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Storia delle relazioni internazionali
Sistemi internazionali del passato
XIX secolo
Sistema di Vienna (1815-1870)
Sistema Bismark (1871-1890)
Rottura dell’equilibrio bismarkiano e nuovi assetti (1890-1914)
Grande Guerra (1914-1918)
XX secolo
Sistema di Versailles (1919)
Crisi del sistema (anni Trenta) e Seconda Guerra Mondiale (1939-1945)
Guerra fredda e sistema bipolare (1945-1990)
Crollo dell’URSS e post-bipolarismo
Il sistema delle alleanze tradizionali precedente alla Prima Guerra Mondiale era caratterizzato
da due fronti: la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa – che, già negli anni precedenti il
conflitto, era già in crisi.
La prima, formata da Impero tedesco, Impero austro-ungarico e Italia, si stava sgretolando
per le questioni legate al completamento dell’unità nazionale italiana, che non si sarebbe mai
potuta realizzare all’interno di un sistema di alleanze che comprendesse l’Impero austroungarico, e perché l’Italia si stava riavvicinando alla Francia e alla Russia con una serie di
accordi politici ed economici; inoltre, l’Impero ottomano si avvicinò all’Impero tedesco. Per
quanto riguarda la seconda, questa aveva origine già dalla rottura dell’equilibrio costruito da
Bismark, che aveva lo scopo di evitare un qualsiasi tipo di alleanza tra la Francia e la Russia;
nel 1907 fu raggiunto il compromesso tra Regno Unito, Impero russo e Francia, ostili alla
politica espansionistica tedesca.
Con l’inizio delle ostilità, le due fazioni stipularono una serie di accordi di guerra.
Gli accordi di guerra tra Imperi centrali, Impero ottomano e Bulgaria riguardavano il
ridimensionamento della Serbia e il potenziamento delle forze armate ottomane; tra queste
potenze, solo l’Impero tedesco possedeva la volontà di ampliare la propria egemonia politicoeconomica fino al Medio Oriente e in Africa.
Le tre potenze dell’Intesa si accordarono tra loro sottoscrivendo l’impegno a non cercare una
pace separata e iniziando a riconoscere le varie concessioni da attuare in caso di vittoria.
Il sistema di Versailles nacque a partire dalla Conferenza di pace di Parigi, che iniziò i suoi
lavori il 18 gennaio 1919, e prese il nome da uno dei cinque trattati di pace, ossia quello
firmato tra le potenze vincitrici e la Germania. La Conferenza di Parigi si basava sul metodo
assembleare (Consiglio dei Dieci), anche se, in realtà, i termini della pace furono
sostanzialmente decisi durante gli incontri tra le quattro potenze che uscirono vittoriose dal
conflitto (Stati Uniti con Wilson, Francia con Clemencau, Regno Unito con Lloyd George e
Italia con Orlando).
Emanati in risposta al “decreto per la pace” approvato dal Congresso dei Soviet, i Quattordici
punti di Wilson prevedevano:
I. Pubblici trattati di pace, stabiliti pubblicamente e dopo i quali non vi siano più intese
internazionali particolari di alcun genere, ma solo una diplomazia che proceda sempre
francamente e in piena pubblicità.
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Storia delle relazioni internazionali
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XIII.
Assoluta libertà di navigazione per mare, fuori delle acque territoriali, così in pace
come in guerra, eccetto i casi nei quali i mari saranno chiusi in tutto o in parte da
un'azione internazionale, diretta ad imporre il rispetto delle convenzioni internazionali.
Soppressione, per quanto è possibile, di tutte le barriere economiche ed eguaglianza di
trattamento in materia commerciale per tutte le nazioni che consentano alla pace, e si
associno per mantenerla.
Scambio di efficaci garanzie che gli armamenti dei singoli stati saranno ridotti al
minimo compatibile con la sicurezza interna.
Regolamento liberamente dibattuto con spirito largo e assolutamente imparziale di
tutte le rivendicazioni coloniali, fondato sulla stretta osservanza del principio che nel
risolvere il problema della sovranità gli interessi delle popolazioni in causa abbiano lo
stesso peso delle ragionevoli richieste dei governi, i cui titoli debbono essere stabiliti.
Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni che riguardano
la Russia senza ostacoli e senza imbarazzo per la determinazione indipendente del suo
sviluppo politico e sociale e assicurarle amicizia, qualsiasi forma di governo essa abbia
scelto. Il trattamento accordato alla Russia dalle nazioni sorelle nel corso dei prossimi
mesi sarà anche la pietra di paragone della buona volontà, della comprensione dei
bisogni della Russia, astrazione fatta dai propri interessi, la prova della loro simpatia
intelligente e generosa.
Il Belgio – e tutto il mondo sarà di una sola opinione su questo punto – dovrà essere
evacuato e restaurato, senza alcun tentativo per limitarne l'indipendenza di cui gode al
pari delle altre nazioni libere.
Il territorio della Francia dovrà essere completamente liberato e le parti invase
restaurate. Il torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871, a proposito dell'Alsazia–
Lorena, che ha compromesso la pace del mondo per quasi 50 anni, deve essere riparato
affinché la pace possa essere assicurata di nuovo nell'interesse di tutti.
Una rettifica delle frontiere italiane dovrà essere fatta secondo le linee di demarcazione
chiaramente riconoscibili tra le nazionalità.
Ai popoli dell'Austria–Ungheria, alla quale noi desideriamo di assicurare un posto tra
le nazioni, deve essere accordata la più ampia possibilità per il loro sviluppo autonomo.
La Romania, la Serbia e il Montenegro dovranno essere evacuati, i territori occupati
dovranno essere restaurati; alla Serbia sarà accordato un libero e sicuro accesso al
mare, e le relazioni specifiche di alcuni stati balcanici dovranno essere stabilite da un
amichevole scambio di vedute, tenendo conto delle somiglianze e delle differenze di
nazionalità che la storia ha creato, e dovranno essere fissate garanzie internazionali
dell'indipendenza politica ed economica e dell'integrità territoriale di alcuni stati
balcanici.
Alle regioni turche dell'attuale impero ottomano dovrà essere assicurata una sovranità
non contestata, ma alle altre nazionalità, che ora sono sotto il giogo turco, si dovranno
garantire un'assoluta sicurezza d'esistenza e la piena possibilità di uno sviluppo
autonomo e senza ostacoli. I Dardanelli dovranno rimanere aperti al libero passaggio
delle navi mercantili di tutte le nazioni sotto la protezione di garanzie internazionali.
Dovrà essere creato uno stato indipendente polacco, che si estenderà sui territori abitati
da popolazioni indiscutibilmente polacche; gli dovrà essere assicurato un libero e
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Storia delle relazioni internazionali
indipendente accesso al mare, e la sua indipendenza politica ed economica, la sua
integrità dovranno essere garantite da convenzioni internazionali.
XIV. Dovrà essere creata un'associazione delle nazioni, in virtù di convenzioni formali, allo
scopo di promuovere a tutti gli stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie
d'indipendenza e di integrità territoriale.
Il quattordicesimo punto prevedeva la costituzione della Società delle Nazioni, ossia
un’organizzazione internazionale di tipo universale che avrebbe dovuto favorire l’uso della
diplomazia aperta al posto di quella segreta (anche questo previsto in uno dei punti) e
caratterizzata da una struttura tripartita (Assemblea generale formata da tutti gli Stati membri,
Consiglio con funzioni esecutive e Segretariato con funzioni amministrative). Lo statuto
costitutivo (il Covenant) fu inserito all’interno del trattato di Versailles: prevedeva compiti
finalizzati al mantenimento della pace. La Società delle Nazioni nasceva con dei grandi limiti
di azione (votazioni all’unanimità, poca convinzione da parte dei consociati, limiti nella
partecipazione: la Germania e l’Unione Sovietica non partecipano, mentre gli Stati Uniti con
ratificano il trattato di Versailles e di conseguenza il Covenant).
Nonostante fosse parte della Triplice Intesa, la Russia non partecipò di fatto ai negoziati sui
trattati di pace per via della sua uscita anticipata dal conflitto e della presa del potere da parte
dei bolscevichi. Nel 1917 è dilaniata da problemi interni e da rivolte sia delle truppe sia della
popolazione; si creano le condizioni per un rivolgimento politico: prima nel febbraio con la
destituzione dello zar a seguito delle manifestazioni operaie a Pietroburgo e alla creazione dei
soviet, al seguito dei quali si costituiscono vari governi di coalizione, guidati da L’vov e da
Kerenskij, e successivamente nell’ottobre con la rivoluzione bolscevica. Tra febbraio e
ottobre, Lenin aveva pesantemente criticato l’operato dei governi di coalizione, i quali
avevano proseguito il conflitto provocando ulteriori perdite nell’esercito e quindi malcontento
nella popolazione; nel suo programma politico prevedeva la concentrazione del potere nei
soviet, l’impossibilità di una collaborazione a lungo termine con le forze borghesi e la fine
della “guerra imperialista” come presupposto per l’inizio della rivoluzione proletaria. Il primo
atto dei bolscevichi al potere fu l’emanazione di un decreto (il cosiddetto “decreto per la
pace”) che conteneva la richiesta rivolta ai popoli e ai governi di tutti i Paesi in guerra di una
pace senza indennità né annessioni: le potenze dell’Intesa non accettarono la richiesta, mentre
gli Imperi centrali sì. Firmata nel marzo 1918, la pace di Brest-Litovsk poneva dure condizioni
per la Russia, le quali causarono movimenti di disgregazioni all’interno del suo territorio
(Finlandia, Stati baltici, Polonia) che furono accettati per via della situazione di debolezza
politica. Le potenze occidentali, in particolare Francia e Gran Bretagna, stipularono accordi
con le forze zariste (armate “bianche”), che furono sconfitti dalle forze bolsceviche forti
dell’appoggio popolare: quindi, nel fronte interno il potere bolscevico si consolidava a seguito
della sconfitta dei rimasugli delle forze zariste. Nel fronte esterno, stava avendo luogo il
processo di disgregazione già iniziato a seguito della pace di Brest-Litovsk; tra il 1920 e il
1921 fu combattuta la guerra contro la Polonia, che vinse forte dell’appoggio della Francia:
le conseguenze consistono dell’allargamento della Polonia, al cui territorio viene aggiunta
un’area prevalentemente abitata da gruppi etnici alogeni (russi, bielorussi e ucraini). Inoltre,
le potenze occidentali cominciano ad isolare l’ex alleato per il timore che la rivoluzione
comunista si espanda in altri Paesi, procedendo alla formazione del cosiddetto “cordone
sanitario”.
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Storia delle relazioni internazionali
Le premesse iniziali sulle quali l’Impero germanico e l’Impero austro-ungarico avevano
richiesto prima l’armistizio si basavano soprattutto sui Quattordici punti di Wilson, nei quali
veniva prevista una pace trattabile e non punitiva. Ma, durante le trattative prima e nei trattati
di pace dopo, i punti non vennero rispettati: per esempio, per quanto riguarda il principio di
autodeterminazione dei popoli, il modo in cui vennero affrontate le questioni riguardanti le
colonie e la disgregazione dei grandi Imperi (in particolare quello austro-ungarico e
germanico) si poneva in totale contraddizione con questo principio, al punto da lasciare
irrisolte le questioni etniche ad oriente e nei Balcani.
I trattati di pace furono firmati con Germania, Austria, Bulgaria, Ungheria e Impero ottomano,
rispettivamente:
1) Trattato di Versailles, 28 giugno 1919
2) Trattato di Saint-Germain-En-Laye, 10 settembre 1919
3) Trattato di Neuilly, 27 novembre 1919
4) Trattato del Trianon, 4 giugno 1920
5) Trattato di Sèvres, 10 agosto 1920
1) Il trattato di Versailles fu una vera e propria imposizione per la Germania, Paese che nello
stesso periodo vide un grande trapasso politico istituzionale con il passaggio dall’Impero dalla
Repubblica di Weimar.
La Germania venne considerata sconfitta e colpevole: infatti, il trattato era ricco di clausole
pesanti (a cui si collegavano la stigmatizzazione subita dal Paese nel dopoguerra, la quale fu
la causa della successiva crescita del malcontento e del risentimento tedesco nei confronti del
diktat di Versailles) ed era innovativo rispetto alla precedente tradizione diplomatica
(nell’articolo 231 la Germania veniva indicata come l’unica colpevole morale del conflitto, e
ciò giustificava il carattere punitivo del trattato); in base al principio di colpevolezza, i
governanti tedeschi e lo stesso Kaiser Guglielmo II venivano personalmente considerati
responsabili nei confronti della comunità internazionale: il tentativo di giudicarli davanti ad
un tribunale internazionale andò a vuoto a seguito delle forti proteste da parte della
popolazione tedesca.
Le clausole – stabilite unilateralmente e che per questo motivo furono oggetto di revisionismo
da parte della Germania – erano
• Territoriali: perdita di un settimo del territorio e di circa un decimo della popolazione
(Ovest: perdita dell’Alsazia-Lorena a vantaggio della Francia; distacco della Germania
della Saar, posta sotto controllo internazionale con cessione delle proprietà delle
miniere di carbone alla Francia e dove quindici anni dopo gli abitanti avrebbero deciso
con un plebiscito se unire la Saar alla Francia, alla Germania o restare sotto protettorato
internazionale; smilitarizzazione ed occupazione della Renania e divisione in tre settori
sulla base della durata dell’occupazione, che andava da cinque a quindici anni;
cessione dei distretti di Eupen e di Malmedy al Belgio; plebiscito nello Schleswig: la
parte settentrionale passava alla Danimarca, la parte meridionale restava sotto la
sovranità tedesca. Est: Slesia settentrionale alla Polonia e plebiscito da organizzare
nella Slesia meridionale; sbocco al mare per la Polonia con la perdita della Pomerania
e di parte della Prussia orientale a suo favore e l’elezione di Danzica a città libera).
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• Militari: annichilimento della potenza militare tedesca (diminuzione dell’esercito a
centomila unità; proibizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, dell’aviazione e
della flotta).
• Economiche: obbligo di pagare le riparazioni ai Paesi vincitori in percentuali diverse;
si stabilì che entro il 1° Maggio 1921 la Germania avrebbe versato 20 miliardi di
marchi-oro (sotto il controllo di una “Commissione delle riparazioni”) e che, entro
quella data, si sarebbe definito l’ammontare reale dei danni di guerra con l’aggiunta
delle pensioni di guerra voluta dall’Inghilterra.
2) Con il trattato di Saint-Germain-En-Laye, l’Impero austro-ungarico fu disgregato (era già
da tempo in crisi, ma non ci si aspettava la sua fine; un primo ridimensionamento era già
avvenuto nel 1866 dopo la guerra austro-prussiana, conclusasi con la sconfitta asburgica e lo
sdoppiamento della Corona). Caratterizzato dalla presenza di etnie diverse (tra le quali era
incluso il problema slavo), all’interno del suo territorio si formarono dei comitati nazionali
che si riunirono nel Convegno delle nazionalità oppresse dall’Impero austro-ungarico tenutosi
a Roma.
L’Austria rimase circoscritta al territorio abitato dalla popolazione di lingua tedesca,
perdendo dunque: Trentino e Tirolo meridionale a favore dell’Italia; Boemia, Moravia e
Slovacchia, che formarono la Cecoslovacchia; Bucovina, assegnata alla Romania; parte della
Carinzia e del Burgenland, divisi da un plebiscito rispettivamente tra Austria e Jugoslavia e
tra Austria e Ungheria; Galizia alla Polonia (solo nel 1923). Più complicata fu la questione
della Venezia-Giulia, della Dalmazia, di Trieste e Fiume, poiché l’espansionismo italiano si
scontrava con le rivendicazioni del nuovo Regno dei serbi, dei Croati e degli Sloveni.
L’articolo 80 del Trattato di Versailles vietò l’Aschluss al fine di dividere il mondo tedesco
come garanzia di stabilità, sancendo l’inalienabilità dell’indipendenza austriaca.
3) Secondo il trattato di Neuilly, la Bulgaria perse la Dobrugia meridionale a vantaggio della
Romania, parte della Macedonia che passò alla Jugoslavia e la Tracia occidentale, ossia lo
sbocco diretto sul Mar Egeo, alla Grecia.
4) Anche l’Ungheria venne ridimensionata: nel trattato del Trianon la Transilvania e parte del
Banato passarono alla Romania; la Jugoslavia (Regno SCS) ottenne Croazia, Slavonia e la
restante parte del Banato; la Rutenia subcarpatica alla Cecoslovacchia. In questi territori erano
presenti forti minoranze ungheresi.
5) Il trattato di Sèvres avrebbe dovuto trovare una soluzione al problema dell’Impero
ottomano, “l’uomo malato d’Europa”, un impero multinazionale con vasti territori unificati
secondo diverse modalità. Il trattato si basava sul principio di divisione dei territori turchi da
quelli arabi.
Le clausole imposte erano severissime: l’Impero veniva circoscritto alla penisola anatolica,
comportando la perdita dei territori esterni a questa; la Grecia otteneva la Tracia, quasi tutte
le Isole Egee e l’amministrazione provvisoria di Smirne, affidata dal 1917 all’Italia;
l’Armenia diventò indipendente e il Kurdistan autonomo; Francia, Regno Unito e Italia
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Storia delle relazioni internazionali
assumevano il controllo delle finanze imperiali; gli Stretti restavano sotto la nominale autorità
del sultano, ma di fatto una commissione internazionale li avrebbe controllati.
La revisione prima e la disgregazione successivamente erano state preventivamente accordate
da Francia e Regno Unito con gli accordi Sykes-Picot del maggio 1916, i quali prevedevano
la suddivisione della Mezzaluna Fertile: la Gran Bretagna avrebbe avuto il mandato su Iraq e
Palestina, la Francia su Libano, Cilicia e Siria, mentre la Russia poteva ammettere il Kurdistan
e l’Armenia turca. Oltre la fine dell’Impero ottomano, gli accordi prevedevano anche la
nascita di uno Stato arabo indipendente: nel carteggio tra MacMahon e Sherif Hussein era
previso che questo comprendesse tutta la penisola araba insieme alla regione mediorientale,
salvo le province di Damasco, Hama, Homs e Aleppo e i luoghi santi palestinesi.
Già prima della firma del trattato, Mustafà Kemal e i Giovani Turchi si schierarono contro la
spartizione della penisola da parte delle potenze occidentali e contro l’autorità del sultano.
Dopo aver fatto retrocedere americani, francesi, italiani, greci (subentrati a questi ultimi) e
britannici, Kemal ricompattò l’area anatolica sotto una repubblica turca laica, unitaria e
compatta, e spostò la capitale da Istanbul ad Ankara.
Nel luglio 1923 furono firmati gli accordi di Losanna, che prevedevano il recupero dell’intera
penisola anatolica e dell’indipendenza della Repubblica turca, che veniva riconosciuta a
livello internazionale, oltre il controllo dei territori dell’area asiatica ed europea lungo gli
Stretti e della navigazione.
Per quanto riguardava la parte araba dell’Impero ottomano, la Società delle Nazioni
introdusse lo strumento del mandato, con il quale le potenze occidentali potevano aiutare a
condurre le popolazioni locali verso l’indipendenza. La Francia ottenne il mandato su Siria e
Libano installando autorità francesi. Al contrario, la Gran Bretagna riconosceva forme di
autogoverno locale: in Iraq Feysal Hussein; la Palestina fu divisa lungo la linea del fiume
Giordano: in Transgiordania con Abdullah Hussein, e dall’altra parte si ipotizzò la creazione
di condizioni per la costituzione del “focolare domestico” ebraico promesso nella
Dichiarazione Balfour a Lord Rothschild. Nella penisola araba, i Sauditi vinsero la contesa
contro gli Hascemiti.
L’Italia era parte degli accordi di pace in quanto potenza vincitrice, anche se allo scoppio
della guerra apparteneva alla Triplice Alleanza. Le aspirazioni politiche e territoriali del Paese
erano già confluite nel Patto di Londra del 26 aprile 1915, documento in virtù del quale l’Italia
era transitata tra le forze dell’Intesa e che prevedeva, in sedici articoli, i termini dell’intervento
italiano: doveva impegnarsi a schierare tutte le forze contro i nemici e a seguire un
determinato tipo di partecipazione militare (clausola che non fu del tutto rispettata: entrò in
guerra nel mese successivo alla stipulazione del Patto di Londra, ma inizialmente dichiarò
guerra solo all’Impero austro-ungarico e non a quello tedesco) in cambio di concessioni
territoriali e politiche legate al completamento dell’unità nazionale (Trentino, Tirolo fino al
Brennero, Venezia Giulia fino al Quarnaro ma senza Fiume, il Dodecaneso, l’Istria, un terzo
della Dalmazia, il protettorato sull’Albania, compensi nell’area di Adalia nella penisola
anatolica, riconoscimento delle acquisizioni in Libia; diritto ad una parte delle indennità di
guerra; avvallo all’opposizione italiana alla partecipazione della Santa Sede ai negoziati di
pace o alla risoluzione di questioni suscitate dalla guerra). Con il trattato di San Giovanni di
Moriana del 1917, l’Italia accettava gli accordi Sykes-Picot in cambio del controllo di Smirne
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Storia delle relazioni internazionali
e dell’aumento della zona di influenza italiana sulla parte meridionale della penisola anatolica;
il trattato non entrò mai in vigore perché mancò l’adesione dei russi.
All’apertura della conferenza di pace (durante la quale la delegazione guidata dall’allora capo
del governo Vittorio Emanuele Orlando rappresentò l’Italia) vi erano tutte le promesse per
l’accettazione delle clausole territoriali del Patto di Londra, nel quale non era previsto che
Fiume facesse parte delle acquisizioni italiane. La questione fiumana venne fuori solo nel
1919: era legata al fatto che al momento della stipulazione del Patto di Londra nessuno
pensasse allo smembramento dell’Impero austro-ungarico, ma ad una sua riorganizzazione
(che avrebbe comportato la creazione di uno Stato croato che comprendesse Fiume); dunque,
l’Italia è pronta a cedere la Dalmazia e le isole prospicenti in cambio della città
“italianissima”.
La linea del transigere del primo ministro Orlando dovette affrontare tre scogli: gli alleati,
Wilson e gli jugoslavi. L’ostacolo rappresentato dai primi era di tipo formale, ma non difficile
da superare (gli anglo-francesi volevano onorare il patto di Londra, ma non erano disposti a
concedere Fiume, la cui cessione non era prevista); al contrario, l’opposizione di Wilson – e
quindi degli jugoslavi – fu molto forte: per lui, il Patto di Londra era privo di rilevanza
internazionale ed espressione di quella diplomazia segreta che lui combatteva; si opponeva
sia alla concessione di Fiume sia all’espansione territoriale italiana oltre la metà occidentale
dell’Istria, delimitata dalla “linea Wilson”. Credendo che il governo italiano non
rappresentasse più le istanze della popolazione che rappresentava, Wilson pubblicò un appello
agli italiani; in questo appello definiva il patto di Londra un’intesa privata basata sull’assunto
della sopravvivenza dell’Impero austro-ungarico, illustrava i motivi per i quali Fiume non
avrebbe potuto essere assegnata all’Italia, negava la necessità di una ulteriore espansione
italiana in Dalmazia, faceva presente la già avvenuta concessione dei confini naturali e
auspicava che le richieste italiane fossero conformi ai principi in nome dei quali gli Stati Uniti
avevano combattuto la guerra e avrebbero ricostruito la pace. L’appello contribuì a far crollare
la popolarità del presidente statunitense in Italia.
Non potendo trovare accoglimento alle proprie richieste, la delegazione italiana abbandonò
le trattative per qualche mese, nonostante il trattato di Saint-Germain avesse confermato le
acquisizioni italiane al confine con l’Austria. Nell’estate del 1919 il governo OrlandoSonnino cadde e fu sostituito dal governo Nitti-Tittoni, che dovette affrontare l’aggravamento
della crisi fiumana provocato dall’occupazione della città da parte di D’Annunzio. Oltre
all’occupazione della città, l’altra causa che fece avviare alla conclusione la questione
adriatica fu il declino politico di Wilson. I negoziati bilaterali italo-jugoslavi cominciarono
all’inizio del 1920. Nel novembre 1920 i due Stati firmarono il trattato di Rapallo, nel quale
Fiume fu dichiarata “città libera”; gli italiani ottennero le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e
Pelagosa e la città di Zara, mentre gli jugoslavi acquisirono il resto della Dalmazia; il trattato
fu implementato con la cacciata di D’Annunzio da Fiume e con la nascita effettiva del regime
di “città libera”.
Non soddisfatte, Italia e Jugoslavia rinegoziarono la questione fiumana: con il trattato di
Roma del gennaio 1924, la città passò all’Italia in cambio di aggiustamenti territoriali a favore
degli jugoslavi.
Il declino politico di Wilson e la sua conseguente uscita di scena per via di gravi problemi di
salute portarono alla bocciatura definitiva del trattato di Versailles da parte del Senato: nel
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Storia delle relazioni internazionali
trattato erano contenuti sia il Covenant sia il trattato anglo-americano di garanzia alla Francia.
Quest’ultimo decadde, sciogliendo dal vincolo anche il Regno Unito, che scelse l’isolamento,
e lasciando la Francia ad affrontare da sola il problema della sicurezza sul fronte occidentale.
Le conseguenze furono enormi e avrebbero diffuso in Europa gli elementi di squilibrio e di
malcontento alla base dell’avvento dei totalitarismi e del secondo conflitto mondiale: il nuovo
assetto europeo (soprattutto il nuovo ordine dell’Europa centro-orientale con il problema delle
etnie) non ricevette alcuna garanzia esterna e per la mancata adesione degli Stati Uniti alla
Società delle Nazioni, che quindi nacque monca.
La Triplice Intesa (meno la Russia) continuò politicamente dopo la guerra fino all’autunno
1922, quando il fascismo si affermò in Italia. Mussolini tendeva per il revisionismo dei trattati,
posizione che lui stesso ammise durate la partecipazione alla conferenza per l’accordo di
Losanna a seguito dell’annullamento del trattato di Sèvres. Per quanto riguarda la politica
estera, i primi anni del fascismo furono caratterizzati da una serie di incidenti diplomatici, tra
i quali la crisi di Corfù: nel 1923 un ufficiale italiano fu assassinato dai greci nella rilevazione
del confine albanese; dopo aver cercato di ottenere in vano una riparazione da parte del
governo greco e dopo aver intimato l’ultimatum, Mussolini spedì la flotta italiana a Corfù e
cannoneggiò il Palazzo del Governo. Con l’appello della Grecia alla Società delle Nazioni,
iniziò una grave crisi internazionale, risolta con un compromesso diplomatico: i greci
pagarono l’indennità e gli italiani retrocedettero da Corfù.
In seguito, Mussolini si riallineò ad un’ipotesi di sintonia con la Francia e la Gran Bretagna,
recuperando la linea tradizionale dell’Italia dell’ultimo periodo liberale.
Il periodo compreso tra il 1919 e il 1939 fu sostanzialmente un ventennio di pace.
Gli anni Venti avrebbero dovuto vedere l’applicazione dei trattati. Questo periodo può essere
suddiviso in due parti: il periodo 1920-1925 e il periodo 1925-1929.
Il primo periodo, detto della “pace di assestamento”, vide la fine dell’eurocentrismo e l’inizio
dell’isolazionismo diluito degli Stati Uniti, i quali avevano orientato il corso della guerra e
che di fatto diventarono la prima potenza mondiale. Le amministrazioni repubblicane
succedutesi dopo Wilson scelsero in particolare due questioni sulle quali intervenire, ossia il
disarmo e i debiti di guerra. Proprio quest’ultima fu la più importante, e comportava la
risoluzione della questione finanziaria ed economica legata sia alle riparazioni sia ai prestiti
concessi dagli Stati Uniti agli associati dell’Intesa. Gli Stati debitori, in particolare la Francia,
si fecero portatori della teoria dell’abbinamento tra debiti e riparazioni, secondo la quale il
pagamento dei debiti fosse subordinato al pagamento delle indennità di guerra da parte della
Germania; la teoria non fu accettata dagli Stati Uniti.
Stabilita la cifra dell’indennità di guerra (132 milioni di marchi d’oro) e un calendario
perentorio per le prime due tranches di pagamenti che sarebbe scattato se i tedeschi fossero
stati in grado di versarle, la Germania chiese una moratoria per rinviare le scadenze, in modo
tale da dare il tempo di ricostruire l’economia ed assicurare il pagamento delle indennità. Per
far fronte a queste richieste, furono convocate due conferenze (una a Cannes e una a Genova,
durante la quale tedeschi e russi stipularono a Rapallo un trattato che normalizzava le relazioni
politiche e finanziarie tra i due Paesi e che gettava le basi per una successiva collaborazione
militare) per stabilire delle garanzie politiche sulle frontiere tedesche, in particolare quelle
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Storia delle relazioni internazionali
orientali (perché la Francia era alleata con i Paesi del “cordone sanitario” in funzione
antitedesca e antisovietica). Le due conferenze fallirono; a seguito del rifiuto tedesco al
pagamento dell’indennità, nel gennaio 1923 la Francia occupò militarmente la Ruhr per
perseguire la politica del “pegni produttivi” (che consisteva nella sostituzione del pagamento
in moneta con un pagamento in natura che consisteva delle risorse e dei prodotti appartenenti
al bacino carbonifero). In risposta all’occupazione francese, il governo tedesco impose ai
lavoratori di astenersi dalle loro mansioni (“resistenza passiva”); sostenuto da Belgio e Italia,
il governo Poincaré decise di potenziare le ferrovie e di inviare lavoratori e tecnici di
nazionalità francese, belga e italiana per sostituire i tedeschi. Contemporaneamente, in
Germania iniziò una crisi inflazionistica particolarmente grave.
L’ascesa al governo di Stresemann permise di porre fine alla resistenza passiva in cambio
della revisione della politica di pagamento. Due commissioni (tra cui la commissione Dawes)
si occuparono di studiare un compromesso per attuare questo progetto: si arrivò a definire un
piano che prevedesse di monitorare l’economia tedesca e di riattivarla attraverso la
riorganizzazione della Banca nazionale tedesca, il cambio della moneta (il Reichsmark
sostituì il Rentenmark) e una serie di finanziamenti, affinché il Paese potesse effettuare i
pagamenti delle riparazioni sulla base del principio della “capacità di pagamento” con rate
crescenti.
Il periodo tra il 1925 e il 1929 fu caratterizzato dalla pacificazione franco-tedesca, che ebbe
il suo culmine con la sottoscrizione dei patti di Locarno nell’ottobre 1925. Tra questi, il più
importante era il “patto renano”, stipulato tra Germania, Francia e Belgio, che sanciva la
pacificazione tra i tre Paesi con il mutuo riconoscimento dei confini e quindi delle clausole di
Versailles (compresa la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia). Il significato politico
dietro questo patto era molto importante, perché comportava la conferma dei trattati di pace
con una differenza politica rispetto a questi: difatti, i primi contenevano delle clausole stabilite
in modo unilaterale dalle quattro potenze vincitrici senza che le autorità tedesche potessero
ribattere e porre delle obiezioni, facendo in modo che la popolazione li considerasse
un’imposizione ingiusta nei confronti della Germania; al contrario, la Germania prese parte
ai negoziati per la conclusione dei patti di Locarno, ritrovandosi su un piano di uguaglianza
con gli altri Stati. Fu stabilito che, in caso di aggressione ai confini, lo Stato sarebbe stato
considerato “aggressore” da parte della Società delle Nazioni e soggetto a sanzioni; inoltre,
per risolvere le controversie sulle delimitazioni confinari, gli Stati promettevano di rifarsi alle
condizioni di arbitrato allegate al patto.
Gran Bretagna e Italia si posero come garanti del “patto renano”: il compito di queste due
potenze era quello di sorvegliare il rispetto dell’accordo e di provvedere, attraverso sanzioni,
a punire tutti i comportamenti lesivi; l’Italia si ritrovò dunque in una posizione paritaria
rispetto al Regno Unito, sostituendo gli Stati Uniti nel ruolo di garante. La delegazione italiana
si ritrovò a riflettere su una perplessità teorica riguardante il trattamento differenziato tra la
frontiera occidentale, soggetta ad una vasta serie di protezioni, e quelle meridionale ed
orientale, le quali non erano soggette a misure protettive. L’Italia si preoccupava della
frontiera meridionale per la questione dell’Anschluss tra Austria e Germania, che in quel
momento veniva visto favorevolmente nei due Paesi, e della frontiera orientale per la presenza
di una “Grande Polonia” sovradimensionata.
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Storia delle relazioni internazionali
Alla regola generale dell’intangibilità dei confini fu posta un’eccezione riguardante la Polona
e la Cecoslovacchia: in caso di attacco tedesco agli alleati orientali, la Francia avrebbe potuto
varcare il confine renano senza incappare in sanzioni da parte della Società delle Nazioni.
Le critiche al patto di Locarno riguardavano l’incertezza dei confini orientali e meridionali e
i limiti funzionali sulla garanzia politica del Regno Unito e dell’Italia riguardanti l’efficacia
tecnica e militare. Anche Stresemann ricevette varie critiche in patria, alle quali rispose
affermando di considerare i patti come un mezzo e non un fine, una tappa necessaria al pieno
recupero della sovranità e al conseguimento della grandezza della Germania attraverso la
diplomazia; le rotture delle strettoie di Versailles avrebbero comportato l’allargamento del
raggio d’azione a livello internazionale.
Iniziò lo sgombero della zona A della Renania (già previsto nel trattato di Versailles), per cui
Stresemann si occupò anche di ottenere la smilitarizzazione delle zone B e C prima della loro
scadenza naturale. Nel settembre 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni.
Precedentemente, si verificò un primo riavvicinamento della Germania e dell’Unione
Sovietica: quest’ultima rappresentava un contraltare politico importante per la Germania,
anche perché entrambi i Paesi si ritrovarono in grande difficoltà dopo la guerra. Il
riavvicinamento ebbe luogo prima attraverso collaborazioni economiche e tecnico-militari,
poi con un trattato bilaterale di amicizia stipulato nell’aprile 1926.
Il patto Briand-Kellogg rappresentò il culmine del periodo di pacificazione. Inizialmente, il
patto riguardava solo la Francia e gli Stati Uniti e consisteva nella ripresa dei rapporti di
amicizia tra i due Stati, i quali si erano allontanati a seguito della differente prese di posizione
riguardante il destino della Germania durante e dopo i trattati di pace. Da parte francese
c’erano due esigenze: una generale di riavvicinamento ed una specifica di scongiurare aiuti
americani ai tedeschi nel caso di attacco alla Francia da parte della Germania (la proposta
francese puntava ad impedire un atteggiamento di neutralismo e il commercio a Paesi
aggressori). In sede di negoziato, gli Stati Uniti tentano di diluire le clausole del patto ponendo
come obiettivo principale la rinuncia permanente e la condanna alla guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie e proponendo un allargamento del progetto ad altri Stati.
Costituito da un preambolo e due articoli, il patto Briand-Kellogg ebbe una minima
applicazione pratica, ma grandi conseguenze sul piano politico.
Intanto, la Germania continuò ad avanzare richieste per lo sgombero delle zone B e C della
Renania, alle quali la Francia rispose giustificando il carattere non solo punitivo ma anche di
garanzia dell’occupazione, collegata infatti alla questione delle riparazioni (che la Germania
stava continuando a pagare sulla base del piano Dawes). Il piano Dawes avrebbe avuto una
durata di cinque anni e, al suo interno, i pagamenti non erano strutturati in quanto non
determinarono un importo esatto della cifra delle riparazioni rimanenti; inoltre, nella
comunità internazionali erano diffusi i dubbi sulle capacità della Germania di continuare a
pagare le riparazioni senza aiuti stranieri (la scadenza del piano Dawes era prevista per il
1929). Per questa ragione fu creata una commissione per studiare un nuovo piano con il fine
di proporre una soluzione efficace che sarebbe subentrata alla scadenza del piano Dawes: la
commissione Young stabilì la cifra rimanente delle riparazioni (circa 110 miliardi di marchi
oro da versare in cinquantanove anni) e concedendo ampi spazi di manovra per la Germania.
Durante la conferenza dell’Aia dell’agosto 1929 furono approvati sia il piano Young sia la
proposta di evacuazione delle truppe nelle zone B e C della Renania.
11
Storia delle relazioni internazionali
Nel settembre 1929 Briand propose un progetto di Unione Europea alla Società delle Nazioni:
secondo il primo ministro, solo facendo dei passi in avanti verso la collaborazione politica ed
economica l’Europe avrebbe potuto ottenere un avvenire di pace, di benessere e di
cooperazione; il progetto non intaccava la sovranità nazionale degli aderenti, ma essi
avrebbero dovuto riconoscere reciprocamente i confini; inoltre, l’integrazione economica
sarebbe stata la premessa per un’integrazione ulteriore sul piano politico.
L’affossamento del progetto da parte della Germania e della Gran Bretagna segnò l’inizio del
declino della pacificazione.
Il crollo della borsa di New York del 24 ottobre 1929 diede il via ad una crisi economica di
dimensioni globali che avrebbe culminato in gravi conseguenze politiche: nella primavera del
1930 la crisi arrivò in Europa, provocando la contrazione dell’economia reale (meno
benessere, alti tassi di disoccupazione e mancanza di investimenti), all’arresto della
ricostruzione in seguito al fallimento degli istituti finanziari e all’avvento del protezionismo,
dell’isolazionismo e del nazionalismo come soluzioni al malessere globale (i primi furono gli
USA con lo Smoot-Hawley Tariff Act – con il quale cercavano di tutelare il mercato interno
dalla concorrenza per impedire un ulteriore crollo dei prezzi e l’aumento della disoccupazione
– seguiti a ruota dai Paesi europei e dal Giappone.
L’Austria e la Germania tentarono di deviare il divieto di Anschluss provando a costituire
un’unione doganale per arginare la crisi economica, provocando così il ricorso contro questo
progetto da parte dell’Italia, della Francia e della Germania presso la Corte permanente di
giustizia internazionale. Il peggioramento dei propri parametri economici obbliga l’Austria a
dover richiedere aiuti finanziari alla Società delle Nazioni, con la conseguenza di dover
abbandonare il progetto di Anschluss economico.
In Germania la crisi economica fu tale al punto che il governo dovette chiedere la sospensione
dei pagamenti, accordata dagli Stati Uniti con la cosiddetta “moratoria Hoover”: la
sospensione avrebbe avuto la durata di un anno, e in questo arco di tempo si sarebbero svolti
i preparativi per una conferenza internazionale con la finalità di trovare una soluzione
definitiva al problema delle riparazioni. La conferenza di Losanna del 1932 si concluse con
l’obbligo per la Germania di pagare un’unica ed ultima tranche da tre miliardi di marchi per
estinguere le riparazioni entro il 1935, cifra mai pagata dalla Germania. Collegata alla
questione delle riparazioni, si pose anche quella dei debiti interalleati: la Francia rifiutava di
continuare a pagare i debiti a meno che la Germania non avesse continuare a versare le
riparazioni; gli Stati Uniti non accettarono la cancellazione dei debiti.
Le difficoltà economico-sociali degenerarono a livello politico sul piano globale; in
particolare, per quanto riguarda il continente asiatico, queste si manifestarono nel conflitto
latente tra Cina e Giappone, il quale avrebbe portato ampi problemi legati all’incapacità della
comunità internazionale di sanare la situazione. Negli anni Venti, il Giappone andò incontro
ad un notevole sviluppo economico, al quale si coniugava una politica estera prudente; sul
finire del decennio, però, ebbe luogo un’inversione di tendenza sotto il profilo sia economico
sia politico. In effetti, l’inversione di tendenza nella politica estera (i gruppi nazionalisti e il
militarismo ottennero maggiori consensi, a discapito del governo liberale) fu una conseguenza
diretta della crisi economica: il crollo precipitoso delle esportazioni (verso le quali la maggior
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Storia delle relazioni internazionali
parte della produzione giapponese era orientata) e il dilagarsi della preferenza per il
protezionismo comportò un crollo precipitoso dell’economia giapponese, al quale era
necessario rispondere trovando nuovi sblocchi per la produzione e per la forza lavoro. Da quel
momento fu perseguita una politica estera aggressiva che aveva come punto di attenzione la
Cina, da sempre attrazione principale insieme al Sud-Est asiatico. A differenza
dell’imperialismo tradizionale europeo, la politica giapponese in Asia acquistò una valenza
liberatoria nei confronti dei territori alle quali si rivolse.
La Repubblica cinese era debole e caratterizzata dalla presenza di svariati centri di potere che
il governo legittimo stentava a condurre sotto il proprio controllo; tra questi, vi era anche il
governo dissidente di Canton, guidato dal Kuomintang, che avrebbe avuto la meglio sul
governo centrale di Pechino sotto la guida di Chiang Kai-shek. Il Kuomintang doveva pensare
a consolidare il proprio potere su tutto il territorio ovviando all’opposizione dei comunisti
guidati da Mao Tse-tung e contrastando i vari potentati locali, in particolare in Manciuria.
Situata nella parte meridionale del Paese, la Manciuria era controllata economicamente e
militarmente dai giapponesi, i quali pensavano di far partire da lì l’espansione che avrebbe
aiutato al risanamento dell’economia. Inoltre, a partire dal 1905, i giapponesi avevano
investito ingenti capitali per la costruzione della ferrovia transmanciuriana, e il pretesto per
la penetrazione militare derivava proprio dall’esigenza di salvaguardare dal caos cinese i mille
chilometri di ferrovie costruite con capitale giapponese: sulla base di un trattato con la Cina
stipulato nel 1915, i giapponesi avevano acquistato tutti i privilegi, diritti e proprietà connessi
con la ferrovia in Manciuria, dunque erano decisi ad applicare la clausola in modo estensivo.
Tra il 1931 e il 1932 ebbe inizio la crisi manciuriana: l’aggressione e l’occupazione della
regione da parte delle truppe giapponesi rappresentava un banco di prova per la comunità
internazionale. La Cina si appellò alla Società delle Nazioni, la quale fu bloccata dalle
esitazioni dei rappresentanti giapponesi e dall’impossibilità di prevedere un seguito concreto
alle proprie prese di posizione. Fu istituita una commissione (commissione Lytton) per
svolgere un’inchiesta sulla vicenda.
Intanto, il nuovo governo giapponese, più aggressivo del precedente, non retrocedette alle
minacce della Società delle Nazioni e decise di bombardare ed invadere Shangai. La comunità
internazionale si oppose ad ulteriori occupazioni in Cina; l’opposizione maggiore arrivò dagli
Stati Uniti, per i quali era fondamentale non alterare lo status quo: nel proclama rivolto ai
cinesi e ai giapponesi, il Segretario di Stato dell’epoca, Stimson, affermò che gli Stati Uniti
non avrebbero accettato ulteriori acquisizioni ottenute attraverso l’uso della forza. I
giapponesi allentarono la morsa su Shangai, ma non sulla Manciuria: per dare alla crisi una
parvenza di legalità, crearono il Manciukuò, uno Stato-fantoccio in cui un’assemblea locale
legalizzò la presenza giapponese nell’area e al cui comando fu posto Pu Yi, l’ultimo
imperatore cinese.
La relazione Lytton arrivò al termine della crisi: essendo la costituzione del Manciukuò
illegale, si chiedeva la smilitarizzazione dell’area e il ripristino dello status quo. Il Giappone,
disinteressato alle prese di posizione della Società delle Nazioni, nel marzo 1933 decise di
uscirne. Non fu dichiarato Paese aggressore e poté continuare imperterrito la penetrazione in
Cina.
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Storia delle relazioni internazionali
Qualche mese prima, a gennaio, il Partito nazionalsocialista tedesco vinse le elezioni e Adolf
Hitler diventò cancelliere. L’ascesa al potere di Hitler (nato in Austria e formatosi in un
ambiente antisemita, pangermanista e ostile alla cultura liberal-democratica) segnò il trionfo
della volontà di rivincita e del progetto del recupero di radicati disegni di dominazione in
Germania.
Negli anni Venti, la Germania affrontò enormi difficoltà che la classe dirigente non fu in
grado di affrontare. Con l’ascesa del NSDAP, i centristi fecero proprie alcune istanze del
programma nazista, in particolare le questioni contro le riparazioni e a favore di un Anschluss
economico. Adolf Hitler riuscì ad ascendere al potere nel giro di dieci anni, sfruttando il
malcontento generale e strumentalizzando i momenti difficili che la Germania stava
attraversando in quel momento: il putsch di Monaco del 1923 fu organizzato come protesta
per l’occupazione francese della Ruhr
Il programma politico del Partito nazionalsocialista puntava sulla rinascita nazionale e sul
recupero dell’indipendenza e della sovranità come premesse necessarie per attuare le altre due
linee del proprio programma, al fine di far rinascere uno Stato forte: il Deutsche Raum (ossia
unificazione in un’unica entità statuale che comprendesse tutte le entità germaniche
eliminando quelle estranee ad essa – minoranze etniche, opposizioni politiche e religiose) e il
Lebensraum (espansione dei confini della Germania per procacciare ed ottenere le risorse per
alimentare il popolo tedesco – in riferimento all’Europa orientale e non ad un qualche tipo di
colonialismo oltremare). La classe dirigente tedesca avrebbe guidato il popolo eletto, ossia
quello ariano, verso un nuovo ordine mondiale e la purificazione del continente dalla finanza
ebraica, dalla plutocrazia e da tutti quei popoli “impuri” (primi fra tutti gli slavi, dopo gli
ebrei).
La politica estera di Hitler era ispirata a questo programma, con degli obiettivi ben definiti
ma che avrebbero potuto adattarsi alle situazioni di volta in volta prospettatesi: la priorità
assoluta era il riarmo, seguito dalla riunificazione di tutte le popolazioni europee di stirpe
germanica, dalla costruzione di una rete di alleanze per far accettare alle potenze europee la
leadership tedesca e dall’attacco al mondo slavo per distruggere l’URSS e ottenere L’Ucraina;
successivamente, ai britannici sarebbe stato chiesto se collaborare con la Germania europea
o se isolarsi, e, in questo ultimo caso, avrebbero subito un attacco dalla Germania; con la
sconfitta britannica, Germania e Giappone avrebbero ottenuto la possibilità di controllare tutti
i mari e di isolare gli Stati Uniti, a cui sarebbe seguita la reazione della componente antiyankee in America Latina.
Il fatto che il programma nazista fosse condiviso da buona parte della popolazione tedesca e
ben conosciuto in Europa, destava preoccupazione soprattutto in Unione Sovietica e in Italia.
Nel settembre 1933, Italia e Unione Sovietica firmarono un patto di amicizia con la volontà
di dare luogo ad un avvicinamento politico contro il pericolo rappresentato dalla Germania
nazista; in particolare, l’Italia giustificò questo patto con la paura di un’annessione
dell’Austria da parte della Germania, fatto che avrebbe potuto ribaltare i rapporti di forza
stabiliti dopo i trattati di pace.
La diplomazia italiana e Mussolini elaborarono delle contromosse, quali l’avvicinamento
dell’Austria e la creazione di un alveo diplomatico che destabilizzasse il programma
hitleriano. Nel giugno 1933 fu firmato il Patto a quattro tra Italia, Regno Unito, Francia e
Germania, con lo scopo di favorire l’impegno fondamentale e condiviso al mantenimento
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Storia delle relazioni internazionali
della pace (quindi ad applicare il patto Briand-Kellogg), tenuto fermo il quale si sarebbero
rivisti i trattati di pace all’interno della struttura istituzionale rappresentata dalla Società delle
Nazioni (ipotesi prevista anche nel Covenant); le questioni che sarebbero state sottoposte a
ridiscussione erano le frontiere orientali (per cui l’Italia è d’accordo, ma non la Francia, alleata
dei polacchi) e il disarmo (questione molto importante per Hitler). Il testo dell’accordo finale
uscì completamente diverso dagli intendimenti italiani, poiché non erano presenti riferimenti
a modifiche né agli assetti territoriali né ai trattati di pace. Il trattato non fu mai ratificato.
Nel Trattato di Versailles il disarmo della Germania era considerato un elemento di tutela e il
primo passo per il disarmo generale. Una commissione fu nominata per iniziare i preparativi
della Conferenza sul disarmo, tenutasi a Ginevra nel febbraio 1932 (quindi, prima dell’ascesa
al potere di Hitler). Durante la conferenza emersero posizioni diverse e contrastanti tra loro:
c’era chi chiedeva un disarmo quantitativo, chi qualitativo, chi entrambi, chi totale e chi,
invece, era contrario al disarmo. Il cancelliere Brüning portò avanti la sua posizione della
“uguaglianza di diritti”, nel senso che anche tutti gli altri Stati, come la Germania, avrebbero
dovuto procedere al disarmo. La posizione di Brüning non fu inizialmente accettata, al punto
che la delegazione tedesca abbandonò la conferenza a settembre, per poi tornare a dicembre
dopo che si raggiunse un compromesso per concedere la tanto agognata “eguaglianza di
diritti”. Divenuto cancelliere, Hitler fece proprie le tematiche già proposte da Brüning,
insistendo sull’applicazione del principio dell’eguaglianza di diritti e chiedendo l’immediata
riduzione degli armamenti delle altre potenze europee al livello della Germania: quindi, il
disarmo della Francia era la condizione perché la Germania non si riarmasse e continuasse a
partecipare ai lavori della Conferenza. La risposta negativa delle potenze europee spinse
Hitler a dichiarare l’uscita della Germania dalla Conferenza e dalla Società delle Nazioni.
L’uscita dalla Società delle Nazioni significava maggiore libertà di azione della Germania,
soprattutto per quanto riguardava le decisioni nel settore degli armamenti e, quindi, nella
ricostruzione della potenza militare germanica. Da una parte, le delegazioni europee tentarono
di riportare la Germania all’interno della conferenza; dall’altro, le potenze pensavano di fare
in modo che la Germania rivedesse almeno parzialmente le proprie linee guida mediante
accordi bilaterali al di fuori della conferenza, proseguendo quindi una politica di
accomodamento (che ricevette il sostegno della diplomazia britannica). I tentativi di
accomodamento fallirono perché la Germania era decisa ad intraprendere il riarmo
segretamente, aspettando il momento adatto per proclamarlo; la Francia non credeva nelle
capacità del negoziato con la Germania, e decise perciò di avviare due nuove linee per
premunirsi da eventuali sviluppi destabilizzanti: accrescere le proprie difese costruendo muri
di separazione lungo la linea Maginot e ricostruire le proprie forze militari in maniera più
salda.
Hitler prese una decisione: avrebbe continuato il riarmo clandestino, ma contemporaneamente
si sarebbe impregnato, almeno nel breve periodo, per affermare delle prese di posizione nei
confronti delle altre potenze tali da rassicurarle che tra le sue intenzioni non ci fosse
l’aggressione, in particolare nei confronti della Francia, intraprendendo una politica estera
moderata. Su questa linea, il 26 gennaio 1934 la Germania e la Polonia firmarono un patto
di non aggressione decennale, nel quale la Germania si impegnava a non ricorrere in alcun
caso alla forza per la risoluzione di questioni di confine e a non intromettersi nelle questioni
riguardanti il governo polacco e le minoranze alogene (tra cui la minoranza tedesca). Questo
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Storia delle relazioni internazionali
patto rappresentò una garanzia indiretta dei confini orientali, oltre che una fonte di grande
rassicurazione per l’opinione pubblica e le potenze europee, ma sicuramente non fu segno di
un’alterazione nel programma politico di Hitler: era necessario piegare i mezzi alla situazione,
ma non modificare gli obiettivi finali.
Accantonata per il momento la questione dei confini orientali, Hitler si occupò di consolidare
il proprio potere all’interno. Liquidò tutte le altre forze politiche, destituì il Parlamento e, alla
morte di Hindenburg, emanò un decreto per l’unificazione delle due cariche di presidente e
di cancelliere del Reich nella sua persona; soppresse con metodi radicali i concorrenti
all’interno del Partito nazista, in particolare le SA (30 giugno 1934: notte dei lunghi coltelli);
perseguì il risanamento economico con programmi di investimenti pubblici nelle
infrastrutture per diminuire la disoccupazione, e impostò un piano quadriennale di riarmo.
Hitler non abbandonò la prospettiva di una riunificazione austro-tedesca: in Austria
l’instabilità politica endemica si saldò all’opzione di Anschluss, sostenuta dal Partito
nazionalsocialista austriaco e osteggiato dalla componente cristiano-sociale. Rappresentante
dell’austrofascismo, il cancelliere austriaco Dollfuss intraprese una svolta in senso autoritario
nel Paese per contrastare sia l’opposizione socialdemocratica sia i gruppi paramilitare legati
agli ambienti nazisti e favorevoli all’Anschluss, e prospettò un avvicinamento all’Italia
(Mussolini finanziò e aiutò dal punto di vista politico l’Austria). Nel 1934, Italia, Austria e
Ungheria stipularono un accordo diplomatico, il quale prospettava la nascita di un’unione
doganale come via d’uscita rispetto alla crisi economico-politica austriaca.
Nel febbraio dello stesso anno, Italia, Regno Unito e Francia firmarono una dichiarazione
comune volta a riaffermare l’importanza dell’indipendenza austriaca e la santità dei trattati di
pace.
Per Mussolini, però, era cosciente del fatto che fosse necessario un chiarimento diretto con
Hitler sull’indipendenza austriaca: l’incontro tra i due si tenne nella primavera del 1934 a
Venezia. Entrambi ribadirono la stessa identità di vedute sulle principali linee di politica
estera, soprattutto per quanto riguardava l’Austria, ma con una differenza: al momento per la
Germania l’unificazione non era una priorità assoluta, ma l’Austria non avrebbe dovuto
dimenticare l’appartenenza al mondo germanico, che, appunto, divideva con lo Stato tedesco.
Nel luglio 1934 i nazisti austriaci attuarono un tentativo di colpo di stato, con la finalità di
provocare l’immediata sostituzione di Dollfuss (che fu ucciso) e il trapasso verso l’Anschluss.
Il colpo di stato fallì grazie alla resistenza politica sia interna (fermezza del Presidente
austriaco) sia esterna (con il contrasto al colpo di stato guidato dalla Legazione d’Austria, con
l’occupazione dei centri di potere e della comunicazione da parte di questa e con lo
schieramento delle truppe italiane al Brennero, pronte ad intervenire). Il vice di Dollfuss, von
Schuschnigg, fu nominato capo del governo.
Hitler prese le distanze dal colpo di stato e lo condannò per non alterare fin troppo presto
l’immagine di moderazione che aveva voluto alimentare.
Mussolini fu preoccupato dall’inaffidabilità di Hitler e dalle reazioni tiepide di Francia e
Regno Unito durante il colpo di stato austriaco: queste ultime ribadirono, però, l’ottica
comune a difendere l’indipendenza austriaca. Attraverso il tentativo di progetto di Patto a
Quattro, Mussolini mostrava che se l’imperialismo mussoliniano legato all’Etiopia fosse stato
accolto, l’Italia avrebbe fatto la sua parte per incanalare il revisionismo europeo della
Germania dentro il sistema della Società delle Nazioni.
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Storia delle relazioni internazionali
L’esigenza di maggiore solidarietà – derivante dalla mancata convergenza di opinioni tra
Francia e Regno Unito e dalla preoccupazione francese e sovietica per l’ascesa di Hitler –
spinse il Ministro degli Esteri francese, Barthou, a seguire una politica estera improntata a
contrastare il pericolo tedesco (sempre più reale) attraverso il rafforzamento dei legami
francesi con il recupero dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica, dato che i legami con
la Piccola Intesa e gli Stati balcanici non bastavano più.
Dopo i primi accordi commerciali stipulati tra il 1931 e il 1932, nella primavera del 1934 la
Francia e l’Unione Sovietica decisero che si sarebbero aggiornate e consultate per proporre
un piano complessivo volto alla stabilizzazione dell’Europe orientale da realizzare per tappe:
1. Realizzazione di un accordo volto a sanare l’instabilità dell’Europa orientale, basato
sulla garanzia reciproca dell’indipendenza degli Stati di quell’area (compresa anche la
Germania) e di mutuo riconoscimento dei confini, seguendo il format del Patto di
Locarno (progetto di Locarno orientale);
2. Adesione della Francia al sistema del Patto orientale e adesione dell’Unione Sovietica
al patto di Locarno: partecipazione incrociata;
3. Attestazione che i due passaggi precedenti non fossero in contrasto con i principi della
Società delle Nazioni tramite l’ingresso dell’Unione Sovietica all’interno di
quest’ultima.
L’idea di Locarno orientale non giunse mai in porto, perché la Germania riteneva inopportuna
la propria partecipazione ad un patto che potesse cristallizzare i confini orientali, oggetto della
politica estera tedesca, e per il rifiuto della Polonia a parteciparvi. Questo insuccesso non
precluse né l’ingresso dell’Unione Sovietica nella Società delle Nazioni (che avvenne nel
settembre 1934 e ottenne un seggio permanente), né la necessità dei francesi e dei sovietici di
procedere insieme per dare una risposta comune al problema tedesco attraverso il
rafforzamento dell’amicizia franco-sovietica e la creazione in un bacino di condivisione della
visione barthouniana allargabile ad altri Stati: l’Italia e il Regno Unito. I britannici prendevano
con leggerezza il problema tedesco, al contrario degli italiani, con i quali i francesi iniziarono
a studiare la risoluzione del dissenso tra le due al fine di associare l’Italia ad una politica di
pace nei Balcani. Fu organizzata una visita del ministro francese a Roma nel novembre 1934.
Barthou fu ucciso a Marsiglia insieme ad Alessandro I di Jugoslavia da parte di alcuni ustascia
croati.
La linea politica di Barthou fu proseguita dal suo successore, Laval, con una serie di novità:
la volontà di verificare la disponibilità della Germania approfittando del plebiscito della Saar
(facendo in modo che anche i nazisti potessero fare una campagna referendaria a favore del
ritorno in Germania senza subire limitazioni; il plebiscito si svolse nel gennaio 1935 e decretò
il ritorno della zona all’interno della Germania) e l’approfondimento della linea volta ad
allargare l’alveo delle potenze per costituire un’ottica comune insieme al Regno Unito e,
soprattutto, all’Italia. Con la sottoscrizione dell’Accordo di Roma il 7 gennaio 1935, le due
potenze si ponevano come obiettivo il contenimento del revisionismo tedesco, un fine da
raggiungere dopo aver sanato incomprensioni passate e facendo dunque tabula rasa.
La cristallizzazione degli obiettivi politici comuni ai due Paesi portò a procedere d’intesa a
partire dall’impegno a sostenere l’indipendenza austriaca. Il superamento delle controversie
fu ottenuto mediante la sistemazione di alcune vertenze su territori extraeuropei, ossia la
Tunisia e l’Etiopia. Da lungo tempo protettorato francese, la Tunisia aveva al suo interno una
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Storia delle relazioni internazionali
comunità italiana rilevante e giuridicamente privilegiata, che permetteva dunque alla
madrepatria di mantenere una posizione preminente nel Paese: l’Italia accettò la liquidazione
degli interessi della comunità italiana in Tunisia, che avrebbe dovuto essere equiparata al resto
della popolazione nel giro dei successivi trentacinque anni. Per la solidarietà manifestata
mediante il sacrificio italiano in Tunisia, i francesi riconobbero sa la legittimità degli interessi
italiani in Etiopia sia la sovranità italiana in Libia, in Eritrea e in Somalia. Nonostante i suoi
limiti, l’accordo italo-francese era destinato a rappresentare un punto fermo nella politica
francese di contenimento della Germania; inoltre, fu integrato da un accordo militare.
Il 16 marzo 1935 Hitler annunciò la ripresa del riarmo tedesco e la reintroduzione della
coscrizione obbligatoria, in evidente rottura con il trattato di Versailles (precisamente,
l’articolo 173): le motivazioni riguardavano il fatto che, secondo Hitler, i trattati di pace non
fossero giusti, perché si erano applicati solo alla Germania mentre gli altri Paesi non solo non
avevano iniziato il disarmo, ma avevano cominciato riarmo sia di fatto sia dal punto di vista
giuridico (Francia: legge dei ventiquattro mesi, ossia il prolungamento delle classi di leva
dell’esercito; aumento delle spese militari nel Regno Unito). Il riarmo tedesco era giustificato
dalle azioni della Francia e del Regno Unito, che Hitler considerava delle misure contro la
Germania.
I rappresentanti italiani, britannici e francesi (Mussolini, MacDonald e Laval) si incontrarono
per esaminare le conseguenze della decisione hitleriana e per concordare le modalità di
contrasto al revisionismo tedesco e di garanzia della pace in Europa. Il 14 aprile Francia,
Regno Unito e Italia costituirono il Fronte di Stresa: i tre si impegnavano a consultarsi
reciprocamente circa i termini della grave violazione tedesca, a tutelare l’indipendenza
austriaca e a intraprendere una politica contro le minacce alla pace in Europa; ulteriori passi
in avanti nello smantellamento dell’ordine di Versailles non sarebbero stati tollerati. Si
determinava una localizzazione specifica, ossia l’Europa centro-orientale: il mantenimento
dello status quo nell’area fu sostenuto da Mussolini, il quale a breve avrebbe intrapreso la
campagna d’Etiopia e cercò di concentrare l’attenzione della Francia e del Regno Unito su
quella zona per distrarli dalla politica coloniale italiana.
Il limiti al Fronte di Stresa riguardavano la mancata previsione di sanzioni per eventuali future
infrazioni della Germania e la persistenza di scelte unilaterali circa il modo di relazionarsi a
Hitler, in controtendenza rispetto alle esigenze di individuare linee comuni e di procedere
lungo queste.
La formula del Fronte di Stresa avrebbe avuto un grande peso politico, se Francia e Regno
Unito avessero svolto un’azione convergente e reciprocamente accettabile.
Nel maggio 1935, la Francia e l’Unione Sovietica firmarono un patto di reciproca assistenza,
nel quale affermarono di volersi premunire contro qualsiasi minaccia nei loro confronti,
stabilendo l’esigenza di consultazioni dirette: in caso di aggressione a una delle due parti
contraenti, l’altra sarebbe intervenuta, ma il sostegno sarebbe stato sottoposto alla tutela delle
procedure messe in atto dalla Società delle Nazioni tramite sanzioni e il riconoscimento
dell’aggressione prevista come casus foederis da parte del Consiglio della Società: in caso di
inefficacia delle azioni della Società delle Nazioni, l’intervento diretto avrebbe avuto luogo.
Il patto franco-sovietico fu corredato da un accordo tra URSS e Cecoslovacchia, alla quale
veniva promesso di guardare con attenzione nei suoi confronti in caso di aggressione,
strutturando un sistema più definitivo con la previsione di assicurare la controparte da
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Storia delle relazioni internazionali
aggressioni, garanzia che sarebbe scattata solo in conseguenza dell’applicazione del patto
franco-sovietico (clausola cronologica di applicazione). La reazione tedesca fu molto critica:
il sistema previsto dal patto franco-sovietico era orientato contro la Germania, che aveva
avuto ragione a riarmarsi e che quindi doveva continuare in tale senso; inoltre, secondo Hitler,
la Francia si stava ponendo in contrasto con i principi precedentemente stabiliti, considerando
quindi il patto franco-sovietico come l’estensione illegittima alle clausole orientali del Patto
di Locarno.
Il mese successivo britannici e tedeschi conclusero un accordo navale, detto anche “del 35%”:
con questo accordo, che riguardava le reciproche marine militari, il tonnellaggio della flotta
tedesca non avrebbe dovuto superare del 35% quello della flotta britannica, proporzione che
sarebbe salita del 45% per i sottomarini; il limite poteva essere superato in modo unilaterale
dopo una discussione amichevole con il governo britannico. Lo scopo dell’accordo era quello
di parametrare il tasso di crescita attuale e limitare la crescita futura della flotta tedesca
ponendo una cifra numerica come limite massimo (simile al Two-Powers Standard). Di fatto,
il significato politico dell’accordo era chiaro: legittimava il riarmo tedesco, in
contrapposizione con la lettera degli intendimenti manifestati a Stresa, e apriva una crepa
profonda nel fronte unito.
Iniziata il 3 ottobre 1935, l’aggressione italiana all’Etiopia fu l’ultima guerra coloniale
scatenata da una potenza europea per la conquista di un impero. L’impostazione della politica
coloniale fascista aveva origine in quella crispina, che consisteva nell’inserimento all’interno
della vita politica e sociale in Abissinia tramite l’appoggio diretto di un contendente al titolo
di negus per garantirsi una presenza qualificata nell’area. La politica coloniale italiana in
Abissinia era stata frenata dalla rovinosa sconfitta ad Adua, ma aveva ripreso durante i
negoziati per l’ingresso in guerra con la richiesta di possedimenti coloniale e la ricerca
dell’appoggio di ferenti internazionali da parte dell’Italia.
Mussolini riprese dunque la tradizione coloniale italiana, appoggiando uno dei contendenti al
titolo di negus, ras Tafarì Maconnèn, e stipulando con questi un accordo: fu nominato negus
con il nome di Hailé Selaissié. Da parte italiana c’era il sospetto che le promesse non
sarebbero sta L’ultima spinta verso il baratro del Fronte di Stresa fu l’impresa te mantenute,
mentre il negus cercò di emanciparsi dall’influenza italiana, anche perché l’Etiopia era uno
Stato sovrano e indipendente e faceva parte della Società delle Nazioni.
L’intervento italiano iniziò dopo il fallimento della disputa nella Società delle Nazioni
sull’incidente di Uàl-Uàl del 5 dicembre 1934 (oasi nella regione dell’Ogaden sul confine tra
Etiopia e Somalia oggetto di una serie di dispute di confine relative al possesso della zona,
rivendicato sia dagli italiani sia dagli etiopici, che degenerarono in uno scontro armato).
Credendo di avere l’appoggio indiscriminato da parte anglo-francese, Mussolini decise di far
iniziare l’aggressione italiana contro l’Etiopia. Pur guardando con simpatia la tutela degli
interessi italiani nell’area, britannici e francesi si schierarono contro l’uso della forza in
Etiopia: il governo francese aveva sì concesso mano libera all’Italia in Etiopia, ma non con
l’uso della forza; il governo britannico era disposto a fare concessioni marginali ed era
condizionato dall’esito di alcuni sondaggi per la pace promossi dall’Unione per la Società
delle Nazioni, in cui la maggior parte dei partecipanti si dichiaravano a favore della politica
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Storia delle relazioni internazionali
di disarmo e di pace della Società delle Nazioni e dell’applicazione di sanzioni contro gli Stati
aggressori.
L’Etiopia presentò una procedura di ricorso alla Società delle Nazioni, in cui iniziò una guerra
diplomatica. Nella sua fase iniziale, Regno Unito e Francia sostennero l’Etiopia, mosse dalla
volontà di porre fine all’aggressione italiana attraverso le sanzioni. Alla fine dell’anno,
britannici e francesi ripresero le ipotesi di soluzione diplomatica accettando l’idea di
occupazione italiana, però salvando la faccia al negus e arrivando ad una soluzione
diplomatica con la partecipazione delle parti coinvolte: i Ministri degli esteri francese e
britannico presentarono un documento congiunto, nel quale si dicevano disposti a riconoscere
i tre quarti dell’Etiopia all’Italia e un quarto al negus, garantendogli uno sbocco al mare.
Il piano fallì perché il piano Laval-Hoare fu fatto trapelare alla stampa: questo provocò una
grande mobilitazione dell’opinione pubblica e le dimissioni del ministro britannico.
Questo fallimento portò l’allontanamento decisivo e duraturo dell’Italia dalla Francia e dal
Regno Unito, che chiesero e ottennero l’accrescimento delle sanzioni all’Italia. Le sanzioni
furono molto blande, anche perché gli Stati Uniti proseguirono i commerci con l’Italia e
perché Mussolini promosse l’autarchia e la campagna antifrancese, momento di massimo
consenso del regime.
La disgregazione del Fronte di Stresa dopo il fallimento della risoluzione diplomatica e il
ripiegamento dell’Italia verso la Germania furono i germi iniziali di una sostanziale inimicizia
tra Italia da un parte e Regno Unito e Francia dall’altra.
Gli anni compresi tra il 1935 e il 1937 videro un cambiamento di scenario internazionale
molto importante, partito appunto con la disgregazione del Fronte di Stresa.
Il 2 marzo 1936 Hitler violò per la seconda volta le clausole del trattato di Versailles attraverso
la dichiarazione di rioccupazione della Renania (la cui demilitarizzazione era prevista dagli
articoli 42 e 43): il pretesto giuridico riguardava la ratifica da parte francese del trattato di
mutua assistenza con l’Unione Sovietica. Hitler inviò un contingente di trentaseimila uomini
e ordinò la costruzione della linea di fortificazione denominata Sigfried, parallela alla linea
Maginot. Le reazioni da parte della Francia e del Regno Unito furono limitate ed inefficaci
(la Francia stava affrontando una forte debolezza interna, legata all’ascesa delle sinistre del
Fronte Popolare; il Regno Unito aveva già iniziato il riarmo e stipulato accordi militari e
commerciali con i tedeschi); da parte dell’Italia non ci furono reazioni, in linea con la nuova
politica volta al riavvicinamento alla Germania.
Il 1936 fu caratterizzato da momenti di avvicinamento italo-tedesco e di forte frizione tra
questo fronte e le democrazie occidentali.
La Spagna stava affrontando difficoltà legate al mutamento da Paese agricolo a Paese
industrializzato, ed era caratterizzata da debolezza politica già dagli inizi del XX secolo, che
fu una stagione di grandi trasformazioni e di problemi interni dovuti alla frammentazione
delle forze politiche spagnole: la crisi della monarchia di Alfonso XIII di Borbone (che fu re
dal 1902 al 1931) e la dittatura di Primo de Rivera (1923-1930); la proclamazione della
repubblica, durante i cui anni (dal 1931 al 1936) si alternarono governi di destra e di sinistra;
le elezioni del 1936 videro la vittoria del Fronte Popolare e l’inizio del governo Azaña, contro
il quale si schierarono i militari spagnoli. Il conflitto iniziò il 17 luglio 1936 con il
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Storia delle relazioni internazionali
pronunciamiento da parte di alcuni generali di stanza nel Marocco spagnolo, con oggetto
l’opposizione al governo centrale di Madrid, incitando il Paese alla rivolta; il motivo dietro
questa presa di posizione riguardava l’uccisione di Carlos Otelo, leader della Falange. I tre
generali a capo dei militari rivoltosi (tra cui Francisco Franco) proclamarono la necessità di
un rivolgimento politico. La guerra civile spagnola suscitò interessi internazionali e fu
combattuta anche intorno ai temi dell’ideologia e della propaganda. Che ci si schierasse da
una parte o dall’altra, le potenze erano guidate soprattutto da interessi politici, strategici ed
economici. Il governo legittimo di Madrid fu sostenuto dalla Francia e dell’Unione Sovietica,
mentre quello franchista a Burgos dall’Italia e dalla Germania.
Schierata a favore dei Falangisti, l’Italia era guidata da una forte componente ideologica; oltre
ciò, l’Italia vedeva come necessità l’elemento del prestigio internazionale, che andava
consolidato mediante l’instaurazione di relazioni amichevoli con una Spagna i Falangisti: la
finalità era quella di saldare il controllo del Mediterraneo occidentale, comprendendo la costa
africana, in modo da mettere in difficoltà la Francia Inoltre, gli Italiani avevano interessi sulle
isole Baleari e pensavano che la vittoria di Franco avrebbe messo in crisi i britannici per la
questione di Gibilterra.
La Germania era guidata da un generico interesse ideologico, oltre che da obiettivi strategici
(isole Canarie: esercitare pressioni sul governo britannico) e da obiettivi economici (materie
prime: necessarie per rilanciare le attività industriali legate al riarmo): quindi, una Spagna
franchista e falangista avrebbe funto da tenaglia, insieme alla Germania e all’Italia, nei
confronti della Francia.
La Francia era interessata a realizzare un effetto tenaglia speculare, supportando il governo
legittimo per evitare un ribaltamento della situazione auspicato da italiani e tedeschi; inoltre,
intendeva salvaguardare i propri interessi nel Marocco francese.
L’Unione Sovietica auspicava il successo del Fronte Popolare per costituire un blocco
antifascista in Europa. L’appoggio sovietico fu fortemente ideologico, ma incontrò un
problema: si doveva trovare un modo di attuare la partecipazione militare senza creare disagio
alla Francia e al Regno Unito (non poteva far marciare l’Armata Rossa verso la Spagna).
Il Regno Unito considerava illegittima la rivolta militare nei confronti del governo legittimo,
ma non aveva simpatie né per l’uno né per l’altro schieramento. In ogni caso, supportava il
governo legittimo, in modo da premunirsi dalle conseguenze di una vittoria della Falange, che
avrebbe ostacolato le rotte imperiali. L’intervento britannico fu caratterizzato da una
componente ideologica fortemente avvertita, ma unita ad una necessità di ponderazione dal
punto di vista diplomatico.
Il fronte italo-tedesco fu attivo dall’inizio della guerra: l’Italia fornì sostegno aeronautico (a
momenti inefficiente) alle truppe filofranchiste, che avevano bisogno di raggiungere la
Spagna dal Marocco. Inoltre, sia l’Italia sia la Germania riconobbero il governo di Burgos
come unico governo legittimo spagnolo. Mussolini e Franco stipularono un accordo segreto,
nel quale venivano assicurati gli aiuti italiani in maniera continuativa, in cambio
dell’assicurazione di una collaborazione anticomunista sia presente sia futura.
Nel momento in cui la guerra iniziò a volgere a favore dei falangisti, Stalin cercò di rivoltare
la situazione: sapendo di non potere inviare l’Armata Rossa in Spagna, organizzò una diversa
forma di partecipazioni favorendo la creazione delle Brigate Internazionali, nelle quali nessun
russo era presente e che era formate da componenti politiche differenti.
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Storia delle relazioni internazionali
Verso la fine del 1936, il Comitato di non intervento propose di negoziare un disimpegno
congiunto tra le potenze internazionali; il non intervento fu una finzione. La guerra civile
spagnola durò tre anni e si concluse nel marzo 1939 con la vittoria della Falange e l’inizio
della dittatura di Franco, che si autoproclamò caudillo.
Durante l’attestazione del disimpegno, il cambiamento dello scenario internazionale
sopravvenne la guerra civile spagnola.
Dopo la conquista dell’Etiopia, l’Italia iniziò il perseguimento di una politica estera
improntata al riavvicinamento alla Germania e alla liquidazione della questione austriaca: il
nuovo Ministro degli esteri, Galeazzo Ciano, operò fin da subito per far fare balzi in avanti
cospicui all’amicizia con la Germania.
Già dalla prima metà del 1936, Mussolini chiarì che la questione austriaca non sarebbe mai
stata motivo di ostacolo per il riavvicinamento alla Germania; la reazione di Hitler arrivò in
ritardo perché capì dopo la sincerità della nuova presa di pozione italiana.
L’accordo austro-tedesco dell’11 luglio 1936 conteneva il principio del “due Stati, una
nazione”: si ribadiva l’indipendenza delle due entità statuali, ma si affermava l’esistenza di
una matrice comune, la quale sarebbe stata la base di una politica conforme a tale principio;
di fatto, una forte applicazione del principio avrebbe portato l’indebolimento di due entità
indipendenti. Così, Hitler riconosceva la sovranità dell’Austria e prometteva di non
intervenire nella sua vita interne. Mussolini si disse molto soddisfatto dell’accordo.
Come conferma della volontà reciproca di riavvicinamento, Ciano partì in Germania per
incontrare Hitler e il suo governo. La visita aveva come scopo la sottoscrizione dei “protocolli
di ottobre”, che prevedevano il riconoscimento comune del governo falangista come governo
legittimo e la necessità di una linea comune nei confronti della Spagna. Durante l’incontro
con Hitler, Ciano gli consegnò una serie di ulteriori documenti, denominati “dossier Eden”:
una trentina di documenti dello spionaggio italiano riguardanti le comunicazioni segrete tra
Anthony Eden, Ministro degli Esteri britannico, e gli ambasciatori all’estero.
Le premesse per la realizzazione dell’amicizia tra i due Paesi c’erano: il 1° novembre 1936
Mussolini proclamò l’esistenza di un asse che congiungeva Roma e Berlino (asse RomaBerlino), che sarebbe stato il quadro di riferimento per la politica estera italiana da lì in avanti.
Il presupposto dell’Asse Roma-Berlino riguardava la risoluzione di una serie di problemi che
attanagliavano i rapporti italo-tedeschi, e il suo scopo era quello di saldare un’amicizia che
precedentemente era incompleta. Mussolini spinse per far fare passi in avanti in senso positivo
alle relazioni tra i due Paesi per il timore di un isolamento internazionale da parte della Francia
e della Germania per la questione legata alla conquista dell’Etiopia; inoltre, l’Italia avrebbe
dovuto essere privilegiata nei rapporti con la Germania rispetto a tutti gli altri Paesi (in
particolare il Regno Unito). I limiti iniziali dell’Asse concernevano la scelta di Mussolini di
non allearsi con la Germania e di mantenere un rapporto unicamente di amicizia: l’Asse
condensava l’avvicinamento in senso non di alleanza (almeno per il momento) formale
politico-militare, e l’amicizia bastava per uscire dall’isolamento e recuperare la funzione di
equilibrio in Europa; inoltre, secondo Mussolini, se fosse capitata l’occasione, la stretta
amicizia con la Germania e il privilegio dell’Italia nei confronti di quest’ultima avrebbero
permesso il rilancio del dialogo con i francesi e i britannici non da una posizione a questi
ultimi subalterna, ma su un piano di parità formale e con le spalle coperte dalla Germania.
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Storia delle relazioni internazionali
L’asse fu quindi uno strumento di pressione per riprendere le discussioni con le potenze ex
alleate, e i presupposti da parte italiana riguardavano tutte le concessioni non offerte da
britannici e francesi in precedenza, come il riconoscimento del nuovo Impero italiano.
A una settimana dall’annuncio dell’Asse, riprese il dialogo prima tra italiani e francesi e poi
tra italiani e britannici. Nel novembre 1936 Italia e Regno Unito stipularono una serie di
accordi commerciali, ossia gli accordi Ciano-Drummond. La premessa inglese per il
proseguimento dei colloqui arrivò dalla preoccupazioni per le conseguenze della guerra civile
spagnola, che aveva provocato disordini anche nelle acque del Mediterraneo tra i convogli
che portavano aiuti alle due forze belligeranti.
Il 2 gennaio 1937 fu stipulato il Gentlemen’s Agreement tra Italia e Regno Unito, un accordo
con scambio di note, quindi meno formale e meno impegnativo di un trattato vero e proprio,
ma colmo di impegno politico generale a procedere in sintonia; l’accordo specificava il luogo
diplomatico prioritario all’interno del quale questa condivisione avrebbe dovuto esplicarsi,
ossia il Mediterraneo (destabilizzato prima dalla crisi etiopica, poi dalla guerra civile
spagnola): si espresse un interesse reciproco a far sì che si trovasse un intendimento sul
Mediterraneo.
Tra le potenze si diffuse l’idea che un maggiore coinvolgimento nella guerra civile spagnola
avrebbe portato il continente ad affrontare una situazione che sarebbe sfuggita di mano e le
sue ulteriori conseguenze spiacevoli: ripresero i tentativi di dare peso alle voci che
supportavano il progressivo disimpegno e la regolamentazione dell’area mediterranea.
Entrambi a favore di questa linea, britannici e francesi convocarono una conferenza sulla
sicurezza mediterranea, atta a far prendere coscienza della situazione riguardante gli attacchi
clandestini ai convogli di rifornimento e a proseguire sulla linea della ricerca di una soluzione.
Il consenso degli italiani, prima molto forte, andò a scemare nel momento in cui Mussolini si
tirò indietro con il pretesto di essere stato accusato (a suo parere ingiustamente) di essere il
responsabile della destabilizzazione nel Mediterraneo per il forte appoggio materiale che
stava dando alla fazione franchista.
La conferenza si aprì a Nyon, in Svizzera, dal 10 al 14 settembre 1937, nella quale fu stabilito
che le acque del Mediterraneo sarebbero state interdette al traffico sovietico e che qualunque
aggressione ad una nave di commercio da parte di un sommergibile non appartenente alle
parti in conflitto nella guerra civile spagnola (repubblicani e franchisti) avrebbe autorizzato
l’intervento armato nei confronti di quest’ultimo; per scongiurare le aggressioni, si
regolamentava l’introduzione di zone di sorveglianza nelle acque internazionali del
Mediterraneo. La sorveglianza anglo-francese faceva salva la sorveglianza del Tirreno, che
sarebbe stata concessa all’Italia nel caso in cui avesse accettato. L’Italia accettò dopo che una
conferenza anglo-italo-francese le assegnò la parità con Francia e Regno Unito. Il
pattugliamento del Mediterraneo venne a operarsi e fu sia tecnicamente funzionante sia
politicamente significativo.
Almeno dal punto di vista generale, la guerra civile spagnola riassunse le caratteristiche di
una guerra interna, anche se l’Italia ebbe delle difficoltà del disimpegnarsi del tutto.
Tra le fine del 1937 e l’inizio del 1938, la Spagna non fu più una priorità assoluta per Hitler,
per quanto l’interesse nei suoi confronti persistesse. Hitler si impegnò nel proseguimento
dell’amicizia italo-tedesca; anche Mussolini, che era convinto del fatto che
all’approfondimento dell’amicizia tra i due Paesi corrispondesse un interesse italiano, visitò
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Storia delle relazioni internazionali
la Germania nel settembre 1937 (riferendosi addirittura all’ipotesi di “marciare insieme fino
in fondo”; non si parlava ancora della costituzione di una alleanza vera e propria, ma di
formalizzare il rapporto di amicizia).
Nel novembre 1937 l’Italia sottoscrisse il Patto Anti-Comintern, firmato l’anno precedente da
giapponesi e tedeschi, impegnandosi a procedere di comune accordo nei confronti delle
pratiche poste in essere dall’Internazionale comunista; il Patto prevedeva anche un protocollo
segreto, nel quale le parti si intendevano sull’impegno di non vincolarsi unilateralmente e di
non legarsi all’URSS e, in caso di attacco da parte di quest’ultima, di prenderne le distanze.
La politica estera italiana si legò così anche al Giappone.
Nel frattempo, il Giappone intraprendeva una politica estera più aggressiva: pose i fondamenti
della Dottrina Monroe statunitense in Asia – contro gli interessi delle potenze non asiatiche e
contro lo status quo imposto negli Accordi di Washington –; inoltre, riprese la strategia
offensiva nei confronti della Cina, che era ancora in una fase di guerra civile, utilizzando la
tattica dell’erosione. Nell’estate 1937 iniziò una contrapposizione militare tra Cina e
Giappone, che avrebbe portato un rivolgimento della guerra civile cinese (nazionalisti e
comunisti si allearono momentaneamente contro il nemico comune giapponese).
Intanto, in Europa, Hitler propose al Regno Unito una spartizione delle zone di influenza con
l’inizio dei negoziati per una “stretta alleanza”: Hitler avrebbe riconosciuto la potenza
coloniale e marittima britannica (fatta salva la restituzione alla Germania di alcune colonie
perse nel 1919), ma in cambio i britannici avrebbero dovuto lasciare mano libera in oriente
alla Germania e riconoscere in futuro l’egemonia tedesca in Europa. Inviato von Ribbentrop
per la chiusura di un accordo, il governo britannico non lo accettò perché troppo ostile
all’assunzione di impegni che rischiassero di bloccare iniziative future.
Hitler rimase deluso per il fallimento di questo tentativo, ma, avendo approfondito l’intesa
con i giapponesi e con gli italiani, era arrivato il momento adatto per un nuovo livello di
rivendicazioni. Nel memoriale Hossbach del 5 novembre 1937, ossia il verbale di una riunione
tra Hitler e i suoi collaboratori, si prevedeva il continuamento del programma hitleriano al
punto successivo, ossia la riunificazione di tutti i tedeschi all’interno del Reich, mediante
l’annessione prima dei Sudeti e poi dell’Austria: la distruzione della Cecoslovacchia,
dell’Austria e della Polonia (l’azione contro la quale sarebbe stata condizionata
dall’atteggiamento giapponese contro i sovietici) come Stati sovrani indipendenti sarebbe
stata la premessa per lo scoppio di una guerra che avrebbe portato alla sconfitta della Francia
e del Regno Unito entro il 1943-1944.
Però, visto il quadro internazionale favorevole (l’appeasement britannico; l’impossibilità di
un intervento francese; la posizione favorevole dell’Italia, pur con perplessità), la situazione
austriaca sembrò più matura da risolvere rispetto a quella dei Sudeti. Il governo austriaco,
guidato da von Schuschnigg, sapeva del riavvicinamento tra nazisti austriaci (il bando al
Partito Nazista fu tolto nel 1934) e nazisti tedeschi; inoltre, nel marzo dello stesso anno, il
cancelliere austriaco incontrò Hitler, il quale pronunciò un lungo discorso retorico e
aggressivo, nel quale accusò l’Austria di opporsi all’annessione e di essere fautrice da una
parte di screzi nei confronti alla Germania e dall’altra di avvicinamento alla Francia: di fatto,
fu una minaccia che il nuovo corso dovesse concretizzarsi con un nuovo governo. Il rimpasto
del governo ebbe luogo con l’assegnazione a esponenti del Partito nazista austriaco di
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Storia delle relazioni internazionali
ministeri strategici (tra cui Arthur Seyss-Inquart, che ottenne il Ministero degli Interni e della
Sicurezza).
Von Schuschnigg ebbe l’idea di convocare un plebiscito sul tema dell’indipendenza austriaca
per il 13 marzo. Göring inviò un ultimatum al cancelliere austriaco, chiedendogli di revocare
il plebiscito e di cedere la carica a Seyss-Inquart. Nonostante l’opposizione del presidente
austriaco, Miklas, si costituì comunque il governo guidato da Seyss-Inquart: il primo
provvedimento del governo fu la richiesta dell’intervento delle truppe tedesche, che
attraversarono il confine austriaco. L’Anschluss si realizzò con la legge 13 marzo 1938.
Da parte di quei Paesi che temevano l’Anschluss, le reazioni furono inesistenti o
insignificanti: l’Italia non era del tutto soddisfatta dalle modalità attraverso le quali
l’Anschluss si verificò, mentre Francia e Regno Unito non esplicitarono alcuna reazione.
Per quanto riguarda in particolare il Regno Unito, il governo di Neville Chamberlain aveva
deciso di incrementare il proseguimento sulla linea dell’appeasement nei confronti dei
tedeschi, linea che prevedeva di operare concessioni a Hitler per temperarne gli eccessi e per
ricondurre le concessioni all’interno dell’ambito diplomatico della Società delle Nazioni, in
modo da disinnescare i pericoli impliciti della sua azione. Chamberlain era cosciente dei limiti
della potenza britannica, che non sarebbe stata i grado di ingaggiare uno scontro militare con
la Germania: il compromesso pacifico avrebbe permesso di risolvere via via i vari conflitti.
Hitler era sì percepito come una personalità aggressiva e pericolosa per la pace, ma allo stesso
tempo i britannici lo consideravano anche un interlocutore più affidabile dei francesi e degli
italiani, ignorando che la prima vittima della nascita di una superpotenza in Europa sarebbe
stato proprio l’Impero britannico.
Contemporaneamente, il Regno Unito manifestò la volontà di portare avanti il dialogo con
l’Italia, al fine di contenere la portata destabilizzante della politica hitleriana con l’appoggio
italiano. La firma dei cosiddetti Accordi di Pasqua del 16 aprile 1938 manifestò il volere di
estendere la portata delle intese stipulate dai due Paesi nell’anno precedente, completandole.
Gli accordi comprendevano importanti novità politiche sulla risoluzione di controversie
bilaterali tra i due Paesi: la prosecuzione delle relazioni amichevoli; la condivisione reciproca
di informazioni militari sull’Africa orientale e la definizione di interessi comuni in Arabia
Saudita e Yemen; nessun pregiudizio sul lago Tana, essenziale per l’Egitto, e la conferma del
libero transito sul canale di Suez; divieto di propaganda ostile e previsione del ritiro dei
volontari dalla Spagna; riconoscimento dell’Impero italiano e aiuto per ufficializzare tale
riconoscimento all’interno della Società delle Nazioni, ma subordinato alla risoluzione della
questione spagnola. L’Italia poté concludere un accordo del genere grazie al fatto che l’Asse
le consentisse di stipularlo non in una posizione di subordinazione rispetto al Regno Unito,
ma come sua pari e, in aggiunta, con le spalle “coperte” dalla Germania.
Dopo l’Anschluss, l’azione hitleriana si concentrò sulla questione dei Sudeti, dando così filo
da torcere alle diplomazie e attestando la portata destabilizzante della sua politica, che di lì a
poco avrebbe fatto precipitare la situazione europea.
I tre milioni e mezzo di tedeschi che abitavano i Sudeti denunciavano di essere sottoposti ad
una situazione di soggezioni nei confronti del governo di Praga e prospettavano una maggiore
autonomia nei confronti di quest’ultimo; portatore di queste istanze in senso centrifugo era il
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Storia delle relazioni internazionali
Suden Deutsche Partei, che, rappresentante di almeno il 90% di questa minoranza etnica,
esplicitò la volontà di autonomia dal governo centrale – volontà che Hitler usò come
strumento sistematico contro il governo di Praga.
Durante il Congresso del Suden Deutsche Partei, il leader del partito, Konrad Henlein,
annunciò un programma di otto punti (il cosiddetto programma Karlsbarg), che fu inviato al
governo di Praga e di cui Hitler era a conoscenza; lo stesso Hitler aveva già fatto predisporre
un piano di emergenza che sarebbe stato applicato nel caso di fallimento di una secessione
autonoma e che consisteva in un’occupazione dell’area come premessa per la sua annessione
al Reich.
La crescente violenza delle rivendicazioni dei nazionalisti tedeschi e il concentramento di
truppe tedesche in Sassonia spinsero le cancellerie europee a decidere sul da farsi per
scongiurare un intervento tedesco: in particolare, i francesi e i sovietici, che erano legati alla
Cecoslovacchia dal patto di mutua assistenza del 1935 (i sovietici misero in evidenza come
un suo intervento a protezione della Cecoslovacchia in caso di invasione tedesca fosse
subordinato all’intervento francese, il quale era a sua volta subordinato dalla mancata
risoluzione della situazione da parte di provvedimenti presi dalla Società delle Nazioni).
Intanto, il Regno Unito cercò di rassicurare la Francia e di portare avanti tentativi diplomatici
per la risoluzione della controversia, in linea con l’appeasement. Il governo britannico inviò
a Praga Lord Runciman come mediatore nel dialogo tra le due parti interne, per tentare di fare
in modo che il governo di Praga accettasse il programma del Suden Deutsche Partei senza che
la situazione degenerasse in una secessione. Il tentativo fallì perché il governo centrale rifiutò
di approvare l’ultimo punto, che prevedeva proprio la recessione, e il Suden Deutsche Partei
ritenne insufficiente questa parziale accettazione del programma.
Il 12 settembre Hitler tenne un discorso a Norimberga, nel quale sottolineò come la Germania
non potesse più stare a guardare di fronte all’ostilità di cui i tedeschi dei Sudeti erano vittima
e come fosse necessaria la scorporazione dei Sudeti dalla Cecoslovacchia e la loro
incorporazione nel Reich per risolvere questo problema: dunque, Hitler fece in modo che la
crisi prendesse risvolti internazionali, allargandola al livello di disputa tra Stati.
L’impegno diplomatico britannico non si arrestò: Chamberlain decise di chiedere un
confronto diretto con Hitler, il quale chiese di fatto il suo benestare per il distacco dei Sudeti
dalla Cecoslovacchia e l’annessione al Reich. Prima di dare una risposta a Hitler, però,
Chamberlain doveva sentire le opinioni all’interno del proprio governo e di quello francese.
Nel piano per i Sudeti si ammise il principio della possibilità di dare vita a una revisione dei
territori della Cecoslovacchia: il piano fu accettato dai cecoslovacchi (che di fatto non
avevano altra scelta, essendo l’alternativa l’invasione tedesca del proprio territorio), ma non
da Hitler, che innalzò ulteriormente il livello di crisi affermando che il problema non
riguardasse solo i Sudeti, ma l’esistenza stessa della Cecoslovacchia.
In Europa si diffusero i timori di una guerra per via dell’inizio della mobilitazione da parte
tedesca, cecoslovacca, britannica e francese. Verso la fine del mese di settembre, Hitler
propose che l’annessione dei Sudeti fosse concessa immediatamente, e che in seguito si
sarebbe parlato della questione cecoslovacca: per questo motivo Chamberlain coinvolse
Mussolini come mediatore e iniziarono i lavori per una conferenza allo scopo di scongiurare
la possibilità dello scoppio di una guerra.
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Storia delle relazioni internazionali
La Conferenza di Monaco si tenne tra il 29 e il 30 settembre 1938: parteciparono i quattro
rappresentati delle potenze principali (Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier), ma non fu
invitato né ascoltato il presidente cecoslovacco, Beneš, né furono avvisati i sovietici.
Tutte le richieste avanzate da Hitler furono accettate, il che gli avrebbe consentito di
proseguire nell’ottenimento dei Sudeti (suo obiettivo principale) senza aver bisogno di entrare
in guerra. Da parte tedesca e da parte italiana si ribadì che una garanzia alla Cecoslovacchia
sarebbe stata data solo dopo la risoluzione di altri problemi riguardanti altre regioni abitate da
minoranze alogene che si trovavano nella stessa situazione dei Sudeti: di fatto, queste
rivendicazioni avrebbero messo in pericolo l’esistenza della Cecoslovacchia.
Dopo la Conferenza, si diffuse un clima di sollievo tra l’opinione pubblica, apparentemente
per via della constatazione che l’accoglimento delle proposte di Hitler avrebbe portato ad un
clima di pace duraturo, ma in realtà fittizio. Le conseguenze politiche di questa percezione
riguardarono da una parte la visione del ruolo dell’Italia come decisivo per la salvaguardia
della pace, dall’altra la stipulazione di due patti di non aggressione della Germania con
Francia e Regno Unito, simbolicamente l’apice della politica dell’appeasement.
Firmati rispettivamente il 30 settembre e l’8 dicembre, i due patti di non aggressione avevano
alla base una dichiarazione comune che attestava la solidarietà e l’amicizia tra le parti e la
promessa di non aggredirsi reciprocamente e di proseguire nella collaborazione; la
dichiarazione pareva premunire da pericoli futuri.
Anche dietro richiesta di Hitler, le rivendicazioni tedesche nei confronti della Cecoslovacchia
fecero in modo che le minoranze polacche e bulgare traessero ulteriore forza per scorporare
le proprie regione di appartenenza dalla Cecoslovacchia per fare in modo che Polonia e
Ungheria le incorporassero, insistendo affinché si aprissero delle trattative a riguardo.
Con un colpo di mano, la Polonia si appropriò di quelle aree popolate dalla minoranza polacca
(nel Teschen), e ciò diede forza alle rivendicazioni ungheresi. L’Ungheria, invece, iniziò un
negoziato bilaterale con la Cecoslovacchia per richiedere l’annessione della Slovacchia
meridionale; impantanatosi il negoziato, Italia e Germania intervennero per mediare: il Primo
arbitrato di Vienna del 2 novembre diede ragione agli ungheresi.
Contemporaneamente, Hitler fece leva sui dissensi tra boemi, slovacchi e ruteni per favorire
la formazione di regioni autonome e l’ascesa di movimenti indipendentisti; successivamente,
manipolò gli esponenti dei governi di Praga e di Bratislava al punto da spingere i primi a
chiedere l’intervento tedesco e i secondi a trasformarsi in uno Stato indipendente subito
sottoposto all’egemonia tedesca.
Un’ulteriore fase di crisi dei rapporti internazionali riguardò le relazioni dell’Italia con il
Regno Unito e la Francia: secondo l’ottica di Mussolini, se era vero che la pace fosse stata
salvata dall’intervento italiano a Monaco, allora l’Italia avrebbe dovuto essere considerata e
riconosciuta come una potenza affidabile mediante l’accoglimento delle richieste italiane ai
francesi e ai britannici. Chamberlain fu ben disposto nei confronti dell’Italia e fu favorevole
all’applicazione degli Accordi di Pasqua: il Regno Unito avrebbe riconosciuto l’Impero
Italiano nonostante la mancante risoluzione della questione spagnola. I francesi, al contrario,
si tennero in posizioni più distanti, dando segnali contraddittori anche rispetto al
riconoscimento dell’Impero italiano; la mancata menzione dell’Impero italiano
nell’accreditamento del nuovo ambasciatore francese a Roma e il fastidio di Mussolini per il
negoziato franco-tedesco del patto di non aggressione (da cui l’Italia rimase esclusa) e per
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Storia delle relazioni internazionali
questioni coloniali ancora aperte portarono ad un irrigidimento negoziale tra i due Paesi, il
cui apice fu raggiunto il 30 novembre 1938 con le manifestazioni anti-francesi alla Camera
dei fasci (si chiedeva il raggiungimento di nuovi accordi negoziali riguardanti Tunisi, Gibuti,
Nizza e la Corsica, ossia quelle aree in cui vivevano comunità italiane sottoposte al controllo
francese e la cui risoluzione era già passata in giudicato).
Nel gennaio 1939 Mussolini compì un passo definitivo nei rapporti con la Germania in modo
da sopravanzare il patto di non aggressione franco-tedesco e l’alleanza anglo-francese: scrisse
all’ambasciatore italiano a Berlino di informare von Ribbentrop – ora ministro degli Esteri –
che l’Italia sarebbe stata pronta a stipulare un’alleanza con la Germania.
La dissoluzione della Cecoslovacchia comportò l’inizio della fase di pre-esordio alla Seconda
guerra mondiale, il compimento da parte della Germania di nuove scelte e un atteggiamento
innovativo da parte delle potenze europee.
Le componenti essenziali dello Stato cecoslovacco portarono al suo processo di dissoluzione,
a cominciare dagli slovacchi. Dopo il riconoscimento dell’autonomia locali, questi chiesero
l’indipendenza dal resto del Paese: l’atmosfera era propizia per Hitler, il quale supportava e
sosteneva il governo locale presieduto dal monsignor Tiso, favorevole alla separazione,
assicurandogli il permanere del suo appoggio. La questione slovacca accelerò nel senso della
secessione nel marzo 1939 con l’incontro tra Hitler e il capo del governo centrale, il quale
auspicava la risoluzione della questione riponendo le sorti del Paese nelle mani del Fuhrer. Il
trapasso politico si sarebbe verificato di lì a breve: dopo l’ingresso dell’esercito tedesco in
territorio cecoslovacco, il 15 marzo Hitler fece ingresso a Praga. Il colpo di Praga portò alla
creazione della Repubblica slovacca e alla formazione del protettorato tedesco di Boemia e
di Moravia. Di conseguenza, i ruteni speravano di poter ottenere il pieno riconoscimento delle
proprie istante secessioniste, ma l’Ungheria occupò militarmente la Rutenia per portare a
compimento quel processo avviato alla fine della Conferenza di Monaco e proseguito con il
volgimento a favore dell’arbitrato di Brema del 2 novembre: Hitler era favorevole alla mossa
ungherese perché, essendo l’Ungheria confinante con la Polonia, questa situazione avrebbe
potuto giocare a suo favore.
La dissoluzione della Cecoslovacchia inflisse un duro colpo agli aspetti geo-politici stabiliti
nel trattato di Versailles: l’aggressivo revisionismo tedesco aveva raggiunto una nuova vetta
perché Hitler stava mettendo mano alla carta geografica europea là dove non c’erano
popolazioni tedesche; inoltre, Hitler approfittò dell’incapacità delle democrazie europee di
controllare le sue istanze di annessione per risolvere la questione della città tedesca di
Klaipeda (in tedesco Memel) e della regione omonima, in Lituania.
L’unica questione che rimaneva aperta era quella polacca. Hitler si rivolse ai polacchi per
comunicare loro di avere la necessità di sistemare questioni rimaste in sospeso durante le
trattative per il trattato di Versailles, ma in modo pacifico e diplomatico: infatti, il patto
tedesco-polacco del gennaio 1934 avrebbe dovuto essere indirizzato come quadro per
proteggere la “sistemazione generale dei problemi reciproci”; le questioni rimaste in sospeso
riguardavano la soluzione del corridoio polacco e della città di Danzica, che Hitler avrebbe
voluto recuperare, e l’accettazione da parte polacca della costruzione di un’autostrada e di
una ferrovia extraterritoriali che avrebbero collegato la Pomerania e la Prussia orientale. Però,
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Storia delle relazioni internazionali
la Polonia riteneva di potersi svincolare da queste rivendicazioni temporeggiando, in modo
tale da trattare in senso più favorevole alle proprie istanze e da resistere contando sull’aiuto
dei propri alleati; Hitler captò questi segnali di riluttanza, e alla fine di marzo lanciò un
ultimatum al governo di Varsavia, coerente con tutti quelli lanciati in precedenza: tra i due
Paesi non sussistevano più i margini per i contatti diplomatici, e il governo di Varsavia
avrebbe dovuto dare una risposta al problema di questi territori, altrimenti la Germania
avrebbe provveduto da sé a risolverlo.
La grande differenza rispetto agli altri ultimatum di Hitler riguardava l’atteggiamento delle
altre potenze nei suoi confronti: il Regno Unito ebbe una reazione contraria, assicurando ai
polacchi che, qualora l’indipendenza del loro Stato fosse stata messa in pericolo, avrebbe
usato tutti i mezzi possibili per aiutarla; anche la Francia si posizionò sulla stessa linea del
Regno Unito.
Chamberlain e il ministro degli esteri polacco, Beck, negoziarono la stipulazione di un patto
di mutua assistenza; i negoziati durarono fino al 25 agosto, quindi successivamente alla
stipulazione del patto nazi-tedesco, e il trattato anglo-polacco fu svuotato della sua
importanza. Il trattato franco-polacco del 1925 fu rinnovato nel maggio 1939 e corredato da
un accordo militare tra gli ufficiali degli Stati Maggiori dei due Paesi: l’esercito francese
avrebbe iniziato un’offensiva contro la Germania quindici giorni dopo l’attacco alla Polonia
e a condizione che un accordo politico avvallasse l’intesa; l’accordo politico fu sottoscritto il
4 settembre, quindi a guerra già iniziata, e Varsavia fu occupata dai tedeschi il 17 settembre.
In quel momento, però, a Hitler sembro necessario ripiegare su posizioni più calme, ma questo
non avrebbe implicato che la politica finalizzata al raggiungimento del Deutsche Raum non
sarebbe andata avanti; al rallentamento sulla linea Berlino-Varsavia per la risoluzione della
questione polacca corrispose un accelerazione sulla linea Roma-Berlino.
In quel momento, per l’Italia la Germania era un Paese amico, quasi alleato e certamente
pericoloso: il colpo di Praga aveva suscitato perplessità nella diplomazia italiana perché non
era stata informata da Hitler prima di portarlo a compimento e perché questo significò la
distruzione repentina dell’assetto creato a Monaco, di cui Mussolini fu mediatore.
Il limite della politica estera italiana era il non riuscire a trarre le conseguenze dovute dalle
azioni destabilizzanti prese unilateralmente dalla Germania: la classe dirigente italiana
provava malumore, ma in essa non c’era la volontà di soprassedere a tale proposito durante i
negoziati per l’alleanza con la Germania. Al contrario, Mussolini era interessato a dimostrare
che anche l’Italia avrebbe potuto conseguire una serie di azioni destabilizzanti in modo
unilaterale, approfittando di ciò per risolvere la questione con l’Albania. Tra l’Albania e
l’Italia c’erano buoni rapporti diplomatici e un’amicizia che consisteva nella subordinazione
della prima alla seconda; nel momento in cui l’Albania cercò di rendersi più autonoma
dall’Italia, Mussolini vide questo atteggiamento come inaccettabile e, dopo aver supportato
un colpo militare di un gruppo albanese filofascista, il 7 aprile invase l’Albania, che fu
incorporata nell’Impero italiano nel giro di due giorni.
Dopo l’invasione dell’Albania, britannici e francesi adottarono una linea di azione cauta ma
comunque indirizzata a dare garanzia a quei Paesi che fossero oggetto delle istanze dell’Asse:
oltre alla Polonia, assicurarono il loro sostegno alla Romania (Stato sotto la lente di
ingrandimento di Hitler per questioni legate alla sua posizione geostrategica, alle
telecomunicazioni e alle risorse petrolifere), alla Grecia (ossia l’obiettivo in linea teorica
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Storia delle relazioni internazionali
successivo per la politica estera italiana) e alla Turchia (prima solo da parte del Regno Unito,
poi anche dalla Francia). Regno Unito e Francia temevano azioni sempre più destabilizzanti
e pericolose da parte dell’Asse, quindi prospettarono un allargamento del loro fronte
diplomatico all’Unione sovietica, con lo scopo di ricomprendere quest’ultima della protezione
dei Paesi oggetto di minacce e di porre fine alle pericolose istanze hitleriane.
Ciò che preoccupò particolarmente i due Paesi fu l’accelerazione delle trattative del negoziato
italo-tedesco. Inizialmente, i negoziati ripresero su uno schema trilaterale – quindi tra Italia,
Germania e Giappone –, ma quest’ultimo si sganciò dalle trattative perché non voleva essere
coinvolto in alleanze militari per questioni europee, preferendo una semplice amicizia con gli
altri due. Durante la conduzione delle trattative, l’Italia premeva affinché il patto di alleanza
con la Germania prevedesse un periodo di pace compreso tra i tre e i cinque anni: infatti,
l’Italia temeva che la stipulazione dell’alleanza avrebbe portato la Germania a sentirsi più
sicura e a scatenare una guerra, cosa a cui Mussolini e Ciano erano assolutamente contrari
perché coscienti del fatto che l’Italia non fosse pronta per entrare in guerra. I tedeschi
sembrano disponibili a fare questa concessione, quindi gli italiani permettono loro di pensare
alle restanti clausole. La versione finale del patto, però, conteneva poche clausole ma
estremamente vincolanti: la natura del patto cambiava da difensiva ad – anche – offensiva (il
casus foederis all’articolo 3 riguardava “complicazioni belliche” e non specificava se la loro
natura fosse solo offensiva o anche difensiva); l’entrata in vigore del patto sarebbe stata
immediata; il patto sarebbe durato dieci anni. Nonostante l’impegno gravosissimo che questo
patto avrebbe comportato, gli italiani lo sottoscrissero comunque: il 22 maggio 1939 tedeschi
e italiani firmarono il cosiddetto Patto d’acciaio, che suggellava l’alleanza tra i due Paesi.
Il giorno dopo gli italiani si accorsero di aver firmato un accordo troppo vincolante, che non
prevedeva né il periodo di pace richiesto dall’Italia né alcun accenno all’Alto Adige e alla
Polonia: per rimediare, Mussolini scrisse a Hitler un memorandum di integrazione al Patto
d’acciaio, in attesa di un incontro tra i due per l’integrazione degli accordi; Hitler evitò di
incontrare Mussolini prima di aver dato inizio alla guerra.
Inoltre, non era presente alcuna garanzia sul riconoscimento della specialità dell’Alto Adige,
dove la maggioranza degli abitanti era di lingua e cultura tedesca, rispetto alle politiche
espansionistiche di Hitler. I due decisero di stipulare un altro accordo a riguardo, nel quale
era previsto che la questione riguardante l’Alto Adige sarebbe stata risolta attraverso una
consultazione referendaria da sottoporre direttamente alla popolazione altoatesina, alla quale
sarebbe stato chiesto se preferissero restare in Italia o essere congiunti alla Germania: nel
primo caso, lo status quo non sarebbe cambiato; nel secondo caso, invece, il territorio
dell’Alto Adige sarebbe rimasto all’Italia, mentre la popolazione si sarebbe trasferita
oltreconfine. In effetti, questo plebiscito ebbe luogo alla fine del 1939, ma il trasferimento
non ebbe mai luogo perché la popolazione preferì aspettare la fine della guerra.
Le democrazie occidentali avevano deciso di assumere una posizione di irrigidimento politico
verso il Patto d’acciaio, di rafforzare i legami con i Paesi che avrebbero rischiato di cadere
nel mirino politico della Germania e dell’Italia e di riprendere un discorso di sintonia con
l’Unione sovietica.
Il rilancio dei tentativi diplomatici avvenne sotto l’egida della situazione polacca: secondo gli
anglo-francesi, le minacce tedesche potevano voler dire l’inizio del conflitto ed essere la prova
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Storia delle relazioni internazionali
che l’idea dello spazio vitale ad Oriente corrispondesse ad un’azione pratica, della quale Stalin
avrebbe dovuto preoccuparsi e per la quale era necessario un fronte comune con gli anglofrancesi.
Essendo un dato di fatto che la politica tedesca fosse preoccupante, Stalin era disposto ad
ascoltare le proposte degli anglo-francesi, ma non ad alterare le posizioni di equidistanza
dell’Unione sovietica rispetto a questi ultimi e ai tedeschi: infatti, Stalin aveva l’intenzione di
ascoltare anche che cosa la Germania avesse da offrirgli, in modo tale da poter scegliere il
fronte che avrebbe comportato maggiori vantaggi alla propria politica estera.
C’era quindi un assenso di fondo tra le tre potenze per arginare la minaccia tedesca, ma
concretamente sovietici ed anglo-francesi non si intendono per via di una diversità di vedute.
L’Unione sovietica auspicava che si desse vita ad una fascia di sicurezza, ossia un sistema
orientale che garantisse da una parte agli Stati appartenenti l’indipendenza dalla Germania,
dall’altra all’Unione sovietica una garanzia in più contro l’egemonia tedesca. Stalin mosse
questa proposta sul presupposto che fosse necessario capire anche come agire qualora si
prospettasse davvero la minaccia tedesca: l’URSS era disposta ad intervenire in caso di
attacco tedesco a uno degli Stati della fascia di sicurezza, ma in cambio questi ultimi
avrebbero dovuto garantire diritti di passaggio all’Armata Rossa.
La costituzione di una fascia di sicurezza diede preoccupazioni a Londra e a Parigi: le
diplomazie anglo-francesi erano sì coscienti della sua necessità, ma nutrivano allo stesso
tempo il sospetto che l’Unione sovietica volesse assicurarsi non solo protezione ma anche una
sorta di “cambiale in bianco” per una futura espansione sovietica. Il negoziato rallentò.
Contemporaneamente, di fronte alle incertezze anglo-francesi, Stalin trattò segretamente con
Hitler su questo punto: la sua intenzione era quella di verificare che la Germania avesse
l’interesse della costituzione della fascia di sicurezza. E in effetti, Hitler aveva questo
interesse: la sua priorità era la liquidazione della questione polacca nel senso di una
disgregazione dello Stato, ma era consapevole del fatto che, in caso avesse attaccato la
Polonia, Regno Unito e Francia sarebbero intervenute e che, se l’Unione sovietica avesse
concluso un’alleanza con queste ultime, avrebbe dovuto impegnare l’esercito su due fronti,
scenario che avrebbe voluto evitare.
I negoziati tra Stalin e Hitler iniziarono in sordina, ponendo basi generali riguardanti la
soluzione di questioni economiche e commerciali tra i due Paesi. Successivamente,
procedettero in maniera più spedita rispetto al negoziato tra sovietici ed anglo-francesi.
A maggio i sovietici proposero la questione sulla disponibilità tedesca ad inserire una base
territoriale – ossia quella della fascia di sicurezza – all’interno dell’intesa, come
riconoscimento futuro che da occidente non sarebbe mai arrivata una minaccia all’esistenza
sovietica. I tedeschi si mostrarono subito disponibili.
L’elemento politico riguardava quindi l’attestazione che la Germania non avesse altri interessi
sui territori sovietici; l’elemento territoriale concerneva il riconoscimento prioritario da parte
tedesca all’URSS della fascia di sicurezza come cuscinetto tra il mondo sovietico e quello
occidentale: implicava cioè una divisione delle sfere di influenza nel continente, legato ad un
via libera reciproco all’allargamento.
Il ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop si recò a Mosca per incontrare il suo omologo
sovietico, Molotov, e sottoscrivere un patto con questi. Firmato il 23 agosto 1939, il Patto
Ribbentrop-Molotov corrispose alla quadratura del cerchio sia per la Germania (sistemare la
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Storia delle relazioni internazionali
questione polacca senza preoccuparsi del fronte orientale) sia per l’Unione sovietica, poiché
prevedeva il riconoscimento di nuovi territori e l’assicurazione che Hitler non avrebbe
attaccato la zona di influenza sovietica.
Il Patto Ribbentrop-Molotov consisteva in un patto di non aggressione dalla durata di dieci
anni che avrebbe quindi assicurato sicurezza sia politica sia militare ai due contraenti. Inoltre,
fu allegato anche un protocollo segreto in quattro articoli riguardante la divisione delle sfere
di influenza: la Polonia sarebbe stata divisa in due parti, una centro-occidentale alla Germania
e una centro-orientale all’Unione sovietica, lungo i fiumi Narew, Vistola e San; Estonia,
Lettonia e Finlandia avrebbero fatto parte della sfera sovietica, la Lituania a quella della
Germania; infine, l’URSS avrebbe visto riconosciuto il proprio interesse in Bessarabia.
Il patto rappresentò la spinta decisiva per lo scoppio della guerra.
Il 1° settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia da occidente, seguita qualche giorno dopo
dall’attacco sovietico ad oriente. L’attacco tedesco in Polonia portò le democrazie occidentali
– Regno Unito e Francia – a dare un ultimatum a Hitler, al cui rifiuto fece seguito lo scoppio
del conflitto con la dichiarazione di guerra datata 3 settembre.
In questa prima fase europea, Germania e Unione sovietica riscossero grandi vittorie; inoltre,
era ancora attiva la democrazia. Per Hitler, la guerra avrebbe potuto concludersi in quel
momento preciso: non avrebbe accettato l’ultimatum anglo-francese, ma si dichiarò disposto
a dar vita a colloqui di pace e a ricostruire la Polonia attraverso una costruzione diplomatica.
Legata a questa idea era la modifica del Patto Ribbentrop-Molotov del 28 settembre con
l’accordo sulle frontiere, nel quale era previsto che, in cambio del passaggio della Lituania
all’Unione sovietica, l’egemonia tedesca si sarebbe espansa verso il centro della Polonia.
Intanto, le difficoltà delle armate sovietiche contro la Finlandia incoraggiarono Hitler a
sfruttare la presunta fragilità militare sovietica e a proseguire nella sua strategia occidentale.
La soluzione proposta da Hitler al problema polacca consisteva nella ricostruzione della
Polonia all’interno della sfera territoriale di influenza tedesca, in modo che fosse
ridimensionata ma più salda, in cambio di una pace di compromesso che mettesse fine alla
guerra: questo prevedeva la “prima offensiva di pace” di Hitler del 6 ottobre. Il rifiuto
dell’offerta di Hitler da parte anglo-francese fu un segno del mutamento nella politica
europea, in particolare quella britannica.
Nella primavera 1940 l’avanzata tedesca si mosse verso la Danimarca, per poi passare alla
Norvegia, ai Paesi Bassi e al Belgio. Il 10 maggio i tedeschi attaccarono la Francia utilizzando
la strategia del 1914 e riadattandola approfittando di una lacuna tra la linea Maginot e lo
schieramento dei contingenti anglo-francesi. La Francia capitolò nel giro di quaranta giorni:
il governo Reyaud si dimise e gli subentrò il generale Henri-Philippe Pétain, espressione della
destra filonazista francese. L’armistizio fu firmato il 22 giugno nella foresta di Compiègne,
simbolicamente sulla vettura ferroviaria di Rethondes dove era stato firmato l’armistizio del
1918. La Francia fu divisa in una parte nord, comprendente la costa atlantica fino alla Loira
e con Poitiers e Tours, che sarebbe stata occupata dai tedeschi; e una parte sud, comprendente
la Savoia, Lione e tutta la Francia meridionale, dove fu installato il governo collaborazionista
con sede a Vichy e guidato dal generale Pétain.
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Storia delle relazioni internazionali
Con la “seconda offensiva di pace”, Hitler si appellò al Regno Unito, proponendo al governo
britannico di riconoscere la supremazia della Germania sul continente europeo in cambio del
riconoscimento da parte tedesca della supremazia britannica sui mari.
Il rifiuto britannico da parte del governo di unità nazionale guidato da Churchill segnò la fine
dell’appeasement e portò Hitler ad iniziare il tentativo di invadere le isole britanniche.
Nel frattempo, l’Italia, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo più attivo in questa fase,
affrontava delle difficoltà: era preoccupata per il patto Ribbentrop-Molotov, di cui non era a
conoscenza; inoltre, Mussolini sperava, prima dello scoppio della guerra, di porsi come
mediatore tra le parti; poi, il Paese era impreparato al conflitto.
Dopo aver chiesto aiuto tedesco nel riarmo in cambio della partecipazione italiana, il 2
settembre 1939 Mussolini dichiarò la posizione italiana rispetto al conflitto come di “non
belligeranza”, ossia non neutrale ma neanche in guerra.
Più le vittorie militari proseguono, più Hitler diventava irritato per l’inerzia dell’alleato:
l’Italia avrebbe dovuto partecipare alla guerra a fianco della Germania, altrimenti sarebbe
stata tagliata fuori dagli accordi di pace e ne avrebbe subito le conseguenze. La sconfitta della
Francia portò con sé un cambio di prospettiva nella visione di Mussolini: era conveniente
entrare in guerra in quel momento perché il conflitto sarebbe terminato di lì a poco, dato che
anche il Regno Unito avrebbe riconosciuto l’egemonia tedesca ed accettato il nuovo stato
delle cose: il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra al Regno Unito e alla Francia agonizzante
(coup de poignard).
Il fallimento dell’Operazione Seelöwe (Leone Marino) – ossia l’invasione del Regno Unito,
iniziata l’8 agosto 1940 – segnò un nuovo punto di svolta nella Seconda guerra mondiale.
Se sino al 1941 la Germania dominò la scena, annichilendo anche la volontà di altri Stati nel
compiere scelte autonome, a partire da quell’anno non fu più il primo motore della
trasformazione e divenne l’oggetto della politica altrui.
La strategia tedesca ebbe quindi un punto di arresto con il fallimento dell’invasione del Regno
Unito, che fu una sconfitta pesante per la Germania e che spinse Hitler ad attendere condizioni
più favorevoli. Hitler prese coscienza del fatto che il conflitto si sarebbe prolungato più di
quanto auspicato, quindi revisionò le proprie scelte politiche verificando gli appoggi su cui
ancora poteva contare e scongiurando che il Regno Unito potesse trovare appoggio da parte
di alleati che avrebbero potuto mettere in pericolo la strategia tedesca. A riguardo di ciò, Hitler
era scettico su un possibile intervento americano, perché in quel momento gli USA erano
alieni alla partecipazione alla guerra, ma restava comunque il pericolo della ripresa
dell’azione diplomatica britannica verso l’URSS.
Verificato il legame con l’URSS, la situazione era positiva, ma non quanto Hitler avrebbe
voluto. A seguito del ricongiungimento dei Paesi baltici, di una parte meridionale della
Finlandia, della Bessarabia e della Bucovina settentrionale, Hitler si preoccupò per la
questione romena: la Romania era rimasta vittima delle richieste sovietiche, bulgare ed
ungheresi, e questo significava che l’URSS avesse mire espansionistiche in altre aree
dell’Europa; in effetti, Stalin voleva proseguire la propria avanzata verso l’area meridionale,
quindi l’area del Mediterraneo e degli Stretti. Inoltre, il brusco rovesciamento di fronte in
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Storia delle relazioni internazionali
Romania a favore della Germania fu ben accolto a Berlino, ma venne visto da Mosca come
un elemento preoccupante.
Per contenere le mire sovietiche, Hitler offrì la spartizione di sfere di influenza su base
mondiale proponendo all’URSS di entrare a far parte del Patto tripartitico, stipulato tra
Germania, Italia e Giappone il 27 settembre 1940 (il patto prevedeva l’individuazione di
sfere di influenza su scala mondale, dando preminenza tedesca in Europa, preminenza
giapponese in Estremo Oriente ed italiana nell’area balcanica e mediterranea). All’URSS
furono offerti il continente indiano, l’Afghanistan, l’Iran e l’area del Golfo persico. Stalin fu
portato a dire di sì, ma a suo parere, se ci fosse stato bisogno di dar vita ad un allargamento
della collaborazione e al suo rinsaldamento, ci si sarebbe dovuti accordare prima sulla
sistemazione delle questioni riguardanti l’appoggio in Finlandia e per l’estensione del
controllo sovietico verso la penisola balcanica, la Romania, l’Ungheria, la Jugoslavia e la
Grecia, oltre alla proposta di modificare la Convenzione di Montreux del 1936 sulla
navigazione degli Stretti.
Di tutto questo si parlò nei colloqui a Berlino tra Molotov e Hitler e Ribbentrop, tra il 12 e il
13 novembre 1940, che si conclusero in un sostanziale fallimento. Le riserve reciproche tra i
due dittatori erano inoltre troppo forti per un’alleanza duratura e stabile.
Il fallimento di questo accomodamento generale e la prova mediocre fornita dalle truppe
sovietiche in Finlandia portarono Hitler a pensare che fosse arrivato il momento giusto per
perfezionare il piano di invasione dell’URSS e quindi la ripresa dell’obiettivo originario
dell’espansione dello spazio vitale verso Est.
L’attacco contro l’Unione sovietica doveva iniziare il 15 maggio 1941, ma una serie di
ostacoli politico-diplomatici e una situazione militare inattesa spinsero Hitler a rinviare
l’attacco a giugno: il piano di attacco prevedeva infatti una Jugoslavia tranquilla, e quindi la
rottura della crisi interna tra elementi filonazisti ed elementi antinazisti e filosovietici spinse
Hitler ad intervenire direttamente; sia i comandanti jugoslavi sia quelli greci si arresero e
firmarono un armistizio.
Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l’operazione Barbarossa. L’attacco era coerente con i progetti
strategici di Hitler: una fase necessaria per la conquista dello spazio vitale, ma secondaria nel
quadro delle operazioni di guerra. Le previsioni di Hitler circa il contemporaneo intervento
giapponese furono screditate quando il 13 aprile venne stipulato il patto di neutralità nipposovietico; inoltre, gli aiuti che di lì a poco i sovietici avrebbero ricevuto da parte degli Stati
Uniti dopo l’approvazione del Lend-Lease Act sarebbero stati di fondamentale importanza
contro le truppe naziste, che si ritrovarono bloccate e quasi senza rifornimenti.
L’attacco a sorpresa prevedeva tre direzioni: verso Leningrado, verso Mosca e verso l’Ucraina
e la Russia meridionale. L’offensiva iniziale fu penetrante e folgorante, al punto che già nella
prima settimana dall’inizio delle ostilità si temeva per la tenuta dell’URSS, messa in pericolo
dalla volontà delle voci centrifughe di disgregarsi.
La resistenza sovietica all’aggressione tedesca era debole ed improvvisata. Stalin operò subito
in senso di rinsaldamento delle file sovietiche, appellandosi direttamente ai cittadini e
chiedendo loro di far fronte all’invasore straniero come ai tempi di Napoleone, trasformando
la guerra in una grande azione patriottica.
Tutto ciò avrebbe comportato un avvicinamento al Regno Unito e, quindi, anche agli Stati
Uniti; quello che Hitler aveva temuto si stava realizzando: ci furono dei contatti diretti tra
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Storia delle relazioni internazionali
Stalin e Churchill. I primi restarono sul vago per via della volontà di Churchill di verificare
la capacità di resistenza sovietica, dietro il consiglio del presidente americano Roosevelt.
La reazione di Stalin ebbe un duplice significato: da un lato, rese palese il fatto che egli
prefigurasse una Germania sconfitta da una coalizione globale comprendente l’Unione
sovietica in una posizione dominante; dall’altro, svuotò di significato l’accordo nazi-sovietico
dell’agosto 1939 e riabilitò la posizione dell’Unione sovietica nella Comunità internazionale.
Le truppe naziste avevano accerchiato Leningrado e raggiunto Kiev, ma in inverno alcune
colonne si fermarono a pochi chilometri da Mosca per via delle difficoltà di movimento e per
la tenace resistenza sovietica. Hitler rinunciò ad un’ulteriore avanzata verso la capitale e
decise di inviare le colonne verso il bacino carbonifero e industriale del Donez e verso il
Caucaso per interrompere i rifornimenti petroliferi, forte degli elementi filonazisti in Medio
Oriente (dove era in corso una guerriglia antibritannica) e dell’avanzata delle truppe del
generale Rommel nell’Africa settentrionale.
Dopo l’interruzione invernale tra il 1941 e il 1942, le operazioni militari ripresero con
clamore; però, le truppe naziste erano logorate dalla guerriglia e dalla scarsità di risorse,
mentre i sovietici contavano già sugli aiuti americani. Il limite dell’avanzata tedesca fu
raggiunto con l’occupazione di Stalingrado nel settembre 1942; mentre le altre forze erano
bloccate intorno a Leningrado e a Mosca, dal febbraio 1943 ebbe luogo la battaglia decisiva
sul Volga, che si sarebbe conclusa in una disastrosa ritirata dei tedeschi.
Intanto, tra il 1939 e il 1941 Regno Unito e Stati Uniti si allinearono prima in funzione antigiapponese e poi coordinarono le proprie politiche anche in ambito europeo, nonostante
inizialmente un intervento diretto degli USA nel conflitto non fosse previsto.
L’abbandono dell’isolazionismo da parte degli USA fu un processo lungo e tortuoso rallentato
dalla concentrazione dell’amministrazione democratica verso problemi interni e dalla
diffidenza verso i Paesi europei che non avessero ancora completato il pagamento dei debiti
contratti nel precedente conflitto mondiale. Le iniziative sempre più virulenti e destabilizzanti
da parte della Germania, culminate con la sconfitta della Francia, fecero cambiare idea
all’amministrazione americana circa la possibilità di fornire aiuti concreti al Regno Unito.
Il superamento degli Atti di neutralità (approvati a partire dall’agosto 1935, prevedevano il
divieto ai cittadini statunitensi di vendere o trasportare armamenti verso Paesi belligeranti e
di effettuare prestiti alle due parti in conflitto) mediante la modifica legislativa e
l’introduzione del sistema cash and carry (acquisto in contanti e trasporto da parte
dell’acquirente) avevano una natura politica consistente da un lato nel rendere salde le
esigenze politiche-militari statunitensi, dall’altro a favore del Regno Unito, che disponeva di
una flotta mercantile disponibile ad operare questo interscambio.
Le tappe progressive del coinvolgimento statunitense seguirono il proseguimento del
conflitto. Con l’inizio della Battaglia d’Inghilterra, i britannici rivolsero un appello al
presidente Roosevelt affinché questi li sostenesse attraverso il prestito di cinquanta-sessanta
cacciatorpediniere in cambio dell’occupazione di alcune basi britanniche in America
(Bermuda, Bahamas, Giamaica, Antigua e la Guyana inglese); Roosevelt acconsentì mediante
un executive agreement (che non comportava l’approvazione del Senato per entrare in
vigore), nonostante il 1940 fosse un anno di elezioni negli USA, e, durante la campagna
elettorale, Roosevelt avesse raggiunto un compromesso con i suoi avversari che prevedeva il
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Storia delle relazioni internazionali
non intervento in Europa. Roosevelt vinse le elezioni di quell’anno e fu confermato per il
terzo mandato.
Il presidente si avviò verso una nuova linea: attraverso un programma radiofonico, i “discorsi
al caminetto”, avrebbe convinto la popolazione che l’intervento statunitense nella guerra fosse
necessario, perché una vittoria tedesca in Europa avrebbe significato problemi reali per la
sicurezza nazionale e per gli interessi americani, dato che i piani di Hitler prevedevano
l’accerchiamento degli Stati Uniti. Il 16 settembre fu approvata la legge che istituiva il
servizio militare negli Stati Uniti, i quali passavano in questo periodo dalla neutralità alla
“non belligeranza”.
Il gesto più importante nel rapporto anglo-americano fu l’approvazione del Lend-Lease Act
nel marzo 1941. Mesi prima Churchill aveva spiegato a Roosevelt le difficoltà future che
avrebbe avuto il Regno Unito nel continuare ad acquistare in contanti il materiale bellico dagli
Stati Uniti; il presidente americano propose un sistema che consisteva nel prestare tutto il
materiale di cui il Regno Unito o i suoi Paesi amici potessero aver bisogno, lanciando subito
dopo una campagna pubblicitaria a sostegno di quest’idea per vincere le resistenze degli
isolazionisti. La legge apriva al Regno Unito un credito illimitato (pagabile in seguito anche
con rimborsi in natura) e dava al presidente americano una grande discrezionalità nel poter
utilizzare a piacimento la produzione di guerra americana.
Con l’inizio dell’Operazione Barbarossa, gli statunitensi iniziarono a ragionare sul fatto che
fosse necessario concedere aiuti anche all’Unione sovietica sulla base del Lend-Lease Act per
gli stessi motivi dietro il conferimento di aiuti ai britannici.
La prima importante missione del Segretario di Stato, Hopkins, fu quella che lo condusse a
Mosca all’indomani dell’attacco tedesco, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1941; egli
conferì con Molotov e Stalin, i quali gli riferirono le necessità primarie dell’Unione Sovietica
in materia di armamenti. Il 16 agosto Stati Uniti e Regno Unito davano il loro assenso alle
forniture militari e di altro materiale necessario all’URSS.
Successivamente Hopkins fu il principale artefice dell’incontro tra Churchill e Roosevelt al
largo di Terranova dal 9 al 13 agosto 1941, durante il quale si parlò principalmente della
minaccia di aggressione giapponese e del progetto di una “Carta Atlantica”, proposta dal
premier inglese per rafforzare il legame con gli Stati Uniti e per fugare i dubbi circa trattati
segreti dei britannici per accrescimenti territoriali. La Carta enunciava in otto punti i principi
democratici nel campo delle relazioni internazionali: i due Stati non avrebbero ricercato alcun
ingrandimento territoriale; ciascun popolo avrebbe scelto liberamente la propria forma di
governo e i mutamenti territoriali che lo riguardavano; tutti gli Stati dovevano collaborare per
sviluppare il processo economico e sociale mondiale mediante il diritto alla libertà di accesso
ai commerci e alle materie prime; si auspicava, con la fine della tirannia nazista, un mondo
sicuro e pacifico, libero dalla paura e dal bisogno, e la fine del ricorso alla forza come metodo
di risoluzione delle controversie. Il documento aveva carattere puramente declaratorio e
conteneva affermazioni generiche.
Al fine di garantire il controllo dell’Oceano Atlantico e la sicurezza dei convogli che
inviavano aiuti agli alleati, l’8 luglio fu occupata l’Islanda e l’11 settembre il presidente
Roosevelt ordinò alle navi da guerra di attaccare le unità dell’Asse che fossero penetrate nella
zona di difesa americana, abbandonando definitivamente la neutralità.
36
Storia delle relazioni internazionali
Il dibattito interno precedente all’entrata in guerra degli Stati Uniti fu caratterizzato dalla
variabile giapponese: gli Stati Uniti si erano già schierati contro il revisionismo giapponese
ed erano dalla parte della Cina fin dalla crisi manciuriana.
Il governo Konoye aveva avviato una politica di espansione in Indocina il cui scopo era il
controllo di Singapore; la risposta anglo-americana fu l’embargo totale sui commerci
giapponesi, oltre alla chiusura del canale di Panama, all’incorporazione delle truppe filippine
nell’esercito americano e alla creazione di un comando delle forze americane in Estremo
Oriente guidato dal generale Mac Arthur. A partire dall’estate 1941, ebbero luogo dei
negoziati tra le due potenze, durante i quali i giapponesi prospettarono la divisione del
Pacifico in zone di influenza; il rifiuto statunitense portò al fallimento dei negoziati e quindi
alle dimissioni di Konoye, che fu sostituito al governo dal generale Tojo.
I negoziati con gli USA ripresero in termini più rigidi. L’ambasciatore giapponese a
Washington fu incaricato di portare al Segretario di Stato, Cordell Hull, un documento che
nel caso di rifiuto statunitense sarebbe stato sostituito da una richiesta ancora più esigente.
Dal carattere dilatorio per la presenza giapponese in Cina e in Indocina, la “proposta A” fu
rifiutata; la “proposta B” aveva un carattere volutamente provocatorio.
Alla fine di novembre 1941 l’amministrazione Roosevelt lanciò un ultimatum al governo
giapponese: se la politica di espansione giapponese ai danni della Manciuria non fosse stata
rivista, ci sarebbe stata una reazione volta all’inimicizia da parte statunitense. Di tutta risposta,
il 1° dicembre il Consiglio Imperiale decretò che le ostilità contro gli USA sarebbero iniziate
il 7 dicembre all’una pomeridiana ora di Washington; i servizi segreti americani non ebbero
quindi notizia del luogo in cui l’attacco si sarebbe verificato.
L’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 segnò il saldamento tra l’aspetto europeo e
l’aspetto mondiale del conflitto nel momento in cui gli Stati Uniti ruppero gli indugi ed
entrarono in guerra.
Gli statunitensi si fecero promotori di una più ampia coalizione, la Grande Alleanza, e si
dichiararono disposti a contribuire alla guerra europea per abbattere prima il nazismo e poi i
suoi alleati. La preminenza alla Germania nazista diede ai giapponesi la possibilità di
espandere il proprio dominio in tutto il Sud-Est Asiatico, anche se gli USA recuperarono
terreno già dalla seconda metà del 1942.
Con la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1° gennaio 1942, l’impegno sancito nella Carta
Atlantica fu allargato. Dichiarazione sottoscritta da una pluralità di partecipanti (tra cui USA,
UK, URSS, Cina, Australia, Belgio, Canada), la dichiarazione prevedeva la ripresa dei
principi della Carta Atlantica – a cui si aggiunse la libertà religiosa –, l’impegno al loro
rispetto e all’ottenimento della vittoria contro i nemici finalizzato a tale scopo.
La coalizione era eterogenea, ma al suo interno c’era un’unitarietà di intenti; si era comunque
coscienti del fatto che, una volta finita la guerra, le diversità di vedute sarebbero riemerse.
Per il momento, la diffidenza di fondo riguardava solo le esigenze di guerra dei Paesi interni
alla coalizione, e si manifestò nel momento in cui, delineando una linea comune contro la
Germania, gli USA dovevano dimostrare che il principio dell’Europe first non dovesse restare
tale e che anzi andasse ampliato: infatti, nell’Europa continentale stava combattendo solo
l’Unione sovietica. Gli USA dovevano quindi aprire un efficace secondo fronte a occidente;
il problema fu rimandato al futuro, ma l’alteramento dei rapporti di forza nel 1943 (le truppe
alleate presero piede in Africa settentrionale e gli anglo-americani sbarcarono in Italia) fece
37
Storia delle relazioni internazionali
temere agli anglo-americani che si stesse avvicinando un punto di rottura con Stalin, il quale
insisteva affinché ci fosse un intervento americano nell’Europa occidentale per l’apertura del
secondo fronte.
A partire dall’ottobre 1943 iniziò la prassi di convocare conferenze periodiche per affrontare
i temi potenzialmente divisori della “Grande Alleanza”.
Tra il 18 e il 30 ottobre 1943 ebbe luogo la conferenza di Mosca tra ministri degli Esteri
(Molotov, Eden e Hull), allo scopo di dare una regolamentazione formale a ciò che era
accaduto in Italia e di affrontare temi più generali; si decise di costituire la European Advisory
Commission per la predisposizione dei termini di una politica comune nell’Europa liberata.
Alla conferenza di Il Cairo del 22-26 novembre 1943 parteciparono Churchill, Roosevelt e
Chang Kai-shek. La conferenza fu voluta da Roosevelt per legittimare la presenza della Cina
tra le quattro grandi potenze al posto della Francia, della quale il presidente diffidava anche
per via dell’antipatia personale verso de Gaulle. Roosevelt riconobbe il primato cinese
nell’Asia orientale e garantì a Chang Kai-shek l’appoggio americano per il recupero dei
territori che il Giappone aveva occupato, escludendo le aree che avrebbero potuto diventare
oggetto di un negoziato per impegnare i sovietici contro il Giappone (Mongolia esterna e
territori minori).
Dal 28 novembre al 1° dicembre 1943 si tenne la Conferenza di Teheran (nonostante la sua
neutralità e stracciando le regole del diritto internazionale, nel 1941 l’Iran era stato diviso tra
Unione Sovietica e Regno Unito e lo Scià era stato mandato in esilio).
In questo primo incontro trilaterale, si sarebbe discusso l’intervento futuro in Europa e la sua
armonizzazione contro la Germania, unico nemico riconosciuto.
L’incontro di Teheran portò ad una svolta nei rapporti tra i tre Paesi; l’atmosfera fu cordiale,
si discusse su molti punti importanti e Roosevelt abbandonò la sua diffidenza verso l’URSS,
credendo che avrebbe intrapreso la strada della democratizzazione.
L’incontro stabiliva che le tre potenze vincitrici (con l’aggiunta della Cina) avrebbero dovuto
controllare la pace nel mondo dislocando le loro forze armate all’estero, i “quattro gendarmi”
secondo l’affermazione di Roosevelt; gli statunitensi volevano far risorgere la vecchia Società
delle Nazioni, alla quale Stalin decise di parteciparvi a condizione che non fosse ammessa la
Santa Sede; iniziò la preparazione dello statuto delle “Nazioni Unite”.
Roosevelt propose che l’Organizzazione delle Nazioni Unite fosse composta da organi: una
“Assemblea” comprendente tutti i membri e che avrebbe discusso sui problemi mondiali; un
“Comitato esecutivo” composto da i quattro grandi, due nazioni europee, una sudamericana,
una mediorientale, una dell’Estremo Oriente e da un dominion che avrebbe trattato le
questioni non militari; un “Consiglio di sicurezza” composto dai quattro grandi, incaricati di
prendere misure immediate nel caso in cui la pace fosse stata minacciata.
Sul piano militare si parlò dello sbarco in Normandia per l’apertura del secondo fronte, che
avrebbe dovuto portare più di un milione di anglo-americani sulla costa francese e che si
sarebbe effettuato entro il 1° maggio 1944; gli anglo-americani avrebbero quindi avanzato da
ovest, accompagnati dall’avanzamento sovietico da est, al fine di chiudere la Germania su
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Storia delle relazioni internazionali
due fronti. Si discusse anche circa l’apertura del secondo fronte in Asia, da attuarsi mediante
l’intervento sovietico contro il Giappone, che si sarebbe concordato in futuro.
Lo sbarco contemporaneo nei Balcani chiesto da Churchill fu rifiutato dagli americani e
soprattutto da Stalin, sicuramente perché non desiderava la presenza degli Alleati nella zona
balcanica, considerata di propria pertinenza.
Si discusse ampiamente anche del problema polacco; già dal 1941 i sovietici e i britannici si
erano detti d’accordo alla ricostituzione di uno stato polacco indipendente all’interno dei suoi
confini etnici, escludendo i dieci milioni di russi e tedeschi della “Grande Polonia”.
Il governo polacco richiedeva addirittura lo Stato del 1872, ma l’impegno di Churchill riuscì
a far accettare il punto di vista sovietico; quando l’accordo sembrava raggiunto, furono
scoperte nel 1943 le fosse di Katyn cioè fosse comuni in cui l’Armata Rossa aveva sepolto
undici mila ufficiali polacchi (epurazione della piccola borghesia polacca quando i sovietici
erano nel Paese).
Sovietici ed anglo-americani respinsero le accuse polacche e Varsavia ruppe le relazioni
diplomatiche con Mosca; a quel punto i sovietici decisero di risanare il contrasto accettando
parte delle rivendicazioni territoriali polacche, prendendo l’impegno che la Polonia del
dopoguerra avrebbe avuto la stessa estensione che aveva prima del conflitto.
Per fare ciò, le perdite dei territori polacchi ad est, andati all’URSS e corrispondenti alla linea
Curzon del 1919, furono compensati con altrettanti territori ad ovest, fino al fiume Oder, a
danno della Germania; si ebbe quindi uno slittamento della Polonia sulla carta politica
europea verso ovest, e a causa di ciò la popolazione tedesca nei nuovi confini polacchi
raggiunse i dieci milioni di abitanti: la soluzione migliore che si riuscì a trovare fu quella di
cacciarli dal territorio polacco. La formalizzazione dell’intesa sulla Polonia sarebbe stata
rinviata a Yalta.
Le tre potenze si trovarono concordi anche sullo smembramento della Germania (che avrebbe
subito il decurtamento territoriale a favore della Polonia e a favore dell’URSS per concessioni
riguardanti anche la città di Königsberg), sull’installazione di basi militari in territorio tedesco
e sull’amministrazione da parte della Grande Alleanza (da concordare in futuro), sistema
suggerito anche per il Giappone.
Riguardo ai temi minori, i tre si ritrovarono d’accordo circa l’annessione degli Stati baltici
all’URSS e il ritorno dei confini finlandesi a quelli del 1940; Stalin insistette alla modifica
della convenzione di Montreux, ma i suoi interlocutori rimasero sul vago perché non si
sapevano le intenzioni della Turchia, ancora neutrale. Inoltre, si concordò il sostegno ai
movimenti di resistenza contro il nazifascismo, soprattutto dei partigiani jugoslavi guidati da
Tito.
L’Armata Rossa riportò la vittoria nella battaglia di Stalingrado e in quella di Kursk a gennaio
e a luglio 1943, liberò la Crimea e in agosto arrivò nei pressi di Varsavia.
I sovietici non aiutarono un tentativo di rivoltosi polacchi non comunisti di liberare Varsavia;
essi furono sterminati dai tedeschi e i comunisti polacchi ebbero mano libera.
Gli alleati, dal canto loro, entrarono a Roma nel giugno 1944 dopo un inverno di stasi sul
fronte. Due giorni dopo vi fu l’avvenimento militarmente più importante della guerra, ossia
lo sbarco in Normandia, a cui si deve la liberazione di Parigi il 15 agosto e del Belgio all’inizio
di settembre; tuttavia i Tedeschi mantenevano alcune sacche (Bastogne) e l’avanzata si arrestò
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Storia delle relazioni internazionali
in inverno, come pure in Italia le posizioni si attestarono lungo la linea gotica sull’Appennino
toscano.
Contemporaneamente, invece, continuava l’avanzata dell’Armata Rossa nell’Europa
orientale e nell’inverno 1944-1945 si susseguirono una serie di armistizi: il 12 settembre si
ebbe quello con la Romania, il 19 quello della Finlandia, la Bulgaria firmò il 26 ottobre dopo
una inutile mobilitazione contro la Germania, l’Ungheria (dopo il tentato armistizio di ottobre
e l’invasione tedesca) fu conquistata dai sovietici dopo il lungo assedio di Budapest e
l’armistizio fu firmato il 20 gennaio.
Sul piano politico gli armistizi assegnavano la Bessarabia, la Bucovina settentrionale e i
territori conquistati nel 1941 in Finlandia direttamente all’Urss senza aspettare la conclusione
dei trattati di Pace; si ritornava, quindi, alla situazione precedente all’Operazione Barbarossa,
le leggi razziali furono abolite e le organizzazioni fasciste disciolte.
Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, Beneš era rimasto molto deluso dall’atteggiamento
francese ed inglese tenuto a Monaco e nella successiva invasione del 15 marzo 1939, così
come era grato per l’aiuto sovietico garantito se la Francia avesse mantenuto i suoi impegni;
nel dicembre 1943 egli incontrò Molotov e Stalin a Mosca, i quali lo rassicurarono circa
l’intenzione dell’Urss di rispettare le frontiere del 1937 e di trasferire i poteri al governo
cecoslovacco dopo la liberazione del Paese da parte dell’Armata Rossa; fu firmato anche un
trattato di alleanza.
Altrettanto forte fu la sua delusione quando vide che dopo la liberazione i sovietici volevano
annettere all’Ucraina la Rutenia subcarpatica; Stalin appoggiava in pieno queste
rivendicazioni. Questo fu l’inizio della dominazione sovietica nell’Europa Orientale.
La liberazione della Francia pose agli Alleati una serie di problemi circa il riconoscimento
del governo francese. Roosevelt non amava molto le tendenze autoritarie di de Gaulle, ma,
quando Parigi fu libera e il generale si recò in patria, fu accolto da una folla esultante che
convinse gli Alleati che il governo provvisorio istituito nel Paese da de Gaulle, composto da
personalità venute da Algeri e da capi della Resistenza, poggiava su solide basi popolari.
Quando poi il generale promise al più presto l’elezione di un’Assemblea nazionale per varare
una nuova Costituzione, i tre Alleati decisero di riconoscere de iure il 23 ottobre 1944 il
governo gollista; inoltre, a novembre Churchill annunciò che la Francia era ammessa come
membro permanente della European Advisory Commission per decidere sul futuro della
Germania.
Dopo questi riconoscimenti ufficiali, de Gaulle decise di giocare il ruolo del mediatore tra gli
anglosassoni e i sovietici (che manifestavano i primi dissensi), stipulando un Trattato di
alleanza con Mosca il 9 dicembre 1944: quest’alleanza era rivolta unicamente contro la
Germania, poiché le due parti si impegnavano a combattere sino alla vittoria finale e ad
adottare tutte le misure necessarie per impedire una nuova minaccia tedesca, compreso un
immediato aiuto in caso di attacco tedesco ad una delle due.
De Gaulle cercò anche di trovare appoggi nel Regno Unito, in modo da allontanare gli
americani dalla politica europea e trattando unicamente con l’URSS le questioni del Vecchio
continente.
L’idea di giocare il ruolo di arbitro si rivelò alla fine abbastanza deludente, dato che il governo
sovietico non sosteneva affatto le rivendicazioni francesi negli incontri internazionali; inoltre,
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Storia delle relazioni internazionali
de Gaulle non fu convocato alla conferenza di Yalta poiché Roosevelt si oppose alla sua
partecipazione e, quando subito dopo Roosevelt lo invitò a raggiungerlo ad Algeri, il generale
rifiutò; fu egli a dire che a Yalta vi era “stata un’oscura spartizione dell’Europa” e che la
Francia non era stata invitata perché “avrebbe impedito questa spartizione”. In realtà non fu
così.
L’unico successo diplomatico ottenuto in questo periodo dal nuovo governo francese fu
quello di annullare i privilegi accordati agli italiani in Tunisia nel 1896 (febbraio 1945).
Il 7 novembre 1944 Roosevelt fu rieletto per la quarta volta con una maggioranza ridotta;
intanto, mentre l’avanzata alleata si era fermata in Europa, la Germania provò un’offensiva
nelle Ardenne, e la fine della guerra non sembrò più una cosa di qualche settimana.
Tra britannici ed americani cominciarono a crearsi alcuni contrasti; Churchill si recò a Mosca
dal 9 al 19 ottobre 1944 e per la prima volta non poté parlare anche al nome del presidente
americano; fu in questa importante riunione che Churchill e Stalin, si dice, abbiano diviso
approssimativamente alcune zone di influenza e di occupazione in Europa: al Regno Unito la
Grecia e all’URSS la Bulgaria, mentre in Jugoslavia ci sarebbe stato un controllo paritario
(“fifty-fifty”), come soluzione di compromesso al fine , agli occhi di Churchill, di salvare i
Balcani e l’Europa dalla sovietizzazione. Questa divisione fu poco apprezzata dagli
americani; il Segretario di Stato Hull si dimise perché ammalato e il suo successore, Stettinius,
ebbe seri contrasti con il governo britannico soprattutto a proposito dell’Italia: i sovietici
appoggiarono il Conte Sforza, già ministro in epoca prefascista, per dirigere il governo
italiano, mentre i britannici e soprattutto Churchill volevano la restaurazione piena della
monarchia in Italia e non si fidavano del conte Sforza, affermandolo ufficialmente.
Per appianare queste polemiche e chiarire meglio il ruolo della Russia in Polonia e con il
Giappone si pensò ad un altro incontro dei tre Grandi, da tenersi a Yalta.
La conferenza di Yalta si tenne dal 1° all’11 febbraio 1945; molte furono le decisioni
importanti.
Innanzitutto, si parlò della concessione alla Francia di una zona di occupazione in Germania:
Stalin fu subito molto contrario, Roosevelt fu a fatica convinto dai britannici e da Hopkins, i
quali sostenevano la teoria per cui un’Europa stabile era inconcepibile senza una Francia
forte; alla fine si diede ai francesi anche la piena partecipazione alla European Advisory
Commission.
Per quanto riguardava la Polonia, si era formato un governo filosovietico a Lublino, il quale
voleva soppiantare il governo polacco in esilio a Londra: si decise un accodo di compromesso,
il quale considerava entrambi i governi degni di nota e stabiliva che entrambi sarebbero
confluiti in un governo provvisorio di unità nazionale insieme ad altre forze politiche. Le
frontiere polacche subirono lo “slittamento” ai danni della Germania per la veemente
opposizione di Stalin alla ripresa dei vecchi confini orientali, ma alla fine il confine fu stabilito
definitivamente lungo la linea Curzon del 1919.
In più, furono prese le decisioni conclusive riguardanti la convocazione della conferenza che
avrebbe dovuto varare l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Due dei tre problemi che si
presentarono riguardarono gli equilibri interni sia all’Assemblea generale sia al Consiglio di
sicurezza: per risolvere il primo, si arrivò al compromesso per il quale la Bielorussia e
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Storia delle relazioni internazionali
l’Ucraina (due dei quindici Stati all’interno dell’Unione Sovietica) avrebbero avuto un seggio;
per risolvere il secondo, fu introdotto il diritto di veto in capo ai cinque membri permanenti
del Consiglio di sicurezza, che avrebbe impedito la validità di una deliberazione contraria
anche solo agli interessi di uno di loro. Il terzo problema riguardava il destino degli ex mandati
della Società delle Nazioni: si decise che i Paesi non ancora indipendenti, le colonie
appartenenti a Stati ex nemici e i territori coloniali che l’avessero voluto sarebbero stati
sottoposti ad Amministrazione fiduciaria – Trusteeship – da parte delle Nazioni Unite.
Per quanto riguarda la Germania, si stabilì che la linea di massima espansione per gli angloamericani e per i sovietici sarebbe stata collocata lungo il fiume Elba, situato a
trecentocinquanta chilometri circa dai due schieramenti. Si accennò anche alla divisione del
territorio tedesco in quattro zone di occupazione, il cui coordinamento sarebbe stato rinviato
a dopo l’armistizio.
Inoltre, fu approvata una “Dichiarazione sull’Europa Liberata”, sottoscritta da Churchill,
Stalin e Roosevelt, in cui si affermava che negli Stati liberati dalle dittature nazifasciste
sarebbero supportati dei governi provvisori, i quali avrebbero avuto lo scopo di organizzare
delle libere elezioni con più liste al fine di eleggere assemblee costituenti con il compito di
creare nuove costituzioni o ripristinare le vecchie; si rimetteva così nelle mani dei popoli la
scelta circa le proprie istituzioni secondo i principi della Carta Atlantica.
A proposito dell’intervento sovietico contro il Giappone richiesto da Roosevelt, Stalin
promise che l’Armata Rossa sarebbe intervenuta nel giro di tre mesi dopo la capitolazione
della Germania a condizione di recuperare i diritti e i territori che aveva perduto nella sconfitta
del 1905 (il controllo delle ferrovie in Manciuria, la cessione all’URSS dell’arcipelago delle
Kurili e dei territori meridionali di Sakhalin, l’internazionalizzazione del porto di Dairen,
l’affitto della base navale di Porth Arthur).
In generale, la conferenza di Yalta fu molto importante anche perché i tre alleati cercarono di
evitare il sorgere di contrasti al momento della caduta tedesca: in passato le coalizioni si
rompevano dopo gli armistizi e le armate conquistavano duramente e selvaggiamente territori;
a Yalta si decise una fine delle operazioni militari “pacifica”, stabilendo la linea d’incontro
tra i due eserciti sull’Elba, senza acquisizione successiva di territori.
A metà marzo gli americani stabilirono una testa di ponte sul Reno e il 23 proseguirono.
Roosevelt non vide la fine della guerra poiché il 12 aprile morì per un’emorragia cerebrale e
fu sostituito dal suo vicepresidente, Harry Truman.
Fu Truman ad assistere alla capitolazione della Germania; i sovietici arrivarono a Vienna il
13 aprile e raggiunsero l'Elba il 24; il giorno dopo l’Armata Rossa completò l’accerchiamento
di Berlino e il 26 vi fu l’incontro con l’esercito anglo-americano.
Il 1° maggio fu annunciata la morte di Hitler e il 7 maggio 1945, nel quartier generale di
Eisenhower a Reims, il generale Jodl firmò la resa senza condizioni della Germania.
La guerra in Europa era terminata.
Gli avvenimenti militari nel conflitto in Asia sono fondamentali per capire quelli diplomatici.
Fino all’aprile 1942 vi era stata l’avanzata folgorante delle truppe giapponesi, poi fino al
novembre 1943 vi fu una fase di stallo e di riorganizzazione da parte americana, con l’arrivo
di numerose e potenti portaerei.
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Storia delle relazioni internazionali
Da questa data iniziò la controffensiva americana, guidata dagli ammiragli Nimitz e Mac
Arthur, che prevedeva la tattica dei “salti di montone”, cioè l’occupazione non di interi
arcipelaghi, ma di isole sempre più vicine all’arcipelago giapponese.
Nel luglio 1944 furono conquistate alcune isole nell’arcipelago delle Marianne, provocando
la caduta del governo Tojo in Giappone. Le vittorie americane intanto proseguivano e, su
proposta di Mac Arthur, si decise uno sbarco nelle Filippine, che ebbe in ottobre dopo la
battaglia nei pressi dell’isola Leyte, in cui gran parte della flotta giapponese fu distrutta.
Manila fu occupata il 6 febbraio, proprio durante la conferenza di Yalta, e l’offensiva continuò
arrivando in prossimità dell’arcipelago giapponese nel giugno 1945; la lotta proseguiva anche
in Cina, dove nel 1944 i giapponesi avevano deciso di riprendere la loro avanzata sulla costa
ed nella parte meridionale.
Il governo di Chang Kai-shek poteva dunque essere rifornito solo con un ponte aereo
sull’Himalaya che si rivelò assai insufficiente; inoltre le migliori truppe erano impiegate per
controllare i comunisti e non si battevano contro i giapponesi.
Il governo di Chang Kai-shek fu salvato da una spedizione anglo-americana che aveva come
scopo la conquista della Birmania e il ristabilimento dei contatti terrestri con Chang Kai-shek,
quindi l’appoggio al governo nazionalista per non estendere l’influenza comunista in Cina; la
campagna iniziò nel marzo 1944, e nel febbraio 1945 un primo convoglio alleato arrivò in
Cina, mentre la conquista della Birmania fu completata in maggio.
Questa situazione costrinse i giapponesi ad abbandonare le loro recenti conquiste nella Cina
del sud e fu grazie a questa campagna che la Cina, dopo un periodo molto critico, si salvò;
tuttavia la tensione tra comunisti e nazionalisti continuò.
Nel dicembre 1944 il generale Hurley si recò in Cina per tentare una mediazione, incontrò
Mao Tse-tung e propose a Chiang Kai-shek un governo di coalizione sulla base dei principi
di Sun Yat-sen; il leader nazionalista rifiutò il governo di coalizione, sentendosi più
intransigente per le vittorie alleate (che appoggiavano comunque il suo governo) e per la firma
di un trattato tra il suo governo e quello sovietico nell’agosto 1945.
Considerando tutto ciò Mao attenuò le sue richieste, limitando la partecipazione comunista
nel governo e nell’esercito; tuttavia, tutti i negoziati furono resi vani dalla questione della
Manciuria e dell’inizio della guerra civile tra comunisti e nazionalisti nel novembre 1945.
Sulla questione cinese si ebbe un incontro di Hurley con Stalin e Molotov a Mosca nell’aprile
1945; Stalin manifestò il suo appoggio a Chiang Kai-shek e disse di non volere una guerra in
Cina, ma si credette che l’Urss volesse un controllo sulla Cina del nord e sugli Stati dell’Asia
centrale.
Il rapporto con la Russia sovietica non migliorò affatto neanche dopo la Conferenza di Yalta;
con l’avanzata russa in Europa si delineò la politica che Mosca era intenzionata ad attuare nei
territori occupati dall’Armata Rossa.
Nel febbraio 1945 fu indirizzato un ultimatum a Re Michele di Romania con il quale si
pretendeva la costituzione di un governo comunista sotto la guida di Groza; nonostante
l’opposizione del monarca, il governo comunista fu effettivamente insediato.
Subito vi furono le proteste di Usa ed Inghilterra che invocarono la “Dichiarazione
sull’Europa liberata”, che prevedeva la formazione di governi rappresentativi di tutta la
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Storia delle relazioni internazionali
popolazione nelle nazioni liberate; anche in Polonia, Molotov accettava soltanto di modificare
il governo comunista di Lublino con qualche membro dei polacchi di Londra.
Inoltre Stalin rimproverava agli alleati di aver proposto una pace separata alla Germania sul
fronte italiano, permettendo così ai tedeschi di spostare divisioni sul fronte orientale e di
rallentare l'avanzata dell’Armata Rossa; per scongiurare la rottura dell’unità tra gli Alleati, vi
fu un ultimo viaggio di Harry Hopkins a Mosca alla fine di maggio 1945, dopo la
capitolazione tedesca.
Fu durante questi colloqui che Stalin lanciò una serie di accuse agli anglo-americani circa la
partecipazione dell’Argentina alle Nazioni Unite, circa la partecipazione della Francia alla
Commissione delle riparazioni, circa l’improvvisa fine delle forniture “affitti e prestiti”
all’URSS e circa il fatto che nessuna nave tedesca fosse stata consegnata ai sovietici.
Hopkins cercò di ricucire questi strappi e si decise che questo ed altri problemi (i governi
comunisti in Polonia, Bulgaria e Romania) sarebbero stati discussi in un nuovo incontro tra i
tre Grandi; sulla partecipazione dell’URSS alla guerra in Asia, Stalin si disse pronto ad
attaccare il Giappone in agosto e accettò anche una trusteeship dei quattro vincitori sulla
Corea.
La conferenza prevista per la definizione delle questioni riguardanti la Germania si tenne il
17 luglio 1945 a Postdam, nei pressi di Berlino.
I protagonisti della scena internazionale erano cambiati: il presidente Roosevelt era morto e
il nuovo presidente, Truman, nominò Segretario di Stato Byrnes al posto di Stettinius; inoltre,
durante la conferenza si svolsero le elezioni nel Regno Unito, le quali videro la sconfitta dei
conservatori: di conseguenza, nella seconda parte della conferenza Churchill ed Eden
lasciarono il posto al nuovo premier, Attlee, e al nuovo capo del Foreing Office, Bevin.
Alla conferenza di Potsdam gli statunitensi suggerirono la creazione del Council of Foreign
Ministers che avrebbe avuto il compito di preparare i trattati di pace con gli Stati “satelliti”
della Germania (Italia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia); ogni trattato avrebbe
previsto la partecipazione delle sole nazioni vincitrici su quello Stato, quindi la Francia fu
ammessa soltanto nella preparazione del trattato di pace con l’Italia. Fu deciso lo scioglimento
della European Advisory Commission.
Gli anglo-americani si lamentarono con Stalin della situazione in Bulgaria e Romania, dove
l’URSS aveva un controllo assoluto; i sovietici replicarono facendo presente il controllo
occidentale in Grecia; il problema delle industrie anglo-americane confiscate dai sovietici nei
Paesi occupati dall’Armata Rossa si rimandò a speciali commissioni.
Molto importanti furono le decisioni circa il futuro della Germania, dato furono definiti i
“Principi politici ed economici che governeranno la Germania durante il periodo iniziale di
controllo”: messa al bando del partito nazionalsocialista, giudizio dei criminali di guerra e
abolizione delle leggi naziste; disarmo completo e smilitarizzazione; perdita della grande
industria pesante, con ipotesi di convertire la Germania a un Paese agricolo; nuova struttura
politico-amministrativa federale con i Lander; previsione di organi democraticamente eletti
(le cinque D: denazificazione, demilitarizzazione, deindustrializzazione, decentramento,
democratizzazione).
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Storia delle relazioni internazionali
Si decise di ritardare la formazione di un governo centrale e di iniziare con delle elezioni nelle
amministrazioni comunali e provinciali, per poi arrivare alla formazione degli organi dei
Lander e dello Stato centrale.
L’organizzazione economica fu subordinata al pagamento delle riparazioni e il livello della
produzione economica sarebbe stato controllato severamente: poiché non vi era un governo
che poteva pagare, si decise di procedere con prelievi in natura nelle rispettive zone di
occupazione: mentre gli americani non operarono alcun prelievo a causa dei costi di trasporto,
sovietici, britannici e francesi spogliarono le loro zone di occupazione di ogni bene, rendendo
ancora più critiche le condizioni di vita dei tedeschi, i quali si rifugiavano sempre più nella
zona controllata dagli statunitensi (finché questi non chiusero le frontiere, tranne agli ebrei);
anche Berlino fu divisa in quattro zone di occupazione militare.
Per quanto riguarda l’organizzazione territoriale, si accettò l’idea di uno slittamento della
Polonia e quindi della perdita per la Germania dello Stato guida all’unità nazionale e alla
formazione della mentalità dello Stato tedesco, ossia la Prussia; il nuovo confine polaccotedesco sarebbe stato lungo la linea Oder-Neisse occidentale.
Parte dei territori prussiani andava all’Unione sovietica e parte alla Polonia, che cacciò dal
suo nuovo territorio quasi quindici milioni di cittadini tedeschi; l’opinione pubblica
internazionale accettò questo tragico esodo come una sorta di punizione per tutti i lutti che la
guerra voluta dai nazisti aveva provocato nel mondo.
Mentre in Europa si preparava la pace, la guerra proseguiva contro il Giappone.
Nonostante i giapponesi disponessero in Asia di tre armate ancora inutilizzate composte da
tre milioni di soldati, erano coscienti dell’approssimarsi della sconfitta a causa della
distruzione quasi totale della flotta e per i continui bombardamenti delle navi e degli aerei
americani sulle coste e sulle industrie nipponiche, già a corto di materie prime; gli americani
preparavano uno sbarco nell’isola più meridionale dell’arcipelago giapponese.
Durante la conferenza di Potsdam, gli Alleati avevano inviato ai giapponesi un ultimatum (il
documento del 26 luglio) per la resa senza condizioni, che era stato rifiutato.
Tra una sconfitta logorata in lunghi anni di lotte e una capitolazione prossima, è probabile che
il governo nipponico volesse scegliere la seconda, al contrario di ciò che decise Hitler in
Germania. Sicuramente questa decisione fu anticipata dagli avvenimenti drammatici che si
susseguirono nell’arco di pochi giorni: il 6 agosto cadde la prima bomba atomica americana
su Hiroshima, l’8 la Russia dichiarò guerra al Giappone, il 9 fu lanciata la seconda bomba
atomica su Nagasaki.
Dopo questi avvenimenti, il 10 agosto pervenne al governo americano una nota a nome
dell’imperatore che accettava i termini dell’ultimatum, ponendo la condizione che il suo
potere sarebbe rimasto intatto in Giappone. Questa condizione fu accettata e le istruzioni al
Giappone furono date dal generale Mac Arthur a Manila il 20 agosto; il 2 settembre 1945, a
bordo della corazzata Missouri, due rappresentanti dello Stato Maggiore giapponese
firmarono la resa del Giappone senza condizioni, che conteneva indicazioni precise per la
tutela del ruolo e dell’immagine dell’imperatore.
La seconda guerra mondiale era terminata. Il format della liberazione dei territori occupati
dal Giappone fu simile a quello europeo, con la divisione in base alle linee di incontro degli
eserciti dei due schieramenti (Corea: 38° parallelo; Indocina: 17° parallelo).