scritture; si basa inoltre sul fatto della presenza di
uomini santi e buoni in tutte le religioni ispirate dalle autentiche esperienze
di Dio; ed infine sul fatto che lo Spirito di Dio è all’opera in mezzo a tutti i
popoli e nell’universo intero. Secondo il pluralismo religioso radicale qualunque cosa faccia da intermediario tra il Divino, l’Assoluto, il Trascendente, è sempre assoluta per la salvezza dell’uomo. A questo punto tutte le religioni, compreso il cristianesimo, sarebbero solo varianti culturali dell’esperienza umana o probabili esperienze mistiche del Trascendente 42. Secondo i
propugnatori della teologia pluralista delle religioni la tradizionale pretesa
cristiana sull’unicità e universalità della rivelazione-salvezza in Gesù Cristo,
sarebbe il risultato di condizionamenti culturali come tutte le altre esperienze
religiose, e pertanto deve essere abbandonata in favore dell’unità umana, del
reciproco rispetto, del dialogo svolto su una comune piattaforma43. Questi
presupposti comportano alcune conseguenze sconcertanti per la comprensio39
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 125. 149. 187188.
40 Cfr. A. WOLANIN, “Linee attuali della theologia missionis”, in AA.VV., Cristo Chiesa
Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, Pontificia Università Urbaniana, Roma
1992, 42.
41 Cfr. RMi 35.
42 Cfr. W.C. SMITH, “Theology and the Worlds’ Religious History”, in Towards a Universal
Theology of Religion, New York 1978, 51-72; G. KAUFMAN, “Religious Diversity, Historical
Consciousness and Christian Theology”, in P. KNITTER – J. HICK (eds.), The Myth of Christian Uniqueness, New York 1988, 3-15; P. KNITTER, No Other Name?, New York 1985.
43 G. KAUFMAN, “Religious Diversity, Historical Consciousness and Christian Theology”,
3-15.
75
CAPITOLO TERZO
ne teologica della missione cristiana: la proclamazione di Gesù Cristo come
unico e universale mediatore della salvezza è “assurda”, “arrogante”, “mal
interpretata”, o almeno qualcosa da passare sotto silenzio nell’epoca del dialogo, della tolleranza e del mutuo arricchimento. La fede nell’unicità e universalità di Cristo in ordine alla salvezza è un’esperienza soggettiva senza
una base obiettiva nella realtà e nella storia44. Tale impostazione teologica
ha messo ovviamente in crisi la cristologia, l’ecclesiologia e la teologia della
missione. Sono fallite le ragioni d’essere dell’attività missionaria dei cristiani. Per questo sembrano un grido di allarme le parole del cardinale Joseph
Tomko, prefetto di Propaganda Fide, pronunciate nella prolusione al congresso internazionale su “La salvezza oggi”, tenutosi nel 1988 alla Pontificia
Università Urbaniana di Roma, che esponevano i dubbi e le obiezioni degli
stessi missionari che provavano ed avvertivano come una ferita alla loro vocazione e all’impegno di tutta la vita: “che senso ha annunziare Cristo, se gli
uomini si salvano anche senza di Lui? Se la rivelazione cristiana è una delle
tante espressioni della volontà di Dio? Se le altre religioni possono ugualmente portare a Dio e il dialogo può sostituire l’annuncio? Se l’evangelizzazione consiste principalmente nella promozione della giustizia sociale? Se i missionari non sono più accettati o graditi come annunciatori del
Vangelo? Questa preoccupazione è stata espressa dal papa già all’inizio
dell’enciclica45 e in seguito ribadita in modo ancora più deciso:
una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l’impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo,
anche tra i cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che
«una religione vale l’altra»46.
Questo contesto storico – teologico è indispensabile per comprendere in fondo l’intenzione del papa di scrivere l’enciclica correggendo le idee
sbagliate e chiarendo i fondamenti della fede e della missione, intrinsecamente legati. Innanzitutto ha come uno dei principali obiettivi quello di
chiarire la confusione teologica sorta intorno alla missione alle genti, al dialogo con le religioni non cristiane e al rapporto fra l’annuncio di Cristo e lo
44
Cfr. P. KNITTER, “Hans Kueng’s Theological Rubicon”, in Towards a Universal Theology
of Religion, 225-229; L. NEWBIGIN, The Gospel in a Pluralist Society, Eerdmans, Grand
Rapids, 1989, 25.
45 Cfr. RMi 4.
46 RMi 36.
76
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
sviluppo dell’uomo e dei popoli47. In tale contesto emerge ancor più la necessità dell’enciclica missionaria che con la sua esortazione e incoraggiamento, malgrado le difficoltà interne ed esterne, chiama a vincere i comportamenti pessimisti o inattivi: “Ciò che conta (…) è la fiducia che viene dalla
fede, cioè dalla certezza che non siamo noi protagonisti della missione, ma
Gesù Cristo e il suo Spirito”48. La Redemptoris missio è stata giudicata da
alcuni teologi l’enciclica più rappresentativa del pontificato di Paolo II, che
con tutti i suoi viaggi, fino agli estremi confini del mondo, dava plasticamente l’idea di essere il Pontefice della Chiesa cattolica, cioè universale, missionaria. Diversi ne hanno lodato lo stile semplice e immediato. Il cardinale
Godfried Daneels di Bruxelles ha scritto che è «il programma di lavoro per
il prossimo millennio». Il cardinale Joseph Tomko, aveva ottenuto un’enciclica per il XXV dell’Ad gentes, l’unico fra i 16 documenti del Vaticano II
aggiornato con un’enciclica. Tuttavia l’idea ricorrente a quel tempo, nelle
alte sfere della Curia romana, era che un’enciclica per le missioni era troppo: non è più il momento di porre in risalto l’urgenza e il valore specifico
della missione alle genti, poiché tutta la Chiesa è missionaria e tutti i popoli
hanno bisogno di missione. Anche nell’opinione pubblica occidentale (e
cattolica) l’enciclica ha avuto uno scarso impatto. L’enciclica missionaria
non ha quasi fatto notizia e anche in seguito, la stampa cattolica e missionaria l’hanno quasi dimenticata, forse perché, secondo i primi affrettati commenti, non diceva nulla di nuovo rispetto all’Ad Gentes. Anche parecchio
tempo dopo, riviste teologiche cattoliche scrivevano che era una rilettura del
Decreto conciliare.
Questa opinione rispecchia l’ignoranza anche da parte di chi l’ha letta, ma non l’ha capita in profondità. Prima di tutto l'enciclica ha confermato l'Ad gentes, in un momento in cui difficoltà esterne e interne, come è stato detto sopra, avevano indebolito lo slancio missionario della Chiesa. Il fatto che il Papa abbia voluto fare un’enciclica specifica sul primo annunzio
del Vangelo ai non cristiani, ha un significato importante che va richiamato!
Anzi nell’enciclica dice: “Proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo, mi ha ancor più convinto dell’urgenza di tale attività (missionaria)”49.
Giovanni Paolo II introduce anche l’espressione “nuova evangelizzazione”, cioè nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni e
47
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 127.
RMi 36.
49 RMi 1.
48
77
CAPITOLO TERZO
anche in quanto rivolta al mondo scristianizzato50. Questo concetto, tanto
caro a papa Wojtyła, è stato usato da lui stesso per la prima volta nel 1983 a
Haiti, in occasione dell’inizio del novenario per la celebrazione del V centenario dell’evangelizzazione nelle Americhe51.
2. Il testo e la struttura
Il testo è formato di otto capitoli di cui i primi tre di carattere dottrinale finalizzati a dimostrare il fondamento teologico della missione e altri
cinque dedicati alle questioni pratiche ed operative. Con questa grande divisione non si avranno tuttavia due discorsi separati, anzi la parte operativa si
fonda intrinsecamente su quella dottrinale e quella dottrinale si rende esplicita estrinsecamente, cioè attuata in quanto applicata concretamente, storicamente e praticamente. In questo paragrafo cerchiamo di esporre diacronicamente i principali punti dell’enciclica.
“La Chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo
non è qualcosa di contingente ed esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della
Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa (particolare) è inviata alle genti”52. La missione è intrinsecamente legata alle due dottrine fondamentali del cristianesimo: la Trinità e l’Incarnazione di Gesù Cristo. Dio
dona sé stesso a tutti gli uomini, attraverso Cristo e il suo Corpo, la Chiesa.
Essa, poi, è segno e sacramento universale della salvezza per tutti53.
2.1. Gesù Cristo unico e universale salvatore del mondo
Nell’evento della redenzione è implicita la salvezza di tutti, “perché
ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ognuno Cristo
si è unito, per sempre, attraverso questo mistero”54. In base a tale verità si
percepisce che la missione universale nasce dalla fede e nella fede si comprende e si fonda55. Il papa si riallaccia alle parole di Pietro: “In nessun altro c’è la salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo,
50 Cfr. G. GUTIÉRREZ – G. L. MÜLLER, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, Padova 2013, 15. 42.
51 Cfr. M. ZAGO, “Il contenuto della nuova evangelizzazione”, in Omnis Terra, aprilegiugno 1990, 104-109.
52 RMi 62.
53 Cfr. LG 1.
54 RH 13, EV 6/1208.
55 Cfr. RMi 4.
78
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (Atti 4,10.12)56. Quest’affermazione ha un valore universale, poiché per tutti la salvezza non può venire che da Gesù Cristo. L’universalità di questa salvezza in Cristo è affermata in tutto il Nuovo Testamento, ad esempio da san Paolo (1Cor 8,5-6) o
san Giovanni quando dice che “Il Verbo è la luce vera, illumina ogni uomo”
(Gv 1,9). La rivelazione di Dio si fa definitiva e completa a opera del suo Figlio (Gv 1,18; 14,6; Mt 11,27; Ebr 1,1-2). E questa autorivelazione definitiva
di Dio è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria: essa non può non proclamare il Vangelo della salvezza universale. Gesù, ribadisce il papa, è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm 2,5-7;
cfr. Ebr 4,14-16). Gli uomini non possono entrare in comunione con Dio se
non per mezzo di Cristo. Questa sua mediazione unica e universale – lungi
dall’essere di ostacolo al cammino verso Dio, anzi ne è una assoluta condizione e ciò in ogni ricerca umana di Dio – è la via stabilita da Dio stesso, e
di ciò Cristo ha piena coscienza57. D’altronde la missione è necessaria perché è stata voluta da Gesù stesso, anzi tale missione è universale: “sarete i
miei testimoni (…) fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Lo stesso
universalismo si esprime nel mandato di Gesù in cui vengono contenute le
espressioni: “tutte le nazioni” (Mt 28,18), “tutta la creazione” (Mc 16,15),
“tutte le genti” (Lc 24,47)58.
L’affermazione di capitale importanza è quella che mette in guardia
dal tentativo di introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo eterno e
Gesù Cristo. San Giovanni dice chiaramente che il Verbo, che “era Dio”, è
lo stesso che “si fece carne” (Gv 1,1-2.14). Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un “Gesù della storia” che non sia identico con il “Cristo
della fede”. Gesù è “il Cristo, il Figlio di Dio vivente” (Mt 16,16). Cristo
non è altro che Gesù di Nazareth, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per
la salvezza di tutti59. Se quindi è lecito e utile considerare i vari aspetti del
mistero di Cristo, non bisogna mai perdere di vista la sua unità, fondata
sull’ontologia della persona nella sua unicità e unità. Siccome il potere del
Salvatore universale si fonda sull’Incarnazione, non si può immaginare un
56 Cfr. J. GALOT, “Cristo unico salvatore e salvezza universale”, in AA.VV., Cristo Chiesa
Missione, 51.
57 Cfr. RMi 5.
58 Cfr. J. GALOT, “Cristo unico salvatore e salvezza universale”, 57.
59 A parte che tutto il Nuovo Testamento ha come nodo centrale questa verità, essa però
trova in alcuni passi la sua particolare ed evidente articolazione, ad esempio: Col 1,13-14.
19.20, 2,9; Gv 1,18; Ap 22,13.
79
CAPITOLO TERZO
Cristo Salvatore indipendentemente dall’umanità di Gesù di Nazaret60. Pertanto non può esistere nessuna separazione e nessuna doppia economia della salvezza, una in Gesù Cristo per i cristiani e l’altra nel Figlio di Dio, Logos eterno che avrebbe un certo plusvalore operando anche fuori dell’universo cristiano in mezzo a tutta l’umanità. La cosa sarà esplicitamente chiarita dalla Dichiarazione Dominus Iesus che confuta l’idea della divisione tra
il Logos énsarkos e il Logos ásarkos61.
L’urgenza dell’attività missionaria emerge dall’insuperabile novità di
vita, portata da Cristo e vissuta dai discepoli che inizia attraverso l’adesione
di fede a Cristo accettando nella sua Chiesa il dono di Dio, cioè la sua salvifica autocomunicazione. Tuttavia il dono della vita nuova non ne esclude la
possibilità di rifiuto da parte dell’uomo. L’uomo è libero e può dire anche
“no”, ma sorge la domanda: è lecito farlo? Nel mondo moderno c’è la tendenza a ridurre l’uomo alla sola dimensione orizzontale e costruire un’umanità nuova senza Dio62. Ma negando Dio, l’uomo non nega se stesso? In
ogni caso l’annuncio di Cristo, fatto in modo rispettoso, non viola la libertà. Piuttosto la fede esige la libera, ragionevole e responsabile adesione
dell’uomo, anzi una risposta d’amore. Inoltre il mandato della missione deriva dal fatto che le nazioni, i popoli, le culture e le singole persone hanno il
diritto di conoscere il mistero di Cristo, se in lui troveranno ciò che da lungo tempo cercano a tentoni, cioè la verità su Dio, sull’uomo, sul suo destino, sul significato della vita, della morte ecc.63 In questo primo capitolo
l’enciclica fa già un primo accenno al mistero della Chiesa. Essa è voluta da
Dio e istituita come sua prima beneficiaria e collaboratrice nell’opera della
salvezza universale. È necessario tenere congiunte le due verità, cioè la reale
possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della
Chiesa in ordine a tale salvezza. La salvezza infatti, che è sempre dono divino, richiede la collaborazione dell’uomo nel senso che egli la accolga e la
renda possibile agli altri. Per questo anche Dio ha voluto la Chiesa nel piano
60
R. Pannikar ha colto in Gesù di Nazaret un simbolo mitico del Cristo-Salvatore; egli
stacca dalla storia il Cristo, e lo considera a questo titolo come mistero religioso universale
presente nell’induismo; cfr ID., The Unknown Christ of Hinduism, London 1981; ID., “The
Jordan, the Tiber, and the Ganges; Three Kairological Moments of Christ’s Self-Consciousness”, in J. HICK (ed.), The Myth of the Incarnation, London 1977, 89-116.
61 Cfr. Dominus Iesus 9-10 e i commenti di R. Fisichella, A. Amato e L.F. Ladaria in CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione “Dominus Iesus”. Documenti e
studi, Libreria Editrice Vaticana 2002, 73-97.
62 Cfr. GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, IV: AAS 53 (1961) 451-453.
63 Cfr. RMi 7-8.
80
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
della salvezza64. In seguito il papa mette in risalto l’universalità della salvezza. Difatti essa non è riservata esclusivamente a coloro che esplicitamente
credono in Cristo e formalmente appartengono alla Chiesa, ma, in quanto
destinata a tutti, viene messa a disposizione di tutti. È chiaro che la moltitudine degli uomini non conosce la rivelazione del Vangelo. E poiché Dio a
tutti dà la possibilità di partecipare alla salvezza di Cristo65, allora tale salvezza è accessibile in virtù di una grazia che ha una misteriosa relazione con
la Chiesa, anche se i non cristiani non vengono introdotti formalmente in
essa. Questa grazia proviene da Cristo ed è comunicata dallo Spirito Santo:
essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza attraverso una “implicita
mediazione sacramentale” da parte della Chiesa66. Giovanni Paolo II conclude questo capitolo con l’interrogativo sul senso della missione. Rispondendo egli sottolinea che la fede in Cristo, unico Salvatore è il dono
dall’alto immeritato, il dono che porta la pace (cfr. Ef 2,14) e l’amore (2Cor
5,14). A tal punto la fede spontaneamente comporta la missione; anzi la
missione “è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per
noi”. In altre parole la fede per sua natura si diffonde e si propone come
dono a chi ancora non ce l’ha, così come è stata ricevuta da chi già è credente e discepolo di Gesù. Inoltre, se si tiene conto del contesto attuale in cui il
cristianesimo viene spesso ridotto a una sapienza meramente umana, quasi
scienza del buon vivere, del contesto impregnato fortemente dalla cultura
secolarizzata e dalla visione dell’uomo dimezzato, ridotto alla sua dimensione orizzontale, allora la necessità della missione sembra ancora più urgente
per far vedere all’uomo sperduto d’oggi, confuso e disorientato, senza sicurezza circa la propria identità, il suo vero valore in quanto uno che è stato
scelto, amato, redento dal Figlio di Dio. Infine, di fronte al mondo delle
genti, di chi non conosce il Vangelo, delle popolazioni che in certo modo a
tentoni cercano la verità e il senso della loro esistenza, la missione assume la
forma di una sensata proposta ai ricercatori della verità tra le altre culture,
religioni e persino tra gli atei. Il dono della fede ricevuto dai battezzati non
può essere trattenuto per se stessi, ma condiviso con tutto il rispetto verso la
libertà del destinatario67.
Ricapitolando, sembra che questo primo capitolo forte e ricco di
contenuti cristologici intenda rispondere alle correnti teologiche che esprimono l’idea che Gesù è una delle vie che conducono a Dio. La missione
64
Cfr. RMi 9.
Cfr. GS 22: EV 1/1389.
66 Cfr. RMi 10.
67 Cfr. RMi 11.
65
81
CAPITOLO TERZO
comunica alle genti la salvezza in Cristo, la fede e l’amore a Cristo, unico
Salvatore, perché è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. L’enciclica riafferma la centralità dell’annuncio di Cristo nell’opera missionaria alle genti e
rifiuta la teoria che esistano altre vie o parallele o complementari a quella di
Cristo che portino alla salvezza. Soprattutto, senza nominare i sostenitori e
le correnti teologiche, si esprime contro il radicale pluralismo religioso
nell’ambito della teologia cristiana68.
2.2. Il Regno di Dio
Il Regno di Dio, già promesso nell’AT, si attua da Cristo e in Cristo
per essere poi annunciato dalla Chiesa a tutte le genti. Il Regno di Dio è il
regno della salvezza a cui si partecipa credendo e accogliendo l’amore del
Padre donato in Gesù mediante lo Spirito69. Gesù predica e instaura il Regno di Dio compiendo così la sua missione: “È per questo che sono stato
inviato” (Lc 4,43). Ma c’è di più: Gesù è Lui stesso la “buona novella”; in
Cristo c’è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l’agire e l’essere.
Egli proclama la presenza del Regno: esso “è in mezzo a voi” (Mt 12,28; Lc
17,21). Egli l’ha manifestato attraverso diversi segni70, soprattutto la liberazione dal peccato e dalle malattie71. La natura del Regno consiste nella comunione di tutti gli esseri umani tra di loro per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo, con il Padre. Esso riguarda tutti: le persone, la società, il mondo
intero; e richiede la collaborazione degli uomini per la liberazione dal male
in tutte le sue forme72.
Oggi si parla spesso del Regno in senso riduttivo come realtà terrena,
‘regno-centrismo’, da realizzare sul piano socio-economico, politico, culturale, scientifico o tecnologico ecc. Invece il Regno di Dio, anche se instaurato
nella storia e inglobante la storia con tutti i suoi valori, è soprattutto una
realtà messianica ed escatologica, per cui non può essere assolutamente disgiunto né da Cristo né dalla Chiesa. Gesù Cristo è il Regno di Dio in Persona, in Lui il Regno di Dio si è fatto presente e si è compiuto. Infatti è
sull’annunzio di Gesù Cristo, con cui il Regno si identifica, che è incentrata
la predicazione della Chiesa primitiva. Il Regno di Dio non è un concetto,
una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma fondamentalmente è una persona, la persona di Gesù Cristo. Senza di Lui non si ha
68
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 128.
Cfr. RMi 12.
70 Cfr. RMi 13.
71 Cfr. RMi 14.
72 Cfr. RMi 15.
69
82
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
più il Regno di Dio. Parimenti non si può disgiungere il Regno dalla Chiesa73. Per esporre meglio il rapporto tra il Regno e la Chiesa conviene riportare qui le parole stesse del papa:
Certo, questa [Chiesa] non è fine a se stessa, essendo ordinata al Regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal Regno, la Chiesa è indissolubilmente unita a entrambi. Cristo ha dotato la Chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica
con i suoi doni e carismi, la santifica, guida e rinnova continuamente74. Ne deriva una relazione singolare e unica, che pur non escludendo l’opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della
Chiesa, conferisce a essa un ruolo specifico e necessario. Di qui anche lo speciale legame della Chiesa col Regno di Dio e di Cristo, che
essa ha «la missione di annunziare e di instaurare in tutte le genti»75.
In tal modo emerge che la Chiesa è effettivamente e concretamente al
servizio del Regno, soprattutto con l’annunzio alla conversione; poi con la
fondazione delle comunità e l’istituzione delle chiese particolari. Essa contribuisce all’edificazione del Regno con la diffusione nel mondo dei “valori
evangelici” che ne sono l’espressione; ed anche con la sua testimonianza e
con le varie attività come il dialogo, la promozione umana, l’impegno per la
giustizia e la pace, l’educazione e la cura degli inermi, l’assistenza ai poveri e
ai piccoli. Infine essa è al servizio del Regno con la sua incessante preghiera
e intercessione76.
2.3. Lo Spirito Santo protagonista della missione
All’inizio del terzo capitolo dedicato allo Spirito Santo, il papa riporta
un’affermazione della sua enciclica, in cui spiega la presenza attiva e indispensabile dello stesso Spirito nella missione di Cristo che continua nella
Chiesa e attraverso la Chiesa:
Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa
presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina, come
colui che deve ora continuare l’opera salvifica, radicata nel sacrificio
73
Cfr. RMi 16-18.
Cfr. LG 4.
75 LG 5 e RMi 18.
76 Cfr. RMi 20.
74
83
CAPITOLO TERZO
della croce. Senza dubbio quest’opera viene affidata da Gesù a uomini:
agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della
realizzazione di tale opera nello spirito dell’uomo e nella storia del
mondo77.
Il fatto che lo Spirito Santo viene definito protagonista della missione, da una parte sembra una novità, ma dall’altra parte la dimensione
pneumatologica della missione ha una forte base biblica. Di fatto, lo Spirito
è il vero protagonista di tutta la missione ecclesiale; Egli opera negli annunciatori e negli uditori (At 10; 15; 14,15-17; 16,6ss; 17,22-31)78. I vangeli, anche se differiscono nei racconti sul mandato missionario affidato ai discepoli, tuttavia contengono due elementi comuni: in primo luogo, l’universalità
della missione (Mt 29,19; Mc 16,15; Lc 24,47; At 1,8)79; in secondo luogo è
evidente che tale missione universale non è alla portata delle sole capacità
umane, ma richiede una continua opera del Signore Risorto (Mt 28,20) presente con gli apostoli per mezzo dello Spirito Santo. Per Giovanni il mandato equivale alla missione; la missione che Gli è stata data dal Padre, Gesù
l’affida ai discepoli (Gv 17,3.18.21-23; 20,21)80. Soprattutto gli Atti degli
Apostoli attestano continuamente l’opera dello Spirito nell’attività missionaria della giovane Chiesa. È significativo, secondo Giovanni Paolo II, che
nel primo concilio a Gerusalemme viene presa una decisione riconosciuta
come derivante dallo Spirito (At 15,5.11.28), in forza della quale la Chiesa
apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a
proprio agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché
non siano in contrasto con il Vangelo81. Si tratta di una prassi di capitale
importanza anche nel contesto dell’attuale dibattito sulla necessità dell’apertura della Chiesa di fronte al mondo presente. Infatti proprio oggi la Chiesa, senza saperne le ragioni si auto-accusa di essere museo delle tradizioni e
delle idee chiuso di fronte all’uomo d’oggi. Lo Spirito Santo, promesso da
Cristo (Gv 14-17) rende la Chiesa sempre aperta, in ogni luogo e in ogni
epoca. Anche se in alcuni periodi era stata necessaria una giusta prudenza e
77
DeV 64.
Cfr. RMi 21.
79 Ci piace far notare come il titolo di questo paragrafo “L’invio «fino agli estremi confini
della terra»” renda perfettamente l’universalità della missione rispetto ad altre espressioni
più riduttive e circoscritte. Inoltre in esso vengono citate e riprese le parole dei vangeli:
“tutte le nazioni”, “in tutto il mondo”, “ad ogni creatura”, “tutte le genti”.
80 Cfr. RMi 22-23.
81 Cfr. RMi 24.
78
84
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
un giusto discernimento, non la si può di certo accusare, nell’arco di tutta la
sua storia, di essere staccata dal mondo e dall’uomo. Una tale accusa di
chiusura da parte di alcune correnti attuali sembra essere indirizzata anche
allo Spirito Santo, come se non fosse stato in grado di animare e stimolare
la sua Chiesa a servire l’umanità in cammino verso il Regno di Dio. È invece lo Spirito che spinge da sempre la Chiesa ad andare oltre, non solo in
senso geografico, ma anche etnico, religioso, sociale, per una missione universale82. La prima missione dello Spirito è quella di riunire il popolo nell’ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell’eucaristia. Solo a questa condizione la Chiesa potrà pienamente realizzare la
sua connaturale vocazione di annunciare e portare in tutto il mondo il Vangelo. E poi la lettura degli Atti fa capire che sin dall’inizio la Chiesa ha inteso la missione ad gentes come il frutto normale della vita cristiana,
l’impegno per ogni credente mediante la testimonianza personale e l’annuncio esplicito, quando possibile83.
In seguito il documento mette in rilievo la presenza e l’operatività
dello Spirito in ogni tempo e luogo, senza nessun limite. Per questo, riportando l’insegnamento conciliare asserisce che bisogna “ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio
conosce, col mistero pasquale”84. Lo Spirito sollecita in ogni uomo il “desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita,
della sua attività e della sua morte”85. Lo Spirito è dunque all’origine stessa
della domanda esistenziale e religiosa dell’uomo, che nasce non soltanto da
situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere86. Tale presenza dello Spirito permette al papa di riprendere il tema delle religioni e del
loro significato teologico. Infatti – è questa un’affermazione di grande rilevanza – la sua attività non tocca “solo gli individui, ma la società e la storia,
i popoli, le culture, le religioni”. È lui che sparge i «semi del Verbo», presenti nei riti e nelle tradizioni, e li prepara a maturare in Cristo87. E ancora: “Il
rapporto della Chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice rispetto:
«Rispetto per l’uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della vita e rispetto per l’azione dello Spirito nell’uomo»”88. Ciò che è
82
Cfr. RMi 25.
Cfr. RMi 26-27.
84 GS 22.
85 GS 41.
86 Cfr. RMi 28.
87 Cfr. RMi 28; LG 17; AG 3. 15.
88 RMi 29; Allocutio ad religionum non-christianarum moderatores quosdam Madrasiae
habita (5.2.1986): AAS 78 (1986), 767.
83
85
CAPITOLO TERZO
stato operato dallo Spirito nei cuori degli uomini, nella storia dei popoli,
nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica89. Tutto sommato, l’azione universale dello Spirito non deve essere disgiunta
dall’azione particolare che egli svolge nel corpo di Cristo che è la Chiesa.
Difatti, il medesimo Spirito agisce sia quando vivifica la Chiesa e la spinge
ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli
uomini e i popoli, guidando la Chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli
mediante il dialogo90.
Al termine di questa prima parte, teologica, è necessario constatare
che la missione ha la sua fonte in Dio ed è frutto dell’Amore trinitario, che
ha il suo apice di realizzazione e di manifestazione nell’Incarnazione e
quindi nel mistero pasquale di Cristo e nel dono pentecostale dello Spirito91. La struttura dei primi tre capitoli, presentati sopra, rispecchia questa
visione trinitaria, anche se allo stesso tempo vuole rispondere a nuove problematiche missionarie. Nell’enciclica la prima frase di ognuno dei primi tre
capitoli è chiave di volta della loro comprensione. Il capitolo I è centrato
nel Verbo fatto uomo come ultima e definitiva Parola di Dio all’umanità e
l’unico e universale Salvatore del mondo mandato dal Padre. Il capitolo II
inizia con la citazione dell’enciclica Dives in misericordia92, sviluppando
poi la natura, le caratteristiche e le esigenze del Regno di Dio. Il capitolo III
invece, offrendo il discorso sullo Spirito Santo e la Sua attiva e necessaria
presenza nell’opera missionaria di Cristo e della Chiesa, lo definisce come
“il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello
spirito dell’uomo e nella storia del mondo”93. In fin dei conti la Trinità è
considerata la fonte della vita e della missione della Chiesa, e non solo la
fonte iniziale di tale dinamismo, ma l’attuale Protagonista dell’opera salvifica e quindi dell’opera missionaria94.
2.4. Gli immensi orizzonti della missione ad gentes
Secondo alcuni commentatori il quarto capitolo è della massima
importanza: costituisce un ponte tra le due grandi parti dell’enciclica; è la
89
Cfr. LG 16.
Cfr. RMi 29.
91 Cfr. P. GIGLIONI, “Unità e diversità nell’opera missionaria. Metodi e vie della missione”,
in AA.VV., Cristo Chiesa Missione, 166.
92 Cfr. DM 1.
93 RMi 21.
94 Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione,
170-171.
90
86
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
cerniera tra la parte teologica e quella operativa95. Il papa sottolinea che la
missione della Chiesa, anche se è sempre unica, a seconda dei tempi e dei
luoghi, ha diversi destinatari, ambiti, compiti, vie e forme di attività96. Infatti il papa avverte: “Occorre (…) guardarsi dal rischio di livellare situazioni
molto diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari
ad gentes”97. Per questo nella prima parte individua e descrive i tre gruppi
verso i quali è orientata l’attività missionaria della Chiesa; e in seguito specifica e studia i tre grandi ambiti in cui si realizza tale impegno.
Quanto al primo nodo che parla dei gruppi e delle situazioni il testo
asserisce che “le differenze nell’attività all’interno dell’unica missione della
Chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui si svolge”98. Detto ciò, l’enciclica distingue tre situazioni e tre rispettive forme di attività. La prima è quella costituita dalla presenza di “popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo
Vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane (…). È,
questa, propriamente, la missione ad gentes”99. La seconda riguarda le “comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita (…). In esse l’attività missionaria assume il carattere
della cura pastorale. Infine, esiste la terza situazione di carattere intermedio,
specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o
non si riconoscono più come membri della Chiesa. In questo caso occorre
una “nuova evangelizzazione”100 o “ri-evangelizzazione”101. Tuttavia tra questi
tre gruppi/destinatari della missione evangelizzatrice soprattutto al primo, ai
non cristiani intesi come individui e come popoli, si può applicare nel senso
proprio e stretto il concetto della missio ad gentes102. I popoli non cristiani
non vanno considerati come una massa amorfa, fuori dall’amore di Dio e
dalla storia della salvezza. Anzi, per questa immensa umanità amata dal Pa95
Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 168.
Cfr. RMi 31.
97 RMi 32.
98 RMi 33.
99 RMi 33. Cfr. anche AG 6.
100 Secondo B. Mondin tra le caratteristiche dell’uomo post-cristiano al quale si rivolge la
nuova evangelizzazione emergono: la secolarizzazione, la mancanza dei principi, la promozione dei valori pragmatici, la sensibilità verso i diritti come libertà, autonomia, democrazia, rispetto verso la natura, importanza dell’ecologia ecc. Cfr. ID., “Nuova evangelizzazione
dei paesi d’antica cristianità” in AA.VV., Cristo Chiesa Missione, 196-202.
101 Cfr. RMi 33.
102 Cfr. RMi 34.
96
87
CAPITOLO TERZO
dre è stato inviato il suo Figlio e in questo amore divino trova la sua ragione
anche la missione della Chiesa ad gentes103. Ora questa triplice distinzione
ha il vantaggio di eliminare molti malintesi per esempio nei confronti di coloro che non sono più cristiani e che vivono in ambiente cristiano, e coloro
che non hanno mai sentito parlare del Vangelo vivendo nelle culture mai cristianizzate104. Nondimeno, “i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova
evangelizzazione e attività missionaria specifica [ad gentes] non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti
stagni”. Al contrario esse sono compatibili e correlate, per cui il papa mette in
risalto “una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della Chiesa” che reciprocamente si stimolano e si aiutano105.
Il secondo nodo si riferisce invece agli ambienti, tra cui ne individua
i tre seguenti: geografico, sociale e gli “areopaghi” moderni. A questa analisi
è dedicato, alquanto più ampio, il punto 37 dell’enciclica. Con il criterio
geografico – territoriale non si intendono soltanto gli spazi dell’assenza del
cristianesimo, ma anche le circostanze in cui il Vangelo non trova la ricezione o la significativa e percepibile risonanza. Infatti si dice che “anche in
paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate al regime speciale
della missione ad gentes con gruppi e aree non evangelizzate”106. Il testo offre due precisazioni supplementari di grande importanza. La prima sottolinea che non basta che la Chiesa sia presente in un paese o nell’unità geografico-politica, ma che debba esistere nelle diverse componenti etniche. Così
in Thailandia la Chiesa ha le strutture diocesane ma i membri delle comunità cristiane costituiscono lo 0,3% della popolazione e vengono riconosciuti
come stranieri o appartenenti ad altri gruppi etnici distinti e minoritari107.
C’è poi una seconda serie di precisazioni che riguardano le comunità ecclesiali il cui stato di vita e di attività evidenzia la situazione missionaria
dell’ambito territoriale in cui si trovano. In primo luogo si menziona l’esigenza del carattere autoctono; ad esempio in alcuni paesi ci sono strutture
diocesane e cristiane, ma l’origine dei loro membri è straniera. In seguito si
ricorda l’esistenza di comunità cristiane “talmente piccole, da non essere un
segno chiaro di presenza cristiana”. Inoltre si parla anche delle comunità
che mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o nazioni108. Il
103
Cfr. RMi 3; M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 175.
Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 173.
105 Cfr. RMi 34.
106 RMi 37; cfr. anche Allocutio habita ad eos qui conventui Consilii episcoporum Europae
interfuerunt (11.10.1985): AAS 78 (1986), 178-189.
107 Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 176-177.
108 Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 177-179.
104
88
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
secondo criterio che specifica l’ambito della missio ad gentes ha il profilo
sociologico. All’interno di questo ambito ci sono i nuovi fenomeni sociali
da evangelizzare. Il primo indicato dal pontefice è l’urbanizzazione a causa
della quale la missione ad gentes non tocca solo le regioni isolate, lontane
dai centri civilizzati, ma anche le megalopoli, le grandi città, dove sorgono
nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione,
che poi influiscono sulla popolazione. Il secondo fenomeno sociale evocato
sono i giovani che in diversi paesi, soprattutto del Sud, costituiscono più
della metà della popolazione. La loro ricerca dell’avvenire e dei valori autentici diventa per la Chiesa un altro ambito della missio ad gentes. Il terzo fenomeno trattato dal testo è la migrazione a cui si unisce quello dei rifugiati.
Cresce infatti il numero degli uomini e delle donne fuggiti da condizioni di
oppressione politica, di persecuzione e di intolleranza. A tal punto la Chiesa
deve assumerli nell’ambito della sua sollecitudine apostolica. Infine, il quarto fenomeno sociologico riguarda la disumana povertà: “l’annunzio di Cristo e del Regno di Dio deve diventare strumento di riscatto umano per queste popolazioni”109. Il terzo ambito dell’ad gentes contiene le aree culturali o
areopaghi moderni. Questo ambito privilegia la dimensione della cultura, però non in senso antropologico, ma come sviluppo intellettuale, scientifico,
tecnico110. “Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione” che unificando l’umanità, la rende “un villaggio globale”. I massmedia sicuramente costituiscono per la Chiesa un altro campo dove e attraverso cui annunciare il Vangelo. Tra gli altri moderni areopaghi di grande
importanza per la missione ad gentes, il papa annovera: l’impegno per la pace,
lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell’uomo e dei popoli sfruttati; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato111.
Rendendosi dunque conto della vastità degli orizzonti verso cui la
Chiesa si deve rivolgere con la sua vocazione missionaria, non meraviglia
l’affermazione conclusiva in cui si dice che la sua specifica missione è ben
lontana dalla sua concreta attuazione ed è ancora agli inizi112. Dall’altra parte però la Chiesa sa di avere “un immenso patrimonio spirituale da offrire
all’umanità, in Cristo che si proclama «la via, la verità e la vita»”, per cui
sente sempre vivo il suo slancio e l’ardore missionario di portare il Vangelo
agli estremi confini della terra113.
109
Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 179-182.
Cfr. M. ZAGO, “Gli ambiti della missione ad gentes”, 182-184.
111 Cfr. RMi 37.
112 Cfr. RMi 40.
113 Cfr. RMi 38.
110
89
CAPITOLO TERZO
2.5. Le vie della missione
La riflessione magisteriale sulla missione si interroga anche sulle possibili ed efficaci vie dell’operatività evangelizzatrice114. La prima forma è la
vita stessa del missionario, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale115. Poi l’annunzio esplicito di Cristo salvatore, la conversione e il battesimo, la formazione della Chiesa locale, le “comunità ecclesiali di base”,
l’inculturazione, il dialogo con i fratelli di altre religioni, la promozione dello sviluppo attraverso l’educazione delle coscienze, e la carità cristiana116.
Parlando della testimonianza il papa, riportando le parole di Paolo VI, conferma che “l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più
all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. Anche
se la dottrina di per sé può essere vera ed autentica, nella società moderna
difficilmente trova la sua ricezione senza i segni che ne attestano la credibilità117. La testimonianza evangelica dimostrata verso le persone bisognose,
verso i poveri e i piccoli, verso i sofferenti, fa nascere domande che orientano a Dio e al Vangelo118.
La seconda via è quella del primo annunzio di Cristo, nel quale la
salvezza è offerta ad ogni uomo. La Chiesa non può sottrarsi al mandato
esplicito di Cristo né può privare gli uomini della “buona novella” che sono
amati e salvati da Dio. Soprattutto dall’annuncio nasce la fede con cui si accoglie il dono della “vita nuova”, divina ed eterna. Tutti gli uomini hanno il
diritto di conoscere tale annuncio. Oltre questo, l’annuncio non è mai un
fatto personale ma scaturisce dal mandato ricevuto da Cristo. Un’altra cosa
riguardante la proclamazione è che essa suscita nel missionario entusiasmo e
fervore (parresía, franchezza, coraggio). Infine, annunziando Cristo ai non
cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli,
per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte119. La terza via indicata dalla Redemptoris missio è la conversione e
il battesimo. La chiamata alla conversione è la parte e l’obiettivo del kerygma. La conversione, essendo sempre dono di Dio, porta all’adesione piena a
114
Cfr. RMi 41-60.
P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 131.
116Cfr. P. GIGLIONI, “Unità e diversità nell’opera missionaria. Metodi e vie della missione”,
166.
117 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, in E. DAL COVOLO –
A. TRIACCA (a cura di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, 216.
118 Cfr. RMi 42.
119 Cfr. RMi 44-45.
115
90
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. Essa coinvolge la persona in modo totale e radicale, determinando un processo dinamico e permanente che
dura per tutta l’esistenza120. Oggi l’appello dei missionari alla conversione,
non di rado, è messo in questione, trattandolo come forma di «proselitismo»: “si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli
alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la
giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà”121. Certo, è necessario l’atteggiamento coerente di colui che predica la conversione e a tal punto non si
tratta di un malinteso «proselitismo», ma di un dono gratuito di Dio, da
una parte, e del diritto di ogni persona di poter udire la “buona novella”
della salvezza, dall’altra parte. Infatti ogni dono di Dio ha bisogno della
cooperazione libera e responsabile da parte dell’uomo122. La conversione, a
sua volta, è sempre collegata col battesimo, attraverso cui non solo aderisce a
Cristo, bensì viene configurato a Lui123. Perciò se la conversione è connessa
con il battesimo,
lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di Cristo, che
ha inviato a far discepoli tutte le genti e a battezzarle (cfr. Mt 28,19);
lo è anche per l’intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita
in Lui (…). Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio,
ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: (…) è sacramento
che significa e opera questa nuova nascita124.
In seguito, il papa sottolinea che ogni convertito è un dono per la
Chiesa; specialmente se è adulto, porta una nuova energia, la gioia della fede, il desiderio di ritrovarsi nella comunità ecclesiale. Questo però richiede
un seria responsabilità da parte dei cristiani di essere autentici ed affidabili
accompagnatori e formatori nel suo cammino verso il battesimo. Sarebbe
per lui una delusione se dentro la comunità trovasse una vita senza fervore,
senza entusiasmo e senza segni di rinnovamento. Non si può predicare la
conversione, se gli stessi cristiani non si convertono ogni giorno125.
120
Cfr. RMi 46.
RMi 46.
122 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, 218.
123 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, 217.
124 RMi 47.
125 Cfr. RMi 47. Questa osservazione sembra di grande importanza: la pastorale della conversione suppone una guida spirituale anche dopo la prima adesione a Cristo, specialmente
quando i convertiti pensano di non trovare nella Chiesa quello che si aspettavano. Il tono
dell’enciclica chiama al continuo rinnovamento dei credenti. La stessa persona dell’evan121
91
CAPITOLO TERZO
Un’altra via della missione è quella di costruire le chiese locali126 e di
sostenere le comunità ecclesiali di base127. La missione ad gentes ha come
scopo di fondare comunità cristiane sviluppando le chiese locali fino alla
loro completa maturazione128. Un grande lavoro di impianto e di progresso
della Chiesa129, detta plantatio Ecclesiae, non è a tutt’oggi compiuto, anzi in
molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare. Poiché la vocazione missionaria ricade sulla Chiesa universale e su tutte le Chiese locali, allora ogni
Chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria,
è evangelizzata ed evangelizzante130. Solo diventando missionaria ogni comunità cristiana potrà ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede. Le forze
missionarie, provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo di tutta la comunità cristiana131. In tal
modo l’enciclica insiste sulla cooperazione da parte delle Chiese giovani. Il
loro aiuto può diventare uno stimolo per le comunità cristiane costituite da
tempo. I mezzi di cooperazione sono i soliti indicati già prima: preghiera,
apertura alla parola di Dio, celebrazione della eucaristia, sacrificio, sofferenza, vocazioni, aiuti economici, formazione missionaria, coordinamento da
parte delle Pontificie Opere Missionarie132.
Secondo la Redemptoris missio le vie della missione, oltre che l’evangelizzazione e la plantatio Ecclesiae, sono anche l’incarnazione dell’Evangelo
nelle culture dei popoli133, detta semplicemente l’inculturazione134, il dialo-
gelizzatore deve rinnovarsi. Cfr. J.A. BARREDA, “Una nueva evangelización para un hombre
nuevo”, in Studium 28 (1988) 2-34; S. DI GIORGI, “La nuova evangelizzazione e l’interlocuzione”, in Euntes Docete 43 (1990) 57-86; J. ESQUERDA BIFET, “Renovación eclesial
para una nueva evangelización”, in Medellín 16 (1990) 220-237; P. GIGLIONI, “Perché una
«nuova» evangelizzazione”, in Euntes Docete 43 (1990) 5-36.
126 Cfr. RMi 49-50.
127 Cfr. RMi 51; cfr. G. CAVALLOTTO, “Comunità ecclesiali di base, strumento di formazione cristiana e di evangelizzazione”, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, 259-291.
128 Cfr. RMi 48.
129 Per un approfondimento del tema della missione orientata alla fondazione delle chiese
locali e la formazione delle comunità di base si consiglia L.A. GALLO, “Missione, Chiese
locali, comunità di base”, in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a cura di), La missione del
Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, 227-246
130 Anche la fonte biblica (cfr. At 13,2-3) ci offre un tipico esempio di Chiesa locale, in questo caso la comunità di Antiochia, che da evangelizzata si fa evangelizzatrice e invia i suoi
missionari alle genti.
131 Cfr. RMi 49.
132 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, 220-222.
133 Cfr. RMi 52-54.
92
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
go interreligioso135 e la promozione umana dello sviluppo educando le coscienze136. Sono queste le vie per mezzo delle quali l’evangelizzatore può attivamente inserirsi nelle situazioni religiose e sociologiche delle strutture
umane137. “L’inculturazione significa l’intima trasformazione degli autentici
valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento
del cristianesimo nelle varie culture”138. In altri termini,
per l’inculturazione la Chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture
e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua
comunità; trasmette ad esse i propri valori, assumendo ciò che di
buono c’è in esse e rinnovandole dall’interno139.
Tuttavia
l’inculturazione nel suo retto processo dev’essere guidata da due
principi: «La compatibilità col vangelo e la comunione con la Chiesa
universale»140. Custodi del «deposito della fede», i vescovi cureranno
la fedeltà e, soprattutto, il discernimento141, per il quale occorre un
profondo equilibrio: c’è, infatti, il rischio di passare acriticamente da
una specie di alienazione dalla cultura a una supervalutazione di essa, che è un prodotto dell’uomo…142.
Quanto al dialogo interreligioso, esso consiste in uno scambio di
esperienze con i fratelli e le comunità delle altre religioni. Questo dialogo
rispettoso può diventare una via di evangelizzazione. Infatti, anche se la
Chiesa riconosce nelle altre religioni gli autentici valori, la presenza dei
germi del Verbo e i raggi della verità143, tuttavia questo non diminuisce il
134
Interessante e conciso è il saggio di A.A. ROEST CROLLIUS, “Missione e inculturazione”,
in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a cura di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, 247-255.
135 Cfr. RMi 55-57; cfr. D. ACHARUPARAMBIL, “Il dialogo inter-religioso”, in AA.VV., Cristo
Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, 307-325.
136 Cfr. RMi 58-59.
137 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, 222.
138 RMi 52.
139 RMi 52.
140 Esortazione apostolica postsinodale Familiaris consortio 10, in EV 7/1553-1556.
141 Cfr. EN 63-65.
142 RMi 54.
143 Cfr. RMi 56.
93
CAPITOLO TERZO
suo dovere di proclamare Gesù Cristo, che è “la via, la verità e la vita”.
Inoltre,
il fatto che i seguaci delle altre religioni possano ricevere la grazia di
Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari
che egli ha stabilito, non cancella affatto l’appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti gli uomini144.
L’elenco delle vie della missione, anche se non vuole essere esaustivo,
termina con la promozione umana e con l’inserimento del Vangelo nelle
circostanze sociali legate allo sviluppo, all’emarginazione e all’ingiustizia.
Tenendo conto di una sproporzione dello sviluppo in diverse parti del mondo, il documento afferma:
La missione ad gentes si svolge ancor oggi, per gran parte, in quelle
regioni del sud del mondo, dove è più urgente l’azione per lo sviluppo integrale e la liberazione da ogni oppressione. La Chiesa ha
sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, la
spinta verso il progresso, e oggi i missionari più che in passato sono
riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti
internazionali145.
La via operativa della Chiesa vuole giungere ad una liberazione integrale dell’uomo e ad un’educazione delle coscienze per evidenziare che “il
miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi
come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente”,
offrendogli non tanto un “avere di più”, ma un “essere di più”146. La pastorale missionaria arriva all’uomo concreto e nel mondo in cui vive, per liberarlo dall’oppressione del peccato e dalle sue conseguenze. È liberazione integrale dell’uomo perché è liberazione al contempo immanente e trascendente, storica ed escatologica, che trova in Cristo il suo compimento147. Infine, per ridimensionare il rapporto tra evangelizzazione ad gentes e nuova
evangelizzazione il papa scrive:
144
RMi 55.
RMi 58.
146 RMi 58.
147 Cfr. J. ESQUERDA BIFET, “Strategia della missione: vie operative”, 224-225.
145
94
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
L’attività missionaria apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova evangelizzazione deve (…) creare nei
ricchi la coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all’Assoluto148.
In tal modo la Redemptoris missio unisce strettamente l’annunzio di
Cristo all’umanizzazione. Come è stato esplicitato sopra, Giovanni Paolo II
sviluppa l’idea che con la missione alle genti la Chiesa aiuta i popoli a svilupparsi; certo anche con gli aiuti economici e materiali, con le opere sanitarie e di educazione, ma soprattutto annunziando Cristo, perché “lo sviluppo dell’uomo viene da Dio e dal modello di Gesù uomo-Dio e deve portare a Dio”149.
E aggiunge che “il contributo della Chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto il sud del mondo, per
combattervi la miseria materiale e il sottosviluppo, ma anche il nord, che è
esposto alla miseria morale e spirituale causata dal «super-sviluppo»”150. Questo messaggio è fondamentale per capire i meccanismi dello sviluppo di un
popolo, innanzitutto quando mette in risalto che “lo sviluppo di un popolo
non deriva primariamente né dal denaro né dagli aiuti materiali, né dalle
strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione
delle mentalità e dei costumi”151. Queste parole sono rivoluzionarie per capire lo sviluppo e il sottosviluppo dei popoli, che non è tanto di soldi, di
macchine, di tecniche, di commerci, quanto soprattutto di formazione col
Vangelo, che rende l’uomo più uomo e lo sviluppa in tutti i sensi. Ecco perché tra missione evangelica e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione152.
2.6. I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria
Sulla linea dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI153, anche Giovanni
Paolo II rende esplicito l’assioma: “la Chiesa è missionaria per sua natura”.
Il primo responsabile è il collegio dei vescovi con a capo il successore di
148
RMi 59.
RMi 59; cfr. anche PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio, 14-21; 40-42, in
EV 2/1059-1066; 1085-1087.
150 RMi 59.
151 RMi 58.
152 Cfr. RMi 59.
153 Cfr. EN 66-67.
149
95
CAPITOLO TERZO
Pietro154. Il papa si permette di fare una confessione quasi personale dicendo: “Mi sono messo in cammino sulle vie del mondo, ‘per annunciare il
Vangelo’, per ‘confermare i fratelli’ nella fede, per consolare la Chiesa, per
incontrare l’uomo. Sono viaggi di fede (…). Sono altrettante occasioni di catechesi itinerante, di annuncio evangelico nel prolungamento, a tutte le latitudini, del Vangelo e del magistero apostolico, dilatato alle odierne sfere
planetarie»”155. Parlando dei vescovi come pastori delle chiese particolari
sottolinea che spetta a loro promuovere, dirigere e coordinare l’attività missionaria; per cui – richiamandosi alle indicazioni del Concilio Vaticano II156
– è necessario che il vescovo “provveda anche a che l’attività apostolica non
resti limitata ai soli convertiti, ma che una giusta parte di missionari e di
sussidi sia destinata all’evangelizzazione dei non cristiani”157. Per questo rimane sempre in vigore l’appello affinché ogni Chiesa particolare, anche
quella giovane, si apra alle necessità delle altre, aggiungendo che la missione
di ogni Chiesa è più vasta della “comunione fra le chiese”158. Di seguito
viene riportata la profonda riflessione del Decreto conciliare dove si parla
della specifica vocazione missionaria159, per cui il papa punta su un’approfondita riflessione sul carisma missionario, che non poche volte e a seconda delle circostanze sfavorevoli può indurre i missionari “a non capir
più il senso della loro vocazione, a non saper più che cosa precisamente la
Chiesa si attenda oggi da loro”160. In questa ottica appare fondamentale il
ruolo degli Istituti Missionari che nella loro ampia attività dovrebbero “impiegare tutte le risorse necessarie (…) per preparare adeguatamente i candidati e assicurare il ricambio delle energie spirituali, morali e fisiche dei loro
membri”161. E invece per quanto riguarda i missionari e le missionarie che
hanno già consacrato tutta la loro vita per testimoniare la buona novella tra
le genti, gli stessi Istituti li aiutino a non lasciarsi intimorire da dubbi, incomprensioni, rifiuti e persecuzioni, ma che continuino a far risvegliare in
loro la grazia del carisma ricevuto e il coraggio nel compiere la loro preziosa
154
Cfr. E. RENAUD, “Gli operatori della missione secondo la Redemptoris missio”, in
AA.VV., Riflessioni sulla Redemptoris missio, Urbaniana University Press, Roma 1991, 146148.
155 Cfr. RMi 63; cit. da: Allocutio ad patres cardinales omnesque cooperatores curiae romanae, Civitatis Vaticanae et Vicariatus Urbis (28.6.1980), 10: Insegnamenti III/1 (1980), 1887.
156 Cfr. AG 30.
157 RMi 63.
158 Cfr. RMi 64.
159 Cfr. AG 23-27.
160 RMi 65.
161 RMi 66.
96
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
vocazione162. Il papa ricorda pure il compito dei sacerdoti diocesani nella
missione universale sottolineando l’attualità dell’appello lanciato da Pio XII
in Fidei donum e lo estende al presbiterio delle giovani Chiese163. Una
grande fecondità missionaria risiede nella vocazione e nella vita delle persone consacrate, per cui tutte le comunità religiose, sia quelle attive sia quelle
contemplative a seconda del loro carisma e delle loro possibilità vengono
incoraggiate verso gli impegni missionari164. Citando abbondantemente
l’Esortazione Christifideles laici165 mette in risalto il ruolo dei laici per i
quali, in virtù del battesimo, l’attività missionaria è “un diritto e un dovere”166. Il ruolo particolare spetta alle famiglie, ai catechisti e ai singoli fedeli
in vari campi della vita: personale, comunitaria, politica, sociale, economica,
culturale, educativa ecc.167. Al termine del sesto capitolo l’enciclica dedica
un dovuto spazio alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel
passato chiamata Propaganda Fide. Ispirandosi all’insegnamento del decreto
conciliare Ad gentes, ricorda e ribadisce l’indispensabile funzione di questo
ufficio ecclesiastico, anzitutto in quanto esso garantisce l’unità dei vari agenti e responsabili della missione. Infatti essendo la Chiesa una comunione visibile ed organica, anche la missione richiede una unione visibile tra i vari
soggetti impegnati effettivamente nell’opera evangelizzatrice168. Per esplicitare in modo più concreto il suo ruolo, l’enciclica afferma che spetta proprio
al dicastero missionario «dirigere e coordinare in tutto il mondo
l’opera stessa dell’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, salva la competenza della Congregazione per le Chiese
Orientali»169. Per questo «è suo compito suscitare e distribuire, secondo i bisogni più urgenti delle regioni, i missionari (…), elaborare
un piano organico di azione, emanare norme direttive e principi
adeguati in ordine all’evangelizzazione, dare l’impulso iniziale»170.
(…) è la Congregazione per l’Evangelizzazione (…) che ha l’autorità
162
Cfr. RMi 67.
Cfr. RMi 67-68.
164 Cfr. RMi 69-70.
165 Cfr. ChL 35.
166 Cfr. E. RENAUD, “Gli operatori della missione secondo la Redemptoris missio”, 150-151.
167 Cfr. RMi 71-74.
168 Cfr. E. RENAUD, “Gli operatori della missione secondo la Redemptoris missio”, 151.
169 Const. apost. Pastor bonus (28.6.1988), 85: EV 11/917; AG 29.
170 AG 29.
163
97
CAPITOLO TERZO
necessaria per programmare e dirigere l’attività e la cooperazione
missionaria a livello universale171.
A questo scopo essa deve intrattenere strette relazioni con gli altri
Dicasteri della Santa Sede, con le Chiese particolari e con le diverse forze
missionarie172.
2.7. La cooperazione all’attività missionaria
Il settimo capitolo evidenzia ancora un altro aspetto dell'attività
missionaria quando dice che “la partecipazione della comunità e dei singoli
fedeli a questo diritto-dovere è chiamata 'cooperazione missionaria'”173. La
cooperazione presuppone l'impegno di tutti e di ogni membro per raggiungere il comune obiettivo. Nel campo di questa cooperazione, la missione
universale della Chiesa in tutto il mondo è condivisa dalle Chiese particolari
vecchie o giovani o appena impiantate174. Con la Redemptoris missio è stata
superata la precedente idea della cooperazione. Nel passato dominava il
pensiero che le vecchie Chiese avevano sufficiente personale da inviare ai
nuovi avamposti missionari. Unitamente a fornire personale missionario, le
Chiese più vecchie godevano anche di maggiori risorse finanziarie che erano
necessarie nelle nuove comunità composte generalmente da gente con
limitatissime risorse economiche. Così molti sono stati condizionati nel
considerare le vecchie Chiese come quelle che danno, mentre le giovani sono
quelle che ricevono. Le Chiese che davano erano considerate benefattrici
missionarie, e quelle che ricevevano erano le beneficate. Dai benefattori si
aspettava che dessero di più in termini di personale e di aiuti finanziari, e i
beneficiati dal canto loro offrivano preghiere e sacrifici, ma non a vantaggio
dell'attività missionaria, bensì a beneficio dei benefattori. Questa erronea
comprensione della cooperazione missionaria derivava non da una falsa
interpretazione teologica, ma semplicemente da una pratica realtà storica
delle Chiese. Le vecchie dovevano dare di più fino a quando le giovani ne
avevano bisogno. Pensavano che non potevano venir meno alle loro necessità;
ritenevano che dovevano in primo luogo essere forti, prima di dover
condividere con le deboli. In questa prospettiva l’imperfetta comprensione
della cooperazione potrebbe essere superata in quanto l’enciclica insiste che
171
RMi 75.
Cfr. E. RENAUD, “Gli operatori della missione secondo la Redemptoris missio”, 152.
173 RMi 77.
174 Cfr. J.T. S ANCHEZ “Cooperazione missionaria”, in AA .V V., Riflessioni sulla Redemptoris missio, 167.
172
98
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
anche le Chiese particolari, per quanto giovani siano, sono missionarie
come la Chiesa universale e quindi sono poste allo stesso livello della Chiesa
universale. In tal senso tutte le Chiese particolari, sia vecchie sia giovani, sia
ricche sia povere sono contemporaneamente quelle che danno e quelle che
ricevono175. Da qui l’appello che le singole Chiese sentano la preoccupazione per tutte le altre, si informino reciprocamente dei propri bisogni, si
scambino l’una con le altre i propri beni176. Nel caso delle Chiese ritenute
povere, il loro dinamismo missionario non deve essere condizionato dalla
scarsezza delle risorse personali o finanziarie, ma dalla convinzione che la
“generosità nel dare va sempre illuminata e ispirata dalla fede: allora,
davvero c’è più gioia nel dare che nel ricevere”177 e che “dando generosamente del nostro, riceveremo”178. Pertanto l’enciclica sottolinea che dare
alle missioni non è un’opzione; è un dovere. Ricchi o poveri possono
condividere questo comune impegno secondo quanto hanno ricevuto dal
Signore, riconoscendo con gratitudine il generoso aiuto venuto da ogni
parte del mondo, e rinnovando l’appello a continuare l’aiuto finanziario
con cuore semplice e generoso179. Nel discorso sulla cooperazione non
manca comunque l’esplicito riferimento ai popoli che vivono nelle disumane condizioni di miseria e sfruttamento; in questa ottica si rende ancora
più comprensibile la richiesta di aiuti economici per le necessità delle
missioni. In tal modo infatti lo spirito di cooperazione si collega con la
“comunione” nella carità e con la “scelta preferenziale dei poveri”180. La
scelta dei poveri non riguarda solo gli aiuti economici, ma anzitutto una
condivisione dell’annuncio e della carità181. Infatti, sottolinea il papa, “i
poveri hanno fame di Dio e non solo di pane e di libertà”182. Un’altra forma
concreta mediante cui si esprime la cooperazione missionaria sul piano
planetario sono le Giornate Missionarie Mondiali come “appuntamento
importante nella vita della Chiesa, perché insegna come donare”183, infatti “vi
è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35)184.
175
Cfr. J.T. SANCHEZ “Cooperazione missionaria”, 169-171.
Cfr. RMi 85.
177 RMi 81.
178 RMi 85.
179 Cfr. J.T. S ANCHEZ “Cooperazione missionaria”, 175.
180 RMi 81.
181 La questione dell’«opzione preferenziale per i poveri» esige il primato della carità e del
Vangelo. Cfr. SRS 42; CA 57.
182 RMi 83.
183 RMi 81.
184 Cfr. F. PAVESE, “Cooperazione, animazione e formazione missionaria”, 369-375
176
99
CAPITOLO TERZO
Il tema della cooperazione implica tre precisazioni introduttive: la
prima è il suo fondamento teologico che deriva dalla configurazione dei fedeli con Cristo mediante il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia; la seconda è
il coinvolgimento nella cooperazione ed è legata all’identità del cristiano
come segno della maturità della fede; la terza sono le principali forme di
cooperazione185. Il testo concede il primo posto alla cooperazione spirituale186 che consiste nella “preghiera, sacrifici e testimonianza di vita”187 ricorrendo all’insegnamento di s. Paolo secondo cui l’annunzio della Parola è reso efficace soprattutto dalla grazia divina ottenuta tramite la preghiera188.
Tutte le persone, ma in modo particolare quelle che si dedicano alla vita
contemplativa pregando secondo le intenzioni missionarie pubblicate regolarmente di sicuro hanno la loro parte di immenso valore nell’opera missionaria189. L’Apostolo spesso chiede “ai fedeli di pregare per lui, affinché gli
sia concesso di annunziare l’Evangelo con fiducia e franchezza”190. Inoltre
l’enciclica indicando ancora l’esempio di s. Paolo mentre parlava del compito di portare il Vangelo di Cristo a tutto il mondo associa questa vocazione
ai patimenti di Cristo: “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Con
questo richiamo all’Apostolo delle nazioni, il documento insiste sul valore
della sofferenza come forma di cooperazione e di partecipazione all’opera
missionaria191.
Il ‘cuore’ della cooperazione è costituito dalla necessità di “promuovere le vocazioni missionarie”192. Il papa si rivolge ai pastori che si impegnino a promuovere le vocazioni missionarie. Inoltre lancia un esplicito appello alle famiglie e ai genitori, sulla linea della Familiaris consortio 54, perché “siano consapevoli di dover portare un particolare contributo alla causa
missionaria della Chiesa, coltivando le vocazioni missionarie dei loro figli e
figlie”193. Poi esorta gli animatori vocazionali, i sacerdoti, i catechisti, a provocare i giovani, a interpellarli interiormente, proponendo loro un ideale
forte e concreto. Il papa chiede il coraggio di essere espliciti con i giovani,
185
Cfr. RMi 77.
Cfr. G. DINH DUC DAO, “Oración y Evangelización”, in Omnis Terra (1979), 147-157.
187 RMi 78.
188 Cfr. F. PAVESE, “Cooperazione, animazione e formazione missionaria”, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, 366.
189 Cfr. J.T. S ANCHEZ “Cooperazione missionaria”, 173.
190 RMi 78.
191 Cfr. F. PAVESE, “Cooperazione, animazione e formazione missionaria”, 368.
192 RMi 79.
193 RMi 80.
186
100
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
convinti che “essi avranno dinanzi a sé una vita affascinante e conosceranno
la vera soddisfazione di annunciare la ‘buona novella’ ai fratelli e sorelle che
condurranno sulla via della salvezza”194. Oltre questo vengono indicate le
diverse forme di vivere la vocazione missionaria: per tutta la vita o per un
periodo limitato; attraverso l’appartenenza ad un Istituto missionario o inviato dalla propria Chiesa particolare195. Verso la fine del settimo capitolo,
la Redemptoris missio riflette ancora su due temi di carattere generale: il
primo riguarda la formazione missionaria di tutto il popolo di Dio attraverso l’informazione corretta sulla Chiesa e sulla realtà delle missioni e in seguito mediante una adeguata formazione che tende alla maggiore sensibilizzazione dei fedeli di fronte all’opera missionaria196. Come semplice esempio
vale la pena riportare e valorizzare il lavoro di chi si impegna per la diffusione delle varie pubblicazioni missionarie.197 Il secondo invece riguarda il
compito e il ruolo delle Pontificie Opere Missionarie198, che sono soggette
alla Santa Sede tramite la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli;
le Opere svolgono il loro lavoro in varie nazioni e diocesi sempre in stretta
collaborazione e coordinamento con le Conferenze episcopali e i vescovi
diocesani199. Il capitolo conclude con un invito alla speranza comunitaria:
“tutte le Chiese particolari, giovani e antiche, sono chiamate a dare e ricevere
per la missione universale e nessuna deve chiudersi in se stessa”200. Perciò affrontando il problema del pessimismo davanti alle numerose difficoltà e nonostante alcuni fattori negativi, l’enciclica con una nota di ottimismo afferma
che in forza della vittoria pasquale di Cristo e del mandato universale che trae
origine dall’amore del Padre, la reazione dei cristiani non può che essere di
speranza201: “in prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio”202.
2.8. La spiritualità missionaria
In confronto con la situazione odierna le prime comunità si sono
trovate in condizioni ancora più difficili, ma comunque si sono lanciate coraggiosamente nell’impegno missionario nonostante la scarsezza dei mezzi,
194
RMi 80.
Cfr. RM 79.
196 Cfr. RMi 83.
197 Cfr. J.T. S ANCHEZ “Cooperazione missionaria”, 172.
198 Cfr. F. PAVESE, “Cooperazione, animazione e formazione missionaria”, 377-378.
199 Cfr. J.T. S ANCHEZ “Cooperazione missionaria”, 178.
200 Cfr. RMi 85
201 Cfr. F. PAVESE, “Cooperazione, animazione e formazione missionaria”, 379-380.
202 RMi 86.
195
101
CAPITOLO TERZO
così l’Evangelo raggiunse in breve tempo i confini del mondo. “Alla base
di un tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle
prime comunità”203, dice il papa. Ne consegue che alle esigenze della missione ad gentes oggi,
non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare
meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi
bibliche e teologiche della fede, ma occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” tra i missionari e in tutta la comunità cristiana204.
La Chiesa non ha bisogno solo di un maggior numero di missionari,
ma di missionari di profonda spiritualità: audaci e ferventi nell’impegno e
innamorati di Cristo e del suo Evangelo, tanto da volerlo far conoscere a
tutto il mondo per condividerne l’esperienza205.
La nota caratteristica della spiritualità missionaria, a cui viene dedicato tutto il numero 87, è vivere in piena docilità allo Spirito, essere mossi
da Lui, affinché Egli possa plasmare interiormente il cuore del discepolo per
renderlo più conforme a Cristo. Lo Spirito rende il missionario testimone
coraggioso e illuminato dalla Parola di Gesù206. Appunto egli non è inviato
come semplice dottore, maestro o profeta, ma esplicitamente come testimone207. Soltanto il missionario che si lascia formare e guidare dallo Spirito
avrà il coraggio208 di proclamare il Vangelo con franchezza, saggezza e con
tutta la sua condotta209. Tuttavia non è facile vivere secondo la voce interiore, né comprenderla, perché non tutte le mozioni interiori sono dello Spirito Santo. È perciò di grande importanza il discernimento della voce interiore. Questo esige uno sforzo di spogliazione di sé per liberarsi da tutte le passioni e interessi egoistici: materiali, intellettuali, ideologici, per cercare solo
Dio. Per questo, la vita secondo lo Spirito si esprime come il cammino per
203
RMi 90.
RMi 90.
205 Cfr. J. D INH D UC D AO , “Spiritualità missionaria”, in AA .V V ., Riflessioni sulla Redemptoris missio, 181-182.
206 Cfr. J. LÓPEZ -GAY , “Spiritualità della missione”, in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a
cura di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II,
276.
207 Cfr. J. LÓPEZ -GAY , “Spiritualità della missione”, 277.
208 Il “coraggio” di testimoniare e di proclamare Cristo viene dallo Spirito. È significativo
che la prima comunità dei cristiani nelle sue preghiere non chiede la tranquillità per la
Chiesa, ma soltanto la grazia di coraggio, cioè di franchezza, entusiasmo, audacia (in greco
parresía, cfr RMi 24, nota 23): cfr. J. LÓPEZ-GAY, “Spiritualità della missione”, 279.
209 Cfr. J. D INH D UC D AO , “Spiritualità missionaria”, 182.
204
102
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
passare dalla vita apostolica dove si è al centro, alla vita apostolica dove è
Gesù al centro210.
In secondo luogo il missionario è colui che è conquistato da Cristo.
L’evangelizzatore non esaurisce la missione con l’insegnare una dottrina e
offrire un servizio, ma la sua missione consiste nel presentare una Persona,
Gesù Cristo, per invitare ed aiutare gli altri ad entrare e crescere in comunione intima con Lui211. Perciò “non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato ad evangelizzare”212. Precisamente si tratta di una relazione di intima comunione vissuta in un’esperienza di fede che rende la sua vita costantemente animata dal grande desiderio di condividere con gli altri l’esperienza di Cristo. A tal punto il missionario dovrà avere una grande familiarità con Lui e con il Vangelo. Con la
familiarità non si intende un’esperienza romantica e sentimentalistica, ma
una convinzione di fede. Tale spiritualità è caratterizzata dal silenzio e dalla
contemplazione. La contemplazione è una dinamica indispensabile per stabilire un rapporto personale sempre più profondo con Cristo, assimilando
il suo stile e il suo spirito: mentalità, pensieri, affetti, sentimenti, giudizi,
motivazioni, scelte, attività ecc.213. Come si vede, qui non si tratta di una
semplice sequela o imitazione esterna, ma di una comunione intima con
Cristo214. In effetti “il futuro della missione dipende in gran parte dalla
contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile”215, scrive con determinazione il papa.
La spiritualità missionaria comporta la rinuncia di tutto e di se stesso che
sono due aspetti complementari: la radicalità e la gioia nella donazione. Solo mediante questo atteggiamento il missionario può far conoscere Cristo al
mondo in modo che tante persone e tanti popoli che lo cercano lo possano
trovare e in lui deporre tutte le loro attese e speranze216.
In terzo luogo la spiritualità missionaria si contrassegna per l’amore
verso la Chiesa. La missione non è mai un impegno puramente individuale
e privato, ma è l’opera di tutta la Chiesa. Ne risulta che l’amore per la Chiesa è un aspetto essenziale per il servizio missionario. Per il papa, l’amore per
la Chiesa è necessario per essere in sintonia con Cristo che ha amato la
Chiesa e ha dato se stesso per lei; questo amore esprime e sostiene lo zelo del
210
Cfr. J. DINH DUC DAO, “Spiritualità missionaria”, 183.
Cfr. J. DINH DUC DAO, “Spiritualità missionaria”, 184.
212 RMi 88.
213 Cfr. J. D INH D UC D AO , “Spiritualità missionaria”, 184-185.
214 Cfr. J. LÓPEZ -GAY , “Spiritualità della missione”, 280
215 RMi 91.
216 Cfr. J. D INH D UC D AO , “Spiritualità missionaria”, 184-185.
211
103
CAPITOLO TERZO
missionario217 ed è attuazione del “sentire cum Ecclesia”218. Una dimensione fondamentale dell’amore verso la Chiesa è la fedeltà. Per il missionario la
fedeltà a Cristo implica necessariamente fedeltà alla sua Chiesa. Essere fedele
alla Chiesa significa vivere con responsabilità la propria vocazione in quanto ecclesiale e rispettare, anzi apprezzare gli altri membri della Chiesa nelle
loro funzioni ed incarichi. L’amore per la Chiesa si esprime nella capacità di
dare la vita per lei219, ossia non solo offrire dei servizi e sapersi sacrificare,
ma esige la capacità di soffrire per lei, accettando con amore le imperfezioni
dei suoi membri. Non c’è amore che non costa.
Infine la Redemptoris missio indica ancora un altro tratto essenziale
della spiritualità missionaria: amare gli uomini come Cristo li ha amati. Alla
luce di Cristo, Buon Pastore, vengono individuati tre aspetti della carità
apostolica220. Il primo si manifesta come “attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità, interessamento ai problemi della gente”221. Il
secondo è l’atteggiamento positivo della cura e della premura per la salvezza
degli altri, annunciando “ad ogni fratello che è amato da Dio e che può lui
stesso amare”222 per accendere il fuoco nei cuori umani. Ogni persona vuole
amare e desidera essere amata. Il terzo aspetto è la forza universale del suo
amore. Gesù vuole salvare tutti; non c’è distinzione tra i buoni e i cattivi, tra
gli oppressori e gli oppressi, ma ci sono soltanto persone da salvare. Il missionario si caratterizza come il “fratello universale” che porta in sé
apertura ed interesse per tutti i popoli e per tutti gli uomini, specie i
più piccoli e i poveri. Egli supera le frontiere e le divisioni di razza,
casta o ideologia: è segno dell’amore di Dio nel mondo, che è amore
senza nessuna esclusione né preferenza223.
In tal modo il futuro della missione dipende dalla santità e dalla carità dei missionari e delle comunità cristiane. L’origine della missione e il suo
fine si trovano nella carità di Dio224. La Chiesa nella sua vocazione missionaria procede con speranza riunendosi intorno a Maria. Con il “sì” di Maria,
Dio, quasi come primo Missionario, è entrato nel mondo per salvarlo e rin217
Cfr. RMi 89.
RMi 36.
219 Cfr. RMi 89.
220 Cfr. J. D INH D UC D AO , “Spiritualità missionaria”, 187.
221 RMi 89.
222 RMi 89.
223 RMi 89.
224 Cfr. J. LÓPEZ -GAY , “Spiritualità della missione”, 282.
218
104
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
novarlo. Anche oggi, mediante il “sì” dei missionari uniti a Maria, Dio manifesterà le meraviglie del suo amore nel cuore del mondo del nostro tempo225.
3. Alcune questioni sollecitate nel periodo della ricezione della
Redemptoris missio
Ovviamente non è possibile trattare tutte le problematiche che sono
sorte dopo la pubblicazione della Redemptoris missio e che si collocano in
questa amplissima gamma, dalle questioni più dottrinali e teoretiche fino
alle più pastorali e pratiche. Perciò ne abbiamo individuate alcune, quelle
che a nostro parere avrebbero suscitato maggiore risonanza.
3.1. La verità, il Cristo e le religioni
Nel secondo paragrafo di questo capitolo, esponendo i contenuti
della Redemptoris missio, è stata posta nel contesto della missione come
prima questione l’assolutezza della salvezza in/di Cristo. Tale impostazione,
cioè trattare il tema della missione partendo dalla centralità di Cristo, era
innanzitutto condizionata dal vivace dibattito teologico sul pluralismo religioso. Nella discussione contemporanea sul rapporto tra il cristianesimo e le
altre religioni si è fatta sempre più strada l’idea che tutte le religioni siano
per i loro seguaci vie ugualmente valide di salvezza. Questa idea può essere
definita: relativismo (religioso). Alla base delle varie teologie del pluralismo
religioso stanno alcuni presupposti di natura sia filosofica sia teologica: la
convinzione della inafferrabilità e inesprimibilità completa della verità divina, proveniente dalla distinzione kantiana tra noumenon e fenomenon.
Inoltre è evidente l’atteggiamento relativistico nei confronti della verità universale226, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; da qui
successivamente risulta anche la rinuncia al concetto della verità, per favorire l’ideologia del dialogo; così appare anche la sempre più diffusa tendenza
ad eguagliare le varie religioni sotto l’aspetto del loro valore salvifico e rivelatore; ciò che favorisce tale relativismo è altresì la contrapposizione radicale
tra mentalità logica occidentale e mentalità simbolica orientale; nella cultura
postmoderna emerge il dominio del soggettivismo e dell’opinabile esasperato di chi considera la ragione individuale come unica fonte di conoscenza;
225
Cfr. J. DINH DUC DAO, “Spiritualità missionaria”, 186-187.
Cfr. A. STAGLIANO’Ò, “I no di «Fides et ratio», in R. FISICHELLA (ed.), Lettera enciclica
di Giovanni Paolo II «Fides et ratio». Testo e commento teologico – pastorale, Cinisello
Balsamo 1999, 275-291.
226
105
CAPITOLO TERZO
la verità non è più scoperta, letta, decifrata, ma prodotta e pragmatica; infine compare il fenomeno dell’eclettismo di chi nella riflessione teologica assume categorie derivate da altri sistemi filosofici e religiosi, senza badare né
alla loro coerenza interna, né alla loro incompatibilità con la fede cristiana.
Tutto sommato nella riflessione teologica sulla figura di Gesù Cristo si rende sempre più evidente la tendenza a considerare e interpretare la questione
cristologica staccandola dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa227. La giusta ricerca e il vero amore verso la verità assoluta e universale, oggettiva e trascendente, ontologica e morale, costituisce la garanzia
di un autentico e integrale progresso dell’essere umano. Il cardinale Sarah,
riportando le parole di Thibaud Collin, afferma che Giovanni Paolo II e poi
Benedetto XVI dal momento che erano profondamente convinti della crisi
della civiltà postmoderna, invitano i cattolici ad un’audacia tutta socratica.
Socrate, in effetti, è colui che per tutta la sua vita ha cercato la verità. Senza
posa ha interrogato la gente sui propri usi risvegliando in loro il desiderio del
vero e del bene. Ma lontano dall’indeterminazione, si è sempre sottomesso
completamente alla forza della ragione capax veritatis sed non creatio veritatis. Giovanni Paolo II tentava quello che tentò il Concilio Vaticano II: assumere la funzione socratica dell’inquietudine, la sfida di non rassegnarsi alla
debolezza della ragione, che senza dubbio esiste, e tentare un passo in avanti
nella direzione della verità. Solo in base a questo fondamento della verità è
possibile trattare il tema del rapporto tra il cristianesimo e le religioni228.
Riprendendo la proposta di A. Amato229, tra i teologi che hanno ripreso e affrontato tale problematica, si potrebbero raggruppare cinque posizioni teoretiche: 1° “Cristo contro le religioni”: il modello esclusivista secondo cui per la salvezza è necessaria l’esplicita adesione a Cristo e l’appartenenza formale alla Chiesa. 2° “Cristo nelle religioni”: è il modello inclusivista che considera Cristo l’unico Salvatore di tutta l’umanità affermando però che gli altri si possono salvare anche senza un esplicito riferimento a Cristo. La loro salvezza ha una spiegazione teologica in base alla quale viene affermata la presenza misteriosamente salvifica di Cristo nelle religioni, in cui
gli uomini sinceramente cercano Dio e seguono i dettami della retta co227 Cfr. J. RATZINGER, «Contesto e significato della Dichiarazione Dominus Iesus», in
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione «Dominus Iesus». Documenti e studi, 7-8.
228 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 173-174.
229 Cfr. A. AMATO , “Missione cristiana e centralità di Gesù Cristo. La dimensione cristologica dell’annuncio cristiano nell’enciclica «Redemptoris missio» di Giovanni Paolo II”, in
E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a cura di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica
missionaria di Giovanni Paolo II, 13-29.
106
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
scienza. Questa posizione, espressa dalla LG 16, è stata articolata dalla GS 22
e dalla NA 1. Questa è anche la posizione dell’enciclica Redemptoris missio
in cui Cristo include tutta l’umanità nella sua opera di salvezza, non negando il valore salvifico de facto delle varie culture, tradizioni e religioni, bensì
le fa partecipare nel suo agire redentore230. In tal modo si potrebbero percepire nelle altre religioni le mediazioni partecipate che solamente in quanto
attingono all’unica e universale grazia salvifica di Cristo possono essere anche esse mediazioni de facto incluse nell’opera della salvezza compiuta una
volta per tutte in Gesù Cristo. Questa osservazione è di capitale importanza
in quanto differisce da ulteriori modelli di stampo pluralista che conferiscono alle altre religioni il valore salvifico de principio. 3° “Cristo al di sopra delle religioni”: è il modello normativo che rifiuta la prospettiva dell’unicità della salvezza in Cristo e afferma invece l’intrinseco valore salvifico di
tutte le religioni indipendentemente dal Cristo e dalla sua Chiesa. Le religioni essendo vere, vengono soltanto “normate” da Cristo, nel senso che egli
diventa, per ora, un’istanza etica più alta che potrebbe rendere realizzabile
un nuovo e universale ordine etico nel mondo al quale comunque contribuirebbero tutte le religioni231. La salvezza definitiva avviene attraverso le
religioni e il cristianesimo resta, almeno finora, una manifestazione paradigmatica della salvezza che sostanzialmente viene da Dio; infatti non si
può escludere che nel futuro ci sia una manifestazione più perfetta. 4° “Cristo con le altre religioni”: è il modello pluralistico che propugna una molteplicità e un pluralismo assoluto di mediatori e di mediazioni salvifiche,
tutte ugualmente valide232. Cristo sarebbe uno dei tanti mediatori e una delle tante manifestazioni del Logos universale ed eterno 233. Nell’ottica di questo modello la salvezza viene non solo dal Dio cristiano ma da un Dio ineffabile presente in diversi modi nelle varie religioni. Il Gesù storico non
coinciderebbe affatto col Verbo divino universale, il quale è presente nelle
altre tradizioni religiose. Proprio a questa tesi si riferisce l’enciclica quando
230
Cfr. RMi 5. 28. 55.
Questa è stata la proposta avanzata da H. KÜNG, Progetto per un’etica mondiale, Milano 1991.
232 Cfr. H. MAURIER , “The Christian Theology of Non-Christian Religions”, in Lumen Vitae 21 (1976) 59-74; A. PIERIS , “The Place of Non-Christian religions and Cultures in the
Evolution of Third World Theology”, in V. FABELLA – S. TORRES (ed.), Irruption of the
Third World: Challenge to Theology, Maryknoll 1983, 113-139; ID., “Parlare del Figlio di
Dio in culture non-cristiane”, in Concilium 19 (1982) 3, 117-127; I. PUTHIADAM , “Fede e
vita cristiana in un mondo di pluralismo religioso”, in Concilium 17 (1980) 5, 145-165;
W.M. THOMPSON, The Jesus Debate, New York 1985.
233 Cfr. R. PANNIKAR , The Unknown Christ of Hinduism, London 1981.
231
107
CAPITOLO TERZO
afferma che non c’è nessuna separazione tra il Verbo e Gesù Cristo234. 5°
“Religioni senza Cristo”: è il modello della liberazione senza alcun riferimento a Cristo. I fautori di questa corrente sostengono che, invece di interessarsi della teologia delle religioni o del dialogo interreligioso, sarebbe più
opportuno puntare sull’uomo da liberare mediante una prassi adeguata235. È
l’uomo e non Dio il luogo teologico del dialogo. Occorre dunque superare
l’ecclesiocentrismo, il cristocentrismo e il teocentrismo per approdare al soteriocentrismo e regnocentrismo236 che promuove lo sviluppo umano, la liberazione degli oppressi, il benessere dei poveri. L’ortodossia deve essere superata dall’ortoprassi. In gioco non è né la Chiesa, né Gesù Cristo, né Dio,
ma semplicemente l’uomo che cerca la salvezza nel senso socio-economico e
politico. A queste teorie riduttive fa la critica l’enciclica al numero 17. Qui
l’enciclica vuole smascherare un falso dilemma che continua a circolare anche
oggi e viene articolato con una presunta opzione tra il primato dell’«apertura
a Cristo» o il primato dell’«apertura alle periferie» – un’espressione divenuta
quasi di moda – un problema sollevato attualmente a causa dei vari fenomeni socio-politici, ideologici, economici, ecc., come se ci fosse una opposizione o divisione tra i due principi. Ovviamente l’attuale condizione
dell’umanità odierna che vive ancora oggi le varie forme di miseria, povertà
e sofferenza rende il cristianesimo ancora più aperto e sensibile alla questione antropologica, ma il rimedio e la soluzione la vede nell’orizzonte cristologico. Pertanto nella prospettiva cristiana l’apertura alle periferie presuppone una previa apertura a Cristo. Non si può andare nelle periferie senza
un’autentica adesione a Cristo, che implica i vari aspetti: spirituale, morale,
intellettuale, sociale ecc. Non si può andare “nelle periferie” con “le mani
vuote” o senza conoscere e vivere con Cristo, senza saper trasmettere conformemente all’uomo d’oggi l’insegnamento, la verità del Vangelo, che abbraccia e unisce l’indole sia naturale che soprannaturale. Di conseguenza
ogni rinnovamento, apertura237 e tentativo di “andare nelle periferie” impli234
Cfr. RMi 6.
Cfr. P. KNITTER , “La teologia cattolica delle religioni a un crocevia”, in Concilium 22
(1986), 133-144.
236 Cfr. P. KNITTER , “Toward a Liberation Theology of Religions”, in P. KNITTER – J. HICK
(eds.), The Myth of Christian Uniqueness, 187.
237 Proprio oggi il concetto di “apertura”, soprattutto nel contesto teologico del rapporto
tra l’evangelizzazione e la famiglia, sembra assumere un carattere quasi paradigmatico se
non assiomatico. Alcuni, senza razionali ed autentici motivi, considerano la posizione del
Magistero su certe questioni come “ermeticamente chiusa”, incapace di dialogare e di inserirsi nelle varie circostanze storiche, e la Chiesa come un “bastione delle credenze arcaiche e
inaccettabili”. In tal modo “l’apertura” si manifesterebbe come la via più adatta per rendere
235
108
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
ca come primo impegno quello di annunciare Cristo per rendere più efficace l’attività a favore della promozione umana nelle sue diverse dimensioni,
anzi nella sua integralità. Senza l’annuncio di Cristo il cristianesimo si trasforma in un movimento secolare, per cui la stessa Redemptoris missio –
come è stato già prima citato in questo brano – ribadisce:
La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della
salvezza», per cui ci si batte, sì, per l’uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo
che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto
l’uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina238.
Dopo aver passato in rassegna alcune recenti correnti teologiche si
vuole delineare la posizione teologica propriamente cristiana conforme ai
dati rivelati contenuti e trasmessi per mezzo della Scrittura, della Tradizione
e del Magistero della Chiesa riguardo alla relazione tra Cristo e le religioni.
Prima di tutto non si può negare loro la funzione di una vera pedagogia che
orienta verso Cristo, per cui possono essere definite una preparazione evangelica. Tuttavia bisogna anche mantenere in atto due tensioni. La prima deriva dall’affermazione della loro partecipazione alla salvezza in Cristo e,
d’altra parte, dall’affermazione che solo la salvezza cristiana è il compimento salvifico assoluto. La seconda tensione è data dall’affermazione della continuità tra le altre religioni e il cristianesimo (in quanto anelito verso Dio,
esigenza di vita morale, ascetica, spirituale) e allo stesso tempo della discontinuità e trascendenza assoluta del cristianesimo in quanto riconoscimento
esplicito di Gesù Cristo mediatore assoluto e universale di salvezza239.
l’annuncio cristiano comprensibile ed accettabile, anche se questo, in realtà, dovesse comportare la rinuncia e la negazione della verità affidata alla Chiesa. Di conseguenza, in tal
modo si chiuderebbe il circolo vizioso che porterebbe la Chiesa a perdere la sua identità,
ma questo non può accadere; un interessante contributo al riguardo in: http://www.papalepapale.com/develop/la-Chiesa-apre-ma-quando-mai-ha-chiuso/.
238 RMi 11.
239 Cfr. A. AMATO , “Missione cristiana e centralità di Gesù Cristo. La dimensione cristologica dell’annuncio cristiano nell’enciclica «Redemptoris missio» di Giovanni Paolo II”, 2829. ID., “Cristologia e religioni non cristiane. Problematica e attualità: considerazioni introduttive”, in Ricerche Teologiche 1 (1990), 143-168.
109
CAPITOLO TERZO
3.2. La Chiesa e il Regno
Un altro grande orizzonte in cui si inserisce la trattazione della missione è quello ecclesiologico in cui si pone la questione della necessità della
Chiesa in ordine alla salvezza universale ed al suo rapporto con il Regno
annunciato, instaurato e realizzato in e da Cristo. Da una parte la Chiesa è
il sacramento universale della salvezza240 per cui è necessaria e voluta da
Dio, dall’altra la maggior parte dell’umanità non ha un legame esplicito con
essa e non appartiene ad essa, ma nonostante questo, Dio con la sua grazia
chiama tutti gli uomini universalmente alla salvezza241. L’enciclica riprende
questa visione teologica ribadendo che queste due verità devono essere necessariamente tenute congiunte, cioè la reale chiamata alla salvezza per tutti
gli uomini e la necessità della Chiesa, costituendo l’unico mistero salvifico,
in cui coincidono la misericordia di Dio e la nostra responsabilità242.
Tuttavia il contesto della teologia pluralista delle religioni, già esposto
prima, mette in dubbio la necessità della Chiesa per la salvezza degli altri. A
tal punto il documento dice che “l’universalità della salvezza non significa che
essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella Chiesa”243. Però anche la loro salvezza implica l’esercizio della mediazione di Cristo e della mediazione della Chiesa. Per essi la salvezza di
Cristo è accessibile in virtù della grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in
modo adeguato sulla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia
proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito
Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione244. In che cosa consiste questa “misteriosa relazione”? Non mancano le diverse proposte e risposte teologiche e questo quesito. Infatti nessuna
sembra essere definitiva ed esaustiva. Qui ne vogliamo riportare almeno alcune. La prima si riferisce all’approccio cristologico: siccome nella teologia si
parla del Christus totus ossia del Cristo e del suo Corpo che è la Chiesa, allora come Cristo separatamente dalla Chiesa potrebbe dilagare la sua grazia in
tutto il mondo e in tutta la storia? La seconda si richiama all’approccio
pneumatologico: l’azione dello Spirito Santo, che comunica la grazia, si esercita sia in virtù della mediazione di Cristo, sia nel quadro della mediazione
della Chiesa; le due mediazioni sono però inseparabili, perché il mistero
240
Cfr LG 1.
Cfr. LG 13.
242 Cfr. RMi 9.
243 RMi 10.
244 RMi 10.
241
110
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
dell’Incarnazione redentrice ha il suo compimento nella formazione della
Chiesa. In forza della grazia, lo Spirito istituisce la Chiesa con la quale ogni
essere umano entra in un rapporto245. La terza insiste sul fondamento trinitario della missione della Chiesa246. Sulla linea dell’Ad gentes, Giovanni Paolo
II fonda la missionarietà della Chiesa “sulla stessa missione trinitaria”247. Il
fondamento trinitario si evidenzia dunque sia attraverso la dimensione cristologica sia attraverso quella pneumatologica, pur distinte, ma sempre immanentemente unite e inseparabili248. Secondo C. E. Braaten, Dio–Trinità è sorgente e modello della missione della Chiesa, solo in quanto è in rapporto diretto con l’opera redentrice di Cristo. La dottrina trinitaria costituisce la cornice per la cristologia, pneumatologia ed ecclesiologia, in vista di giustificare
teologicamente la necessità della Chiesa, anzi della Chiesa missionaria249. Il
fondamento trinitario della Chiesa consiste anche nel presentare Dio–Trinità
come sorgente e fondamento della missione non solo “oggettivamente” e
“storicamente”, cioè come l’origine di questa missione, ma anche “ontologicamente”, in quanto la Trinità non è concepibile senza la categoria della
“missione”, e questo sul piano esistenziale esige dalla Chiesa, da ogni cristiano, un’attitudine e una risposta missionaria continua, come espressione della
fede, dell’accoglienza e dell’unione con Dio–Trinità250. La quarta, infine, insiste sulla dimensione soteriologico – escatologica della Chiesa intrinsecamente
legata alla piena manifestazione del Regno di Dio e alla salvezza definitiva. In
base ai dati biblici il Regno è intrinsecamente legato al Cristo, attraverso la
sua proclamazione e la sua instaurazione da parte di Gesù. Tuttavia qui c’è
qualcosa di più: in Lui stesso c’è l’identità fra messaggio e messaggero,
l’escatologia ‘lontana’ diventa vicina, in modo da rivelare, cioè comunicare e
rendere presente il Regno del Padre nonché possibile la partecipazione alla filiazione divina di Gesù Cristo. La salvezza consiste nella partecipazione al Regno di Dio dell’essere umano e della comunità delle persone con Dio e tra di
loro nel Figlio e nello Spirito. Il Regno si esprime in tale unione e si manifesta come attuazione del disegno di salvezza in tutta la pienezza. Nelle condizioni storiche, però, la Chiesa riconosce l’identificazione dell’annuncio di Gesù sul Regno con quello degli Apostoli, ed è convinta che con ogni proclama245
J. GALOT, “Cristo unico salvatore e salvezza universale”, 59-62.
Cfr. G. CANOBBIO , “La Trinità e la Chiesa”, in O.F. PIAZZA (a cura di), La Trinità e la
Chiesa. In dialogo con Giacomo Canobbio, Cinisello Balsamo 2006, 25-77.
247 RMi 1.
248 Cfr. RMi 28-29.
249 Cfr. C.E. B RAATEN , “The Triune God: The Source and Model of Christian Unity and
Mission”, in Missiology 118 (199) 4, 415-427.
250 Cfr. A. WOLANIN, “Linee attuali della theologia missionis”, 37-41.
246
111
CAPITOLO TERZO
zione dell’evento cristico lungo tutta la storia si annuncia e si rende presente
il Regno di Dio251. In tal modo si esplicita il collegamento del Regno sia con
Cristo sia con la Chiesa252. Il nesso con Cristo è essenziale per il Regno, che
infatti appare nella sua Parola e si compie nella sua Persona; anzi la realtà del
Regno è intrinsecamente e inseparabilmente legata a Gesù Cristo253. Il legame
con la Chiesa è espressione di uno specifico compito ecclesiale in funzione
del Regno254, cioè la Chiesa non è fine a se stessa, ma è ordinata al Regno,
come segno, strumento, inizio ed attuazione255. Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che Cristo compiendo la volontà del Padre “inaugurò il Regno dei cieli sulla terra. La Chiesa è «il Regno di Cristo già presente
in mistero»”256. Da qui la necessità della Chiesa missionaria o della natura
missionaria della Chiesa: “La Chiesa (…) riceve la missione di annunciare il
Regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo Regno
essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio (…) e con tutte le forze spera e
brama di riunirsi al suo re nella gloria”257, ovvero nella sua definitiva manifestazione escatologica. In tal modo appare nella realtà della Chiesa la storico –
escatologica dialettica tra “già” e “non ancora”, contemporaneamente vissuta
nel suo cammino che appartiene, in modo voluto da Dio, all’unica storia della
salvezza. In fin dei conti, l’evento pasquale costituisce l’inaugurazione definitiva
del Regno di Cristo, che misticamente e in modo incoativo si attua oggi, ma
che si rivelerà in tutta la pienezza alla fine dei tempi258. Questa impostazione
aiuta a comprendere meglio la definizione della Lumen gentium in riferimento
alla Chiesa, la quale “è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento
dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”259.
3.3. La missionarietà della Chiesa di fronte al Regno
Da quanto detto, si deduce indubbiamente il rapporto strettissimo
tra Regno e missione della Chiesa. La missione infatti non è solo la risposta
251
Cfr. E. NUNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, in
AA.VV., Cristo Chiesa Missione, 70-71.
252 Cfr. RMi 18.
253 Cfr. E. NUNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 74.
254 Cfr. S. PINNA, “«Sacramento del Regno» ed «espansione dell’Incarnazione». Il mistero
della natura della Chiesa secondo Charles Joutnet, in Convivium Assisiense 16 (2014) 2,
251-278.
255 Cfr. E. NUNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 72.
256 CCC 763; LG 3.
257 LG 5.
258 Cfr. E. NUNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 75.
259 LG 1.
112
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
dei discepoli di Gesù al suo “mandato missionario”. È piuttosto la continuazione della stessa missione storica di Cristo, l’Inviato di Dio e il Primo
Missionario del Padre. Lo stesso Cristo, dunque, sta alla base del Regno e
costituisce anche il fondamento della missione della Chiesa260. In realtà
l’importanza della vocazione missionaria della Chiesa si colloca all’interno
della concezione della storia della salvezza che include, da una parte, la missione di Dio nel mondo, e dall’altra, la partecipazione attiva e corresponsabile dell’uomo in questa missione261. Tuttavia per sviluppare questo argomento occorre trattare sinteticamente alcune questioni: il contesto, la natura
della missionarietà, lo scopo specifico e il carattere divino – umano. Quanto
al contesto, l’attività missionaria in funzione del Regno si realizza nel mondo caratterizzato dalla pluriculturalità e, nella civiltà soprattutto occidentale,
dalla “liquidità”. Esistono tante situazioni di emarginazione sociale di diverso genere: ingiustizia e povertà, discriminazione e mancanza di libertà, sfruttamento dei popoli e violazione dei diritti umani, pluralismo religioso e secolarizzazione, ecc. Una risposta cristiana emerge dalla “promozione umana
integrale” a cui si dedica completamente l’opera missionaria della Chiesa
che propone il dono della salvezza intesa nei termini della “pienezza della
liberazione”262. Questa posizione, evitando sia l’orizzontalismo che il verticalismo nella comprensione del Regno di Dio263, essendo orientata escatologicamente, include la dimensione storica con tutti i suoi aspetti264. Così
appare la natura del Regno: esso non è una realtà a-storica, bensì, pur essendo ultraterrena o trascendente, porta la storicità del mondo al suo pieno
compimento. Per quanto riguarda lo scopo specifico dell’opera missionaria,
le posizioni tradizionali oscillavano tra l’annuncio dell’Evangelo da una
parte, e l’impiantazione della Chiesa dall’altra. La Redemptoris missio va oltre e aggiunge, in una frase quasi inosservata ma ben palese265, la caratteristica della promozione dei valori del Regno266. Continuando ad annunciare
il Vangelo e continuando ad edificare le chiese locali nei vari luoghi del
mondo, la missione comprende anche la testimonianza di una Chiesa che
260
Cfr. E. NUNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 75.
Cfr. K. BLASER , “Reich Gottes”, in K. MÜLLER – T. SUNDERMEIER , Lexikon missionstheologischer Grundbegriffe, Berlin 1987, 405-411; cit. da E. NUNNENMACHER , “Il Regno
di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 77.
262 Cfr. E. N UNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 82.
263 Cfr. E. N UNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 7980.
264 Cfr. D.J. B OSCH , Trasforming Mission, Maryknoll 1991.
265 Cfr. RMi 34.
266 Cfr. G. F ERRARI , “La Chiesa e il «Regno», in Testimoni, 15 marzo 1991, 3.
261
113
CAPITOLO TERZO
rende visibile il Regno di Dio e i suoi valori presenti nella storia267. Sembra
che il papa voglia sottolineare che la Chiesa non è né fonte né pienezza della missione, ma testimone partecipante, strumento privilegiato, o perfino fine intermediario oppure primo frutto indicatore del compimento. Si tratta
quindi di una concezione integrale e universale del Regno che, senza staccarsi dall’evangelizzazione e dall’implantatio, insiste sulla sacramentalità della
Chiesa che rende effettivamente presente la realtà significata mediante la sua
attività missionaria. Infine quanto al carattere divino – umano tale identità
missionaria della Chiesa coinvolge, quasi secondo il principio della coincidentia oppositorum, tutti i settori della realtà: il materiale e lo spirituale, il
trascendente e l’immanente, l’universale e il particolare, i rapporti umani e il
senso della vita, l’universo intero e il concreto, l’oggettività naturale e il Mistero di Dio268.
In questa ottica e date le sopramenzionate indicazioni, si può parlare
della missionarietà della Chiesa in quanto elemento indispensabile dell’unico mistero salvifico, che implica ed armonizza due termini apparentemente
estremi: la misericordia di Dio e la responsabilità collaboratrice dell’uomo.
La salvezza, che è sempre dono dello Spirito, esige la collaborazione dell’uomo; il che deriva dal disegno di Dio e per questo Egli ha stabilito e coinvolto la Chiesa nel piano della salvezza269: l’ha fatta “agente” nell’opera di salvezza. A tal punto è da notare che si parla di collaborazione dell’uomo per
salvare se stesso e gli altri assieme. Ambedue i momenti sono ugualmente
importanti per comprendere il divino umanesimo della missione: essi formano una logica indissociabile, mentre se fossero separati l’uno dall’altro
risulterebbero limitati e parziali. Per la collaborazione, la Chiesa è valorizzata nell’essere missionaria: ma questo per sé non indica la necessità della missione per ogni uomo, ma per la Chiesa stessa. Per la responsabilità di ognuno nell’opera della propria salvezza, così che questa non sia dono da accogliere passivamente, ogni uomo è valorizzato, ma meno ovviamente lo è la
Chiesa in quanto affidataria della missione270. Questa impostazione si spiega meglio se per salvezza si intende quello che essa è veramente: il dono
dell’amore. All’amore offerto risponde prima di tutto colui che lo riceve in
persona e soltanto se l’accoglie e nella misura in cui l’accetta, lo condividerà
267 Cfr. G. COLZANI , “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, 33-35.
268 Cfr. E. N UNNENMACHER , “Il Regno di Dio e la missione della Chiesa (Rm 12-20)”, 8485.
269 Cfr. RMi 9.
270 Cfr. T. CITRINI , “Missione ed ecclesiologia”, in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA (a cura
di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, 35-37.
114
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
e lo trasmetterà agli altri. Inoltre la Chiesa è sempre consapevole di fare tutto il possibile affinché la salvezza – anche se a tanti arriva per mezzo delle
vie note solamente a Dio e oltre i confini visibili della Chiesa istituzionale271 – sia realizzata non a loro insaputa, ma in quanto accolta con gioia. É
per questo che Dio vuole che i membri della Chiesa siano i suoi collaboratori nell’attuazione della salvezza universale. Questo per la Chiesa più che
un compito, è la grazia, il dono, il privilegio di poter lavorare con il Signore
nella stessa vigna, condividendo e portando agli altri l’amore salvifico del
Padre. Tenendo dunque conto delle tre affermazioni sulla necessità della
Chiesa in ordine alla salvezza universale, delle vie note a Dio per mezzo delle quali fa partecipare i non cristiani al mistero pasquale di Cristo e della
grazia salvifica di Cristo operante in tutto il mondo e misteriosamente legata alla Chiesa, alla fine bisogna valorizzare la necessità dell’impegno pratico,
concreto e incessante della Chiesa per l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra. Per cui ogni impostazione, come dice Citrini,
che in un modo o nell’altro risultasse accettare che Dio salvi la gente
a sua insaputa – …[tranne il caso dei bambini] – supporrebbe un’idea
di salvezza priva di contenuto plausibile, materialistica in fondo: lo
spirito infatti si salva, si compie precisamente nella tensione libera
alla verità e all’amore272.
Da tutto questo risulta che il fattore storico–sociologico secondo cui
effettivamente la maggior parte dell’umanità non ha conosciuto, non conosce e non conoscerà il Vangelo, non può assolutamente servire come argomento a favore dell’idea della non validità della missionarietà della Chiesa
nella storia. Anche se fisicamente la Chiesa attraverso i suoi missionari non
arriva e non può arrivare a tutti, questo non la dispensa dalla realizzazione
di ciò che entra nella sua struttura ontologica: proclamare la parola di Dio,
sempre e dovunque. Questa è la forma del tutto privilegiata per la Chiesa:
poter collaborare al disegno divino della salvezza. Infatti, la collaborazione e
la responsabilità non vengono misurate quantitativamente, a seconda del
numero di quanti hanno accolto il messaggio e l’annuncio di Cristo attraverso l’azione dei cristiani – come nemmeno Cristo è giunto fisicamente ad
ogni essere umano, ma spiritualmente e ontologicamente abbraccia ogni
271
Qui non vogliamo entrare nel discorso sulle modalità di salvezza dei non cristiani. È un
tema abbastanza ampliamente trattato ed oggi non sembra più suscitare tante gravi controversie.
272 Cfr. T. CITRINI , “Missione ed ecclesiologia”, 39.
115
CAPITOLO TERZO
persona – ma si compie attraverso la loro fedeltà a Dio continuando a collaborare in quanto spinti dall’amore per Dio e per l’uomo. Inoltre la missionarietà non si limita all’azione concreta di andare tra le genti e i popoli,
ma anche attraverso varie forme di cooperazione, soprattutto la preghiera;
ad esempio che senso avrebbe la preghiera universale del Venerdì Santo per
tutta l’umanità se non ci fosse la ferma ed evangelicamente fondata speranza
che la grazia salvifica di Cristo arriva ad ogni persona, avendo anche in questo caso un misterioso legame con la Chiesa?
3.4. La priorità della missione rispetto alla Chiesa?
G. Colzani da alcuni testi contenuti nei numeri 18 e 20 della Redemptoris missio273 trae alcune conclusioni che meritano particolare interesse e riflessione. L’autore afferma che da questo insieme di dati risulta un
duplice insegnamento. Prima di tutto bisogna riconoscere la priorità della
missione rispetto alla Chiesa. Se, come dice Colzani riportando le tesi di H.
Berkhof, la missione è il movimento che il Regno provoca nella storia umana attraverso il servizio della Chiesa, allora “la missione è più di uno strumento pratico e necessario per la diffusione della Chiesa”274: è il modo in
cui la Chiesa si mantiene a disposizione del Regno. Questo riconoscere che
lo scopo della missione è al di là della Chiesa, non la annulla: essa resta “il risultato provvisorio della missione”275, cioè un tipo di risultato in cui il movimento della missione raggiunge un suo primo, anche se non definitivo scopo. Colzani si richiama anche a Cl. Geffré che supera decisamente la convinzione che la missione sia un semplice mezzo per l’espansione della Chiesa; lasciandosi alle spalle la strumentazione mezzi-fini, il teologo francese constata
che “non è la Chiesa che definisce la missione. È la missione che determina il
volto della Chiesa, affinché essa sia il segno escatologico del Regno di
Dio”276. Anche C. Duquoc, citato da Colzani, parla della Chiesa in termini
273
Ecco i brani citati e usati da Colzani: “[la Chiesa] non è fine a sé stessa, essendo ordinata al Regno di Dio di cui è germe, segno e strumento” inoltre la Chiesa “è indissolubilmente unita a entrambi [Cristo e il Regno]”; in seguito l’enciclica precisa che “la Chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del Regno” e che svolge questo servizio “fondando
comunità e istituendo Chiese particolari (…) diffondendo nel mondo «i valori evangelici»
che del Regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio”.
274 H. B ERKHOF , Lo Spirito Santo e la Chiesa. La dottrina dello Spirito Santo, Milano
1971, 45; cit. da Colzani.
275 H. B ERKHOF , Lo Spirito Santo e la Chiesa. La dottrina dello Spirito Santo, 46.
276 CL. GEFFRÉ, “L’evoluzione della teologia della missione dalla Evangelii nuntiandi alla Redemptoris missio”, in G. COLZANI Le sfide missionarie del nostro tempo, Bologna 1996, 68.
116
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
di provvisorietà storica277. Anche papa Francesco – nel suo recente discorso
ai partecipanti alla plenaria della Congregazione dell’Evangelizzazione dei
Popoli il 3 dicembre 2015 – riportando i brani dell’Ad gentes e della Redemptoris missio, ha affermato che dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo la Chiesa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la
propria origine278. La missione non risponde in primo luogo ad iniziative
umane; il protagonista è lo Spirito Santo, suo è il progetto279. “E la Chiesa è
serva della missione. Non è la Chiesa che fa la missione, ma è la missione
che fa la Chiesa”280.
Le impostazioni di Colzani, degli autori da lui riportati e la citazione di papa Francesco, sembrano avere il loro spessore teologico e non sono
prive di una esposizione ed articolazione ben interessanti e meritevoli di una
seria considerazione. Allo stesso tempo però suscitano qualche domanda se
non perfino qualche perplessità dalle quali risultano le serie conseguenze di
un simile stile di pensiero. Addirittura tale impostazione prospetta una certa
forzatura concettuale ed argomentativa.
La prima domanda riguarda la terminologia: “la priorità” e “fare”.
Quanto al concetto di “priorità”, non sembra sia stato ben definito. Con
tutto il rispetto verso l’autore ma nella sua visione diventa difficile comprendere il significato del termine. Non si sa esattamente se egli intende la
“priorità” nel senso cronologico (storico), ontologico (missione intratrinitaria come origine della Chiesa), sostanziale (realtà con la sua consistenza)
oppure funzionale (azione che mira a un obiettivo), ecc. Inoltre, tale concetto, con le sue equivocità, dal momento che viene introdotto nel discorso sulla Chiesa e la sua missione, volendo o non volendo, corre il rischio di creare
una certa e artificiale separazione tra le due. Con una buona intenzione con
la formula “la missione fa la Chiesa” si vuole “migliorare” ciò che in modo
teologicamente chiaro è già espresso con l’assioma: “la Chiesa è missionaria
per sua natura”, che evidenzia in modo esplicito l’inseparabilità tra la Chiesa e la sua identità/natura. Anzi, il verbo “fare” potrebbe provocare più confusione che chiarimento, dato che, come è stato detto dal Concilio Vaticano
II, Essa deriva dalla Trinità e in essa ha la sua origine; dunque non deve essere più “fatta” per diventare se stessa, attraverso il suo “fare”. È la missione
277
C. DUQUOC, «Credo la Chiesa»: precarietà istituzionale e regno di Dio, Brescia 2001;
ID., Chiese provvisorie. Saggio di ecclesiologia ecumenica, Brescia 1985.
278 Cfr. AG 2.
279 Cfr. RMi 21.
280 FRANCESCO, “Chiesa serva della missione”, Discorso ai partecipanti alla plenaria della
Congregazione dell’Evangelizzazione dei Popoli, in L’Osservatore Romano CLV n. 278
(2015), 8.
117
CAPITOLO TERZO
nella sua storica espressione e nel suo storico svolgimento che esprime in
modo visibile l’identità e la natura della Chiesa.
Un’altra domanda riguarda il termine “provvisorio”/“provvisorietà”
e “strumento” in riferimento alla Chiesa. La Chiesa in primis è ontologicamente sacramento di salvezza e non può essere ridotta ad un realtà funzionale o strumentale. Sì, lo è pure, ma non soltanto, perché in essa è già presente in mistero la realtà escatologica del Regno di Dio. Inoltre, ha una sua
misteriosa soggettività tanto che di Lei non si chiede “che cosa è la Chiesa?”,
ma “Chi è la Chiesa?”. Di fatto la Chiesa, nella prospettiva della teologia
cristiana, non è ‘qualcosa’, ma è ‘qualcuno’ (anche se la sua soggettività/personalità è di diverso genere rispetto alla personalità umana): è la Sposa di
Cristo. Perciò sembra assai complicato assegnare al soggetto personale un
carattere provvisorio o funzionale (così come non può essere applicato alla
persona umana); provvisorietà si riallaccia piuttosto alla terminabilità, temporaneità, transitorietà e precarietà. Il soggetto invece, in questo caso la
Chiesa, mantiene la sua continuità anche quando verrà sottoposta ad una
trasformazione e quindi potrebbe a questo punto essere qualificata come
“trasfigurabile”, conservando sempre la propria identità, perfino quando
approda al suo definitivo compimento nella manifestazione gloriosa del Regno di Dio. Altrimenti la sua storicità potrebbe facilmente diventare ‘banalizzata’, ‘annullata’; e non solo la Chiesa, ma la storia stessa con tutto quello che contiene e che rappresenta perderebbe il senso, il significato e il valore; vale a dire ciò che è storico sparirà e non avrà nessuna importanza. Se
le cose stanno così rischiamo di far uso del concetto della storia in una
connotazione quasi nichilistica. Tornando dunque al discorso sul tipo di
relazione tra la Chiesa e la missione, contrassegnata da una intrinseca inseparabilità, si propone, invece di adoperare il termine “priorità”, l’uso dei
concetti come “complementarietà”, “co-esistenza”, “reciprocità”, “co-appartenenza”, “unità”, ecc. Oltre ciò non si possono saltare le fonti bibliche,
soprattutto i testi paolini delle Lettere ai Corinzi, agli Efesini, ai Colossesi,
dove non è la “missione” ad essere definita “Corpo di Cristo”, ma la Chiesa281. E poi dalla ricca e abbondante Tradizione della Chiesa e dallo sviluppo ecclesiologico derivano i vari titoli ad essa riferiti282 come “Popolo
di Dio”, il “Tempio dello Spirito”, “la Comunione dei santi” e infine, il
suddetto “Corpo di Cristo”; sono titoli che difficilmente vengono applicati alla “missione”.
281
282
Cfr. Ef 1,22; 2,21; 5,25!; Col 1,17.24; 3,15.
Cfr. l’ecclesiologia della Lumen gentium.
118
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
3.5. La dimensione pneumatologica della missione della Chiesa
L’enciclica, per chiamare lo Spirito Santo “il protagonista di tutta la
missione ecclesiale”283, si riferisce alle fonti bibliche284 che permettono di
scorgere una duplice direzione dell’opera dello Spirito: per un verso valorizza la ricerca umana attraverso la creazione e, per un altro, apre la mente e il
cuore all’incontro con Cristo. Giovanni Paolo II ha valorizzato questa duplice azione già nella sua prima, programmatica, enciclica Redemptor
hominis dove scrive della sapienza popolare presente nei salmi e nei vari
brani della Sacra Scrittura285; questa via potrà effettivamente agevolare un
maggiore significato delle altre religioni, culture, tradizioni, filosofie: nella
spiritualità umana, nella ricerca di Dio e nella preghiera, il papa vede
l’azione dello Spirito Santo operante oltre i confini visibili della Chiesa. Aggiunge inoltre, sulla linea dell’insegnamento conciliare286, che questo sarebbe da intendere come presenza dei “semi di Verità” da leggere come l’esistenza di una “profonda aspirazione dello spirito umano, quale si esprime
nella ricerca di Dio e insieme alla ricerca, mediante la tensione verso Dio,
della piena dimensione dell’umanità, ossia del pieno senso della vita umana”287. Lo sviluppo di questa prospettiva si trova poi in Dominum et vivificantem, dove lo Spirito Santo è presentato come Colui che “ha attinto dai
tesori della redenzione di Cristo dando agli uomini la nuova vita, operando
in essi l’adozione nel Figlio unigenito, santificandoli”288. I destinatari di
questa azione dello Spirito sono coloro che sono vissuti prima di Cristo, gli
uomini di buona volontà nel cui cuore opera invisibilmente la grazia289 e
soprattutto, i cristiani nel cui intimo dimora Dio stesso. L’esito di questa
visione è un singolare “avvicinamento dei due poli della creazione e della
redenzione, Dio e l’uomo”290: di questo la Chiesa è sacramento291. La Redemptoris missio nei numeri 21-29 riprende dunque e sviluppa la dimensione pneumatologica della missione292, ma i testi principali sembrano esse283
RMi 21.
Sap 1,7; 7,22-27; 9,17; Rm 1,19-21; 1Cor 2,10-16.
285 Cfr. RH 6.
286 Cfr. LG 17 e AG 11.
287 RH 11.
288 DeV 53-54.64.
289 DeV 53; cfr. anche GS 22 e LG 16.
290 DeV 64.
291 Cfr. G. COLZANI , “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, 36-37.
292 Cfr. G. COLZANI , “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, 37.
284
119
CAPITOLO TERZO
re racchiusi nei numeri 28-29 che, partendo dal dato biblico di una doppia
azione, nel mondo umano e nella Chiesa, insegnano tutte e due le cose: lo
Spirito agisce nei cuori umani così come nella società e nella storia umana293; al contempo, facendo ricorso al rapporto con Cristo alla luce della
Gaudium et spes 45, ricorda il legame tra lo Spirito e Cristo e conclude che
“l’azione universale dello Spirito non va separata dall’azione peculiare che
Egli svolge nel Corpo di Cristo che è la Chiesa”294.
Tuttavia all’interno del numero 28, G. Colzani e I. Morali si pongono un problema che alla fine non sembra creare, come ritengono loro, idee
opposte o incoerenti. Comunque secondo questi due autori, una certa contraddizione apparirebbe al numero 28, dove, all’inizio si parla di un’azione
del Verbo nei cuori delle persone per semina Verbi, «mediante i semi del
Verbo»; alla fine, invece, è lo Spirito che spargit semina Verbi, lasciando così
il dubbio se siano i semina Verbi a spiegare l’azione dello Spirito o il contrario295. Di fronte a una tale obiezione, la spiegazione si potrebbe dare su
due piani. Il primo è linguistico – ermeneutico, in modo che dalla lettura
attenta del testo non risulta affatto una opposizione del genere: è vero si
parla dell’agire dello Spirito che opera mediante i “semi del Verbo” (all’inizio nel numero 28) e che sparge “i semi del Verbo” (alla fine del numero
28). Credo che un doppio uso “lessicologico” – “operare mediante” e “spargere” – non debba necessariamente portare a una conclusione presentata
come problematica e tantomeno a mettere i due termini in una opposizione
talmente radicale, quasi da escludersi vicendevolmente. A tal punto occorre
una ermeneutica non frammentaria, ma totale che tenga conto del messaggio integrale del documento. Infatti anche in tanti altri luoghi dell’enciclica
questa spiegazione di doppio senso/direzione è continuamente presente; ad
esempio, al numero 87 si parla delle vie misteriose dello Spirito attraverso
cui si può essere condotti all’intera Verità (Cristo), e invece al numero 92 si
parla del Padre che mediante il Figlio dona lo Spirito. Il secondo piano è
piuttosto quello dogmatico – trinitario e in effetti anche più convincente.
Infatti, siccome si tratta sempre dell’opera del Verbo di Dio e dello Spirito
Santo, intesa come realizzata dal Padre nella storia attraverso le due mani (il
Figlio e lo Spirito), come diceva sant’Ireneo, e poiché si ha a che fare anche
293
Cfr. RMi 28.
RMi 29.
295 Cfr. G. COLZANI , “A 50 anni dal Vaticano II. Nuove prospettive per una teologia della
missione”, 37, nota 56; cfr. I. MORALI, “Salvation, Religions and Dialogue in the Roman
Magisterium”, in K.J. B ECKER – I. MORALI (eds.), Catholic Engagement with World Religions, 135.
294
120
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
con un operare divino ad extra, allora non sarebbe il caso di servirsi per
spiegare questo presunto “divario” alla luce del principio trinitario
dell’«operationes Dei ad extra comunis sunt»? Anche se le missioni toccano le
singole persone della Trinità, è vero che ad extra le operazioni competono in
comune alle tre persone: l’atto creativo, la cura provvidenziale, la diffusione
della grazia salvifica (semi, germi) ecc., appartengono ugualmente al Padre, al
Figlio e allo Spirito Santo. La missione ha come fine la presenza del Figlio e
dello Spirito Santo in quanto “inviati” e “mandati” nel mondo e nella storia.
L’effetto della loro missione, che è l’accesso alla grazia salvifica e la modalità a
tale accesso, sono da attribuire ugualmente sia al Figlio che allo Spirito che
operano inseparabilmente. Invece la differenza e l’esclusività delle missioni tra
il Figlio e lo Spirito, rispecchiando le eterne missioni intradivine, in quanto
dipendenza del Figlio dal Padre e dello Spirito dal Padre e dal Figlio, nelle
condizioni storiche si riferiscono ai due eventi salvifici: dell’Incarnazione e
della Pentecoste (sempre distinti e inseparabili). Perciò l’Incarnazione (passione, morte e resurrezione) appartiene solo al Verbo, perché solo la Persona del
Figlio si è incarnata, anche se, come azione ad extra, è effetto delle tre Persone
insieme; invece la Pentecoste, appartiene allo Spirito Santo che sotto forma di
fuoco discende sugli Apostoli facendo nascere la Chiesa, anche se è vero che il
suo invio è l’opera del Padre e del Figlio.
Infatti anche T. Federici sembra ammettere una prospettiva trinitaria
riguardo alla dimensione pneumatologica della missione, seppur non si
ponga il problema dei due autori sopra menzionati e quindi non si occupi
di trovare una spiegazione alla questione posta da loro. Tuttavia, egli partendo dalla categoria della storia della salvezza, come legge generale, considera lo Spirito come Colui che rivela Cristo il Quale, a sua volta, rivela il
Padre296. Ossia lo Spirito pone in comunione con Cristo che, a sua volta,
pone in comunione con il Padre. In fin dei conti, senza porsi interrogativi
talmente sottili come si è visto sopra (Colzani, Morali), la conclusione più
importante, secondo il parere di Federici, è che gli uomini non possano entrare in comunione con Dio se non mediante Cristo e per l’operazione dello
296
Cfr. T. F EDERICI, “Lo Spirito Santo protagonista della missione (RM 21-30)”, in AA.VV.,
Cristo Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, 145-146. Questo procedimento comunque è molto generale – come osserva lo stesso Federici – in quanto nei dati
biblici possiamo trovare una “logica opposta”, cioè vi sono anche i testi neotestamentari
dove è il Padre ad accreditare, autorizzare e di conseguenza rivelare il Figlio che, a sua volta,
rivela, promettendo il Dono e l’Invio del Consolatore, lo Spirito Santo. Questa duplice direzione esprime la ricchezza di afferrare ed esprimere l’inesauribile profondità del disegno e
dell’operare divino in ordine alla salvezza universale.
121
CAPITOLO TERZO
Spirito Santo297. Citando il Concilio298, il papa conferma che lo Spirito, in
qualche modo, dà a tutti la possibilità di venire a contatto – nel modo che
solo Dio conosce – con il Mistero totale di Cristo299.
Un’altra osservazione risulta dal fatto che l’enciclica, insistendo sul
brano di Giovanni che “lo Spirito spira dove vuole” (Gv 3,8)300, riconosce la
presenza incipiente del Regno che può trovarsi anche fuori dei confini visibili della Chiesa, tra tutti gli uomini, a patto che si aprano ai “valori evangelici” ed all’azione dello Spirito di libertà301. Superando i limiti spaziali e
temporali, Egli sparge come vuole i “semi del Verbo” nel cuore dell’uomo e
insieme gli offre luce e forza per rispondere alla sua suprema vocazione. Tale impostazione pone il tema sul piano pneumatologico – antropologico: infatti se l’uomo non è capace di essere indifferente ai massimi suoi problemi
come il senso religioso, il significato dell’esistenza, il valore della vita, il senso del suo agire, il perché della sofferenza e della morte, è perché è sollecitato dallo Spirito Santo. In altre parole lo Spirito si pone all’origine delle questioni fondamentali e della religiosità dell’uomo: tale è la struttura creazionale dell’uomo302. Tuttavia l’enciclica cerca di ampliare gli orizzonti in cui
opera lo Spirito, evidenziando che Egli è presente e attivo non solo in ciascun uomo concreto, ma dirige lo scorrere dei tempi, opera in tutta la storia,
“rinnova la faccia della terra”303, agisce nell’intera società umana, nei popoli, nelle culture e nelle religioni. Occorrono qui enormi sforzi di analisi per
ritrovare e individuare tracce dello Spirito; il discernimento di questo però
spetta alla Chiesa304. Essa è in grado di farlo in quanto essa stessa è unita allo Spirito Santo, poiché in Lui ha la sua origine ed Egli in essa si fa continuamente presente e la sua azione diventa percepibile. Di più, come asserisce Canobbio, già a partire dai ricchi dati biblici si può comprendere perché
quel che la Chiesa fa tuttora in rapporto all’umanità non possa che venire
dallo Spirito Santo305.
Alla fine lo Spirito Santo è definito come Dono infinito. La caratteristica di questo Dono è del tutto singolare, poiché in Dio il Donante e il
297
Cfr. RMi 6.
GS 22.
299 Cfr. RMi 6. 28.
300 Cfr. RMi 29.
301 Cfr. RMi 20.
302 Cfr. T. F EDERICI , “Lo Spirito Santo protagonista della missione (RM 21-30)”, 146.
303 RMi 28.
304 Cfr. T. F EDERICI , “Lo Spirito Santo protagonista della missione (RM 21-30)”, 146-147.
305 Si consiglia G. CANOBBIO , “Lo Spirito Santo e la Missione. Una prospettiva teologica”,
in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione, 16 (2012), 150-170, qui 166.
298
122
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
Dono sono la medesima realtà. Ecco perché occorre supplicare Dio per poter ricevere il suo Dono, per ricevere Egli stesso. Ma la supplica suppone la
conoscenza della res supplicata: “Se tu conoscessi il Dono di Dio” (Gv
4,10)306.
3.6. L’evangelizzazione e lo sviluppo dei popoli poveri
L’enciclica, nella sua seconda parte, ci fa riflettere sulla missionarietà
passando ad un altro livello, quello pragmatico e sociale che riguarda il problema che intercorre fra l’evangelizzazione e il fenomeno della povertà. La
tematica del documento è specificamente missionaria, però non può non
prendere in considerazione la questione sociale, anche se questa è stata trattata da Giovanni Paolo II in diverse altre occasioni. D’altronde ancora il 20
luglio 1991 La Civiltà Cattolica lamentava lo scarso interesse da parte dei
documenti ecclesiastici inerenti al debito internazionale e all’ingiustizia sociale307. Forse i redattori de La Civiltà Cattolica si erano scordati che a maggio del 1991 era stata pubblicata l’enciclica Centesimus annus? E che tutto
l’anno 1991 era stato proclamato dal papa come Anno della Dottrina Sociale della Chiesa? E quindi quale altro interesse sarebbe stato richiesto ai documenti della Chiesa? Nella Redemptoris missio, anche se a questo quesito
non è stato dato tanto spazio308 per i motivi obiettivi, tuttavia è stato affrontato e impostato all’interno del tema dell’evangelizzazione come una
componente integrale e di evidente valore.
Il contemporaneo abisso sempre più evidente a partire dalla metà del
XX secolo, che separa il Nord dal Sud del mondo, è diventato la preoccupazione di politici, economisti, mass-media ecc. Sono state fatte innumerevoli
analisi e proposte di soluzione di carattere socio-politico, economico, internazionale, sono sorti gli scambi commerciali, gli aiuti finanziari, i movimenti, le associazioni, le fondazioni e le organizzazioni di beneficenza, inclusa anche l’incrementata attività della FAO, che lanciarono la prima campagna contro la fame, la povertà, la disuguaglianza e l’ingiustizia economica.
Sono state intraprese molte iniziative e realizzati tanti progetti, che dopo alcuni decenni erano etichettati come “fallimentari” dal punto di vista economico, specie riguardo alle popolazioni più misere. Il problema, in grandi
linee, risiedeva nel tentativo di far evolvere il Sud secondo i modelli che il
Nord proponeva o a volte imponeva. Di nuovo quindi si imponeva la necessità di ritornare alla domanda: come aiutare veramente il Sud del mondo?
306
Cfr. T. FEDERICI, “Lo Spirito Santo protagonista della missione (RM 21-30)”, 150.
Cfr. P. GHEDDO, “Annunzio e progresso umano”, in Studia missionalia 47 (1998), 68.
308 RMi 58-60.
307
123
CAPITOLO TERZO
Anche la Chiesa missionaria si è sentita chiamata e provocata a riflettere:
che senso ha annunziare Gesù Cristo a popoli che vivono nella più cruda
miseria, a gente spesso al limite della sopravvivenza e della morte per fame?309. In tale contesto il papa Paolo VI scriveva nella Populorum progressio che “la Chiesa non ha mai trascurato di promuovere l’elevazione umana
dei popoli ai quali portava la fede in Cristo”310 e già dalle sue origini esprimeva la sua particolare sensibilità e apertura verso gli emarginati e i poveri311. Tuttavia la Sollicitudo rei socialis e la Redemptoris missio pongono la
questione in un’ottica ancora più ampia e profonda, quella della cultura,
dell’educazione, del dibattito sui “modelli di sviluppo”312. Dopo tante delusioni e fallimenti, si è giunti a capire che
lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro,
né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la
tecnica313.
Affermazione importante, che fa giustizia di tante teorie basate quasi
unicamente sui soldi, sulle soluzioni pragmatiche, sui calcoli e le proiezioni
econometriche, che ignorano l’uomo, la cultura dell’uomo, l’educazione
dell’uomo, la mentalità, i valori, la storia di una concreta popolazione. “Il
terzo” o forse perfino “il quarto mondo” (paesi in via di sottosviluppo) è un
cimitero di industrie, nota P. Gheddo, che non hanno mai prodotto beni
tecnologici, di piani di sviluppo cha mai sono stati realizzati, semplicemente
perché non si è tenuto conto della gente che avrebbe dovuto realizzarli, delle
mentalità, credenze, abitudini, culture locali314. Secondo alcune analisi scientifiche riguardanti il sottosviluppo, si afferma che ponendo certe condizioni
materiali (finanze, giustizia internazionale, libertà di scelta, democrazia, assenza di sfruttamenti esterni ecc.), il progresso debba per forza di cose scaturire spontaneamente. La realtà invece ha verificato che le cose non stanno
309
Cfr. P. GHEDDO, “Il Vangelo anima lo sviluppo dei popoli”, in AA.VV., La missione del
Redentore. Commenti all’enciclica «Redemptoris missio», 111-112.
310 PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio 12, in AAS 59 (1967) 262-263.
311 Cfr. J.S. MARTINS , “Evangelizzazione pauperibus. Evangelizzazione promozione umana”, in AA.V V., Cristo Chiesa Missione, 327-332.
312 Cfr. P. GHEDDO , “Quale sviluppo dei popoli dall’Evangelo?”, in AA.VV., Riflessioni sulla «Redemptoris missio», 127.
313 RMi 58.
314 Cfr. P. GHEDDO , “Il Vangelo anima lo sviluppo dei popoli”, 113.
124
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
così. La storia dimostra che popoli diversi, messi nelle identiche situazioni, si
comportano in modo diverso: proprio perché fra di loro ci sono profonde
diversità culturali, di mentalità, di costumi, di visione religiosa della vita. Se si
vuole aiutare un popolo nel cammino dello sviluppo, bisogna anzitutto educare agli ideali dello sviluppo. In assenza di questa educazione, tutto il resto
(aiuti, tecnologie, finanze, piani, strutture produttive) non serve a nulla315.
In questa ottica si comprende perché l’enciclica, di fronte al sottosviluppo invece di chiamare ad incrementare soprattutto gli aiuti materiali ed
incentivare le soluzioni tecniche, offre come suo primo contributo l’annuncio evangelico su Cristo, sulla Chiesa, sull’uomo, sul mondo, sulla situazione storica, per cui
la missione della Chiesa non è di operare direttamente sul piano
economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente nell’offrire ai popoli non un
“avere di più”, ma un “essere di più”, risvegliando le coscienze col
Vangelo316.
Con tale impostazione l’enciclica assolutamente non intende introdurre una separazione tra due piani o due dimensioni dell’esistenza umana,
anzi le vuole strettamente congiungere. Infatti, siccome il progresso viene
dall’educazione dell’uomo, allora bisogna innanzitutto formare le coscienze
rivelando ai popoli quel Dio che cercano ma non conoscono, la
grandezza dell’uomo creato ad immagine di Dio e da lui amato,
l’eguaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla
natura creata e posta a servizio dell’uomo, il dovere di impegnarsi
per lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini317.
In tal modo si rende esplicita la stretta connessione tra il Vangelo e il
progresso dei popoli: sono le idee che muovono la storia318 (come ogni singolo uomo) e il “terzo mondo” ha bisogno soprattutto di una “rivoluzione
315
Cfr. P. GHEDDO, “Quale sviluppo dei popoli dall’Evangelo?”, in AA.VV., Riflessioni sulla «Redemptoris missio», 130-131.
316 RMi 58.
317 RMi 58.
318 Qui la priorità dell’idea sulla storia non entra in collisione con il recente detto di papa
Francesco sulla superiorità della realtà all’idea (EG 231.233), in quanto collocata in un’altra
prospettiva del pensiero.
125
CAPITOLO TERZO
delle idee”319. Infatti il cammino dei popoli è condizionato dall’idea che
ciascuno di essi si fa dell’uomo, del cosmo, del senso della vita umana, della
divinità320. Il concetto di una storia orientata da Dio verso un fine positivo
è uno dei contributi più grandi cha la Bibbia porta ai popoli, al progresso
dell’umanità e ad una piena e vera promozione umana321. Per questo si può
dire che i veri “rivoluzionari” sono i testimoni del Vangelo, i missionari, riconosciuti come promotori di sviluppo ottenendo notevoli risultati con
scarsi mezzi nell’opera dello sviluppo; sono loro i protagonisti della promozione umana integrale322.
Oltre tutto questo la Redemptoris missio offre ancora un’altra intuizione geniale per quanto riguarda la lotta contro il sottosviluppo. L’evangelizzazione da parte della Chiesa non aiuta solo il Sud a liberarsi dalla
“schiavitù del bisogno”, ma “anche il Nord, che è esposto alla miseria morale, spirituale ed esistenziale causata dal supersviluppo”323 “ugualmente
inammissibile” come il sottosviluppo, “perché contrario al bene e alla felicità autentica”324. Per questo il papa indica la seguente soluzione: “Contro la
fame cambia la vita” come motto che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei poveri: bisogna ritornare ad una vita più austera che favorisca
un nuovo modello di sviluppo, attento ai valori etici e religiosi325. La “missione e promozione umana” mette in relazione Nord e Sud del mondo quando parla di “scelta preferenziale dei poveri”326 e aggiunge: “Esorto perciò tutti
i discepoli di Cristo e le comunità cristiane (…) a fare una sincera revisione
della propria vita nel senso della solidarietà con i poveri”327.
3.7. L’inculturazione e la missione
Indubbiamente esistono tra gli studiosi, teologi, pastori diverse concezioni dell’inculturazione riferita alla modalità di portare l’annuncio evan319
Ovviamente si avverte l’allusione alla rivoluzione nel senso marxista come mezzo per
lottare contro il sottosviluppo in quanto deludente, anzi tragica come si era verificato nella
storia delle nazioni. “Rivoluzione delle idee” garantisce un cambiamento autentico e non
violento.
320 Cfr. J. MARITAIN , Religion et culture, Paris 1946.
321 Cfr. S. S ACCHI , “La missione cristiana, il contributo indispensabile allo sviluppo dei
popoli”, in Mondo e Missione, gennaio 1984, 56-61.
322 Cfr. RMi 58.
323 RMi 59.
324 SRS 28.
325 Cfr. RMi 59.
326 Per un approfondimento del tema si consiglia: G. GUTIÉRREZ – G.L. MÜLLER , Dalla
parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, Padova 2013.
327 RMi 60.
126
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
gelico in universo mundo. Quanto alla sua natura, il papa definisce l’inculturazione come “Incarnare l’Evangelo nelle culture dei popoli” completando questa prima concezione con la spiegazione contenuta nell’Esortazione apostolica del 1979 Catechesi tradendae328: “[l’inculturazione] significa l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture”329. L’inculturazione trova la sua radice nell’evento dell’Incarnazione
del Verbo di Dio e veramente diventerà nella storia il suo riflesso, quando
una cultura, trasformata e rigenerata dal Vangelo, produce nella sua propria
tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione, di pensiero cristiano,
fermentando dall’interno la cultura locale, valorizzando i semina Verbi e
quanto di positivo in essa è presente, aprendola ai valori evangelici330. Una
prima premessa per intraprendere l’iniziativa dell‘inculturazione sta nel fatto che le varie culture oggi, da una parte, cercano la dimensione spirituale
come antidoto alla disumanizzazione, e dall’altra, contengono attraverso i
valori evangelici, una incipiente realtà del Regno, per cui le culture si dimostrano aperte e disponibili a far entrare il Vangelo nel loro tempo e spazio,
senza però che esse debbano rinunciare o eliminare il loro patrimonio e le
loro ricchezze spirituali, umane, etiche. La Chiesa quindi incarna il Vangelo
e nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa
comunità, trasmette ad esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c’è
in esse e rinnovandole dall’interno331. L’inculturazione è realizzata da tutta
la Chiesa guidata dallo Spirito Santo. L’esempio emblematico viene dato dai
dati neotestamentari: con il Concilio di Gerusalemme la Chiesa apre le sue
porte e si converte nella casa dove tutti possono entrare e sentirsi a proprio
agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto con l’Evangelo332. La Chiesa attua questo compito nel contesto della vita dell’uomo e dei popoli che ricevono la Parola di Dio e deve
essere fatto in un linguaggio concreto e adatto alle circostanze333. La Chiesa
propone e non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza334. Alla luce di una riflessione teologico–
328
CT 53.
RMi 52-54.
330 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai vescovi di Kenia (7 maggio 1980), 6, in AAS 72
(1980), 497.
331 Cfr. J.L. B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, in AA .V V., Riflessioni sulla «Redemptoris missio», 135-137.
332 Cfr. RMi 24.
333 Cfr. RMi 44.
334 Cfr. RMi 39.
329
127
CAPITOLO TERZO
sistematica, l’inculturazione ha come base la trascendenza del valore evangelico in relazione al valore culturale, ma al contempo implica la loro vicendevole compatibilità. Secondo J.L. Barragán, ciò che sarebbe interessante per
la ricerca teologica è il tentativo di configurare all’interno dell’inculturazione le relazioni tra natura e grazia. Se la cultura è l’umanizzazione della
natura, si potrebbe riflettere sulla cultura inculturata dal Vangelo come “divinizzazione” della natura. Se poi, si dice che una cultura è evangelizzata
quando i suoi valori sono intimamente trasformati e il cristianesimo vi ha
messo le sue radici, un altro aspetto d’approfondire sarà la relazione tra valore evangelico fondante della cultura inculturata e i suoi beni culturali, ossia
una riflessione sulla sistematizzazione dei valori inculturati, e il sistema cristiano dei valori, espressioni e realizzazioni che ne risultano335. Infine, studiando la natura dell’inculturazione emerge ancora un altro aspetto: quello di
delucidare la relazione inculturazione e convocazione della Chiesa, di modo
che l’inculturazione apparirebbe non solo come una mera realizzazione della
missio ad gentes, ma come qualcosa d’essenziale per tutta la Chiesa336. Pure
A.A.R. Crollius imposta in un simile modo questa “bi-direzionalità” dell’inculturazione esplicitando piuttosto l’aspetto antropologico:
il processo dell’inculturazione è caratterizzato da una duplice fedeltà.
Da un lato, «la fedeltà (…) alla cultura nazionale» (RMi 43) fondata
sul rispetto delle persone e delle culture (cfr. RMi 39), e dall’altro «la
compatibilità col Vangelo e la comunione con la Chiesa universale»
(RMi 54). Questi due generi di fedeltà non si oppongono, perché la
Chiesa riconosce nei valori delle culture i tratti dell’immagine autentica dell’uomo rivelata in Cristo (cfr. GS 22). Perciò, anche nell’inculturazione, l’uomo «è la prima e fondamentale via della Chiesa»
(RH 11)337.
L’inculturazione ha le sue varie modalità di attuazione che non potranno a volte evitare anche i diversi problemi. L’inculturazione, come opera
di tutta la comunità ecclesiale, deve essere diretta e stimolata, ma non forzata,
per non suscitare reazioni negative nei cristiani338. Il papa si espresse chiaramente per uno sviluppo rispettoso della storia e della tradizione dei rispettivi
paesi: “Non è possibile che qualcuno pretenda che i cambiamenti in Europa e
335
Cfr. J.L. BARRAGÁN , “L’inculturazione”, 140-141.
Cfr. J.L. BARRAGÁN , “L’inculturazione”, 141.
337 A.A. ROEST CROLLIUS, “Missione e inculturazione”, 252.
338 Cfr. RMi 54.
336
128
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
nel mondo avvengano secondo il modello occidentale. Ciò contraddice le mie
convinzioni profonde”339. È un processo che richiede tempi lunghi: non si
tratta di un puro adattamento esteriore, è un cammino lento che accompagna
tutta la vita missionaria; è un processo profondo e globale che abbraccia sia il
messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della Chiesa; ha bisogno di un
processo graduale, perché sia veramente espressione dell’esperienza cristiana
della comunità, un’incubazione del mistero cristiano nel seno del popolo,
perché la sua voce nativa sia più limpida e sincera e si alzi armoniosa nel coro
delle voci della Chiesa universale, come spiega Barragán340. Oltre ciò l’inculturazione deve essere guidata da un sano discernimento su cui veglieranno i pastori e le conferenze episcopali341. Questo discernimento è indispensabile,
poiché la cultura è segnata dal peccato, in quanto è opera dell’uomo. Anche
essa deve essere purificata, elevata e perfezionata342. Infatti questo crea non
pochi e non lievi difficoltà. Un punto basico è senz’altro il peccato nella cultura come disumanizzazione dell’uomo, la sua “demonizzazione” contro la
sua “divinizzazione”. Barragán suggerisce che a tal punto si dovrebbe riflettere
sull’escatologia culturale relativa, ed anche sulla cultura dove si è già inculturato il Messaggio. Un’altra pista potrebbe essere questa: indagare sulle leggi del
retaggio culturale, che sempre presenta tre ambiti decisivi: valori autentici, accomodamenti passeggeri di questi valori ad epoche passate, ed errori. Pure qui
appare un’altra volta la necessità dell’autentico discernimento fatta dal Magistero alla luce del Traditum Ecclesiae343.
Quanto alla finalità dell’inculturazione, tramite essa la Chiesa incarna l’Evangelo nelle molteplici culture e assieme introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità, trasmette ad esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c’è in esse e rinnovandole dall’interno344. Per forza
di cose, la Chiesa svolgendo l’attività missionaria, incontra le culture e si fa
coinvolgere nel processo di inculturazione345, processo che la Chiesa vive
sin dalle sue origini storiche. Grazie all’inculturazione la Chiesa è capace,
per mezzo del lavoro dei missionari, di rendere accessibile, comprensibile,
credibile e fruttuoso ai popoli il messaggio di salvezza. Inoltre grazie all’inculturazione nelle Chiese locali, la stessa Chiesa universale si arricchisce di
espressioni e valori nei vari settori della vita cristiana, quali l’evangeliz339
A. RICCARDI, Giovanni Paolo II Santo. La biografia, Cinisello Balsamo 2014, 374.
Cfr. J.L.B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, 138.
341 Cfr. RMi 76.
342 Cfr. RMi 54.
343 Cfr. J.L.B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, 143-144.
344 Cfr. J.L.B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, 137.
345 Cfr. RMi 52.
340
129
CAPITOLO TERZO
zazione, il culto, la teologia, la carità346. Questa inculturazione a livello di
Chiese locali sarà possibile solo se esse presteranno maggiore attenzione
l’una all’altra e alla Chiesa universale347. A proposito dell’inculturazione e
comunione con la Chiesa universale, Barragán ritiene opportuno ricorrere al
decreto conciliare Christus Dominus che configura la natura della Chiesa
particolare o locale in base a tre pilastri: lo Spirito, il Vangelo e l’Eucaristia348. In effetti se una Chiesa chiama all’unione in Cristo con il Padre ad
opera dello Spirito, allora sarebbe assurdo se questa chiamata non fosse fatta
in comunione con tutte le altre Chiese locali e con il Successore di Pietro;
perciò potrà adeguare la sua chiamata solo attraverso un’autentica inculturazione di relazione e completamento con tutte le altre inculturazioni ecclesiali349. A tale riguardo converrebbe partire dalla cattolicità della Chiesa350 che
si pone all’ascolto del mondo nella moltitudine dei suoi membri e delle sue
voci rispettando le diversità intime delle loro culture, ma è necessario che
poi questo ascolto abbia la capacità di riunire la varietà nel Mistero pasquale
del Signore351 nel quale la Chiesa è radicata e sul quale è fondata. Così
l’unità della Chiesa e l’inculturazione sarebbe un altro tema molto fecondo.
Considerando l’unità come convergenza delle diversità, e non come uniformità mortificante o una fusione annullante. L’opposizione delle diversità
sarebbe opposizione di relazione, di mutuo dono, come si “oppongono” in
Dio le Persone della Trinità; non è un’opposizione di contraddizioni, nel
senso che un’espressione culturale pretenda di sopprimerne un’altra simile352. Certo che l’applicazione del paradigma trinitario alla questione dell’inculturazione e missione è di carattere analogico, tuttavia aiuta ad approfondire una tematica così complessa.
3.8. Il dialogo interreligioso
La questione dell’inculturazione ci fa passare spontaneamente ad affrontare un’altra questione, quella del dialogo interreligioso, scorgendo il le346
Cfr. RMi 52.
Cfr. RMi 53.
348 Cfr. ChD 11.
349 Cfr. J.L.B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, 142.
350 Per un approfondimento della cattolicità della Chiesa in rapporto alla missione pare
raccomandabile il contributo di G. COLZANI, “Rivisitare la cattolicità oggi. Una nuova sfida per la missione”, in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 1 (2004), 19-38.
351 Sull’unicità di Gesù Cristo come principio di convergenza nella pluralità delle religioni,
culture e tradizioni si veda M. MENIN, “Il dono del pluralismo: Missione e unicità di Gesù
Cristo”, in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione, 1 (2014) 51-70.
352 Cfr. J.L.B ARRAGÁN , “L’inculturazione”, 142-143.
347
130
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
game reciproco tra due tematiche. Sul piano dottrinale del problema del
rapporto tra il cristianesimo e le religioni si è già parlato sviluppando il tema dell’unicità e universalità di Cristo. Qui invece si tratta di fare alcune
osservazioni sulle condizioni di possibilità per un proficuo e ricco dialogo
tra le religioni. Rispetto al fenomeno del pluralismo religioso, un desiderato
dialogo, colpiscono le parole del papa quando dice che
le altre religioni costituiscono una sfida positiva alla Chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza
del Cristo e dell’azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria
identità e a testimoniare l’integrità della Rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti353.
Riconoscendo i valori positivi delle altre religioni, e collocandoli in
rapporto con il Mistero di Cristo e l’opera dello Spirito, il papa insegna che
il dialogo sincero con esse, lungi dal costituire un impedimento alla proclamazione di Cristo, deve essere uno stimolo
per unirci consapevolmente nella grande missione, cioè: rivelare Cristo al mondo, aiutare ciascun uomo perché ritrovi se stesso in Lui,
aiutare le generazioni contemporanee dei nostri fratelli e sorelle (…) a
conoscere le imperscrutabili ricchezze di Cristo354.
Il dialogo anzitutto è una forma di comunicazione tra persone o
gruppi di persone, un rapporto inter-personale. In queste forme di contatto, le
persone, con opinioni differenti su questioni culturali, politiche, ideologiche,
religiose, o altre, apertamente si espongono a vicenda con l’intento di conoscere altri punti di vista, di apprezzarne la complementarietà o meno, di arricchirsi. I partecipanti al dialogo si accettano e si rispettano reciprocamente,
nonostante le divergenze di vedute e di convinzioni. Loro si sforzano sinceramente di ascoltare l’altro, di comprendere il suo messaggio e, se necessario,
di modificare eventuali idee sbagliate. Dall’altra parte anche loro stessi sono
pronti ad accettare certe osservazioni, suggerimenti o eventuali critiche. Tutto
sommato la comunicazione dev’essere onesta, fiduciosa, senza pregiudizi, senza condizioni prefissate. Nell’orizzonte del nostro argomento, il dialogo è un
tipo di comunicazione tra i seguaci di diverse religioni nel contesto religioso.
Si tratta non solo del colloquio, bensì dell’insieme dei rapporti interreligiosi,
353
354
RMi 56.
RH 11; cfr. RMi 55-56.
131
CAPITOLO TERZO
positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento355. Si tratta dell’incontro tra persone
religiosamente impegnate nella propria tradizione, ognuna delle quali cerca di
testimoniare ciò che è specifico e personale nelle convinzioni religiose ed
esperienze riguardanti l’uomo e il suo destino, il suo posto nell’universo, la
sua contingenza e la dipendenza dall’Essere Supremo, ed altre questioni fondamentali comuni a loro, con la disposizione ad accogliere con simpatia e rispetto la testimonianza altrui356. È da sottolineare che non sono i sistemi religiosi che si incontrano, ma le persone religiose; e ciò che li raduna è la benevolenza, il che contribuisce al reciproco arricchimento anche nella propria fede. Confrontarsi con la testimonianza autentica di una fede diversa implica
sempre un invito, una sfida a tornare sulla propria fede in modo più conscio,
più approfondito, più interiorizzato. Il dialogo dunque significa “la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi”357. Esso fa scoprire e rispettare il mistero della prodigalità e
della verità dell’opera di Dio nella storia dell’umanità358. Pertanto “il dialogo
tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguita con docilità
allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa”359.
Il tema del dialogo nella Redemptoris missio é da leggere anche alla
luce dei documenti del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso
“Dialogo e missione” del 1984, e “Dialogo e annuncio” emanato nel 1991,
nonché “Il cristianesimo e le religioni” della Commissione Teologica Internazionale del 1997, in cui vengono specificati i fattori che possono o impedire o favorire il vero dialogo inter-religioso e anche le forme dell’inculturazione. Tra quelli che possono ostacolare il dialogo il documento ne individua quattro più frequenti: pregiudizio, radicato nell’ignoranza o nella conoscenza insufficiente o addirittura falsa; fondamentalismo, cioè l’affermazione esclusivista, fanatica, della validità della propria credenza spesso portata a confondere la religione, la politica, l’ideologia ecc., pronta a usare la
violenza; sincretismo, che compromette l’identità propria legando in modo
eclettico senza nessuna logica o coerenza, ma in modo arbitrario i diversi
elementi contenuti nelle religioni; spirito polemico, ovvero la mancanza di
355
Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO , Dialogo e missione, 3.
Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione, 315-317.
357 RMi 56.
358 Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 318.
359 RMi 56.
356
132
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
un minimo di buona volontà e di apertura verso gli altri, l’approccio negativo e polemico a volte anche offensivo nei confronti degli altri360. Invece
tra quelli che favoriscono il dialogo il documento del Pontificio Consiglio
annovera: preparazione nella fede, cioè essere maturamente radicati nella fede con una conoscenza chiara e sapienziale; conoscenza oggettiva e reale
dell’altro, senza la quale è impossibile entrare nel dialogo; creare un clima
psicologico atto al dialogo promuovendo l’amicizia, il rispetto e la collaborazione; spirito di umiltà e di pazienza, per evitare ogni senso di superiorità
e di trionfalismo che bloccano il dialogo; è l’umiltà con cui si riconosce che
“la verità non è qualcosa che possediamo, ma una persona [Gesù Cristo] da
cui dobbiamo lasciarci possedere”361; l’approccio soprannaturale, ossia la
convinzione del credente di essere solo uno strumento di Dio, che lavora
per la gloria di Dio e per il bene degli uomini362.
Il tema dell’inculturazione richiede anche di domandarsi con quali
forme deve essere realizzato. L’enciclica non ne parla esplicitamente; essendo
però da leggere alla luce degli altri documenti del magistero che risalgono al
periodo in cui è stata scritta, sembra essere di grande aiuto il documento
“Dialogo e missione”363. Esso offre almeno quattro modalità per esercitare
tale dialogo. La prima è il dialogo reciproco che si verifica nelle varie sfere
della vita quotidiana quando la gente vive e opera in una situazione di pluralismo religioso. Non presuppone uno sforzo organizzato per un dialogo
formale, ma rappresenta il semplice tentativo di condividere le esperienze
della vita ordinaria in un modo costruttivo, conformemente alla propria
tradizione religiosa. Dalla testimonianza di vita ognuno scopre i valori delle
altre tradizioni, e così si crea il clima di comprensione vicendevole, di rispetto, di solidarietà: condizioni indispensabili per il successo di altre forme
di dialogo. La seconda forma si verifica per mezzo delle opere, quando i
membri di varie religioni lavorano insieme per qualche bene comune. Qui i
cristiani collaborano con gli altri “per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione
dell’uomo”364. I credenti con gli altri di buona volontà, si dedicano alla liberazione autentica della gente, alla promozione umana dei valori umani e
360
Cfr. DA 51-53.
DA 49.
362 Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 319-320.
363 Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 320-322. Sarebbe ovviamente da
aggiungere il documento della COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE “Il cristianesimo e le religioni” del 1997; ma solo per non essere troppo dispersivi, ci fermiamo sui
primi due già indicati.
364 DM 31.
361
133
CAPITOLO TERZO
trascendenti, contribuendo alla realizzazione del Regno di Dio. La terza
modalità consiste nel dialogo di esperti nella forma organizzata in cui gli
specialisti appartenenti alle varie tradizioni religiose convergono “sia per
confrontare, approfondire e arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per
applicarne le risorse ai problemi che si pongono all’umanità nel corso della
sua storia”365. Lo scopo di tale incontro non è quello di giungere ad una
uniformità di vedute, ma piuttosto quello di promuovere la conoscenza e la
stima reciproche più oggettive, superando i diversi pregiudizi e i sospetti. Infine, la quarta modalità del dialogo si effettua tramite l’incontro tra persone
religiosamente e spiritualmente impegnate al livello più interiore della propria tradizione e ricerca spirituale, con l’intento anche di confrontarsi con
l’esperienza altrui. Basta pensare alla condivisione delle esperienze intime,
soprattutto inerenti al divino o al sacro366. Come esempio qui si possono
riportare i noti ed efficaci incontri di Assisi di Giovanni Paolo II (1986,
2002) e di papa Benedetto XVI (2011)367. A parte l’arricchimento reciproco,
tale tipo di dialogo diviene anche una cooperazione feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti e più profondi
dell’uomo368, fino al punto che i problemi che all’inizio appaiono irrisolvibili sul piano dottrinale e teorico, trovano in effetti sbocchi di soluzione solo in un approccio meditativo ed esperienziale, senza ovviamente cadere nei
semplicistici sincretismi.
3.9. Il rapporto tra dialogo e missione
A questo punto sembra ancora opportuno affrontare il problema di
come, dall’angolo visuale del Vangelo di Cristo affidato alla Chiesa, configurare il rapporto tra il dialogo e la missione evangelizzatrice del cristianesimo.
Ogni tipo di dialogo, sia inter-religioso, che “umanistico” ossia con
qualsiasi altro destinatario o rappresentante del pensiero non esattamente
cristiano, non è da considerarsi come qualcosa a parte o perfino a discapito
della missione che spetta per natura alla Chiesa. Il dialogo non è nemmeno
l’unica forma valida della missione nel mondo moderno pluralistico, frammentario e “liquido”. In verità, il dialogo fa parte integrante della missione
globale della Chiesa, vale a dire l’impegno per farsi pienamente presente a
365
DM 33.
Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 322.
367 Cfr. A. R ICCARDI , “Assisi, 25 anni nello Spirito” Editoriale, in Famiglia cristiana, 26.10.2011.
368 Cfr. DM 35.
366
134
REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO II
tutti gli uomini e popoli369. Nella Redemptoris missio Giovanni Paolo II
scrive così:
Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della
Chiesa. Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missione
ad gentes, anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione370.
Questi sono gli elementi principali che costituiscono la unitaria,
benché complessa, realtà missionaria: la semplice presenza e la testimonianza viva della vita cristiana; l’impegno concreto per il servizio agli uomini e
tutta l’attività di promozione sociale e di lotta contro la povertà e le strutture che la provocano; la testimonianza eloquente della vita cultuale e liturgica, nonché dell’ascesi; la preghiera e la contemplazione; il dialogo nel quale i
cristiani incontrano i seguaci di altre tradizioni religiose; l’annuncio e la catechesi, quando si proclama la Buona Novella della salvezza e se ne approfondiscono le conseguenze per la vita e la cultura371. Dall’altra parte tali indicazioni potrebbero sembrare del tutto nuove in quanto corrispondono allo spirito dei nostri tempi e alle sfide della contemporaneità. Invece già nel
secolo XIII san Francesco d’Assisi nella nota Regola non Bollata del 1221
scriveva ai frati che desideravano andare in missione:
I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di
Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che
quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio
perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato
per acqua e Spirito Santo non può entrare nel Regno di Dio (Gv
3,5)372.
Francesco dimostra una profonda intuizione e idea della missionarietà
svolta nello spirito dialogico che non solo è espressione del rispetto verso
369
Cfr. AG 5.
RMi 55.
371 Cfr. DM 13.
372 RnB XVI, 43.
370
135
CAPITOLO TERZO
l’altro, ma crea lo spazio per l’agire dello Spirito Santo, il protagonista principale dell’evangelizzazione: Egli ispira il missionario ad annunciare e allo
stesso tempo apre il cuore dell’uditore e lo induce dall’intimo della coscienza a comprendere ed accogliere la parola di Dio373. Quando si riconosce
questo, diventa sempre più evidente che tipo di relazione esiste tra la missione e il dialogo: la proclamazione esplicita e il rispetto per la coscienza, il
dovere di annunciare il Vangelo e la libertà di accoglierlo374. In tal modo la
forma dialogica della missione permette di evitare qualunque accusa di fare
una specie di proselitismo, anzi dimostra da parte della Chiesa e innanzitutto da parte di Dio stesso il massimo rispetto verso la libertà umana e religiosa.
Il Vangelo proclamato attraverso il dialogo garantisce che l’ascolto e una eventuale accoglienza del messaggio sia pienamente responsabile, degna dell’uomo
e degna di Dio. Infine la forma dialogica della missione permette anche di
affrontare meglio le varie difficoltà soprattutto nel caso in cui i destinatari
della missione cristiana non abbiano la preparazione, le disposizioni, le
strutture adeguate per intraprendere la strada del dialogo. Anzi a volte
esprimono l’avversità o l’odio. A questo punto lo spirito dialogico diventa
l’espressione della fede profonda e dell’amore forte, permettendo di mantenere la pazienza, l’umiltà, la perseveranza e la fiducia nella Provvidenza di
Dio375.
373
Cfr. EN 75.
Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 325.
375 Cfr. D. ACHARUPARAMBIL , “Il dialogo inter-religioso”, 325.
374
136
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
CAPITOLO IV
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI - LA MISSIONE
PAROLA PROFETICA
RADICATA NELLA
Anche se papa Benedetto XVI non ha scritto né un’enciclica, né una
esortazione specifica, appositamente e integralmente dedicata al tema della
missionarietà della Chiesa o al compito evangelizzatore dei cristiani, tuttavia
in diversi suoi documenti si può trovare trattata e sviluppata tale questione.
In modo particolare questo tema appare nell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, sulla parola di Dio nella vita e nella missione della
Chiesa1. Il documento è diviso in tre parti. Nella prima viene spiegato
l’evento del Verbum, della Parola di Dio sul piano teologico e cristologico,
nella seconda sul piano ecclesiologico e nella terza sul piano missiologico –
pastorale. Proprio quest’ultima parte sembra molto importante per esporre
l’originalità della visione missionaria di papa Benedetto XVI, tenendo anche
presente l’insieme del suo insegnamento in cui la problematica si iscrive.
Non deve meravigliare il fatto che con l’impostazione di Benedetto XVI,
cambiano anche il destinatario, il linguaggio, le categorie, i modi di agire,
ma comunque le sue intuizioni rimangono pur sempre attuali.
1. La missione e la contestualizzazione dell’esortazione: sfide e
provocazioni
L’impostazione del tema dell’evangelizzazione in Benedetto XVI si
comprende solo in quanto parte integrante del suo pensiero, della sua analisi/diagnosi sulla contemporaneità, alla quale cerca di dare sia un significato
sia anche una proponibile e valida risposta. Il contesto determina molto il suo
modo di studiare i vari temi teologici, come in questo caso il tema dell’evangelizzazione.
1
EV 26/2218-2433.
137
CAPITOLO QUARTO
Infatti l’odierna situazione culturale e ideologica potrebbe essere letta
secondo differenti prospettive ermeneutiche. Il nostro tempo apporta molti
benefici e presenta molti lati positivi per quanto riguarda lo sviluppo dell’essere umano, sia sul piano individuale che su quello sociale. Mai come oggi
l’umanità, grazie alla molteplicità dei mezzi di comunicazione, scientifici,
tecnologici, economici, ecc., di cui dispone, ha avuto l’opportunità di valorizzare le molteplici possibilità di progresso e di programmare il proprio futuro
nel modo migliore possibile. Senza voler emettere un giudizio definitivo sulla
contemporaneità, va però precisato che quanto è stato sopra citato non ignora
i lati vulnerabili del pensiero e della mentalità odierna che si presentano al
cristianesimo come sfide e provocazioni e sui quali il papa ha inteso soffermarsi. In particolare, quando si vuole prendere in esame l’attuale contesto,
non si può prescindere dalla questione della dimensione religiosa in genere, e
della fede in particolare, data la complessità culturale della situazione nella
quale viviamo. Questo permette di percepire come secondo il papa la fede è
legata alla missione; la fede si pone di fronte alle varie provocazioni d’oggi.
In questo contesto è chiaro il motivo per cui il papa ha deciso di indire l’anno della fede proclamato solennemente con La Lettera Apostolica
Porta fidei e di immettere i fedeli ancora una volta nell’ambito della fondamentale esperienza cristiana del credere, accentuando poi anche come la fede
nella sua natura diffusiva assuma il carattere missionario. Il papa invitava i
credenti a riflettere e meditare su ciò che costituisce il principio che determina la loro identità. Ciò che sembra essere scontato e indiscutibile, va ripensato e ha bisogno di un rigoroso approfondimento. Vivere oggi la fede
cristiana non è affatto facile2, perché
ciò che costituisce il diventare e l’essere cristiano non è qualcosa che
possa essere definitivo valido atemporalmente, ma va accolto costantemente sulla base delle situazioni in mutamento e deve continuamente dar prova di sé3.
La contemporaneità rappresenta in certo qual modo un cortile dei
un insieme di correnti spesso contraddittorie e questo fatto ci induce ad essere più umili e più riflessivi, in quanto viviamo la fede in un tempo
gentili4,
2
Cfr. C. DOTOLO, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa, Brescia
2007, 7.
3 N. METTE, “Il Gesù difficile. L’invito a una prassi di sequela nelle condizioni attuali”, in
Concilium 33 (1997) 41.
4 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 161-163.
138
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
che si sottrae a facili e scontate letture interpretative, sia da parte dei credenti come dei non credenti5. Questo, si potrebbe dire, condiziona non tanto il
fatto e la necessità della missione, ma il suo stile. Infatti, l’invito rivolto da
Benedetto XVI a riflettere sul tema della fede e della sua risonanza nella vita
dei credenti diventa ancora più pressante se si prende in considerazione
quanto afferma Z. Bauman:
I nostri tempi sono tempi duri per la fede, per qualunque fede, sacra
o profana; per la credenza nella Provvidenza, nella catena divina
dell’Essere, come per la credenza in un’utopia mondana, in una società perfetta futura. I nostri tempi sono tempi sfavorevoli alla fiducia e (…) a propositi e sforzi di ampia portata, per l’evidente transitorietà e vulnerabilità di tutto (o quasi tutto) ciò che conta nella vita
terrena6.
In passato, secondo le idee della modernità, si potevano avere tutti i
motivi per essere ottimisti per quanto riguarda il progresso; si riteneva infatti che tutti gli eventi spiacevoli (incluse le guerre), le incertezze, le paure e
quant’altro fossero passeggeri e momentanei. Oggi7 invece ci si rende conto
che tutta questa insicurezza è per sempre8. A livello dell'esperienza esistenziale l'uomo, deluso dagli pseudo-valori che lo avevano ammaliato negli anni passati, incerto su ciò che sarà il proprio futuro, si aggrappa a risposte
parziali ben sapendo che non lo possono soddisfare9. Ancora a poche setti5
Cfr. U. SARTORIO, Scenari della fede, Credere in tempo di crisi, Padova 2012, 11; ID., Fare
la differenza. Un cristianesimo per la vita buona, Assisi 2011, 9-39. 63-106.
6 Z. BAUMAN, “La società della gratificazione istantanea in culture differenti: Europa e
Nord America”, in Concilium 35 (1999), 13.
7 Un’apertura alla complessità dell’oggi è possibile se si abbracciano i vari aspetti e la diversità dei “nomi” assegnati alla cultura odierna, il che permette di evitare prese di posizioni
troppo affrettate e generiche. Basta riportare le nozioni come “modernità” e “post-modernità”, “modernità incompiuta” o “tardomodernità”. Tra le principali caratteristiche che
contraddistinguono, secondo vari autori, la cultura attuale vi sono quelle di tipo socio–
culturale, ad es. “post-secolarizzazione”, “democrazia”, “globalizzazione”; o quelle d’indole
ideologica che a volte implicano una particolare presa di posizione verso la religione quali
“ateismo”, “laicismo”, “scientismo”, “pluralismo”, “relativismo”, “indifferentismo”, “nichilismo” ecc. Cfr. C. DOTOLO, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa, 52.
8 Cfr. C. BORDONI con Z. BAUMAN, La società insicura. Convivere con la paura nel mondo
liquido, Roma 2012, 200.
9 R. FISICHELLA, La via della verità. Il mistero dell'uomo nel mistero di Cristo, Milano
2003, 18.
139
CAPITOLO QUARTO
mane dalla sua elezione a papa, in riferimento al Vecchio Continente ha fatto un discorso a Subiaco (01.04.2005) dicendo che “in Europa si è sviluppata una cultura che è la contraddizione in assoluto più radicale non solo del
cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità”10.
In tale situazione il credere sembra davvero una impresa azzardata,
soprattutto quando si constata che molti cristiani sono stanchi di credere 11.
Perciò diventa indispensabile chiedersi come sia possibile credere oggi, in un
contesto di profonda sfiducia verso tutto e tutti, segnato dall’autosufficienza, vera radice di ogni anti-fede12; in un contesto caratterizzato non solo
da una ragione debole ma anche da una prassi debole. In tale realtà anche la
vocazione missionaria della Chiesa richiede una seria trattazione. Ci si chiede
quindi se oggi ci sono ancora ragioni plausibili per credere, se è ancora possibile la fede, quale è la sua essenza, su che cosa poggia? Per rispondere a tali
domande occorre però dare ascolto all’annuncio, alla Parola; infatti fides ex
auditu Verbi! Da qui la necessità di ripartire dalla Parola e dall’ascolto. Per tale motivo emerge il bisogno di occuparsi del tema della Verbum Domini.
In seguito, il papa si interroga anche sul luogo e il ruolo della teologia odierna: non dovrebbe essere proprio essa a diventare una protagonista
dell’opera missionaria oggi? E il teologo, in virtù della sua vocazione ecclesiale, non dovrebbe rendersi ancor più conto del suo compito come un vero
evangelizzatore e profeta?13. Per questo si auspica che la teologia, come atto
di credere ispirato alla Verità, possa presentarsi ancora come una formulazione ragionevole e sensata della fede sul piano critico – riflessivo14 e, al
tempo stesso, vitale e credibile sul piano pratico – esistenziale. A questo punto si rende più esplicita la missione del credente e del teologo, in particolare,
una missione di carattere profetico, in grado di diagnosticare l’attuale momento storico e presentare il Verbum Dei, come la chiamata e l’invito da parte di Dio nell’evento dell’Incarnazione che, a sua volta, si rende percepibile ed
accessibile come Verbum in Ecclesia e che andando oltre i suoi confini, tra
10
http://Chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/27262.
Cfr. BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2011.
12 Cfr. U. SARTORIO, Scenari della fede, Credere in tempo di crisi, 26.
13 Cfr. K. KOCH, Il vincolo tra amore e ragione. Sull’eredità teologica di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana 2015, 9-14.
14 Per papa Ratzinger la voce della teologia dipende dalla fede e si riferisce alla fede, alla
fede nel suo legame intrinseco con la spiritualità. Poiché la teologia è esegesi della fede, è e
deve rimanere esegesi, non può darsi come testo in sé e tanto meno può inventarsi come
nuovo testo. Fede e teologia sono piuttosto distinti come lo sono il testo e l’esegesi. Cfr. K.
KOCH, Il vincolo tra amore e ragione. Sull’eredità teologica di Benedetto XVI, 15.
11
140
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
tutti i popoli, in ogni luogo e in ogni epoca, si offre come Verbum Mundo15.
La missione risulta ostacolata e impedita dalla cultura post-moderna (anche se
alcuni la ritengono già superata), una cultura quasi indefinibile, presente in
modo particolare nella società nord-occidentale; caratterizzata sul piano ontologico da una concezione immanentistica del reale propria di una radicale
secolarizzazione, che in pratica si ferma “spesso superficialmente sul valore
dell’istante che passa, come se fosse irrilevante per il futuro”16; sul piano epistemologico dalla categoria, cara al papa, della “dittatura del relativismo”,
dall’agnosticismo e dall’indifferentismo; sul piano linguistico e discorsivo
dalla generalità, pluri-vocità e “liquidità” – discorso in cui la forma prende il
sopravvento sul contenuto, oppure forma linguistica che non corrisponde al
nucleo contenutistico; sul piano etico invece dal dominio della dimensione
privata e soggettiva inserita in ciò che è provvisorio, transitorio, “hic et nunc”
e quindi da una morale situazionale sottoposta a valutazione soggettiva, in cui
il primato viene concesso all’esperienza; sul piano sociale dalla globalizzazione dove si rende sempre più palese una specie di neo-colonialismo, in primo
luogo quello economico; e infine sul piano esistenziale dal nichilismo, dalla
tendenza verso l’auto-distruzione, verso la perdita dell’identità. Dal momento
che questa tendenza si è infiltrata anche nei circoli cristiani, cattolici e teologici, in nome di un ambiguo e poco chiaro concetto di “dialogo”, di “apertura/adattamento” e di rispetto della “pluralità delle posizioni”17, è stata “bat-
15
Le espressioni in corsivo si riferiscono proprio alla struttura stessa dell’esortazione Verbum Domini.
16 VD 99. Ciò che aggrava ancora la diagnosi del papa, è che il post-moderno non ha nemmeno l’idea di un “futuro”, cioè che cosa esso intende con il termine “futuro”.
17 In questa prospettiva anche le parole di papa Francesco nel discorso alla conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi, 24 ottobre 2015, possono essere intese in modo equivoco: “E – al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un
continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo - quasi! – per il vescovo di un
altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri
può essere solo confusione”. Questa osservazione del papa può introdurre non pochi interrogativi richiedenti maggiori e più profondi chiarimenti riguardo ai piani su cui si evidenziano tali diversità, pluralità, divergenze ecc. Anche se il papa tiene ferme e intoccabili le
questioni dogmatiche, tuttavia la pluralità delle posizioni su quale piano è da considerare?
Su quello etico–morale, o epistemologico, ontologico, religioso oppure culturale? Le affermazioni prive del principio gnoseologico “clara et distincta” conducono a malintesi e confusioni. A questa citazione ritorneremo e la svilupperemo in un altro contesto tematico nel
capitolo V.
141
CAPITOLO QUARTO
tezzata”, perfino enfatizzata come “decentramento”18 spiegato con la concezione della “misericordia”, in realtà poco compresa biblicamente in base a
quanto scritto da F. Testaferri – d’altronde autore e studioso di grande rilievo,
di ricca e creativa produzione teologica. Secondo lui un tale “decentramento”
consisterebbe nell’“esperienza di negazione di sé (…) e della propria vita,
[che] invita a scoprire il valore trascendente dell’altro e di Dio”19. Certo che
18
Nel contesto ecclesiale il tema sarà ripreso nel capitolo V. § 3.2., dove si tratterà della decentralizzazione riguardo alla struttura istituzionale legata alla sua vera natura ontologicamente radicata nel disegno di Dio.
19 F. TESTAFERRI, “Una diversa idea di Dio. «Spirito di Assisi»: convegno ad Assisi il 28 ottobre. Ecco qualche anticipazione da uno dei relatori”, in La Voce, 23 ottobre 2015, 9. Comunque l’esempio di F. Testaferri trova una soluzione teologicamente creativa e coerente in
una lettura più approfondita e comparativa dei suoi testi dal momento in cui vengono letti
nel loro legame di complementarietà. La cosa invece molto più problematica è costituita
dagli autori che partendo dalle idee assunte a priori, si servono delle semplici forme retoriche, delle citazioni staccate dal loro autentico contesto storico – teologico, adoperano i giochi linguistici e usano uno stile caratterizzato dalle ambiguità ed equivocità non tanto per
spiegare le questioni e darne una giusta interpretazione, ma per creare ed “argomentare”
una ideologia, appunto, assunta a priori. Basta soltanto pensare ad A. Grillo (alcuni suoi
scritti generici e scientificamente infondati scritti, pubblicati sul web da Cittadella Editrice
e sul blog Come se non); A. Spadaro (non si stanca di produrre su La Civiltà Cattolica con
i suoi confratelli un ballon d’essai in vista delle conclusioni che il papa potrebbe o persino
dovrebbe trarre dall’ultimo sinodo sulla famiglia) e mons. M. Semeraro, vescovo di Albano.
A proposito dell’ultimo autore ci riferiamo all’opuscoletto “Il sinodo della famiglia raccontato alla mia Chiesa”, Liter Thev, 2015. In esso viene ripresa la categoria del “in foro interno” che finora non sembra che abbia ricevuto una chiara e precisa definizione sia dalla teologia che dal recente magistero (forse perché più che risolutiva poteva sembrare confusionaria ed equivoca). In ogni modo questa categoria adoperata da mons. Semeraro sollecita ancora maggiori perplessità dal momento in cui l’autore, in modo arbitrario, ne dà una interpretazione forzata facendo ricorso a due Lettere della Congregazione per la Dottrina della
Fede del 1973 e del 1975 – leggendo in esse ciò che esse in realtà non dicono (!) – provocando in effetti delle inevitabili incongruenze. Infatti l’espressione “in foro interno”, tratta
dalla Lettera ai vescovi della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1973 e dalla Lettera delle medesima Congregazione ed indirizzata all’arcivescovo di Chicago Joseph Louis
Bernardin, all’epoca presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, aveva la sua
particolare circostanza e il suo specifico “Sitz im Leben” da cui non può essere semplicemente estratta e tantomeno compresa separatamente dalla bimillenaria Tradizione della
Chiesa, essendo poi – sulla via di una metodologica scorciatoia – applicata come argomento
per rafforzare una personale ideologia. La prima lettera – vi si leggeva – era stata scritta e
trasmessa ai vescovi di tutto il mondo proprio per contrastare le "ragioni dottrinali o pastorali che qua e là vengono portate come argomento per giustificare gli abusi contro la vigente disciplina circa l'ammissione ai sacramenti di coloro che vivono in “unione irregolare".
In realtà la questione era piuttosto complicata. In quei primi anni Settanta, nei paesi del
mondo in cui era stato introdotto il divorzio nelle legislazioni civili, si era fatto impellente
l'interrogativo su che fare con i cattolici sposati in chiesa e poi divorziati e risposatisi ci142
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
vilmente. Nella prassi pastorale c'era incertezza e alcuni confessori assolvevano e ammettevano alla comunione alcuni degli "irregolari", specie nel caso in cui il penitente si riteneva
sicuro della nullità del suo precedente matrimonio, pur in assenza di una sentenza canonica
che certificasse tale nullità. La lettera del 1973, molto breve e non chiarissima, non risolse
affatto quell'incertezza diffusa. Tant'è vero che ad essa seguì, due anni dopo, una puntualizzazione. La richiesta di chiarimenti era venuta dagli Stati Uniti, e la Congregazione per la
Dottrina della Fede rispose con una lettera del suo segretario, il teologo domenicano e arcivescovo Jean Jérôme Hamer, indirizzata all’arcivescovo di Chicago Joseph Louis Bernardin,
all’epoca presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti. Nel 1975, viene affermato
e chiarito che “in foro interno” rende possibile l’accesso ai sacramenti nel caso dei divorziati risposati a due condizioni: “…che cerchino di vivere secondo le esigenze dei principi morali cristiani e che ricevano i sacramenti in chiese in cui non sono conosciuti in modo da
non creare alcuno scandalo” (Littera circa partecipationem del 21.03.1975, in Leges Ecclesiae, vol. VI, 4657, p. 7605). Il contesto storico aiuta molto a capire che il valore di “ripescare” questi due episodi (pars) non può pretendere affatto di essere considerati come minima
ragione per cambiare la dottrina e la prassi in quanto costituiscono l’universale depositum
fidei (toto) della Chiesa in questa materia.
In questa ottica non si può dunque assolutamente capire come mons. Semeraro possa considerare nel suo libretto l’atteggiamento, la premura, la cura e l’amore pastorale verso le
coppie irregolari – di cui il “papa delle famiglie”, san Giovanni Paolo II parlava nella Familiaris Consortio 84-85 – come un passo indietro o come gesto di “restrizione”! (Chissà se
mons. M. Semeraro già abbia avuto le stesse idee ancora nei tempi nel periodo dei pontificati di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI, oppure sia arrivato a scoprirle negli ultimi
due anni?). Anzi sul blog del mons. S. GĘdecki, partecipante al Sinodo del 2015, si può trovare una esemplare testimonianza di uno dei vescovi presentata durante la seduta del 19 ottobre (dal blog del mons. S. GĘdecki non poteva venir fuori il cognome di quel coraggioso
presule, secondo come prevedeva la regola sinodale di mantenere la discrezione dei relatori)
che richiamandosi all’esortazione e all’insegnamento di san Giovanni Paolo II ha convocato
nella sua diocesi le coppie che vivevano nelle situazioni irregolari. Sono arrivate 400 persone. In seguito se ne sono create 5 comunità. Mai si sentivano esclusi o emarginati, ma prima avevano bisogno che gli fossero date le spiegazioni e le ragioni della loro situazione.
Ora affermano di sentirsi pienamente integrati con la comunità ecclesiale e amati dalla
Chiesa pur non potendo ricevere la Comunione. Gli altri “regolari” non si scandalizzano
della loro presenza e delle varie attività svolte nelle parrocchie, ma li stimano e rispettano.
(http://abpgadecki.pl/19-10-2015-male-grupy-po-poludniu/). Per questo del tutto esasperata
è la constatazione di Semeraro che con san Giovanni Paolo II siano arrivate le restrizioni
imposte alle coppie irregolari, come condizione per ricevere la Comunione sacramentale –
come se, prima di questo epocale e straordinario pontificato, la norma e la prassi fossero a
favore dell’ammissione alla Santa Comunione dei divorziati risposati. La cosa viene chiaramente spiegata dal cardinale Ratzinger, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede che nella Lettera ai Vescovi del 1994 ribadisce che questa norma non è un regolamento puramente disciplinare e neanche punitivo o discriminatorio, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l’accesso alla Comunione eucaristica; di conseguenza non può essere cambiata dalla Chiesa (…) e non può essere modificata in base alle differenti situazioni. Aggiunge, inoltre, che questa prassi costante e universale
è fondata sulla Sacra Scrittura, indicandone i motivi. Tuttavia da parte della Chiesa viene
143
CAPITOLO QUARTO
rivolta ai pastori ancora maggiore cura e responsabilità verso le persone che si trovano nelle
differenti situazioni irregolari, aiutandole ad approfondire la loro comprensione del valore
della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale, della
preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia (cfr. EV
14/1451-1464). Il n. 84 della Familiaris Consortio mette in evidenza quanto sia importante
la cura pastorale da parte della Chiesa affinché queste persone possano sempre sentirsi a
pieno titolo i membri della comunità ecclesiale. Un’altra formula equivoca e spiegata con
evidente forzatura arriva quando l’autore propone “il passaggio dalla morale della legge alla
morale della persona”(!). Qui però non abbiamo lo spazio per occuparci di questi temi anche se non sono slegati da quello dell’evangelizzazione. Tuttavia ciò che in ogni modo vogliamo sottolineare è come con le manovre linguistiche e con la metodologia selettiva, staccata dal toto e dal “Sitz im Leben” contestuale (metodologia propria anche dei Testimoni di
Geova), si può fraintendere e così portare fuori strada tanti fedeli e tutti quei credenti che
acriticamente senza una adeguata preparazione, si possono facilmente far trascinare da idee
sbagliate. Per questo si può e si devono condividere le preoccupazioni sia di molti fedeli che
diversi studiosi cattolici. Cfr. S. MAGISTER, “Nullità matrimoniali. Una riforma che rischia
di affondare sul nascere”, in http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351199; ID.,
“Leggende metropolitane. La ‘misericordia’ dei felici anni settanta”, in http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/01/04/leggende-metropolitane-la-misericordia-dei-felicianni-settanta/.
A mons. Semeraro e al suo libretto risponde anche in modo molto sintetico, conciso e chiaro R. CASCIOLI, “Divorziati risposati. Peccato che ‘trucchi’ un po’ le carte” in http://www.iltimone.org/34073,News.html. Tuttavia, se l’intenzione di mons. Semeraro era quella di
raccontare il Sinodo alla “sua Chiesa”, mi permetto di consigliare a mons. Semeraro di tener conto non solo della sua personale posizione espressa al Sinodo con il suo intervento,
ma di presentare ai fedeli della sua diocesi anche la voce unisona della maggioranza. Inoltre
per non fermarsi ad una impostazione parziale e palesemente tendenziale, al pastore della
diocesi di Albano suggerirei uno studio più approfondito, completo e conforme al bimillenario senso della fede contenuto nella Sacra Tradizione, fedelmente custodita e trasmessa
nella storia; studio offerto da specialisti e dai periti in materia come l’arcivescovo Cyril Vasil’, il card. C. Caffarra, il card. G.L. Müller, il card. W. Brandmüller, il card. De Paolis, il
card. R.L. Burke, il card. G. Pell, il card. W.F. Napier, il card. R. Sarah, i rappresentanti di
varie Conferenze Episcopali, tanti professori di spicco come R. Dodaro, J. Granados, P.
Mankowski, J.M. Rist, J.J. Pérez-Soba, S. Kampowski, P. Gałuszka, G. Angelini, S.P. Bonanni, J. De Dios Larrú, A. Diriart, D. Dupont-Fauville, W. Giertych, A.-M. Jerumanis, L. Melina, J. Mimeault, M. Sherwin, A. Livi, nonché i professori del Pontificio Istituto per gli
Studi sulla Famiglia di san Giovanni Paolo II. In primo luogo, però, è da considerare seriamente il fatto che già prima di san Giovanni Paolo II (diversamente da come voleva suggerire Semeraro) il consenso della Chiesa universale in materia, nonostante rari casi di eccezione riguardo al problema della Santa Comunione ai risposati, era sempre presente nel depositum fidei contenuto nella Sacra Tradizione e Sacra Scrittura. Di conseguenza, basta
tornare alle basi e alle fonti, anziché ricorrere ad ambigui giochi linguistici, facendo riferimento alla novità dei nostri tempi e alle sfide mai conosciute prima nella storia della Chiesa. In realtà la storia del cristianesimo conosce i periodi ben più duri e più difficili in cui
bisognava difendere la dottrina sul matrimonio e sull’Eucaristia. Quanto al matrimonio, ci
basta l’esempio più che emblematico, quello neotestamentario di Giovanni Battista e del
144
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
l’affermazione secondo cui la misericordia presuppone la negazione di se
stessi e il riconoscimento della trascendenza dell’altro e di Dio suona in un
primo istante molto altruistica, ma tutto sommato postulando la necessità
della negazione della propria identità, non porta forse verso una soluzione
che il Vangelo non conosce affatto? (Mai abbiamo saputo del comandamento:
“Ama il prossimo tuo più di te stesso!”). Conduce infatti alla negazione della
propria identità che comunque è pur sempre modellata secondo il Vangelo e
si trova sulla strada che porta ad essere conformi a Cristo. Nei nostri tempi,
segnati dalla cultura, come ben sappiamo, post-moderna, adoperare un linguaggio di carattere “fluido” può diventare un’impresa molto azzardata.
Facendo tutta questa digressione e ponendoci una serie di domande,
non ci siamo allontanati dal nostro tema principale, quello della missione e
dell’evangelizzazione. Anzi, nella nostra trattazione per essere onesti, ci siamo posti l’inevitabile interrogativo, del resto di grande attualità: come parlare adeguatamente oggi in campo teologico? Come esempio ci siamo richiamati al concetto della “misericordia”, recentemente usato in modo ambivalente e spesso abusivo; in realtà però in gioco non c’è solo questo termine
biblico, religioso, etico, ma la pluri-vocità del linguaggio che è diventato “decomposto” e “de-costruito”, tanto che ardisce di non dire nulla! Allora non
è eccessiva e fuori luogo la domanda se con tale stile di parlare specifico e
proprio del post-moderno e al contempo già introdotto pure in campo teologico, non si corre forse il rischio di giungere al nichilismo nell’ambito esistenziale e ontologico, al paradigma relativista nell’ambito epistemico, al permissivismo e lassismo nell’ambito etico, ad una anarchia nell’ambito istituzionale e amministrativo, anche dentro l’universo cristiano? L’autore usa nello
stesso testo la formula (presa da K. Rahner) dell’«umanesimo non umano»,
senza spiegare che è differente da quella del «dis-umano»20. Comunque un
suo martirio. In seguito, nell’arco di tutta la storia della Chiesa, affinché questa verità potesse arrivare ai nostri giorni tanti cristiani hanno sacrificato la loro vita. Non si può non
avere non la poco gradevole sensazione che la posizione di mons. Semeraro giochi con una
specie di liquidazione del sacramento dell’Eucaristia. Qualcuno potrebbe avere la sensazione che con questa lunga irruzione ci siamo allontanati dal nostro argomento. Subito rispondo: no. Infatti il tema dell’evangelizzazione, come abbiamo sottolineato sin dall’inizio
del nostro studio si collega con altre problematiche teologiche. Qui è subentrato il tema del
Sinodo, della famiglia, del matrimonio ecc., perché in quanto argomenti di particolare attualità ci illustrano in modo più chiaro ed accessibile quanto importante sia un giusto,
onesto ed adeguato uso del linguaggio nell’opera di proclamare l’autentico annuncio contenuto nel Vangelo, nell’attività missionaria, nella trasmissione della fede e nella retta guida
del popolo affidato ai pastori.
20 A parere del sottoscritto subito si poteva spiegare che si tratta di un “umanesimo non
umano” non come si potrebbe facilmente desumere “disumano”, ma al contrario nel senso
145
CAPITOLO QUARTO
lettore “medio” (per evitare “normale” o “semplice”) leggendo il testo formulato con l’uso di tale linguaggio può facilmente essere condotto a delle
conclusioni contrarie a quelle dell’autore. In pratica, il lettore si può sentire
chiamato a ripensare il precetto biblico “ama il prossimo come te stesso!”,
in modo da doverlo sostituire con “ama il prossimo più di te stesso!”. Anche se è vero che nel suo altro e molto prezioso contributo pubblicato sul
Convivium Assisiense, una rivista di carattere scientifico, spiega in modo
esplicito e chiaro ciò che intendeva dire con quelle formulazioni21, nondimeno se uno si ferma a leggere solo quel breve intervento su un settimanale
divulgativo, un testo del genere può rimanere appesantito da vari dubbi e
incomprensioni.
Riportando questo semplice esempio si voleva illustrare meglio la
problematica secondo cui pare doveroso chiedersi: non sarà forse proprio
necessario intraprendere una specifica e adatta via missionaria di carattere
profetico, capace di denunciare tutto ciò che falsifica o mette in questione la
Verità?22. Ma poiché il Logos-Verità è unito al Logos-Parola/Linguaggio, allora anche il nostro esprimerci ed esprimere i vari contenuti della Verità del
Vangelo, proprio perché essa è inesauribile e costituisce il Mistero, avrà bisogno di un linguaggio molto prudente, possibilmente chiaro, accessibile ai
vari lettori, richiedendo sempre una explicatio terminorum. Ecco una delle
sfide dell’opera missionaria ed evangelizzatrice d’oggi.
Nondimeno l’idea di un certo “de-centramento” (così vicina all’udito
post-moderno) – divenuta da qualche decennio di moda anche tra i teologi –
potrebbe avere ripercussioni ecclesiologico–sociali in quanto scambiata con
la “de-centralizzazione”, senza escludere perfino i disguidi o i disordini
dogmatici o la negazione di autorità come uno dei componenti costitutivi
dell’epistemologia teologica. In ogni caso, tanto per ribadire, queste osservazioni non sono senza significato per il tema della missione della Chiesa e
dell’annuncio del Vangelo.
Un’altra cosa che richiede una particolare attenzione e che è stata lanciata da Benedetto XVI riguarda esattamente la Chiesa, la quale, secondo il
“più che umano”, “soprannaturale”, “divinizzato”, cioè sempre più, interminabilmente
aperto a Dio come suo orizzonte. Cfr. F. TESTAFERRI, “Un umanesimo «non umano»: spunti di riflessione”, in Convivium Assisiense 16 (2014) 2, 71-72.
21 Cfr. F. TESTAFERRI, “Un umanesimo «non umano»: spunti di riflessione”, in Convivium
Assisiense 16 (2014) 2, 67-72.
22 Cfr. H. DE LUBAC, Krise zum Heil. Eine Stellungnahme zur nachkonziliaren Traditionsvergessenhei, Rieden-Allgäu 2002, 39.
146
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
papa, non deve necessariamente avere la “faccia da funerale”23, ma malgrado
le difficoltà, gli ostacoli, i contesti variegati e non di rado sfavorevoli, essa
è giovane, aperta al futuro. E lo ripeto oggi, vicino al sepolcro di san
Paolo: la Chiesa è nel mondo un’immensa forza rinnovatrice, non certo per le sue forze, ma per la forza del Vangelo, in cui soffia lo Spirito
Santo di Dio, il Dio creatore e redentore del mondo. Le sfide dell’epoca attuale sono certamente al di sopra delle capacità umane: lo sono le
sfide storiche e sociali, e a maggior ragione quelle spirituali. Sembra a
volte a noi Pastori della Chiesa di rivivere l’esperienza degli Apostoli,
quando migliaia di persone bisognose seguivano Gesù, ed Egli domandava: che cosa possiamo fare per tutta questa gente? Essi allora
sperimentavano la loro impotenza. Ma proprio Gesù aveva loro dimostrato che con la fede in Dio nulla è impossibile, e che pochi pani e
pesci, benedetti e condivisi, potevano sfamare tutti. Ma non c’era – e
non c’è – solo la fame di cibo materiale: c’è una fame più profonda,
che solo Dio può saziare. Anche l’uomo del terzo millennio desidera
una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà profonda, di
amore gratuito. Anche nei deserti del mondo secolarizzato, l’anima
dell’uomo ha sete di Dio, del Dio vivente24.
Ecco come si presenta lo spazio in cui papa Benedetto vuole pronunciarsi sul valore della fede e sulla sua natura espansiva e diffusiva. Per
questo invita e chiama tutta la Chiesa alla sua missione evangelizzatrice tenendo conto dei molteplici fattori determinanti la condizione della fede e di
conseguenza ad elaborare un programma adeguato alle sfide odierne. Certo,
a prima vista, tale diagnosi sulla contemporaneità poteva e potrebbe sembrare quasi “demonizzata”, come si è visto prima. Tuttavia l’attuale condizione dell’umanità non solo non rappresenta una semplice sfida a cui far
fronte ricorrendo a risposte scontate e, tantomeno, non si presenta come
un oppositore da combattere, bensì come interlocutore che va conosciuto
dal di dentro e va ascoltato per quello che ha dire sul fatto e sulla ragione
dell’esistenza. In più, se il mondo d’oggi non portasse in sé per nulla i valori
23
Cfr. F. TESTAFERRI, “Una diversa idea di Dio. «Spirito di Assisi»: convegno ad Assisi il 28
ottobre. Ecco qualche anticipazione da uno dei relatori”, 9. Del resto, a differenza di quanto scrive l’autore, papa Francesco parla esattamente così: “un evangelizzatore non dovrebbe
avere costantemente una faccia da funerale”: EG 10.
24 BENEDETTO XVI, Omelia in Basilica di San Paolo Fuori le Mura, 28 giugno 2010, in Insegnamenti VI,1/2010, 984-987.
147
CAPITOLO QUARTO
universali, comunemente riconoscibili o rinvenibili, non esisterebbe nessuna
piattaforma né per l’incontro con l’altro né per l’annuncio all’altro.
In questa ottica, in tanti enunciati di papa Benedetto XVI, quei tratti
specifici e peculiari – definiti con i ripetuti “-ismi” – dei nostri tempi mirano a indagare in verità sulla condizione dell’uomo d’oggi che deve spingere
la Chiesa ad essere non “criticona”, ma a prendersi con premura la responsabilità di ogni persona e di tutta l’umanità, senza perdere di vista i lati positivi della cultura odierna ossia di tutto ciò che di buono in essa persiste.
Ciò significa che la Chiesa vuole andare incontro all’umanità moderna con
l’annuncio del Vangelo che nell’arco dei secoli non ha perso nulla della sua
freschezza e della sua continua novità, in modo tale da poter essere anche, o
forse, soprattutto una proposta-risposta per l’oggi credibile, ragionevole, attraente nella sua dimensione estetica in quanto vuole aiutare l’uomo a uscir
fuori da un possibile “umanesimo disumano” o “senza uomo” e a diventare
pienamente umano, “divinizzato” in prospettiva teologica.
Per questo Benedetto XVI, seguendo le indicazioni di Paolo VI e sulla scia di Giovanni Paolo II, ha fatto della nuova evangelizzazione una delle
idee portanti del suo ministero petrino.
A conferma di ciò è stato istituito un nuovo Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione mediante la Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ubicumque et semper del 21 settembre
2010 e la celebrazione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi, che, nel 2012, ha discusso e riflettuto sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. L’importanza della fede
in tale contesto appare rafforzata dalla decisione di Benedetto XVI di indire
l’Anno della Fede nel ricordo del 50o anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II e del 20o della pubblicazione di uno dei frutti conciliari più maturi, il Catechismo della Chiesa Cattolica25. Secondo Benedetto XVI uno dei
compiti più importanti della Chiesa è quello di far riscoprire all’Occidente
il viso splendente di Cristo. L’Europa non deve dimenticare che la sua cultura è interamente segnata dal cristianesimo e dal profumo del Vangelo. Se il
vecchio continente si separa definitivamente dalle sue radici, questo può
provocare una grande crisi per tutta l’umanità; i sintomi già sono evidenti:
le leggi dell’aborto (solo in Francia 220.000 aborti provocati all’anno!),
l’eutanasia, le nuove leggi matrimoniali e familiari, la sempre più promossa
25
Cfr. A. PORRECA, “L’evangelizzazione «nuova» nello stile e nel linguaggio”, in Rassegna
di Teologia 55 (2014) 4, 536.
148
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
idea del gender ecc.26. Commentando il contributo di papa Benedetto XVI
per la nuova evangelizzazione, il cardinale Sarah, d’origine guineana, dice:
Per noi africani è difficile comprendere che gli europei non credano
più a quello che ci hanno donato con tanta gioia nelle peggiori condizioni (…) Senza i missionari venuti dalla Francia, forse non avrei
mai conosciuto Dio. Come dimenticare questo patrimonio sublime
che gli occidentali sembrano lasciare sotto una triste polvere?27.
Per evidenziare quanto stesse a cuore di Benedetto XVI la sfida missionaria in genere e in modo speciale l’evangelizzazione nei paesi di antica
tradizione cristiana, conviene dunque riportare le parole dell’omelia dei vespri del 28 giugno 2010 di Benedetto XVI in cui aveva espresso il desiderio
di convocare, il già sopra indicato nuovo Pontificio Consiglio per la nuova
evangelizzazione nei paesi di provenienza cristiana:
Vi sono regioni del mondo che ancora attendono una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un lavoro più
approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo
radici, dando luogo a una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi
del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa. In questa
prospettiva, ho deciso di creare un nuovo organismo, nella forma di
“Pontificio Consiglio”, con il compito precipuo di promuovere una
rinnovata evangelizzazione nei paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti chiese di antica fondazione, ma che
stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una
sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del vangelo di
Cristo28.
Queste parole di papa Benedetto XVI con l’istituzione del Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione29 avevano come
26
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 192.
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 126.
28http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100628_vespri-pietro-paolo.html
29 BENEDETTO XVI, Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” Ubicumque et semper,
21.09.2010 in http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_letters/documents/hf_benxvi_apl_20100921_ubicumque-et-semper.html
27
149
CAPITOLO QUARTO
obbiettivo di offrire una risposta specifica all’attuale momento di crisi della
vita cristiana e, in vista della prossima XIII Assemblea del Sinodo dei vescovi
che nel 201230 dovevano mettere a fuoco proprio il tema della nuova evangelizzazione e trasmissione della fede. Pur prestando tanta attenzione alla
situazione in Europa, Benedetto XVI nello stesso tempo era pienamente dedito all’annuncio universale e in specie a quello ad gentes31. Anzi vi percepiva una stretta correlazione, come è stato espresso nella Nota dottrinale su
alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2007, voluta e approvata da lui, soprattutto al n. 3 e, come egli
stesso aveva spiegato, la connessione tra la ri-evangelizzazione32 e la missione ad gentes nei suoi Messaggi per le Giornate Missionarie Mondiali.
Lo scopo della Nota, cronologicamente anteriore alla Verbum Domini, che si inserisce organicamente nel cammino di chiarificazione iniziato
da Paolo VI e proseguito da Giovanni Paolo II, nonché da Benedetto XVI,
era quello “di chiarire alcuni aspetti del rapporto tra il mandato missionario
del Signore e il rispetto della coscienza e della libertà religiosa di tutti. Si
tratta di aspetti che hanno importanti implicazioni antropologiche, ecclesiologiche ed ecumeniche”33. Definita così la finalità del documento, essa ha
determinato anche la struttura del testo, composto di 13 numeri: dopo
un’“Introduzione” (1-3), tre tipi di implicazioni (4-12) e una “Conclusione”
(13)34. A giudizio di Colzani la Nota non era dovuta a qualche ragione contingente, ma alla necessità di rilanciare l’impegno dell’evangelizzazione a fronte di un certo ristagno e di un clima negativo che vi scorgeva un attentato alla
libertà religiosa altrui o l’espressione di una forma coloniale ormai superata35.
E poi non solo sul piano discorsivo, ma anche sul piano pratico, l’amore di papa Benedetto verso la missio ad gentes si è dimostrato attraverso i
30
Si tratta del Sinodo il cui risultato è stato in seguito la pubblicazione dell’esortazione di
papa Francesco “Evangelii gaudium”.
31 Cfr. P. GHEDDO , Missione senza se e senza ma, 173-176.
32 R. Fisichella distingue tra la ‘nuova evangelizzazione’ e ‘ri-evangelizzazione’. Secondo lui
è preferibile parlare di nuova evangelizzazione “come di una forma mediante la quale lo
stesso Vangelo di sempre viene annunciato con nuovo entusiasmo, nuovi linguaggi comprensibili in una condizione culturale differente e nuove metodologie capaci di trasmettere
il senso profondo che rimane immutato”: ID., La nuova evangelizzazione. Una sfida per
uscire dall’indifferenza, Milano 2011, 25.
33 Nota, n. 3, in: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20071203_nota-evangelizzazione_it.html.
34 Cfr. M.L. GRIGNANI., “I Papi nel postconcilio: da Paolo VI a Benedetto XVI”, 300.
35 Cfr. G. COLZANI, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico della Chiesa: 19452007, 371.
150
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
viaggi apostolici (solo all’estero ben 24 volte) con cui ha dato l’esempio di
una vita autenticamente missionaria.
In ogni modo la crisi della fede in Europa non rimane senza conseguenze per la missio ad gentes; ma esiste anche un’altra logica secondo cui
andando nel mondo per annunciare il Vangelo si riacquista e si rafforza la
fede, secondo il noto detto di Giovanni Paolo II: “La fede si rafforza donandola!”36. Il rinnovamento dell’opera evangelizzatrice non sarebbe allora
il rimedio alla crisi della fede? Pertanto di fronte alla società liquida, al pensiero debole, all’etica relativa, la Chiesa si propone come comunità al servizio nel mondo costruita sulla roccia e con in mano il Vangelo forte e umile
da offrire a tutti gli uomini37. Solo se la Chiesa continuamente si nutre della
Parola, si fa riempire da essa e rimane in unione con la Parola, sarà capace
di condividerla, portarla e annunciarla, attraverso l’opera missionaria, come
parola di salvezza. In fin dei conti, quella non è una parola detta, scritta,
muta, umana, ma la Parola di Dio che si è fatta uomo, è il Verbo incarnato
e vivente38. Proprio per questo motivo il lavoro missionario suscita la
gioia39 che insieme all’annuncio viene offerta ai popoli.
Dopo questo abbozzo introduttivo e contestuale presentiamo i contenuti e la struttura dell’esortazione, e quindi le implicanze teologico–pastorali o teorico–pratiche. Prima però occorre ancora fare una osservazione
di profilo metodologico. In questa esposizione l’obiettivo non sarà quello di
rispondere a tutti i fenomeni o fattori ideologico–sociali che costituiscono il
contesto e che configurano la peculiarità dei tempi moderni. Pertanto non
tenteremo di evidenziare la loro insostenibilità interna, dal punto di vista
teorico, né le conseguenze drammatiche se non tragiche, dal punto di vista
pratico, per l’uomo d’oggi, bensì di riflettere in modo costruttivo e positivo
sull’importanza dell’annuncio e sulle sue modalità in tale contesto.
2. I contenuti principali e la struttura della Verbum Domini
L’esortazione raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dalla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi svoltasi in Vaticano nell’ot36
RMi 2.
Cfr. R. REPOLE, “Umile, non debole. Il Vangelo in Occidente”, in Regno - Attualità 22
(2010) 748-749.
38 Cfr. P. STEFANI, “La centralità del Verbo. Teologia biblica e rapporto con Israele”, in Regno - Attualità 22 (2010), 734.
39 Cfr. VD 123.
37
151
CAPITOLO QUARTO
tobre 2008. Dal tema del sinodo il documento trae il suo titolo “La Parola
di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Nel Bollettino della sala
stampa della Santa Sede, 11.11.2010, si legge che il lungo testo raccoglie
l’eredità preziosa della costituzione conciliare Dei verbum e dei decenni successivi di pratica ecclesiale e di ricerca teologica (…) Distesa per 124 numeri,
l’Esortazione Verbum Domini è divisa in tre parti, seguendo la struttura del
tema dell’Assemblea sinodale: La Parola di Dio nella vita e nella missione
della Chiesa. La prima parte è intitolata Verbum Dei, la seconda Verbum in
Ecclesia e la terza Verbum mundo. Questa struttura trae l’ispirazione dallo
stupendo Prologo del Vangelo di San Giovanni.
Fra i temi rilevanti che il testo affronta vi sono: la conferma della
centralità della Sacra Scrittura nella vita del popolo di Dio, l’analogia della
Parola, la preziosità degli approcci scientifici al testo, l’unità inscindibile di
Antico e Nuovo Testamento, la pluriformità dei sensi con cui leggere il testo
sacro, l’insufficienza dell’approccio fondamentalista, l’ecumenismo, le radici
ebraiche, il dialogo interreligioso. Molti i compiti, lasciati alla ricerca degli
esegeti e dei teologi e numerose le indicazioni, anche pratiche, per favorire
tra i cristiani la coltivazione della Parola40. Inoltre sono facilmente riconoscibili i temi congeniali al pensiero “globale” di Benedetto XVI, cioè i tratti
su cui ha investito il peso del suo ministero: la valorizzazione della ragione
nella fede, l’appassionato approccio critico della modernità, la passione e
l’importanza teologica41. Questi aspetti diventeranno per noi uno slancio
per evidenziare l’originalità e la peculiarità della sua impostazione del tema
della missione e dell’evangelizzazione, proprio puntando sulla dimensione
teologica e profetica, quest’ultima connaturale all’essenza della Parola di
Dio, della Verbum Domini.
Comunque, per una presentazione complessiva, con il tentativo di
contraddistinguere i tratti peculiari del documento, sarà di grande aiuto per
noi la riflessione del cardinale Nikola Eterovičč contenuta nell’intervento di
presentazione presso la Sala stampa l’11.11.2010 in Vaticano42. Egli è stato
uno dei più impegnati coordinatori nei lavori del Sinodo del 200843. Eviden40
Cfr. Regno – Documenti 21/2010, 649.
Cfr. L. PREZZI. “Parola: una e plurale”, in Regno – Attualità 20/2010, 675.
42 Bollettino della Sala stampa della Santa Sede, 11.11.2010. Tutto il punto 2 del capitolo IV
è tratto per la maggior parte dal testo del cardinale Eterovičč.
43 L’esortazione di Benedetto, come quella di Paolo VI, di Francesco e l’enciclica di Giovanni Paolo II, è da considerare come una sorta di documento a mo’ di conclusione di un
Sinodo del Vescovi che ha lo scopo di diffondere l’insegnamento trattato nel sinodo in
chiave di Esortazione Apostolica Postisinodale. Per questa ragione non presenta una forma
direttamente normativa, ma piuttosto orientativa e persuasiva, accentuando così il suo ca41
152
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
temente, le tre parti del testo sono precedute da una Introduzione che fornisce utili indicazioni preliminari, tra cui il titolo e lo scopo dell’Esortazione,
e si chiudono con la Conclusione in cui sono sintetizzate le idee portanti.
2.1. Il titolo
Quanto al titolo – Verbum Domini – è preso dalle antiche parole del
profeta Isaia, nella maniera in cui le ha riproposte san Pietro nella sua Prima
Lettera: “La parola del nostro Dio dura per sempre”44. Con tale versetto del
capitolo 40 del profeta Isaia, inizia il cosiddetto Libro della Consolazione
del "Secondo-Isaia", “Deutero-Isaia”. Il profeta annuncia la liberazione del
popolo eletto. La sua schiavitù è terminata e, sotto la guida di Dio, si prepara un nuovo esodo. Nella contingenza della natura: “secca l’erba, appassisce
il fiore”45, e dell’uomo: “ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo”46, l’unica forza stabile è la Parola di Dio che rimane
per sempre. Nella prima Lettera di san Pietro viene riportata la citazione del
profeta Isaia, per esortare i cristiani a lasciarsi rigenerare “non da un seme
corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna”
perché “ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria come un fiore di campo. L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in
eterno”47. L’autore della Lettera conclude: “E questa è la parola del Vangelo
che vi è stato annunciato”48. Nel titolo della Verbum Domini si può, dunque, facilmente percepire, in base all’evento dell’Incarnazione, la concordanza, l’unicità e la continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento come pure il
suo compimento e superamento nella stessa Persona di Gesù Cristo, testirattere pastorale e mantenendo chiaro che si tratta di un documento firmato dal Santo Padre, nell’esercizio del suo Ministero Apostolico indirizzato a tutta la Chiesa (…): è ciò che
concerne le Esortazioni Apostoliche Postsinodali. Il suo valore magisteriale si colloca
all’interno dell’ambito proprio del magistero autentico ordinario del papa (cfr. CIC 752).
Questo tipo di magistero, “senza giungere ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in un ‘modo definitivo’, nel suo esercizio ordinario propone un insegnamento, che conduce a una migliore comprensione della Rivelazione in materia di fede e di costumi” (Donum veritatis, 17, in EV 12/266). Dal canto suo, questo Magistero autentico esige un “assenso religioso dello spirito (…) e nel caso di «applicazioni contingenti della dottrina» è necessaria una volontà di ossequio leale”: S. PIÉ-NINOT, “Valore magisteriale dell’Esortazione
Apostolica Postsinodale Verbum Domini”, in C.A. VALLS – S. PIÉ-NINOT, Commento alla
Verbum Domini. In memoria di p. Donanth Hercsik, S.I., Roma 2012, 7.
44 Is 40,8.
45 Is 40,8
46 Is 40,6.
47 1Pt 1,24-25.
48 1Pt 1,25.
153
CAPITOLO QUARTO
moniata nel Nuovo Testamento49. In effetti, il Vangelo di cui parla san Pietro è il Vangelo “di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”50. È la Buona Notizia del
mistero pasquale di Gesù. “Mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti”51, Dio suo Padre ci ha rigenerati nella sua grande misericordia “per una
speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non
marcisce”52. Proprio questo è l’annuncio proclamato da san Pietro e da tutti
gli Apostoli che l’esortazione apostolica mette ben in evidenza.
Il titolo del documento, riprende la versione latina della 1 Lettera di
san Pietro, nella traduzione attribuita a san Gerolamo, la Volgata. Per la Divina provvidenza, nota il cardinale Eterovičč, la Verbum Domini porta la
data del giorno della sua memoria liturgica, il 30 settembre. È doveroso ricordare che un altro importante documento sulla Bibbia fu pubblicato nella
stessa data 67 anni fa. Si tratta dell’enciclica Divino Afflante Spiritu del Servo di Dio Pio XII, pubblicata il 30 settembre 1943. San Gerolamo è menzionato anche nella Dei Verbum, una della quattro Costituzioni dogmatiche
del Concilio Ecumenico Vaticano II. In particolare, è citata la nota espressione “L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”53, ripresa
anche dalla Verbum Domini54, documento che abbonda di citazioni patristiche. La Dei Verbum è spesso rievocata nell’esortazione, come del resto lo è
stata anche nel corso dell’Assise sinodale. Anche per la somiglianza linguistica Dei Verbum – Verbum Domini, l’esortazione, rimanda alla Costituzione conciliare. La Verbum Domini riconosce il grande impulso che la Dei
Verbum ha avuto nella riscoperta della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Al contempo il Sinodo sulla Parola di Dio ha voluto
“approfondire ulteriormente il tema della divina Parola, sia come verifica
dell’attuazione delle indicazioni conciliari, sia per affrontare le nuove sfide
che il tempo presente pone ai credenti in Cristo”55. È significativo che la
Verbum Domini cominci con la citazione biblica con la quale si chiude la
Dei Verbum: “Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola di Dio, che ‘permane in eterno’
(Is 40,8; cfr. 1 Pt 1,23-25)”56.
49
Cfr. P. STEFANI, “La centralità del Verbo. Teologia biblica e rapporto con Israele”, 734.
Mc 1,1.
51 1Pt 1,3.
52 1Pt 1,4.
53 DV 25.
54 Cfr. VD 30.
55 VD 3.
56 DV 26.
50
154
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
Il titolo, poi, della Verbum Domini ha un importante rilievo liturgico. Infatti, dopo ogni lettura del brano della Sacra Scrittura nelle celebrazioni liturgiche, soprattutto nell’Eucaristia, il popolo di Dio ringrazia per il
cibo della Parola esclamando Verbum Domini, rendendo grazie alla Persona
del Verbo incarnato, Gesù di Nazaret, presente nella Parola proclamata. Il titolo, pertanto, indica la liturgia come luogo privilegiato della divina Parola.
2.2. Lo scopo
Lo scopo della Verbum Domini è molteplice; qui vogliamo evidenziarne i sette obbiettivi. In primo luogo comunicare i risultati dell’Assemblea sinodale, “far conoscere a tutto il Popolo di Dio la ricchezza emersa
nell’assise sinodale vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune”57.
Il papa Benedetto XVI desidera presentare i risultati del Sinodo sulla Parola
di Dio perché influiscano efficacemente sulla vita ecclesiale e sulla sua missione nel mondo, il che appare importante innanzitutto per lo sviluppo del
nostro argomento.
Il secondo è quello di riscoprire la Parola di Dio, fonte di costante
rinnovamento ecclesiale. “Indicare alcune linee fondamentali per una riscoperta della divina Parola nella vita della Chiesa, sorgente di costante rinnovamento”58. Le acquisizioni del Sinodo sulla Parola influiranno “sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia
e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non
rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati”59. Intesa in tal senso, “la divina Parola sarà sempre di più il movente del rinnovamento della
Chiesa chiamata a ringiovanire grazie alla Parola del Signore che rimane in
eterno (1 Pt 1,25; Is 40,8)”60. Il rinnovamento presuppone l’ascolto, la meditazione, la conversione del cuore, attitudini indispensabili per poter osservare la Parola di Dio61, sorgente di una Pentecoste anche oggi. Si tratta di “una
Pentecoste ancora in cammino”62, dato che tuttora molte persone e popoli
attendono la Parola di Dio nella propria lingua e cultura; per questo è urgente la missio ad gentes. In tal modo emerge anche la finalità missionaria
del testo magisteriale, sviluppata soprattutto nella terza parte.
57
VD 1.
VD 1.
59 VD 5.
60 VD 124.
61 Cfr. Lc 11,28.
62 VD 4.
58
155
CAPITOLO QUARTO
Il terzo obiettivo individuato è il bisogno di Promuovere l’animazione biblica della pastorale. La Parola di Dio, infatti, dovrebbe diventare
“sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”63. Perché ciò diventi realtà,
bisogna favorire un’adeguata formazione biblica a tutti i livelli. Al riguardo,
“occorre potenziare l’apostolato biblico, metodo assai valido per tale finalità, come dimostra l’esperienza ecclesiale”64.
Un’altra meta del documento è la chiamata di tutti i cristiani ad essere testimoni della Parola. I fedeli sono chiamati a riscoprire “l’incontro
personale e comunitario con Cristo, Verbo della vita che si è reso visibile, e
a farsi suoi annunciatori perché il dono della vita divina, la comunione, si
dilati sempre più in tutto il mondo”65. “L’annuncio della Parola crea comunione e realizza la gioia”66. I cristiani hanno il dovere di “comunicare la
gioia che viene dall’incontro con la Persona di Cristo”, grande urgenza pastorale del nostro tempo. “Non esiste priorità più grande di questa: riaprire
all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10)”67. L’urgenza di riproporre all’umanità d’oggi il valore del Vangelo si rende più chiara, da
quando si tiene conto del contesto socio–culturale, esistenziale ed ideologico
dei tempi moderni.
Il quinto traguardo è quello connesso in modo speciale con la tematica che ci interessa, ossia di intraprendere una nuova evangelizzazione, “nella certezza dell’efficacia della divina Parola”68. “Il nostro dev’essere sempre
più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione”69. Riscoprire la centralità della divina Parola richiede di continuare, con rinnovato slancio, la missio ad gentes e “intraprendere con tutte le
forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove il Vangelo
è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo”70. Data l’attuale situazione, sempre più grave, dei movimenti migratori
nel mondo e in Europa, in particolare, si deve usare una maggiore attenzione
a che la Parola di Dio sia proposta anche agli immigrati71.
63
VD 1.
VD 75.
65 VD 2.
66 VD 123.
67 VD 2.
68 VD 96.
69 VD 122.
70 VD 122.
71 Cfr. VD 105.
64
156
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
Inoltre il papa vede come fine di una approfondita riflessione sulla
parola di Dio il favorire il dialogo ecumenico, sottolineando la centralità
degli studi biblici in vista della piena unità di tutti i cristiani, convinti “che
ascoltare e meditare insieme le Scritture ci fa vivere una comunione reale,
anche se non ancora piena” 72. Occorre dunque incrementare “lo studio, il
confronto e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio, nel rispetto
delle regole vigenti e delle diverse tradizioni”73. Nell’impegno ecumenico
di grande importanza sono dunque le traduzioni comuni della Bibbia nelle
diverse lingue. Infine lo scopo decisivo dell’esortazione è l’invito ad amare
la Parola di Dio, a innamorarsi dell’amore di Dio espresso per mezzo della
sua Parola. Perciò le precedenti indicazioni potrebbero essere sintetizzate
nell’attitudine propria dei cristiani di lasciarsi guidare dallo Spirito Santo “per poter amare sempre di più la Parola di Dio”74 che, in definitiva, è
la Persona di Gesù Cristo, Verbo incarnato. Ad amare la Bibbia sono invitati tutti i cristiani. La Verbum Domini ha, pertanto, notevole portata
ecumenica.
2.3. La prima parte: Verbum Dei
In questa prima parte, divisa in tre capitoli, si mira a sottolineare il
ruolo fondamentale di Dio Padre, fonte e origine della Parola 75, come pure
la dimensione trinitaria della rivelazione. Infatti nel documento “Parola di
Dio” viene usata, sulla scia della Dei Verbum, come sinonimo della rivelazione divina nel suo insieme quando si afferma, ad esempio, che “La sacra
Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa” (DV 10)76. Nel primo capitolo, Il Dio che
parla77, si mette in risalto la volontà di Dio di aprire e intrattenere un dialogo con l’uomo, nel quale è Dio che prende l’iniziativa e si rivela in vari
modi. Pertanto, adoperando la categoria dell’analogia, il documento analizza diversi significati della divina Parola. Dio parla per mezzo della creazione, in particolare dell’uomo e della donna creati a sua immagine. Egli ha
parlato per mezzo dei profeti. I libri dell’Antico e del Nuovo Testamento
sono la sua Parola attestata e divinamente ispirata. Nell’AT ciò che arricchi72
VD 46.
VD 46.
74 VD 5.
75 Cfr. VD 20-21.
76 Cfr. C. JÓDAR, “Il Dio che parla (nn. 6-21). Il commento teologico”, in M. TÁBET – G. DE
VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico all’Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, Roma 2011, 35.
77 VD 6-21.
73
157
CAPITOLO QUARTO
sce la comprensione della Parola è il suo legame stretto con l’alleanza. La
parola dell’alleanza è la rivelazione della volontà di Dio che esprime
l’esclusivismo del Dio d’Israele e le sue esigenze morali. La stessa parola ha
fatto delle tribù uscite dall’Egitto una comunità che ha una legge, un culto,
un Dio, una coscienza religiosa. Israele diventa un popolo governato dal Signore, un popolo condotto da Lui verso la liberazione. Con l’alleanza Israele è impegnato in un’esistenza dialogica; è ormai situato in un contesto di
domanda e risposta, di lógos e ápólogos, di ‘Wort’ e ‘Ant-wort’78. La Tradizione viva della Chiesa è pure sua Parola che identifica in Cristo il compimento della promessa veterotestamentaria contenuta nell’alleanza. Parola di
Dio è anche il suo silenzio che ha avuto l’espressione culminante nella croce
del Signore Gesù79. Tutti i significati della Parola di Dio conducono a Lui,
Verbo incarnato, che ne è espressione piena e perfetta. Pertanto, la Verbum
Domini mette in risalto l’aspetto cristologico della Parola, sottolineando al
contempo anche la dimensione pneumatologica, per evidenziarne la fonte e
il termine in Dio Padre. In questa parte si affronta il rapporto tra Tradizione e Scrittura come pure il tema dell’ispirazione e verità della Bibbia.
La risposta dell’uomo al Dio che parla è il titolo del secondo capitolo80. L’uomo è chiamato ad entrare nell’Alleanza con il suo Dio che lo
ascolta e risponde alle sue domande. A Dio che parla, l’uomo risponde con
la fede. Essa non è un insieme di dottrine o di istruzioni. Il documento
identifica la Parola di Dio con la persona di Cristo: “La fede prende forma
come incontro con una persona cui affidiamo tutta la nostra vita”81, ciò
comporta l’ascolto di Cristo: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda
la parola di Cristo”82. Definita così la fede, non è difficile comprendere cosa
la fede non è. Pertanto il papa definisce il peccato come il rifiuto da parte
dell’uomo di ascoltare Dio83. “La Sacra Scrittura mostra come il peccato
dell’uomo è essenzialmente la disobbedienza e il rifiuto ad ascoltare” 84.
L’obbedienza kenotica di Gesù (Fil 2,8) è presentata come esempio di ascolto
di Dio. Essa è un esempio paradigmatico della vera fede. Se la fede è la no78
Cfr. D. HERCSIK, “L’importanza della «Parola» per la Teologia Fondamentale”, in C.A.
VALLS – S. PIÉ-NINOT, Commento alla Verbum Domini. In memoria di p. Donanth Hercsik, S.I.,165-166.
79 Cfr. VD 21.
80 VD 22-28.
81 VD 25.
82 Rm 10,17.
83 Cfr. J. XAVIER, “La risposta dell’uomo al Dio che parla”, in C.A. VALLS – S. PIÉ-NINOT,
Commento alla Verbum Domini. In memoria di p. Donanth Hercsik, S.I., 72-73.
84 VD 26.
158
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
stra disponibilità ad ascoltare la Parola di Dio, il peccato non è nient’altro
che il nostro rifiuto di ascoltarlo85. Il documento pertanto termina affermando che la radice del peccato risiede nel non-ascolto della Parola del Signore e nel rifiuto di Gesù, Verbo di Dio, nel quale unicamente ci viene offerto il perdono che ci apre alla salvezza86. Il valore della Parola di Dio
nell’atto di risposta data dall’uomo a Dio si manifesta in modo speciale nella preghiera. Tra tutte le possibili preghiere quella più indicata e consigliata
è quella fatta mediante le parole che lo stesso Dio ha rivelato e che sono
mantenute scritte nella Bibbia. Il peccato dell’uomo di non ascoltare la Parola di Dio è stato vinto con l’obbedienza radicale di Gesù Cristo, fino alla
morte di croce87. Nel n. 27 il documento mette in risalto la figura di Maria.
La Vergine Maria, Mater Verbi e Mater fidei, offre l’esempio del compimento perfetto della reciprocità tra la Parola di Dio e la fede88. A proposito della
rilevanza di Maria nella considerazione del tema della Parola di Dio e della
missione della Chiesa ad annunciare, è di notevole importanza l’affermazione del cardinale Quellet:
Il cristianesimo non è dunque il frutto d’una saggezza umana o
d’una idea geniale ma di un incontro e di una alleanza con una Persona che dà all’esistenza umana il suo decisivo orientamento e la sua
forma. In quest’ottica, la figura della Vergine Maria che ha cooperato
al mistero dell’Incarnazione del Verbo, rimane l’insuperabile paradigma del fecondo rapporto della Chiesa alla Parola di Dio. Ecco
perché il Santo Padre assume in modo molto esplicito al numero 28
della Verbum Domini la prospettiva mariana formulata dal Sinodo:
«L’attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modelle e
archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto
della Chiesa con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto orante
quanto nella generosità dell’impegno per la missione e l’annuncio» 89.
Con queste parole vengono indicate le caratteristiche di Maria riconoscendo in lei la vera profetessa e quindi la vera missionaria. In effetti la
85
Cfr. J. XAVIER, “La risposta dell’uomo al Dio che parla”, 73.
Cfr. VD 26.
87 Cfr. Fil 2,8.
88 Cfr. C.R. ESPAGNET, “La risposta dell’uomo al Dio che parla (nn. 22-28). Il commento
teologico”, in M. TÁBET – G. DE VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico
all’Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, 58.
89 Bollettino della Sala stampa della Santa Sede, 11.11.2010.
86
159
CAPITOLO QUARTO
Chiesa diventa tanto più profetica e tanto più evangelizzatrice quanto più
vive nell’atteggiamento fondamentale di Maria e possiede un cuore in ascolto di Dio90.
Il terzo capitolo è dedicato al tema L’ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa91. È la parte più teorica del documento, ma assai importante
per la retta comprensione della Parola di Dio. La sacra Scrittura dovrebbe
essere, come auspicato dalla Dei Verbum, “l’anima della sacra Teologia”. La
Chiesa è il luogo originario dell’interpretazione della Bibbia. Dopo alcune
riflessioni sullo sviluppo della ricerca biblica e il Magistero della Chiesa, si
presenta l’ermeneutica biblica del Concilio Vaticano II che occorre riscoprire anche per evitare un certo dualismo dell’ermeneutica secolarizzata. Esso
potrebbe portare ad un’interpretazione fondamentalista o spiritualista della
sacra Scrittura. La retta ermeneutica richiede la complementarità del senso
letterale e spirituale, una armonia tra la fede e la ragione92. Nel ribadire
l’unità intrinseca della Bibbia, la Verbum Domini esamina il rapporto tra
l’Antico e il Nuovo Testamento, senza trascurare le cosiddette pagine “oscure” della Bibbia, concentrandosi, poi, sul rapporto tra i cristiani e gli ebrei
in riferimento alle sacre Scritture. Infatti esiste un rapporto del tutto speciale tra i cristiani e gli ebrei, che condividono buona parte delle Scritture, che
i cristiani denominano Antico Testamento. Inoltre, per comprendere in
modo adeguato la persona stessa di Gesù Cristo, è necessario riconoscerlo
come figlio del popolo ebreo, della sua cultura ed esperienza religiosa.
L’esortazione riflette anche su Bibbia ed ecumenismo, dato che la sacra Scrittura è un vincolo importante di unità tra i cattolici e gli altri cristiani, membri delle Chiese e comunità cristiane. La venerazione della Bib90
Cfr. K. KOCH, Il vincolo tra amore e ragione. Sull’eredità teologica di Benedetto XVI, 14.
VD 29-49.
92 La reciprocità tra il Vangelo, il magistero e la teologia continua ad essere una delle questioni più urgenti che va affrontata all’interno della comunità ecclesiale sia con l’impegno
del magistero che con il contributo dei teologi. A tal punto potrebbe essere interessante leggere il breve testo interlocutorio, provocatorio anche se molto discutibile, di A. GRILLO,
“Profezia e parresia. Autorità e libertà nel lavoro teologico”, in Regno - Attualità 22 (2010),
745-747. Dello stesso autore (professore del Pontificio Ateneo sant’Anselmo a Roma) si possono trovare brevi riflessioni sul sito della Cittadella Editrice e sul blog Come se non. Alcuni, soprattutto dedicati al tema della famiglia e matrimonio nel contesto del sinodo e delle attuali sfide, mostrano invece che contenuti, argomentazioni creative e una costruttiva
ricerca teologica, piuttosto una arrogante retorica, piena di formulazioni vuote condizionate dal (non) pensiero pre-concettuale e pre-giudiziale, offensivo, non aperto e non dialogico
nei confronti di una grande maggioranza dei padri sinodali creando artificialmente un
abisso tra sostenitori ed oppositori del papa. Cosa, questa, sul piano del discorso scientifico
e soprattutto teologico, inaccettabile.
91
160
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
bia e l’amministrazione del sacramento del battesimo, rappresentano legami
fondamentali tra tutti coloro che credono nel Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, il cui mistero è stato rivelato nella sacra Scrittura.
Il documento poi fornisce validi contributi per un dialogo tra pastori,
teologi ed esegeti, come pure per l’impostazione degli studi teologici. La parte
dedicata all’ermeneutica della sacra Scrittura termina menzionando alcuni
santi, rilevando che i santi sono i migliori interpreti della Parola di Dio.
2.4. La seconda parte: Verbum in Ecclesia
Anche questa parte è divisa in tre capitoli e mette in particolare risalto il fatto che, per la divina Provvidenza, la Chiesa è la casa della Parola di
Dio che accoglie il Verbo fatto carne e che ha posto la sua tenda tra noi 93.
Questa parte è divisa in tre capitoli. Il primo, La Parola di Dio e la Chiesa94,
sottolinea che grazie alla Parola di Dio e all’azione sacramentale, Gesù Cristo è contemporaneo agli uomini nella vita della Chiesa.
Liturgia luogo privilegiato della Parola di Dio è il titolo del secondo
capitolo95 che riflette sulla Parola di Dio nella sacra liturgia. Si sottolinea
qui il nesso vitale tra la Bibbia e i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, dato che la liturgia della Parola costituisce la prima parte della santa Messa. Il
testo prende in considerazione la Parola di Dio ed anche i sacramenti della
riconciliazione e dell’unzione degli infermi. Il nesso tra i sacramenti e la Parola di Dio apre la riflessione circa la sacramentalità della Parola, che ha bisogno di ulteriore approfondimento. Facendosi eco del pensiero dei Padri
sinodali, la Verbum Domini richiama l’importanza del Lezionario che la riforma del Concilio Vaticano II ha arricchito con abbondanti brani della Sacra
Scrittura. In tale contesto, non si poteva omettere l’importanza della proclamazione della Parola e del ministero del lettorato e, soprattutto, dell’omelia,
tema che ha un posto di rilievo nell’esortazione. La Verbum Domini sottolinea inoltre la grande rilevanza della Parola di Dio e della liturgia delle ore.
Offre, poi, validi suggerimenti per l’animazione liturgica, la celebrazione e
la proclamazione della Parola di Dio, il silenzio, il tempo liturgico cristiano,
l’esclusività dei testi biblici nella liturgia, il canto biblicamente ispirato,
l’attenzione particolare ai non vedenti e ai non udenti.
Il terzo capitolo è dedicato a La Parola di Dio nella vita ecclesiale96,
mettendo in risalto l’importanza dell’animazione biblica della pastorale, la
93
Cfr. Gv 1,14.
VD 50-51.
95 VD 52-71.
96 VD 72-89.
94
161
CAPITOLO QUARTO
dimensione biblica della catechesi, la formazione biblica dei cristiani, la sacra Scrittura nei grandi raduni ecclesiali, la Parola di Dio in rapporto alle
vocazioni. Particolare attenzione è dedicata alla Parola di Dio e ai Pastori –
vescovi, presbiteri, diaconi, candidati all’Ordine sacro –, ai membri di vita
consacrata, come pure ai fedeli laici soprattutto in seno al matrimonio e alla
famiglia97. Notevole parte del capitolo è riservata alla lettura orante della sacra Scrittura, in particolare, alla Lectio divina, e alla preghiera mariana. Il
capitolo termina con appropriate riflessioni sulla Parola di Dio e la Terra
Santa, ove la Parola di Dio si è incarnata, è stata rivelata e gelosamente custodita nella forma orale e scritta.
2.5. La terza parte: Verbum mundo
La terza parte, nel contesto dell’argomento del nostro studio, sembra
meritare maggior interesse e spazio. Questa terza parte sviluppa il suo contenuto facendo leva sul finale del Prologo del Vangelo di Giovanni: “Dio
nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Vi si contempla “il paradosso fondamentale della fede cristiana”98: da una parte, la trascendenza e la grandezza di Dio, la cui realtà non può essere da noi né misurata né definita;
dall’altra, proprio quel suo avvicinarsi e prendere parte alla storia umana inviando Gesù Cristo, che viene in mezzo a noi e ci comunica il mistero della
sua intimità. Da parte nostra, questo richiede un atteggiamento di ascolto e
di accoglienza. E per comprendere ciò che ci è stato comunicato da parte di
Dio non basta soltanto ascoltare la sua Parola, anche se salvifica. Si deve anche contemplare la sua persona e la sua figura, “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15)99.
Da questo intimo rapporto con Cristo deriva il dovere dei cristiani
di annunciare la Parola di Dio nel mondo in cui vivono ed operano. Questa
terza parte dell’esortazione è divisa in quattro capitoli. Il primo, La missione
della Chiesa: annunciare la Parola di Dio100, riflette sulla missione della
Chiesa che ha come punto di partenza e di arrivo il mistero di Dio Padre. Il
Verbo di Dio ci ha comunicato la vita divina. La sua Parola ci coinvolge
97 Cfr. B. OGNIBENI, “Parola di Dio, matrimonio e famiglia (Verbum Domini n.85)”, in P.
MERLO – G. PULCINELLI (edd.), ‘Verbum Domini’. Studi e commenti sull’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, Città del Vaticano 2011, 311-326.
98 VD 90.
99 Cfr. B. ESTRADA, “La Parola di Dio e l’evangelizzazione (nn. 90-98). Il commento teologico”, in M. TÁBET – G. DE VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico all’Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, 128.
100 VD 90-98.
162
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
non soltanto come destinatari ma anche come suoi annunciatori. Infatti,
tutti i battezzati sono responsabili dell’annuncio della Parola di Dio dalla
quale proviene la missione della Chiesa. Essa è orientata al primo annuncio,
ad gentes, a coloro che tuttora non conoscono il Verbo, Parola di Dio, ma
anche a coloro che sono stati battezzati ma non sufficientemente evangelizzati e che hanno bisogno di una nuova evangelizzazione per riscoprire la
Parola di Dio. “Pertanto, la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale (…) Non si tratta
di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce
un’umanità nuova”101. A tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare la
Parola che salva il cui contenuto è “il Regno di Dio (cfr. Mc 1,14-15), il quale è la stessa persona di Gesù (l’Autobasileia)…”102. Quanto alla credibilità
dell’annuncio della Buona Notizia, questa dipende in gran misura dalla testimonianza della vita cristiana. Il papa rivolge con commozione il suo pensiero a tutti i perseguitati a causa di Cristo, a coloro che hanno dato la vita
per comunicare la verità dell’amore di Dio rivelatoci in Cristo crocifisso e
risorto. Esprime un profondo affetto ai fedeli di tutte le comunità cristiane
che vivono in povertà, nella miseria, nell’ingiustizia, essendo sfruttati, perciò
alza la voce affinché i governi garantiscano a tutti la libertà di coscienza, di
religione e la giustizia103. Tuttavia resta anche da sottolineare una considerazione di grande importanza, ossia il documento parla della tentazione che la
Chiesa non si intiepidisca mai nell’impegno verso coloro che vivono oltre i
suoi confini visibili104 e quindi auspica che Essa non si limiti ad un lavoro
pastorale caratterizzato dall’“ordinaria amministrazione”105. Ci si riferisce
poi alla terminologia introdotta da Giovanni Paolo II sul bisogno di una
‘nuova evangelizzazione’. La novità di questa evangelizzazione si focalizza su
due sfide: la prima riguarda in particolare i territori di più recente evangelizzazione, in cui i cristiani vengono “battezzati, ma insufficientemente
evangelizzati”106; secondariamente, si sottolinea il bisogno di una nuova
evangelizzazione per quei cristiani, non solo in Europa, che appartengono a
101
VD 93.
VD 93.
103 Cfr. VD 95-98.
104 Cfr. G. WHELAN, “La missione della Chiesa, proclamare la Parola di Dio al mondo”, in
C.A. VALLS – S. PIÉ-NINOT, Commento alla Verbum Domini. In memoria di p. Donanth
Hercsik, S.I., 131.
105 VD 95.
106 VD 96.
102
163
CAPITOLO QUARTO
“nazioni una volta ricche di fede e di vocazioni, che stanno perdendo la loro identità sotto l’influenza della cultura secolarizzata”107.
Parola di Dio ed impegno nel mondo è il titolo del secondo capito108
lo . In esso sono indicati percorsi utili per un’animazione della complessa
realtà del mondo tramite la Parola di Dio. I cristiani sono chiamati a servire
il Verbo di Dio nei fratelli più piccoli e, dunque, ad impegnarsi nella società
per la riconciliazione, la giustizia e la pace tra i popoli. La Parola di Dio è
sorgente di una carità operosa e creativa per alleviare le sofferenze dei poveri
in senso materiale e spirituale. Certo che non è compito diretto della Chiesa
creare una società di maggiore prosperità e benessere, ma comunque spetta
ad essa il diritto e il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che
riguardano il bene delle persone e dei popoli. Soprattutto oggi, di fronte al
frequente sopruso di tale dignità, occorre sottolineare che non è sufficiente
l’accettazione formale dei diritti: è ancora più necessario favorire le condizioni per la loro reale attuazione. Via maestra per farlo è riconoscere che la
dignità della persona umana è una “caratteristica impressa da Dio Creatore
sulla creatura”109. Perciò i diritti umani sono “universali, inviolabili, inalienabili”110. Universali, giacché derivano dalla dignità personale, che è comune a tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna, e ciò implica la necessità
di onorarli anche in rapporto a quelle persone che non sono in grado di reclamare i propri diritti. Inviolabili, poiché bisogna promuovere integralmente tutte le categorie dei diritti umani, come garanzia del pieno rispetto
di ogni singolo diritto. Inalienabili, in quanto collegati con la natura umana, sicché nessuno può legittimamente privare di questi diritti un altro uomo, chiunque egli sia, giacché ciò significherebbe fare violenza alla sua dignità111. In pratica sarà compito di ogni battezzato, in modo speciale dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente, nell’azione sociale e politica, promuovendo i diritti umani di ogni persona, basati
sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, e quindi, come tali sono
universali, inviolabili, inalienabili112. La Verbum Domini si rivolge, con la
luce della Parola di Dio, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai disoccupati,
agli insignificanti. Di fronte a tali fenomeni è inevitabile assumere un ethos
107
VD 96.
VD 99-108.
109 VD 101.
110 VD 101.
111 Cfr. E. COLOM, “Parola di Dio e impegno nel mondo (nn. 99-108)”, in M. TÁBET – G.
DE VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico all’Esortazione Apostolica
“Verbum Domini”, 142-143.
112 Cfr. VD 99-103.
108
164
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
di compassione e di ospitalità113. Essa contiene importanti connotazioni
ecologiche nella visione cristiana del creato che è anche, in modo analogico,
Parola di Dio. L’assunzione di una cultura della pace comprende la solidarietà con il creato e la sua integrità. Dinanzi ad un’idolatria del profitto, del
capitalismo sfrenato e della ricchezza, il cui imperativo è consumare, l’incondizionata tecnocrazia sembra non prendere in considerazione altra prospettiva che quella del tecnicamente opportuno e possibile, con un effetto
dirompente sull’ecosistema e sullo sfruttamento insensato delle risorse. Perciò appare sempre più evidente che la cura del pianeta è direttamente proporzionale alla possibilità di un nuovo modo sostenibile di essere e di vivere. L’attenzione al creato non è riducibile alla sola gestione utilitaristica degli ecosistemi, ma si inserisce nel progetto di consolidamento della vita per
tutti, che richiede cooperazione per debellare una civiltà predatoria. La coscienza della mutua appartenenza Terra – umanità, sta modificando l’ottica
di lettura ecologica: l’impegno e la sfida ambientale, economica e politica
sono strettamente connesse alla responsabilità sociale e spirituale. Salvaguardare il creato significa formare un’alleanza per la cura della Terra, pena il
rischio dell’autodistruzione e della scomparsa delle bio-diversità114.
Il terzo capitolo è dedicato alla Parola di Dio e culture115, dato che la
Bibbia è giustamente percepita come grande codice per la cultura dell’umanità, sorgente inesauribile di espressioni artistiche fino ai nostri giorni. Questo capitolo riveste una notevole importanza per almeno due motivi. In
primo luogo, associa strettamente la cultura con la crescita e il perfezionamento delle persone, modificandone implicitamente il significato laddove
l’accento primario molto spesso viene riposto nella perfezione delle opere
d’arte, delle cose e degli oggetti. Si tratta di uno spirito oggettivato, cioè, che
non di rado cade in un certo feticismo della mercanzia associato, secondo
una mentalità edonista e consumistica, all’economia invece che essere messo
al servizio della persona, della sua coscienza e del suo perfezionamento, fonte della sua stessa capacità di creare il futuro, senza cessare di dare risposta
alla propria vocazione trascendente che il suo essere persona implica 116. In
secondo luogo, associa ciò che finora era stato inteso come cultura con la
realtà comune dei mezzi di comunicazione pubblica o sociale, includendo
113
Cfr. C. DOTOLO, “Parola di Dio ed impegno nel mondo”, in C.A. VALLS – S. PIÉ-NINOT,
Commento alla Verbum Domini. In memoria di p. Donanth Hercsik, S.I.,137-139.
114 Cfr. C. DOTOLO, “Parola di Dio ed impegno nel mondo”, 139.
115 VD 109-116.
116 Cfr. J.J. GARCÍA NOBLEJAS, “Parola di Dio e culture (nn. 109-116). Il commento teologico”, in M. TÁBET – G. DE VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico
all’Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, 153.
165
CAPITOLO QUARTO
in questi ultimi le implicazioni apportate dalle più recenti tecnologie digitali117. Pertanto, sarebbe auspicabile che la Bibbia fosse meglio conosciuta nelle scuole e nelle università e che i mezzi di comunicazione sociale siano
adoperati sempre meglio per la sua divulgazione, con l’utilizzo anche di tutte le attuali possibilità tecniche. Il tema dell’inculturazione della sacra Scrittura è legato anche alle traduzioni e alla diffusione della Bibbia, che bisogna
ulteriormente incrementare. Ad ogni modo, la Parola di Dio ha bisogno di
esprimersi nelle culture dei popoli, ma essa supera abbondantemente i limiti
delle culture umane. Si esprime apprezzamento, stima e ammirazione per gli
artisti che si sono lasciati ispirare dai testi sacri, aiutando a rendere in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne.
Si sollecita un impegno maggiore nel mondo dei mass-media perché possa
emergere il volto di Cristo e udirsi la sua voce118.
Parola di Dio e dialogo interreligioso è il tema del quarto capito119
lo . Il fondamento del dialogo interreligioso risiede nelle comuni attese
degli uomini, di ogni cultura e tradizione, che vengono compiute da un fatto, da un evento, cioè dal donarsi di Dio che nel suo Figlio è diventato uno
di noi e nel suo Figlio illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Qui
il tema della Verbum Domini è forse da leggere alla luce dell’enciclica Deus
caritas est. In quest’ultima non è possibile separare l’eros dell’uomo dall’agape, in quanto il primo trova il suo senso nel secondo. L’agape, il dono di
Dio, non cade, infatti, senkrecht von oben, come nella teologia protestante,
ma si innesta sulla domanda fondante dell’essere umano. Ogni religione
può considerarsi espressione del desiderio più profondo dell’uomo, di ogni
uomo. L’eros, trova nella religione la sua espressione più profonda come
domanda di vita e di senso della vita. L’agape, cioè il dono Dio, che nel presente contesto si declina come rivelazione di Dio all’uomo, risponde proprio a questa domanda, come Vita intra-trinitaria che si comunica, Parola
eterna del Padre. L’inseparabilità di eros ed agape si traduce quindi in modo
naturale nell’apertura dell’insegnamento sulla Parola di Dio al dialogo interreligioso120. Dopo aver stabilito il valore e l’attualità del dialogo interreligioso, la Verbum Domini, alla luce della Parola di Dio che si è pienamente rivelata nella Persona di Gesù Cristo, fornisce valide indicazioni circa il dia117 Cfr. J.J. GARCÍA NOBLEJAS, “Parola di Dio e culture (nn. 109-116). Il commento teologico”, 154.
118 Cfr. VD 109-113.
119 VD 117-120.
120 Cfr. G. MASPERO, “Parola di Dio e dialogo interreligioso (nn. 117-120). Il commento
teologico”, in M. TÁBET – G. DE VIRGILIO (ed.), Sinfonia della Parola. Commento teologico
all’Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, 168-170.
166
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
logo tra cristiani e musulmani, come pure con gli appartenenti ad altre religioni non cristiane, nel quadro della libertà religiosa che implica non solamente la libertà di professare la propria fede in privato e in pubblico, ma
anche la libertà di coscienza e cioè di aderire alla propria religione. In questo contesto papa Benedetto XVI rievoca un concetto a lui tanto caro di “reciprocità”121, per cui, richiamandosi a Giovanni Paolo II122, conferma che
“il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto
per quanto concerne le libertà fondamentali e in modo particolare la libertà
religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli” 123. Tale reciprocità
poggia sul riconoscimento dei valori universali124, presenti e rispettati in diverse forme, che accomunano tutta l’umanità, le culture, le tradizioni e le
religioni. Il papa parla dei valori spirituali (senso del sacro, silenzio, contemplazione), morali (protezione della vita, il matrimonio, la famiglia), socio-culturali (giustizia, pace, lavoro)125.
2.6. La parte conclusiva
Nella conclusione, il papa ribadisce l’esortazione a tutti i cristiani
“ad impegnarsi per diventare sempre più familiari con le sacre Scritture”126.
La Parola di Dio spinge alla missione, come mostra l’esempio di san Paolo,
Apostolo delle genti. “Così anche oggi lo Spirito Santo non cessa di chiamare ascoltatori e annunciatori convinti e persuasi della Parola del Signore”127.
Essi sono chiamati ad essere "annunciatori credibili della Parola di salvezza",
comunicando “la fonte della vera gioia... che scaturisce dalla consapevolezza
che solo il Signore Gesù ha parole di vita eterna (cfr. Gv 6,68)”128. “Questa
intima relazione tra la Parola di Dio e la gioia è evidente proprio nella Madre di Dio, ‘Mater Verbi et Mater laetitiae’”129.
121
Cfr. M. INTROVIGNE, “Il papa, il Vaticano II, e la Parola di Dio. L’esortazione apostolica
«Verbum Domini» di Benedetto XVI (12 novembre 2010), in http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/il-papa-il-vaticano-ii-e-la-parola-di-diolesortazione-apostolica-qverbum-dominiq-di-benedetto-xv.html
122 GIOVANNI PAOLO II, Discorso nell’incontro con i giovani musulmani a Casablanca in
Marocco (19 agosto), 5, in AAS 78 (1986), 99.
123 VD 120.
124 Cfr. VD 118.
125 Cfr. F. KÖRNER, “Parola di Dio e dialogo interreligioso”, in C.A. VALLS – S. PIÉ-NINOT,
Commento alla Verbum Domini. In memoria di p. Donanth Hercsik, S.I., 154.
126 VD 121.
127 VD 122.
128 VD 123.
129 VD 124.
167
CAPITOLO QUARTO
Al termine, è inevitabile rilevare il grande contributo che il Santo
Padre Benedetto XVI ha dato con l’Esortazione Apostolica Postsinodale. In
essa è raccolto il suo ricco magistero sulla Parola di Dio, espresso anche durante la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Oltre
l’intervento del 14 ottobre 2008 nell’aula sinodale, che è stato accolto dai
padri sinodali e elaborato nella Verbum Domini, particolarmente dense di
contenuto sono state le omelie all’inizio e alla fine della celebrazione
dell’Assise sinodale che, arricchendo le riflessioni interne, hanno contribuito ad arricchire anche la presente Esortazione Apostolica Postinodale.
Essa infatti non solamente comunica le riflessioni dell’Assise sinodale e i
consigli rivolti al Santo Padre, bensì su vari aspetti ne rappresenta un vero approfondimento. Tenendo presenti le numerose citazioni e i richiami
al magistero del pontefice, è doveroso riconoscere il suo contributo qualificato durante le discussioni sinodali, poi sviluppate nella Verbum Domini. Questo lavoro evidenzia ancora una volta, la priorità della Parola
di Dio nel suo pontificato. In considerazione di quanto detto, si potrebbe concludere affermando che papa Benedetto XVI può essere definito il
papa della Parola di Dio 130.
3. Gli slanci teologico – missionari
La lettura della terza parte dell’esortazione potrebbe suscitare la sensazione, difficile da negare, che il testo non offra alcuna particolare novità
nella trattazione e nell’esposizione della problematica missionaria e dell’opera evangelizzatrice della Chiesa. Per mostrare dunque gli elementi peculiari
della visione di papa Benedetto sulla missionarietà ci è sembrato opportuno
collocarla all’interno delle linee generali del suo pensiero teologico e della
sua visione riguardo all’operatività della Chiesa a favore di una più proficua
e aggiornata proclamazione del Vangelo.
Il fatto di essere chiamato il “papa della Parola”, da una parte, e
spesso anche proclamato, a buon diritto, “papa teologo”, dall’altra, ci permetterebbe di affermare che il suo servizio di Pastore della Chiesa universale
merita di essere definito, in riferimento al nostro argomento, come una
“teologia profetica”131 nel senso ampio e profondo di questa espressione. Infatti il suo essere teologo gli permette di svolgere il supremo munus docendi
130
Bollettino della Sala stampa della Santa Sede, 11.11.2010.
Cfr. K. KOCH, Il vincolo tra amore e ragione. Sull’eredità teologica di Benedetto
XVI, 11.
131
168
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
nella Chiesa avendo una preparazione più che profonda, sublime, ricca,
piena di vari e sempre nuovi orizzonti di pensiero; mentre la sua missione
profetica sulle orme di Maria e all’interno della Chiesa, gli consente di proclamare fedelmente la Parola del Vangelo in modo accessibile a tutti. Ora,
tenendo presente queste due coordinate, la peculiarità e l’originalità della
sua concezione dell’evangelizzazione diventerà una chiamata, sì a tutta la
Chiesa, a tutto il popolo di Dio e ad ogni cristiano, ma in modo particolare
al teologo. La teologia avrà la sua missione profetica di proclamare in modo
credibile sul piano teorico e sul piano pratico – pastorale, compiendo in tal
modo la sua vocazione missionaria.
3.1. La teologia, la profezia e la testimonianza132
La teologia come scienza della fede, in quanto discorso descrittivo,
critico e interpretativo sia sul contenuto della fede sia sull’atto stesso del
credere, si fonda sull’evento di comunicazione interpersonale che avviene tra
Dio e l’uomo133. Su questo sfondo la teologia profetica chiama in causa il
concetto di testimonianza senza il quale perderebbe uno dei suoi tratti essenziali134. La teologia profetica, dal momento che presuppone l’intrinseco
legame tra il lavoro teoretico–speculativo da una parte, e l’esperienza e la
prassi dall’altra, allora inevitabilmente si richiama al concetto di testimonianza135 come categoria teologica che fa emergere il legame intrinseco tra la
verità e la libertà, tra la credibilità e l’amore136. Così la teologia diventa una
proposta capace di rispondere non solo alle esigenze della ragione, ma anche
alle aspettative esistenziali proprie dell’essere umano considerato nella sua
integrità e totalità.
132
I punti 3.1. e 3.2. vengono in maggior parte dal nostro Il Logos della fede. Tra ragione,
rivelazione e linguaggio, Roma 2014, 267-280, dove i contenuti rispecchiano e corrispondono all’originalità della visione dell’opera evangelizzatrice in Benedetto XVI, per cui qui sono
stati ripresi ed adattati, con alcuni aggiornamenti, al nostro tema.
133 Cfr. CTI, Teologia oggi: Prospettive, principi e criteri, 4-19.
134 Cfr. A. FABRIS, “Per una filosofia della testimonianza”, in P. CIARDELLA – M. GRONCHI
(edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, Roma 2000, 53-79.
135 Cfr. G. DI PALMA, “Dalla oboeditio fidei alla profezia testimoniale”, in G. TAVOLARO –
G. CUOMO (edd.), Oboeditio fidei. La fede tra ascolto e profezia, Trapani 2014, 21-37.
136 Sulla ‘testimonianza teologica’ cfr. L. BACCARI, “Fede e ragione nell’ermeneutica della
Parola di Dio (Verbum Domini n. 36)”, P. MERLO – G. PULCINELLI (edd.), ‘Verbum Domini’. Studi e commenti sull’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, 123-152;
in particolare 128-133.
169
CAPITOLO QUARTO
3.1.1. L’annuncio – l’atto dell’amore credibile137
L’amore del prossimo, radicato nell’amore di Dio stimola e spinge il
credente a portare l’annuncio a chi non lo conosce ma che ha il diritto di
ascoltarlo e di conoscerlo138. L’annuncio dunque è il modo di realizzare
non solo il mandato missionario, bensì la forma di venire incontro all’altro
con il dono prezioso dell’amore di Dio contenuto nella Parola del Vangelo,
proponendo quella Verità che è inseparabile dalla Carità139. Non proclamarlo sarebbe un gesto di egoismo e di ingiusto auto-possesso della Verbum
Domini. Per questo la Chiesa non si può chiudere in se stessa assumendo
l’atteggiamento di esclusività, ma consapevole che quanto è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti, la liberazione dalla schiavitù del
peccato per entrare nella libertà di Dio, lo proclama in tutto il mondo. Soprattutto tenendo conto dell’attuale contesto mondiale, Lei vuoi per il dovere, vuoi per l’amore, annuncia a tutta l’umanità e ad ogni persona il Verbum/Logos della Speranza140; l’uomo d’oggi ha bisogno della “grande Speranza” per poter vivere il presente141 e potersi orientare verso il suo futuro.
È la speranza fondata su “quel Dio che possiede un volto umano e che ci
«ha amati sino alla fine» (Gv 13,1)”142. Proprio in questa ottica agapica Benedetto XVI percepisce un’altra ragione per cui “la Chiesa è missionaria”: essa non può tenere per se stessa le parole di vita eterna che ci sono state date
nell’incontro con Gesù Cristo perché esse sono di tutti e per tutti, per ogni
uomo143. L’amore verso il prossimo assume dunque la forma della responsabilità di intraprendere seriamente la missione di evangelizzare. Uno dei modi
migliori e più efficaci per presentare agli altri il Vangelo come Parola della Vita e dell’Amore è la testimonianza. Per questo il papa insiste su quanto
è importante che ogni modalità di annuncio tenga presente, innanzitutto, la relazione intrinseca tra comunicazione della Parola di Dio e
testimonianza cristiana. Da ciò dipende la stessa credibilità dell’annuncio. Da una parte, è necessaria la Parola che comunichi quanto il
Signore stesso ci ha detto. Dall’altra, è indispensabile dare, con la testimonianza, credibilità a questa Parola, affinché non appaia come
137
Le considerazioni contenute in questo punto sono ispirate da BENEDETTO XVI, Lett. enc.
Deus caritas est, in particolare dal 33 al 37.
138 Cfr. VD 103.
139 Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate.
140 Cfr. 1Pt 3,15.
141 Cfr. VD 91.
142 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi 31, in AAS 99 (2007), 1010.
143 Cfr. VD 91.
170
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
una bella filosofia o utopia, ma piuttosto come una realtà che si può
vivere e che fa vivere. Questa reciprocità tra Parola e testimonianza
richiama il modo in cui Dio stesso si è comunicato mediante
l’incarnazione del suo Verbo144.
E poiché Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito145, allora solo questo suo amore poteva essere credibile146 in modo da
toccare e interpellare ogni cuore umano. Infatti l’amore di per sé ha una
consistenza che lo rende credibile e di fronte al quale non si può rimanere
indifferenti; in qualche modo esso richiede la scelta, la decisione o l’opzione. Questa logica d’amore nell’ambito missionario ha anche la sua valenza antropologico – sociale. Infatti l’amore sarà sempre necessario, indispensabile e insostituibile anche nella società ‘più giusta’, ma chi in essa vorrebbe
sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo147. In fin dei conti, con l’annuncio del Vangelo proclamato sotto forma
di testimonianza dell’amore credibile, in gioco è l’uomo stesso, anche se
questo amore non di rado costa la vita e il sacrificio.
3.1.2. La testimonianza – la verità in libertà
In risposta ad una lettura riduzionista (nichilista) del discorso filosofico – teologico presente nel pensiero postmoderno, la categoria della testimonianza è in grado di fornire alcuni elementi rilevanti anche dal punto di
vista epistemico per dare ragione della fede148. Infatti, di fronte alla domanda se un certo tipo di ricerca e di riflessione sia in grado di “raggiungere e
dire il vero” ragionevole e comunicabile149, la testimonianza si pone come
veicolo della trasmissione di un messaggio nella concretezza di una vita
umana che si espone liberamente150. Per questo essa appare come una forma
di comunicazione interpersonale che implica il messaggio (e la sua interna
144
VD 97.
Cfr. Gv 3,16.
146 Cfr. H. URS VON BALTHASAR, Solo l’amore è credibile, Roma 1991.
147 Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est 28, in AAS 98 (2006), 240; cfr.
anche VD 103.
148 Cfr. F. GAIFFI, “La filosofia contemporanea e la testimonianza”, in P. CIARDELLA – M.
GRONCHI (edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, 15-35.
149 Cfr. P. CIARDELLA – M. GRONCHI (edd.), “Testimonianza e verità. Un approccio filosofico”, in P. CIARDELLA – M. GRONCHI (edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, 37-91; K. HEMMERLE, “Verità e testimonianza”, in P. CIARDELLA - M. GRONCHI
(edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, 307-323.
150 Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza. Verità di Dio e libertà dell'uomo, Milano 2002, 101.
145
171
CAPITOLO QUARTO
coerenza), la credibilità del testimone e la fede del destinatario, verificando
in tal modo l'autenticità di ogni relazione interpersonale151.
La testimonianza è una relazione interpersonale che si crea tra due
soggetti, in forza di un contenuto che viene comunicato. La qualità
della relazione che si forma appartiene alla sfera più profonda del
rapporto interpersonale in quanto, sulla base del contenuto espresso,
i due rischiano circa la fiducia reciproca e la credibilità del proprio
essere. Il ‘testimone’, infatti, in proporzione alla fedeltà con la quale
esprime il contenuto della propria esperienza, rivela la veridicità o
meno di sé; ‘colui che riceve’ questa testimonianza, dall'altra parte,
valutando il grado di attendibilità di ciò che gli viene comunicato,
rischia il proprio affidarsi all'altro152.
La testimonianza presuppone sostanzialmente la presenza della
realtà testimoniata che si attua attraverso la persona del testimone153. Per
cui essa dimostra di essere atto di libertà umana capace di "dire il vero" in
modo responsabile154. Nella e mediante la testimonianza avviene quella
forma di comunicazione in cui il soggetto, il testimone, liberamente apre
se stesso, e a partire da ciò che ha riconosciuto come vero si offre all'altro,
provocando la sua libertà a fidarsi e a schiudersi a quella verità, cui si può
avere accesso mediante la testimonianza personale incontrata. Ciò che accade qui è una reciprocità di libertà che si aprono vicendevolmente, non
in base ad espressioni linguistiche generiche, ma in forza di ciò che ciascuno ha di più personale ed intimo. Il contenuto di verità che si media
attraverso la testimonianza diviene il luogo dove la libertà si espone e si
dona all'altro. Il destinatario si trova provocato a prendere posizione. Non
si trova davanti ad un'informazione generica di contenuto, ma di fronte
all'offerta di una verità a cui ci si può accostare solo attraverso la libertà
del testimone155 e con il rapporto interpersonale156. In questa ottica la te-
151
Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 103.
R. FISICHELLA, “Martirio”, in DTF, 674.
153 Cfr. K. HEMMERLE, “Verità e testimonianza”, 315.
154 È di grande importanza collocare il concetto della verità in un orizzonte antropologico
ed evidenziarne la dimensione personale. Sul rapporto verità-testimone/persona, cfr. K.
HEMMERLE, "Verità e testimonianza", 317-320.
155 Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 104.
156 FR 32: la conoscenza per testimonianza “risulta spesso umanamente più ricca della
semplice evidenza, perché include un rapporto interpersonale e mette in gioco non solo le
152
172
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
stimonianza costituisce e offre una nuova forma di apologetica – concepita
ancora qualche decennio prima sul piano meramente razionale –, quella
della carità157.
3.1.3 La testimonianza come segno significativo
La ragione teologica non può non considerare il valore della testimonianza illuminata dalla categoria del segno. Il segno è l’elemento che sta
alla base di ogni relazione comunicativa. Ma che cos’è un segno? Tra le varie
definizioni si potrebbe riportare qui quella più comune, per cui il segno è
un qualcosa conoscendo il quale conosciamo qualcos’altro. Già da questa
definizione si percepisce una profonda analogia tra il segno e la testimonianza, in quanto anche la testimonianza si presenta come quella realtà
umana tramite la quale si è introdotti in un’altra realtà, dalla quale proviene
e dalla quale prende significato.
Quanto alla sua struttura, il segno si presenta come l’unione di un
significante e di un significato158. La funzione di un segno di far conoscere, attraverso di sé, un'altra cosa sta nella sua capacità di essere un significante che veicola un significato, che come tale non può che trascendere il
significante stesso. Il significato non è mai esauribile da parte del significante; esso può trovare nel tempo e nello spazio espressioni continuamente diverse e imprevedibili159.
Il nesso particolare tra significante e significato, prospettato dalla
teoria del segno, trova la sua realizzazione nella testimonianza. Qui il significante coincide ultimamente con la figura del testimone e con l’atto
della sua libertà che si apre a un altro, al destinatario. Il significato, a sua
volta, viene individuato nella verità stessa, di cui al testimone è stato fatto
dono. La testimonianza deve rimandare, attraverso il testimone/il segno, a
un dono di verità indeducibile. Come nella teoria del linguaggio, il significante non può significare se stesso (non può essere auto-referenziale), ma
il significato, così come l'autentica testimonianza rimanda oltre se stessa,
alla verità.
personali capacità conoscitive, ma anche la capacità più radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in un rapporto più stabile ed intimo con loro”.
157 Cfr. A. MOORE, “From Rational Apologetics to Witness Apologetics”, in Antonianum
90 (2015) 2, 275-288.
158 È la spiegazione offerta dal fondatore della linguistica moderna E. DE SAUSSURE, Corso
di linguistica generale, Roma-Bari 1987, 83-96.
159 Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 105-106.
173
CAPITOLO QUARTO
Tante volte ci capita di assistere a comunicazioni tecnicamente perfette e precise, ma dove in realtà ci si trova di fronte ad una irrilevanza di
contenuti significativi. Ciò accade spesso in occasione di eventi massmediatici, in cui vengono messe in atto le più qualificate e sofisticate tecniche di comunicazione e dove tutto sembra riuscito. Tuttavia, quando tutto è
finito ci si accorge che le persone coinvolte non sono state "modificate" da
quanto è successo; non si ha alcun feedback (reazione, accoglienza, ricezione, ecc.). Il segno sembra non aver veicolato alcun significato; quanto è stato
comunicato non è apparso significativo per i destinatari, i quali sono rimasti impermeabili alla comunicazione160.
Nella testimonianza invece il segno risulta efficace non solo quando
rimanda ad un significato, ma soprattutto quando esso si rivolge concretamente al destinatario, in modo che quest'ultimo senta la comunicazione
come riferita a se stesso. In altri termini, la finalità è che il destinatario possa non solo intendere e decodificare la testimonianza, ma scoprirla come significativa per sé e per la propria vita161. Il destinatario accoglie la testimonianza a condizione che ne veda un contenuto di verità indirizzato a sé e
alla sua esigenza di senso. Infatti, la testimonianza come segno acquista il
suo carattere significativo quando offre all'altro ciò di cui l'altro è alla ricerca162. Così il destinatario è chiamato a prendere posizione di fronte a
questa proposta-risposta.
Di fronte al segno di una testimonianza nessuno può rimanere neutrale, ma sarà costretto ad uscire da sé, a decidere. Davanti ad un segno inteso come significativo, la libertà del destinatario si trova provocata e rispettata; egli non potrà non scegliere e tuttavia tale scelta sarà un autentico atto di
libertà. La testimonianza chiama il destinatario a decidere di sé in modo
sensato. Per realizzarsi autenticamente ha bisogno di conoscere la verità che
lo riguarda, e che riguarda anche il mondo e Dio. Senza tale verità non può
pervenire a se stesso. In tal modo la testimonianza costituisce quella forma
di conoscenza, di linguaggio e di relazione interpersonale in cui verità e libertà si incontrano. La testimonianza/il segno offre all'uomo quella istanza
assoluta di verità, che egli non può produrre da sé, ma che lo interpella
tramite la ragione e la libertà163.
160
161
Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 107-108.
Cfr. R. FISICHELLA, “Credibilità”, in DTF, 223-224.
162 Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 109.
163 Cfr. P. MARTINELLI, Testimonianza, 110.
174
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
3.1.4. Il verbum teologico come parola testimoniale
Fatta questa analisi è possibile comprendere meglio la ragione per la
quale la categoria della testimonianza risulta appropriata per il discorso/logos
teologico. Nel contesto dell'esperienza cristiana, infatti, la parola e la conoscenza che propriamente appartengono alla teologia presuppongono una previa azione di Dio, in cui Dio comunica Se stesso mediante il Logos, la sua
eterna Parola; anzi, il Verbo dà testimonianza del Padre, la Sua è la parola di
attestazione164. La prima testimonianza è quella data dal Figlio nei riguardi
del Padre, attraverso il linguaggio umano165. La testimonianza è la forma della rivelazione attraverso la quale la verità di Dio si dona all’umanità166. Questa testimonianza viene accolta, conservata e trasmessa dalla Chiesa. Per cui il
logos (=intelligenza e parola insieme) teologico, in quanto inserito in tutta la
viva tradizione della Chiesa, possiede la natura di attestazione della verità riconosciuta ed accolta nell'evento che la rivela, in quanto la media e la rende
accessibile al destinatario mostrandogliene l’intrinseca credibilità167. La teologia oltre ad essere descrittiva, critica e interpretativa, ha un carattere testimoniale perché il suo compito è quello di interpellare. Perciò non limitandosi
soltanto ad un mero discorso sistematico e teoretico, si presenta come forma
dell’annuncio. Per questo il teologo, pur esponendo i contenuti della fede con
un linguaggio tecnico, rimane effettivamente anche un testimone.
Il testimone è colui che racconta, dichiara e attesta ciò di cui ha fatto
esperienza. La parola testimoniale si caratterizza per il suo riferirsi all'esperienza storica, alla confessione della verità conosciuta e all'assunzione di responsabilità da parte del testimone che impegna se stesso nella sua testimonianza. Infatti nella parola testimoniale, quanto viene detto è in stretto rapporto con il perché si dice, con il chi lo dice e con il come lo dice. Per
questo la testimonianza implica, insieme alla parola, la decisione (libertà),
l'azione e l'esistenza stessa del testimone168. Detto questo risulta che il linguaggio teologico, nella sua dimensione testimoniale, e la sua effettività comunicativa devono abbracciare queste quattro componenti: l’oggetto di cui si
164
Cfr. H. URS VON BALTHASAR, “Dio parla come uomo”, in Verbum Caro. Saggi teologici,
I, Brescia 1968, 80-104; ID., “Il linguaggio di Dio”, in Homo creatus est. Saggi teologici, V,
Brescia 1991, 271-302.
165 Cfr. K. HEMMERLE, "Verità e testimonianza", 308.
166 Cfr. P. MARTINELLI , “La testimonianza cristiana come linguaggio per la missione evangelizzatrice della Chiesa oggi”, in L. BIANCHI (ed.), La testimonianza della Chiesa nel mondo contemporaneo, Padova 2013, 141-142.
167 Cfr. A. DONI, “La testimonianza nell'atto di fede”, in P. CIARDELLA – M. GRONCHI
(edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, 184.
168 Cfr. A. DONI, “La testimonianza nell'atto di fede”, 184.
175
CAPITOLO QUARTO
parla e il suo senso, l'oggetto è l'evento rivelatore di Dio che in Cristo offre al
mondo il suo amore e la salvezza; il motivo che giustifica l'attestare, che è
quello di mediare l'evento della rivelazione e di rendere possibile all'interlocutore l’accesso allo stesso evento e alla sua significatività; il soggetto che dà testimonianza, e la dà non in modo indifferente, ma autenticamente, in quanto
egli stesso è radicato nel contenuto narrato, rimanda alla persona e alla verità
cui rende testimonianza; e infine il modo di dire, cioè il linguaggio che rende
accessibile ciò che nel contenuto ormai è credibile e ragionevole, il linguaggio
che esplicita la forza interpellativa del contenuto, in modo che il destinatario
sia provocato ad assumere una posizione univoca e concreta.
Il linguaggio di cui si serve il teologo deve possedere questa qualità testimoniale. Il suo linguaggio appare dunque anche come impegno di tutta la
persona nell'attestazione esistenziale del senso e della verità che egli stesso ha
ricevuto mediante la testimonianza della comunità ecclesiale169. Il teologo rende il suo linguaggio capace di interpellare e provocare l'altro nella profondità
della sua persona e della sua libertà, chiamandolo ad interrogarsi su quest'offerta di senso e ad aprirsi con fiducia alla relazione interpersonale per condividere
con lui stesso l'esperienza della scoperta e del riconoscimento della Parola della
salvezza comunicata in Cristo e trasmessa per mezzo della Chiesa170.
3.2. Teologo e nuova evangelizzazione
Tra i vari carismi e le vocazioni mossi e suscitati dallo Spirito Santo
nella Chiesa c’è anche quello del teologo, in quanto egli partecipa della missione profetica della Chiesa. Tendendo verso l’acquisizione di una intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio (identità), il teologo è chiamato all’annuncio della stessa Parola, comunicandola e rendendola intelligibile agli altri (relazionalità)171. Il contesto contemporaneo, soprattutto nel
mondo occidentale, interpella tutta la comunità dei credenti ad attuare una
nuova evangelizzazione. Detta “nuova”, non perché ne esista una vecchia
superata o fallita, ma perché l’ordito della storia entro cui trovare le forme
dell’attestazione possibile all’esperienza della fede è mutato profondamente172 come dice il Pontefice:
169
Cfr. CTI, Teologia oggi, 20-58.
Cfr. A. DONI, “La testimonianza nell'atto di fede”, 18.
171 Cfr. Donum veritatis, 6-7.
172 Cfr. D.E. VIGANÒ, “Comunicare la fede: esperienza di grazia e di gioia”, in M. COZZOLI
(ed.), Pensare professare vivere la fede. Nel solco dell’esortazione apostolica “Porta fidei”,
Roma 2012, 616-617.
170
176
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e
ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi
settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha
toccato molte persone173.
Pur prestando attenzione ai fattori socioculturali che stanno alla base della marginalità del cristianesimo nella vita culturale, sociale e politica
soprattutto del mondo moderno, indicata come crisi della Chiesa in termini
pubblici174, va detto che tale emarginazione è solo l’aspetto maggiormente
osservabile del problema che, colto con più profonda attenzione, manifesta
una crisi di identità. Ci soffermeremo ora a indagare brevemente su questi
due aspetti parlando della presenza e del ruolo del teologo nella nuova
evangelizzazione.
3.2.1. La vocazione del teologo e la nuova evangelizzazione “ad intra”
Prima di porre la domanda su come parlare al mondo secolarizzato,
la nuova evangelizzazione, a cui il teologo è chiamato a collaborare in qualità di profeta e di testimone, pone al teologo stesso la domanda previa sul
cristianesimo in quanto tale, sulla sua condizione e sull’esperienza di fede
vissuta dai credenti175. In questa riflessione, in modo ancora più preciso e
puntualizzato, si tratta di affrontare la questione dell’identità del teologo e
dell’autenticità della sua vocazione. Anche se per sua natura la teologia è
una forma rilevante dell’evangelizzazione, chi ha ricevuto questo carisma
potrà rendere significativa e credibile la sua attività al servizio della nuova
evangelizzazione solo restando fedele alla sua vocazione profetica e rispettando i criteri del suo lavoro.
Facendo riferimento ad alcune indicazioni presentate dalla CTI nel
recente documento “Teologia oggi: prospettive, principi e criteri” si possono
individuare alcuni criteri in base ai quali, nel caso del teologo, si può parlare
di prima evangelizzazione o di auto-evangelizzazione. Innanzi tutto il teologo si fa evangelizzare dal continuo accesso alla Rivelazione divina culminata
in Gesù Cristo e trasmessa attraverso la Scrittura ispirata e la Tradizione viva
della Chiesa. Così facendo, deve lasciarsi possedere dalla stessa Verità comunicata come evento, storia e Persona del Logos Incarnato, nel quale Dio ha
173
BENEDETTO XVI, Lettera apostolica in forma di motu proprio Porta fidei, 2, in AAS 11
(2011), 723-734
174 Cfr. D.E. VIGANÒ, “Comunicare la fede: esperienza di grazia e di gioia”, 612.
175 Cfr. W. KASPER, Teologia e Chiesa 2, Brescia, 2001, 206.
177
CAPITOLO QUARTO
amato ogni uomo fino alla fine. Il teologo si lascia coinvolgere attraverso la
fede, intesa sia come atto (fides qua) sia come professione e intelligenza (fides quae) che lo rende disponibile a farsi plasmare dalla Parola di Dio (farsi
evangelizzare), il che sta in piena armonia con quanto si legge nel libro del
deuteronomio:
Io susciterò loro un profeta [il teologo] in mezzo ai loro fratelli e gli
porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò (…) Il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una
cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di
altri dei, quel profeta dovrà morire (Dt 18,18-20).
Un'altra condizione dell’auto-evangelizzazione del teologo è costituita dal bisogno di rimanere nella comunione della Chiesa. Infatti egli ha ricevuto la sua vocazione e la sua missione nella e mediante la Chiesa. In pratica questo presuppone lo studio della Scrittura, la fedeltà alla Tradizione
apostolica, l’attenzione al sensus fidelium, l’adesione responsabile al Magistero ecclesiastico, il far parte della comunità dei teologi e, infine, il dialogo
o, meglio, l’apertura al mondo sapendo interpretare i segni dei tempi176.
Dunque, nel processo dell’auto-evangelizzazione il teologo dovrà ascoltare
anche il mondo, individuare e rileggere i segni dei tempi intesi “come avvenimenti o fenomeni nella storia umana che in un certo senso, in ragione
della loro portata o impatto, definiscono un periodo e danno espressione a
particolari esigenze o aspirazioni dell’umanità di quel tempo” 177. Ciò che
accade nel mondo non è mai indifferente per il teologo. Il mondo è contemporaneamente luogo e destinatario dell’annuncio, per cui egli partecipa
pienamente al dramma della vita umana.
Senza queste componenti costitutive non è possibile delineare la
vera identità del teologo. Di conseguenza, va esclusa qualsiasi definizione
che restringe la funzione del teologo a semplice ripetitore della dottrina
del magistero. In verità, il teologo è chiamato a immergersi sempre più
nelle inesauribili profondità del mistero di Dio, tramite l’esercizio responsabile della propria libertà intellettuale e della propria capacità creativa e
interpretativa illuminate dallo Spirito Santo. Così facendo, sarà in grado
di leggere i segni dei tempi in modo da indicare agli altri le ragioni per
confrontarsi con il kerygma cristiano come annuncio di salvezza che porta
176
177
CTI, Teologia oggi, 20-58.
CTI, Teologia oggi, 54.
178
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
in sé una forza rilevante, provocante, significativa e quindi tutt’altro che
irrazionale.
Tale creatività e libertà poggiano però sulla vita interiore e sulla
esperienza della preghiera come condizione della vera conoscenza dei misteri rivelati. Qui emerge con tutta evidenza l’esortazione di san Francesco contenuta nella Lettera a fra Antonio: “Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in tale occupazione, tu non estingua lo spirito della santa
orazione”178. Infatti, solo attraverso l’esperienza interiore e personale della
fede, il teologo (profeta d’oggi) potrà partecipare al pathos divino, alla passione, ai sentimenti di Dio stesso in quanto coinvolto nella storia umana 179.
Senza questa partecipazione sarà estremamente difficile che il teologo possa
diventare profeta e testimone capace di evangelizzare.
Le condizioni riportate sopra costituiscono la prima e la fondamentale evangelizzazione che avviene nel teologo come soggetto in cui il Vangelo trova accoglienza. In lui il Vangelo trova una certa traductio in grado di
evangelizzare l’altro, perché viene reso da lui provocante, attraente, credibile
e razionalmente giustificabile. Qui appare anche il paradosso della rivelazione in quanto Dio, esponendosi al rischio della libertà dell’uomo180, accetta di dipendere dalla qualità della vita e della testimonianza del teologo
per manifestarsi al mondo donandogli la verità su se stesso.
3.2.2. Il teologo sul palcoscenico pubblico ed evangelizzazione “ad
extra”
L’altro versante dell’evangelizzazione è quello “ad extra”, in quanto
la Chiesa deve rispondere al mandato di Cristo di portare il Vangelo in tutto il mondo e di mettersi a servizio di ogni uomo e di tutta l’umanità. Oggi
nel mondo occidentale l’evangelizzazione sembra attraversare una “seconda
ondata” in quanto la Chiesa si trova a dover fronteggiare una civiltà scristianizzata o piuttosto indifferente verso la fede. Nella cultura contemporanea caratterizzata dal predominio della razionalità funzionale, si assiste ad
uno spostamento della dimensione filosofica, etica e religiosa dalla sfera
pubblica e civile alla coscienza soggettiva e individuale. Escludendo dall’ambito pubblico le questioni relative al senso del vivere, alla causa dell’essere o
alla finalità dell’esistenza umana, si è portati a concepire l’idea di Dio come
opzione legittima (o tollerata) di un sentimento esclusivamente privato. Fare
178
Fonti Francescane (=FF), 252.
Cfr. M. GRILLI, Il pathos della Parola. I profeti di Israele, Milano 2000.
180 Cfr. P. MARTINELLI , “La testimonianza cristiana come linguaggio per la missione evangelizzatrice della Chiesa oggi”, 138-139.
179
179
CAPITOLO QUARTO
della fede un mondo culturale distinto e appartenente alla privacy significa
trascurare il fatto che il trascendente è in relazione ad ogni sfera umana come principio che anima e fonda il suo significato e valore; in altre parole,
da un lato si nega l’immanenza del trascendente, dall’altro invece si impoverisce il valore della sfera sociale in quanto resta chiusa in se stessa, incapace
di guardare al di là dei propri confini181.
Nella prassi richiesta dalla nuova evangelizzazione il compito del
teologo sarà quello di ripristinare il volto pubblico della fede attraverso il
lavoro scientifico e testimoniare la valenza universale del Vangelo in quanto
indirizzato a tutta l’umanità. Qui emerge uno dei ruoli che la teologia potrebbe svolgere rispondendo all’appello dell’evangelizzazione.
Recentemente G. Ferretti ha elaborato una proposta concreta incentrata su tre elementi essenziali e congiunti reciprocamente che possono essere di aiuto al teologo nello svolgimento del suo compito legato alla nuova evangelizzazione che lo impegna a rendere ragione della natura pubblica e sociale della fede: il dono di Dio (la grazia), l’intelligenza (la comprensione del senso e della verità di ciò che viene proposto alla fede), la
libertà (come libera scelta umana di aderire al contenuto e di farlo proprio). Solo in questo modo la teologia come “volto pubblico” della fede –
manifestato soprattutto nell’ambiente accademico e universitario dove la
fede si confronta inevitabilmente con l’istanza critica della ragione – potrà
mostrare il suo valore antropologico, il suo statuto epistemologico, la sua
valenza veritativa, non limitandosi soltanto alla riflessione sui contenuti
della fede cristiana, ma misurandosi anche con le letture dei non credenti
o delle altre scienze182. Inoltre, benché i tre elementi sopramenzionati non
costituiscano necessariamente una novità assoluta nella discussione sul
rapporto tra fede e ragione, assumono uno spessore di rilievo nel contesto
della nuova evangelizzazione183.
Iniziando con il dono di Dio che fa nascere la fede, va precisato che
non dovrebbe essere inteso meramente come una qualche misteriosa ispirazione interiore o un intervento straordinario di Dio nell’interiorità dell’individuo, ma dovrebbe essere riscoperto come una vicenda storica e pubblica, la
storia di Israele e al suo culmine la figura storica di Gesù di Nazareth184.
181 Cfr. G. MANZONE, “Testimoniare la fede nel sociale”, in M. COZZOLI (ed.), Pensare professare vivere la fede. Nel solco dell’esortazione apostolica “Porta fidei”, 549-550.
182 Cfr. G. FERRETTI, “La teologia, volto pubblico della fede”, in Studia Pathavina 59 (2012),
153.
183 Cfr. G. FERRETTI, Filosofia e teologia cristiana. Saggi di epistemologia ermeneutica, Napoli 2002, 11-146.
184 Cfr. G. FERRETTI, “La teologia, volto pubblico della fede”, 154.
180
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
Dio si rivela non solo attraverso l’uomo, ma come uomo e nell’uomo, nella
sua storia particolare che però ha un valore universale e riguarda tutti185. La
rivelazione che chiama alla fede non è dunque un dono di Dio fatto ad alcuni
e negato agli altri, bensì un dono pubblico, accessibile a tutti. Solo a questa
condizione e solo facendo emergere tutta la plausibilità di questa verità, la
teologia sarà in grado di dimostrare un “volto pubblico” della fede186.
Secondo Ferretti il merito della fede è di rappresentare un tipo di intelligenza spirituale – religiosa e sapienziale, capace di leggere nel mondo, nella storia, nelle singole persone e nei fenomeni culturali il manifestarsi del divino, in modo un po’ simile a come l’intelligenza estetica è in grado di leggere
la bellezza nella natura e nell’arte, o a come l’intelligenza empatica è in grado
di leggere i sentimenti altrui, oppure a come l’intelligenza filosofica è in grado
di leggere e interpretare l’apertura dell’uomo alla ricerca del senso. Tra i maggiori ostacoli che negano alla fede la sua specifica razionalità si incontra la riduzione del sapere umano alla sfera della “ragione scientifico–oggettiva” o oggettivante, percepibile soltanto empiricamente. Perciò la teologia dovrà contribuire ad “allargare i confini della ragione” per far rientrare in essi il contenuto della fede. I teologi, in primis, dovrebbero avere il coraggio di presentare
i contenuti della fede come accessibili all’intelligenza umana, eventualmente
“rieducata” a cogliere il senso dei valori umani fondamentali, delle più autentiche possibilità umane; educare a interrogarsi sui grandi problemi esistenziali
e sociali che ci assillano: il male, la violenza, le ingiustizie, la sofferenza, la finitezza umana, l’orizzonte ineludibile della morte, la dialettica della libertà
con la sua dignità e la sua ambiguità, il desiderio della vita, il bisogno
dell’amore ecc. È nell’ambito di tali problemi che interviene la teologia, con la
sua intelligenza della fede, offrendo una chiave interpretativa di senso, che di
per sé illumina e fa vedere più in profondità. Non ci può essere educazione
alla fede se non c’è un’educazione dell’intelligenza al senso dell’umano187. È
l’umano che indica la migliore trasparenza del divino nella nostra vita; questa
verità ha trovato la sua piena realizzazione nella persona di Gesù Cristo, Dio
fatto uomo. Tale atteggiamento del teologo disposto ad affrontare i temi fondamentali esprime la sua incrollabile fiducia nella ragione umana diretta alla
ricerca della verità in tutte le espressioni. Inoltre il suo lavoro sarà apprezzato
e sarà maggiormente credibile nella misura in cui sarà pervaso da un’appassionata e costante ricerca della verità ultima, passando dall’iniziale mera-
185
Cfr. G. GISMONDI, Fede e cultura scientifica, Bologna 1993, 181.
Cfr. G. FERRETTI, “La teologia, volto pubblico della fede”, 154.
187 Cfr. G. FERRETTI, “La teologia, volto pubblico della fede”, 154-156.
186
181
CAPITOLO QUARTO
viglia a forme di sapere sistematico e scientifico 188. In terzo luogo, il volto
pubblico della fede evidenziato dalla teologia emerge con la trattazione del
tema della libertà. La conoscenza propria della teologia perderebbe il suo valore e la sua natura se pretendesse di ridurre il suo contenuto a un semplice
oggetto verificabile o afferrabile sensibilmente. La verità di Dio nella forma
testimoniale non si impone all’uomo nella forma dell’evidenza razionale incoercibile ma si offre alla libertà dell’uomo, chiedendo riconoscimento 189.
Se la fede poggia sul dono libero di Dio trascendente e ultramondano che si
auto-comunica all’uomo, se rappresenta una conoscenza che riguarda l’essere
umano nella sua totalità, allora la teologia diventa una risposta – proposta,
senza imporsi con l’evidenza naturale alla ragione, altrimenti contraddirebbe
se stessa e quindi si mostra come intelligenza da accettare con un atto, non
esclusivamente intellettuale, ma del tutto personale, totale e libero190. La conoscenza attraverso la testimonianza, propria della teologia, permette di percepire la verità non tanto come concetto astratto ma come Persona191. Con
questa conoscenza è in gioco tutto l’essere dell’uomo perché di fronte
all’atto con cui Dio gli offre il suo amore ogni oggettivazione svuoterebbe il
rapporto tra Dio e l’uomo del suo carattere interpersonale. E anche se non
tutti rispondono a tale dono in modo positivo o non rispondono affatto,
questo non toglie alla fede la sua dimensione sociale. Anzi, il suo carattere
pubblico sta proprio nella capacità interpellativa per cui l’uomo è chiamato
ad auto-determinarsi di fronte alla Libertà Assoluta che fonda la sua libertà.
La libertà umana è quindi un presupposto affinché l’atto di comunicazione
da parte di Dio possa essere veramente un atto di amore; dall’altra parte la
libertà è necessaria perché l’uomo possa accogliere e rispondere con un atto
di fede pienamente integrale192.
188
Cfr. M. MIDALI, “Evangelizzazione nuova. Rilevanti indicazioni di Fides et ratio”, in M.
MANTOVANI – S. THURUTHIYIL – M. TOSO (a cura di), Fede e ragione. Opposizione, composizione?, Roma 1999, 261-261.
189 Cfr. P. MARTINELLI , “La testimonianza cristiana come linguaggio per la missione evangelizzatrice della Chiesa oggi”, 147.
190 Cfr. G. LORIZIO, “Per una rinnovata professione di fede: riscoprire e pensare la fede oggi”, in M. COZZOLI (ed.), Pensare professare vivere la fede. Nel solco dell’esortazione apostolica “Porta fidei”, 161-165.
191 Cfr. H. DE LUBAC, La rivelazione divina e il senso dell’uomo, Milano 1985, 49; cfr. P.
MARTINELLI , “La testimonianza cristiana come linguaggio per la missione evangelizzatrice
della Chiesa oggi”, 147.
192 Cfr. G. LORIZIO, “Per una rinnovata professione di fede: riscoprire e pensare la fede oggi”, in M. COZZOLI (ed.), Pensare professare vivere la fede. Nel solco dell’esortazione apostolica “Porta fidei”, 161-165.
182
VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI
Anche questa problematica apre alla teologia lo spazio per partecipare alla vita pubblica e offrire il proprio contributo con la sua visione
dell’uomo illuminata dalla rivelazione. Così facendo, la teologia presta un
servizio prezioso al dialogo tra il cristianesimo e la società odierna, come
pure all’elaborazione della proposta della nuova evangelizzazione. Questo
sarà possibile nella misura in cui il messaggio cristiano sulla libertà riuscirà
a tradurre in termini comprensibili la dialettica tra autorità e libertà e a indicarne i criteri per una corretta soluzione. Proprio nell’odierna civiltà laica
e secolarizzata che pretende di basare il suo status sul principio della libertà
e sulla sua concretizzazione nel sistema democratico, il cristianesimo si propone come una “religione della libertà” che mette in evidenza la libertà come elemento integrante e costitutivo del proprio messaggio. Il cristianesimo
ha considerato forse per troppo tempo la libertà religiosa come una semplice concessione alla modernità, invece di considerarla come un principio positivo, un diritto fondamentale di ogni essere umano193. Di fronte a questa
sfida lanciata dalla contemporaneità, sembra giustificabile la proposta di
partire dal principio della libertà religiosa, per elaborare una particolare interpretazione del ruolo dell’autorità ecclesiastica. La dinamica autoritativa
interna alla Chiesa andrebbe pensata, in conformità all’essenza stessa della
rivelazione, non tanto sul modello ‘comando – obbedienza’, ma su quello
‘autorità – fiducia’194.
In conclusione, si vuole sottolineare che le sfide affrontate dalla teologia nel contesto contemporaneo sembrano mostrare la necessità di riprendere la trattazione e l’approfondimento dei tre momenti nella loro reciprocità: un diagnosi sulla cultura d’oggi, la teologia della testimonianza e
l’impegno del teologo nella missione evangelizzatrice. A questo punto la
teologia si sentirà in dovere di assumere innanzitutto un atteggiamento di
ascolto, di riflessione descrittiva, critica e interpretativa e poi di elaborare
una proposta capace di essere una offerta di senso che tenga conto della
condizione dello spirito umano continuamente interpellato dalle sue domande, aspirazioni, ricerche e speranze. Infine l’impegno della teologia si
dovrà basare sul fatto che nelle nuove condizioni storico–culturali il Vangelo diventa un appello alla libertà umana, per cui non si impone con
un’evidenza oggettiva, ma si propone con la sua intrinseca credibilità che
solo nell’amore trova la sua suprema plausibilità195. Quanto è stato esposto
193
Cfr. L. SAVARINO, “Introduzione”, in ID. (a cura di), Laicità della ragione, razionalità
della fede? La lezione di Ratisbona e repliche, Torino 2008, 18.
194 Cfr. L. SAVARINO, “Introduzione”, 18, nota 32.
195 Cfr. H. URS VON BALTHASAR, Solo l’amore è credibile, 53-144.
183
CAPITOLO QUARTO
sin qui sembra almeno in parte rispondere alle esigenze della nuova evangelizzazione a livello universitario, accademico e scientifico. È a questo livello
che sta operando e compiendo la sua missione la teologia, intesa come una
forma riflessiva e critica dell’esperienza di fede.
184
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
CAPITOLO V
EVANGELII GAUDIUM
DI PAPA FRANCESCO – LA GIOIA DI PORTARE
CRISTO AL MONDO
1. Le considerazioni introduttive e una adatta ermeneutica del
testo
Datata il 24 novembre 2013, giorno della chiusura dell’Anno delle
fede, l’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium1, è stata
pubblicata martedì 26 novembre del medesimo anno. La lettura del documento ha bisogno di essere preceduta, da una parte, da una riflessione sulla
condizione della Chiesa e dalla presentazione della personalità stessa del
nuovo papa, della sua specifica esperienza pastorale di prima, delle sue idee,
della sua ‘visione della Chiesa’, ecc. In seguito l’esposizione e l’intento di far
emergere i contenuti principali del documento insieme alle ulteriori risonanze tra i fedeli che vanno collocati nell’ampio orizzonte della situazione
della Chiesa e del contesto storico sul piano mondiale. Tuttavia, poiché abbiamo ancora a che fare con un pontificato relativamente breve, anche se denso di vari eventi avvenuti nella Chiesa e attraverso la Chiesa verso il mondo,
ci sembra giusto rendere all’inizio una sintetica presentazione di papa Francesco e delineare la condizione della Chiesa in questo determinato contesto
storico.
1.1. La breve biografia di papa Francesco e il programmatico significato del nome
Papa Francesco, all'anagrafe Jorge Mario Bergoglio, nasce a Buenos
Aires il 17 dicembre 1936 all'interno di una famiglia le cui origini sono italiane, nello specifico piemontesi. Prima di entrare in seminario i suoi studi
iniziali appartengono all'area scientifica chimica. È nell'anno 1958 che entra
a far parte come novizio della Compagnia di Gesù: con tale organizzazione
1
AAS 12 (2013) 1019-1137.
185
CAPITOLO QUINTO
trascorre un periodo in Cile, torna poi nella sua città natale dove perfeziona
il percorso di studi e consegue la laurea in filosofia.
A partire dall'anno 1964 insegna letteratura e psicologia nei collegi
di Santa Fè e Buenos Aires, per tre anni. Diventa sacerdote a 33 anni il giorno 13 dicembre 1969.
Seguono alcune altre esperienze di insegnamento, poi Jorge Mario
Bergoglio ricopre la carica di rettore della facoltà di teologia e filosofia a
San Miguel. Diviene in seguito Provinciale dell'Argentina; nel 1986 si reca in
Germania presso la facoltà filosofico-teologica Sankt Georgen di Francoforte
con l’intenzione di completare il proprio dottorato in teologia. Il tema della
ricerca riguardava il teologo Romano Guardini però il progetto non andò in
porto2. Tornato di nuovo in patria, nella città di Córdoba, è chiamato ad
essere direttore spirituale e confessore della locale Chiesa della Compagnia
di Gesù. Il futuro papa Francesco, il giorno 20 maggio 1992, viene nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires e titolare di Auca.
La carriera ecclesiastica prosegue con un balzo in avanti quando il 3
giugno 1997 è nominato arcivescovo coadiutore di Buenos Aires. Alla morte
del cardinale Antonio Quarracino, gli succede il giorno 28 febbraio 1998 diventando di fatto la figura religiosa più importante dell'intera Argentina.
Sempre nel 1998, dal giorno 6 novembre, è anche ordinario per i fedeli di
rito orientale in Argentina.
Papa Giovanni Paolo II lo nomina cardinale il 21 febbraio 2001; con
il titolo di San Roberto Bellarmino viene eletto a capo della Conferenza
Episcopale Argentina, carica che ricopre dal 2005 al 2011. Dopo il lutto di
Karol Wojtyła, Jorge Mario Bergoglio è considerato uno dei candidati più in
vista per l'elezione a nuovo Pontefice, nel conclave del 2005. Verrà eletto Joseph Ratzinger, ma secondo alcune notizie trapelate dopo il conclave, l'argentino sarebbe stato proprio il nome più votato dopo quello del nuovo
papa. Lo stesso Ratzinger sarebbe stato fra i cardinali che avrebbero appoggiato l'elezione di Bergoglio.
Dopo la rinuncia alla carica di pontefice di papa Benedetto XVI, il
nuovo conclave elegge Jorge Mario Bergoglio come suo successore nella sera
del 13 marzo 2013: il nuovo pontefice assume il nome di papa Francesco. È
il primo papa non europeo, è il primo papa gesuita e il primo a farsi ispirare da Francesco d'Assisi nella scelta del nome, esprimendo da subito sensibi-
2
„Zu einem Abschluss in Sankt Georgen ist es nicht gekommen“. In http://www.sanktgeorgen.de/nachrichten/nachrichten-2013.html.
186
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
lità verso i simboli che il santo reca nella sua figura così come nel suo messaggio di semplicità e umiltà3.
Per individuare la ragione per cui il papa ha scelto il nome del
Santo d’Assisi ci riferiamo alla sua convinzione che il fondatore dei francescani possa aiutare tutta la Chiesa a cominciare una riforma profonda
della vita spirituale. San Francesco amava talmente Gesù da avere il privilegio di identificarsi totalmente con Lui fino a ricevere le stigmate della
sua passione. Richiamando i nostri sguardi su san Francesco, il papa invita i
cristiani a imitare il poverello d’Assisi in modo da portare anche noi, dappertutto e sempre, le sofferenze della morte di Gesù (2Cor 4,10; Gal 6,17). Per il
papa la sequela di Gesù sulle orme di san Francesco non può mai sperare altro che la strada, esigente e ispida, disseminata di insidie, di Gesù.
San Francesco ha vissuto, anche lui, in un’epoca di crisi morale, spirituale e politica. La Chiesa sembrava crollare. Gesù ha chiesto a Francesco
di riparare la sua Chiesa; si trattava di tutta la Chiesa in rovina, simbolizzata
e rappresentata dalla basilica di San Giovanni in Laterano, che papa Innocenzo III ha visto in sogno, piegata e pronta a crollare giù. Il papa vide anche una figura umile vestita di un povero abito che la sosteneva con le sue
spalle e le impediva di cadere. Oggi, come negare che esiste un rilassamento
morale in alcuni uomini della Chiesa? Il carrierismo e la tentazione della
mondanità sono mali morali gravi e reali.
Infine san Francesco fu un grande evangelizzatore. Andò fino in
Marocco e in Egitto per cercare di convertire i musulmani. La missione restava iscritta a lettere d’oro nel fondo della sua memoria. Ha voluto che il
Vangelo fosse la sua unica luce. La Parola di Dio è al cuore della sua regola.
Papa Francesco vuole porsi in questa grande scia. Come discepolo di
Sant’Ignazio di Loyola rappresenta anche lo slancio di un vero missionario
ed il compito di discernere e distinguere il bene dal male4.
1.2. Le caratteristiche del pontificato e il loro significato per la Chiesa
1.2.1. Propositiones
Da quanto riferisce P. Gheddo quattro giorni prima di essere eletto
papa, il cardinale Bergoglio aveva parlato ai cardinali nei loro incontri prima del Conclave. Un breve intervento su come lui concepiva la Chiesa nel
contesto d’allora era stato contenuto in alcuni appunti di cui autorizzò la
3
Cfr. V. MESSORI, La Chiesa di Francesco. La sfida del cristianesimo tra crisi e speranza,
Milano 2013, 107-128.
4 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 129-130.
187
CAPITOLO QUINTO
pubblicazione. L’intervento, fatto a braccio, pur essendo breve era interessante perché delineava bene quello che poi ha iniziato a realizzare nel primo
periodo del suo pontificato. In primo luogo dice che la Chiesa è nata per
evangelizzare. Questo implica zelo apostolico e significa che la Chiesa deve
uscire da sé stessa per “andare verso le periferie, non solo quelle geografiche,
ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore,
dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero e di ogni forma di miseria”. In secondo luogo, afferma che, se la Chiesa
non esce da sé stessa per evangelizzare diventa autoreferenziale e si ammala.
I mali delle istituzioni ecclesiastiche hanno questa radice e creano una sorta
di narcisismo teologico. Gesù sta alla porta e bussa per entrare. Però, come
scrive Bergoglio, a volte Egli bussa da dentro, affinché lo lasciamo uscire. La
Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo
lascia uscire. Nel terzo postulato, asserisce che quando la Chiesa è autoreferenziale, senza rendersene conto crede di avere luce propria: allora viene
quel male così grave che è la mondanità spirituale, ossia quel vivere per darsi
gloria gli uni con gli altri. In altri termini, ci sono due immagini di Chiesa:
la Chiesa evangelizzatrice che esce da sé stessa e la Chiesa mondana che vive
in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme
da realizzare. Infine, quanto al prossimo papa, preannuncia che dovrebbe
essere un uomo che, attraverso la contemplazione e l’adorazione di Gesù
Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da sé stessa verso le periferie esistenziali, che
la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e confortante gioia
dell’evangelizzazione” (Paolo VI)5.
A rendere pubblico l’intervento di Bergoglio nel pre-conclave è stato
il cardinale dell’Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino, nell’omelia della messa crismale celebrata il 23 marzo 2013 nel duomo della capitale di Cuba, alla
presenza del nunzio apostolico, l’arcivescovo Bruno Musarò, dei vescovi ausiliari Alfredo Petit e Juan de Dios Hernandez, e del clero della diocesi. Il
cardinale Ortega ha confessato che dopo l’intervento di Bergoglio nel preconclave si era avvicinato a lui chiedendogli se aveva un testo scritto da poter conservare. Bergoglio rispose che al momento non l’aveva. Però il giorno
dopo con estrema delicatezza gli consegnò l’intervento scritto di suo pugno
tale come lo ricordava. Ortega gli chiese se poteva diffondere il testo e Bergoglio disse di sì6.
5
Cfr. P. GHEDDO, Missione senza se e senza ma, 245-246.
Cfr. S. MAGISTER, “Le ultime parole di Bergoglio prima del conclave”, in http://Chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350484
6
188
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
In tal modo si viene a sapere che molte idee enunciate e lanciate da
papa Francesco non sono nate all’improvviso con la sua elezione e determinate dalla situazione della Chiesa in cui il neo-papa si è venuto a trovare,
bensì erano già presenti nella sua precedente visione della Chiesa, della sua
vocazione e del suo agire conforme alle sfide della cultura moderna.
1.2.2. Le linee principali del programma di papa Francesco
Dato che è ancora breve, appare difficile disegnare un quadro complessivo ed esaustivo di questo pontificato che si distende nell’arco di soli
tre anni. Tuttavia gli elementi del programma presentati nell’intervento di
“pre-conclave” ai cardinali, si sono già verificati nei primi anni del suo servizio come pastore della Chiesa universale. Il tentativo di un certo bilancio
del papa venuto “quasi dalla fine del mondo” offre almeno tre coppie di
espressioni che evidenziano la sua novità e peculiarità7. La prima sarebbe
“l’autoreferenzialità – la Chiesa in uscita”. ‘Autoreferenziale’ è un termine che
pone al centro di tutti i rapporti se stesso, e tale sarebbe una Chiesa che cercasse la propria affermazione e il proprio interesse e non la gloria di Dio e la
salvezza degli uomini. ‘In uscita’ è la Chiesa proiettata verso il suo Signore,
tesa a celebrarne il primato nell’ascolto obbediente e nell’adorazione, rivolta al
tempo stesso agli uomini, alle loro necessità più profonde, al servizio della loro salvezza eterna. Le ragioni per cui la Chiesa è chiamata a essere sempre in
‘uscita’ risiedono anzitutto nel comando di Gesù di portare il Vangelo in tutto il mondo8. Innanzitutto c’è l’urgenza di portare la Buona Novella ai più
piccoli. Inoltre, a spingere verso ‘l’uscita’ missionaria è il bisogno di luce e di
salvezza degli uomini verso coloro che stanno ‘nelle periferie’ di ogni genere,
verso le persone dimenticate, trascurate, alle quali è stata rubata la dignità, il
significato e il valore come creature volute da Dio per diventare suoi figli. Tra
questi ‘lontani’ ci sono anche quelli che sul piano esistenziale vivono la profonda nostalgia di Dio, o parlando in termini filosofici, del Totalmente Altro,
ma non conoscono la strada e il modo di trovare un rimedio ad essa.
La seconda coppia di espressioni congiunge “la cultura dello scarto”
all’idea di una “Chiesa povera per i poveri”. C’è un’indole del rifiuto – diceva il papa il 12 gennaio – che induce a non guardare al prossimo come a un
fratello da accogliere, a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita,
a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare… Si
tratta di una mentalità che genera quella ‘cultura dello scarto’ che non ri7
Cfr. B. FORTE, “Il bilancio di tre anni di pontificato. Francesco parla alle periferie
dell’uomo”, in Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2015, 1 e 10.
8 Cfr. Mc 16,15.
189
CAPITOLO QUINTO
sparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino Dio
stesso. Da essa nasce un’immagine ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta. Da qui scaturisce il tragico fenomeno definito
come “una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi”. A questa situazione il pontefice non contrappone alcuna idea di potenza mondana risolutrice. Facendo appello alla responsabilità di tutti popoli, egli vede determinante la testimonianza di povertà che la Chiesa può dare, fondata sulla
persona di Gesù povero e sulla fiducia non nei mezzi umani, ma nella fede
in Dio, da qui si comprende la sua esclamazione del 16 marzo 2013: “Come
vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Povera è una Chiesa che considera
sua unica ricchezza la fede nel Signore e il dono del Suo amore. Essa è ‘per i
poveri’ se – rifiutando ogni logica di grandezza mondana e di potere – è disposta a mettersi in gioco per la dignità di tutto l’uomo in ogni uomo. Proprio così, negando la logica egoistica dello scarto, essa si pone come un segno a favore della gratuità, del dono di sé come forma autentica dei rapporti
umani, sola possibilità rivoluzionaria nei confronti dei calcoli di sopraffazione che avvelenano gli animi e li fanno scivolare verso il conflitto e la legge spietata della forza.
Infine papa Francesco punta spesso su una “globalizzazione dell’indifferenza”, come conseguenza planetaria della “cultura dello scarto” e del predominio dell’interesse egoistico individuale o di parte: ad essa egli contrappone “l’amore del creato”. Lo esprime in modo chiaro e semplice nella sua
omelia di inaugurazione del pontificato:
La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha
una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda
tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco
d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni persona, con amore, specialmente
dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso
sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro
nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano
custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un
reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto, e nel bene9.
9
PAPA FRANCESCO, L’omelia dell’inaugurazione del pontificato, (19 marzo 2013), in
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130319_omelia-inizio-pontificato.html.
190
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Primo “custode” di tutti con la tenerezza del suo amore è il Dio vivente, così presentato dalla Bibbia: “Il Signore è il tuo custode, il Signore è
la tua ombra e sta alla tua destra”10. Custoditi dal Dio pieno d’amore, accolti dal suo perdono, gli uomini imparano a custodirsi con l’amore responsabile, ad essere sensibili e aperti alle necessità e alle condizioni in cui vivono
gli altri, riconoscendo che l’accesso ai beni della natura deve essere garantito
a tutti, è un diritto che appartiene ad ogni uomo che adoperi le ricchezze e
le risorse del creato in modo responsabile, ugualmente per il bene proprio
come della comunità umana. Deve essere consapevole di non considerare se
stesso padrone del creato, ma come un ‘utente’ al quale è stato affidato il
dono del creato al fine di poter cooperare con Dio nell’atto creatore.
1.2.3. L’attività pastorale: viaggi apostolici
Nel contesto della sfida missionaria e della concezione della Chiesa
chiamata a portare il Vangelo alle periferie del mondo e dell’uomo, papa
Francesco, sulle orme dei suoi predecessori, ha piena coscienza del valore e
della necessità dei viaggi apostolici. I viaggi non hanno solo carattere diplomatico in quanto egli incontra le varie autorità essendo il sovrano dello
Stato di Città del Vaticano, ma hanno soprattutto il valore missionario di
annunciare il Vangelo. Qui ne riportiamo solo alcuni. Il primo viaggio
all’estero è stato quello in Brasile nel 2013 in occasione della Giornata
Mondiale della Gioventù, per incontrare milioni di ragazzi affamati della
Parola di Dio. Successivamente si è recato in Terra Santa, dove ha espresso
sia il diritto di esistenza dello Stato di Israele che il diritto di dignità per il
popolo palestinese, dichiarando anche stima e vicinanza alla comunità musulmana. La motivazione della visita era anche quella di ricordare lo storico
abbraccio tra Paolo VI e Atenagora che anticipò l’annullamento delle reciproche scomuniche e rappresentò la pietra miliare del dialogo interreligioso.
Nel 2014 a breve distanza, ha compiuto le visite in Corea del Sud e Albania.
In questa occasione il papa ha dichiarato che il governo di Seul deve continuare nella sua ricerca della pace ed essere garante della stabilità dell’intera
area e del mondo intero, stanco delle guerre. In Albania il discorso è stato
centrato sulla convivenza pacifica delle religioni per favorire la governance,
sulla tolleranza e l’equilibrio delle etnie. In seguito il papa ha fatto un controverso viaggio in Turchia, iniziato con l’incontro con il patriarca Bartolomeo I con il quale ha condiviso la preoccupazione per il Medio Oriente,
la Siria e l’Iraq e la volontà di favorire la risoluzione dei conflitti in queste
aree e promuovere l’equilibrio regionale; poi Bergoglio ha parlato del geno10
Sal 121,5.
191
CAPITOLO QUINTO
cidio degli Armeni, seguito da quelli provocati dal nazismo e dallo stalinismo. La ragione di queste dichiarazioni non può essere che rivendicare il
proprio ruolo di unico capo indiscusso dei cattolici del mondo, ma anche
definire la questione politica del genocidio sempre per i motivi del politically correct garbatamente snobbato dai leader politici perché troppo scomodo.
Anche il viaggio in Sri Lanka è stato molto significativo, alla presenza delle
maggiori tradizioni asiatiche ha dichiarato che la religione non deve essere
usata coma causa di violenza, condannando il fondamentalismo religioso.
Inoltre ha esortato le popolazioni dello Sri Lanka a proseguire sulla strada
della riconciliazione dopo anni di guerra civile. Più dimesse le visite a Sarejevo e in Ecuador, Bolivia e Paraguay, incentrate sulla condanna del Dio denaro e sulla promozione dell’imprenditoria etica. Nella condanna a chi calpesta i diritti dei più poveri, Bergoglio ha deciso di dare forza e credibilità al
suo discorso condannando le azioni della Chiesa negli anni del colonialismo e della conquista dell’America. La scelta di visitare in un unico viaggio
due paesi: Cuba e Stati Uniti non può che essere un apprezzamento per
l’avvicinamento dei due stati storicamente contrapposti. Le dichiarazioni
sull’economia, la condanna del sistema capitalista e le blande critiche al governo di Cuba hanno prodotto delle critiche di ‘comunismo’ che il papa ha
evaso con battute di spirito. La visita negli USA si è delineata sui temi sociali, con l’intento di trattare le questioni come povertà ed immigrazione. Di
grande risonanza è stata la Giornata Mondiale delle Famiglie a Philadelphia
con la partecipazione del papa che ha preceduto il Sinodo Ordinario dei Vescovi sulla Famiglia; indubbiamente tra i temi principali e fondamentali durante quel viaggio c’erano: il valore, l’importanza, la necessità della famiglia
e la promozione dei movimenti e della politica pro-life. Il viaggio in Africa,
alla fine del mese di novembre 2015 dimostra la premura, la vicinanza e la
sensibilità della Chiesa verso i paesi scossi dai conflitti, dalle guerre civili,
dall’estrema povertà e miseria. Le sofferenze dei popoli di Kenya, Uganda e
Repubblica Centrafricana stanno profondamente nel cuore di papa Francesco per cui guida tutta la comunità ecclesiale al maggior possibile impegno a
favore della pace e dei diritti di ogni etnia e comunità in quella parte del
mondo. Nel contesto dell’opera missionaria della Chiesa è stata molto significativa l’omelia predicata in Uganda il 28 novembre 2015 in cui il papa ha
concentrato la sua riflessione sulla testimonianza di fede dei martiri ugandesi che con il loro sangue hanno annunciato la morte e la risurrezione di
Cristo11. Il giorno dopo, a Bangui, in Repubblica Centrafricana ha aperto la
11
Cfr. FRANCESCO, L’omelia durante la Santa Messa per i martiri dell’Uganda nel Santuario dei Martiri Ugandesi di Namugongo, il 28 novembre 2015 in L’Osservatore Romano,
192
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Porta Santa della Cattedrale iniziando in anticipo l’Anno del Giubileo
Straordinario della Misericordia, un gesto estremamente simbolico che sottolinea l’universalità della Chiesa e l’opera evangelizzatrice che coinvolge
tutti i cristiani: la Porta Santa aperta non a San Pietro in Vaticano, ma al
duomo di Bangui! L’Anno Santo inaugurato non a Roma, ma in Africa! In
quell’occasione il papa proclama la pace e la misericordia dovunque nel
mondo si sente in modo più acuto e doloroso il peso della croce della guerra:
Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo
della Misericordia viene in anticipo in questa Terra. Una terra che
soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre.
Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono,
amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il
mondo, per i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace! E tutti
insieme chiediamo amore e pace. Tutti insieme! E adesso con questa
preghiera incominciamo l’Anno Santo: qui, in questa capitale spirituale del mondo, oggi!12.
Questi viaggi dimostrano anche l’apertura del papa verso tutti gli
uomini, insistendo sulle famiglie, sui giovani, sui bambini, sui rappresentanti delle altre comunità cristiane e delle altre religioni, sui governanti, sui poveri, gli oppressi e i sofferenti. A prima vista sono espressione dell’aspirazione della Chiesa di essere presente e partecipe negli affari a livello mondiale e internazionale; in fondo sono da considerare come forma per riconfermare e ricostruire la Chiesa pronta ad andare e uscire portando con entusiasmo il Vangelo del Signore.
2. Lo schema e i contenuti dell’esortazione
È evidente che questo paragrafo in relazione ai corrispettivi dei capitoli precedenti sarà alquanto più lungo, e questo per un semplice motivo: se
CLV n. 274, lunedì 29 novembre 2015, 8.
12 FRANCESCO, La preghiera in occasione dell’apertura della Porta Santa della Cattedrale di
Bangui e Santa Messa con sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti e giovani, il 29 novembre
2015, in L’Osservatore Romano, CLV n. 275, lunedì 30 novembre 2015.
193
CAPITOLO QUINTO
l’Ad gentes composta di 42 punti, l’Evangelii nuntiandi di 80 e la Redemptoriss missio di 92, la Evangelii gaudium con 288 punti supera almeno di tre
volte lo spessore dei precedenti documenti. Di conseguenza, anche
l’esposizione dell’esortazione di papa Francesco, in questo paragrafo 2 del
capitolo V, richiederà, ovviamente, uno spazio maggiore.
2.0. Introduzione (1-18)
Prima dei cinque capitoli il testo ha una parte introduttiva, che non
è abbondante, e che insiste sulla gioia cristiana, che diventa «la dolce e confortante gioia di evangelizzare»13, un’espressione del beato Paolo VI che
Francesco qui traduce nel suo linguaggio caratteristico: «un evangelizzatore
non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale»14. Ogni autentica
evangelizzazione si fonda su una costante creatività divina, perciò tale azione rimane sempre nuova15, tanto più che “il primo e il più grande evangelizzatore”16 è Gesù17. Papa Francesco cita inoltre ancora una volta un’espressione di Benedetto XVI secondo cui «la Chiesa non cresce per proselitismo»
– un’espressione che nel Magistero recente non indica la missione, ma le sue
modalità aggressive e poco rispettose del cammino delle persone – ma «per
attrazione»18. E poi riprendendo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, il più
frequente citato nel documento, asserisce che in nessun modo la critica del
proselitismo deve però portarci a «perdere la tensione per l’annunzio […]
perché questo è il compito primo della Chiesa»19. In più, la Chiesa o è missionaria o non è la Chiesa20. I temi di primaria importanza considerati dal
13
EG 10.
EG 10.
15 Cfr. EG 11.
16 EN 7.
17 Cfr. EG 12
18 B ENEDETTO XVI, Omelia nella Santa Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi presso il Santuario “La Aparecida” (13
maggio 2007), AAS 99 (2007), 437, citato da EG 14.
19 RM 34, citato da EG 15.
20 Sarebbe interessante lo studio mirato ad analizzare due aspetti della Chiesa: la sua finalità
e la sua missione, evidenziando da un lato la distinzione tra entrambi e, allo stesso tempo,
la loro inseparabilità. Come punto di partenza può essere utile il contributo di M. DE SALIS, “Evangelii gaudium: come distinguere, senza separare, il fine e la missione della Chiesa”, in Path 13 (2014) 2, 317-329. In modo incoativo e introduttivo si potrebbe pensare che
la finalità della Chiesa è quella di essere il germe sacramento del Regno di Dio in terra, come forma concreta della presenza dell’eterno nella storia; mentre la sua missione parte dal
mandato di Cristo (Mt 28,19-20) e si sviluppa con estensione nell’annuncio, nella celebra14
194
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
documento saranno: la riforma della Chiesa in uscita missionaria; le tentazioni degli operatori pastorali; la Chiesa come la totalità del Popolo di Dio
che evangelizza; l’omelia e la sua preparazione; l’inclusione sociale dei poveri; la pace e il dialogo sociale; e le motivazioni spirituali per l’impegno missionario21.
2.1. Capitolo I (19-49): “La trasformazione missionaria della Chiesa”22
2.1.1. La Chiesa in conversione
All’inizio del primo capitolo papa Francesco, citando san Giovanni
Paolo II rilancia l’appello alla conversione ecclesia: «Ogni rinnovamento
nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di
una specie d’introversione ecclesiale»23. Perciò la Chiesa si considera continuamente e contemporaneamente sia evangelizzata che evangelizzatrice. Anzi essa realizza un continuo cammino di conversione e di rinnovamento
come ha detto il Concilio Vaticano II: “Ogni rinnovamento della Chiesa
consiste … in una accresciuta fedeltà alla sua vocazione… è chiamata da Cristo a questa continua riforma”24 senza la quale «qualsiasi nuova struttura si
corrompe in poco tempo»25. Mentre il papato stesso cerca – sono ancora parole di Papa Wojtyła – «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una
situazione nuova»26. Questo vuol dire che “anche il papato e le strutture
centrali della Chiesa universale [e quindi pure dell’Ordine] hanno bisogno
di ascoltare l’appello alla conversione”27.
2.1.2. La conversione attraverso la missione
La conversione e l’accoglienza del Vangelo fanno nascere nei cuori
dei fedeli e in tutta la comunità della Chiesa una vera e profonda gioia, che
zione dei sacramenti, nella cura pastorale dei fedeli, nell’inculturazione, nell’impegno sociale ecc. (p. 319).
21 Cfr. EG 17.
22 Una netta allusione al famoso detto di Giovanni Paolo II: "La Chiesa o è missionaria o
non è più nemmeno evangelica": GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle Pontificie Opere Missionarie, (13 maggio 1986), in http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1986/may/documents/hf_jp-ii_spe_19860513_opere-missionarie.html.
23 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale, Ecclesia in Oceania (22 novembre 2001), 19: AAS 94 (2002), 390. citato da EG 27.
24 UR 6, cit. da EG 26.
25 EG 26.
26 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ut unum sint, 95, cit. da EG 32.
27 EG 32
195
CAPITOLO QUINTO
la spinge a condividerla con gli altri28. Perciò si auspica una Chiesa con le
porte aperte29 e “in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio-culturali30: una Chiesa che “si configura come comunione missionaria”31. Il carattere comunitario della missione mette
in rilievo che l’opera di evangelizzazione non è un atto individuale e privato,
ma svolto nella e con la Chiesa. Infatti il Vangelo lo abbiamo ricevuto dalla
Chiesa e lo viviamo in Essa, di conseguenza anche lo trasmettiamo con Essa.
2.1.3. L’intimità della Chiesa con Cristo e la gerarchia delle verità
In un momento in cui si parla tanto di riforme, il Papa afferma che
nella Chiesa ogni riforma non può che essere un ritorno alla centralità di
Gesù Cristo e all’intimo rapporto con Lui32. Infatti il nucleo dell’annuncio
risplende nella “bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù
Cristo morto e risorto”33. In effetti uscendo fuori e andando nelle periferie
si porta con il Vangelo la vera presenza di Cristo e del Suo amore. Il papa
riprende l’insegnamento conciliare34 che, se è vero che tutte le verità vanno
«credute con la medesima fede»35 e «non bisogna mutilare l’integralità del
messaggio del Vangelo»36, tuttavia tra le verità e le virtù37 c’è una gerarchia e
nell’evangelizzazione l’annuncio dell’amore, della salvezza dal peccato e della misericordia divina deve avere la priorità. È chiaro che tale misericordia
non deve avere nulla a che fare con un buonismo, irenismo, filantropia, tantomeno deve sfociare nel permissivismo o lassismo morale, ma è la pratica
dell’amore nella giustizia, anzi “la misericordia è il compimento della giustizia”38.
2.1.4. La Chiesa è la casa del Padre aperta sempre a tutti
Persino nella casa del Padre, anche se tutti sono amati con lo stesso
incommensurabile amore, non si può a buon mercato introdurre un princi28
Cfr. EG 21.
Cfr. EG 46.
30 EG 30 e BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale in occasione del 40 anniversario del decreto Conciliare Ad gentes, 337.
31 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici 31 (30 dicembre 1988): AAS 81 (1989), 393 ss., cit. da EG 23.
32 EG 23.
33 EG 36.
34 UR 11.
35 EG 36.
36 EG 39.
37 Cfr. EG 36-37.
38 Cfr. G.L. Müller, La speranza della famiglia, 46-49.
29
196
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
pio di uguaglianza o di appiattimento che facilmente potrebbe portare al relativismo sia dottrinale sia disciplinare. La “casa del Padre”, pur non creando nessuna “dogana” e nessun impedimento, non esclude di essere anche
una comunità che funziona grazie a certe fondamentali regole, non stabilite
dalla legge positiva, ma derivanti dalla legge divina rivelata storicamente o
attraverso la legge universale. Senza tale presupposto si rischia di introdurre
una convivenza caotica e confusionaria39. Questa affermazione ed auspicio
del papa, cioè che la Chiesa non crei le dogane, spesso è stata usata dai teologi o dai commentatori degli eventi ecclesiali, nell’ambito delle questioni
etiche relative soprattutto alla vita coniugale e familiare. In tale contesto il
valore spirituale e religioso non spiazza quello umano o empirico (nel senso
della famiglia nel suo attuale realismo) né lo impedisce o perfino appesantisce, ma al contrario lo sostiene, lo solleva, lo umanizza e lo sacralizza.
2.2. Capitolo II (50-109): “Nella crisi dell’impegno comunitario”
Contestualizzazione esterna dell’evangelizzazione d’oggi
Il secondo capitolo presenta gli ostacoli all’evangelizzazione, sempre
suscitati dallo «spirito cattivo». Alcuni sono esterni alla Chiesa ed altri sono
interni, presenti già dentro la comunità cristiana.
2.2.1 Il piano economico
L’evangelizzazione si realizza malgrado le molteplici difficoltà e i
contesti sfavorevoli. Per quanto riguarda gli ostacoli esterni, prima di tutto
il documento si sofferma sul piano socio-economico. Tali ostacoli derivano
dall’attenzione ossessiva all’economia dell’esclusione e dell’inequità 40, di una
«cultura del benessere»41 che liquida i poveri, i malati, gli anziani come scarti di produzione, “le masse di popolazione si vedono escluse ed emargina39
In altri termini non pochi commentatori consideravano le parole di papa Francesco come apertura ad un possibile superamento dell’antica tradizione cattolica, ribadita e approfondita nella FC 83-85: “La Chiesa, tuttavia, conferma la sua prassi, fondata sulla Sacra
Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a
non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio”. (1Cor 11,27-29!; CCC p. 361, p.
1385)
40 Al punto 53 il papa esclama: “Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando
c’è gente che soffre la fame”
41 EG 54
197
CAPITOLO QUINTO
te”… sfruttate ed oppresse; si trovano in periferia, senza potere, anzi stanno
fuori. “Gli esclusi non sono solo ‘sfruttati’, ma rifiuti, ‘avanzi’”42. Così dall’altra parte si crea “una globalizzazione dell’indifferenza”, incapace di provare
compassione dinanzi al grido di dolore degli altri.
L’attuale crisi finanziaria mondiale “ha la sua origine in una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano”43. La
grave mancanza di un orientamento antropologico riduce l’essere umano ad
uno solo dei suoi bisogni: il consumo44.
2.2.2. Il piano morale/etico
Il dominio del denaro e del potere relativizza, anzi non considera il
fondamento etico. In tal modo prevale il relativismo e il rifiuto «beffardo»
di «norme morali oggettive, valide per tutti», sulla cui esistenza la Chiesa
non rinuncia a «insistere». Il consumismo e l’ingiustizia sociale generano
prima o poi la violenza. Così si crea una catena interminabile del male. Per
questo senza l’etica, l’essere umano non giunge alla sua piena realizzazione,
ma cade nella dipendenza dai vari idoli, in questo caso dalla schiavitù del
denaro45. Invece “il denaro deve servire e non governare!”46. Il relativismo,
con la sua «tremenda superficialità» sulle «questioni morali», non danneggia
solo «la vita sociale in genere» ma prima di tutto l’incancellabile e innata dignità della persona.
2.2.3. Il piano religioso: la secolarizzazione
Un altro contesto è costituito dalla secolarizzazione che caratterizza
una cultura in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva47, in cui “il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, superficiale, veloce, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza”48, la comunità cede all’individualismo sfrenato, specifico del postmoderno. Nei paesi in via di sviluppo si rinnovano «gli attacchi alla libertà
religiosa e le situazioni di persecuzione dei cristiani»49. In Occidente un laicismo aggressivo vuole «ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e inti-
42
EG 53.
EG 55.
44 Cfr. EG 55.
45 EG 57.
46 EG 57.
47 Cfr. EG 61.
48 EG 62.
49 EG 61.
43
198
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
mo»50, e negare ai Pastori il diritto di levare la loro voce in difesa di un’antropologia che è naturale prima che cristiana, specie in tema di famiglia e di
matrimonio come “cellula fondamentale della società”51. Inoltre, spesso il
clima della secolarizzazione ha portato a una rottura tra il popolo cattolico
e la fede della Chiesa52.
Contestualizzazione interna dell’evangelizzazione
Come figli dell’attuale epoca caratterizzata dalla cultura globalizzata
e postmoderna, tutti noi, anche gli evangelizzatori, possiamo essere condizionati da essa e addirittura farci ammalare. Tra alcune tentazioni il papa ne
individua quattro più importanti:
2.2.4. Accidia egoista (81-83)
Con questo il papa intende un atteggiamento di timore, la ricerca di
fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere all’evangelizzatore il tempo
libero. “Molti operatori pastorali sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana”53 ed evangelizzatrice. Si tratta dunque dell’infrenabile bisogno di salvare
gli spazi della propria autonomia. In effetti qualsiasi attività missionaria o
pastorale è vissuta male con una irragionevole ed esasperata stanchezza interiore. È vero che l’evangelizzazione richiede fatica, ma di solito è una fatica
serena, mentre in questo caso si tratta di una fatica tesa, pesante, insoddisfatta e non accettata. Una tale accidia può avere origine nell’inventare progetti
irrealizzabili, nel desiderio della comodità, del successo, o nel voler vedere
gli effetti del lavoro in modo immediato e veloce. Tali evangelizzatori rimangono sempre delusi dalla Chiesa, dalla realtà, dagli altri e da se stessi.
2.2.5. Pessimismo sterile (84-86)
Questa espressione indica una sorta di scoraggiamento di fronte ai
mali del nostro mondo. I cristiani affetti da tale condizione “non sono capaci di vedere altro che le rovine e i guai che accadono intorno a noi (Giovanni XXIII). Loro si lasciano prendere dal senso di sconfitta. Infatti come si
può intraprendere una battaglia se in anticipo non si confida pienamente
nella forza dello Spirito Santo? Chi comincia l’opera evangelizzatrice senza
fiducia e senza convinzione ha già perso. Occorre riportare qui le parole che
50
EG 64.
EG 66.
52 EG 70.
53 EG 79.
51
199
CAPITOLO QUINTO
il Signore disse a Paolo: “Ti basta la mia grazia: la forza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).
2.2.6. Mondanità spirituale (93-97)
Essa consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria
umana e il benessere personale. Si tratta di un modo sottile di cercare ‘i
propri interessi, non quelli di Gesù Cristo’ (Fil 2,21), quando apparentemente ed esternamente tutto sembra corretto. La mondanità spirituale è fare il
bene in nome dell’uomo e non in nome di Dio. In pratica tale mondanità si
manifesta nella nascosta ricerca di prestigio, stima, rispetto, onore; nel populismo, nella vanagloria, nell’autocompiacimento, quando l’attività evangelizzatrice serve come mezzo per mostrare la propria perfezione o per realizzare gli obbiettivi privati. In modo severo il papa la spiega con questi termini: “Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano… squalifica chi gli pone domande, fa risaltare… gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza… non impara dai propri peccati né è… aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene”54.
2.2.7. Guerra tra di noi (98-101)
Purtroppo secondo il pontefice non mancano le guerre tra i cristiani
stessi, ciò avviene più che con la Chiesa intera e universale, ci si identifica
con un determinato gruppo o comunità, che si sente differente o speciale.
Così nasce lo spirito di rivalità, concorrenza, invidia, divisione che impedisce di vivere l’evangelizzazione come esperienza unitaria e comunitaria. In
realtà “siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto!”55 Bisogna
rallegrarsi dei frutti degli altri, che in effetti sono di tutti. Il papa conclude
questo capitolo sottolineando alcune altre sfide come la promozione del laicato e della donna; dell’impegno per le vocazioni e dei sacerdoti.
2.3. Capitolo III: “L’annuncio del Vangelo” (110-175)
2.3.1. Il soggetto dell’evangelizzazione che è tutto il popolo di Dio
Prima di parlare della Chiesa intera, come soggetto dell’annuncio,
bisogna precisare l’oggetto di tale annuncio. In continuità con i documenti
precedenti, l’Evangelii gaudium afferma che “non vi può essere vera evange-
54
55
EG 97.
EG 99.
200
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
lizzazione senza esplicita proclamazione che Gesù è il Signore” 56. Altrimenti
si potrà confondere con la proclamazione delle proprie opinioni, convinzioni, credenze, idee, di un certo stile di credere “a modo proprio”. Il documento individua alcune caratteristiche essenziali della Chiesa in quanto
soggetto dell’evangelizzazione.
a) Un popolo per tutti
Dio offre la salvezza a tutti i popoli e ad ogni persona e la realizza in
modo gratuito, attraverso la sacramentalità della Chiesa e la sua azione
evangelizzatrice. La Chiesa in questa ottica è un dono per tutta l’umanità ed
esprime “la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera [che] viene da Dio e
solo inserendoci in questa iniziativa divina... possiamo anche noi divenire
evangelizzatori”57. Il primato della grazia58 è fondamento della nostra riflessione sull’evangelizzazione. Nessuno si salva da solo, in modo individuale e
isolato. La salvezza universale arriva attraverso il popolo, mediante la Chiesa
radicata nella Trinità perciò ha sostanzialmente carattere comunitario e diventa un popolo per tutti.
b) Un popolo dai molti volti
Il popolo di Dio si incarna nei popoli di tutta la storia che hanno la
propria cultura. La nozione di cultura comprende la totalità della vita di un
popolo. Questo deriva dal fatto che la persona umana “di natura sua ha assolutamente bisogno di una vita sociale”59. L’essere umano è sempre culturalmente situato: “natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse”60. Il cristianesimo, nell’arco di duemila anni, diffondendosi in tutto il
mondo si è incarnato nelle molteplici culture, popoli, nazioni, religioni,
ecc., per cui non dispone di un unico modello culturale, bensì “restando
pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato”61. Pertanto la Chiesa manifesta la sua catto56
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Asia 19 (6 novembre
1999): AAS 92 (2000), 478, cit. da EG 110.
57 BENEDETTO XVI, Meditazione durante la prima Congregazione generale della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (8 ottobre 2012): AAS 104 (2012), 897,
cit. da EG 112.
58 Cfr. EG 112.
59 GS 25, cit. da EG 115.
60 GS 53, cit. da EG 115.
61 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio ineunte, 40 (6 gennaio 2001):
AAS 93 (2001), 294-295, cit. da EG 116.
201
CAPITOLO QUINTO
licità e mostra “la bellezza di questo volto pluriforme”62. Attraverso l’opera
dell’inculturazione, la Chiesa “introduce i popoli con le loro culture nella
sua stessa comunità”63, perché “i valori e le forme positivi”, che ogni cultura
propone “arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso
e vissuto”64. La diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa. Partendo
dalla perfetta comunione della Trinità, dove ogni cosa trova la sua unità, il
documento mette in rilievo il ruolo dello Spirito Santo, la fonte dell’armonia,
Colui che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso
costruisce un’unità d’amore. In fin dei conti, sebbene alcune culture siano state strettamente legate alla predicazione del Vangelo, il messaggio rivelato non
si identifica con nessuna di esse e possiede un contenuto transculturale65. Una
sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo66.
c) Tutti noi siamo discepoli missionari
Il popolo di Dio è santo e infallibile in modo che quando crede non
si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Da qui la nota dottrina sul sensus fidei. Il senso della fede è connesso con l’atteggiamento d’amore verso Dio67: esso funziona nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù. Di conseguenza ogni cristiano in virtù del battesimo, sacramento della fede, e in virtù dell’Eucaristia, sacramento
d’amore, è missionario.68 Siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni dà senso alla nostra vita ed è capace di operare fruttuosamente mediante noi.
d) La forza evangelizzatrice della pietà popolare
Riprendendo il tema della cultura in cui si incarna il Vangelo, il papa mette in evidenza l’importanza della pietà popolare che “manifesta una
sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere”69 ed esplicita la
loro autentica fede in cui lo Spirito Santo è il protagonista70. Anche se il
papa dà forte attenzione alla pietà popolare nell’opera evangelizzatrice, tut62
NMi 40, cit. da EG 116.
RMi 52, cit. da EG 116.
64 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Oceania 16, cit. da EG 116.
65 Cfr. EG 117.
66 EG 118.
67 Cfr. EG 119.
68 Cfr. EG 120.
69 GIOVANNI PAOLO, Ecclesia in Asia 48, cit. da EG 123
70 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Asia 21, cit. da EG 122.
63
202
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
tavia questa non può essere immediatamente identificata con il sensus fidei
operato dallo Spirito Santo nel popolo. Essa può essere una delle espressioni
del medesimo sensus fidei, ma richiede sempre una particolare e attenta revisione del Magistero e dello studio teologico. A differenza dei Paesi di tradizione cattolica (Europea) che più che essere esposti alle credenze fataliste,
superstizione, stregoneria, ecc.71, sono impregnate da una forte cultura moderna, razionalista, spesso una tale pietà – come lo dimostra l’esperienza dei
missionari – è diffusa proprio in Africa, Sud America o Asia ed è esposta a
miscelarsi in modo ingenuo con le varie forme di idolatria, feticismo, magia
ecc. Sembra un po’ preoccupante l’asserzione secondo cui nell’atto di fede
espressa dalla pietà popolare viene più accentuato il credere in Deum che il
credere Deum72. La missione evangelizzatrice dovrebbe tendere a creare un
equilibrio tra ambedue73. Tutto sommato la pietà popolare costituisce un
grande patrimonio dell’opera evangelizzatrice e richiede di essere custodita,
apprezzata e, quando richiesto, di essere corretta dalla Chiesa. Sembra anche
un po’ arcaico, nel contesto dell’attuale teologia delle religioni, ritornare almeno implicitamente alla dottrina sulla doppia via della salvezza: la ricerca
naturale, dal basso, della divinità (via ascendente) da una parte, e l’opera salvifica realizzata nell’economia dell’Antico e del Nuovo Testamento, compiuta in Cristo, attuata e trasmessa nella Chiesa, dall’alto (via discendente),
dall’altra parte. Il ritorno a questa ormai superata scissione tra le due vie è
evidente alla fine del punto 125.
e) Da persona a persona
Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che
fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti attraverso anche una semplice conversazione, che avviene in modo spontaneo in qualsiasi luogo, nella
via, nella piazza, al lavoro, in una strada ecc. Solo attraverso un rapporto di
confidenza, reciprocità, condivisione, vicendevole ascolto è possibile presentare la Parola. Un’altra forma importante di trasmettere il Vangelo è la te71
Cfr. EG 69.
Cfr. EG 124.
73 D’altronde sensus fidelium anche se da riprendere, sviluppare ed attuare nella vita della
Chiesa, comunque non smette di essere trattato teologicamente in modo tale che varie interpretazioni quasi si escludono, o almeno portano a non poche ambiguità. Anche la convinzione secondo cui il sensus fidelium si può attuare attraverso i questionari suscita serie
domande. Per questo a novembre 2014 la CTI con l’approvazione dell’attuale prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale G.L. Müller, ha pubblicato il documento “Il sensus fidei nella vita della Chiesa”, che cerca di confutare le interpretazioni ambigue, chiarendo l’autentico valore teologico del senso della fede del popolo di Dio.
72
203
CAPITOLO QUINTO
stimonianza personale, un racconto, un gesto o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta74.
f) Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice
Lo Spirito Santo, come nota giustamente il pontefice, arricchisce tutta la Chiesa che evangelizza anche con diversi carismi. Essi sono doni per
rinnovare ed edificare la Chiesa stessa75. Tuttavia ciò su cui punta il papa è
che le differenze a volte possono essere fastidiose e a prima vista incompatibili, ma lo Spirito Santo che suscita questa diversità, può trarre da tutto
qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore. La diversità
deve essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può
suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare
l’unità. Invece rimanere rinchiusi nei propri particolarismi, provoca la divisione che conduce alla uniformità e all’omologazione76.
g) Cultura, pensiero ed educazione
L’annuncio implica l’incontro con le culture professionali, scientifiche e accademiche, in modo da creare le condizioni per il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze. Qui emerge un appello alla teologia che sia capace
di entrare in dialogo con altre scienze ed esperienze umane, cosa che in realtà non costituisce una novità perché già è realizzata da alcuni decenni se
non da secoli.
2.3.2. L’omelia e la predicazione
a) L’omelia
Una particolare attenzione il papa dà al tema dell’omelia inserendola
nel contesto liturgico e definendola con le parole di GP II come: “ la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica”. L’omelia “non è tanto un momento di meditazione e
di catechesi, ma il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono
proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza”77. Il dialogo si realizza per il piacere di parlare e per il
bene che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo della parola
74
Cfr. EG 127-128.
Cfr. LG 12, cit. da EG 130.
76 Cfr. EG 139-131.
77 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Dies Domini 41: AAS 90 (1998), 738-739, cit. da
EG 137.
75
204
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
in modo da far ardere i cuori di quanti ascoltano la parola predicata. Perciò
nell’omelia la verità si accompagna alla bellezza e al bene78. Per suscitare
l’interesse degli uditori e rendere la predicazione efficace bisogna porsi le
domande seguenti: che cosa interessa veramente i fedeli? Che cosa dice veramente il testo? Che cosa ha detto questa lettura al mio cuore? Come dice Papa
Francesco, è importante non rispondere a domande che nessuno si pone:
l’inter-lectio ha proprio lo scopo di "inter-leggere" e capire che cosa dice il testo, cosa hanno bisogno di ascoltare i fedeli e cosa ha detto il testo a me stesso. In caso contrario l’omelia risulta non autentica. L’importante è avere una
domanda di partenza e poi si può strutturare il discorso seguendo la retorica
classica, ma sempre attenti alle forme di comunicazione contemporanea79.
b) La preparazione della predicazione
Il papa parlando del culto della verità, mette in rilievo il bisogno di
comprendere il messaggio principale di un testo biblico80. Invita alla personalizzazione della Parola, cioè ad una grande familiarità con la Parola di
Dio vissuta nel cuore docile e orante81, lasciandosi commuovere dalla Parola, accettando di essere ferito per primo da quella Parola che ferirà gli altri,
perché è una Parola viva, efficace e tagliente. Per questo il predicatore deve
avere la certezza di essere amato da Dio82. Qui emerge il ruolo della lettura
spirituale, cioè di leggere la Parola di Dio all’interno di un momento di preghiera83, usandola come strumento e oggetto del dialogo interiore con
Dio84. Inoltre il predicatore deve ascoltare e conoscere le domande del popolo, il suo contesto esistenziale, le gioie, le preoccupazioni, le sfide ecc.85 Da
qui deriva l’uso degli strumenti pedagogici: un’idea, un sentimento e un’immagine86; oltreché l’uso di un linguaggio comune e adatto alle capacità dei
fedeli e di un linguaggio positivo che offra sempre la speranza87.
78
Cfr. EG 142.
CONGREGAZIONE DEL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, “Direttorio omiletico”, Libreria Editrice Vaticana 2014.
80 Cfr. EG 146-148.
81 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis 26 (25
marzo 1992), 26: AAS 84 (1992), 698, cit. da EG 149.
82 Cfr. EG 151.
83 Cfr. EG 152.
84 Cfr. EG 153.
85 Cfr. EG 154-155.
86 Cfr. EG 157.
87 Cfr. EG 159.
79
205
CAPITOLO QUINTO
2.3.3. Un’evangelizzazione per l’approfondimento del kerygma
a) La catechesi
L’evangelizzazione implica un cammino di formazione e di maturazione, non consente che qualcuno si accontenti di poco, ma che possa continuamente crescere nella sua interiorizzazione della Parola e nella intensificazione del rapporto con Cristo88. La Chiesa offre gli strumenti per continuare questo cammino. Il primo indicato dal documento è la catechesi kerygmatica. Il kerygma ha carattere trinitario e cristologico. La salvezza in
Cristo costituisce il kerygma principale e centrale 89. Tuttavia tale kerygma
richiede un incessante approfondimento. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. E in quanto esprime l’amore
salvifico di Dio, fa appello alla libertà, possiede una nota di gioia, stimolo,
vitalità90. Il secondo è la catechesi mistagogica in quanto la Parola ha sempre bisogno di un’adeguata ambientazione nella comunità e nella liturgia91.
Inoltre ogni catechesi dovrebbe valorizzare la “via della bellezza” (via pulchritudinis) mostrando il Vangelo e la sequela di Gesù non solo come giusti
ma anche come belli, che meritano di essere vissuti. In tal modo emerge ancora un’altra volta il legame tra verità, bontà e bellezza92.
b) L’accompagnamento personale dei processi di crescita
La Chiesa si rende conto di quanto è importante l’accompagnamento per stare vicino a chi ascolta l’annuncio. Tale accompagnamento non
dovrebbe condurre a creare in primo luogo una relazione intimistica ed
esclusivista tra l’evangelizzatore e l’accompagnato, ma soprattutto deve condurre sempre più verso Dio in modo che gli assistenti dei missionari accompagnino i missionari93. Questo percorso richiede “un’arte dell’accompagnamento”, che include una buona preparazione intellettuale, spirituale, il
possesso delle virtù come prudenza, ascolto, pazienza, in altre parole “una
pedagogia che introduca le persone, passo dopo passo, alla piena appropriazione del mistero”94.
88
Cfr. EG 160.
Cfr. EG 163-164.
90 Cfr. EG 165.
91 Cfr. EG 166.
92 Cfr. EG 167.
93 Cfr. EG 169-173
94 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Asia 20, cit. da EG 171.
89
206
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
2.4. Capitolo IV: “La dimensione sociale dell’evangelizzazione” (176258)
“Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio”, per
cui va presa in considerazione essenzialmente la dimensione sociale95.
2.4.1. Le ripercussioni comunitarie
Confessione della fede e impegno sociale
“Dio in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche
le relazioni sociali tra gli uomini”96. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. L’evangelizzazione è dunque intimamente connessa con la promozione umana e sprona l’evangelizzatore a desiderare il bene degli altri, a creare la fraternità poggiata sulla giustizia.
Il Regno che ci chiama
L’amore fraterno, tramite cui si realizza l’opera evangelizzatrice non
è una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, ma richiede di costruire, attraverso la carità, il Regno di
Dio, di far regnare Dio nella vita sociale: cercate innanzitutto il suo Regno e
la sua giustizia (Mt 6,33). L’annuncio “possiede una destinazione universale
verso tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti
della convivenza e tutti i popoli”97.
L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali
La fede non può essere mai limitata all’ambito privato e relegata “alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e
nazionale”. Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di
cambiare e migliorare il mondo98. Questo non è un documento sociale di
cui si occupano molto di più il Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa, come anche il magistero dei pontefici come: Leone XIII (Rerum novarum), Pio XI (Mit brennender Sorge) Giovanni XXIII (Mater et magistra,
Pacem in terris), Paolo VI (Populorum progressio), Giovanni Paolo II (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus) e Benedetto XVI
95
Cfr. EG 176.
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina
Sociale della Chiesa, 52.
97 Cfr. EG 181.
98 EG 182-183.
96
207
CAPITOLO QUINTO
(Caritas in veritate)99; tuttavia le questioni sociali, a parte i principi irrinunciabili e fondamentali, nelle questioni particolari100 devono tener conto della varietà dei contesti come indicava Paolo VI: “Di fronte a situazioni tanto
diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione
di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la
nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obbiettivamente la
situazione del loro paese”101. Probabilmente Paolo VI non si riferiva all’etica
sociale situazionale e relativa, ma ai problemi particolari che ogni comunità
cristiana deve risolvere lasciandosi guidare dai principi evangelici.
2.4.2. L’inclusione sociale dei poveri
Uniti a Dio ascoltiamo un grido
Ogni cristiano come evangelizzatore è strumento di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi
pienamente nella società; essi devono essere attenti al grido del povero (Es 3,
7-10; Dt 15,9; Sir 4,6; Gm 5,4)102. In questa parte il documento post-sinodale
riporta il principio di solidarietà che riconosce la funzione sociale della
proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla
proprietà privata. Il possesso privato dei beni trova una sua giustificazione
nella loro custodia e nel loro accrescimento in modo che servano meglio al
bene comune e per restituire al povero il corrispettivo spettante. Il principio
di solidarietà apre la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rende possibili103. Non di rado prevale l’idea secondo cui “persino i diritti umani dei
popoli possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata
dei diritti individuali o dei diritti dei popoli ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione, bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere
nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che al99
Cfr. M. ORMAS, Umanesimo cristiano e modernità. Introduzione alle Encicliche sociali.
Dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate. Città del Vaticano 2014.
100 Anche se i due aspetti sono inseparabili tuttavia sembra mancare nell’Evangelii gaudium
questa distinzione tra la Dottrina sociale della Chiesa e le situazioni particolari: dove e secondo quali criteri essa va applicata. Sembra che la particolarità delle circostanze prevalga
sulla dottrina universale della Chiesa in materia, almeno per quanto riguarda i suoi irrinunciabili principi.
101 PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens 4 (14 maggio 1971): AAS 63 (1971),
403, cit. da EG 184.
102 Cfr. EG 187.
103 Cfr. EG 189.
208
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
cune persone vivano con minore dignità”104. Bisogna rispettare che “i più
favoriti debbano rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri”105.
Fedeltà al Vangelo per non correre invano
Tra i punti 193-196 viene spiegato che l’ascolto del grido del povero
si incarna nella commozione più intima e nella misericordia. A questa ultima il testo dedica tanta attenzione riportando alcuni brani biblici e il pensiero dei Padri della Chiesa. Tuttavia la scelta dei brani sia biblici che patristici, a parte che non è molto ricca sembra un po’ selettiva, staccata dai contesti e separata dalle altre virtù. Inoltre l’esortazione a semplificare e chiarire
sembra essere assai ambigua e superficiale dal momento (p. 194) in cui il valore e l’importanza della misericordia viene messa in opposizione all’ortoprassi. Facilmente si potrebbe giungere alla conclusione, applicabile nel contesto odierno, che dà maggiore rilevanza all’ortoprassi che all’ortodossia, rischiando di separarle; il rischio è che si potrebbe arrivare anche alla separazione tra la verità e l’etica, tra la fede e la carità, tra la dottrina e la disciplina ecc. In particolare si può osservare una certa ambiguità nell’affermazione:
“Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di
essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e sapienza”. La misericordia
cristiana e biblica non è mai separabile da verità, fede, giustizia, conversione
e dottrina, anzi la sua crisi o sottovalutazione era causata da una difettosa
concezione del legame tra verità e dottrina.
Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio
Nel punto 197 il papa evidenzia la figura di Gesù Cristo come povero e in quanto si identifica con i poveri e i più umili. Così la povertà assume una profonda indole cristologica, per cui l’opzione per i poveri più che
una categoria culturale, sociologica, politica o filosofica, è una categoria
propriamente teologica. Avere “gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5) porta i
cristiani alla certezza di essere arricchiti grazie alla povertà di Cristo 106. In
questa ottica per i cristiani è necessario che si lascino evangelizzare dai poveri, scoprire in loro Cristo, ascoltarli, comprenderli ed accogliere attraverso
104
EG 189.
PAOLO VI Octogesima adveniens 23, cit. da EG 190.
106 BENEDETTO XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale
dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi 3 (13 maggio 2007): AAS 99 (2007), 450, cit.
da EG 198.
105
209
CAPITOLO QUINTO
loro la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci107. Nella nostra considerazione del povero, guidata dallo Spirito Santo non si tratta di un eccessivo attivismo, ma innanzitutto dell’attenzione rivolta a lui ritenendolo
un’unica cosa con se stesso, il che è possibile solo come atto d’amore. In tal
modo il povero viene apprezzato nella sua bontà irrevocabile e incancellabile. Solo con lo sguardo d’amore si possono percepire il vero valore e la dignità del povero. È questo atteggiamento che differenzia l’autentica opzione
per i poveri da qualsiasi ideologia, politica o attività sociale108.
In una prospettiva dell’evangelizzazione senza l’opzione preferenziale per i più poveri, “l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone”109. La prima
forma per mettere in moto l’opzione per i poveri è avvicinarli a Cristo e avvicinare il Vangelo a loro, cosa che richiede una profonda attenzione spirituale. In pratica si tratta dei gesti di amicizia, di benedizione, di annuncio
della Parola, di far nascere o rinascere in loro la vita sacramentale, ecc.110.
Economia e distribuzione delle entrate
Il fenomeno della povertà esige dall’evangelizzatore la coscienza che
tale problema può essere risolto guarendo i motivi strutturali (l’assoluta autonomia dei mercati e della speculazione finanziaria) che provocano quelle
iniquità che stanno alla radice dei mali sociali111. La possibilità di strutturare una vera politica economica non si risolve attraverso una mera crescita
economica, bensì richiede il riconoscimento della dignità di ogni persona
umana e del bene comune. Da qui la necessità di parlare sul palcoscenico
pubblico dei fondamenti etici, della solidarietà mondiale, della distribuzione
dei beni, del diritto di lavoro. Di fronte a tali questioni l’evangelizzatore
non può essere indifferente, ma deve avere il coraggio di farsi avanti 112. Il
papa chiama tutti i cristiani laici, politici, governanti, commercialisti, imprenditori ad essere consapevoli, ad assumere la loro vocazione di essere in
questo campo i veri messaggeri del Vangelo e ad una interazione più efficiente tra di loro113.
107
Cfr. EG 198
Cfr. EG 199.
109 NMi 50, cit. da EG 199.
110 Cfr. EG 200.
111 Cfr. EG 202.
112 Cfr. EG 203-204.
113 Cfr. EG 205-206.
108
210
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Avere cura della fragilità
Il frequente concetto della povertà contiene tanti significati ed abbraccia molti ambiti malati o incompleti della vita umana. Con questo termine non si riduce solo alla miseria materiale, ma si pensa ai senza tetto, ai
tossicodipendenti, ai rifugiati, ai popoli indigeni, agli anziani, ai malati (soprattutto quelli che si trovano nella fase terminale), agli abbandonati, ai
clandestini, ai migranti, alle donne maltrattate e violentate, e in modo particolare ai bambini nascituri che sono i più indifesi. La difesa che la Chiesa fa
delle vite dei nascituri suppone la verità che un essere umano è sempre sacro e
inviolabile114, perciò “ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore
dell’uomo”115. Di conseguenza il portatore del Vangelo dovrebbe sentirsi in
dovere di prendersi effettivamente cura di tutti coloro che sono fragili e
vulnerabili. L’esortazione indica ancora un altro essere fragile: l’insieme della creazione. Avendo san Francesco come esempio, il cristiano porta il Vangelo d’amore e della salvaguardia di ogni creatura116.
2.4.3 Il bene comune e la pace sociale117
La pace sociale, alla cui costruzione vuole partecipare e contribuire la
Chiesa con il Vangelo, non consiste in un irenismo o mera assenza di violenza oppure in un’assenza della guerra, ma, come è stato detto prima, parte
dai due principi: della dignità della persona e del bene comune. Una vera
pace sgorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti. In ogni nazione, gli
abitanti devono essere considerati come responsabili dello sviluppo del popolo intero, devono poter divenire gli attori principali della loro vita e non
essere ridotti a massa trascinata dalle forze dominanti. Il termine ‘popolo’
significa più che un insieme di cittadini, l’intera comunità umana in cui di
generazione in generazione vengono sviluppati i valori di pace, giustizia,
armonia, convivenza, solidarietà e fraternità. Per realizzare tale obbiettivo il
pontefice riporta quattro paradigmi118 propri della Dottrina Sociale della
Chiesa119:
114
Cfr. EG 210-213.
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988), 37: AAS 81 (1989), 461, cit. da EG 213.
116 Cfr. EG 215-216.
117 Nei suoi contenuti questo punto sembra essere una ripetizione di quanto è stato detto
prima sulle questioni politiche, sociali, economiche, con la differenza di usare alcuni termini apparentemente nuovi.
118 Ci troviamo sul piano sociale; mentre nell’ottica filosofico-teologica la formulazione di
questi quattro punti in tale maniera sarebbe da intendere diversamente e creerebbe una na-
115
211
CAPITOLO QUINTO
Il tempo è superiore allo spazio
Con questo assioma si vuole evidenziare il tentativo (peccato)
nell’attività socio-politica che privilegia gli spazi di potere e il momento attuale al posto dei naturali tempi necessari allo sviluppo dei vari processi, illudendosi di poter risolvere tutto nel momento presente. Così il pontefice
cerca di smascherare una politica facile, rapida ed effimera, che non è orientata a costruire la pienezza umana nel futuro in cui i risultati del faticoso e
lungo lavoro sociale potrà portare i frutti che si attendono120.
L’unità prevale sul conflitto
I conflitti sociali fanno parte della storia umana. Di fronte ad essi
alcuni li guardano e vanno avanti come se nulla fosse per poter continuare
con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono
prigionieri, perdono l’orizzonte, buttano sugli altri (stato, istituzioni ecc.) le
loro delusioni. Un terzo modo, più adeguato può essere quello di accettare,
sopportare, risolvere e trasformare il conflitto in un processo di lavoro dove
turale dialettica. Tuttavia anche sul piano socio-politico questi quattro paradigmi suonano
in modo ambivalente e un po’ complesso (quasi complicativo); li formulerei diversamente
per non creare l’ambiguità, ad esempio: “Verso l’armonia tra il tempo e lo spazio”, infatti
sottovalutando lo spazio come si può creare una catena di elementi che potranno creare un
futuro; non esiste un futuro migliore senza lo spazio in cui il lavoro presente possa realizzarsi; quindi questo binomio sembra essere troppo antitetico, come se si dovesse valutare
che cosa è più e che cosa è meno importante; e poi come si può misurare o calcolare che in
un certo spazio il presente è più operante a favore del futuro e in un altro spazio meno
operante? Dalla prospettiva teologica anche ciò che misurabilmente o verificabilmente sembra meno significativo, in effetti può produrre un’esistenza più piena dell’uomo. BENEDETTO XVI, Udienza generale, 13 febbraio 2013: “Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una
giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio,
lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: «Un pozzo molto profondo è
dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra
e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri» (Diario, 97).
Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del
Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: «Vivo costantemente in intimità con Dio»”. In http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2013/documents/hf_ben-xvi_aud_20130213.html.
119 Suscita tanti dubbi il riferimento al Compendio che in realtà non individua esplicitamente questi paradigmi. Il compendio è stato scritto secondo l'incarico ricevuto dal Santo
Padre Giovanni Paolo II, per esporre in maniera sintetica, ma esauriente, l'insegnamento
sociale della Chiesa. In questo compendio sono stati raccolti gli insegnamenti di tutti i
pontefici a partire da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II con le sue tre note encicliche
sociali.
120 Cfr. EG 222-225.
212
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
c’è posto per la diversità nell’unità, sviluppando una comunione nelle differenze. Così si realizza la categoria di solidarietà in cui i conflitti, le tensioni
e gli opposti si trasformano in una pluriforme unità. Nulla a che fare ovviamente con il sincretismo o con l’assorbimento di uno nell’altro, ma piuttosto con la possibilità di conservare le preziose potenzialità delle polarità in
contrasto. Nell’ottica neotestamentaria tale proposta poggia sulla unificazione, riconciliazione e rappacificazione di tutto in Cristo (Ef 2,14). In questa prospettiva la conflittualità si trasforma nella diversità che, a sua volta,
diventa bella in quanto fa entrare in un costante processo di armonizzazione e riconciliazione, portando ad un patto culturale121.
La realtà è più importante dell’idea122
Qui l’idea viene intesa come pura retorica, sofistica, espressione di
discorsi confusionari e offuscanti, di una verità manipolata (la politica, i
mass-media d’oggi). La soluzione secondo questo principio sarebbe quella di
partire dalla realtà così come è fino a costruire un programma, una idea, un
progetto da applicare per migliorare la condizione reale in cui si trovano l’uomo e i popoli123.
Il tutto è superiore alla parte124
Sembra che il pensiero del papa sia quello di saper uscire fuori e percepire la totalità della società pur stimando un certo localismo o parzialità
in cui vive ogni essere umano o la comunità delle persone. Egli sottolinea
l’unione dei popoli, che nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; e la totalità delle persone in una società che cerca quel bene comune che
veramente incorpora tutti125.
2.4.4. Il dialogo sociale come contributo per la pace
L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo; e poiché
l’evangelizzazione non è un progetto di pochi indirizzato a pochi, allora si
tratta di un dialogo con i diversi destinatari.
121
Cfr. EG 226-230.
Anche qui questo principio non corrisponde con gli assiomi filosofici o logici: la realtà
è caduta dal vuoto o deve il suo esistere a se stessa oppure ha l’inizio in una idea, pensiero,
intelligenza, ragione ecc.?
123 Cfr. EG 231-233.
124 Da confrontare, teologicamente: “Tutto nel frammento” (Balthasar), da intendere sia in
riferimento a Cristo in primis, sia in riferimento alla Chiesa nel senso sacramentale.
125 Cfr. EG 234-237.
122
213
CAPITOLO QUINTO
Il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze
Di fronte al positivismo o scientismo – che non sono forme della
conoscenza umana ma determinate ideologie – la Chiesa propone un altro
cammino che esige un incontro e dialogo tra i vari saperi e le varie metodologie: scienze empiriche, umane, filosofia, teologia. La fede non ha paura
della ragione, perciò l’evangelizzazione è attenta ai progressi scientifici e riconosce il mirabile progresso delle scienze126.
Il dialogo ecumenico
Il compito dell’evangelizzazione è pure quello di offrire un contributo all’opera dell’unità dei cristiani: ut unum sint – secondo la volontà di
Cristo (Gv 17,21). La divisione tra i cristiani rende più difficile esplicitare la
credibilità del cristianesimo. Tanti non hanno accolto il Vangelo per questo
motivo, soprattutto in Asia e in Africa. L’impegno per l’evangelizzazione
non si può ridurre ad una mera diplomazia o ad un adempimento forzato,
ma nel cercare gli spazi di unione e di incontro, mettendo in rilievo gli elementi comuni che uniscono tutti i cristiani, anzi a volte ascoltando e imparando dagli altri cristiani127. È qui il caso di ricordare le parole di Giovanni
Paolo II e cioè che la Chiesa non può che respirare con i due polmoni
dell’Occidente e dell’Oriente128.
Le relazioni con l’Ebraismo
La Chiesa condivide con l’ebraismo una parte importante delle Sacre
Scritture; in questo popolo considera la radice sacra della propria identità
cristiana (Rm 11,16-18). L’ebraismo non è una religione estranea; insieme
crediamo con loro nell’unico Dio rivelatosi nella storia attraverso la Sua Parola129. Per questo la Chiesa, non potendo rinunciare a proclamare Cristo
Messia, si arricchisce comunque dei valori presenti nell’ebraismo e grazie
all’ebraismo comprende meglio la Parola di Dio rivelata nell’Antico Testamento. Inoltre condivide con esso tanti principi etici (10 comandamenti).
Il dialogo interreligioso
È un dialogo necessario alla pace nel mondo e diventa una conversazione sulla vita umana (NA 1). I punti di incontro tra la Chiesa e le altre re126
Cfr. EG 238-243.
Cfr. EG 244-246.
128 GIOVANNI PAOLO II, Allocutio Lutetiae Parisiorum ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita, (31 maggio 1980): AAS 72 (1980) 704.
129 Cfr. EG 247.
127
214
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
ligioni sono i valori umani universali, i diritti umani, la giustizia, la pace, la
carità. Tuttavia il dialogo interreligioso non può trascurare l’annuncio del
Vangelo. Il dialogo senza annuncio conduce al sincretismo totalitario. Nell’ottica cristiana invece, il dialogo e l’annuncio si sostengono e si alimentano reciprocamente. Per quanto riguarda il rapporto con l’Islam, non si può dimenticare di professare la comune fede di Abramo, tramite il quale, i musulmani “adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli
uomini nel giorno finale”130. Oltre ciò il pontefice implora umilmente i
Paesi di religione musulmana di assicurare libertà religiosa ai cristiani.
L’esortazione, in continuità con il Magistero precedente, ribadisce l’azione
divina nelle altre religioni, che usando le loro credenze, riti, segni, espressioni sacre, testi, preghiere, le rende i canali per mezzo dei quali lo Spirito Santo, non senza la Chiesa, sacramento della salvezza universale, può far loro
vivere un’autentica esperienza dell’incontro con Dio131.
Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa
La libertà religiosa comporta un sano pluralismo che rispetta gli altri
senza chiudersi o isolarsi e senza pretesa di ridurre gli altri al silenzio o alla
marginalità, il che non sarebbe altro che un’ulteriore forma di discriminazione. Inoltre il documento mette in guardia alcuni intellettuali, giornalisti
dal cadere in grossolane e poco accademiche generalizzazioni delle varie religioni e dall’interpretazione dei loro patrimoni religiosi (ad esempio i testi
sacri) staccandoli dal contesto storico, culturale, sociale, politico dell’epoca
in cui sono sorti. Infine, viene sottolineato il bisogno di dialogare e rispettare quanti, senza appartenere a nessuna religione, cercano sinceramente la verità, la bontà, la bellezza, il senso e il valore dell’esistenza umana. Per tale
ragione si può creare lo spazio per un cosiddetto “Cortile dei Gentili”132.
2.5. Capitolo V: “Evangelizzazione con Spirito” (259-288)
Un vero evangelizzatore si apre senza paura all’azione dello Spirito
Santo, per uscire da se stesso (la Pentecoste). Lo Spirito infonde la forza per
annunciare il Vangelo con audacia (parresìa) a voce alta, in ogni tempo e
luogo, anche controcorrente. Senza invocarLo ogni azione corre il rischio di
rimanere vuota. Lo Spirito fa evangelizzare con le parole, ma ancora di più
con la vita trasfigurata dalla presenza dello Spirito Santo in noi. Nel linguaggio comune fare una cosa con “spirito” significa qualche movente inte130
LG 16, cit. da EG 252.
Cfr. EG 250-254.
132 Cfr. EG 255-258.
131
215
CAPITOLO QUINTO
riore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e
comunitaria, un’azione che diventa fervorosa, gioiosa, generosa, audace, decisa, convinta, passionevole e contagiosa. Nel nostro caso quel movente è lo
Spirito Santo che arde nei nostri cuori133. Questo capitolo con il suo genere
letterario potrebbe essere definito come un discorso spirituale, quasi omiletico.
2.5.1 Motivazioni per un rinnovato impulso missionario
Gli evangelizzatori uniscono nella loro vocazione la preghiera con il
lavoro. Senza una spiritualità, momenti prolungati di preghiera (sia individuale sia comunitaria), del dialogo con il Signore, i compiti si svuotano di
significato, provocano stanchezza, rassegnazione, avvilimento ecc. Invece i
primi cristiani furono pieni di gioia, ricolmi di coraggio, instancabili nell’annuncio, attivi. Anche molti santi sono gli esempi dell’evangelizzazione nei
quali possiamo indicare alcune motivazioni principali.
L’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva
L’amore di Gesù, sapere di essere amati e riconoscere il Suo sguardo
d’amore, il fascino del Suo affetto, diventa la prima motivazione e spinge a
condividere questa gioia con gli altri. Dall’altra parte il missionario è convinto che il desiderio di un tale amore “esiste già nei singoli e nei popoli,
per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità
su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla
morte. L’entusiasmo nell’annunciare il Cristo deriva dalla convinzione di
rispondere a tale attesa”134. La vita con Gesù illumina e fa riscoprire sia
nell’evangelizzatore che nell’evangelizzato che la nostra esistenza diventa più
piena e assume un senso molto più profondo ed autentico. Gesù ci accompagna sempre nell’opera evangelizzatrice e come Lui voleva rivelare la gloria
del Padre, così in noi e mediante noi, continua ad operare per rendere manifesta la gloria di Dio135.
Il piacere spirituale di essere popolo
Gli evangelizzatori provano il gusto spirituale di rimanere vicini alla
vita della gente, sentono la passione per il popolo di Dio ed entrano in contatto con l’esistenza concreta degli altri. Sanno che lo sguardo d’amore di
Gesù è rivolto verso tutti i popoli e verso ogni persona. Il missionario affa133
Cfr. EG 259-261.
RMi 45, cit. da EG 265.
135 Cfr. EG 264-267.
134
216
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
scinato dal modello di Gesù di voler stare in mezzo al suo popolo, desidera
anche lui di inserirsi a fondo della società, condividendo la loro vita, e ascoltando le loro gioie e preoccupazioni cerca la loro felicità. In tal modo vive
l’esperienza di appartenere al popolo, si rende conto di far parte dello stesso
popolo. Negli altri l’evangelizzatore riconosce maggiormente la presenza di
Dio. Perciò ogni persona è degna della sua dedizione; essa è opera di Dio, sua
creatura; per ogni persona Gesù ha donato il suo sangue, per cui ciascuno è
immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione.
L’azione misteriosa del Risorto e del Suo Spirito
A volte si può cadere nella rassegnazione credendo che con l’opera
evangelizzatrice nulla potrà cambiare. Si rimane chiusi nella comodità, nella
pigrizia, nella tristezza e nel vuoto egoista. Invece il missionario si ricorda
continuamente che Gesù Cristo ha vinto il male e il peccato con la Sua risurrezione. La risurrezione non è una cosa del passato ma una forza senza
uguali nell’attività evangelizzatrice. La Risurrezione sta operando in ogni
luogo ed in ogni tempo, ha penetrato ogni tessuto della storia, malgrado le
difficoltà e la zizzania; anzi gli effetti portati dal Risorto ci possono sorprendere. Anche se non subito si vedono gli effetti della Risurrezione, ma
comunque viene mantenuta sempre la certezza interiore che Dio può agire
in qualsiasi circostanza, questa certezza è definita come “senso del mistero”.
A base di questo il missionario ha la sicurezza che non andrà mai perduta
nessuna delle sue opere svolte con amore, nessuna fatica, sacrificio, opera di
proclamare e testimoniare, perché la sua attività è ancorata e radicata nella
presenza effettiva del Risorto, il quale agire mai può essere impedito o ostacolato. Egli aspetta soltanto il dono di noi stessi e la nostra disponibilità, il
nostro “sì”. Nemmeno la nostra debolezza lo può impossibilitare nel suo
lavorare, anzi Egli “viene in aiuto alla nostra debolezza” e adopera tutto di
noi per diffondere la Buona Novella sulla salvezza136.
La forza missionaria dell’intercessione
Uno degli elementi essenziali dell’evangelizzazione è l’intercessione:
“Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia...perché vi porto nel
cuore” (Fil 1,4.7). L’evangelizzatore non prega soltanto affinché la sua attività possa portare i frutti o sia efficace oppure che sia lui all’altezza di compiere la sua missione, ma prega per chi è destinatario del suo annuncio, indipendentemente dai risultati. Anzi prega anche per coloro ai quali non riuscirà ad arrivare, basta pensare a santa Teresa di Lisieux. La sua preghiera è
136
Cfr. EG 275-280.
217
CAPITOLO QUINTO
già la forma e il mezzo di cui si può servire lo Spirito Santo per arrivare al
cuore di chi non conosce e non ha mai ascoltato il Vangelo137.
2.5.2. Maria, la Madre dell’evangelizzazione
Il dono di Gesù al suo popolo
L’esortazione, come la maggior parte dei documenti del magistero,
termina con il richiamo a Maria come protagonista dell’evangelizzazione
svolta da tutta la Chiesa, soprattutto in quanto dona e porta al mondo il Figlio di Dio138.
La Stella della nuova evangelizzazione
Maria ci lascia il modello e ci insegna come evangelizzare in quanto
donna di fede, che cammina nella fede, e “la sua eccezionale peregrinazione
della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa”139.
3. Le risonanze e la ricezione non unisona
Da un lato la novità apportata dalla personalità di papa Francesco e,
dall’altra, lo sguardo sull’Evangelii gaudium dalla prospettiva di due anni,
nell’arco dei quali, il papa ci ha fatto celebrare l’anno del sacerdozio, l’anno
della vita consacrata, il sinodo sulla famiglia in due tappe, ora l’anno del
giubileo straordinario della misericordia e nel frattempo i molti viaggi apostolici, gli incontri e le interviste, ci permettono di analizzare il testo dell’esortazione in una più ampia (tre anni di pontificato) ma anche più chiara prospettiva (i tratti peculiari del pensiero di Francesco), che comunque non è
priva delle ricezioni ed ermeneutiche assai polarizzate, da quelle più entusiaste ed accoglienti a quelle più scettiche e diffidenti. Perciò anche questo
punto con il suo modesto intento dell’analisi sarà diviso in due momenti:
quello di una positiva valorizzazione e quello di una certa ma creativa distanza che esprime non pochi dubbi e si pone molti interrogativi. Ciò in
quanto, a differenza dei contributi offerti nei capitoli I-IV, riguardanti i papi
che hanno ormai terminato il loro ministero petrino, il pontificato di papa
Francesco è in corso e quindi rimane ancora aperto. Invece di offrire una
137
Cfr. EG 281-283.
Cfr. EG 285-286.
139 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris Mater 6 (25 marzo 1987): AAS 79
(1987), 366, cit. da EG 287.
138
218
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
esposizione ormai in qualche modo impostata, determinata e ben inquadrata140, lasciamo al lettore una “porta” aperta per vedere le varie direzioni in
cui si sta sviluppando il tema dell’evangelizzazione, legato e strettamente
connesso anche alle altre questioni che fanno parte del programma di questo pontificato. In tal modo – modificando un po’ in questo ultimo capitolo la metodologia – la ricezione dell’esortazione con l’accento posto su alcuni temi, a partire da alcune considerazioni qui riportate, è lasciata alla riflessione del lettore. Il primo punto vuole mettere in risalto le componenti di
novità, attualità, conformità alle sfide attuali, le questioni urgenti che nel
testo dell’esortazione sono stati coraggiosamente affrontate e approfondite,
in altre parole una lettura che evidenzia il lato ‘forte’ del documento. Il secondo paragrafo mette invece in risalto alcuni interrogativi, i temi ancora
aperti o appena toccati ma non sviluppati, oppure le problematiche che possono suscitare qualche giustificata ambiguità o perplessità. Ovviamente eventuali limiti non sottraggono il valore e l’importanza dell’esortazione nella
sua totalità e finalità, tantomeno vanno visti come forma di una criticità a
priori, bensì sono da considerare come aperture per una ulteriore ricerca e
studio teologico a cui invita il papa stesso.
3.1. Il valore e l’importanza dell’esortazione
Per comprendere l’esortazione M. Introvigne mette in guardia da
qualunque lettura frettolosa e parziale del documento che cerchi di estrarre
dal testo qualche frase o paragrafo con cui ci si sente più in sintonia, ritenendola sbagliata. Il testo ha una sua architettura precisa. Tuttavia attraverso
uno sguardo retrospettivo che permette di leggere i suoi contenuti a distanza
di tre anni, appare evidente che certe categorie, idee, principi, addirittura le
espressioni sono diventate continuamente presenti nell’insegnamento di
Francesco e hanno giustamente sollecitato alcuni interrogativi. Una delle
140
Con l’esposizione dei documenti precedenti del magistero non si intende che siano da
archiviare. Ma come diceva P. Ricoeur, un testo non è mai una grandezza conclusa, ma
aperta a nuove letture e successive interpretazioni e riletture. Quanti lo leggono, in certo
qual modo, lungi dallo svolgere una funzione passiva e meramente ricettiva, lo riscrivono
con la loro ermeneutica. Così crediamo che accadrà con i documenti già presentati, malgrado il fatto che tentavamo di “inserirli in un quadro completo, quasi definito”. Quindi
anche essi, nonostante l’arrivo dell’Evangelii gaudium, “continuano a parlare” per cui si
richiede che siano interpretati tenendo conto delle circostanze: lettore, comunità, eve nti storici, le sfide della Chiesa ecc. In altre parole, si tratta di proporre la loro lettura,
trovare le chiavi per la loro interpretazione ed accompagnare la loro assimilazione. Cfr.
http://www.queriniana.it/blog/aparecida-2007-la-v-conferenza-dell-episcopato-latinoamericano-102.
219
CAPITOLO QUINTO
preoccupazioni più emergenti da parte di Francesco è la qualità della trasmissione dell’annuncio. Egli giustamente fa leva sulla preparazione degli
evangelizzatori e sui metodi adatti che tengano conto delle capacità dei destinatari ai quali è indirizzata la proclamazione; da qui l’approccio educativo nella trasmissione della fede. Inoltre quello che ci colpisce, e ciò risulta
dall’atteggiamento stesso del papa, è lo stile e il linguaggio diretto per esprimere in modo chiaro i temi che di più gli stanno a cuore, per cui è inevitabile esplicitare l’approccio pastorale. Infine non si può prescindere da una
riflessione sul titolo dell’esortazione che rievoca la gioia del Vangelo che si
esprime anche nella gioia di evangelizzare; questo ci porta a trattare la spiritualità dell’evangelizzazione.
3.1.1. La qualità, la condizione e le forme della trasmissione della fede
Nella parte introduttiva dell’esortazione il papa individua le sette
questioni di particolare importanza nella lettura totale dell’Evangelii gaudium: a) La riforma della Chiesa in uscita missionaria; b) La tentazione degli operatori pastorali; c) La Chiesa intesa come totalità del Popolo di Dio
che evangelizza; d) L’omelia e la sua preparazione; e) L’inclusione sociale dei
poveri; f) La pace e il dialogo sociale; g) Le motivazioni spirituali dell’impegno missionario141. Le prime tre sono legate alla natura della Chiesa, la
quarta riguarda la pratica della predicazione e le ultime tre si riferiscono ad
alcune finalità del lavoro di evangelizzazione e alle motivazioni profonde
che invitano a portarlo a termine. A prima vista appaiono questioni sia teoriche che pratiche, ma vi si scorge subito un profondo legame tra di esse.
Resta anche da sottolineare che il documento non è stato seguito da molti
studi teologici che lo abbiano analizzato nel tempo trascorso dalla pubblicazione fino ad oggi; semmai sono state offerte analisi su alcuni elementi
concreti, ma non su tutto il documento in generale142. Certo nemmeno qui
sarà possibile presentare un quadro complessivo, né addentrarci in un sentiero teologico che pretenda di essere esaustivo; piuttosto riprendendo le indicazioni offerte da J. María La Porte si vorrà intraprendere il tentativo di
specificare solo alcune implicazioni teologiche riguardo allo stile evangelizzatore che il papa propone di assumere in varie attività pastorali. L’espo141
EG 17.
Si veda C. IZQUIERDO, “El anuncio y la trasmisión del Evangelio en Evangelii
gaudium”, in Scripta Theologica 46 (2014), 443-459; G. GARCÍA BELTRÁN, “La dimensión
social de la evangelización en la Exhortación Apostólica Evangelii gaudium”, in Scripta
Theologica 46 (2014), 461-480; G. ALCAMO (a cura di), La catechesi educa alla gioia
evangelica. Riflessioni teologico-pastorali a partire dall’Evangelii gaudium, Roma 2014.
142
220
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
sizione consta di tre momenti: le periferie e l’evangelizzazione; la cornice intellettuale più adatta per evangelizzare; le possibili modalità intellettuali per
l’impegno evangelizzatore143.
a) Le periferie e la comunicazione della fede
Il papa usa nove volte il termine periferie e a seconda del contesto allarga e amplia il significato di questo concetto. Il termine appare la prima
volta al numero 20 in un contesto di uscita missionaria della Chiesa, dove le
periferie vengono presentate come terre nuove “che hanno bisogno della luce del Vangelo”. Cristo attraverso la Chiesa cerca di arrivare laddove non è
conosciuto, in un certo senso nelle periferie esistenziali. In un secondo momento il papa mette in rapporto le periferie con la chiamata alla conversione missionaria; ogni Chiesa locale giunga ai luoghi fuori del proprio
territorio nel socio-culturale dove manca la luce di Cristo144. In un terzo
momento il concetto si riferisce alla dimensione personale, quando il testo
parla della Chiesa che si avvicina alle periferie umane, ad ogni uomo145. Più
avanti il termine periferia acquista un senso maggiormente legato alla povertà in ambito economico, affrontando la questione di quel tipo di economia
che esclude i vulnerabili e i deboli generando ingiustizie alle quali occorre
opporsi146. In seguito si sviluppa l’idea della periferia come uno spazio sociale esterno (locale, nazionale, o internazionale) dove la società abbandona
una parte di sé, impoverita dalla mancata uguaglianza di opportunità concessa a tutti147. Nel n. 6, le periferie vengono associate al rapporto fede–
ragione, in riferimento a luoghi impoveriti, frutto di una cultura individualista e consumista, in cui alcuni atteggiamenti burocratici dei cristiani non
hanno saputo offrire la luce di Cristo148. Il senso del settimo utilizzo del
concetto è simile al precedente e fa ricorso a luoghi (urbani e rurali) dove la
gente abita in condizioni di miseria e povertà149. Le ultime due volte il concetto di periferia viene inserito in una prospettiva spirituale di senso e di testimonianza. Di senso, perché la salvezza arriva proprio dalla periferia
143 Cfr. J. MARÍA LA PORTE, “Comunicazione della fede e periferie esistenziali: alcune riflessioni sulla Evangelii gaudium nell’ambito della comunicazione”, in Pontificia Università
Santa Croce, Inaugurazione dell’Anno Accademico 2014-2015, Roma 7 ottobre 2014, 6-7.
144 Cfr. EG 30.
145 Cfr. EG 46.
146 Cfr. EG 53.
147 Cfr. EG 59.
148 Cfr. EG 63.
149 Cfr. EG 191.
221
CAPITOLO QUINTO
dell’impero romano, da un posto sperduto, caratterizzato dai poveri150. Di
testimonianza perché si utilizza la parola periferia nell’orazione finale alla
Madonna come luogo dove la testimonianza stessa dovrebbe arrivare151.
Riassumendo, le prime tre volte il termine viene applicato alla realtà missionaria della Chiesa e alla comunicazione del Vangelo. Le due volte successive viene applicato all’esclusione generata da un sistema economico ingiusto che fa imperare la cultura dello scarto. In altre tre occasioni la parola è
riferita a luoghi geografici e ambienti che si sono impoveriti, anche zone
urbane, spiegando che la povertà è il luogo dove nasce Gesù. Concludendo
il significato di periferia si allarga a tutto ciò che genera un allontanamento
da Cristo, materiale, intellettuale e spirituale. Tuttavia nel complesso
dell’impostazione del documento, il papa offre un progetto che non percepisce le periferie come realtà “fuori”, ma le fa diventare “centrali”. Il Vangelo ne dà una profonda logica secondo cui gli ultimi saranno i primi e i più
poveri sono sempre al centro dell’attenzione di Cristo. Questo è il paradosso
del Vangelo in cui il pastore lascia le novantanove pecore per cercare quella
che si è perduta. E come la pecorella smarrita resta il cuore delle preoccupazioni del pastore, così le periferie devono essere al centro delle preoccupazioni della Chiesa, dei paesi e delle istituzioni internazionali che per condizione sociale, politica, economica, territoriale, sono i protagonisti del sistema mondiale. Solo inglobando le periferie è possibile attivare programmi e
azioni ispirati dalla solidarietà e dallo spirito di comunità umana, realizzando effettivamente e rendendo presente il Regno di Dio proclamato dal
Vangelo152.
b) La Chiesa in uscita: evangelizzare nella cultura odierna
Che caratteristiche potrebbe avere lo stile che il papa propone quando si tratta di evangelizzare e comunicare la fede nel mondo intero? Sembra
che dall’esortazione ne emergono due che molto spesso vengono riprese e
ribadite.
La prima è quella del discernimento153. In genere con questo termine si intende la valutazione alla luce della fede del contesto per poter determinare quali sono i problemi da affrontare, le loro radici, in modo che si
150
Cfr. EG 197.
Cfr. EG 288.
152 Cfr. P. PAROLIN, “Papa Francesco: visione e teologia di un mondo aperto”, in Studia Patavina 62 (2015), 302-303.
153 Il documento usa 10 volte il sostantivo “discernimento” e 5 variabili del verbo “discernere”.
151
222
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
possa fare il primo passo per proporre soluzioni. Tale discernimento, secondo papa Francesco, permette di fare riferimento diretto ad alcune sfide culturali del mondo attuale, come: attacchi alla libertà religiosa, una “diffusa
indifferenza relativista”, fondamentalismo, secolarizzazione e consumismo,
il dominio dell’effimero sullo stabile e universale; individualismo e crisi della famiglia, una cultura dove “ciascuno vuole essere portatore di una propria
verità soggettiva”, dove il primo posto è occupato da ciò che è esteriore,
immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio, dove “il reale cede il
posto all’apparenza”154 e dove la globalizzazione – spesso grazie ai mass–
media e diverse altre forme di comunicazione – danneggia i valori delle culture locali. Proprio quanto ai mezzi di comunicazione, il papa cita espressamente Giovanni Paolo II:
Stanno emergendo nuove forme di comportamento che sono il risultato di una eccessiva esposizione ai mezzi di comunicazione (…)
Conseguenza di ciò è che gli aspetti negativi dell’industria dei media
e dell’intrattenimento minacciano i valori tradizionali155.
In seguito il papa si riferisce esplicitamente ad un mondo pieno di
comunicazione, che affonda i valori in un mare di parole non costruttive,
notizie negative e spesso falsificate, polemiche inutili, controversie superficiali, discussioni vuote di significato, e alle culture che hanno prodotto stili di vita lontani da Dio156, anzi dove non c’è più posto per Dio. Però allo
stesso tempo, senza demonizzare i mezzi di comunicazione, rende manifesta
ed evidente la loro utilità e la loro funzione positiva per trasmettere le informazioni, il loro ruolo importante in una società libera che ha il diritto di
accedere alla verità; da qui la responsabilità dei mass–media di essere fedeli e
conformi alla verità delle parole e degli eventi. Questa sintetica diagnosi
dell’attuale contesto fa emergere un fenomeno caratteristico dei nostri tempi: la spaccatura tra Vangelo e cultura157. Di fronte a tale sfida uno dei
compiti dell’evangelizzazione sarà anche quello di salvare, conservare e trasmettere i valori propri del genere umano che accomunano e uniscono le
154
Cfr. EG 61-67.
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia (6 novembre
1999), 7: AAS 92, 458; cit. da EG 63.
156 Cfr. EG 74-75; 199.
157 Cfr. J. MARÍA LA PORTE, “Comunicazione della fede e periferie esistenziali: alcune riflessioni sulla Evangelii gaudium nell’ambito della comunicazione”, 13-16. Successivamente,
nel punto c) saranno presentate le possibilità o i mezzi per far avvicinare la fede e la cultura
d’oggi.
155
223
CAPITOLO QUINTO
varie tradizioni, contribuendo così a far entrare il Vangelo nella costruzione
della nuova cultura o nel rinnovamento della cultura che sembra negare se
stessa (nichilismo culturale158) o in altre parole sembra negare l’uomo, diventando una cultura non solo ‘senza Dio’, ma ‘contro la persona’. Paradossalmente le epoche contemporanee, in cui si faceva quasi un’apoteosi della
razionalità e dell’autentico umanesimo, hanno testimoniato gli orrori più
grandi della storia umana, come le due guerre mondiali, i totalitarismi, lo
sterminio – tutti gli eventi riconducibili alla dis-umanizzazione. Come non
intensificare a tal punto lo sforzo evangelizzatore? Come non dimostrare il
vero volto umano rinvenibile nel Vangelo? Da qui si sente uno slancio ancora più fervente per realizzare, come cristiani, come figli della Chiesa, la vocazione missionaria.
La seconda caratteristica propria della ‘Chiesa in uscita’ è l’attenzione e l’approfondimento del significato dell’opzione preferenziale per i
poveri. Essa è “per la Chiesa (…) una categoria teologica prima che culturale,
sociologica, politica o filosofica”159. E il papa continua:
Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le
sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa (…) Sebbene si possa dire in generale
che la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo, nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale. (…) Temo che anche
queste parole siano solamente oggetto di qualche commento senza
una vera incidenza pratica. Nonostante ciò, confido nell’apertura e
nelle buone disposizioni dei cristiani, e vi chiedo di cercare comunitariamente nuove strade per accogliere questa rinnovata proposta160.
In questo enunciato è possibile individuare almeno due valenze significative, quella riferita alla persona e quella legata alla cultura dello scarto. Per
quanto riguarda la vita personale, non mancano i cristiani e gli uomini di
buona volontà che offrono un aiuto concreto a realtà disagiate in cui vivo158 L’espressione del ‘nichilismo culturale’ ha trovato la sua ispirazione nell’opera di G.
CHIMIRRI, Teologia del nichilismo. I vuoti dell’uomo e la fondazione metafisica dei valori,
Milano – Udine 2012, in cui l’autore esamina il nichilismo su tre piani: ontologico, epistemologico ed etico. Nel contesto del nostro studio si potrebbe anche parlare appunto del
‘nichilismo culturale’.
159 EG 198.
160 EG 201.
224
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
no o si trovano, spesso nelle zone periferiche, impegnati nella raccolta di
fondi per chi è stato colpito da tragedie, drammi, situazioni di dolore e sofferenza; non mancano neppure i pastori, i catechisti, i formatori che sul
piano educativo cercano di mettere in contatto le nuove generazioni con la
povertà materiale e spirituale. In ogni modo l’appello del papa sull’opzione
preferenziale per i poveri interroga tutto il mondo cristiano su nuove vie da
percorrere. Oltre alla dimensione personale ci sarebbe un secondo significato possibile applicando quest’opzione preferenziale per i poveri alla cultura
dello scarto. Qui non si vuole parlare solo dello scarto materiale – a cui
d’altronde abbiamo già dedicato un po’ di spazio –, ma dello scarto intellettuale ed educativo, riprendendo a tal punto anche le intuizioni di Giovanni
Paolo II, quando parlava della “rivoluzione delle idee”161, di cui hanno bisogno i paesi e popoli considerati come poveri. Non di rado la loro povertà
materiale è legata alla povertà educativa inerente la sfera interiore delle idee;
da qui la necessità di risvegliare le coscienze. Esiste uno scarto educativo
passivo, non voluto: molte persone vengono private dell’educazione a causa
di un sistema ingiusto. La Chiesa offre un’opportunità educativa ai missionari, sia ai sacerdoti sia ai laici, che saranno in grado di andare alle periferie per
affrontare quello scarto, quel divario culturale, e condividere con migliaia di
persone ciò che hanno imparato, per riuscire così a sviluppare un processo
d’inclusione162, facendo in modo che molte persone escluse vengano progressivamente incorporate nella società. Ne consegue un altro ruolo di grande
importanza dell’opera missionaria: quello di sviluppare ancora di più la sensibilità verso una inclusione educativa. Esiste, però, anche un secondo tipo di
scarto educativo e intellettuale, quello che si potrebbe definire attivo, anche se
non sempre del tutto consapevole. Si tratta di quelli che, avendo avuto opportunità educative, escludono comunque, già in partenza, la dimensione religiosa dell’uomo, la sua apertura alla trascendenza e la possibilità di cercare la verità. Sono persone che scartano se stesse, privandosi di un qualcosa di essenziale, della certezza di un destino eterno e della luce che potrebbe illuminare il
senso e il valore della loro vita, del loro lavoro, della loro formazione e del
loro progresso integrale. Sono le persone che essendo povere educativamente
diventano facilmente preda del relativismo, delle visioni riduzioniste e del nichilismo esistenziale. Anche se questi atteggiamenti possono, nel loro caso,
coesistere con grandi conoscenze nelle scienze positive163.
161
Cfr. RMi 58.
Cfr. EG 186ss.
163 Cfr. J. MARÍA LA PORTE, “Comunicazione della fede e periferie esistenziali: alcune riflessioni sulla Evangelii gaudium nell’ambito della comunicazione”, 16-18.
162
225
CAPITOLO QUINTO
c) Le modalità di portare la fede in deserti di povertà culturale
Le domande che sorgono adesso sono: quali possono essere le modalità educative efficaci nel processo di evangelizzazione? Come comunicare la
fede nel XXI secolo? Chi/come dovrebbero essere gli agenti ed i protagonisti
di questa evangelizzazione? Facendo ricorso all’esempio di san Josemaría
Escrivá, il fondatore dell’opera apostolica Opus Dei, si dovrebbe affermare
che prima di studiare le varie possibili forme dell’evangelizzazione, occorre
evidenziare il suo carattere integrale. In altri termini, san Josemaría insisteva
sulla dignità di qualsiasi lavoro, manuale o intellettuale, pastorale e didattico. Presto si rese conto che gli intellettuali hanno un influsso enorme sulle
persone e sulla società in generale, perché nello svolgimento del proprio lavoro possono fare un bene enorme o un danno fatale: possono arricchire o
impoverire concettualmente le menti di tanti uomini e alimentare intellettualmente, culturalmente, le generazioni presenti e future, oppure privarle
del necessario alimento. J. María La Porte indica almeno tre forme e linee
dell’opera di evangelizzazione corrispondenti alle sfide culturali d’oggi: inculturare la fede in un mondo globale mediatico; mantenere e rinnovare le
vie che collegano l’uomo a Dio; moltiplicare i registri comunicativi nella
trasmissione della fede.
La prima forma trova la sua chiara articolazione quando il papa parla del bisogno di “evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo” 164: un
processo a lunghissimo termine. Di fatto la storia del cristianesimo ci racconta le esperienze dei missionari e dei primi evangelizzatori, che non si limitavano a un mero ruolo di mediazione fisica (vocale o scritta), di ripetizione di contenuti, ma piuttosto svolgeva un vero lavoro intellettuale che
richiedeva una preparazione per inculturare il messaggio della fede. Il papa
sottolinea che “una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla
trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere”165. Per questo appare indispensabile una mediazione intellettuale in funzione dell’approfondimento dei contenuti della Rivelazione per renderli accessibili ai destinatari spingendo la ragione umana a
conoscere meglio i fondamenti del mondo che abbiamo di fronte a noi.
Questo compito spetta particolarmente ai teologi. Loro infatti, dovrebbero
riscoprire il loro ruolo di mediatore intellettuale nei confronti delle diverse
componenti sociali: giovani, famiglie, varie associazioni, autorità civili, professionisti dei mezzi di comunicazione, sacerdoti e operatori pastorali ecc.
Potrebbe essere una tentazione il pensare che il loro impegno sia soltanto un
164
165
EG 69.
EG 35.
226
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
lavoro di nicchia indirizzato agli specialisti, ma non alla gente comune. Anzi, il loro dovere è anche quello di spiegare la realtà teologica con categorie
adatte ai diversi contesti, il che non implica di forzare o tradire le conoscenze teologiche a causa di una semplificazione superficiale; piuttosto, si tratta
di avere un livello di conoscenza così profondo da essere in grado di chiarire in modo che sia accessibile e comprensibile ai diversi destinatari. Soprattutto oggi il teologo deve rendersi conto che
con la velocità delle comunicazioni e la selezione interessata dei contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che
mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari. Ne deriva che alcune questioni che fanno parte dell’insegnamento morale della Chiesa rimangono fuori del contesto che dà
loro senso166.
Per questo il teologo non deve allontanarsi dalla sfera pubblica, ma
individuare i diversi interlocutori sociali, realizzare un lavoro di mediazione
intellettuale e tenendo conto della nuova cultura mediatica, presentare la fede nella sua integralità e conformità al Vangelo; anche questo può essere un
modo per compiere la vocazione missionaria167.
La seconda forma dell’attività evangelizzatrice, innanzitutto sul campo della predicazione ed opera pastorale, sarà quello di avvicinare la realtà
divina all’uomo d’oggi usando un linguaggio aggiornato non solo nella sua
forma semantica, ma in quanto tocca la vita delle persone, ossia nella misura in cui entra nei loro problemi, situazioni, difficoltà, circostanze che devono essere quotidianamente affrontate, perché concernenti la loro vita ordinaria. Per questo il papa scrive:
L’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio e delle
circostanze. Esso cerca sempre di comunicare meglio la verità del
vangelo in un contesto determinato (…) Un cuore missionario è consapevole di questi limiti e si fa «debole con i deboli (…) tutto per tutti» (1Cor 9,22). Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze,
mai opta per la rigidità autodifensiva168.
166
EG 34.
Cfr. J. MARÍA LA PORTE, “Comunicazione della fede e periferie esistenziali: alcune riflessioni sulla Evangelii gaudium nell’ambito della comunicazione”, 19-24.
168 EG 45.
167
227
CAPITOLO QUINTO
Tale rigidità autodifensiva dei portatori dell’annuncio viene superata
dal momento in cui loro, usufruendo delle scoperte intellettuali del passato,
le ripensano nel presente e si servono di esse per poter continuare ad avanzare. L’eccessivo attaccamento a determinate idee o processi intellettuali potrebbe non far avanzare la conoscenza del messaggio e favorire una distanza
tra la ricerca dei contenuti della fede e la comunicazione di essi, così si verificherebbe quella grave spaccatura tra fede e cultura, segnalata da Paolo VI169.
La terza forma di evangelizzare si riferisce a moltiplicare i registri
comunicativi nella trasmissione della fede. Il fatto che viviamo in un mondo globale dove la possibilità di avere contatto contemporaneamente con
tantissime persone sembra favorire la trasmissione del Vangelo, ma allo stesso tempo il mondo di oggi non smette di aver bisogno dei rapporti personali. In questo caso andare alla periferia consiste forse nel recuperare una ad
una quelle persone che si sono de-personalizzate o diluite in un ambito digitale170, della rete, che non risponde ai profondi bisogni della persona. Il
problema dunque è che il contesto globale spinge a intercambiare i messaggi,
a proporre per tutti i contenuti specializzati o indirizzati ad un gruppo ridotto di esperti, e siccome tutti hanno l’accesso a tali contenuti questo con grande probabilità comporterebbe interpretazioni o letture malintese o non comprese affatto. Di conseguenza per comunicare il Vangelo e i suoi contenuti nel
mondo globale della rete, sembra importante determinare i gruppi di persone
a cui ci si rivolge e cercare di sviluppare registri comunicativi diversi per ogni
gruppo. La diversità degli interlocutori, secondo La Porte, non dovrebbe generare una paralisi comunicativa ma un processo di discernimento per scegliere
i gruppi di persone con i quali si comunica, in funzione del determinato rapporto che si ha con loro e trasmettere quello che ci sembra adatto attraverso i
mezzi più adeguati, sforzandosi di evitare l’ambiguità nella comprensione del
contenuto. Infatti quando il papa entra nei particolari pratici dell’annuncio e
della trasmissione della fede, insiste sul fatto che tutti siamo missionari171 e
che l’evangelizzazione deve partire dal livello personale, tenendo conto delle
forme della pietà popolare e delle modalità culturali ed educative172.
169
Cfr. EN 20.
Sull’evangelizzazione digitale, sui suoi pregi ma anche i limiti e sulla cyberteologia, cfr.
M. PADULA, “La Parola «mediata». Per un’evangelizzazione digitale (Verbum Domini n.
113)”, in P. MERLO – G. PULCINELLI (edd.), ‘Verbum Domini’. Studi e commenti sull’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, 429-449, in specie, 442-448.
171 Cfr. EG 119.
172 Cfr. J. MARÍA LA PORTE, “Comunicazione della fede e periferie esistenziali: alcune riflessioni sulla Evangelii gaudium nell’ambito della comunicazione”, 26-29.
170
228
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
3.1.2. La Chiesa nel mondo e per il mondo
Uno dei temi fondamentali dell’esortazione apostolica è la forma
della presenza del popolo di Dio in un mondo che ha nella dimensione
globale una componente essenziale del vivere sociale. Tuttavia questo mondo appare come mondo ‘aperto’ nel senso di una imprevedibilità degli scenari, per cui papa Francesco vuole leggere il mondo con un intento che è
critico ma parimenti costruttivo. È il mondo dove in principio non esistono
situazioni o abitudini precostituite, ma è un mondo di relazioni e di dialogo, di aspetti che divengono in esso una regola di vita. La Chiesa invece è
indicata come “ospedale da campo” che vive la sua missione di salvezza e
guarigione nel mondo. P. Parolin spiegando la visione del mondo che emerge dal documento lo definisce come “un mondo aperto” e si chiede subito
quali sono le sue caratteristiche particolari173. Il mondo d’oggi si manifesta
come realtà pluriforme (etnica, culturale, politica, religiosa). Di fronte alla
multipolarità sempre più ampia la Chiesa, dovendo entrare nell’universo
delle relazioni e volendo assumere l’atteggiamento del dialogo deve rivalorizzare la centralità della misericordia. Descrivendo il mondo il papa usa
spesso l’aggettivo ‘poliedro’. In questo mondo ciascuna superficie, nonostante
la pluralità di vario genere, vuole comunque conservare la sua identità che è
legata alla propria dignità, alla dignità e all’unicità di ogni persona. In questo
contesto anche il cristianesimo insiste nel salvare e dimostrare la sua identità,
sia sul piano individuale del credente come figlio di Dio sia sul piano comunitario di appartenere, mediante l’abbraccio battesimale, alla Chiesa di Cristo
e di essere incorporati in Lui. In questa comunità già esiste un mondo di relazioni e di dialogo. Pertanto il senso di identità e d’appartenenza dei cristiani
al Corpo di Cristo non dovrebbe essere motivo di isolamento o per chiudersi
in se stessi o nel proprio gruppo174, pena il rischio di autoreferenzialità e di
regresso, anziché di progresso e sviluppo. Al contrario, ogni identità diventa
viva e vera quando si pone in relazione con le altre e si apre al dialogo175. La
comprensione tra le diversità e costruire la pace in mezzo a visioni e modi di
vivere e agire contrapposti è possibile solo attraverso la misericordia. Tale misericordia, essendo presente dentro la rete delle relazioni e volendo dialogare
con gli altri, si esprime attraverso la pazienza e l’umiltà. La pratica del dialogo
con le altre superfici in mezzo alle molteplici relazioni nello spirito di misericordia, ha come finalità la edificazione di una società giusta176.
173
Cfr. P. PAROLIN, “Papa Francesco: visione e teologia di un mondo aperto”, 293-295.
Cfr. EG 235.
175 Cfr. EG 251.
176 Cfr. EG 239.
174
229
CAPITOLO QUINTO
Un dialogo è molto più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica
tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene
che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo177.
Questa sarebbe la via da percorrere di fronte al mondo aperto e fatto
di molteplici attori dei quali ognuno è portatore di una propria identità, di
una specifica cultura, di una diversa storia. La globalizzazione non deve ridurre queste differenze, perché significherebbe toccare qualcosa di molto
profondo nell’identità dei popoli e delle culture. Essa deve rispettare
l’identità, perché la dignità umana è compresa in questa identità. Ora questa
dignità umana fonda tutto il pensiero della Chiesa sull’uomo e sulla sua esistenza in una comunità178; è l’identità, sebbene vincolata culturalmente, ma
fondata teologicamente alla luce del mistero di Cristo sull’evento creatore e
salvifico179. Le differenze e la multipolarità, presenti nel mondo aperto, sono la ricchezza dei popoli in quanto, globalizzate in modo originale, comportano la sfida di un’armonia costruttiva, libera da egemonie e che conduce ad una convivenza pacifica180. Tuttavia una onesta lettura del mondo
d’oggi non può purtroppo non vedere troppe situazioni obiettive di ingiustizia, miseria, povertà, sfruttamento, disuguaglianza, immigrazione, continue guerre ecc. Da qui l’appello del papa all’autentica solidarietà “intesa nel
suo significato più profondo e di sfida [che] diventa uno stile di costruzione
della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita”181.
3.1.3. La gioia – il cuore della spiritualità missionaria
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che
si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono
liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isola177
EG 142.
Cfr. P. PAROLIN, “Papa Francesco: visione e teologia di un mondo aperto”, 298-299.
179 Comunque questa interpretazione culturale presentata da Parolin non vuole mettere in
questione ma piuttosto esplicitare ancora di più la fondazione trascendentale dell’identità e
della dignità umana in quanto, essendo creatura di Dio, ontologicamente è riferita al suo
Creatore dal quale riceve l’identità e la dignità fondamentale. È proprio questo aspetto che
distingue la visione antropologica del cristianesimo.
180 Cfr. P. PAROLIN, “Papa Francesco: visione e teologia di un mondo aperto”, 299.
181 EG 240.
178
230
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
mento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa
Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a
una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare
vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni182.
La scelta esposta nell’introduzione di evidenziare la gioia come contrassegno di chi ha accolto il Vangelo e lo comunica agli altri va a toccare
un punto cruciale. La mancanza di gioia era proprio la contestazione principale mossa da Friedrich Nietzsche, il cui pensiero è rappresentativo
dell’uscita di Dio dal mondo moderno, come si legge in Umano troppo
umano: “Le vostre facce sono state per la vostra fede più dannose delle vostre ragioni. Se il lieto messaggio della Bibbia vi stesse scritto in viso, non
avreste bisogno di esigere così costantemente fede nell’autorità di questo libro”183. Una fede animata dalla gioia è la fede di chi ha fatto esperienza di
un incontro che lo ha rinnovato interiormente, nell’apertura di un nuovo
orizzonte di vita, per cui si trova una profonda fiducia che rimane salda anche nei passaggi tormentati184. Andando avanti si dovrebbe dire che l’evangelizzazione fa abbondare la gioia, sia nel cuore degli araldi della Buona
Novella, che in quelli di tutti coloro che aprono le porte della loro vita a
Cristo. L’assenza della gioia nell’opera dell’evangelizzazione e nella vita cristiana diventa un sintomo preoccupante di aridità spirituale. L’autentica e
matura vita cristiana si esteriorizza nell’offerta e nel dono di sé per la causa
del Vangelo. Poiché vi è più gioia nel dare che nel ricevere, allora donare
Gesù e il suo Vangelo dirigendo lo sguardo dell’umanità verso il Mistero di
Cristo, dilata e riempie della vera letizia il cuore del cristiano185.
Tuttavia resta da chiedersi in che senso si può parlare della ‘vera
gioia’ in riferimento all’evangelizzazione? Quale è il suo vero fondamento?
Per trovare la risposta occorre ritornare al decreto Ad gentes in cui i padri
conciliari affermano che “La Chiesa, durante il suo pellegrinaggio sulla
terra, è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e
dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre,
deriva la propria origine”186. Se il mandato missionario non sarà chiaramente fondato sul Mistero della Trinità, c’è il rischio di ridurre la missione
182
EG 1.
F. NIETZSCHE, Umano troppo umano, Adelphi, Milano 1979.
184 Cfr. C. ALBINI, “Evangelii gaudium: guida alla lettura”, in http://www.meicmarche.it/public/documenti/documento_929.pdf
185 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 306.
186 AG 2.
183
231
CAPITOLO QUINTO
a un insieme di attività di carattere sociale, ad opere per lo sviluppo economico o il progresso, ad un impegno politico in favore della liberazione di
popoli oppressi e alla semplice lotta contro l’esclusione. Cose, queste, che
per la loro stessa natura sono buone, ma diverse dalla missione che Gesù ha
affidato ai suoi discepoli. Essere missionari, in effetti, non vuol dire dare
delle cose, ma comunicare il fondamento della vita trinitaria: l’amore del
Padre (l’Amante), del Figlio (l’Amato) e dello Spirito Santo (l’Amore). Da
qui l’autentica gioia missionaria, cioè di condurre gli uomini a un’esperienza personale dell’amore incommensurabile che unisce il Padre, il Figlio e
lo Spirito Santo per lasciarsi immergere dentro la vita interiore di Dio Amore. Di conseguenza la gioia di evangelizzare non consiste solo nel trasmettere
un messaggio, ma nell’accompagnare le persone ad incontrare Cristo e in
Lui fare esperienza intima dell’amore trinitario187.
Per dare un vero profondo rilievo alla gioia nella vita dei cristiani e
nella loro vocazione missionaria, Francesco nella sua esortazione ha citato il
frammento del discorso di Giovanni XXIII in occasione dell’apertura del
Concilio Vaticano II, le parole di quel papa ‘buono’ che guardava sempre
all’esistenza umana con ottimismo:
Non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengono riferite le voci di
alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti
senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai [...] A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato presente degli eventi umani,
nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono
piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si
realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso
al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche
le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa188.
Questo enunciato fa riflettere e impostare il nostro argomento, la
gioia evangelica, alla luce di una adeguata e complessiva ermeneutica. Questo vuol dire che la gioia dell’evangelizzazione che si esprime attraverso
l’entusiasmo dell’annuncio non deve impedire l’obbiettività e il realismo
delle circostanze storiche. La gioia non è una semplice, passeggera ed effime187
188
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 308-309.
AAS 54 (1962), 789.
232
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
ra allegria condizionata dai fattori storici, ma in quanto ancorata nella speranza connaturale e innata al Vangelo, dimostra il coraggio di andare incontro ad una realtà non sempre accogliente, propizia e favorevole. E malgrado,
a volte, la fatica di confrontarsi con la situazione di ostilità o della debolezza degli stessi cristiani la gioia continua a riempire il cuore missionario del
credente perché radicata nel Signore. In questo orizzonte si capisce quanto
ha espresso Benedetto XVI l’11ottobre 2012 a proposito del 50o anniversario
dell’apertura del Concilio189:
Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi
una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni
abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità
umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta
navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano
la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha
dimenticato». Questa è una parte delle esperienze fatte in questi cinquant’anni, ma abbiamo anche avuto una nuova esperienza della
presenza del Signore, della sua bontà, della sua forza. Il fuoco dello
Spirito Santo, il fuoco di Cristo non è un fuoco divoratore, distruttivo; è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà, di bontà
e di verità, che trasforma, dà luce e calore. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica. Anche oggi, a suo modo, umile, il Signore è
presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di
carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà
di Dio. Sì, Cristo vive, è con noi anche oggi, e possiamo essere felici
anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte anche oggi!190.
3.1.4. Gli elementi specifici – lo sguardo riassuntivo
a) L’universalità cristica della missione della Chiesa
Riprendendo l’insegnamento del Vaticano II, Paolo VI, Benedetto
XVI e Giovanni Paolo II, il più frequentemente citato nel documento, si
189
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 316.
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/october/documents/hf_benxvi_spe_20121011_fiaccolata.html.
190
233
CAPITOLO QUINTO
potrebbe dire: “La Chiesa o è missionaria o non è più nemmeno evangelica”191. Questo ci indica che il punto di partenza è costituito dalla riflessione
sull’identità della Chiesa come missionaria; l’identità fondata sull’amore e
sul mandato di Cristo assieme; l’identità determinata dal fatto di essere la
Chiesa di Cristo, suo Corpo, ma anche sua Sposa. Da qui la centralità di
Cristo: il primo evangelizzatore e l’oggetto dell’annuncio. Al n. 110 si dice
che l’evangelizzazione della Chiesa non può essere vera e autentica senza
l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore; e continua, citando Giovanni Paolo II nella “Ecclesia in Asia” (del 1999), quando dice che in ogni attività di evangelizzazione ci deve essere “il primato della proclamazione di
Gesù Cristo”. Senza Cristo, l’unico Mediatore e Messaggero, i valori evangelici rischiano di essere laicizzati. Infine l’evangelizzazione è orientata a tutti.
Papa Francesco parla spesso dei poveri e degli ultimi, ma è anche convinto,
come scrive nell’Evangelii gaudium, che l’evangelizzazione è essenzialmente
connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono
Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere, ascoltare e conoscere il
Vangelo, senza però essere costretti ad accettarlo ma rimanendo di fronte al
suo appello sempre liberi.
b) La gioia di evangelizzare
L’Evangelii gaudium inizia così (n. 1): “La gioia del Vangelo riempie
il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Cristo, coloro che si lasciano salvare da Lui e sono liberati dal peccato, dalla tristezza del vuoto interiore. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Papa Francesco si
rivolge a tutti noi cristiani. Dice che la gioia è la caratteristica del cristiano
che vive davvero la comunione con Cristo. Il vivere con gioia la nostra vita
cristiana è la miglior testimonianza che possiamo dare del Vangelo, che “invita con insistenza alla gioia” (n. 5). La parola “gioia” è forse la più importante nell’Evangelii gaudium, che la cita 59 volte! Perché Francesco apre la
sua lettera parlando della gioia di vivere e amare Gesù Cristo? Perché il peccato, qualsiasi peccato, porta tristezza, pessimismo, depressione e conduce
alla morte. Gesù Cristo, morendo in Croce e risorgendo, ci ha liberati dai
nostri peccati e quindi ci dà la gioia di vivere. L’atmosfera dominante
nell’Occidente è il pessimismo, il lamento, la mancanza di speranza: quando
191
GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle Pontificie Opere Missionarie, (13 maggio 1986), in
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1986/may/documents/hf_jp-ii_spe_19860513_opere-missionarie.html
234
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
dall’orizzonte di una persona, di una famiglia, di un paese si toglie il sole di
Dio, l’uomo rimane da solo e vede solo buio nel suo futuro. Scrive (n. 6):
“Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che
devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede
cominci a destarsi”. E aggiunge: “Invito ogni cristiano (…) a rinnovare oggi
stesso il suo incontro personale con Cristo, cercarlo ogni giorno senza sosta” (n. 3). Solo in questo “incontro con l’amore di Dio”, noi ci liberiamo
dal nostro egoismo e diventiamo pienamente umani. E aggiunge: “Qui sta la
sorgente dell’azione evangelizzatrice” (n. 8).
c) La Chiesa deve uscire da se stessa – la conversione attraverso la
missione
Francesco cita san Giovanni Paolo II: «Ogni rinnovamento nella
Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una
specie d’introversione ecclesiale»192. Perciò la Chiesa si considera continuamente e contemporaneamente sia evangelizzata che evangelizzatrice. Anzi,
essa realizza un continuo cammino di conversione e di rinnovamento. Il
cristiano che trasmette agli altri la fede con l’esempio e la parola, si santifica
nell’esercizio della missione. In altri termini: “La fede si rafforza donandola!”193. Così attraverso l’evangelizzazione la Chiesa si riforma, si santifica, si
purifica, si rinnova e offre il più grande dono: l’amore.
Il primo capitolo dell’Evangelii gaudium indica col titolo la svolta
epocale che la comunità dei credenti in Cristo deve compiere nel nostro
tempo: “La Chiesa in trasformazione missionaria”. Cioè, deve uscire da se
stessa per andare a tutti i popoli. Un tema molto interessante perché riguarda tutti noi e tutte le comunità ecclesiali, diocesi, parrocchie, associazioni,
movimenti, famiglie. È un’immagine di movimento verso l’esterno, poiché
il fine delle comunità ecclesiali è di incontrare gli altri, andare alla ricerca di
quelli che non credono o hanno rifiutato Gesù Cristo, per annunziare loro
la gioia e la bellezza dell’incontro col Salvatore di ogni uomo. Papa Francesco ricorda che nella Bibbia appare spesso il dinamismo di “uscire” perché
Dio chiama: Abramo, Mosè, Davide, Samuele, i profeti e gli Apostoli: “Andate in tutto il mondo, annunziate il Vangelo a tutti gli uomini”194.
L’Evangelii gaudium spiega che tutte le strutture, le istituzioni ecclesiali e
tutti i battezzati devono riformarsi in senso missionario: il passaggio da una
192
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale, Ecclesia in Oceania 19, cit. da
EG 27.
193 RMi 2.
194 Cfr. EG 20. 25.
235
CAPITOLO QUINTO
“pastorale di conservazione” dei fedeli che vengono in Chiesa ad una “pastorale missionaria” verso quelli che si sono allontanati: “La parrocchia può
assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità”195. Già si sono compiuti molti tentativi in questo senso, “ma l’appello alla revisione e al rinnovamento delle
parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente e si orientino completamente verso la missione”. Inoltre anche i “movimenti sono una ricchezza della Chiesa”. Oggi la parrocchia è fin
troppo impegnata nell’assistere e conservare i fedeli che vengono in Chiesa. Per chi è fuori, i sacerdoti non hanno più tempo di prendere iniziative
missionarie e i laici non sono formati e abituati a pensarci. Per rievangelizzare, la parrocchia territoriale non basta. È fondamentale perché è presente
ovunque e rappresenta la Chiesa istituzionale, ma ha scarse energie per la
missione verso i non credenti. Evangelii gaudium accenna alle
comunità di base e piccole comunità, movimenti e altre forme di associazione: sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per
evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Tuttavia è molto salutare
che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare196.
Perché i movimenti e le comunità di base, in genere, realizzano una
pastorale missionaria? Perché sono comunità suscitate dallo Spirito Santo fuori dell’organizzazione territoriale delle diocesi-parrocchie, formate e
dirette da laici con il carisma del loro fondatore; e si diffondono attraverso i
contatti personali dei loro membri con i lontani o non credenti in vari ambienti e categorie di persone (studenti, giovani, famiglie, professionisti). Ci
vorrebbe dunque una maggiore intesa tra Chiesa istituzionale e Chiesa carismatica, un’integrazione tra diocesi-parrocchie e movimenti-comunità laicali.
d) La predicazione
Il primo annunzio del cristianesimo fra i non cristiani esige di usare
le parole semplici e illustrare le verità fondamentali della nostra fede, senza
perdersi in aspetti benché importanti, ma secondari, oppure in senso negativo, nella condanna di certi costumi morali. L’esortazione dice:
195
196
EG 28.
EG 29.
236
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si manifesta con chiarezza
la centralità di alcune verità e risulta chiaro che la predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, né un catalogo di peccati ed errori. Il
Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci
salva, riconoscendoLo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il
bene di tutti197.
Il pontefice tratta poi il tema della predicazione e spiega a lungo come dovrebbe essere l’omelia, come prepararla anche mettendosi in ascolto
del popolo al quale si annunzia Cristo; e soprattutto dice che non basta comunicare verità astratte e freddi sillogismi, ma si deve far ardere il cuore di
chi ascolta e parlare con il cuore implica mantenerlo ardente198. La predicazione è intensa e feconda quando si comunica agli altri ciò che uno ha contemplato. Esiste anche una predicazione informale, ovvero l’incontro interpersonale, spiegando che
c’è una forma di predicazione che compete a tutti come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha
a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri
l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo,
nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada199.
Tale predicazione riguarda ogni cristiano.
e) La dimensione sociale dell’evangelizzazione
Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Infatti c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc
6,37). In questa ottica l’evangelizzazione richiede di salire sul palcoscenico
pubblico, di affacciarsi e impegnarsi nella realtà sul piano sociale, soprattutto di fronte ad ogni tipo di male, povertà, sfruttamento, oppressione, persecuzione, ecc. Per questo l’evangelizzatore è chiamato a non rimanere indiffe197
EG 39.
Cfr. EG 142. 144.
199 EG 127.
198
237
CAPITOLO QUINTO
rente e a vedere nei poveri il Cristo sofferente. La fede e l’amore a Cristo
non è un fatto solo personale, intimo, ma ha una forte “dimensione sociale”, perché “evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio”200.
Perciò la religione non deve limitarsi all’ambito privato, nessuno può esigere
da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza
alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute
delle istituzioni della società civile, senza esprimerci sugli avvenimenti che interessano i cittadini201. Nei numeri 183 e 187 di Evangelii gaudium si legge:
Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito
principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai
margini della lotta per la giustizia. Tutti i cristiani, anche i pastori,
sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore… Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumento di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri.
In tal modo viene sottolineato il dovere dei cristiani e della Chiesa
“a prendersi cura dei più fragili della terra”202. Il cristiano deve prestare attenzione “a tutte le forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a
riconoscere Cristo sofferente”. A questo segue un elenco sommario delle categorie di poveri e sofferenti: senza tetto, rifugiati, tossicodipendenti, anziani sempre più soli, carcerati, vittime della “tratta di persone”, donne maltrattate e violentate, “i bambini nascituri che sono i più indifesi e innocenti
di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana per poterne fare quel
che si vuole”203.
f) Lo spirito dell’evangelizzazione
“Il vero missionario (…) sa che Gesù cammina con lui, parla con lui,
respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme a lui nel mezzo
dell’impegno missionario. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso
dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro
di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non
è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno”204. “Per
mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito
200
EG 146.
Cfr. EG 182-183.
202 EG 209.
203 EG 213.
204 EG 266.
201
238
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26). Ma tale
fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario”205. Gli evangelizzatori devono essere riscaldati e animati dal “fuoco dello Spirito Santo, che è l’anima della Chiesa che evangelizza”206; “evangelizzatori con Spirito vuol dire che pregano e lavorano”. Malgrado l’umana debolezza, le difficoltà, le preoccupazioni, le distrazioni ecc., il cristiano è
spinto “per un rinnovato spirito apostolico” fondato sull’amore di Cristo,
sulla vita con Cristo: “La missione è una passione per Gesù e, al tempo stesso, una passione per il suo popolo”207.
3.2. Gli interrogativi inevitabili e le questioni aperte
Come ha voluto lo stesso papa al n. 16, le problematiche particolari
e dettagliate riguardo all’evangelizzazione e alla nuova evangelizzazione dovrebbero essere lasciate allo studio teologico e all’insegnamento delle Chiese
locali. Tuttavia qualche orientamento e qualche principio stabile per quanto
riguarda il rapporto Chiesa universale–mondo potrebbe tornare utile. Per
questo cerchiamo di dare un piccolo contributo di approfondimento critico
e costruttivo all’appello del papa, esprimendo in tal modo qualche voce da
parte di chi dalla lettura del testo ha tratto interrogativi, dubbi e osservazioni che richiedono ulteriori chiarimenti e precisazioni sia teologici sia pastorali, dato che entrambi gli aspetti non possono mai essere separati né tantomeno messi in opposizione208. Questo anche in pieno accordo con la vocazione ecclesiale del teologo che a volte con uno sguardo critico, libero in
quanto non preda del “pensiero unico”, senza mettere in dubbio l’integrità
del dato rivelato, si sente in dovere di contribuire ad una più efficace esposizione e trasmissione del Vangelo, sempre nello spirito di dialogo e di servizio al Magistero della Chiesa209.
Ci sembra importante precisare ancora che i temi qui riportati non
hanno come obbiettivo quello di fare una apposita ed accanita critica di alcuni passaggi dell’esortazione, ma piuttosto rispondono alla necessità di affrontare alcuni temi presenti che suscitano interrogativi e richiedono di essere considerati con più serietà ed attenzione e con la coscienza della loro
205
EG 280.
EG 260.
207 EG 271.
208 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 324.
209 Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, “Donum veritatis”. Istruzione e
commenti, Libreria Editrice Vaticana 1993, in specie nn. 21-41.
206
239
CAPITOLO QUINTO
profondità. Una certa critica non vuole assolutamente mettere in dubbio
certe intuizioni contenute nel documento, bensì offrire altre vie possibili di
sviluppo fornendo ulteriori e inevitabili interrogativi. Oltre questo, di fronte
a chi potrebbe avere l’impressione di un presunto dissenso, intendiamo subito sottolineare (in aggiunta a quanto già detto verso la fine del capitolo
IV) anche il ruolo e il servizio del teologo che non si limitano a semplici
esposizioni, ripetizioni e cambiamenti linguistici delle implicazioni teologiche degli enunciati magisteriali – cosa specifica della, ormai da tanto tempo
superata, teologia manualistica – ma si concretizzano piuttosto nella libertà
di una onesta ricerca. Il teologo, infatti, vivendo all’interno della Chiesa,
guidato dalla luce della rivelazione, facendo parte della comunità degli studiosi, rispettoso del rigore della ragione scientifica è stimolato dal coraggio
di offrire alla Chiesa stessa una indicazione, una certa maggior chiarezza su
ciò che nei testi o nelle affermazioni magisteriali non sempre appare subito
chiaro, evidente ed applicabile alla vita della comunità dei credenti. Il teologo
ha il pieno diritto, nell’atteggiamento dell’obbedienza alla Parola di Dio e alla
Chiesa di Cristo, di mettere in luce ciò che potrebbe sollecitare perplessità e
quindi richiedere chiarimenti ed ulteriori approfondimenti. D’altronde la vocazione del teologo implica, in virtù del suo carisma profetico, la possibilità
anche di andare a volte “oltre”, altrimenti il suo lavoro non avrà niente di
creativo e costruttivo – ovviamente sempre con la sua disponibilità, se sarà necessario, di farsi correggere dal magistero. È questo anche lo spirito con cui
intendiamo far fronte agli argomenti che verranno affrontati nei successivi
sette punti: il servizio alla sempre maggiore comprensione ed adeguata interpretazione della Verità incarnatasi nella persona di Gesù Cristo ed affidata alla Chiesa; servizio realizzato in piena obbedienza allo Spirito Santo.
3.2.1. L’esortazione post-sinodale – come luogo del programma del
pontificato o il risultato del lavoro sinodale
Il fatto che questa esortazione non sia stata scritta come ‘postsinodale’ appare tanto più emblematico se viene confrontato con un caso sotto
qualche aspetto analogo del passato. Infatti nel 1977 si è svolta su richiesta
di papa Paolo VI l’assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi dedicata alla
catechizzazione dei giovani. L’anno successivo il papa è morto. Dopo il breve pontificato di Giovanni Paolo I, è stato eletto Giovanni Paolo II che
nell’anno successivo, il 1979 ha scritto la sua enciclica ‘programmatica’ Redemptor hominis. Tuttavia l’eredità del sinodo del 1977 non è andata in
fumo. Nel 1979 Giovanni Paolo II scrisse l’Esortazione apostolica Catechesi
tradendae in cui egli “riprende, nella sostanza, le considerazioni che papa
Paolo VI aveva preparato, utilizzando abbondantemente la documentazione
240
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
lasciata dal sinodo”210. In questo modo il lavoro dei padri sinodali sul tema
voluto da Paolo VI non è stato sprecato né archiviato, ma articolato, anche
se soltanto qualche anno dopo la sua conclusione, nella forma di un documento papale. Nel caso invece del Sinodo sull’evangelizzazione del 2012, voluto dal papa Benedetto XVI, forse anche a causa delle improvvise dimissioni del pontefice, non c’è stata ancora nessuna esplicita espressione magisteriale che riepilogasse i lavori dei padri sinodali – tranne il non ufficiale
Elenco finale delle Proposizioni, del 27 ottobre 2012 e il Messaggio al Popolo di Dio del 26 ottobre 2012211. Papa Francesco invece, dopo il ritiro di
Benedetto, ha fatto una sola volta un chiaro ed ufficiale riferimento al Sinodo del 2012, il 13 giugno 2013 in breve discorso ai membri del Consiglio
Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
Ora, sebbene si inserisca in continuità con gli altri documenti precedenti dedicati specificamente alla tematica missionaria, essa viene prevalentemente considerata come testo programmatico del pontificato di Francesco,
come ha affermato lo stesso papa212. Consta di cinque parti, attraverso cui
scopriamo come il cristianesimo o è missionario o non è, affrontiamo gli
ostacoli che si frappongono oggi alla missione, dall’interno e dall’esterno
della Chiesa, studiamo le modalità della nuova evangelizzazione, ne esaminiamo le conseguenze – che non sono facoltative – sul piano della dottrina
sociale, e infine siamo richiamati alla dimensione spirituale che è l’anima e
il segreto di ogni apostolato. Piccola enciclopedia, sì, ma su un tema preciso:
la nuova tappa dell’evangelizzazione, di cui vuole essere una trattazione
completa e un manuale denso d’indicazioni spirituali, pastorali e pratiche.
Come abbiamo poco fa osservato, la presente esortazione, nonostante abbia fatto seguito alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi dell’ottobre 2012 sulla nuova evangelizzazione, non porta la consueta intitolazione di “post-sinodale”213. Questo probabilmente per il semplice
fatto che – anche se formalmente non è il primo documento magisteriale di
papa Francesco in quanto preceduta dall’enciclica Lumen fidei, abitualmente
definita come il testo scritto ‘a quattro mani’ – rappresenta in realtà il suo
primo testo ufficiale. Semeraro è del parere che il papa non si è voluto limitare soltanto ai risultati del lavoro sinodale, ma che intendeva offrire uno
210
CT 4.
http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20121026_message-synod_it.html.
212 Cfr. EG 25.
213 Cfr. M. SEMERARO, “Introduzione”, in PAPA FRANCESCO, Evangelii gaudium, Esortazione apostolica, Città del Vaticano 2013, 19.
211
241
CAPITOLO QUINTO
sguardo ancora più ampio ed andare oltre. Tuttavia anche se il titolo pone
al centro il Vangelo e il suo annuncio nel mondo attuale, appunto per il suo
carattere programmatico, prende effettivamente in considerazione molti altri
temi che, in modo a volte più e a volte meno stretto, sono legati al tema
dell’evangelizzazione nella Chiesa. Le prime domande potrebbero essere queste: in che modo e in che misura l’esortazione raccoglie i frutti di tutto il lavoro dei vescovi? Sono più numerose le considerazioni comuni tra il sinodo
e l’esortazione oppure forse l’esortazione percorre un suo proprio cammino
divergente rispetto a quanto suggerito dai vescovi? Certo il sinodo ha una
funzione ausiliare, consultativa rispetto al magistero ordinario del papa,
come si sottolineava anche in occasione del sinodo sulla famiglia. Infatti,
non mancano nel documento papale i riferimenti al sinodo – riportato o
citato più di 30 volte –, ma alla fine viene comunque da chiedersi: quale
ruolo ha ricoperto il sinodo e che spessore magisteriale e pastorale ha avuto
per la Chiesa universale, tanto più che esso, salvo il breve e sintetico Messaggio al popolo di Dio214 non ha lasciato nessun documento finale?215. In
altre parole tutta questa situazione sollecita la necessità di ripensare ancora
al vero ruolo del sinodo all’interno dell’ufficio del magistero ecclesiale e il
suo rapporto con l’insegnamento del pontefice.
Quanto detto si colloca in un orizzonte molto più vasto e complesso. Esso in qualche maniera è stato imposto dal modo di trasmettere e divulgare le notizie sul piano mediatico e ‘popolare’, richiedendo un serio approfondimento teologico – ecclesiologico; si tratta del legame tra il papa, il
collegio dei vescovi, il sensus fidelium all’interno di quella realtà escatologico – storica che è la Chiesa216. Sin dall’inizio del suo pontificato e anche
nella Evangelii gaudium, riprendendo le parola di Giovanni Paolo II217, papa Francesco insisteva sulla conversione del ministero petrino e sulla rifor214
http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20121026_message-synod_it.html.
215 Infatti sembra apparire un certo contrasto tra non tanto chiara correlazione tra il Sinodo 2012 e l’Esortazione Evangelii gaudium, da una parte e, dall’altra, le parole del discorso
del papa al Sinodo Ordinario sulla Famiglia pronunciate il 17 ottobre del 2015: “Il Sinodo
dei Vescovi è (…) la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira
tutte le decisioni ecclesiali”.
In http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.html.
216 Si raccomanda prezioso contributo di D. VITALI, Verso la sinodalità, Magnano 2014.
217 Per quanto riguarda la comprensione della collegialità e della sinodalità non solo sul piano
dottrinale – ecclesiologico, ma pratico – pastorale vale la pena di leggere il libro di A. AMBROGETTI, Il mistero dei 12. I vescovi del mondo a tavola con Giovanni Paolo II, Todi 2014.
242
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
ma delle strutture ecclesiastiche218 al fine di consentire maggiore possibilità
dell’esercizio che di diritto spetta al collegio dei vescovi, alle Conferenze, ai
singoli vescovi ecc. Infatti, in occasione dell’ultimo Sinodo Ordinario sulla
Famiglia dell’ottobre 2015, sono sorte tante voci tra i padri sinodali riguardo alle diverse forme di lavoro secondo cui si doveva svolgere il sinodo.
Non pochi partecipanti hanno espresso una certa perplessità circa il fatto
che la comunità sinodale è stata privata di quei diritti che in occasione degli
ultimi sinodi le erano stati attribuiti – anche se non nelle questioni decisive
o determinanti, ma piuttosto quanto al metodo di lavoro. Che fin dall’inizio tra i padri sinodali ci fosse una diffusa insoddisfazione per come erano
state fissate le procedure del sinodo, non era un mistero. E infatti alcuni di
essi hanno subito elevato protesta, nella prima delle congregazioni generali,
tenuta come le altre a porte chiuse. Già il Concilio Vaticano II aveva mostrato come la chiarezza e la trasparenza delle procedure sia un fattore decisivo per governare e indirizzare un’assemblea. Per far tacere la protesta, la
mattina del secondo giorno del sinodo è intervenuto papa Francesco in persona che ha rivendicato a sé la decisione sulle procedure adottate e ha chiesto ai padri di “non cedere all’ermeneutica cospirativa, che è sociologicamente debole e spiritualmente non aiuta”219. E la stessa critica ha fatto il
cardinale George Pell, che ha poi preso di mira le procedure imposte al sinodo e ha chiesto polemicamente: “Perché la commissione che redigerà la
relazione finale del sinodo è stata così composta?”, ben sapendo che era stato il papa a scegliere i componenti della commissione, con una schiacciante
prevalenza di ‘novatori’ che in effetti costituivano la minoranza al sinodo220. In conclusione, la domanda che si pone spontaneamente è: in quali
218
Cfr. EG 32.
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-43827/.
220 Tra le fonti in cui si può trovare questa preoccupazione del cardinale Pell, espressa a
nome di molti altri padri sinodali, ci sono alcuni siti, come ad esempio:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351156;
http://www.lastampa.it/2015/10/13/vaticaninsider/ita/vaticano/la-lettera-dei-tredici-puntifermi-e-smentite-sul-giallo-del-sinodo-tLajqGKpj2O2iRFHjHrYmJ/pagina.html;
http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi/218/2015-10/12-28/Rassegna%20stampa%2012%20ottobre%202015.pdf;
https://anticattocomunismo.wordpress.com/2015/10/10/sinodo-un-tweet-non-fa-primavera/.
Originariamente però questa domanda del cardinale G. Pell è stata inserita sul blog
dell’arcivescovo S. GĘdecki (http://abpgadecki.pl/popoludniowa-sesja-2-dzien-synodu/). Tuttavia, dopo la richiesta del card. Baldisseri, è stata cancellata. Il giorno dopo, all’inizio dei
lavori sinodali, il papa ha detto ai partecipanti al sinodo di evitare l’“ermenueutica cospirativa“ (espressione non indicata immediatamente neanche dal portavoce p. Lombardi, ma
219
243
CAPITOLO QUINTO
casi e riguardo a quali questioni la voce del collegio dei vescovi, in occasione
del sinodo, è solo consultativa (facoltativa) e negli altri vincolante (obbligatoria) (in questo secondo caso certamente sempre cum e sub Petro)221 per le
successive conclusioni spettanti al papa?
rinvenibile solamente sul tweet di un altro gesuita, direttore de La Civiltà Cattolica p. Spadaro). Comunque la domanda (tradotta in polacco), formulata nel secondo giorno del sinodo (05 ottobre 2015) è ancora presente sullo stesso blog, anche se è stato tolto il cognome
dell‘autore: “Dlaczego Komisja redagujĘca Relację końcową synodu została mianowana w
takim składzie?”. La domanda che sorge è: come mai i vescovi polacchi partecipanti al sindoo sono stati richiamati all’ordine dal segretario generale, L. Baldisseri, perché avrebbero
violato la riservatezza sui lavori del Sinodo (cfr. Secolo XIX del 9 ottobre). Il problema durante il sinodo riguardava anche la lingua e la comunicazione. Infatti “nei precedenti Sinodi uno squadrone di parecchie decine di traduttori, molti chiamati apposta da fuori d’Italia,
era messo all’opera 24 ore su 24 per assicurare un’istantanea versione in più lingue di tutti i
testi sinodali, ma proprio tutti, dalla relazione introduttiva ai rapporti del ‘circuli minores’
alle proposizioni finali, comprese le sintesi scritte di ciascun intervento in aula. [All’ultimo
sinodo] di questo cantiere non c’è più nemmeno l’ombra. La relazione introduttiva del cardinale Erdö – pur avvertita di capitale importanza (...) – è stata letta in aula in italiano. E
così è rimasta, nonostante molti dei 270 padri sinodali non siano affatto a loro agio con la
lingua di Dante”. Se alcune ore dopo è stata messa in rete una sua traduzione integrale in
inglese, lo si deve non agli uffici vaticani, o meglio, agli organi responsabili e incaricati del
funzionamento del Sinodo, bensì alla Catholic News Agency, degli Stati Uniti. Molti padri
sinodali temevano che lo stesso avvenisse per i rapporti dei circoli linguistici minori, redatti
ciascuno nella rispettiva lingua e destinati a restare così, senza traduzioni di sorta. Ma il
peggio è avvenuto con la relazione finale, da votare punto per punto nel lavoro decisivo e
conclusivo del sinodo. Tanti padri esprimevano la preoccupazione che se fosse letta e messa
ai voti solo in italiano, tanti avrebbero rischiato di non essere ben sicuri su ciò che sarebbero andati a votare (mons. Ch. Chaput). Già nel sinodo del 2014 accadde la stessa cosa. Per
non dire delle scorrettezze che avvennero dietro le quinte nel pieno dei lavori, quando chi
aveva il controllo delle procedure – la segreteria speciale del sinodo in primo luogo – si avvalse di questo per produrre il documento intitolato “Relatio post disceptationem”, poi
smascherato in pubblico dallo stesso cardinale Erdö e travolto in aula dalle successive discussioni. Una più dettagliata ricostruzione di quella e di altre manovre si trova su E-Book
di Edward Pentin, edito da Ignatius Press: The Rigging of a Vatican Synod? Forse sarebbe
auspicabile che le voci di perplessità dei padri sinodali, mosse sin dalla prima congregazione generale (5 ottobbre 2015) e diffuse attraverso i loro siti o altri siti della rete, fossero
formalizzate con più coesa determinazione (come avvenne nel Concilio Vaticano II) e venisse creato il ‘caso’: sarebbe forse l’unico modo di uscire sa una situazione anomala, rischiosa ed esposta alla strumentalizzazione mediatica, per una autentica chiarezza, trasparenza, apertura e coerenza. Tale metodologia del lavoro sinodale non sembra essere stata in
piena sintonia con dei tratti principali inseriti nel processo della riforma ecclesiale, voluta
dal papa Francesco, come “trasparenza”, “apertura”, “chiarezza”, ecc. Cfr. M. GUARINI,
“Sinodo: ‘manovre’ e disincanti. E la verità?” in chiesaepostconcilioblog, 11 ottobre 2015.
221 D. VITALI, Verso la sinodalità, 63-69.
244
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
3.2.2. Le considerazioni generali e l’“ermeneutica mediatica”
L’Evangelli gaudium affronta indubbiamente alcuni temi importanti
riguardanti l’evangelizzazione e inerenti la vocazione missionaria della Chiesa, perciò si rivolge a tutti i cristiani affinché riprendano e rafforzino il loro
impegno per realizzare la missione a loro affidata dal Signore. Infatti, ogni
tanto, a seconda del contesto il papa cerca di “scuotere” le coscienze dei credenti per risvegliare tale vocazione. Il rischio è che, con la velocità dei cambiamenti culturali, ideologici, religiosi, sociali, la consapevolezza missionaria
dei membri della Chiesa può essere addormentata o tralasciata. Da qui la
necessità di ricordare ai cristiani questa dimensione fondamentale della loro
fede. Quest’ampio documento – verosimilmente il più lungo (288 paragrafi)
nell’intera storia delle encicliche e delle esortazioni apostoliche pontificie – è
una vera piccola enciclopedia sull’evangelizzazione. Il Papa afferma di essere
consapevole di una dimensione forse «eccessiva» e che «oggi i documenti
non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati». Il rischio reale è che tranne gli specialisti, la grande maggioranza
dei cristiani non la leggerà o si fermerà alle prime pagine. Lo stesso papa
prima di promulgare l’esortazione molte volte nel suo ancora breve pontificato ha consigliato, come lo fa anche nell’esortazione stessa, di essere concisi, semplici e brevi nella spiegazione della Parola di Dio e lui stesso lo è sia
nelle omelie che in occasione delle udienze generali del mercoledì; mentre
con l’esortazione offre al popolo un documento chilometrico. In ogni modo questa specie di ‘enciclopedia sull’evangelizzazione’ vuole essere un manuale denso di indicazioni spirituali, pastorali, sociali e pratiche222, forse
non da leggere d’un fiato ma da utilizzare come un ricco testo di consultazione. Da ultimo, è facile notare che, per i motivi sopraindicati, il testo rischia di essere dispersivo223, soprattutto dal momento che tratta certi argo222
Cfr. M. INTROVIGNE, “Evangelii gaudium. La Chiesa è missionaria o non è”, 27.11.2015,
in http://www.lanuovabq.it/it/articoli-evangelii-gaudium-la-Chiesa-e-missionaria-o-non-e-7824.htm
223 In modo particolarmente ampio vengono trattate le questioni sociali. Esse occupano 1/3
del documento (punti 50-60; 176-257). Infatti il lettore potrebbe a ragione osservare che nel
paragrafo dedicato alle risonanze, ricezione, sviluppi, aperture che vengono dalla lettura del
documento, non abbiamo affrontato le questioni sociologiche abbondantemente toccate dal
papa. Tuttavia a questa problematica si dovrebbe dedicare maggior e più approfondito studio. Gli appelli sul piano sociale, proposti dall’Evangelii gaudium sono stati comunemente
accolti con grande entusiasmo e dovuta sensibilità, per cui non manca una ricca bibliografia al riguardo. Dall’altra parte però, non mancano, anche dal mondo cattolico, le voci che
esprimono una certa perplessità se non un distacco. Basta solo far ricorso alla posizione
dell’Istituto Acton per lo studio della religione e della libertà.
245
CAPITOLO QUINTO
menti quasi separatamente tanto che risulta difficile riconoscere un fluido
andamento del pensiero, un chiaro nesso tra le varie questioni o un evidente
filo conduttore riconducibile soprattutto al tema dell’evangelizzazione. È
naturale che il tema dell’evangelizzazione implichi altri temi, ma sempre in
stretto rapporto con l’evangelizzazione stessa e non come argomenti autonomi da sviscerare singolarmente. La nostra perplessità è che con tanti argomenti trattati tutti insieme, si rischi di essere dispersivi e di allontanare
l’attenzione dall’argomento principale. Secondo G. Angelini, anche se il testo dà l’impressione di essere fresco e persuasivo, in realtà appare evidentemente poco ordinato224.
Una cosa che stupisce è che la stragrande maggioranza dei commentatori sia nel mondo cristiano e soprattutto fuori, in specie nel mondo dei
mass-media laici, hanno accolto l’esortazione con tanto entusiasmo, quasi
come se per la prima volta si affrontassero situazioni mai dette o pronunciate dal magistero della Chiesa o dalla teologia, soprattutto nell’ambito delle
questioni socio-economiche225 e di quelle che riguardano una assai otteneFondato nell'aprile 1990, l'Acton Institute è così chiamato in onore di John Emerich Edward Dalberg Acton (1834-1902), Primo Barone Acton di Aldenham e storico della libertà.
Conosciuto come “il magistrato della storia”, Lord Acton è stato una delle grandi personalità del XIX secolo. Ampiamente considerato uno degli inglesi più eruditi del suo tempo,
Lord Acton ha fatto della storia della libertà il lavoro della sua vita. Infatti, la sua conclusione più importante di questo lavoro è che la libertà politica è la condizione essenziale e
custode della libertà religiosa. Egli sottolinea così l'unione di fede e libertà, che è stata l'ispirazione per la missione dell'Acton Institute.
La missione dell'Istituto è quella di promuovere una società libera, virtuosa, e umana.
Quest’orientamento riconosce i benefici di un governo limitato, ma anche le vantaggiose
conseguenze di un libero mercato. Abbraccia una struttura oggettiva di valori morali, ma
riconosce e apprezza anche la natura soggettiva del valore economico. E considera la giustizia come il dovere di dare a ciascuno quello che gli spetta, ma soprattutto, come un obbligo
individuale di servire il bene comune e non solo i propri bisogni e desideri.
Al fine di promuovere una comprensione più profonda dell'unione tra fede e libertà, l'Istituto coinvolge rappresentanti della sfera religiosa, degli affari, e degli ambienti accademici
nei suoi diversi seminari, pubblicazioni e attività accademiche. La nostra speranza è che
dimostrando la compatibilità tra fede, libertà e libera attività economica, i leader religiosi e
gli imprenditori possano contribuire aiutandoci a costituire una società che sia sicura, libera e virtuosa. In: http://it.acton.org/.
224 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, in Teologia 39 (2014), 493.
225 A tal punto l’insegnamento della Santa Sede riguardo alla posizione ‘liberale’ nel campo
economico da parte delle associazioni cattoliche, accusate a volte del capitalismo impietoso,
sembra poco credibile, dato di tutto ciò che dichiara il diretto dell’Istituto Acton, prof. Kishore Jayabalan: “Un argomento straw man vuol dire un’argomentazione fittizia, che accusa
l’avversario di prendere una posizione che in realtà non sta prendendo, che mostra l’errore
246
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
brata immagine della Chiesa, resasi ancora più palese con lo scandalo finanziario del Vatileaks 2. Questa inconfrontabile attenzione e propaganda del
documento, a differenza dei documenti dei predecessori di Francesco, fa sorgere una considerazione riguardo all’enorme interesse e spazio dato all’Evangelii gaudium: magari tutti gli altri precedenti documenti avessero suscitato
lo stesso interesse!226. È evidente che del documento è stata fatta una presentazione e una divulgazione parziale e incompleta secondo una ermeneutica
parziale e ideologica – utilizzata comunemente dagli stessi mezzi mediatici,
spesso esplicitamente distanti dalla Chiesa. In effetti, il mondo mediatico ha
presentato il documento, senza una profonda lettura e senza conoscenza della ricca Tradizione della Chiesa, senza considerare che i temi toccati ed
esposti all’interno del documento appartenevano all’originario patrimonio
dei cristiani sia sul piano teorico che pratico, anzi appartenevano all’identità
stessa della Chiesa. In caso contrario sarebbe difficile spiegare la diffusa presenza della Chiesa e del suo messaggio in ogni continente già da secoli;
Chiesa che sin dalle sue origini, malgrado i momenti di crisi, è stata sempre
‘in uscita’ (già dalla Pentecoste!); Chiesa che è nella sua propria essenza
“missionaria”, nata sull’esortazione di Gesù: “Andate…”. Apparirebbe quindi
più corretto presentare l’appello dell’Evangelii gaudium come un tentativo
di “risveglio” piuttosto che di una radicale novità o di una “primavera della
Chiesa”
Un altro esempio della manipolazione fatta dai mass-media laici intorno alla pubblicazione dell’Evangelii gaudium è rappresentato dal rischio
di fraintendere e “mondanizzare” i contenuti del documento e i loro significati, essendo esposti, appunto, secondo una loro ottica e una loro ermeneutica, che risulta molto vicina alla logica secolarizzata227. Lo stesso “entudi tale posizione, e infine dichiara la propria la vittoria. Si tratta di un vecchio trucco usato
ancora nei dibattiti. Un esempio è quello dei giornalisti cattolici che accusano l’Acton Institute di difendere l’autonomia assoluta dell’economia di mercato. Nessuno all’Acton ha mai
sostenuto tale autonomia, che significherebbe in effetti contraddire la Dottrina Sociale della
Chiesa. Ogni singola persona che lavora per l’Acton ritiene che l’etica dovrebbe essere parte
integrante dell’economia”. In: http://it.acton.org/article/07/02/2015/lettera-da-roma-laudato-si%E2%80%99-john-locke-e-l%E2%80%99america.
226 Il problema è che il documento è stato letto ed interpretato in modo superficiale, parziale e secondo l’ermeneutica imposta dalle aspettative mediatiche, come è accaduto nel caso dei ultimi due Sinodi dei Vescovi dedicati alla famiglia.
227 È stato emblematico il primo saluto del papa dalla loggia della Basilica di s. Pietro, un
saluto semplice e talmente vicino che lo fece ammirare da quasi tutto il mondo: “Buona
sera!”. Un saluto rinfocolato e gonfiato dai mass-media laici, perché nel saluto non si sente
più pronunciato il nome di “Gesù Cristo”(!), così scomodo al mondo. Un gesto di vicinanza, semplicità, familiarità o di “mondanità”? Anche G.F. SVIDERCHOSCHI (ID., Un papa solo
247
CAPITOLO QUINTO
siasmo” mediatico riguarda non solo la ricezione dell’Evangelii gaudium,
ma anche la figura stessa del pontefice, introducendo la ormai comune
espressione “la Chiesa di Francesco”228 che potrebbe suggerire che accanto a
quella “di Francesco esistesse ancora un’altra Chiesa”. Sembra strano che
non si era mai sentito di parlare in precedenza della “Chiesa di Pietro”, o
“di Paolo”, o di “Giovanni XXIII”, oppure di “Paolo VI”; anzi vale la pena
ricordare che san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi ammonisce severamente i cristiani a non cadere nelle preferenze o divisioni di questo genere229.
Ci sembra dunque conveniente precisare che non è utile al bene della Chiesa
utilizzare una espressione così equivoca230. Sarebbe forse opportuno che anche in questo caso i pastori, i teologi o i vari responsabili laici che svolgono i
diversi ministeri nella Chiesa offrissero ai fedeli e al mondo qualche piccolo
e sufficiente chiarimento, aggiungendo che in realtà esiste una sola Chiesa,
quella di Cristo231. Semmai, si potrebbe adoperare l’espressione tipo “la vial comando e una Chiesa che a fatica lo segue, Todi 2015, 9-17) ammira quel saluto, come
universale rivolto non solo ai cristiani, ma a tuti gli uomini, ad ogni persona indipendentemente dalla provenienza culturale, nazionale, religiosa… ma, un papa per essere più vicino
al mondo dovrebbe evitare proprio “Quel Nome”, quello che caratterizza ed è connaturale
alla sua vocazione e missione? Inizia così l’evangelizzazione? Paradossalmente Svidercoschi
volendo quasi enfatizzare i primi due anni del pontificato di papa Francesco e volendo evidenziare tutto il lato positivo di questo ancora breve pontificato, ha tirato fuori nel suo libro tutti questi eventi, parole, gesti, aspetti, episodi, enunciati, reazioni ecc., che invece di
valorizzare la figura del papa e del suo impegno, lo fanno vedere in una luce superficiale e a
volte davvero populista o perfino ridicola. Basta pensare che l’autore riporta come entusiasti e sostenitori di papa Francesco Barack Obama (sostenitore della Planned Parenthood,
organizzazione finanziata dallo stato degli USA, che ‘promuove’ l’aborto), Raúl Castro (che
continua comunque a tenere in prigione molti cattolici, soprattutto i sacerdoti e i religiosi,
per motivi ideologico-politici), il presidente della Bolivia Evo Morales (leader del movimento marxista nel suo paese), il cantante Elton John (…) e così via.
228 Cfr. ad esempio: V. PAGLIA, Storia della povertà. La rivoluzione della carità dalle radici
del cristianesimo nella Chiesa di papa Francesco, Rizzoli 2014; B. FORTE, La Chiesa di papa
Francesco e la famiglia, La Scuola 2015; V. MESSORI, La Chiesa di Francesco. La sfida del
cristianesimo tra crisi e speranza, Corriere della Sera 2013.
229 1Cor 1,11-13: “Mi fu segnalato infatti sul conto vostro, o fratelli, (…) che vi sono contese tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «E io invece sono di Apollo», «E io di Cefa»! Ma Cristo è diviso?”
230 “Un’intervista a monsignor Athanasius Schneider a Rorate Coeli: Chiesa post-sinodale e
i non credenti nella gerarchia”, in http://www.corrispondenzaromana.it/unintervista-dimons-athanasius-schneider-a-rorate-coeli-chiesa-post-sinodale-e-i-non-credenti-nella-gerarchia/.
231 Per qualcuno un’osservazione del genere forse sembra eccessivamente ingigantita e in
effetti non porterebbe nessuna difficoltà, dal momento che non si ravvisa in essa alcuna
deviazione che alimenterebbe i disguidi; ma l’esperienza del passato e i vari casi problemi
248
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
sione della Chiesa di papa Francesco” o “la Chiesa nei tempi di papa Francesco”. Questo non per sminuire la figura carismatica ed istituzionale del
pontefice, o per criticare la buona fede di quanto scrive o dei gesti che compie, ma per evitare la spiacevole conseguenza che una tale operazione mediatica provochi sempre maggior abisso tra il papa (immagine più che positiva
e affidabile come realmente è) e la Chiesa (immagine di “corruzione”, inaffidabilità, non di rado considerata unicamente nella sua dimensione prevalentemente gerarchico–istituzionale), mentre il papa stesso è fortemente radicato nella Chiesa e il suo ruolo ha valore in quanto inserito nella realtà
della Chiesa; perciò in tale contesto ancora più inspiegabile e contradditorio
appare il frequente uso de la Chiesa di Francesco, come se fosse una delle
tante che esisterebbero. Pertanto è necessario, sia dal punto di vista teologico
che pastorale, rendersi conto e reagire di fronte a questa pericolosa manovra
mediatica sempre più avvertibile, finalizzata a separare la figura dell’attuale
papa dalla Chiesa, cioè di quella operazione dei mass-media che prospetta
un’icona del papa riformatore, rinnovatore, aperto alle periferie, in uscita
verso i poveri in opposizione alla Chiesa, corrotta economicamente e moralmente, chiusa, autoreferenziale, coinvolta nella mal politica ecc. e fomenta una divisione proprio dove dovrebbe regnare l’unità intorno a Gesù, vero
Capo della Chiesa.
In fin dei conti sembra che anche queste osservazioni debbano diventare l’oggetto di una riflessione teologica per mettere in ordine le regole e
i criteri di una adeguata, piena e completa interpretazione dei testi magisteriali. La teologia non può guardare indifferentemente le operazioni mediatiche e rimanere passiva di fronte ai rischi di vari malintesi e confusioni. Essa,
al contrario, con piena responsabilità e con il carisma che le è stato affidato
nella Chiesa ha il dovere di offrire, anzi, reagire, con una ben fondata spiegazione e argomentazione critica e teologica, nello spirito dell’onestà e del
conformità all’intenzione dell’autore, cioè del papa, che esercita nella comunità dei credenti l’ufficio di insegnare autenticamente.
3.2.3. L’evangelizzazione, verso quali ‘periferie’? e ‘cosa’ da portare?
Qui si ritorna al noto detto di papa Francesco sulla Chiesa come casa del Padre aperta e in uscita per andare alle periferie; ma comunque “le periferie” che vogliono significare? Subentra di nuovo il problema del linguagche la Chiesa doveva affrontare avevano a volte inizio proprio nell’uso del linguaggio semplice, apparentemente non nocivo, ma che col tempo produceva anche disguidi e malintesi
contenutistici. In altre parole meglio prevenire anziché, aspettando troppo, trovarsi nella
situazione di dover intervenire bruscamente o incisivamente.
249
CAPITOLO QUINTO
gio – anche in questo caso ambiguo. Nell’opuscolo ufficiale edito a Roma
sulla Giornata Mondiale Missionaria, celebrata il 19 ottobre 2014 si legge:
“Periferie cuore della Missione. Con questo slogan vogliamo vivere quest’anno [2014] l’Ottobre Missionario e la Giornata Mondiale Missionaria”, ma P.
Gheddo si chiede: che cosa si intende per periferie? Nell’opuscolo “Periferie
cuore della missione”232 il redattore parla – commentando il messaggio del
papa233 – di vari generi di periferie esistenziali234, “i dimenticati, gli esclusi,
gli stranieri, una umanità insomma ai margini della nostra vita (…) Andare/uscire verso gli ultimi (poveri e peccatori) per i cristiani non vuol dire solo andare verso i fratelli e le sorelle, ma scoprire che Dio è già qui… Se le periferie sono il luogo dove si converte la Chiesa, andare verso le periferie (e
abitarvi da poveri in mezzo ai poveri), significa far risuonare l’annunzio del
Regno che libera dall’attaccamento disordinato nei confronti delle ricchezze”235. P. Gheddo nel suo articolo, di cui già il titolo è significativo – “In
missione per Cristo e non per i poveri” –, osserva che non sono affatto queste poche righe che scandalizzano, ma la mentalità del redattore, che riflette
il modo comune di intendere oggi la missione alle genti: non una missione
verticale che porta gli uomini a Cristo e a Dio, ma una missione orizzontale
orientata ai poveri (nei quali “Dio è già presente”), per liberare gli uomini
non da ogni peccato (anzitutto personale e poi sociale), ma dalla cupidigia di
denaro e delle ricchezze materiali! In altre parole, si passa da una missione di
natura religiosa ad una missione di natura sociale-economica-politica236. Infatti anche il cardinale Sarah mette in guardia da una sempre più incisiva
tendenza missionaria, che pone eccessivo l’accento sull’impegno o la lotta
politica, sullo sviluppo socio-economico, a discapito dell’annuncio della Parola di Dio237. Il cardinale insiste dunque sull’attività dei missionari in
quanto uomini di un’autentica e profonda vita interiore, che diventino i pa-
232
In http://www.Chiesacattolica.it/missioni/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_la_cooperazione_missionaria_tra_le_chiese_/00059590_Ottobre_Missionario_2014.html.
233 In https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/missions/documents/papa-francesco_20150524_giornata-missionaria2015.html,
234 http://www.missioitalia.it/download.php?idc=129&ids=214&sito=&anno=2014&da=missio#.VkBx4ctzOUk.
235 Sempre dal testo contenuto nell’opuscolo del redattore, già indicato sopra, in: http://www.Chiesacattolica.it/missioni/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_la_cooperazione_missionaria_tra_le_chiese_/00059590_Ottobre_Missionario_2014.html.
236 Cfr. P. GHEDDO, “In missione per Cristo e non per i poveri”, in http://www.lanuovabq.it/it/articoli-in-missione-per-cristo-non-per-i-poveri-10592.htm.
237 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 145.
250
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
stori impegnati con passione nell’evangelizzazione del mondo, più che essere operatori sociali o politici238.
I più poveri del mondo, nella bimillenaria storia della Chiesa sono
quelli che non conoscono Cristo. Nel suo testo Gheddo fa ricorso a madre
Teresa di Calcutta che diceva: “La più grande disgrazia dell’India è di non
conoscere Gesù”. La grande santa è l’unica persona straniera alla quale il governo indiano ha voluto fare il funerale di Stato. Non si può dire che non vivesse povera tra i poveri, aiutandoli in ogni modo possibile, ma il suo punto
di riferimento e la meta da raggiungere in tutto quel che era e faceva era
sempre Cristo e il suo Vangelo, era “l’ansia di evangelizzare” che la portava
fra gli ultimi. Nel discorso alle Pontificie Opere Missionarie (9 maggio
2014) Francesco afferma: “Anche nella nostra epoca la missio ad gentes è la
forza trainante di questo dinamismo fondamentale della Chiesa. L’ansia di
evangelizzare ai ‘confini’, testimoniata da missionari santi e generosi, aiuta
tutte le comunità a realizzare una pastorale estroversa ed efficace, un rinnovamento delle strutture e delle opere. L’azione missionaria è paradigma di
ogni opera della Chiesa”. Non si tratta, però di un problema organizzativo,
tecnico o economico, ma di fede. Per questo sembra necessario monitorare
le diverse opere missionarie se quanto fanno e scrivono è su questa linea
oppure non stiano seguendo l’onda culturale che porta la missione ad essere
(e sembrare) una Ong umanitaria mentre lo scopo fondamentale è annunziare e testimoniare la salvezza in Cristo; e nel nostro mondo secolarizzato
va sempre dichiarato. Gheddo riporta ancora un altro esempio, questa volta
del venerabile dottor Marcello Candia, che ha ricevuto il Premio de
“L’uomo più buono del Brasile” (lui diceva: «Vorrei tanto che fosse vero!»)
ed era l’ospite della Rai-TV in Corso Sempione a Milano dov’era stato invitato. Dopo un breve documentario in cui si vedeva Marcello con i lebbrosi
di Marituba e due Missionarie dell’Immacolata che aveva portato nel lebbrosario, l’intervistatore dice: “Ecco a voi Marcello Candia, l’uomo più
buono del Brasile perché è innamorato dei lebbrosi e vive con loro….”. Marcello dice: “Grazie, ma vorrei precisare che sono andato tra i lebbrosi perché
sono innamorato di Gesù Cristo e perché ho visto Gesù in ciascuno di essi.
Allora mi sono innamorato anche dei lebbrosi, che a prima vista rifiutavo e
mi mettevano angoscia e paura”239. Forse alla luce dell’esempio e delle parole di M. Candia, si dovrebbe anche interpretare l’atteggiamento di san Fran-
238
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 167.
Cfr. P. GHEDDO, “La gioia di portare Cristo al mondo”, in http://gheddo.missionline.org/?p=1540.
239
251
CAPITOLO QUINTO
cesco d’Assisi verso i lebbrosi240. Comportandosi sull’esempio di Gesù, pur
in un’epoca in cui ancora questa malattia era inguaribile e ritenuta una vera
condanna all’isolamento e all’esclusione, san Francesco ha avuto un atteggiamento “inclusivo” verso i più poveri della terra di quel momento storico.
E riconoscendo nei loro dolori le “piaghe di Cristo”, dimostrava loro, più
ancora della propria compassione, solidarietà e benevolenza, il bene supremo, cioè l’amore paterno di Dio e la conoscenza del Vangelo. Attraverso il
gesto di carità, il Poverello d’Assisi desiderava trasmettere ai malati, ai sofferenti, agli esclusi e a tutti gli altri delle periferie la speranza e la fede in Gesù
Cristo, l’unico Salvatore. In definitiva, questo è lo scopo principale di uscire
ed andare nelle periferie tra gli esclusi, gli insignificanti, i senza nome: ridare loro la dignità dei figli di Dio. Qui emerge un’interessante correlazione
tra le “piaghe di Gesù Risorto” che fanno nascere la fede di san Tommaso
Apostolo da una parte e le “piaghe di Gesù” nelle esistenze umane che aspettano il dono della fede e della speranza.
3.2.4. In che senso interpretare “Il primato della realtà sull’idea”?
Uno dei detti molto cari a papa Francesco è quello di evidenziare la
superiorità della realtà rispetto all’idea, presente nei numeri 231-233
dell’esortazione. Questa convinzione egli la ribadisce anche in altre occasioni. Comunque G. Cavalcoli241 cerca di spiegare il senso di questa affermazione papale sul piano filosofico, innanzitutto usando l’impostazione classica neo-tomista che appare come “condanna” della gnoseologia idealistica
iniziata da Cartesio la quale giunge, nei suoi logici sviluppi, sino all’idealismo trascendentale tedesco del secolo XIX. Cavalcoli sviluppa il tema mettendo in contrasto il realismo e l’idealismo, sottolineando che nell’ottica di
quest’ultimo, emerge il primato del soggetto in cui si realizza l’interiorizzazione o l’immanentizzazione del reale: cogito precede esse. Si ferma
su Hegel in cui avviene l’identificazione dell’essere e del pensiero, oppure,
come accade in G. Gentile242 o in G. Bontadini243, la dipendenza del reale
dall’idea. Ritornando comunque al documento del papa, il problema viene
240 SAN FRANCESCO, “Testamento”, in FF 110; “Vita Prima di Tommaso da Celano” cap.
VIII, in FF 348 (FF ci testimoniano molti altri esempi del rapporto tra san Francesco e gli
esclusi, messi in periferie della società).
241 Cfr. G. CAVALCOLI, “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di papa
Francesco”, in Path 13 (2014) 2, 287-316.
242 Cfr. G. GENTILE, La religione. Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia. Discorsi di religione, Firenze 1965, 335.
243 Cfr. G. BONTADINI, “Valutazione analitica e valutazione dialettica della filosofia moderna”, in ID., Studi sull’idealismo, Milano 1995, 221-237.
252
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
chiaramente inserito sul piano dei problemi sociologici e quindi dovrebbe
essere spiegato secondo le categorie proprie della sociologia, e non sul piano
filosofico o perfino metafisico come si legge nel commento di Cavalcoli.
Perciò il suo commento, anche se profondo e ricco di varie osservazioni utili dalla prospettiva filosofica, non sembra essere in grado di rendere quello
che veramente è contenuto in questi tre punti (231-233) dell’esortazione. Volendo usare il linguaggio e le soluzioni più semplici, superando al contempo
la tensione tra l’idea e la realtà, si potrebbe riportare il testo del Prologo del
Vangelo di Giovanni dove si parla del Logos che era in principio. Dal punto
di vista teologico il Logos (idea, pensiero, ragione, parola, intelligenza) non
è diverso dalla realtà; anzi il Logos/Idea è la Realtà per eccellenza, è il paradigma e la fonte di ogni realtà e di ogni pensiero: in Lui, per mezzo di Lui e
in vista di Lui tutto è stato fatto (la realtà)244. Classicamente in Dio l’esistenza e l’essenza sono uguali, ma ontologicamente e alla luce del testo giovanneo Dio è più che l’esistenza/l’essenza, per cui il detto anselmiano “id
quo nihil maius cogitari potest” non è nemmeno definibile come un’idea
sublime, come dice Cavalcoli245, ma l’idea che è per eccellenza è la stessa
realtà, o la realtà nel senso più alto, più fondamentale e più totale. Nel Logos divino l’idea e la realtà non conoscono la divergenza e confrontabilità. E
nello stesso Logos fattosi uomo, nelle condizioni immanenti del mondo
continuano ad essere unite ‘idea” e “realtà”.
Invece a nostro parere ‘l’assioma’ del papa “la realtà è più importante dell’idea” deve essere considerata piuttosto sul piano dei problemi sociali
– lo si percepisce in modo ancora più esplicito in quanto esso è stato inserito al capitolo IV interamente dedicato a tali questioni e intitolato: “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”. All’interno di questo capitolo la
superiorità o la maggior importanza della realtà nei confronti dell’idea, dovrebbe essere giustificata soprattutto con la denuncia: “L’idea staccata dalla
realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano
o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata
dal ragionamento”246. A tal punto vengono accusate certe ideologie che sul
piano teoretico vogliono giustificare quelle prassi che in effetti provocano
l’ingiustizia, la miseria, la povertà, lo sfruttamento, l’emarginazione, ecc.
Sembra che, senza troppe e complicate analisi filosofiche, il pensiero del papa sia da comprendere in questa ottica e sul piano sociologico ispirato
244
Cfr. Gv 1,1-3; Col 1,16-17; Ef 1,22.
Cfr. G. CAVALCOLI, “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di papa
Francesco”, 288.
246 EG 232.
245
253
CAPITOLO QUINTO
d’altronde dal messaggio del Vangelo. In fin dei conti per evitare certe ambiguità o confusioni linguistiche non sarebbe opportuno usare un linguaggio più preciso e proveniente dal suo proprio e specifico campo? Ad esempio, invece di adoperare il titolo “La realtà è più importante dell’idea”, non
sarebbe più esatto trattare della tematica utilizzando il titolo “La realtà di
fronte alle false ideologie”?247, o “Il rapporto tra l’ideologia e la realtà”, oppure “Il realismo contro il formalismo”?248. In realtà è il distacco o la disproporzione non tanto tra l’idea e la realtà quanto l’ideologia e la realtà che
genera ciò che il papa nomina “idealismi e nominalismi inefficaci” 249. Un
pensiero simile esprime anche il cardinale Sarah, che riallacciandosi a papa
Benedetto XVI dice che le ideologie non salvano il mondo e che per natura
sono sconnesse dalla realtà, per cui esse divengono necessariamente fonte
di divisione, poiché non possono avere costantemente l’adesione degli
uomini i quali non possono che restare ancorati alla realtà 250. Invece, rispetto al concetto dell’«idea», che nell’epistemologia filosofica, antropologica o teologica, ha di per sé una connotazione positiva e prevalentemente appartiene al campo linguistico della filosofia, il termine che entra in una correlazione distinta e complementare assieme con essa, è l’«essere». Una tesi
simile è offerta da Angelini che propone il titolo: “la realtà è superiore
all’ideologia”, perché ideologia è l’idea che non ha bisogno della referenza al
reale per articolarsi. L’idea occulta la realtà appunto quando diventa ideologia. Infatti oggi non mancano le ideologie che in realtà sono patologie251.
247
Tale formulazione evidenzia la reciproca relazione ed evita di cadere nel noto assioma
della teologia della liberazione “vedere – giudicare – agire” di origine sudamericana, che
nell’ambito dei problemi sociali, di per sé non è da confutare, ma richiede una correzione
indicata già tanto tempo fa (Puebla 1979) dal papa Giovanni Paolo II: “Bisogna partire dal
Cristo!”. Johan Galtung afferma che con papa Francesco è stata riabilitata la teologia della
liberazione, stigmatizzata dai suoi predecessori Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI.
Nel suo brevissimo, superficiale, divulgativo e impregnato di tanta emotività contributo,
dimostra una scarsa conoscenza della complessa, diversificata storia e la natura della teologia della liberazione, nonché la posizione dei due papi, in modo particolare di Giovanni
Paolo II, elogiato, invece, anche di recente, dal ‘padre’ della teologia della liberazione Gustavo Gutiérrez. Cfr. J. GALTUNG, “Papa Francesco: teologia spirituale, liberatoria”, in
http://serenoregis.org/2015/06/26/papa-francesco-teologia-spirituale-liberatoria-johan-galtung/
248 Infatti il papa nel punto 231 ha riportato soltanto gli esempi delle ideologie negative e
distruttive, il che ha favorito e giustificato il titolo “La realtà è più importante dell’idea”.
Cfr. S. UBBIALI, “Il definitivo elargisce (si prende) tempo. La fede ovvero il realismo contro
il formalismo”, in AA.VV. La fede. Dire Dio dicendo sé, Milano 2015, 161-184.
249 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, in Teologia 39 (2014), 504.
250 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 168.
251 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 503-504.
254
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Dubbi e preoccupazioni inerenti la possibilità di giungere alle interpretazioni contrastanti in riferimento al principio formulato del papa, sono espressi
anche da Paul-Anthony McGavin252. Inoltre, nonostante tante interpretazioni e commenti dati all’esortazione, soprattutto nel quarto capitolo, suscitano simili ambiguità, gli altri titoli “Il tempo è superiore allo spazio” e “Il
tutto è superiore alla parte”253 – e questo perché si ha a che fare con una
sorte di intralcio dei vari piani epistemici che rendono in effetti molto
complicata l’essenza di tali assiomi, a meno che non se ne facciano interpretazioni sforzate e contrastanti. È bene precisare che non ci troviamo di fronte ad una pura polemica o ad una osservazione meramente teoretica che riguarderebbe solo l’uso dei termini e il loro significato e quindi potrebbe
sembrare poco attinente al nostro tema, ma piuttosto del fatto che tali impostazioni, tendendo a valutazioni ‘sproporzionate’ di concetti del tutto
complementari alla luce della fede, non risultano utili ed efficaci per una
profonda diagnosi inerente l’azione evangelizzatrice e per la stessa attività
di annunciare il Vangelo.
3.2.5. Quale ruolo della teologia nella conversione pastorale e nella
nuova evangelizzazione?
Uno degli elementi principali del programma di Francesco è la
“conversione pastorale e missionaria”. Secondo G. Angelini poca attenzione
a tale argomento hanno dedicato i teologi254. Egli sostiene che l’assenza della teologia dalla vicenda ecclesiastica recente è vistosa. Non sarà proprio una
tale assenza a determinare che a due anni dalla promulgazione dell’Evangelii
gaudium l’appello alla conversione pastorale e missionaria non sia ancora
stato preso seriamente in considerazione da diventare l’oggetto di un approfondito studio? Tale affermazione, anche se posta sotto forma di domanda,
appare ancora più ovvia dopo due sinodi dei vescovi sulla famiglia del 2014
e del 2015. Essi ci offrono un quadro emblematico: grande enfasi sugli auspici, grandi contrasti sul piano dottrinale e pastorale insieme 255, le condivi252
Cfr. P.-A. MCGAVIN, “Che cosa c’è di nuovo nell’Evangelii gaudium?”, in: http://Chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350762
253 A proposito di questa ultima formulazione, come la si può conciliare e concordare con
il teologico principio dell’“Universale concretum” di Nicolò Cusano, oppure con una profonda riflessione di H. Urs von Balthasar nel suo libro “Il tutto nel frammento”, Milano
1990.
254 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 493.
255 Non meraviglia l’opinione del vescovo di Varsavia Mons. Hoser, partecipe del Sinodo,
secondo il quale la dottrina matrimoniale per come era esposta dagli ultimi pontefici, e in
modo particolare da Giovanni Paolo II sarebbe in realtà poco assimilata e conosciuta da
255
CAPITOLO QUINTO
sioni sincere delle esperienze particolari ma contemporaneamente contrastanti, i tentativi e le proposte pratiche e interdisciplinari, un Instrumentum
laboris metodologicamente caotico, linguisticamente equivoco, contenutisticamente scarso, voci e interventi non di rado – sia per impressione personale
che di un gruppo dei teologi – di carattere retorico, con poche argomentazioni a scarse indicazioni operative; senza ammettere o rendersi conto che la
situazione della crisi familiare è un fenomeno presente nella società da decenni e in una delle sue prime fasi già affrontata dal VI Sinodo dei vescovi
del 1980 e dalla successiva esortazione di Giovanni Paolo II Familiaris consortio256. Tornando ora all’Evangelii gaudium, si può avere l’impressione
che lo spazio dato alla teologia nell’opera evangelizzatrice sia assai scarso,
anzi se sono state evidenziate inutili complicazioni, di esse sarebbe responsabile proprio la teologia. Infatti il papa, nel Discorso per la Conclusione
della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, il 18 ottobre 2014257, parla anche dei “momenti di desolazione, di tensione e di
tentazioni” dove questo ultimo si riferisce anche alla teologia. Precisamente
si tratta del conflitto tra spregiatori del depositum fidei e spregiatori della
realtà storica. Nello stesso Discorso il papa dice:
La tentazione di trascurare il depositum fidei, considerandosi non
custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di
trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio
di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano
«bizantinismi», credo, queste cose…258
Che la teologia si sia anche persa in bizantinismi non c’è dubbio,
però tale difetto riguarda soprattutto il passato; oggi invece il rischio è decisamente diverso: l’arbitrio sentenzioso. In ogni caso, a parere di Angelini, la
distinzione tra deplorevoli bizantinismi e necessaria cura della fedeltà al depositum fidei non è così chiara come si suppone. Delle parole enfatiche
come amore, misericordia, accoglienza, apertura, uscita, decentramento, povertà ecc., si fa sempre più spesso un uso assai dubbio e appiattito, forse non
consapevolmente, ma per ingenuità. Ingenua è anche la presunzione che il
molti padri sinodali. In http://www.tvn24.pl/wiadomosci-z-kraju,3/arcybiskup-hoser-kosciol-zdradzil-nauczanie-jana-pawla-ii,591277.html.
256 EV 7/1522-1810.
257 https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_20141018_conclusione-sinodo-dei-vescovi.html.
258
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_20141018_conclusione-sinodo-dei-vescovi.html.
256
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
depositum fidei sia chiaramente noto dal confronto con la realtà. Ingenua,
afferma Angelini, è anche la presunzione che la realtà sia nota grazie all’ispezione positiva a prescindere da ogni investimento della fede nella sua interpretazione. Secondo lui, a margine di Aparecida259 come dell’Evangelii gaudium, è spesso ricordato il famoso e già citato nel nostro studio, ‘metodo’:
guardare – giudicare – agire; non è forse tale ‘metodo’ viziato dalle ingenue
assunzioni di cui si dice?260 Ancora risuonano le parole:
ho rinunciato a trattare in modo particolareggiato queste molteplici
questioni che devono essere oggetto di studio e di attento approfondimento. Non credo neppure che si debba attendere dal magistero
papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo261.
Non può essere questo il programma della “nuova evangelizzazione”
che abbiamo ricevuto e che sarebbe opportuno applicare.
Certo, non è opportuno che il papa sostituisca gli Episcopali locali
nel discernimento di tutte le problematiche, ma le questioni sul rapporto
Chiesa – mondo non possono essere immaginate come di carattere locale262. Il progetto stesso di “nuova evangelizzazione” attende dunque d’essere definito in riferimento alla Chiesa universale e non semplicemente alle chiese locali. Come si percepisce, non c’è corrispondenza tra l’insistenza
retorica con cui è giustamente raccomandato e l’impegno a precisare il
concetto e il contenuto di tale progetto. Come in tanti temi che riguardano le questioni essenziali della fede e della vita cristiana, anche il tema
dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione richiede di accordarsi
a livello della gerarchia per esaminare le questioni importanti, viste nella
loro complessità, condizionata dai diversi contesti, in vista di una presa di
posizione comune di tutto il collegio dei vescovi 263. E d’altra parte, secondo Angelini, il papa nell’esortazione non accorda significativo rilievo alla
categoria264, sollevando equivoci sulla natura della missionarietà e dell’evan-
259 La V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi, che si è svolta
ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio 2007.
260 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 494.
261 EG 16.
262 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 494.
263 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 141.
264 Così ritorna il problema di che tipo di evangelizzazione vogliamo parlare, come giustamente ha notato Gheddo, citato poco prima.
257
CAPITOLO QUINTO
gelizzazione; al punto che sembra sancirne la scarsa fecondità265. Inoltre
nell’attuale complesso contesto, il tema dell’evangelizzazione è strettamente legato anche ad altre questioni come la famiglia, il matrimonio, la pastorale giovanile e vocazionale, la più profonda e seria formazione dei laici, le questioni sociali ecc. Ecco quindi che nessuna soluzione puramente
diocesana può essere sufficiente, ma deve coinvolgere tutta la Chiesa universale, sia sul piano storico, che ontologico266. Questo appare tanto più urgente per non ricadere in una sorta di ‘nazionalismo’267, ‘localismo’, ‘situazionalismo’ e del ‘federazionalismo’ e, di conseguenza, non far dipendere dall’elemento particolare storico, ciò che per tutta la Chiesa e
l’umanità ha un valore universale. Tanto più che oggi diventa particolarmente difficile – probabilmente a causa di un malinteso modo di intendere l’aggiornamento, i segni dei tempi, l’apertura, la misericordia, ecc., da
parte di alcune correnti teologiche del post-concilio268 – distinguere tra
quanto è da ritenere universale sul piano dottrinale, sacramentale, morale e
quanto è da considerare adattabile, mutevole, variabile e cambiabile sul
piano pastorale269. Tale difficoltà provoca recentemente molta confusione
e disorientamento, che non resta senza gravi conseguenze per la riflessione
teologica sull’evangelizzazione e la sua applicabilità in ogni luogo ed in
ogni tempo della storia. Le verità del depositum fidei che vengono dalla divina rivelazione sono universali e la loro validità non può essere determinata da fattori locali o epocali270.
Nel secondo capitolo il papa parla delle tentazioni che minacciano
l’impegno pastorale e missionario dei portatori dell’evangelizzazione. Tra i
265
Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 495.
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 141.
267 Cfr. G.L. MÜLLER, “La missione del papa è unificare il mondo”. Intervista Gerhard
Ludwig Müller, a cura di S. Lieven e N. Senèze, in La Croix, 30 marzo 2015, (traduzione:
www.finesettimana.org), in http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2015/04/la-missionedel-papa-%C3%A8-unificare-il-mondo-int-muller.pdf.
268 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 110. Il cardinale ricorda, sempre attuale, la tendenza di fantasticare una rivoluzione e di cercare, attraverso
i mass-media (quanto ci è noto questo meccanismo!), di imporre sia all’immagine di papa
Giovanni XXIII che all’insegnamento conciliare una lettura fatta alla luce di una ermeneutica rivoluzionaria.
269 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 244. L’autore a
questo proposito si riferisce all’insegnamento di Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor
e nella Fides et ratio.
270 Cfr. A.-J. LEONARD, “Quello che è in gioco non può dipendere da situazioni locali”, in
http://sinodo2015.lanuovabq.it/mons-leonard-quello-che-e-in-gioco-non-puo-dipendere-dasituazioni-locali/.
266
258
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mali maggiori egli enumera l’individualismo, una crisi di identità e un calo
di fervore271. Angelini osserva che la denuncia delle forme effettive della pastorale e del loro difetto di impegno missionario assume subito e solo una
connotazione morale. Tuttavia il fatto che la critica sia configurata in termini subito morali (“tentazioni”) non sembra molto persuasivo, innanzitutto perché vengono ignorate le cause di carattere antropologico–culturale che
stanno all’origine delle tendenze rilevate e giustamente criticate. Perciò anche se i difetti del ministero ecclesiale qui descritti paiono realissimi e la denuncia è pertinente e necessaria, tuttavia sorge la domanda: essi davvero sono adeguatamente compresi, quando sono ridotti a fattori morali, e se ne
immagina un possibile rimedio attraverso l’appello alla buona volontà degli
operai pastorali e missionari? L’ipotesi alternativa è che quei difetti debbano
essere compresi sullo sfondo dei mutamenti antropologico–religiosi che
stanno alla loro origine; il rimedio in tal caso passa anzitutto attraverso
l’illuminazione della coscienza cattolica – si vorrebbe dire: la ‘conversione
dell’idea’(!) di cui parlava Giovanni Paolo II per poter formare una ‘realtà
evangelizzata’ – a proposito di quello sfondo e delle attenzioni che esso richiede. In altre parole i tre difetti descritti e denunciati dall’esortazione non
pretendono una interpretazione immediata e solo morale; hanno piuttosto
inequivocabili radici di carattere antropologico–culturale e religioso; soltanto portando alla consapevolezza del cattolico e rispettivamente della comunità cristiana, tali radici272, sarà possibile anche cercarne i rimedi più adeguati273. Di conseguenza, a prescindere dalla bassa considerazione in cui vengono tenuti lo studio, la ricerca, la teologia e i teologi stessi, resta comunque
l’interrogativo su quale debba essere l’impegno che si trova ad affrontare la
teologia, ovvero come possano essere riempiti quei vuoti presenti nel documento.
E ancora: prima abbiamo visto che il papa insiste nella sua visione
della Chiesa che sia portatrice del Vangelo, che sia una Chiesa in uscita, non
chiusa più in e per se stessa, ma aperta, accogliente, pronta ad andare alle
periferie tra tutti coloro che soffrono per le varie forme di povertà. Se non
esce da se stessa verso il mondo diventerà autoreferenziale. Riferita a questo
rischio è stata la critica fatta nel secondo capitolo dell’esortazione in cui si
parlava delle “tentazioni” (spiegate anche bene sopra da Angelini) degli evangelizzatori e di coloro che sperperavano il tesoro del Vangelo. Un linguaggio
prevalentemente aspro nei confronti della Chiesa d’oggi (parola che nel lin271
Cfr. EG 78.
Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 110.
273 Cfr. G. ANGELINI, “Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia“, 500.
272
259
CAPITOLO QUINTO
guaggio comune già non ha una ‘buona’ connotazione) adoperato nel documento pubblico e sul palcoscenico mondiale, un linguaggio che la discredita a nome di una certa “trasparenza”, può darsi che in effetti non giovi al
suo vero bene e alla sua conversione, ma potrà provocare gli effetti piuttosto
deprimenti. Oltre ciò disegnando un’immagine unilaterale di essa in quanto
corrotta e peccaminosa nella sua dimensione istituzionale, si rischia di trascurare e non far vedere la sua ontologica santità in quanto Corpo di Cristo,
sacramento universale della salvezza e comunità dei santi che, pur trovandosi ancora in cammino verso la sua piena perfezione, svolge comunque nella
sua totalità il servizio a favore della salvezza dell’umanità intera. Perciò in
tale contesto il linguaggio più adatto sarebbe forse quello di non parlare della Chiesa autoreferenziale, chiusa, egoistica, insensibile, incompassionevole,
impassibile e così via, se assumiamo il vero, pieno e teologico concetto della
Chiesa, per come lo intende e definisce il Concilio Vaticano II sulla linea
della secolare Tradizione, ma piuttosto dei cristiani, dei battezzati o delle
persone della Chiesa che nella loro condizione peccaminosa si chiudono e
non realizzano la vera vocazione missionaria, che nella e dalla Chiesa è stata
loro affidata, a partire dagli individui laici, attraverso animatori, catechisti,
persone consacrate, sacerdoti, fino ai vescovi. Infatti la Lumen gentium parla della Chiesa insieme santa e bisognosa di purificazione e di penitenza274;
la Chiesa adornata di una santità vera, anche se imperfetta275; la Chiesa pellegrinante e chiamata ad una continua riforma276.
3.2.6. Verso quale de-centralizzazione? E quali possibili scenari?
a) La de-centralizzazione e l’unità della Chiesa
Sin dall’inizio del suo pontificato Francesco metteva in risalto l’idea
di una “de-centralizzazione” all’interno della Chiesa, soprattutto sul piano
istituzionale, strutturale, amministrativo, governativo con l’intento di promuovere la collegialità e sinodalità della Chiesa. Così apertamente l’ha
espressa nell’Evangelii gaudium:
Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una
parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la
Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si pro274
Cfr. LG 8.
Cfr. LG 48.
276 Cfr. UR 6.
275
260
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
spettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di
procedere in una salutare “decentralizzazione”277.
Tale idea, derivata dal Concilio Vaticano II e presa in seria considerazione da Giovanni Paolo II278, ha conosciuto e subìto però un passaggio,
dalla comprensione istituzionale–strutturale a quella pastorale–dottrinale,
sotto la copertura appunto della ‘collegialità’, ‘sinodalità’ e ‘inculturazione’,
e in effetti ha assunto una connotazione e finalità ben diversa da quella
conciliare e post-conciliare. C’è quindi bisogno di una seria e teologica precisazione: la Chiesa universale non nasce e non è un insieme delle chiese locali, come se fosse una federazione di chiese, come affermano i sostenitori di
una “ecclesiologia sociologica”. Per questo nel 1992 la Congregazione per la
Dottrina della Fede279 si è espressa chiaramente:
La Chiesa universale è perciò il Corpo delle Chiese, per cui è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione anche
all'unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale
come una Comunione di Chiese. A volte, però, l'idea di «comunione
di Chiese particolari», è presentata in modo da indebolire, sul piano
visibile ed istituzionale, la concezione dell'unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se
stesso completo e che la Chiesa universale risulta dal riconoscimento
reciproco delle Chiese particolari. Questa unilateralità ecclesiologica,
riduttiva non solo del concetto di Chiesa universale ma anche di quello di Chiesa particolare, manifesta un'insufficiente comprensione del
concetto di comunione. Come la stessa storia dimostra, quando una
Chiesa particolare ha cercato di raggiungere una propria autosufficienza, indebolendo la sua reale comunione con la Chiesa universale e
con il suo centro vitale e visibile, è venuta meno anche la sua unità interna e, inoltre, si è vista in pericolo di perdere la propria libertà di
fronte alle forze più diverse di asservimento e di sfruttamento.
Per capire il vero senso dell'applicazione analogica del termine comunione all'insieme delle Chiese particolari, è necessario
277
EG 16.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ut unum sint. L’impegno ecumenico in EV
14/2667-2884. Cfr. anche A. A MBROGETTI , Il mistero dei 12. I vescovi del mondo a tavola
con Giovanni Paolo II, Tau Editrice 2014.
279 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio. Alcuni aspetti
della Chiesa intesa come comunione, in EV 13/1774-1807.
278
261
CAPITOLO QUINTO
innanzitutto tener conto che queste, per quanto parti dell'unica
Chiesa di Cristo, hanno con il tutto, cioè con la Chiesa universale,
un peculiare rapporto di mutua interiorità, perché in ogni Chiesa
particolare «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una,
Santa, Cattolica e Apostolica». Perciò, «la Chiesa universale non può
essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come
una federazione di Chiese particolari». Essa non è il risultato della loro comunione, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare.
Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed
unica secondo i Padri precede la creazione, e partorisce le Chiese
particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto
delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa
e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue.
Da essa, originata e manifestatasi universale, hanno preso
origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Nascendo nella e dalla Chiesa
universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità. Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese
nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia). È evidente
la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese
particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in
qualsiasi gruppo o società puramente umana280.
Da questo denso ed esplicito testo risulta indubbiamente che la decentralizzazione nel senso di federalizzazione di matrice sociologica e con le
conseguenze dottrinali, è inaccettabile. Questo concetto ha conseguenze di
capitale importanza per quanto riguarda i criteri secondo cui possono essere
assegnate alle chiese locali le competenze riguardanti la prassi morale e disciplinare281. Ma questa affermazione ha ancora maggior spessore per quanto riguarda l’auspicio di papa Francesco che, parlando delle conferenze episcopali e delle chiese particolari, le definisce come “soggetti di attribuzioni
280
281
Communionis notio 8-9.
CIC 447-459.
262
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”282 e quindi anche nel campo morale, facendo qui ricorso alla Lettera apostolica Apostolos suos del 1998 di Giovanni Paolo II283. Tuttavia il testo nella sua totalità non ammette che quella autorità dottrinale venga svolta indipendentemente dalla Chiesa universale e tantomeno contro di essa284.
Tuttavia papa Francesco insiste constatando che già
il Papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare «una forma
di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo
all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova».
E poi continua dicendo che ancora
siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture
centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello
ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato
che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze
episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo
auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è
esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali
che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo
anche qualche autentica autorità dottrinale285. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua
dinamica missionaria286.
La conversione dell’esercizio petrino di cui parlava Giovanni Paolo
II era considerata su un altro piano, ovvero quello del dialogo ecumenico
soprattutto con la Chiesa orientale in vista della comunione e dell’unità. Invece, riflettendo sulle parole di papa Francesco – che non sembrano da intendere sul piano ecumenico ma intra-ecclesiale di matrice sociologica – si
282 Cfr.
R. DE MATTEI, “Sinodo: La decentralizzazione della Chiesa offende la fede e il senso
comune”, su Il Foglio (20 ottobre 2015), in http://www.corrispondenzaromana.it/sinodo-ladecentralizzazione-della-Chiesa-offende-la-fede-e-il-senso-comune/.
283 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Apostolos suos. Natura teologica e giuridica delle
conferenze dei vescovi, in EV 17/808-850.
284 Cfr. S. MAGISTER, “Molto accentratore e poco collegiale. I vescovi lo vedono così”, in
http://Chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350685.
285 Il grassetto nostro.
286 EG 32.
263
CAPITOLO QUINTO
potrebbe avere l’impressione della tendenza alla spartizione e alla frammentazione più che all’unità nella pluralità287. Inoltre in nome del decentramento e della pluralità si cerca di assegnare alle chiese locali il compito non solo
di come inculturare il Vangelo, ma di decidere su questioni disciplinari e
pastorali che facilmente possono essere ricondotte a questioni dottrinali.
Quanto ancora alla lettera apostolica Apostolos suos di Giovanni Paolo II
essa precisa bene alcune norme e competenze che spettano alle Conferenze
episcopali288. Commentando i brani del medesimo documento, il cardinale
Sarah afferma che “se è necessario favorire la responsabilità dei vescovi e delle Conferenze episcopali, la Chiesa di Roma deve assolutamente conservare
la direzione di tutto l’apostolato”289. Tenendo conto delle caratteristiche dei
nostri tempi che enfatizzano la priorità della diversità delle opinioni sulle
verità e sui valori non negoziabili e assoluti mettendo in dubbio persino la
legge naturale universale290 e cadendo nel relativismo epistemico, etico, assiologico ecc., si commetterebbe
un peccato grave contro l’unità del Corpo di Cristo e la dottrina della Chiesa dando alle Conferenze episcopali l’autorità o la capacità di
decidere su questioni dottrinali, disciplinari, morali (…) Deve rinforzarsi oggi l’unione e la comunicazione viva e frequente con la Sede
Apostolica non solo in cose di dottrina e di fede, ma anche per
quanto riguarda il governo e la disciplina291.
Anche l’idea dell’evangelizzazione e dell’impegno missionario era intesa come rapporto e relazione di reciproco scambio, come fraternità tra le
chiese locali in quanto ‘comunità-sorelle’, proprio in base all’universalità
della Chiesa. Una decentralizzazione non definita chiaramente espone al rischio di sottovalutare la relazione con la Chiesa universale, ma anche quella
287
Cfr. N. BUX – A. GARUTI, Pietro ama e unisce, Bologna 2007; S. DIANICH, Per una teologia del papato, Cinisello Balsamo 2010; G. GHIRLANDA, “Il ministero petrino”, in La Civiltà
Cattolica 3906 (23.03.2013), 549-563.
288 AS 21-24.
289 R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 143.
290 Cfr. R. DE MATTEI, “La legge naturale non è negoziabile”. Nel articolo l’autore si riferisce al secolare insegnamento della Chiesa che fa parte del depositum fidei, come è stato dimostrato dal magistero della Chiesa: il Concilio Vaticano I, i papi Leone XIII, Paolo VI,
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e dalla teologia come nel caso di Tommaso d’Aquino
che ha definito la legge naturale come «la partecipazione della legge eterna nella creatura
ragionevole» (Summa Theologiae, I-II, q. 91, a. 2). In http://www.radicicristiane.it/2014/09/editoriali/la-legge-naturale-non-e-negoziabile/.
291 R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 143. 145.
264
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
reciproca relazione tra le chiese-sorelle fino al punto da perdere il senso di
comunità, che può facilmente condurre alla chiusura di una Chiesa locale e
in effetti ad una inevitabile autoreferenzialità e isolamento.
Il papa ribadisce la stessa sua posizione nel Discorso alla Conclusione del Sinodo sulla Famiglia del 2015:
E – al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero
della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale
per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi
come uno scandalo - quasi! – per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in
una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra;
ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere
solo confusione292. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro
e ogni principio generale – come ho detto, le questioni dogmatiche
ben definite dal Magistero della Chiesa – ogni principio generale ha
bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato. Il
Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione
del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come
dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante
l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo
nelle varie culture umane». L’inculturazione non indebolisce i valori
veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi
si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture293.
Seppur egli ritenga che non verranno toccate le questioni dogmatiche,
tuttavia la diversità sulla quale fa leva non appare molto chiara in quanto non
si sa esattamente a che cosa, a quale materia, a quali settori o a quali dimensioni della vita delle comunità cristiane essa si riferisce: culturale, rituale,
cultuale, etica… Per fare qualche esempio: prendiamo in esame la situazione
in cui in non poche nazioni, dove il cristianesimo è già presente da tempo,
sono restate in uso e tollerate dai vescovi locali, alcune abitudini specifiche ed esclusive di certe culture, come la poligamia, i rituali esoterici,
292
Il grassetto nostro.
PAPA FRANCESCO, Discorso a conclusione dei lavori della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24 ottobre 2015), in https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151024_sinodo-conclusione-lavori.html.
293
265
CAPITOLO QUINTO
l’evidente disparità tra uomo e donna, il traffico di bambini, l’uso di sostanze stupefacenti, ecc. Ovviamente ci riferiamo a quelle civiltà in cui queste
prassi coincidono con la stessa propria cultura e sono esercitate in quanto
tramandate dagli antenati o per necessità di garantire un futuro a sé stessi e
alla propria famiglia, come in alcuni traffici di bambini che vengono venduti per assicurare al resto della famiglia qualche possibilità economica, o come nel caso di alcuni paesi dell’America Latina in cui risulta indispensabile
per vivere il masticare foglie di coca. Ponendoci, ora, di fronte agli insegnamenti universali del Vangelo, come è possibile coniugare le semplici tradizioni culturali con l’inculturazione, cioè la messa in atto e l’incarnazione
del Vangelo che di fronte ad elementi così palesemente in contrasto con
l’insegnamento di Gesù, deve poter distinguere ciò che è da tollerare, ciò che
è da purificare, ciò che è da smascherare o denunciare? E come si può abbandonare ad un singolo vescovo o gruppo dei vescovi e alla loro decisione,
che non di rado potrebbe essere arbitraria, condizionata, la materia che alla
luce del Vangelo, della Chiesa universale, del suo magistero e della legge naturale è considerata “non negoziabile”?
b) La de-centralizzazione, il matrimonio e la famiglia
Il tema della decentralizzazione è apparso con maggior evidenza nel
contesto degli ultimi due sinodi sulla famiglia, pertanto va anche considerato sul piano morale in quanto si riferisce alle questioni riguardanti l’etica
matrimoniale e la vita sacramentale294. In pratica si postula – come ha proposto un gruppo di non pochi padri sinodali – di lasciare ai pastori di discernere ogni situazione “caso per caso” in vista dell’ammissione dei divorziati alla Santa Comunione – anche se la Relatio finalis del Sinodo 2015
non lo afferma esplicitamente. Tuttavia, già vari commenti, spesso provenienti dagli stessi partecipanti al sinodo, non prescindono da interpretazioni
equivoche ed ambigue295. Il punto d’aggancio presente nell’Evangelii gaudium, sono soprattutto le parole, ritenute emblematiche:
294
Sembra poter essere necessaria una piccola precisazione per chi avesse il dubbio che la
trattazione delle questioni matrimoniali e familiari non entri nell’orizzonte della evangelizzazione. In realtà già nel documento Il Messaggio al popolo di Dio emanato dal Sinodo dei
vescovi del 2012 su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, il
tema della crisi della matrimonio e della famiglia e la sfida missionaria sono strettamente
connesse. Di questo parla il n. 7 dello stesso documento.In http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20121026_message-synod_it.html.
295 Cfr. M. GUARINI, “Chiesa e post concilio”, in http://Chiesaepostconcilio.blogspot.it/.
266
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti
possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e
un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e
audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia
e non come facilitatori296.
La decentralizzazione delle questioni dell’etica coniugale, inclusa la
questione dell’accesso ai sacramenti nel caso dei risposati civilmente, corre
inevitabilmente il rischio di arbitrarietà fino al punto da relativizzare la dottrina morale che fa parte del depositum fidei. Una delle cause delle interpretazioni ambivalenti e non chiare è l’uso del linguaggio “drammatico” del
numero 47 dell’esortazione, tipo “se qualcuno vuole seguire una mozione
dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si deve incontrare con la freddezza di una porta chiusa”; “L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della
vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e
un alimento per i deboli”297; “la Chiesa non è una dogana”. Tale linguaggio,
nell’attuale contesto della discussione sulla famiglia e sul matrimonio, implicitamente fa pensare ad una immagine della Chiesa che finora abbia trattato i
risposati come degli esclusi, “scomunicati”, allontanati dalla comunità dei
battezzati, in modo che per loro non possa essere concessa la misericordia298.
296
EG 47.
Qui neanche il richiamo al testo di s. Ambrogio può fungere da argomento a sostegno
della tesi dell’ammissione di chi permanentemente vive nello stato di peccato mortale. Del
resto ogni persona che si accosta alla Comunione è peccatore e non è degna per se stessa di
riceverla, ma si trova in una condizione che la rende disponibile a riceverla. Questa impostazione è secolare, fa parte della lunga Tradizione e della vita della Chiesa e non esige ulteriori spiegazioni di fronte alle provocazioni superflue, pretenziose e determinate dagli interessi particolari.
298 A proposito della ‘misericordia’, sembra anche questo concetto poco definito e chiarito
nonostante un bel contributo di W. Kasper, “La misericordia”…. Il concetto usato giustamente spesso, ma in modo a volte eccessivo da far nascere nel pensiero del popolo un’idea
di buonismo ed irenismo che sfociano nel lassismo e permissivismo: “fai da te”. Tale comprensione della misericordia viene mediaticamente divulgata, se non viene subito compresa
nel suo intrinseco legame con l’amore, la verità, la giustizia, la fedeltà, la conversione, ecc.
Di fatto, anche nell’omelia dell’apertura del Giubileo Straordinario della Misericordia,
sembra comunque che il papa (e non solo in quella occasione, ma altre volte come ad
297
267
CAPITOLO QUINTO
In realtà per nessuno la Comunione è un premio299; il problema risiede nel
fatto della disponibilità di essere liberi da una situazione permanentemente
vissuta nel peccato mortale. Ma più di una logica “restrittiva” o “retributiva”
ingiustamente assegnata alla Chiesa, il vescovo d’Ajaccio mons. Oliver de
Germay300 offre una spiegazione ancora da riflettere teologicamente, ma che
rappresenta una spirituale profondità e al contempo una soluzione anche pastoralmente stimolante, per cui, per quanto riguarda quanti vivono nella situazione radicalmente irregolare, il loro non poter comunicarsi non viene
considerato come punizione. Egli infatti afferma che quanto all’Eucaristia,
si è molto enfatizzata la dimensione della cena, a discapito di quella
del sacrificio. Ma se la Messa non è che un pasto, allora non si comprende più cosa significhi partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi… Penso che bisogna riflettere sulla nostra pratica di comunicarsi
sistematicamente e ritrovare il legame con il sacramento della Riconciliazione.
In quest’ottica non è corretto dire che i divorziati risposati siano
esclusi dall’Eucaristia. Essi possono realmente partecipare all’Eucaristia, non solo ascoltando la Parola, ma anche associandosi al sacrifiesempio durante le omelie a Santa Marta) metta in opposizione ‘misericordia’ e ‘giudizio’/‘giustizia’: “Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio
di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia”: L’Osservatore Romano CLV 282, 9-10
dicembre 2015, 8. Anche se è indiscutibile che la misericordia è la forma tramite cui si
esprime l’amore di Dio, tuttavia “anteporre” o “non anteporre”, la misericordia al giudizio
non spetta a noi, ma a Dio. Non dubitiamo assolutamente della Sua misericordia. Ognuno
di noi ne sente il profondo desiderio e la nostra speranza cristiana non poggia su nessuna
altra cosa se non sulla divina misericordia. Tuttavia dalle formulazioni del genere, la separazione tra misericordia e giudizio/giustizia, rende il messaggio evangelico in qualche modo
ambiguo e unilaterale. Insomma il nostro linguaggio e il nostro modo di parlare è sempre
limitato, ed è sempre analogico. Parlare di Dio misericordioso non esclude o non prevale su
Dio giusto giudice ma Lo implica. In Dio gli attributi sono essenzialmente uniti e creano
“una sola sostanza”: Dio nella stessa misura in cui è giusto, è anche misericordioso, e viceversa. È rischioso usare in riferimento a Dio le categorie tipo: “ante-”, “post-”, “più”, “meno”, “prima”, “dopo”, ecc.; in Lui ogni attributo semplicemente “c’è” in modo assolutamente perfetto.
299 Anche le persone che vivono nello stato della grazia santificante e senza peccato mortale, acclamano durante la Messa: “Non sono degno di partecipare alla Tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
300 Cfr. “Accettare di non comunicarsi è un atto di fedeltà a Cristo”, in http://sinodo2015.lanuovabq.it/accettare-di-non-comunicarsi-e-un-atto-di-fedelta-a-cristo/.
268
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
cio di Cristo e facendo della propria vita “un’offerta vivente a lode
della sua gloria”.
Di conseguenza anche l’accettazione di non ricevere la Comunione è
profondamente salutare perché significa liberarsi dall’autogiustificazione e
compiere un atto di fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Così si è nel cuore del mistero pasquale e ciò non rimane senza grazia.
Inoltre, F. Colafemmina fa notare che nell’intera esortazione che
tratta dell’opera missionaria, evangelizzatrice e dell’annuncio della misericordia, o mancano o sono scarsamente oppure sproporzionalmente presenti
i concetti strettamente connessi con la misericordia: “peccato”, “conversione”, “giudizio finale”, ecc.301 Circa a metà di ottobre Andrea Tornielli pubblicava un’intervista al teologo domenicano, già nominato prima, Giovanni
Cavalcoli e la stessa intervista è stata ripresentata – con tagli ma anche con
elementi nuovi – su l’Avvenire di sabato 24 ottobre alla vigilia della conclusione del Sinodo. Cavalcoli dice che “non esistono ‘condizioni peccaminose’,
perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente”. Certo il peccato è un atto e non si prolunga indefinitamente nel tempo
– per fortuna! –; esiste però un “comportamento esterno gravemente, manifestamente e ‘stabilmente’ contrario alla norma morale” di fronte al quale la
Chiesa “non può non sentirsi chiamata in causa”302 interdicendo la partecipazione ai sacramenti. Così è per le persone delle quali si parla, ovviamente
senza con ciò escluderle dalla partecipazione alla vita della Chiesa. Anzi la
Chiesa non considera assolutamente mai le persone che vivono in una situazione irregolare tali da far loro sentirsi esclusi o cattolici di seconda classe, come già spiegava chiaramente Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio (83-85). Il suo insegnamento dovrebbe essere ripreso in toto303 al fine
di far riscoprire la sua continua ed attuale valenza nei nostri tempi come
hanno indicato molti vescovi e cardinali proprio durante l’ultimo Sino301
Cfr. F. COLAFEMMINA, “Evangelizzazione senza controllo”, in Fides et Forma (26.11.2013), in https://anticattocomunismo.wordpress.com/2013/11/27/evangelizzazione-senzacontrollo/.
302 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia 37 (17 aprile 2003), in AAS
7 (2003) 433-474; cfr. anche CIC, can. 915.
303 Purtroppo anche la Relazione finale del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia nei punti 8486, richiamandosi all’insegnamento della Familiaris consortio che non espone altro se non
ciò che fa parte del depositum fidei riguardo all’etica coniugale (84-86), ne riporta alcuni
brani, però abbandona quelli più decisivi ed essenziali che sono indispensabili per confutare ogni ambiguità. Di conseguenza la relatio continua a far vivere il popolo cristiano nelle
incertezze e nei dubbi, lasciando che i mass-media formino l’opinione pubblica.
269
CAPITOLO QUINTO
do304. In tal modo si auspica che i pastori inizino finalmente a mettere in
atto il chiaro e pieno d’amore insegnamento della Familiaris consortio, senza far credere falsamente che oggi la situazione sia completamente diversa e
che richieda dei cambiamenti disciplinari. Il tema viene quindi approfondito dalla Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati” della Congregazione per la Dottrina della Fede emanata nel 1998305.
c) De-centralizzazione, l’evangelizzazione e il rapporto Chiesa –
mondo
Questi interrogativi formulati sopra ci conducono ad un’ultima e
definitiva domanda, in che senso praticamente ed effettivamente il papa intende la necessità di una salutare decentralizzazione in vista di una più proficua evangelizzazione? In realtà il concetto della “decentralizzazione” appare ancora molto confuso e poco chiaro, per cui, per non arrivare a delle decisioni frettolose, è necessario precisare questa idea e le sue eventuali e concrete forme di applicazione306. Nel quadro del nostro modesto studio tale
304
Come è stato detto sopra, nessuno è degno di ricevere il sacramento dell’Eucaristia; comunque occorre una certa disponibilità che in questo caso richiede lo stato della grazia santificante. Inoltre la grazia salvifica è presente in ogni sacramento ma non è esclusivamente
legata o ridotta ai sacramenti. La grazia santificante opera oltre la grazia sacramentale. Si
veda: L’intervento sinodale di Mons. Stanisław GĘdecki, “Dottrina non cambia, pastorale la
attualizza” di Mons. Stanisław GĘdecki; “Il «sì, sì; no, no» o la gradualità della legge”,
“Commento teologico all’intervento nel Sinodo di Mons. Stanisław GĘdecki, Presidente della Conferenza Episcopale Polacca” – commenti teologici di Dariusz Kowalczyk, decano della Facoltà di teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Oltre a questo basta pensare anche alla grazia di Dio non sacramentale, ma salvifica operante fuori dei confini visibili della
Chiesa, ad esempio nelle altre religioni, culture, popoli ecc. (cfr. RMi 5.28)
305 Qui proponiamo la versione della Lettera accompagnata dal numero 84 della Familiaris
consortio e dal Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla XIII Assemblea Plenaria
del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nonché dai commenti teologici di D. Tettamanzi,
M.F. Pompedda, A.R. Luño, P.G. Marcuzzi, P. G. Pelland): Congregazione per la Dottrina
della Fede, “Sulla pastorale dei divorziati risposati”. Documenti, commenti e studi, Libreria
Editrice Vaticana 2010.
306 Riguardo a tale problematica la necessità di chiarimenti, di enunciati magisteriali precisi
ed esatti pare ancora molto più urgente se si tiene conto dell’odierno mondo di comunicazione e di informazione che agisce con una velocità non controllabile e spesso irreversibile,
senza la possibilità di correggere le notizie false o fraintese. Perciò non si può ammettere
che la riflessione teologica, l’esposizione e le direttive magisteriali siano oggetto di strumentalizzazioni e mistificazioni mediatiche, pena di provocare la confusione e il disorientamento tra i fedeli. L’influsso dei mass-media si rende ancora più potente e incisivo sull’opinione
pubblica, anche tra i cattolici, quando ci si rende conto con quanta facilità i giornalisti accedono a notizie, eventi, cose propriamente interne e riservate alla Santa sede. Sembra mol270
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
“decentralizzazione” impone il problema del suo relazionarsi con l’evangelizzazione. Come ha osservato Angelini “l’evangelizzazione” entra nella realtà costituita dal legame Chiesa–mondo dove in riferimento alla Chiesa si
presuppone la sua connotazione universale ed entra anche nella cornice della dottrina: “L’evangelizzazione del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del concilio Vaticano II. Deve essere, come insegna questo concilio,
opera comune dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei
genitori e dei giovani”307. Di conseguenza la decentralizzazione potrà provocare un frazionamento del concetto e della realtà nominata “evangelizzazione” e quindi non ci sarà più “l’evangelizzazione”, ma “le evangelizzazioni”. Da qui il problema, di stabilire secondo quale criterio una certa attività
può essere definita “evangelizzazione” e l’altra no. Finora le differenze culturali all’interno della Chiesa e le differenze derivate dalla diversità dei destinatari dell’evangelizzazione si risolvevano attraverso l’impegno dell’“inculturazione” – questa categoria sembra richiedere di essere sempre più approfondita – come mezzo e strumento per evitare la riduzione ad uniformità culturale, anzi a far fiorire la pluriformità culturale nell’unità della fede e del Vangelo proclamato.
Se anche si volesse ritenere giusto il detto “non c’è una sola o un’unica
evangelizzazione, dato che ormai da decenni si parla della «nuova evangelizzazione»”, quando si entra nel merito del principio di “decentralizzazione” –
non ancora ben spiegato e tantomeno precisamente definito –, in nome di
una visione poliedrica della Chiesa308 (termine tanto caro al papa), l’evangelizzazione stessa rischia di perdere la sua vera natura e finalità esponendosi facilmente a sincretismi, eclettismi, irenismi, dialogismi, ossia al paradigma del dialogo a discapito dell’annuncio; in questo caso non occorre essere
studiosi, teologi, sociologi, esperti di qualunque genere, per ammettere un
to importante che le proposte o certe idee lanciate dai pastori e dottori della Chiesa con a
capo il papa siano espresse in modo da minimizzare più possibile qualsiasi malinteso,
strumentalizzazione e manipolazione.
307 “La nuova evangelizzazione secondo papa Wojtyła. Importanza dei laici e indispensabilità dei ministri ordinati”, in http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-nuova-evangelizzazione-secondo-papa-wojtya.
308 La visione poliedrica della Chiesa, secondo alcuni commentatori dell’esortazione, dovrebbe garantire l’unicità della Chiesa e la sua identità che ne determina la differenza di
ogni superficie del poliedro rispetto alle altre. Ne conseguirebbe che la tutela dell’identità è
un fatto essenziale, anzi è normale difenderla perché all’identità è legata la dignità della persona umana e la sua unicità. In proposito il papa offre alcune immagini per comprendere il
valore del rapporto identità–dignità. Di fronte agli equivoci già indicati e quelli che ancora
emergeranno, tale spiegazione può essere persuasiva? Cfr. P. PAROLIN, “Papa Francesco: visione e teologia di un mondo aperto”, in Studia Patavina 62 (2015), 296.
271
CAPITOLO QUINTO
tale scenario. Quanto invece alla nuova evangelizzazione, per come la intendevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, si trattava del nuovo ardore, delle nuove espressioni e metodi per attuarla, senza tuttavia perdere il nucleo e
l’obiettivo che è l’annuncio del Dio di Gesù Cristo, morto e risorto, continuamente e sacramentalmente presente ed operante nella Chiesa suo Corpo,
abitata ed animata intimamente dallo Spirito Santo; l’annuncio non di una
mera teoria o idea, ma della Verità salvifica ed efficace nella vita sacramentale309.
In fin dei conti, bisogna anche chiedersi se la decentralizzazione,
finché non sarà ben chiarita, non porterà nei suoi effetti pratici anche alla
situazione che ogni Chiesa particolare si concentri più su se stessa, si ripieghi sui propri interessi o problematiche. L’idea dell’evangelizzazione come è
stato presentato prima era anche quella di stringere rapporti di fratellanza e
di scambio reciproco tra le chiese e le comunità locali tra di loro e con la
Chiesa universale. Chissà se la decentralizzazione riuscirà con miglior effetto
a realizzare questo obiettivo? Non è nemmeno da escludere, però, che, senza
ulteriori chiarimenti, si possa presentare uno scenario di chiusura delle chiese locali, il loro ripiegamento su se stesse, l’incapacità di aprirsi alle chiesesorelle o delle Conferenze episcopali che quindi in effetti le condurrà paradossalmente alla autoreferenzialità.
3.2.7. L’evangelizzazione e la pastorale vocazionale
C’è ancora una cosa da sottolineare trattando il tema dell’evangelizzazione. Una problematica forse non immediatamente evidente, ma che
comunque sia alla luce dell’esortazione che del triennale pontificato di
Francesco e del suo insegnamento, sembra suscitare scarsa preoccupazione, è
la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, proprio in vista di intensificare l’evangelizzazione310. In tutta l’esortazione la preoccupazione o
l’interesse del papa nei confronti delle nuove e sante vocazioni sacerdotali è
apparsa solo al punto 107 dove parla della crisi delle vocazioni dovuta allo
scarso fervore apostolico delle comunità e poi aggiunge
nonostante la scarsità di vocazioni, oggi abbiamo una più chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sa309
Cfr. E. BIEMMI, “La nuova evangelizzazione”, in Credere oggi 191 (2012) sett.-ott., 7-21.
Tuttavia una tale scarsa, a nostro parere, attenzione alla pastorale vocazionale, non significa un disinteresse. Basta ricorrere al recente Messaggio per la 53 a Giornata Mondiale di
preghiera per le vocazioni, che si celebra il 17 aprile 2016, del 29 novembre 2015, in
L’Osservatore Romano CLV 281, 7-8 dicembre 2015, 7.
310
272
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
cerdozio. Non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere
economico311.
A parte questa amara considerazione non viene offerta nessuna parola di incoraggiamento e di risveglio rivolto alle comunità per elaborare una
strategia della ‘pastorale vocazionale’ (espressione sconosciuta nel documento), non viene promosso né espresso l’entusiasmo connaturale alla vocazione
311
EG 107. La domanda naturale è: come fare la selezione, se non c’è la ‘materia’? Inoltre lo
scetticismo verso la qualità delle vocazioni africane è stato espresso sul sito ufficiale della
Conferenza Episcopale Tedesca (quella in piena “fioritura”!). Sul suo sito, Katholisch.de,
alla vigilia della visita del papa in tre paesi africani, ha pensato bene di pubblicare in bella
evidenza un articolo dal titolo «Chiesa povera e romantica», firmato da Björn Odendahl, in
cui, tra l’altro, si legge: «Naturalmente la Chiesa sta crescendo in Africa. Cresce, perché la
gente è socialmente dipendente e spesso non ha nulla a parte la propria fede. Cresce, perché
la situazione sul fronte dell’educazione si colloca, in media, ad un livello alquanto basso e
la gente accetta risposte semplici alle domande difficili sulla fede. Risposte, come quelle date dal Card. Sarah della Guinea. Compreso il crescente numero di sacerdoti, anch’essi risultato non solo dello zelo missionario, bensì anche delle scarse possibilità di contare su di
una sicurezza sociale nel Continente nero». Insomma, in una parola, secondo il sito dei vescovi di Germania, gli africani sarebbero tanto poveri da non potersi che consolare nella
propria miseria, non come i tedeschi, che, nella loro opulenza, possono gettare nella spazzatura qualcosa di così “ridicolo” come la fede; sarebbero anche tanto ignoranti e sciocchi da
bersi le risposte sempliciotte dei loro vescovi e cardinali (Sarah, Arinze, Napier, ritenuti infinitamente meno “sofisticati” dei loro colleghi tedeschi). Così dicasi dei sacerdoti: non sarebbe la grazia di Dio a suscitare vocazioni, né la generosità d’accoglierla come dono prezioso del Signore, il boom di vocazioni sarebbe invece dovuto al fatto di poter così almeno
mangiare ed esser curati in un ospedale, quando fossero morsi da un pitone o da un leone.
Solo in quest’ottica si comprenderebbero certe “ingenuità” africane, come il fatto di mantenersi fedeli alla retta Dottrina cattolica, rigettando di contro le profferte del modernismo.
Solo in quest’ottica si comprenderebbe come, nonostante il martirio ed il massacro cristianofobico provocato qui dal fanatismo islamico, i cattolici africani siano più di 200 milioni,
vale a dire tre volte più di trent’anni fa, con un numero di seminaristi a sua volta triplicato
negli ultimi 25 anni ed un 40% di sacerdoti in più rispetto agli ultimi 15 anni. Solo così si
comprenderebbe perché, in Africa, la Chiesa sia viva, dinamica e fiorente. Questione chiusa
così, per i Vescovi tedeschi. «In realtà – ha commentato l’agenzia InfoCatolica, che ha giustamente dedicato un ampio servizio in merito – sembra difficile superare una tale dimostrazione di paternalismo sprezzante ed a tinte razziste». In http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-brevi/il-sito-dei-vescovi-tedeschi-in-africa-fedeli-poveri-e-ignoranti/.
In questo contesto i fenomeni della Chiesa povera e ricca della gioia dell’Africa non ci dovrebbero entusiasmare e stimolare a rinvigorire la pastorale giovanile e vocazionale? Anzi,
in vista della nuova evangelizzazione necessaria nell’Europa stanca di credere, lasciarci aiutare dalla Chiesa in Africa?
273
CAPITOLO QUINTO
sacerdotale e religiosa. Come pensare all’evangelizzazione senza una seria cura delle vocazioni sacerdotali e religiose? Come pensare all’evangelizzazione
senza futuri annunciatori del Vangelo e ministri dei sacramenti e, in primis,
dell’Eucaristia? Nell’esortazione è difficile avvertire lo ‘spirito vocazionale:
sacerdotale o religioso’, la gioia di impegnarsi nella Chiesa per le nuove e
sante vocazioni in vista della più efficace opera evangelizzatrice. In questa
ottica si capisce la preoccupazione di san Paolo: “Come avrebbero potuto
credere in uno che non udirono? Come potrebbero aver udito senza uno
che annuncia?”312. Invece il papa durante il suo viaggio in Africa, il 26 novembre 2015 a Nairobi nel suo discorso ai sacerdoti, i religiosi, le religiose e
i seminaristi, si rivolge a questi ultimi: “Ringrazio molto voi seminaristi, che
non ho nominato ma che siete compresi in tutto quello che ho detto. E se
qualcuno non ha il coraggio di andare su questa strada, c'è ancora tempo,
cerchi un altro lavoro, si sposi e faccia una famiglia”313. Viene subito in
mente l’esempio del profeta Geremia che nel momento della sua vocazione e
provando i forti dubbi sente la voce incoraggiante e rassicurante del Signore:
“Non dire: «sono un ragazzo», perché ovunque ti invierò dovrai andare e
tutto ciò che ti ordinerò dovrai riferire. Non temere di fronte a loro perché
con te ci sono io a salvarti”314. Sembra opportuno anche sottolineare che i
sacerdoti e i consacrati non vivono in un totale spirito di rinuncia, ma scelgono di vivere per Cristo e per i fratelli e questo non è perdere la propria
vita (nel senso negativo), ma realizzarla. Anche negli altri stili di vita (coniugale, celibato, nubilato) le persone rinunciano necessariamente a qualcosa
ma non per questo vivono “con sacrificio” o perlomeno qualche sacrificio
e/o rinuncia è subordinato comunque alla gioia di aver realizzato le proprie
aspirazioni o l’autentica vocazione. Al mondo non ci sono solo persone tristi e frustrate, ma tante altre che sono felici di non aver sprecato la propria
vita. Tra questi anche molti dei sacerdoti e dei religiosi per i quali la scelta è
stata di rinunciare sì a qualcosa, ma di scegliere comunque la realizzazione
gioiosa nella consapevolezza di spendere bene la propria vita per Qualcosa e
Qualcuno per cui ne vale veramente la pena. Inoltre sacerdoti e consacrati
hanno maggior opportunità di acquisire la piena consapevolezza della vicinanza del Signore nel compiere la missione a cui sono stati chiamati, come
Geremia. E che cosa ci può essere di più bello che sentire la vicinanza di Gesù, che veder realizzata su di sé la Sua promessa, che “sentire la Sua mano
312
Rm 10,14.
FRANCESCO, Discorso al clero, i religiosi, le religiose e i seminaristi, Nairobi 26 novembre 2015, in L’Osservatore Romano CLV 273 (28 novembre 2015), 5.
314 Ger 1,6.
313
274
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
posata sulla spalla, il “Suo passo sincronizzato con il nostro”, che sentirsi
presi in braccio da Lui nei momenti difficili? É questa la gioia e nello stesso
tempo l’incoraggiamento che dovrebbero essere rivolti ai giovani invitandoli
e non scoraggiandoli ad intraprendere la strada del sacerdozio e della vita
consacrata315. Gioia ed incoraggiamento che una volta sperimentati potranno essere trasmessi anche agli altri. Dovrebbe essere questo che intende papa
Francesco quando dice che la fede non si trasmette per proselitismo, ma per
contagio o attrazione (come diceva Benedetto XVI)316.
Giustamente, secondo lo spirito conciliare sul piano missionario
viene concesso maggior spazio ai laici e vengono a loro affidati molti nuovi impegni o funzioni, riservati prima solo ai ministri ordinati o alle persone consacrate. Tuttavia il poco interesse verso la pastorale vocazionale
sembra essere abbastanza palese nel contesto dell’evangelizzazione e potrebbe falsamente indurre a pensare che ci possa essere come una sorta di
“sostituzione” dei sacerdoti con i laici. Qualche volta abbiamo anche sentito parlare decisamente a sproposito anche di Chiesa laica. All’inizio del
pontificato di Giovanni Paolo II alcuni erano preoccupati per l’enfasi posta sulla partecipazione di tutti i battezzati all’evangelizzazione, quasi che
al papa si volessero imputare intenzioni protestantizzanti. L’apertura ai
laici è stata fatta del tutto nello spirito conciliare 317. Oggi invece è più che
evidente che la Chiesa dell’Europa Occidentale, comincia, in modo troppo
sbrigativo e superfluo, a configurare la collaborazione e la divisione dei carismi, dei compiti e delle competenze tra i laici e sacerdoti proprio sulle
orme della strategia protestante 318. Ciò che lascia perplessi è che spesso tale
coinvolgimento e confusione risulta poco prudente e privo di una adatta
offerta di formazione e di preparazione sia dei laici che dei sacerdoti; pertanto, anziché ad una più effettiva ed efficace evangelizzazione, può condurre paradossalmente alla “laicizzazione” se non alla “secolarizzazione”
(o perfino, usando il linguaggio di papa Francesco, alla “mondanizzazione”) della Chiesa. Significativo a tal punto è il toccante brano della Lettera
315
Perfino nella Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita
Consacrata, del 21 novembre 2014, è inspiegabilmente assente l’aspetto della pastorale vocazionale. Cfr. AAS 106 (2014) 12, 936-947.
316 Cfr. F. OCÁRIZ, “Evangelizzazione, attrazione e proselitismo”, in Path 13 (2014) 2, 429.
317 Basta pensare all’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici di Giovanni
Paolo II (1988).
318 Cfr. S. MAGISTER, “Sì, no, non so, fate voi. Le linee guida di Francesco per l’intercomunione con i luterani”, in http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/11/16/sino-non-so-fate-voi-le-linee-guida-del-papa-allintercomunione-con-i-luterani/.
275
CAPITOLO QUINTO
di Giovanni Paolo II319 ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 1979 e della loro insostituibilità nell’opera dell’evangelizzazione:
Pensate a quei luoghi, dove gli uomini attendono con ansia un sacerdote, e dove da molti anni, sentendo la sua mancanza, non cessano di auspicare la sua presenza. E avviene, talvolta, che si riuniscono
in un santuario abbandonato, e mettono sull’altare la stola ancora
conservata, e recitano tutte le preghiere della liturgia eucaristica; ed
ecco, al momento che corrisponde alla transustanziazione, scende tra
loro un profondo silenzio, alle volte forse interrotto da un pianto,
tanto ardentemente essi desiderano di udire le parole, che solo le
labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare! Tanto vivamente desiderano la Comunione eucaristica, della quale solo in
virtù del ministero sacerdotale possono diventare partecipi, come
pure tanto ansiosamente attendono di sentire le parole divine del
perdono: Ego te absolvo a peccatis tuis! Tanto profondamente risentono l’assenza di un sacerdote in mezzo a loro!320.
L’evangelizzazione ha bisogno di operatori preparati per la missione.
Già nei Lineamenta al Sinodo dei Vescovi del 2012 su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, alla fine del capitolo III si legge:
Il progetto della nuova evangelizzazione richiede forme e percorsi di
formazione all’annuncio e alla testimonianza (…). [la domanda 29:]
In che modo questo accento della “nuova evangelizzazione” [nelle
Diverse Conferenze Episcopali] ha aiutato la revisione e la riorganizzazione dei percorsi di formazione dei candidati al presbiterato?
Come le diverse istituzioni deputate a giusta formazione (seminari
319
Lo stesso papa per la promozione delle vocazioni e della formazione dei futuri sacerdoti
ha convocato il Sinodo dei Vescovi del 1990 e ha scritto la successiva Esortazione postsinodale Pastores dabo vobis: cfr. AA.VV. Vi darò pastori secondo il mio cuore. Esortazione
postsinodale “Pastores dabo vobis”. Testo e commenti, Libreria Editrice Vaticana 1992. Anche il libro di Giovanni Paolo II, Dono e Mistero. Nel 50o del mio sacerdozio, Libreria Editrice Vaticana 1996, è la testimonianza e promozione allo stesso tempo del valore e della
bellezza della vocazione sacerdotale e missionaria. Quanto alla matura, profonda e integrale
proposta formativa dei futuri sacerdoti confermata con i gesti e atteggiamenti di Giovanni
Paolo II, una toccante testimonianza viene offerta anche da G. MANI, I preti di Wojtyła,
Siena 2014.
320 In http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1979/documents/hf_jp-ii_let_19790409_sacerdoti-giovedi-santo.html.
276
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
diocesani, regionali, gestiti da ordini religiosi) hanno saputo rileggere
ed adeguare le loro regole di vita a questa priorità?321
Tuttavia la sfida forse ancora più grave è che prima di preparare gli
operai, è necessario averli, è necessario, indispensabile, che da parte della
Chiesa si faccia di tutto, che si mettano in atto iniziative valide per sollecitare nuove vocazioni, che si mostri a tutti la bellezza del sacerdozio e della vita consacrata, la bellezza e la pienezza di vita di cui godono gli “operai della
vigna del Signore”.
Proprio per questo nell’Instrumentum laboris dello stesso Sinodo nel
punto intitolato “Centralità delle vocazioni” (nn. 159-161) si legge:
In questa prospettiva si aspetta che il prossimo appuntamento sinodale metta a tema in modo esplicito la centralità della questione vocazionale per la Chiesa di oggi (…) dovrà prestare un’attenzione particolare al ministero presbiteriale e alla vita consacrata, auspicando
che il Sinodo porti alla Chiesa il frutto di nuove vocazioni sacerdotali, rilanciando l’impegno di una chiara e decisa pastorale vocazionale322
Infatti una delle difficoltà per l’evangelizzazione d’oggi è proprio la
mancanza di sacerdoti323. Riprendendo l’appello di Giovanni Paolo II come
considerare seriamente l’evangelizzazione senza una premura, cura, o programma (più o meno articolato) di lavorare tra i giovani senza trasmettere
loro il fascino della vita completamente dedicata a Cristo e all’annuncio del
Vangelo? Dall’altro canto come può essere indifferente alla Chiesa tale questione avendo a cuore tanti poveri, non solo nel senso sociale o esistenziale
oppure psicologico, ma di quei poveri cristiani che vivono “agli estremi
confini della terra” (non solo nel senso geografico), essendo abbandonati e
non avendo i ministri che potrebbero portare loro il perdono sacramentale e
la presenza dell’Amore eucaristico di Cristo? Non sono anche loro veramente ‘poveri’, bisognosi e affamati del cibo sacramentale? Spesso da anni non
ricevono la Santa Comunione, pur non avendo nessun ostacolo spirituale e
morale che glielo impedirebbe. Se ci preoccupiamo della “sofferenza” di alcu321
http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20110202_lineamenta-xiii-assembly_it.html.
322 http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20120619_instrumentum-xiii_it.html#Centralità delle vocazioni.
323 Cfr. R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 144.
277
CAPITOLO QUINTO
ne categorie di persone che non possono partecipare alla mensa Eucaristica
perché con il loro modo di vivere permangono in una situazione oggettiva
di peccato (di loro si preoccupava anche l’ultimo Sinodo), come possiamo
non ascoltare il grido, il desiderio di chi, invece desidera ardentemente ricevere il Signore e non può per mancanza di sacerdoti, pur tenendo una retta
condotta di vita? Sappiamo infatti che in diverse parti del mondo, a causa di
mancanza di vocazioni, sono stati chiusi i centri di missione che pure esistevano da lungo tempo. Lì i fedeli si riuniscono per pregare e per celebrare
la liturgia della Parola, ma restano con il desiderio di partecipare alla mensa
Eucaristica. Solo un sacerdote, avendo ricevuto a sua volta la consacrazione,
può celebrare in Persona Christi e pronunciare la preghiera attraverso la
quale un piccolo pezzetto di pane e poche gocce di vino si trasformano nel
Corpo e Sangue di Gesù, concretizzando la Sua presenza viva in mezzo a
noi. Solo un sacerdote lo può fare. Pur ritenendo indispensabile il ruolo dei
missionari laici mandati in tutto il mondo, non è difficile costatare che non
competono loro alcune specificità riservate ai sacerdoti proprio in virtù
dell’originario mandato di Gesù affidato ai discepoli: il ministero di assolvere dai peccati ed esercitare il sacrificio eucaristico di Cristo. In particolare ai
sacerdoti restano riservati i compiti di “scacciare i demoni”, “imporre le
mani”, “rimettere i peccati”, “consacrare il pane e il vino”. In occasione del
Giubileo della Misericordia, papa Francesco ha introdotto la figura dei
“Missionari della Misericordia”: sacerdoti che verranno mandati in tutto il
mondo con il compito di assolvere dai peccati per cui sarebbe necessario
l’intervento della Santa Sede. Iniziativa molto importante che permetterà di
far giungere, attraverso la missionarietà della Chiesa, l’assoluzione a tutti coloro che vorranno chiedere perdono e sperimentare la gioia di provare su di
sé la misericordia di Dio. Ma una volta terminato l’anno giubilare, chi continuerà a portare l’assoluzione in universo mundo se i sacerdoti non ci sono? Anche per questo e per poter sostenere la fede eroica dei cristiani ‘poveri’ per l’assenza dei pastori, non bisognerebbe dunque dare maggior rilevo
alla pastorale giovanile e alla pedagogia vocazionale?324 La Chiesa non è più
capace di suscitare nei cuori dei giovani l’amore verso il prossimo in modo
tale da poter offrire la propria vita, partecipando alla missione di Cristo e
sollecitando in loro il desiderio di portarLo ai più ‘lontani’ e ai ‘senza sacramenti’?
Nel 2015 è stato celebrato l’Anno della Vita Consacrata indetto da
papa Francesco. Era un’occasione favorevole per riprendere e sviluppare il
324
Cfr. R. VIRGILI, “La pedagogia vocazionale di Gesù”, in http://www.retesicomoro.it/Objects/Pagina.asp?ID=8330.
278
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
tema dell’evangelizzazione e dell’opera missionaria, che in pratica si è nutrita
e ancora si nutre dello slancio e dell’entusiasmo propri degli appartenenti alle
congregazioni e agli istituti di vita consacrata. È con grande amarezza che abbiamo, invece, constatato un davvero scarso interesse prestato – nell’arco di
tutto questo Anno della Vita Consacrata325 – a questo programma pastorale
325
Infatti questa lacuna non ci sembra sia stata colmata neanche dalle poche iniziative intraprese nelle ultime settimane di questo Anno solenne. In occasione del Giubileo della misericordia celebrato dalle persone consacrate il primo febbraio 2016, il papa ha pronunciato
un discorso a braccio, abbandonando il testo scritto precedentemente preparato (che a nostro avviso era molto meglio strutturato) definendone “noiosa” la lettura. Nel constatare la
carenza delle vocazioni e nel prendere atto che ci sono monasteri vuoti, papa Francesco ha
testualmente detto: “E a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: «Ma,
Signore, cosa succede?» Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile? Alcune
congregazioni fanno l’esperimento della «inseminazione artificiale». Che cosa fanno? Accolgono…: «Ma sì, vieni, vieni, vieni…». E poi i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve
accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a
crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità,
dobbiamo pregare di più”: Udienza ai partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata, il 1
febbraio 2016, in: w2.vatican.va/.../papa-francesco_20160201_giubileo-vita-consacrata.
Di nuovo i media, spudoratamente, nei titoli mettono in risalto le espressioni che colpiscono di più i lettori, come ha fatto A. Tornielli nel testo pubblicato su Vatican Insider, uscito
con questo titolo “Il Papa ai religiosi: non attaccarsi ai soldi per il calo-vocazioni. Per la
conclusione dell’Anno della Vita consacrata Francesco richiama (con gesto) all’obbedienza,
mettendo in guardia dall’anarchia «figlia del demonio» e dal «terrorismo» delle chiacchiere”. In: www.lastampa.it/.../vaticaninsider/ita/vaticano/il...della.../pagina.htm.
E ancora, sempre dello stesso autore: “Dolore del Papa per il calo di vocazioni: ma non
possiamo accettare chiunque”. In: https://www.lastampa.it/2016/02/02/vaticaninsider/ita/vaticano/il-dolore-del-papa-per-il-calo-di-vocazioni-ma-non-possiamo-accettare-chiunqueZXyw5uO3p8lHR1vimptp3N/pagina.html). Indubbiamente alcune espressioni del papa,
evidenziate dai giornalisti, non sembrano di buon gusto, come il ricorrere all’“inseminazione artificiale”, tanto più se utilizzate davanti alle persone consacrate… Inoltre se ci
immedesimiamo in un giovane che progettasse il suo futuro dedicandosi alla vita consacrata, dopo aver sentito un tale discorso, troverà ancora un incoraggiamento o una conferma
dei propri propositi? Tuttavia, oltre le strumentalizzazioni possibili fatte dai media, ci colpisce che ciò che forse deriva dagli enunciati del papa è la mancanza di una elaborazione e
proposta strategica e concreta di come fare una effettiva pastorale vocazionale, a parte ovviamente di dover pregare per le nuove e sante vocazioni sacerdotali e religiose e chiedere al
Signore che mandi gli operai alla Sua messe. Infatti, senza nulla togliere all’importanza della preghiera (che per altro è già alla base della vita quotidiana dei consacrati) che resta il
fondamento di ogni nostra azione, ci permettiamo di ritenere che, magari, servirebbe anche
qualche iniziativa più impegnativa e più coinvolgente da parte della Chiesa in materia, secondo lo spirito di “uscire da se stessi” ed “andare nelle periferie” a cercare i nuovi pescatori delle anime, per non rimanere autoreferenziali e chiusi nei propri schemi ed ambiti. Senza dubbio anche questa è una forma dell’evangelizzazione, anzi la forma dell’annuncio del
Vangelo, intenzionata a suscitare i nuovi missionari (Lc 5,10-11), in particolare i ministri
279
CAPITOLO QUINTO
sia sul piano della Chiesa universale sia sul piano delle chiese locali. Di
fronte a tale indifferenza come pensare seriamente alla vocazione evangelizzatrice della Chiesa? Viene dunque da affermare spontaneamente che finché
non verrà colmata la grande assenza dello spirito sacerdotale-missionario,
sarà difficile considerare piena la “gioia dell’annuncio” di cui Evangelii gaudium vuole essere promotrice.
Al termine di questa parte del nostro lavoro dedicata alla Evangelii
gaudium desideriamo far notare ai lettori che se ci siamo dilungati su alcuni
aspetti di questa esortazione rispetto ai documenti precedenti, è per il motivo che l’esortazione stessa non è monotematica ma piuttosto abbraccia e sviscera tanti temi tutti collegati dall’unico filo conduttore che è la gioia del
Vangelo e dell’annuncio. In effetti il nostro studio è stato animato da tale
gioia e dal grande amore per la Chiesa, nostra casa comune. Anche se, soprattutto nell’ultima parte di questo capitolo, sono state espresse perplessità e persino alcune riflessioni critiche, lo spirito è quello della collaborazione, del desiderio di crescere insieme, di dare un aiuto a questo giovane pontificato di
papa Francesco a crescere nella Verità e a trovare il modo migliore per diffondere a tutti “fino agli estremi confini della terra” la Bellezza dell’Amore contenuto nel depositum fidei che ci è stato consegnato dal Signore nella e per
mezzo della Chiesa, illustrato e compreso nel corso dei secoli da insegnamenti magisteriali di profonda ricchezza. L’intento che ci ha mosso, dunque, è stato il grande amore verso Dio e verso i fratelli e se a volte con il
linguaggio abbiamo usato qualche termine ‘forte’ è stato solo per scuotere le
coscienze e risvegliare in ciascuno l’interesse e l’autentico spirito missionario
della Parola e dei sacramenti, “pescandoli” in qualsiasi angolo del mondo senza più seguire
le tradizionali linee della divisione tra i vari continenti. Detto questo, data la situazione della crisi vocazionale nel Vecchio Continente, è naturale che ben vengano qui gli evangelizzatori provenienti dalle chiese giovani dell’Africa e dell’Asia, che vivono il momento di crescita e di fioritura. Il Signore, sì che vuole mandare gli operai, ma non senza il nostro concreto “darci da fare” in campo pratico, secondo un assioma teologico: gratia supponit naturam. Che questo sia realizzabile lo posso personalmente testimoniare riportando l’esempio
della mia provincia francescana in Polonia, la quale, malgrado un comune calo delle vocazioni sofferto in tutta l’Europa, grazie alle varie forme di attività della pastorale giovanile e
vocazionale, con diversi centri e strutture ed animatori ben preparati, ogni anno – senza
“inseminazione artificiale”, ma dopo un lungo e serio cammino personale e spirituale di
discernimento – continua ad accogliere un notevole numero di giovani che desiderano consacrarsi al Signore. Una eccezione? Un fenomeno particolare? Un miracolo? O il frutto di
un lavoro pastorale accompagnato dalla preghiera? Oggi, della stessa provincia (una delle
cinque in Polonia), a servizio della Chiesa e dell’Ordine dei Frati Minori, circa 100 frati
servono fuori dei confini del proprio paese.
280
EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO
che abbiamo ricevuto e che dobbiamo “investire e far crescere” per renderne
conto a Colui che al Suo ritorno ci interpellerà sull’amore che avremo saputo diffondere.
281
CONCLUSIONE
Dal titolo dello studio risulta chiara la necessità di stimolare continuamente nei credenti lo slancio missionario, che deriva dalla natura stessa
della Chiesa. Il sottotitolo fa emergere le sfide nel periodo del post-concilio
che appaiono abbastanza percepibili e definibili. Quanto invece al mandato
e alla carità si potrebbe avere l’impressione di vedere i due aspetti della missionarietà ecclesiale alquanto indipendenti: da una parte, il mandato ricevuto da Cristo di proclamare il Vangelo come atto di obbedienza (aspetto giuridico), e dall’altra parte, far avvicinare Cristo agli altri, attraverso la parola,
la testimonianza, il gesto di carità come il mero atto dell’amore (aspetto morale) del prossimo, che ha il pieno diritto di sentirsi amato e salvato da Cristo. In realtà tutte e due sono connessi reciprocamente, in quanto il dovere
di compiere il mandato per obbedienza è atto d’amore sia verso il Signore
sia verso il prossimo. L’obbedienza e il dovere infatti non sottraggono a
questo punto la libertà di annunciare. Quanto all’amore che stimola ad
evangelizzare e che spinge ad andare tra gli altri portando l’amore di Cristo,
anche esso esprime una spontanea ed autentica obbedienza verso la propria
personale coscienza e i suoi dettami, ma anche una intuitiva e spontanea
docilità al Signore che dimostrandomi il suo amore crea in me la gioia di
portarlo e condividerlo con chi non lo ha ancora conosciuto perché possa
provare la stessa felicità lasciandosi immergere nel sacrum della sua vita.
Fatta questa premessa bisogna comunque procedere a precisazioni e
chiarimenti che derivano dall’esposizione e dalla ricerca fin qui realizzata.
La missione è l’annuncio dell’evento e della realtà oggettiva, concreta e universale insieme. Prima di tutto trova la sua fondazione ontologica nel mistero trinitario. La differenza tra la missione del Figlio e quella dello Spirito,
rispecchiando le eterne missioni intra-divine, in quanto dipendenza del Figlio dal Padre e dello Spirito dal Padre e dal Figlio si riferiscono a due eventi storico – salvifici dell’Incarnazione e della Pentecoste (sempre distinti e
inseparabili). Così l’Incarnazione (passione, morte e resurrezione) appartiene
solo al Verbo, perché solo la Persona del Figlio si è incarnata; anche se, come azione ad extra, è effetto delle tre Persone insieme. Nella Pentecoste, è lo
Spirito Santo che sotto forma di fuoco discende sugli Apostoli facendo nascere la Chiesa, anche se è vero che il suo invio è opera del Padre e del Figlio. Quanto appena affermato ci porta a intravedere nella nostra missione
283
CONCLUSIONE
lo “spazio” della continua presenza salvifica del Figlio Incarnato operante
mediante lo Spirito Santo. L’approccio cristologico-pneumatologico rende
esplicita la necessità della Chiesa come “forma storica” della salvezza già
compiuta e il frutto del Mistero Pasquale essendo essa “sacramento del regno escatologico” non ancora pienamente manifestato, bensì realmente (e
non solo simbolicamente, come cifra) presente nella Chiesa.
Questo procedimento teologicamente discendente, dal basso, implica
all’inverso e allo stesso tempo un procedimento ascendente. La missione
come annuncio del Vangelo della salvezza agli estremi confini del mondo ed
ad ogni essere umano ha senso se presuppone nell’uomo stesso una certa
predisposizione, la capacità dell’ascolto, il desiderio dell’Altro. Da qui la necessità che nell’uomo ci sia il desiderio della Verità, del Bene, del Bello,
dell’Unità, in altri termini di quella condizione che lo rende aperto all’Assoluto, al Trascendente, che gli permette di auto-trascendersi per poter ascoltare,
riconoscere e accettare ciò che gli può venire solo dall’Altro in modo gratuito e indisponibile. Di fronte ad una tale struttura antropologica orientata
verso l’alto, l’impegno missionario può realizzarsi in quanto si pone di
fronte a quel destinatario della sua attività che è capace di ascoltare e comprendere il messaggio dell’annuncio. L’efficacia dell’attività evangelizzatrice
non è intrinseca, ma estrinsecamente coinvolge la mente, la libertà, l’affettività dell’altro, anzi coinvolge tutto il suo essere incluse le diverse dimensioni della sua esistenza, in modo che la sua risposta sia un atto pienamente
personale e responsabile.
Tutte e due i modi di procedere assumono la linea verticale di una
teologia della missione. Intanto appare anche la linea orizzontale della stessa
riflessione teologica sulla missione che include le diverse dimensioni
dell’attività ecclesiale, grazie alla sua natura sacramentale, nelle condizioni
storiche in vista della sempre maggiore efficacia di quella grazia che giunge a
tutti e ad ogni essere umano sempre mediante un misterioso rapporto con la
Chiesa. La linea orizzontale di una teologia della missione si percepisce
nell’azione di evangelizzazione svolta reciprocamente tra le Chiese particolari, vuoi quelle “antiche” vuoi quelle “giovani”, in quanto sono chiamate alla
vicendevole apertura, alla collaborazione, allo scambio dei missionari, prestandosi in tal modo un fraterno aiuto e condividendo i carismi, i doni dello Spirito Santo che non sono riservati ad una sola comunità, ma infusi per
essere trasmessi alle altre comunità. In tale maniera il dono dello Spirito ricevuto da una comunità nella misura in cui viene condiviso e tramandato
all’altra, proporzionalmente arricchisce la vita di tutte e due, secondo il
principio: “La fede donata si rafforza”.
284
CONCLUSIONE
Sul piano pratico la dimensione orizzontale della missionarietà si fa
avvertibile, in quanto sollecita tutta la comunità ecclesiale a riflettere sui
contesti della sua opera, ad elaborare i mezzi ed i metodi dell’agire adatti alle circostanze in cui si trova e infine a preparare gli operatori dell’evangelizzazione, essendo sempre consapevole che ogni battezzato partecipa a tale
missione in virtù del fatto che la Chiesa intera per sua natura è missionaria.
In modo particolare l’attività missionaria della Chiesa comporta sempre fedeltà al deposito della fede che le è stato affidato e quindi non è di suo possesso. Tale depositum fidei, non è solo un insieme di dottrine (termine purtroppo spesso usato con accezione negativa), teorie o idee, bensì la totalità
dell’auto-comunicazione di Dio all’uomo che assume la forma stabile, ferma
e certa dei principi, contenuti, regole etiche sui vari piani – dottrinale, morale, disciplinare e pastorale – in certi casi “non negoziabili”, pena di tradire il
dono della Via, Verità e Vita (Gv 14,6). Perciò la Chiesa è chiamata a portare
tale messaggio vitale a tutto il mondo con la consapevolezza di dover diventare sempre “la Chiesa in uscita”, ma controllare anche di non “uscire da se
stessa” o “abbandonare se stessa” e quindi cadere nella sempre attuale tentazione del riduzionismo, relativismo o perfino di una “auto-alienazione”
(smarrimento della propria essenza)1; perdendo in fin dei conti la sua identità, missione e finalità. Tale rischio non era e non è tuttora da escludere e
quindi dovrebbe stimolare la Chiesa ad essere fedele al Signore, lasciandosi
ispirare dal suo Spirito, il Quale, malgrado innumerevoli bufere storiche di
ordine politico, ideologico, culturale, religioso che l’hanno travolta e ferita
nell’arco dei secoli, comunque la sostiene salda nel suo cammino.
Con queste due linee, verticale ed orizzontale, si può simbolicamente
percepire la missione nel quadro dell’immagine costituita dalla croce: sulla
croce si compie la missio Christi – “Tutto è compiuto” (Gv 19,30) – e dalla
stessa croce inizia la missio Ecclesiae – dal suo fianco uscì subito sangue ed
acqua (cfr. Gv 19,34); segni che nella tradizione ecclesiale spesso sono stati
interpretati come simboli dei sacramenti costitutivi della Chiesa: battesimo
ed Eucaristia. Annunciando la croce di Cristo, viene annunciata la sua Risurrezione il cui primo dono è la Pentecoste, l’effusione dello Spirito che fa
nascere la sua Chiesa. Attraverso la Chiesa la missione del Figlio e dello Spirito continua nella storia rivelando l’amore del Padre.
Sul piano pratico, quanto all’impegno missionario, non c’è dubbio
che oggi esso sta affrontando un periodo di grande crisi evidente nella man1
Cfr. G. COFFELE, “Missione e teologia fondamentale”, in E. DAL COVOLO – A. TRIACCA
(a cura di), La missione del Redentore. Studi sull’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II,
116-119.
285
CONCLUSIONE
canza delle vocazioni sacerdotali e religiose, dei missionari laici, della sensibilità da parte dei fedeli; basta pensare che nell’arco di pochi mesi solo in
Italia hanno chiuso la loro attività pubblicitaria due ben conosciute riviste
missionarie “Ad gentes” e “Popoli” per il drastico calo del numero dei lettori. Tale crisi ha ovviamente radici molto più profonde già diagnosticate dal
Concilio e dai successivi pontificati ed individuate nella crisi dell’uomo stesso, dell’uomo senza uomo. Così emerge il fondo antropologico dell’odierna
situazione, legata poi con il problema dell’ateismo, del relativismo, dell’indifferentismo e infine del nichilismo; una realtà in cui non c’è più posto per
Dio, per la fede e neanche per l’uomo. Il paradosso risiede nel fatto che
all’inizio di questo processo c’era l’idea e la fede nell’uomo in grado di autocrearsi. Dalla ricezione dei fenomeni determinanti la nostra società globale e
pluriforme emerge l’effetto del tutto contrario: l’uomo sperduto, smarrito,
disorientato e disordinato. Una diagnosi così negativa non rappresenta una
novità nella storia del cristianesimo, per cui dovrebbe essere accettata da noi
come un fattore stimolante e motivante per risvegliare lo spirito missionario
ed evangelico dentro di noi e verso gli altri. È significativa la testimonianza,
sul valore dell’opera missionaria e sul suo stretto legame con l’amore, del
cardinale R. Sarah, che per nove anni è stato il prefetto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli (2001-2010) e poi il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum (ora prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti). Egli, avendo visitato in virtù dei suoi
incarichi, centinaia di paesi e località in estrema povertà di ogni genere, afferma che
la miseria più profonda è la mancanza di Dio. (…) Spesso c’è una
fame di pane, ma anche una fame di Dio. (…) La carità è il servizio
dell’uomo, ma non è possibile servire l’umanità senza parlare di Dio.
(…) La natura della Chiesa sta nell’amore di Dio e la carità della
Chiesa è in primo luogo la carità di Dio. La vera carità non è
un’elemosina, né una solidarietà umanista, né una filantropia: la carità è l’espressione di Dio e un prolungamento della presenza di Cristo nel nostro mondo. (…) La carità ci spinge ad evangelizzare; semplicemente la Chiesa rivela l’Amore di Dio. Spesso, è l’assenza di Dio
che è la radice più profonda della sofferenza umana. Così [mediante
la missione] la Chiesa dona l’Amore di Dio a tutti2.
2
R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 98-99.
286
CONCLUSIONE
In quest’ottica la recente storia dei papi del post-concilio, la loro
consapevolezza, la sensibilità e l’attività pastorale ed apostolica dimostrata
attraverso i molti e faticosi viaggi, che comunque non li hanno privati mai
dell’entusiasmo di visitare le altre Chiese locali lontane, le altre comunità
dei cristiani e i popoli che non conoscono ancora il Vangelo, va considerata
da noi come dono e come orientamento del nostro pensare, credere e vivere.
Loro, sia con l’insegnamento che ci hanno lasciato, sia con l’esempio della
testimonianza data a tutti i credenti, continuano ad essere per noi le vere
guide nel cammino della fede e dell’evangelizzazione, in quel pellegrinaggio,
seppur difficile e a volte perfino doloroso e sofferente, ma realizzato con fiducia, determinazione ed entusiasmo. Anzi non si può evangelizzare autenticamente senza essere uniti con Cristo crocifisso. In questa ottica suona forte l’affermazione del cardinale Sarah che con tanta audacia e schiettezza si
esprime nel suo recente ed appena sopracitato libro-intervista:
Il grande legame dei papi Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI [e Francesco3] rimane la sofferenza. Anche Giovanni XXIII ha molto sofferto. Diceva, aprendo le braccia: «Soffro
con dolore ma con amore». Quando amici lo hanno interrogato al
momento dell’apertura del Concilio, rispondeva: «La mia parte sarà
la sofferenza». Non c’è ministero petrino senza partecipazione alla
croce di Cristo4.
Paradossalmente l’amore sofferente è l’unico e più credibile modo di
annunciare la Verità che è il Signore Risorto, il Quale, attraverso la missione
della sua Chiesa, apre al mondo la porta verso la Vita, conducendolo sulla
Via sicura alla Casa del Padre, al Regno di Dio. Speriamo che questa sintetica presentazione dell’insegnamento offerto dal magistero della Chiesa in
materia di missione e dell’evangelizzazione come dimensione essenziale che
entra nella natura stessa della Chiesa, un insegnamento dettato dallo spirito
conciliare espresso nel decreto Ad gentes, possa essere utile ai lettori per poter approfondire la riflessione sul mistero stesso della Chiesa alla quale è stato affidato il dono d’amore cioè il Vangelo della salvezza da portare agli
estremi confini della terra e che sia anche uno stimolo per far crescere personalmente in loro la gratitudine di aver ricevuto la Parola di Dio e la vocazione di condividerla con tutti quelli che l’aspettano o la cercano ma che
ancora non l’hanno ricevuta.
3
4
ndr
R. SARAH, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, 125.
287
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293
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INDICE DEI NOMI
Bontadini; 252; 297
Bordoni; 139; 297
Bosch; 113; 297
Bosin; 34; 297
Braaten; 111; 297
Brandmüller; 144
Burke; 144
Butturini; 60; 297; 299
Bux; 264; 297
Caffarra; 144
Candia; 251
Canobbio; 30; 31; 33; 53; 54; 55; 56;
57; 58; 59; 60; 61; 62; 111; 122; 297;
308
Cartesio; 252
Cascioli; 144
Cavalcoli; 252; 253; 269; 297
Cavallotto; 92; 297
Chaput; 244
Chimirri; 224; 298
Chiocchetta; 16; 298
Ciardella; 169; 171; 175; 298; 299;
300; 301; 303
Citrini; 114; 115; 298
Coffele; 285; 298
Colafemmina; 269; 298
Colom; 164; 298
Colombo; 66; 298
Colzani; 32; 33; 34; 39; 114; 116; 117;
119; 120; 121; 130; 150; 298; 301
Cozzoli; 176; 180; 182; 299; 304; 305;
311
Crollius; 128
Cuomo; 169; 299; 310
Cusano; 255
dal Covolo; 16; 90; 92; 93; 102; 106;
114; 285; 296; 298; 299; 300; 301;
304; 309; 310
Dalberg Acton; 246
Daneels; 77
Acharuparambil; 93; 132; 133; 134;
136; 295
Acton; 245; 246
Adornato; 38; 296
Albini; 231; 296
Alcamo; 220; 296
Alszeghy; 38; 308
Amaladoss; 62; 296
Amato; 80; 106; 109; 296
Ambrogetti; 67; 242; 261; 296
Angelini; 144; 246; 254; 255; 256;
257; 258; 259; 271; 296
Arinze; 273
Atenagora; 191
Baccari; 169; 296
Baldisseri; 243
Barragán; 127; 128; 129; 130; 296
Barreda; 92; 296
Bartolomeo I; 191
Bauman; 8; 139; 296; 297
Becker; 120; 297; 306
Bellarmino; 186
Benedetto XV; 17; 19; 291
Benedetto XVI; 12; 38; 70; 106; 134;
137; 139; 140; 143; 146; 147; 148;
149; 150; 152; 155; 160; 162; 167;
168; 169; 170; 171; 177; 186; 194;
196; 201; 207; 209; 212; 228; 233;
241; 254; 264; 272; 275; 287; 290;
291; 292; 293; 294; 296; 302; 303;
304; 305; 306; 307; 321
Bergoglio; 185; 186; 187; 188; 191;
304
Berkhof; 116; 296
Bernardin; 142
Bevans; 40; 297
Bianchi; 175; 297; 305
Biemmi; 272; 297
Blaser; 113; 297
Bonanni; 144
313
INDICE DEI NOMI
de Dios Hernandez; 188
De Dios Larrú; 144
de Germay; 268; 301
de Lubac; 146; 182; 304
de Mattei; 263; 264; 306
De Paolis; 144
De Salis; 194; 299
de Saussure; 173; 309
De Virgilio; 157; 159; 162; 164; 165;
166; 298; 299; 300; 303; 305; 310
Di Giorgi; 92; 299
Di Palma; 169; 299
Dianich; 17; 24; 32; 264; 299
Diat; 38; 68; 71; 73; 75; 106; 149; 187;
231; 232; 233; 239; 250; 251; 254;
257; 258; 259; 264; 277; 286; 287
Dinh Duc Dao; 100; 102; 103; 104;
105; 299
Diriart; 144
Dodaro; 144
Doni; 175; 176; 299
Dotolo; 138; 139; 165; 299
Dupont-Fauville; 144
Duquoc; 116; 117; 299
Erdö; 244
Escrivá; 226
Espagnet; 159; 299
Esquerda Bifet; 90; 91; 92; 93; 94; 299
Estrada; 162; 300
Eterovič; 152; 154
Fabella; 107; 300; 308
Fabris; 169; 300
Federici; 121; 122; 123; 300
Fernández; 18; 300
Ferrari; 113; 300
Ferretti; 180; 181; 300
Fidel Castro; 70
Fisichella; 64; 80; 105; 139; 150; 172;
174; 300; 304; 310
Fitzgerald; 66; 300
Forte; 189; 248; 301
Francesco (papa); 11; 73; 117; 125;
141; 147; 150; 185; 186; 189; 190;
191; 194; 195; 197; 218; 223; 229;
241; 242; 244; 248; 249; 252; 253;
254; 262; 263; 275; 278; 279; 280;
297; 301; 307; 322
Freyer; 9; 301
GĘdecki; 143; 243; 270; 304
Gaiffi; 171; 301
Gallo; 55; 92; 301
Galot; 79; 111; 301
Galtung; 254; 301
Gałuszka; 144
García Beltrán; 220; 301
García Noblejas; 165; 166
Garuti; 264; 297
Geffré; 116; 301
Gentile; 252; 301
Gheddo; 16; 18; 21; 35; 36; 37; 41; 52;
64; 69; 71; 72; 73; 77; 82; 90; 123;
124; 125; 138; 150; 187; 188; 250;
251; 257; 301
Ghirlanda; 264; 302
Ghisalberti; 9; 302
Giertych; 144
Giglioni; 33; 86; 90; 92; 302
Giovanni Paolo I; 287
Giovanni Paolo II; 11; 12; 16; 40; 63;
64; 65; 67; 68; 69; 70; 71; 73; 74; 77;
81; 84; 90; 92; 93; 95; 102; 105; 106;
109; 111; 114; 119; 123; 127; 129;
134; 135; 143; 144; 148; 150; 151;
152; 163; 167; 186; 194; 195; 196;
201; 202; 204; 205; 206; 207; 211;
212; 214; 218; 223; 225; 233; 234;
235; 240; 242; 254; 255; 256; 258;
259; 261; 263; 264; 269; 270; 272;
275; 277; 285; 289; 290; 291; 292;
293; 296; 298; 299; 300; 301; 304;
306; 309; 310; 320
Giovanni XXIII; 21; 64; 80; 199; 207;
232; 248; 258; 287; 289; 291; 301
Gismondi; 181; 302
Gniecki; 9; 302
Gorbačëv; 71
Granados; 144
Gregorio XV; 17
314
INDICE DEI NOMI
López-Gay; 102; 103; 104; 304
Lorizio; 182; 304
Luño; 270
Magister; 144; 188; 263; 275; 304
Mani; 276
Mankowski; 144
Mantovani; 182; 305; 306
Manzone; 180; 305
Marcos; 70
Marcuzzi; 270
Maritain; 126; 305
Martinelli; 171; 172; 173; 174; 175;
179; 182; 305
Martini; 68; 305
Martins; 124; 305
Maspero; 166; 305
Masson; 37
Maurier; 107; 306
Mazzoleni; 70; 306
Mazzolini; 21; 306
McGavin; 255; 306
Melina; 144
Menin; 130; 306
Merino; 9; 306
Merlo; 162; 169; 228; 296; 305; 306;
307
Messori; 187; 248; 306
Mette; 138; 306
Metz; 39
Midali; 182; 306
Mimeault; 144
Mobutu Sese Seko; 70
Mondin; 87; 306
Montini; 40
Moore; 173; 306
Morales; 248
Morali; 120; 121; 297; 306
Mpasi Londi; 60; 307
Müller; 39; 78; 113; 126; 144; 196;
203; 258; 297; 302; 307
Musarò; 188
Napier; 144; 273
Nemeshegyi; 38; 308
Newbigin; 76; 307
Grignani; 12; 38; 150; 302
Grilli; 179; 302
Grillo; 142; 160; 302
Gronchi; 169; 171; 175; 298; 299;
300; 301; 303
Guardini; 186
Guarini; 244; 266; 302
Guennou; 18; 302
Gutiérrez; 78; 126; 254; 302
Hamer; 143
Hegel; 252
Hemmerle; 171; 172; 175; 303
Hercsik; 153; 158; 163; 165; 167; 299;
303; 304; 308; 311
Hick; 75; 80; 108; 303; 304; 308
Hillesum; 212
Hoser; 255
Introvigne; 167; 219; 245; 303
Izquierdo; 220; 303
Jayabalan; 246; 303
Jenkinson; 62; 296; 303
Jerumanis; 144
Jódar; 157; 303
John; 248
Kampowski; 144
Karotemprel; 73; 303
Kasper; 177; 267; 303
Kaufman; 75; 303
Knitter; 75; 76; 108; 303; 304
Koch; 140; 160; 168; 304
Kołakowski; 8
Kopiec; 304
Körner; 167; 304
Kowalczyk; 270; 304
Kristeva; 8
La Porte; 220; 221; 223; 225; 226;
227; 228; 305
Ladaria; 80
Lemonnier; 64; 304
Leonard; 258; 304
Leone XIII; 70; 207; 212; 264; 289
Lieven; 258; 307
Livi; 144
Lombardi; 243
315
INDICE DEI NOMI
Pulcinelli; 162; 169; 228; 296; 305;
306; 307
Puthiadam; 107; 309
Quarracino; 186
Quellet; 159
Rahner; 145
Ratzinger; 72; 106; 140; 143; 186; 309
Raúl Castro; 248
Renaud; 96; 97; 98; 309
Repole; 151; 309
Riccardi; 68; 129; 134; 309
Ricoeur; 219
Rist; 144
Roest Crollius; 93; 309
Rütti; 39; 54; 309
Sacchi; 126; 309
Sanchez; 98; 99; 100; 101; 309
Sarah; 38; 67; 68; 71; 73; 75; 106; 144;
149; 187; 231; 232; 233; 239; 250;
251; 254; 257; 258; 259; 264; 273;
277; 286; 287; 309
Sartorio; 139; 140; 309
Savarino; 183; 309
Scaramuzzi; 73; 309
Schiavone; 67
Schneider; 248; 311
Sékou Touré; 67
Semeraro; 16; 17; 21; 142; 143; 144;
241; 310
Senèze; 258; 307
Sherwin; 144
Smith; 75; 310
Spadaro; 142; 244
Stagliano’; 105; 310
Stefani; 151; 154; 310
Stroessner; 70
Sundermeier; 113; 297; 307
Sviderchoschi; 247; 310
Tábet; 157; 159; 162; 164; 165; 166;
298; 299; 300; 303; 305; 310
Taneburgo; 9; 308
Tavolaro; 169; 299; 310
Teresa di Calcutta; 71; 251
Teresa di Lisieux; 217
Nguema; 71
Nietzsche; 231; 307
Noceti; 15; 34; 36; 307
Nunnenmacher; 29; 30; 52; 53; 112;
113; 114; 307
O’Sullivan; 62; 296; 303
Obama; 248
Ocáriz; 275; 307
Odendahl; 273
Ognibeni; 162; 307
Ormas; 70; 208; 307
Ortega y Alamino; 188
Padula; 228; 307
Paglia; 248; 307
Pannikar; 80; 107; 308
Paolo VI; 12; 15; 35; 37; 38; 40; 41;
42; 45; 52; 58; 61; 67; 90; 95; 124;
148; 150; 152; 188; 191; 194; 207;
208; 209; 228; 233; 240; 248; 264;
287; 289; 290; 291; 293; 296; 302;
319; 320
Parolin; 222; 229; 230; 271; 308
Pasquale; 9; 308
Patsch; 38; 308
Pavese; 99; 100; 101; 308
Pell; 144; 243
Pelland; 270
Pentin; 244
Pérez-Soba; 144
Petit; 188
Piazza; 111; 297; 308
Piccoli; 60; 308
Pié-Ninot; 153; 158; 163; 165; 167;
299; 303; 304; 308; 311
Pieris; 107; 308
Pinna; 112; 308
Pinochet; 70
Pio X; 19
Pio XI; 17; 19; 207; 289
Pio XII; 20; 97; 154; 289
Pompedda; 270
Porreca; 148; 308
Pozzi; 60; 308
Prezzi; 152; 308
316
INDICE DEI NOMI
Testaferri; 142; 146; 147; 310
Tettamanzi; 270
Thompson; 107; 310
Thuruthiyil; 182; 305; 306
Tomko; 65; 76; 77; 310
Tommaso d’Aquino; 264
Tommaso da Celano; 252
Tornielli; 269; 279; 310
Torres; 107; 300; 308
Toso; 182; 305; 306
Tosolini; 8; 310
Trevisiol; 12; 18; 21; 34; 40; 297; 298;
300; 302; 306
Triacca; 16; 90; 92; 93; 102; 106; 114;
285; 296; 298; 299; 300; 301; 304;
309; 310
Ubbiali; 254
Urs von Balthasar; 171; 175; 183; 255
Valls; 153; 158; 163; 165; 167; 299;
303; 304; 308; 311
Vasil; 144
Viganò; 176; 177; 311
Virgili; 278; 311
Vitali; 242; 244; 311
Whelan; 163; 311
Wojtyła; 68; 78; 186; 195; 271; 304
Wolanin; 30; 33; 75; 111; 311
Xavier; 158; 159; 311
Zago; 65; 66; 67; 78; 86; 87; 88; 89;
311
Zavalloni; 9; 311
317
INDICE GENERALE
7
INTRODUZIONE
CAPITOLO I: IL DECRETO SULLA PERENNE VOCAZIONE MISSIONARIA
DELLA CHIESA AD GENTES DEL CONCILIO V ATICANO II
1. Un breve sguardo retrospettivo la contestualizzazione
1.1. La condizione missionaria prima del Concilio
1.2. Il magistero ecclesiale
15
16
17
2. La struttura e i principali contenuti del decreto Ad gentes
2.1. I principi dottrinali
2.2. L’opera missionaria in se stessa
2.3. Le Chiese particolari
2.4. I missionari
2.5. L’organizzazione dell’attività missionaria
2.6. La cooperazione
21
21
24
25
26
27
28
3. Alcuni snodi teologici e pratici
3.1. Il fondamento ecclesiologico della missione e la natura
missionaria della Chiesa
3.2. La Trinità, la Chiesa e le chiese particolari
3.3. Il ruolo necessario dell’apostolato laico
3.4. Munus Evangelium praedicandi et Ecclesiam ipsam implantandi – verso un’ecclesiologia missionaria
3.5. Pregi e limiti dell’Ad gentes
3.6. La missione e le giovani chiese
29
CAPITOLO II: EVANGELII NUNTIANDI
CHIUSURA DEL V ATICANO II
DI
32
34
35
PAOLO VI– 10 ANNI DALLA
1. Alcune considerazioni introduttive
1.1. La situazione culturale – religioso
1.2. L’Evangelii nuntiandi come voce del Sinodo e delle
“giovani” Chiese
319
29
30
32
37
37
38
INDICE GENERALE
1.3. Punti nevralgici del contesto teologico
1.4. Alcuni elementi peculiari dell’esortazione
2. La struttura e i principali contenuti dell’Evangelii nuntiandi
2.1.Soggetto: “Dal Cristo evangelizzatore alla Chiesa evangelizzatrice”
2.2. La natura: “Che cosa significa evangelizzazione?”
2.3. L’oggetto: “Il contenuto dell’evangelizzazione”
2.4. “Le vie dell’evangelizzazione”
2.5. “I destinatari dell’evangelizzazione”
2.6. “Gli operai dell’evangelizzazione”
2.7. “Lo Spirito dell’evangelizzazione”
3. Le sfide e le ripercussioni dottrinali e pastorali dell’Evangelii
nuntiandi nel suo contesto
3.1. Il legame intrinseco «Chiesa – Vangelo – missione» e la
perenne attualità del mandato ad gentes
3.2. “Chiesa – mondo – Regno” – la svolta politica della
missione nel post-concilio
3.3. “Chiesa – prassi sociale – salvezza” – la missione nel
contesto della teologia della liberazione
3.4. La missione della Chiesa: annuncio o liberazione politica? – l’Assemblea del Sinodo dei vescovi del 1971
3.5. Evangelii nuntiandi contro ogni riduzionismo
3.6. L’idea dell’inculturazione, il timore delle Chiese africane, gli interrogativi inevitabili
3.7. La priorità veritativa e la funzione profetica del Vangelo
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52
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55
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57
59
61
CAPITOLO III: REDEMPTORIS MISSIO DI GIOVANNI PAOLO VI–
L’ENCICLICA A 25 ANNI DALL’AD GENTES
1. Un orientamento per la lettura
1.1. La continuità teologica e un’adeguata ermeneutica del
testo
1.2. Redemptoris Missio e l’attività missionaria di Giovanni
Paolo II
1.3.La missionarietà e l’impegno sociale in Giovanni Paolo II
1.4. Le sfide attuali della missione cristiana e la necessità
dell’enciclica
320
63
63
67
69
71
INDICE GENERALE
2. Il testo e la struttura
2.1. Gesù Cristo unico e universale salvatore del mondo
2.2. Il Regno di Dio
2.3. Lo Spirito Santo protagonista della missione
2.4. Gli immensi orizzonti della missione ad gentes
2.5. Le vie della missione
2.6. I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria
2.7. La cooperazione all’attività missionaria
2.8. La spiritualità missionaria
3. Alcune questioni sollecitate nel periodo della ricezione della
Redemptoris missio
3.1. L’assoluta mediazione di Cristo e le religioni come mediazioni partecipate
3.2. La Chiesa e il Regno
3.3. La missionarietà della Chiesa di fronte al Regno
3.4. La priorità della missione rispetto alla Chiesa?
3.5.La dimensione pneumatologica della missione della
Chiesa
3.6. L’evangelizzazione e sviluppo dei popoli poveri
3.7. L’inculturazione e la missione
3.8. Il dialogo inter-religioso
3.9. Il rapporto tra dialogo e missione
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78
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83
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105
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123
126
130
134
CAPITOLO IV: VERBUM DOMINI DI BENEDETTO XVI - LA MISSIONE RADICATA NELLA PAROLA PROFETICA
1. La missione e la contestualizzazione dell’esortazione: sfide e
provocazioni
137
2. I contenuti principali e la struttura della Verbum Domini
2.1. Il titolo
2.2. Lo scopo
2.3. La prima parte: Verbum Dei
2.4. La seconda parte: Verbum in Ecclesia
2.5. La terza parte: Verbum mundo
2.6. La parte conclusiva
151
153
155
157
161
162
167
3. Gli slanci teologico – missionari
168
321
INDICE GENERALE
3.1. La teologia, la profezia e la testimonianza
3.1.1. L’annuncio – l’atto dell’amore credibile
3.1.2. La testimonianza – la verità in libertà
3.1.3. La testimonianza come segno significativo
3.1.4. Il verbum teologico come parola testimoniale
3.2. Teologo e nuova evangelizzazione
3.2.1. La vocazione del teologo e la nuova evangelizzazione “ad intra”
3.2.2. Il teologo sul palcoscenico pubblico ed evangelizzazione “ad extra”
CAPITOLO V: EVANGELII GAUDIUM
CRISTO AL MONDO
DI
169
176
FRANCESCO – LA GIOIA DI PORTARE
1. Le considerazioni introduttive e una adatta ermeneutica del
testo
1.1. La breve biografia di papa Francesco e il programmatico
significato del nome
1.2. Le caratteristiche del pontificato e il loro significato per
la Chiesa
1.2.1. Propositiones
1.2.2. Le linee principali del programma di papa Francesco
1.2.3. L’attività pastorale: viaggi apostolici
2. Lo schema e i contenuti dell’esortazione
2.0. Introduzione (1-18)
2.1. Capitolo I (19-49): “La trasformazione missionaria della
Chiesa”
2.1.1. La Chiesa in conversione
2.1.2. La conversione attraverso la missione
2.1.3. L’intimità della Chiesa con Cristo e la gerarchia
delle verità
2.1.4. La Chiesa è la casa del Padre aperta sempre a tutti
2.2. Capitolo II (50-109): “Nella crisi dell’impegno comunitario”
2.2.1 Il piano economico
2.2.2. Il piano morale/etico
2.2.3. Il piano religioso: la secolarizzazione
2.2.4. Accidia egoista
322
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198
199
INDICE GENERALE
2.2.5. Pessimismo sterile
2.2.6. Mondanità spirituale
2.2.7. Guerra tra di noi
2.3. Capitolo III: “L’annuncio del Vangelo” (110-175)
2.3.1. Il soggetto dell’evangelizzazione che è tutto il popolo di Dio
a) Un popolo per tutti
b) Un popolo dai molti volti
c) Tutti noi siamo discepoli missionari
d) La forza evangelizzatrice della pietà popolare
e) Da persona a persona
f) Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice
g) Cultura, pensiero ed educazione
2.3.2. L’omelia e la predicazione
a) L’omelia
b) La preparazione della predicazione
2.3.3. Un’evangelizzazione per l’approfondimento del kerygma
a) La catechesi
b) L’accompagnamento personale dei processi di
crescita
2.4. Capitolo IV: “La dimensione sociale dell’evangelizzazione” (176-258)
2.4.1. Le ripercussioni comunitarie
2.4.2. L’inclusione sociale dei poveri
2.4.3 Il bene comune e la pace sociale
2.4.4. Il dialogo sociale come contributo per la pace
2.5. Capitolo V: “Evangelizzazione con Spirito” (259-288)
2.5.1 Motivazioni per un rinnovato impulso missionario
2.5.2. Maria, la Madre dell’evangelizzazione
3. Le risonanze e la ricezione non unisona
3.1. Il valore e l’importanza dell’esortazione
3.1.1. La qualità, la condizione e le forme della trasmissione della fede
a) Le periferie e la comunicazione della fede
b) La Chiesa in uscita: evangelizzare nella cultura
odierna
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INDICE GENERALE
c) Le modalità di portare la fede in deserti di povertà culturale
3.1.2. La Chiesa nel mondo e per il mondo secondo
3.1.3. La gioia – il cuore della spiritualità missionaria
3.1.4. Gli elementi specifici – lo sguardo riassuntivo
a) L’universalità cristica della missione della Chiesa
b) La gioia di evangelizzare
c) La Chiesa deve uscire da se stessa – la conversione attraverso la missione
d) La predicazione
e) La dimensione sociale dell’evangelizzazione
f) Lo spirito dell’evangelizzazione
3.2. Gli interrogativi inevitabili e le questioni aperte
3.2.1. L’esortazione post-sinodale – il luogo del programma del pontificato o il risultato del lavoro
sinodale
3.2.2. Le considerazioni generali e l’“ermeneutica mediatica”
3.2.3. L’evangelizzazione, verso quali ‘periferie’?
3.2.4. In che senso interpretare: “Il primato della realtà
sull’idea”?
3.2.5. Quale ruolo della teologia nella conversione pastorale e nella nuova evangelizzazione?
3.2.6. Verso quale de-centralizzazione? E quali possibili
scenari?
a) La de-centralizzazione e l’unità della Chiesa
b) La de-centralizzazione, il matrimonio e la famiglia
c) La de-centralizzazione, l’evangelizzazione e il
rapporto Chiesa – mondo
3.2.7. Evangelizzazione e la pastorale vocazionale
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CONCLUSIONE
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BIBLIOGRAFIA
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INDICE DEI NOMI
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INDICE GENERALE
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