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1 Storia delle relazioni internazionali Sistemi internazionali del passato XIX secolo Sistema di Vienna (1815-1870) Sistema Bismark (1871-1890) Rottura dell’equilibrio bismarkiano e nuovi assetti (1890-1914) Grande Guerra (1914-1918) XX secolo Sistema di Versailles (1919) Crisi del sistema (anni Trenta) e Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) Guerra fredda e sistema bipolare (1945-1990) Crollo dell’URSS e post-bipolarismo Il sistema delle alleanze tradizionali precedente alla Prima Guerra Mondiale era caratterizzato da due fronti: la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa – che, già negli anni precedenti il conflitto, era già in crisi. La prima, formata da Impero tedesco, Impero austro-ungarico e Italia, si stava sgretolando per le questioni legate al completamento dell’unità nazionale italiana, che non si sarebbe mai potuta realizzare all’interno di un sistema di alleanze che comprendesse l’Impero austroungarico, e perché l’Italia si stava riavvicinando alla Francia e alla Russia con una serie di accordi politici ed economici; inoltre, l’Impero ottomano si avvicinò all’Impero tedesco. Per quanto riguarda la seconda, questa aveva origine già dalla rottura dell’equilibrio costruito da Bismark, che aveva lo scopo di evitare un qualsiasi tipo di alleanza tra la Francia e la Russia; nel 1907 fu raggiunto il compromesso tra Regno Unito, Impero russo e Francia, ostili alla politica espansionistica tedesca. Con l’inizio delle ostilità, le due fazioni stipularono una serie di accordi di guerra. Gli accordi di guerra tra Imperi centrali, Impero ottomano e Bulgaria riguardavano il ridimensionamento della Serbia e il potenziamento delle forze armate ottomane; tra queste potenze, solo l’Impero tedesco possedeva la volontà di ampliare la propria egemonia politicoeconomica fino al Medio Oriente e in Africa. Le tre potenze dell’Intesa si accordarono tra loro sottoscrivendo l’impegno a non cercare una pace separata e iniziando a riconoscere le varie concessioni da attuare in caso di vittoria. Il sistema di Versailles nacque a partire dalla Conferenza di pace di Parigi, che iniziò i suoi lavori il 18 gennaio 1919, e prese il nome da uno dei cinque trattati di pace, ossia quello firmato tra le potenze vincitrici e la Germania. La Conferenza di Parigi si basava sul metodo assembleare (Consiglio dei Dieci), anche se, in realtà, i termini della pace furono sostanzialmente decisi durante gli incontri tra le quattro potenze che uscirono vittoriose dal conflitto (Stati Uniti con Wilson, Francia con Clemencau, Regno Unito con Lloyd George e Italia con Orlando). Emanati in risposta al “decreto per la pace” approvato dal Congresso dei Soviet, i Quattordici punti di Wilson prevedevano: I. Pubblici trattati di pace, stabiliti pubblicamente e dopo i quali non vi siano più intese internazionali particolari di alcun genere, ma solo una diplomazia che proceda sempre francamente e in piena pubblicità. 2 Storia delle relazioni internazionali II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. X. XI. XII. XIII. Assoluta libertà di navigazione per mare, fuori delle acque territoriali, così in pace come in guerra, eccetto i casi nei quali i mari saranno chiusi in tutto o in parte da un'azione internazionale, diretta ad imporre il rispetto delle convenzioni internazionali. Soppressione, per quanto è possibile, di tutte le barriere economiche ed eguaglianza di trattamento in materia commerciale per tutte le nazioni che consentano alla pace, e si associno per mantenerla. Scambio di efficaci garanzie che gli armamenti dei singoli stati saranno ridotti al minimo compatibile con la sicurezza interna. Regolamento liberamente dibattuto con spirito largo e assolutamente imparziale di tutte le rivendicazioni coloniali, fondato sulla stretta osservanza del principio che nel risolvere il problema della sovranità gli interessi delle popolazioni in causa abbiano lo stesso peso delle ragionevoli richieste dei governi, i cui titoli debbono essere stabiliti. Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni che riguardano la Russia senza ostacoli e senza imbarazzo per la determinazione indipendente del suo sviluppo politico e sociale e assicurarle amicizia, qualsiasi forma di governo essa abbia scelto. Il trattamento accordato alla Russia dalle nazioni sorelle nel corso dei prossimi mesi sarà anche la pietra di paragone della buona volontà, della comprensione dei bisogni della Russia, astrazione fatta dai propri interessi, la prova della loro simpatia intelligente e generosa. Il Belgio – e tutto il mondo sarà di una sola opinione su questo punto – dovrà essere evacuato e restaurato, senza alcun tentativo per limitarne l'indipendenza di cui gode al pari delle altre nazioni libere. Il territorio della Francia dovrà essere completamente liberato e le parti invase restaurate. Il torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871, a proposito dell'Alsazia– Lorena, che ha compromesso la pace del mondo per quasi 50 anni, deve essere riparato affinché la pace possa essere assicurata di nuovo nell'interesse di tutti. Una rettifica delle frontiere italiane dovrà essere fatta secondo le linee di demarcazione chiaramente riconoscibili tra le nazionalità. Ai popoli dell'Austria–Ungheria, alla quale noi desideriamo di assicurare un posto tra le nazioni, deve essere accordata la più ampia possibilità per il loro sviluppo autonomo. La Romania, la Serbia e il Montenegro dovranno essere evacuati, i territori occupati dovranno essere restaurati; alla Serbia sarà accordato un libero e sicuro accesso al mare, e le relazioni specifiche di alcuni stati balcanici dovranno essere stabilite da un amichevole scambio di vedute, tenendo conto delle somiglianze e delle differenze di nazionalità che la storia ha creato, e dovranno essere fissate garanzie internazionali dell'indipendenza politica ed economica e dell'integrità territoriale di alcuni stati balcanici. Alle regioni turche dell'attuale impero ottomano dovrà essere assicurata una sovranità non contestata, ma alle altre nazionalità, che ora sono sotto il giogo turco, si dovranno garantire un'assoluta sicurezza d'esistenza e la piena possibilità di uno sviluppo autonomo e senza ostacoli. I Dardanelli dovranno rimanere aperti al libero passaggio delle navi mercantili di tutte le nazioni sotto la protezione di garanzie internazionali. Dovrà essere creato uno stato indipendente polacco, che si estenderà sui territori abitati da popolazioni indiscutibilmente polacche; gli dovrà essere assicurato un libero e 3 Storia delle relazioni internazionali indipendente accesso al mare, e la sua indipendenza politica ed economica, la sua integrità dovranno essere garantite da convenzioni internazionali. XIV. Dovrà essere creata un'associazione delle nazioni, in virtù di convenzioni formali, allo scopo di promuovere a tutti gli stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie d'indipendenza e di integrità territoriale. Il quattordicesimo punto prevedeva la costituzione della Società delle Nazioni, ossia un’organizzazione internazionale di tipo universale che avrebbe dovuto favorire l’uso della diplomazia aperta al posto di quella segreta (anche questo previsto in uno dei punti) e caratterizzata da una struttura tripartita (Assemblea generale formata da tutti gli Stati membri, Consiglio con funzioni esecutive e Segretariato con funzioni amministrative). Lo statuto costitutivo (il Covenant) fu inserito all’interno del trattato di Versailles: prevedeva compiti finalizzati al mantenimento della pace. La Società delle Nazioni nasceva con dei grandi limiti di azione (votazioni all’unanimità, poca convinzione da parte dei consociati, limiti nella partecipazione: la Germania e l’Unione Sovietica non partecipano, mentre gli Stati Uniti con ratificano il trattato di Versailles e di conseguenza il Covenant). Nonostante fosse parte della Triplice Intesa, la Russia non partecipò di fatto ai negoziati sui trattati di pace per via della sua uscita anticipata dal conflitto e della presa del potere da parte dei bolscevichi. Nel 1917 è dilaniata da problemi interni e da rivolte sia delle truppe sia della popolazione; si creano le condizioni per un rivolgimento politico: prima nel febbraio con la destituzione dello zar a seguito delle manifestazioni operaie a Pietroburgo e alla creazione dei soviet, al seguito dei quali si costituiscono vari governi di coalizione, guidati da L’vov e da Kerenskij, e successivamente nell’ottobre con la rivoluzione bolscevica. Tra febbraio e ottobre, Lenin aveva pesantemente criticato l’operato dei governi di coalizione, i quali avevano proseguito il conflitto provocando ulteriori perdite nell’esercito e quindi malcontento nella popolazione; nel suo programma politico prevedeva la concentrazione del potere nei soviet, l’impossibilità di una collaborazione a lungo termine con le forze borghesi e la fine della “guerra imperialista” come presupposto per l’inizio della rivoluzione proletaria. Il primo atto dei bolscevichi al potere fu l’emanazione di un decreto (il cosiddetto “decreto per la pace”) che conteneva la richiesta rivolta ai popoli e ai governi di tutti i Paesi in guerra di una pace senza indennità né annessioni: le potenze dell’Intesa non accettarono la richiesta, mentre gli Imperi centrali sì. Firmata nel marzo 1918, la pace di Brest-Litovsk poneva dure condizioni per la Russia, le quali causarono movimenti di disgregazioni all’interno del suo territorio (Finlandia, Stati baltici, Polonia) che furono accettati per via della situazione di debolezza politica. Le potenze occidentali, in particolare Francia e Gran Bretagna, stipularono accordi con le forze zariste (armate “bianche”), che furono sconfitti dalle forze bolsceviche forti dell’appoggio popolare: quindi, nel fronte interno il potere bolscevico si consolidava a seguito della sconfitta dei rimasugli delle forze zariste. Nel fronte esterno, stava avendo luogo il processo di disgregazione già iniziato a seguito della pace di Brest-Litovsk; tra il 1920 e il 1921 fu combattuta la guerra contro la Polonia, che vinse forte dell’appoggio della Francia: le conseguenze consistono dell’allargamento della Polonia, al cui territorio viene aggiunta un’area prevalentemente abitata da gruppi etnici alogeni (russi, bielorussi e ucraini). Inoltre, le potenze occidentali cominciano ad isolare l’ex alleato per il timore che la rivoluzione comunista si espanda in altri Paesi, procedendo alla formazione del cosiddetto “cordone sanitario”. 4 Storia delle relazioni internazionali Le premesse iniziali sulle quali l’Impero germanico e l’Impero austro-ungarico avevano richiesto prima l’armistizio si basavano soprattutto sui Quattordici punti di Wilson, nei quali veniva prevista una pace trattabile e non punitiva. Ma, durante le trattative prima e nei trattati di pace dopo, i punti non vennero rispettati: per esempio, per quanto riguarda il principio di autodeterminazione dei popoli, il modo in cui vennero affrontate le questioni riguardanti le colonie e la disgregazione dei grandi Imperi (in particolare quello austro-ungarico e germanico) si poneva in totale contraddizione con questo principio, al punto da lasciare irrisolte le questioni etniche ad oriente e nei Balcani. I trattati di pace furono firmati con Germania, Austria, Bulgaria, Ungheria e Impero ottomano, rispettivamente: 1) Trattato di Versailles, 28 giugno 1919 2) Trattato di Saint-Germain-En-Laye, 10 settembre 1919 3) Trattato di Neuilly, 27 novembre 1919 4) Trattato del Trianon, 4 giugno 1920 5) Trattato di Sèvres, 10 agosto 1920 1) Il trattato di Versailles fu una vera e propria imposizione per la Germania, Paese che nello stesso periodo vide un grande trapasso politico istituzionale con il passaggio dall’Impero dalla Repubblica di Weimar. La Germania venne considerata sconfitta e colpevole: infatti, il trattato era ricco di clausole pesanti (a cui si collegavano la stigmatizzazione subita dal Paese nel dopoguerra, la quale fu la causa della successiva crescita del malcontento e del risentimento tedesco nei confronti del diktat di Versailles) ed era innovativo rispetto alla precedente tradizione diplomatica (nell’articolo 231 la Germania veniva indicata come l’unica colpevole morale del conflitto, e ciò giustificava il carattere punitivo del trattato); in base al principio di colpevolezza, i governanti tedeschi e lo stesso Kaiser Guglielmo II venivano personalmente considerati responsabili nei confronti della comunità internazionale: il tentativo di giudicarli davanti ad un tribunale internazionale andò a vuoto a seguito delle forti proteste da parte della popolazione tedesca. Le clausole – stabilite unilateralmente e che per questo motivo furono oggetto di revisionismo da parte della Germania – erano • Territoriali: perdita di un settimo del territorio e di circa un decimo della popolazione (Ovest: perdita dell’Alsazia-Lorena a vantaggio della Francia; distacco della Germania della Saar, posta sotto controllo internazionale con cessione delle proprietà delle miniere di carbone alla Francia e dove quindici anni dopo gli abitanti avrebbero deciso con un plebiscito se unire la Saar alla Francia, alla Germania o restare sotto protettorato internazionale; smilitarizzazione ed occupazione della Renania e divisione in tre settori sulla base della durata dell’occupazione, che andava da cinque a quindici anni; cessione dei distretti di Eupen e di Malmedy al Belgio; plebiscito nello Schleswig: la parte settentrionale passava alla Danimarca, la parte meridionale restava sotto la sovranità tedesca. Est: Slesia settentrionale alla Polonia e plebiscito da organizzare nella Slesia meridionale; sbocco al mare per la Polonia con la perdita della Pomerania e di parte della Prussia orientale a suo favore e l’elezione di Danzica a città libera). 5 Storia delle relazioni internazionali • Militari: annichilimento della potenza militare tedesca (diminuzione dell’esercito a centomila unità; proibizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, dell’aviazione e della flotta). • Economiche: obbligo di pagare le riparazioni ai Paesi vincitori in percentuali diverse; si stabilì che entro il 1° Maggio 1921 la Germania avrebbe versato 20 miliardi di marchi-oro (sotto il controllo di una “Commissione delle riparazioni”) e che, entro quella data, si sarebbe definito l’ammontare reale dei danni di guerra con l’aggiunta delle pensioni di guerra voluta dall’Inghilterra. 2) Con il trattato di Saint-Germain-En-Laye, l’Impero austro-ungarico fu disgregato (era già da tempo in crisi, ma non ci si aspettava la sua fine; un primo ridimensionamento era già avvenuto nel 1866 dopo la guerra austro-prussiana, conclusasi con la sconfitta asburgica e lo sdoppiamento della Corona). Caratterizzato dalla presenza di etnie diverse (tra le quali era incluso il problema slavo), all’interno del suo territorio si formarono dei comitati nazionali che si riunirono nel Convegno delle nazionalità oppresse dall’Impero austro-ungarico tenutosi a Roma. L’Austria rimase circoscritta al territorio abitato dalla popolazione di lingua tedesca, perdendo dunque: Trentino e Tirolo meridionale a favore dell’Italia; Boemia, Moravia e Slovacchia, che formarono la Cecoslovacchia; Bucovina, assegnata alla Romania; parte della Carinzia e del Burgenland, divisi da un plebiscito rispettivamente tra Austria e Jugoslavia e tra Austria e Ungheria; Galizia alla Polonia (solo nel 1923). Più complicata fu la questione della Venezia-Giulia, della Dalmazia, di Trieste e Fiume, poiché l’espansionismo italiano si scontrava con le rivendicazioni del nuovo Regno dei serbi, dei Croati e degli Sloveni. L’articolo 80 del Trattato di Versailles vietò l’Aschluss al fine di dividere il mondo tedesco come garanzia di stabilità, sancendo l’inalienabilità dell’indipendenza austriaca. 3) Secondo il trattato di Neuilly, la Bulgaria perse la Dobrugia meridionale a vantaggio della Romania, parte della Macedonia che passò alla Jugoslavia e la Tracia occidentale, ossia lo sbocco diretto sul Mar Egeo, alla Grecia. 4) Anche l’Ungheria venne ridimensionata: nel trattato del Trianon la Transilvania e parte del Banato passarono alla Romania; la Jugoslavia (Regno SCS) ottenne Croazia, Slavonia e la restante parte del Banato; la Rutenia subcarpatica alla Cecoslovacchia. In questi territori erano presenti forti minoranze ungheresi. 5) Il trattato di Sèvres avrebbe dovuto trovare una soluzione al problema dell’Impero ottomano, “l’uomo malato d’Europa”, un impero multinazionale con vasti territori unificati secondo diverse modalità. Il trattato si basava sul principio di divisione dei territori turchi da quelli arabi. Le clausole imposte erano severissime: l’Impero veniva circoscritto alla penisola anatolica, comportando la perdita dei territori esterni a questa; la Grecia otteneva la Tracia, quasi tutte le Isole Egee e l’amministrazione provvisoria di Smirne, affidata dal 1917 all’Italia; l’Armenia diventò indipendente e il Kurdistan autonomo; Francia, Regno Unito e Italia 6 Storia delle relazioni internazionali assumevano il controllo delle finanze imperiali; gli Stretti restavano sotto la nominale autorità del sultano, ma di fatto una commissione internazionale li avrebbe controllati. La revisione prima e la disgregazione successivamente erano state preventivamente accordate da Francia e Regno Unito con gli accordi Sykes-Picot del maggio 1916, i quali prevedevano la suddivisione della Mezzaluna Fertile: la Gran Bretagna avrebbe avuto il mandato su Iraq e Palestina, la Francia su Libano, Cilicia e Siria, mentre la Russia poteva ammettere il Kurdistan e l’Armenia turca. Oltre la fine dell’Impero ottomano, gli accordi prevedevano anche la nascita di uno Stato arabo indipendente: nel carteggio tra MacMahon e Sherif Hussein era previso che questo comprendesse tutta la penisola araba insieme alla regione mediorientale, salvo le province di Damasco, Hama, Homs e Aleppo e i luoghi santi palestinesi. Già prima della firma del trattato, Mustafà Kemal e i Giovani Turchi si schierarono contro la spartizione della penisola da parte delle potenze occidentali e contro l’autorità del sultano. Dopo aver fatto retrocedere americani, francesi, italiani, greci (subentrati a questi ultimi) e britannici, Kemal ricompattò l’area anatolica sotto una repubblica turca laica, unitaria e compatta, e spostò la capitale da Istanbul ad Ankara. Nel luglio 1923 furono firmati gli accordi di Losanna, che prevedevano il recupero dell’intera penisola anatolica e dell’indipendenza della Repubblica turca, che veniva riconosciuta a livello internazionale, oltre il controllo dei territori dell’area asiatica ed europea lungo gli Stretti e della navigazione. Per quanto riguardava la parte araba dell’Impero ottomano, la Società delle Nazioni introdusse lo strumento del mandato, con il quale le potenze occidentali potevano aiutare a condurre le popolazioni locali verso l’indipendenza. La Francia ottenne il mandato su Siria e Libano installando autorità francesi. Al contrario, la Gran Bretagna riconosceva forme di autogoverno locale: in Iraq Feysal Hussein; la Palestina fu divisa lungo la linea del fiume Giordano: in Transgiordania con Abdullah Hussein, e dall’altra parte si ipotizzò la creazione di condizioni per la costituzione del “focolare domestico” ebraico promesso nella Dichiarazione Balfour a Lord Rothschild. Nella penisola araba, i Sauditi vinsero la contesa contro gli Hascemiti. L’Italia era parte degli accordi di pace in quanto potenza vincitrice, anche se allo scoppio della guerra apparteneva alla Triplice Alleanza. Le aspirazioni politiche e territoriali del Paese erano già confluite nel Patto di Londra del 26 aprile 1915, documento in virtù del quale l’Italia era transitata tra le forze dell’Intesa e che prevedeva, in sedici articoli, i termini dell’intervento italiano: doveva impegnarsi a schierare tutte le forze contro i nemici e a seguire un determinato tipo di partecipazione militare (clausola che non fu del tutto rispettata: entrò in guerra nel mese successivo alla stipulazione del Patto di Londra, ma inizialmente dichiarò guerra solo all’Impero austro-ungarico e non a quello tedesco) in cambio di concessioni territoriali e politiche legate al completamento dell’unità nazionale (Trentino, Tirolo fino al Brennero, Venezia Giulia fino al Quarnaro ma senza Fiume, il Dodecaneso, l’Istria, un terzo della Dalmazia, il protettorato sull’Albania, compensi nell’area di Adalia nella penisola anatolica, riconoscimento delle acquisizioni in Libia; diritto ad una parte delle indennità di guerra; avvallo all’opposizione italiana alla partecipazione della Santa Sede ai negoziati di pace o alla risoluzione di questioni suscitate dalla guerra). Con il trattato di San Giovanni di Moriana del 1917, l’Italia accettava gli accordi Sykes-Picot in cambio del controllo di Smirne 7 Storia delle relazioni internazionali e dell’aumento della zona di influenza italiana sulla parte meridionale della penisola anatolica; il trattato non entrò mai in vigore perché mancò l’adesione dei russi. All’apertura della conferenza di pace (durante la quale la delegazione guidata dall’allora capo del governo Vittorio Emanuele Orlando rappresentò l’Italia) vi erano tutte le promesse per l’accettazione delle clausole territoriali del Patto di Londra, nel quale non era previsto che Fiume facesse parte delle acquisizioni italiane. La questione fiumana venne fuori solo nel 1919: era legata al fatto che al momento della stipulazione del Patto di Londra nessuno pensasse allo smembramento dell’Impero austro-ungarico, ma ad una sua riorganizzazione (che avrebbe comportato la creazione di uno Stato croato che comprendesse Fiume); dunque, l’Italia è pronta a cedere la Dalmazia e le isole prospicenti in cambio della città “italianissima”. La linea del transigere del primo ministro Orlando dovette affrontare tre scogli: gli alleati, Wilson e gli jugoslavi. L’ostacolo rappresentato dai primi era di tipo formale, ma non difficile da superare (gli anglo-francesi volevano onorare il patto di Londra, ma non erano disposti a concedere Fiume, la cui cessione non era prevista); al contrario, l’opposizione di Wilson – e quindi degli jugoslavi – fu molto forte: per lui, il Patto di Londra era privo di rilevanza internazionale ed espressione di quella diplomazia segreta che lui combatteva; si opponeva sia alla concessione di Fiume sia all’espansione territoriale italiana oltre la metà occidentale dell’Istria, delimitata dalla “linea Wilson”. Credendo che il governo italiano non rappresentasse più le istanze della popolazione che rappresentava, Wilson pubblicò un appello agli italiani; in questo appello definiva il patto di Londra un’intesa privata basata sull’assunto della sopravvivenza dell’Impero austro-ungarico, illustrava i motivi per i quali Fiume non avrebbe potuto essere assegnata all’Italia, negava la necessità di una ulteriore espansione italiana in Dalmazia, faceva presente la già avvenuta concessione dei confini naturali e auspicava che le richieste italiane fossero conformi ai principi in nome dei quali gli Stati Uniti avevano combattuto la guerra e avrebbero ricostruito la pace. L’appello contribuì a far crollare la popolarità del presidente statunitense in Italia. Non potendo trovare accoglimento alle proprie richieste, la delegazione italiana abbandonò le trattative per qualche mese, nonostante il trattato di Saint-Germain avesse confermato le acquisizioni italiane al confine con l’Austria. Nell’estate del 1919 il governo OrlandoSonnino cadde e fu sostituito dal governo Nitti-Tittoni, che dovette affrontare l’aggravamento della crisi fiumana provocato dall’occupazione della città da parte di D’Annunzio. Oltre all’occupazione della città, l’altra causa che fece avviare alla conclusione la questione adriatica fu il declino politico di Wilson. I negoziati bilaterali italo-jugoslavi cominciarono all’inizio del 1920. Nel novembre 1920 i due Stati firmarono il trattato di Rapallo, nel quale Fiume fu dichiarata “città libera”; gli italiani ottennero le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa e la città di Zara, mentre gli jugoslavi acquisirono il resto della Dalmazia; il trattato fu implementato con la cacciata di D’Annunzio da Fiume e con la nascita effettiva del regime di “città libera”. Non soddisfatte, Italia e Jugoslavia rinegoziarono la questione fiumana: con il trattato di Roma del gennaio 1924, la città passò all’Italia in cambio di aggiustamenti territoriali a favore degli jugoslavi. Il declino politico di Wilson e la sua conseguente uscita di scena per via di gravi problemi di salute portarono alla bocciatura definitiva del trattato di Versailles da parte del Senato: nel 8 Storia delle relazioni internazionali trattato erano contenuti sia il Covenant sia il trattato anglo-americano di garanzia alla Francia. Quest’ultimo decadde, sciogliendo dal vincolo anche il Regno Unito, che scelse l’isolamento, e lasciando la Francia ad affrontare da sola il problema della sicurezza sul fronte occidentale. Le conseguenze furono enormi e avrebbero diffuso in Europa gli elementi di squilibrio e di malcontento alla base dell’avvento dei totalitarismi e del secondo conflitto mondiale: il nuovo assetto europeo (soprattutto il nuovo ordine dell’Europa centro-orientale con il problema delle etnie) non ricevette alcuna garanzia esterna e per la mancata adesione degli Stati Uniti alla Società delle Nazioni, che quindi nacque monca. La Triplice Intesa (meno la Russia) continuò politicamente dopo la guerra fino all’autunno 1922, quando il fascismo si affermò in Italia. Mussolini tendeva per il revisionismo dei trattati, posizione che lui stesso ammise durate la partecipazione alla conferenza per l’accordo di Losanna a seguito dell’annullamento del trattato di Sèvres. Per quanto riguarda la politica estera, i primi anni del fascismo furono caratterizzati da una serie di incidenti diplomatici, tra i quali la crisi di Corfù: nel 1923 un ufficiale italiano fu assassinato dai greci nella rilevazione del confine albanese; dopo aver cercato di ottenere in vano una riparazione da parte del governo greco e dopo aver intimato l’ultimatum, Mussolini spedì la flotta italiana a Corfù e cannoneggiò il Palazzo del Governo. Con l’appello della Grecia alla Società delle Nazioni, iniziò una grave crisi internazionale, risolta con un compromesso diplomatico: i greci pagarono l’indennità e gli italiani retrocedettero da Corfù. In seguito, Mussolini si riallineò ad un’ipotesi di sintonia con la Francia e la Gran Bretagna, recuperando la linea tradizionale dell’Italia dell’ultimo periodo liberale. Il periodo compreso tra il 1919 e il 1939 fu sostanzialmente un ventennio di pace. Gli anni Venti avrebbero dovuto vedere l’applicazione dei trattati. Questo periodo può essere suddiviso in due parti: il periodo 1920-1925 e il periodo 1925-1929. Il primo periodo, detto della “pace di assestamento”, vide la fine dell’eurocentrismo e l’inizio dell’isolazionismo diluito degli Stati Uniti, i quali avevano orientato il corso della guerra e che di fatto diventarono la prima potenza mondiale. Le amministrazioni repubblicane succedutesi dopo Wilson scelsero in particolare due questioni sulle quali intervenire, ossia il disarmo e i debiti di guerra. Proprio quest’ultima fu la più importante, e comportava la risoluzione della questione finanziaria ed economica legata sia alle riparazioni sia ai prestiti concessi dagli Stati Uniti agli associati dell’Intesa. Gli Stati debitori, in particolare la Francia, si fecero portatori della teoria dell’abbinamento tra debiti e riparazioni, secondo la quale il pagamento dei debiti fosse subordinato al pagamento delle indennità di guerra da parte della Germania; la teoria non fu accettata dagli Stati Uniti. Stabilita la cifra dell’indennità di guerra (132 milioni di marchi d’oro) e un calendario perentorio per le prime due tranches di pagamenti che sarebbe scattato se i tedeschi fossero stati in grado di versarle, la Germania chiese una moratoria per rinviare le scadenze, in modo tale da dare il tempo di ricostruire l’economia ed assicurare il pagamento delle indennità. Per far fronte a queste richieste, furono convocate due conferenze (una a Cannes e una a Genova, durante la quale tedeschi e russi stipularono a Rapallo un trattato che normalizzava le relazioni politiche e finanziarie tra i due Paesi e che gettava le basi per una successiva collaborazione militare) per stabilire delle garanzie politiche sulle frontiere tedesche, in particolare quelle 9 Storia delle relazioni internazionali orientali (perché la Francia era alleata con i Paesi del “cordone sanitario” in funzione antitedesca e antisovietica). Le due conferenze fallirono; a seguito del rifiuto tedesco al pagamento dell’indennità, nel gennaio 1923 la Francia occupò militarmente la Ruhr per perseguire la politica del “pegni produttivi” (che consisteva nella sostituzione del pagamento in moneta con un pagamento in natura che consisteva delle risorse e dei prodotti appartenenti al bacino carbonifero). In risposta all’occupazione francese, il governo tedesco impose ai lavoratori di astenersi dalle loro mansioni (“resistenza passiva”); sostenuto da Belgio e Italia, il governo Poincaré decise di potenziare le ferrovie e di inviare lavoratori e tecnici di nazionalità francese, belga e italiana per sostituire i tedeschi. Contemporaneamente, in Germania iniziò una crisi inflazionistica particolarmente grave. L’ascesa al governo di Stresemann permise di porre fine alla resistenza passiva in cambio della revisione della politica di pagamento. Due commissioni (tra cui la commissione Dawes) si occuparono di studiare un compromesso per attuare questo progetto: si arrivò a definire un piano che prevedesse di monitorare l’economia tedesca e di riattivarla attraverso la riorganizzazione della Banca nazionale tedesca, il cambio della moneta (il Reichsmark sostituì il Rentenmark) e una serie di finanziamenti, affinché il Paese potesse effettuare i pagamenti delle riparazioni sulla base del principio della “capacità di pagamento” con rate crescenti. Il periodo tra il 1925 e il 1929 fu caratterizzato dalla pacificazione franco-tedesca, che ebbe il suo culmine con la sottoscrizione dei patti di Locarno nell’ottobre 1925. Tra questi, il più importante era il “patto renano”, stipulato tra Germania, Francia e Belgio, che sanciva la pacificazione tra i tre Paesi con il mutuo riconoscimento dei confini e quindi delle clausole di Versailles (compresa la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia). Il significato politico dietro questo patto era molto importante, perché comportava la conferma dei trattati di pace con una differenza politica rispetto a questi: difatti, i primi contenevano delle clausole stabilite in modo unilaterale dalle quattro potenze vincitrici senza che le autorità tedesche potessero ribattere e porre delle obiezioni, facendo in modo che la popolazione li considerasse un’imposizione ingiusta nei confronti della Germania; al contrario, la Germania prese parte ai negoziati per la conclusione dei patti di Locarno, ritrovandosi su un piano di uguaglianza con gli altri Stati. Fu stabilito che, in caso di aggressione ai confini, lo Stato sarebbe stato considerato “aggressore” da parte della Società delle Nazioni e soggetto a sanzioni; inoltre, per risolvere le controversie sulle delimitazioni confinari, gli Stati promettevano di rifarsi alle condizioni di arbitrato allegate al patto. Gran Bretagna e Italia si posero come garanti del “patto renano”: il compito di queste due potenze era quello di sorvegliare il rispetto dell’accordo e di provvedere, attraverso sanzioni, a punire tutti i comportamenti lesivi; l’Italia si ritrovò dunque in una posizione paritaria rispetto al Regno Unito, sostituendo gli Stati Uniti nel ruolo di garante. La delegazione italiana si ritrovò a riflettere su una perplessità teorica riguardante il trattamento differenziato tra la frontiera occidentale, soggetta ad una vasta serie di protezioni, e quelle meridionale ed orientale, le quali non erano soggette a misure protettive. L’Italia si preoccupava della frontiera meridionale per la questione dell’Anschluss tra Austria e Germania, che in quel momento veniva visto favorevolmente nei due Paesi, e della frontiera orientale per la presenza di una “Grande Polonia” sovradimensionata. 10 Storia delle relazioni internazionali Alla regola generale dell’intangibilità dei confini fu posta un’eccezione riguardante la Polona e la Cecoslovacchia: in caso di attacco tedesco agli alleati orientali, la Francia avrebbe potuto varcare il confine renano senza incappare in sanzioni da parte della Società delle Nazioni. Le critiche al patto di Locarno riguardavano l’incertezza dei confini orientali e meridionali e i limiti funzionali sulla garanzia politica del Regno Unito e dell’Italia riguardanti l’efficacia tecnica e militare. Anche Stresemann ricevette varie critiche in patria, alle quali rispose affermando di considerare i patti come un mezzo e non un fine, una tappa necessaria al pieno recupero della sovranità e al conseguimento della grandezza della Germania attraverso la diplomazia; le rotture delle strettoie di Versailles avrebbero comportato l’allargamento del raggio d’azione a livello internazionale. Iniziò lo sgombero della zona A della Renania (già previsto nel trattato di Versailles), per cui Stresemann si occupò anche di ottenere la smilitarizzazione delle zone B e C prima della loro scadenza naturale. Nel settembre 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni. Precedentemente, si verificò un primo riavvicinamento della Germania e dell’Unione Sovietica: quest’ultima rappresentava un contraltare politico importante per la Germania, anche perché entrambi i Paesi si ritrovarono in grande difficoltà dopo la guerra. Il riavvicinamento ebbe luogo prima attraverso collaborazioni economiche e tecnico-militari, poi con un trattato bilaterale di amicizia stipulato nell’aprile 1926. Il patto Briand-Kellogg rappresentò il culmine del periodo di pacificazione. Inizialmente, il patto riguardava solo la Francia e gli Stati Uniti e consisteva nella ripresa dei rapporti di amicizia tra i due Stati, i quali si erano allontanati a seguito della differente prese di posizione riguardante il destino della Germania durante e dopo i trattati di pace. Da parte francese c’erano due esigenze: una generale di riavvicinamento ed una specifica di scongiurare aiuti americani ai tedeschi nel caso di attacco alla Francia da parte della Germania (la proposta francese puntava ad impedire un atteggiamento di neutralismo e il commercio a Paesi aggressori). In sede di negoziato, gli Stati Uniti tentano di diluire le clausole del patto ponendo come obiettivo principale la rinuncia permanente e la condanna alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie e proponendo un allargamento del progetto ad altri Stati. Costituito da un preambolo e due articoli, il patto Briand-Kellogg ebbe una minima applicazione pratica, ma grandi conseguenze sul piano politico. Intanto, la Germania continuò ad avanzare richieste per lo sgombero delle zone B e C della Renania, alle quali la Francia rispose giustificando il carattere non solo punitivo ma anche di garanzia dell’occupazione, collegata infatti alla questione delle riparazioni (che la Germania stava continuando a pagare sulla base del piano Dawes). Il piano Dawes avrebbe avuto una durata di cinque anni e, al suo interno, i pagamenti non erano strutturati in quanto non determinarono un importo esatto della cifra delle riparazioni rimanenti; inoltre, nella comunità internazionali erano diffusi i dubbi sulle capacità della Germania di continuare a pagare le riparazioni senza aiuti stranieri (la scadenza del piano Dawes era prevista per il 1929). Per questa ragione fu creata una commissione per studiare un nuovo piano con il fine di proporre una soluzione efficace che sarebbe subentrata alla scadenza del piano Dawes: la commissione Young stabilì la cifra rimanente delle riparazioni (circa 110 miliardi di marchi oro da versare in cinquantanove anni) e concedendo ampi spazi di manovra per la Germania. Durante la conferenza dell’Aia dell’agosto 1929 furono approvati sia il piano Young sia la proposta di evacuazione delle truppe nelle zone B e C della Renania. 11 Storia delle relazioni internazionali Nel settembre 1929 Briand propose un progetto di Unione Europea alla Società delle Nazioni: secondo il primo ministro, solo facendo dei passi in avanti verso la collaborazione politica ed economica l’Europe avrebbe potuto ottenere un avvenire di pace, di benessere e di cooperazione; il progetto non intaccava la sovranità nazionale degli aderenti, ma essi avrebbero dovuto riconoscere reciprocamente i confini; inoltre, l’integrazione economica sarebbe stata la premessa per un’integrazione ulteriore sul piano politico. L’affossamento del progetto da parte della Germania e della Gran Bretagna segnò l’inizio del declino della pacificazione. Il crollo della borsa di New York del 24 ottobre 1929 diede il via ad una crisi economica di dimensioni globali che avrebbe culminato in gravi conseguenze politiche: nella primavera del 1930 la crisi arrivò in Europa, provocando la contrazione dell’economia reale (meno benessere, alti tassi di disoccupazione e mancanza di investimenti), all’arresto della ricostruzione in seguito al fallimento degli istituti finanziari e all’avvento del protezionismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo come soluzioni al malessere globale (i primi furono gli USA con lo Smoot-Hawley Tariff Act – con il quale cercavano di tutelare il mercato interno dalla concorrenza per impedire un ulteriore crollo dei prezzi e l’aumento della disoccupazione – seguiti a ruota dai Paesi europei e dal Giappone. L’Austria e la Germania tentarono di deviare il divieto di Anschluss provando a costituire un’unione doganale per arginare la crisi economica, provocando così il ricorso contro questo progetto da parte dell’Italia, della Francia e della Germania presso la Corte permanente di giustizia internazionale. Il peggioramento dei propri parametri economici obbliga l’Austria a dover richiedere aiuti finanziari alla Società delle Nazioni, con la conseguenza di dover abbandonare il progetto di Anschluss economico. In Germania la crisi economica fu tale al punto che il governo dovette chiedere la sospensione dei pagamenti, accordata dagli Stati Uniti con la cosiddetta “moratoria Hoover”: la sospensione avrebbe avuto la durata di un anno, e in questo arco di tempo si sarebbero svolti i preparativi per una conferenza internazionale con la finalità di trovare una soluzione definitiva al problema delle riparazioni. La conferenza di Losanna del 1932 si concluse con l’obbligo per la Germania di pagare un’unica ed ultima tranche da tre miliardi di marchi per estinguere le riparazioni entro il 1935, cifra mai pagata dalla Germania. Collegata alla questione delle riparazioni, si pose anche quella dei debiti interalleati: la Francia rifiutava di continuare a pagare i debiti a meno che la Germania non avesse continuare a versare le riparazioni; gli Stati Uniti non accettarono la cancellazione dei debiti. Le difficoltà economico-sociali degenerarono a livello politico sul piano globale; in particolare, per quanto riguarda il continente asiatico, queste si manifestarono nel conflitto latente tra Cina e Giappone, il quale avrebbe portato ampi problemi legati all’incapacità della comunità internazionale di sanare la situazione. Negli anni Venti, il Giappone andò incontro ad un notevole sviluppo economico, al quale si coniugava una politica estera prudente; sul finire del decennio, però, ebbe luogo un’inversione di tendenza sotto il profilo sia economico sia politico. In effetti, l’inversione di tendenza nella politica estera (i gruppi nazionalisti e il militarismo ottennero maggiori consensi, a discapito del governo liberale) fu una conseguenza diretta della crisi economica: il crollo precipitoso delle esportazioni (verso le quali la maggior 12 Storia delle relazioni internazionali parte della produzione giapponese era orientata) e il dilagarsi della preferenza per il protezionismo comportò un crollo precipitoso dell’economia giapponese, al quale era necessario rispondere trovando nuovi sblocchi per la produzione e per la forza lavoro. Da quel momento fu perseguita una politica estera aggressiva che aveva come punto di attenzione la Cina, da sempre attrazione principale insieme al Sud-Est asiatico. A differenza dell’imperialismo tradizionale europeo, la politica giapponese in Asia acquistò una valenza liberatoria nei confronti dei territori alle quali si rivolse. La Repubblica cinese era debole e caratterizzata dalla presenza di svariati centri di potere che il governo legittimo stentava a condurre sotto il proprio controllo; tra questi, vi era anche il governo dissidente di Canton, guidato dal Kuomintang, che avrebbe avuto la meglio sul governo centrale di Pechino sotto la guida di Chiang Kai-shek. Il Kuomintang doveva pensare a consolidare il proprio potere su tutto il territorio ovviando all’opposizione dei comunisti guidati da Mao Tse-tung e contrastando i vari potentati locali, in particolare in Manciuria. Situata nella parte meridionale del Paese, la Manciuria era controllata economicamente e militarmente dai giapponesi, i quali pensavano di far partire da lì l’espansione che avrebbe aiutato al risanamento dell’economia. Inoltre, a partire dal 1905, i giapponesi avevano investito ingenti capitali per la costruzione della ferrovia transmanciuriana, e il pretesto per la penetrazione militare derivava proprio dall’esigenza di salvaguardare dal caos cinese i mille chilometri di ferrovie costruite con capitale giapponese: sulla base di un trattato con la Cina stipulato nel 1915, i giapponesi avevano acquistato tutti i privilegi, diritti e proprietà connessi con la ferrovia in Manciuria, dunque erano decisi ad applicare la clausola in modo estensivo. Tra il 1931 e il 1932 ebbe inizio la crisi manciuriana: l’aggressione e l’occupazione della regione da parte delle truppe giapponesi rappresentava un banco di prova per la comunità internazionale. La Cina si appellò alla Società delle Nazioni, la quale fu bloccata dalle esitazioni dei rappresentanti giapponesi e dall’impossibilità di prevedere un seguito concreto alle proprie prese di posizione. Fu istituita una commissione (commissione Lytton) per svolgere un’inchiesta sulla vicenda. Intanto, il nuovo governo giapponese, più aggressivo del precedente, non retrocedette alle minacce della Società delle Nazioni e decise di bombardare ed invadere Shangai. La comunità internazionale si oppose ad ulteriori occupazioni in Cina; l’opposizione maggiore arrivò dagli Stati Uniti, per i quali era fondamentale non alterare lo status quo: nel proclama rivolto ai cinesi e ai giapponesi, il Segretario di Stato dell’epoca, Stimson, affermò che gli Stati Uniti non avrebbero accettato ulteriori acquisizioni ottenute attraverso l’uso della forza. I giapponesi allentarono la morsa su Shangai, ma non sulla Manciuria: per dare alla crisi una parvenza di legalità, crearono il Manciukuò, uno Stato-fantoccio in cui un’assemblea locale legalizzò la presenza giapponese nell’area e al cui comando fu posto Pu Yi, l’ultimo imperatore cinese. La relazione Lytton arrivò al termine della crisi: essendo la costituzione del Manciukuò illegale, si chiedeva la smilitarizzazione dell’area e il ripristino dello status quo. Il Giappone, disinteressato alle prese di posizione della Società delle Nazioni, nel marzo 1933 decise di uscirne. Non fu dichiarato Paese aggressore e poté continuare imperterrito la penetrazione in Cina. 13 Storia delle relazioni internazionali Qualche mese prima, a gennaio, il Partito nazionalsocialista tedesco vinse le elezioni e Adolf Hitler diventò cancelliere. L’ascesa al potere di Hitler (nato in Austria e formatosi in un ambiente antisemita, pangermanista e ostile alla cultura liberal-democratica) segnò il trionfo della volontà di rivincita e del progetto del recupero di radicati disegni di dominazione in Germania. Negli anni Venti, la Germania affrontò enormi difficoltà che la classe dirigente non fu in grado di affrontare. Con l’ascesa del NSDAP, i centristi fecero proprie alcune istanze del programma nazista, in particolare le questioni contro le riparazioni e a favore di un Anschluss economico. Adolf Hitler riuscì ad ascendere al potere nel giro di dieci anni, sfruttando il malcontento generale e strumentalizzando i momenti difficili che la Germania stava attraversando in quel momento: il putsch di Monaco del 1923 fu organizzato come protesta per l’occupazione francese della Ruhr Il programma politico del Partito nazionalsocialista puntava sulla rinascita nazionale e sul recupero dell’indipendenza e della sovranità come premesse necessarie per attuare le altre due linee del proprio programma, al fine di far rinascere uno Stato forte: il Deutsche Raum (ossia unificazione in un’unica entità statuale che comprendesse tutte le entità germaniche eliminando quelle estranee ad essa – minoranze etniche, opposizioni politiche e religiose) e il Lebensraum (espansione dei confini della Germania per procacciare ed ottenere le risorse per alimentare il popolo tedesco – in riferimento all’Europa orientale e non ad un qualche tipo di colonialismo oltremare). La classe dirigente tedesca avrebbe guidato il popolo eletto, ossia quello ariano, verso un nuovo ordine mondiale e la purificazione del continente dalla finanza ebraica, dalla plutocrazia e da tutti quei popoli “impuri” (primi fra tutti gli slavi, dopo gli ebrei). La politica estera di Hitler era ispirata a questo programma, con degli obiettivi ben definiti ma che avrebbero potuto adattarsi alle situazioni di volta in volta prospettatesi: la priorità assoluta era il riarmo, seguito dalla riunificazione di tutte le popolazioni europee di stirpe germanica, dalla costruzione di una rete di alleanze per far accettare alle potenze europee la leadership tedesca e dall’attacco al mondo slavo per distruggere l’URSS e ottenere L’Ucraina; successivamente, ai britannici sarebbe stato chiesto se collaborare con la Germania europea o se isolarsi, e, in questo ultimo caso, avrebbero subito un attacco dalla Germania; con la sconfitta britannica, Germania e Giappone avrebbero ottenuto la possibilità di controllare tutti i mari e di isolare gli Stati Uniti, a cui sarebbe seguita la reazione della componente antiyankee in America Latina. Il fatto che il programma nazista fosse condiviso da buona parte della popolazione tedesca e ben conosciuto in Europa, destava preoccupazione soprattutto in Unione Sovietica e in Italia. Nel settembre 1933, Italia e Unione Sovietica firmarono un patto di amicizia con la volontà di dare luogo ad un avvicinamento politico contro il pericolo rappresentato dalla Germania nazista; in particolare, l’Italia giustificò questo patto con la paura di un’annessione dell’Austria da parte della Germania, fatto che avrebbe potuto ribaltare i rapporti di forza stabiliti dopo i trattati di pace. La diplomazia italiana e Mussolini elaborarono delle contromosse, quali l’avvicinamento dell’Austria e la creazione di un alveo diplomatico che destabilizzasse il programma hitleriano. Nel giugno 1933 fu firmato il Patto a quattro tra Italia, Regno Unito, Francia e Germania, con lo scopo di favorire l’impegno fondamentale e condiviso al mantenimento 14 Storia delle relazioni internazionali della pace (quindi ad applicare il patto Briand-Kellogg), tenuto fermo il quale si sarebbero rivisti i trattati di pace all’interno della struttura istituzionale rappresentata dalla Società delle Nazioni (ipotesi prevista anche nel Covenant); le questioni che sarebbero state sottoposte a ridiscussione erano le frontiere orientali (per cui l’Italia è d’accordo, ma non la Francia, alleata dei polacchi) e il disarmo (questione molto importante per Hitler). Il testo dell’accordo finale uscì completamente diverso dagli intendimenti italiani, poiché non erano presenti riferimenti a modifiche né agli assetti territoriali né ai trattati di pace. Il trattato non fu mai ratificato. Nel Trattato di Versailles il disarmo della Germania era considerato un elemento di tutela e il primo passo per il disarmo generale. Una commissione fu nominata per iniziare i preparativi della Conferenza sul disarmo, tenutasi a Ginevra nel febbraio 1932 (quindi, prima dell’ascesa al potere di Hitler). Durante la conferenza emersero posizioni diverse e contrastanti tra loro: c’era chi chiedeva un disarmo quantitativo, chi qualitativo, chi entrambi, chi totale e chi, invece, era contrario al disarmo. Il cancelliere Brüning portò avanti la sua posizione della “uguaglianza di diritti”, nel senso che anche tutti gli altri Stati, come la Germania, avrebbero dovuto procedere al disarmo. La posizione di Brüning non fu inizialmente accettata, al punto che la delegazione tedesca abbandonò la conferenza a settembre, per poi tornare a dicembre dopo che si raggiunse un compromesso per concedere la tanto agognata “eguaglianza di diritti”. Divenuto cancelliere, Hitler fece proprie le tematiche già proposte da Brüning, insistendo sull’applicazione del principio dell’eguaglianza di diritti e chiedendo l’immediata riduzione degli armamenti delle altre potenze europee al livello della Germania: quindi, il disarmo della Francia era la condizione perché la Germania non si riarmasse e continuasse a partecipare ai lavori della Conferenza. La risposta negativa delle potenze europee spinse Hitler a dichiarare l’uscita della Germania dalla Conferenza e dalla Società delle Nazioni. L’uscita dalla Società delle Nazioni significava maggiore libertà di azione della Germania, soprattutto per quanto riguardava le decisioni nel settore degli armamenti e, quindi, nella ricostruzione della potenza militare germanica. Da una parte, le delegazioni europee tentarono di riportare la Germania all’interno della conferenza; dall’altro, le potenze pensavano di fare in modo che la Germania rivedesse almeno parzialmente le proprie linee guida mediante accordi bilaterali al di fuori della conferenza, proseguendo quindi una politica di accomodamento (che ricevette il sostegno della diplomazia britannica). I tentativi di accomodamento fallirono perché la Germania era decisa ad intraprendere il riarmo segretamente, aspettando il momento adatto per proclamarlo; la Francia non credeva nelle capacità del negoziato con la Germania, e decise perciò di avviare due nuove linee per premunirsi da eventuali sviluppi destabilizzanti: accrescere le proprie difese costruendo muri di separazione lungo la linea Maginot e ricostruire le proprie forze militari in maniera più salda. Hitler prese una decisione: avrebbe continuato il riarmo clandestino, ma contemporaneamente si sarebbe impregnato, almeno nel breve periodo, per affermare delle prese di posizione nei confronti delle altre potenze tali da rassicurarle che tra le sue intenzioni non ci fosse l’aggressione, in particolare nei confronti della Francia, intraprendendo una politica estera moderata. Su questa linea, il 26 gennaio 1934 la Germania e la Polonia firmarono un patto di non aggressione decennale, nel quale la Germania si impegnava a non ricorrere in alcun caso alla forza per la risoluzione di questioni di confine e a non intromettersi nelle questioni riguardanti il governo polacco e le minoranze alogene (tra cui la minoranza tedesca). Questo 15 Storia delle relazioni internazionali patto rappresentò una garanzia indiretta dei confini orientali, oltre che una fonte di grande rassicurazione per l’opinione pubblica e le potenze europee, ma sicuramente non fu segno di un’alterazione nel programma politico di Hitler: era necessario piegare i mezzi alla situazione, ma non modificare gli obiettivi finali. Accantonata per il momento la questione dei confini orientali, Hitler si occupò di consolidare il proprio potere all’interno. Liquidò tutte le altre forze politiche, destituì il Parlamento e, alla morte di Hindenburg, emanò un decreto per l’unificazione delle due cariche di presidente e di cancelliere del Reich nella sua persona; soppresse con metodi radicali i concorrenti all’interno del Partito nazista, in particolare le SA (30 giugno 1934: notte dei lunghi coltelli); perseguì il risanamento economico con programmi di investimenti pubblici nelle infrastrutture per diminuire la disoccupazione, e impostò un piano quadriennale di riarmo. Hitler non abbandonò la prospettiva di una riunificazione austro-tedesca: in Austria l’instabilità politica endemica si saldò all’opzione di Anschluss, sostenuta dal Partito nazionalsocialista austriaco e osteggiato dalla componente cristiano-sociale. Rappresentante dell’austrofascismo, il cancelliere austriaco Dollfuss intraprese una svolta in senso autoritario nel Paese per contrastare sia l’opposizione socialdemocratica sia i gruppi paramilitare legati agli ambienti nazisti e favorevoli all’Anschluss, e prospettò un avvicinamento all’Italia (Mussolini finanziò e aiutò dal punto di vista politico l’Austria). Nel 1934, Italia, Austria e Ungheria stipularono un accordo diplomatico, il quale prospettava la nascita di un’unione doganale come via d’uscita rispetto alla crisi economico-politica austriaca. Nel febbraio dello stesso anno, Italia, Regno Unito e Francia firmarono una dichiarazione comune volta a riaffermare l’importanza dell’indipendenza austriaca e la santità dei trattati di pace. Per Mussolini, però, era cosciente del fatto che fosse necessario un chiarimento diretto con Hitler sull’indipendenza austriaca: l’incontro tra i due si tenne nella primavera del 1934 a Venezia. Entrambi ribadirono la stessa identità di vedute sulle principali linee di politica estera, soprattutto per quanto riguardava l’Austria, ma con una differenza: al momento per la Germania l’unificazione non era una priorità assoluta, ma l’Austria non avrebbe dovuto dimenticare l’appartenenza al mondo germanico, che, appunto, divideva con lo Stato tedesco. Nel luglio 1934 i nazisti austriaci attuarono un tentativo di colpo di stato, con la finalità di provocare l’immediata sostituzione di Dollfuss (che fu ucciso) e il trapasso verso l’Anschluss. Il colpo di stato fallì grazie alla resistenza politica sia interna (fermezza del Presidente austriaco) sia esterna (con il contrasto al colpo di stato guidato dalla Legazione d’Austria, con l’occupazione dei centri di potere e della comunicazione da parte di questa e con lo schieramento delle truppe italiane al Brennero, pronte ad intervenire). Il vice di Dollfuss, von Schuschnigg, fu nominato capo del governo. Hitler prese le distanze dal colpo di stato e lo condannò per non alterare fin troppo presto l’immagine di moderazione che aveva voluto alimentare. Mussolini fu preoccupato dall’inaffidabilità di Hitler e dalle reazioni tiepide di Francia e Regno Unito durante il colpo di stato austriaco: queste ultime ribadirono, però, l’ottica comune a difendere l’indipendenza austriaca. Attraverso il tentativo di progetto di Patto a Quattro, Mussolini mostrava che se l’imperialismo mussoliniano legato all’Etiopia fosse stato accolto, l’Italia avrebbe fatto la sua parte per incanalare il revisionismo europeo della Germania dentro il sistema della Società delle Nazioni. 16 Storia delle relazioni internazionali L’esigenza di maggiore solidarietà – derivante dalla mancata convergenza di opinioni tra Francia e Regno Unito e dalla preoccupazione francese e sovietica per l’ascesa di Hitler – spinse il Ministro degli Esteri francese, Barthou, a seguire una politica estera improntata a contrastare il pericolo tedesco (sempre più reale) attraverso il rafforzamento dei legami francesi con il recupero dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica, dato che i legami con la Piccola Intesa e gli Stati balcanici non bastavano più. Dopo i primi accordi commerciali stipulati tra il 1931 e il 1932, nella primavera del 1934 la Francia e l’Unione Sovietica decisero che si sarebbero aggiornate e consultate per proporre un piano complessivo volto alla stabilizzazione dell’Europe orientale da realizzare per tappe: 1. Realizzazione di un accordo volto a sanare l’instabilità dell’Europa orientale, basato sulla garanzia reciproca dell’indipendenza degli Stati di quell’area (compresa anche la Germania) e di mutuo riconoscimento dei confini, seguendo il format del Patto di Locarno (progetto di Locarno orientale); 2. Adesione della Francia al sistema del Patto orientale e adesione dell’Unione Sovietica al patto di Locarno: partecipazione incrociata; 3. Attestazione che i due passaggi precedenti non fossero in contrasto con i principi della Società delle Nazioni tramite l’ingresso dell’Unione Sovietica all’interno di quest’ultima. L’idea di Locarno orientale non giunse mai in porto, perché la Germania riteneva inopportuna la propria partecipazione ad un patto che potesse cristallizzare i confini orientali, oggetto della politica estera tedesca, e per il rifiuto della Polonia a parteciparvi. Questo insuccesso non precluse né l’ingresso dell’Unione Sovietica nella Società delle Nazioni (che avvenne nel settembre 1934 e ottenne un seggio permanente), né la necessità dei francesi e dei sovietici di procedere insieme per dare una risposta comune al problema tedesco attraverso il rafforzamento dell’amicizia franco-sovietica e la creazione in un bacino di condivisione della visione barthouniana allargabile ad altri Stati: l’Italia e il Regno Unito. I britannici prendevano con leggerezza il problema tedesco, al contrario degli italiani, con i quali i francesi iniziarono a studiare la risoluzione del dissenso tra le due al fine di associare l’Italia ad una politica di pace nei Balcani. Fu organizzata una visita del ministro francese a Roma nel novembre 1934. Barthou fu ucciso a Marsiglia insieme ad Alessandro I di Jugoslavia da parte di alcuni ustascia croati. La linea politica di Barthou fu proseguita dal suo successore, Laval, con una serie di novità: la volontà di verificare la disponibilità della Germania approfittando del plebiscito della Saar (facendo in modo che anche i nazisti potessero fare una campagna referendaria a favore del ritorno in Germania senza subire limitazioni; il plebiscito si svolse nel gennaio 1935 e decretò il ritorno della zona all’interno della Germania) e l’approfondimento della linea volta ad allargare l’alveo delle potenze per costituire un’ottica comune insieme al Regno Unito e, soprattutto, all’Italia. Con la sottoscrizione dell’Accordo di Roma il 7 gennaio 1935, le due potenze si ponevano come obiettivo il contenimento del revisionismo tedesco, un fine da raggiungere dopo aver sanato incomprensioni passate e facendo dunque tabula rasa. La cristallizzazione degli obiettivi politici comuni ai due Paesi portò a procedere d’intesa a partire dall’impegno a sostenere l’indipendenza austriaca. Il superamento delle controversie fu ottenuto mediante la sistemazione di alcune vertenze su territori extraeuropei, ossia la Tunisia e l’Etiopia. Da lungo tempo protettorato francese, la Tunisia aveva al suo interno una 17 Storia delle relazioni internazionali comunità italiana rilevante e giuridicamente privilegiata, che permetteva dunque alla madrepatria di mantenere una posizione preminente nel Paese: l’Italia accettò la liquidazione degli interessi della comunità italiana in Tunisia, che avrebbe dovuto essere equiparata al resto della popolazione nel giro dei successivi trentacinque anni. Per la solidarietà manifestata mediante il sacrificio italiano in Tunisia, i francesi riconobbero sa la legittimità degli interessi italiani in Etiopia sia la sovranità italiana in Libia, in Eritrea e in Somalia. Nonostante i suoi limiti, l’accordo italo-francese era destinato a rappresentare un punto fermo nella politica francese di contenimento della Germania; inoltre, fu integrato da un accordo militare. Il 16 marzo 1935 Hitler annunciò la ripresa del riarmo tedesco e la reintroduzione della coscrizione obbligatoria, in evidente rottura con il trattato di Versailles (precisamente, l’articolo 173): le motivazioni riguardavano il fatto che, secondo Hitler, i trattati di pace non fossero giusti, perché si erano applicati solo alla Germania mentre gli altri Paesi non solo non avevano iniziato il disarmo, ma avevano cominciato riarmo sia di fatto sia dal punto di vista giuridico (Francia: legge dei ventiquattro mesi, ossia il prolungamento delle classi di leva dell’esercito; aumento delle spese militari nel Regno Unito). Il riarmo tedesco era giustificato dalle azioni della Francia e del Regno Unito, che Hitler considerava delle misure contro la Germania. I rappresentanti italiani, britannici e francesi (Mussolini, MacDonald e Laval) si incontrarono per esaminare le conseguenze della decisione hitleriana e per concordare le modalità di contrasto al revisionismo tedesco e di garanzia della pace in Europa. Il 14 aprile Francia, Regno Unito e Italia costituirono il Fronte di Stresa: i tre si impegnavano a consultarsi reciprocamente circa i termini della grave violazione tedesca, a tutelare l’indipendenza austriaca e a intraprendere una politica contro le minacce alla pace in Europa; ulteriori passi in avanti nello smantellamento dell’ordine di Versailles non sarebbero stati tollerati. Si determinava una localizzazione specifica, ossia l’Europa centro-orientale: il mantenimento dello status quo nell’area fu sostenuto da Mussolini, il quale a breve avrebbe intrapreso la campagna d’Etiopia e cercò di concentrare l’attenzione della Francia e del Regno Unito su quella zona per distrarli dalla politica coloniale italiana. Il limiti al Fronte di Stresa riguardavano la mancata previsione di sanzioni per eventuali future infrazioni della Germania e la persistenza di scelte unilaterali circa il modo di relazionarsi a Hitler, in controtendenza rispetto alle esigenze di individuare linee comuni e di procedere lungo queste. La formula del Fronte di Stresa avrebbe avuto un grande peso politico, se Francia e Regno Unito avessero svolto un’azione convergente e reciprocamente accettabile. Nel maggio 1935, la Francia e l’Unione Sovietica firmarono un patto di reciproca assistenza, nel quale affermarono di volersi premunire contro qualsiasi minaccia nei loro confronti, stabilendo l’esigenza di consultazioni dirette: in caso di aggressione a una delle due parti contraenti, l’altra sarebbe intervenuta, ma il sostegno sarebbe stato sottoposto alla tutela delle procedure messe in atto dalla Società delle Nazioni tramite sanzioni e il riconoscimento dell’aggressione prevista come casus foederis da parte del Consiglio della Società: in caso di inefficacia delle azioni della Società delle Nazioni, l’intervento diretto avrebbe avuto luogo. Il patto franco-sovietico fu corredato da un accordo tra URSS e Cecoslovacchia, alla quale veniva promesso di guardare con attenzione nei suoi confronti in caso di aggressione, strutturando un sistema più definitivo con la previsione di assicurare la controparte da 18 Storia delle relazioni internazionali aggressioni, garanzia che sarebbe scattata solo in conseguenza dell’applicazione del patto franco-sovietico (clausola cronologica di applicazione). La reazione tedesca fu molto critica: il sistema previsto dal patto franco-sovietico era orientato contro la Germania, che aveva avuto ragione a riarmarsi e che quindi doveva continuare in tale senso; inoltre, secondo Hitler, la Francia si stava ponendo in contrasto con i principi precedentemente stabiliti, considerando quindi il patto franco-sovietico come l’estensione illegittima alle clausole orientali del Patto di Locarno. Il mese successivo britannici e tedeschi conclusero un accordo navale, detto anche “del 35%”: con questo accordo, che riguardava le reciproche marine militari, il tonnellaggio della flotta tedesca non avrebbe dovuto superare del 35% quello della flotta britannica, proporzione che sarebbe salita del 45% per i sottomarini; il limite poteva essere superato in modo unilaterale dopo una discussione amichevole con il governo britannico. Lo scopo dell’accordo era quello di parametrare il tasso di crescita attuale e limitare la crescita futura della flotta tedesca ponendo una cifra numerica come limite massimo (simile al Two-Powers Standard). Di fatto, il significato politico dell’accordo era chiaro: legittimava il riarmo tedesco, in contrapposizione con la lettera degli intendimenti manifestati a Stresa, e apriva una crepa profonda nel fronte unito. Iniziata il 3 ottobre 1935, l’aggressione italiana all’Etiopia fu l’ultima guerra coloniale scatenata da una potenza europea per la conquista di un impero. L’impostazione della politica coloniale fascista aveva origine in quella crispina, che consisteva nell’inserimento all’interno della vita politica e sociale in Abissinia tramite l’appoggio diretto di un contendente al titolo di negus per garantirsi una presenza qualificata nell’area. La politica coloniale italiana in Abissinia era stata frenata dalla rovinosa sconfitta ad Adua, ma aveva ripreso durante i negoziati per l’ingresso in guerra con la richiesta di possedimenti coloniale e la ricerca dell’appoggio di ferenti internazionali da parte dell’Italia. Mussolini riprese dunque la tradizione coloniale italiana, appoggiando uno dei contendenti al titolo di negus, ras Tafarì Maconnèn, e stipulando con questi un accordo: fu nominato negus con il nome di Hailé Selaissié. Da parte italiana c’era il sospetto che le promesse non sarebbero sta L’ultima spinta verso il baratro del Fronte di Stresa fu l’impresa te mantenute, mentre il negus cercò di emanciparsi dall’influenza italiana, anche perché l’Etiopia era uno Stato sovrano e indipendente e faceva parte della Società delle Nazioni. L’intervento italiano iniziò dopo il fallimento della disputa nella Società delle Nazioni sull’incidente di Uàl-Uàl del 5 dicembre 1934 (oasi nella regione dell’Ogaden sul confine tra Etiopia e Somalia oggetto di una serie di dispute di confine relative al possesso della zona, rivendicato sia dagli italiani sia dagli etiopici, che degenerarono in uno scontro armato). Credendo di avere l’appoggio indiscriminato da parte anglo-francese, Mussolini decise di far iniziare l’aggressione italiana contro l’Etiopia. Pur guardando con simpatia la tutela degli interessi italiani nell’area, britannici e francesi si schierarono contro l’uso della forza in Etiopia: il governo francese aveva sì concesso mano libera all’Italia in Etiopia, ma non con l’uso della forza; il governo britannico era disposto a fare concessioni marginali ed era condizionato dall’esito di alcuni sondaggi per la pace promossi dall’Unione per la Società delle Nazioni, in cui la maggior parte dei partecipanti si dichiaravano a favore della politica 19 Storia delle relazioni internazionali di disarmo e di pace della Società delle Nazioni e dell’applicazione di sanzioni contro gli Stati aggressori. L’Etiopia presentò una procedura di ricorso alla Società delle Nazioni, in cui iniziò una guerra diplomatica. Nella sua fase iniziale, Regno Unito e Francia sostennero l’Etiopia, mosse dalla volontà di porre fine all’aggressione italiana attraverso le sanzioni. Alla fine dell’anno, britannici e francesi ripresero le ipotesi di soluzione diplomatica accettando l’idea di occupazione italiana, però salvando la faccia al negus e arrivando ad una soluzione diplomatica con la partecipazione delle parti coinvolte: i Ministri degli esteri francese e britannico presentarono un documento congiunto, nel quale si dicevano disposti a riconoscere i tre quarti dell’Etiopia all’Italia e un quarto al negus, garantendogli uno sbocco al mare. Il piano fallì perché il piano Laval-Hoare fu fatto trapelare alla stampa: questo provocò una grande mobilitazione dell’opinione pubblica e le dimissioni del ministro britannico. Questo fallimento portò l’allontanamento decisivo e duraturo dell’Italia dalla Francia e dal Regno Unito, che chiesero e ottennero l’accrescimento delle sanzioni all’Italia. Le sanzioni furono molto blande, anche perché gli Stati Uniti proseguirono i commerci con l’Italia e perché Mussolini promosse l’autarchia e la campagna antifrancese, momento di massimo consenso del regime. La disgregazione del Fronte di Stresa dopo il fallimento della risoluzione diplomatica e il ripiegamento dell’Italia verso la Germania furono i germi iniziali di una sostanziale inimicizia tra Italia da un parte e Regno Unito e Francia dall’altra. Gli anni compresi tra il 1935 e il 1937 videro un cambiamento di scenario internazionale molto importante, partito appunto con la disgregazione del Fronte di Stresa. Il 2 marzo 1936 Hitler violò per la seconda volta le clausole del trattato di Versailles attraverso la dichiarazione di rioccupazione della Renania (la cui demilitarizzazione era prevista dagli articoli 42 e 43): il pretesto giuridico riguardava la ratifica da parte francese del trattato di mutua assistenza con l’Unione Sovietica. Hitler inviò un contingente di trentaseimila uomini e ordinò la costruzione della linea di fortificazione denominata Sigfried, parallela alla linea Maginot. Le reazioni da parte della Francia e del Regno Unito furono limitate ed inefficaci (la Francia stava affrontando una forte debolezza interna, legata all’ascesa delle sinistre del Fronte Popolare; il Regno Unito aveva già iniziato il riarmo e stipulato accordi militari e commerciali con i tedeschi); da parte dell’Italia non ci furono reazioni, in linea con la nuova politica volta al riavvicinamento alla Germania. Il 1936 fu caratterizzato da momenti di avvicinamento italo-tedesco e di forte frizione tra questo fronte e le democrazie occidentali. La Spagna stava affrontando difficoltà legate al mutamento da Paese agricolo a Paese industrializzato, ed era caratterizzata da debolezza politica già dagli inizi del XX secolo, che fu una stagione di grandi trasformazioni e di problemi interni dovuti alla frammentazione delle forze politiche spagnole: la crisi della monarchia di Alfonso XIII di Borbone (che fu re dal 1902 al 1931) e la dittatura di Primo de Rivera (1923-1930); la proclamazione della repubblica, durante i cui anni (dal 1931 al 1936) si alternarono governi di destra e di sinistra; le elezioni del 1936 videro la vittoria del Fronte Popolare e l’inizio del governo Azaña, contro il quale si schierarono i militari spagnoli. Il conflitto iniziò il 17 luglio 1936 con il 20 Storia delle relazioni internazionali pronunciamiento da parte di alcuni generali di stanza nel Marocco spagnolo, con oggetto l’opposizione al governo centrale di Madrid, incitando il Paese alla rivolta; il motivo dietro questa presa di posizione riguardava l’uccisione di Carlos Otelo, leader della Falange. I tre generali a capo dei militari rivoltosi (tra cui Francisco Franco) proclamarono la necessità di un rivolgimento politico. La guerra civile spagnola suscitò interessi internazionali e fu combattuta anche intorno ai temi dell’ideologia e della propaganda. Che ci si schierasse da una parte o dall’altra, le potenze erano guidate soprattutto da interessi politici, strategici ed economici. Il governo legittimo di Madrid fu sostenuto dalla Francia e dell’Unione Sovietica, mentre quello franchista a Burgos dall’Italia e dalla Germania. Schierata a favore dei Falangisti, l’Italia era guidata da una forte componente ideologica; oltre ciò, l’Italia vedeva come necessità l’elemento del prestigio internazionale, che andava consolidato mediante l’instaurazione di relazioni amichevoli con una Spagna i Falangisti: la finalità era quella di saldare il controllo del Mediterraneo occidentale, comprendendo la costa africana, in modo da mettere in difficoltà la Francia Inoltre, gli Italiani avevano interessi sulle isole Baleari e pensavano che la vittoria di Franco avrebbe messo in crisi i britannici per la questione di Gibilterra. La Germania era guidata da un generico interesse ideologico, oltre che da obiettivi strategici (isole Canarie: esercitare pressioni sul governo britannico) e da obiettivi economici (materie prime: necessarie per rilanciare le attività industriali legate al riarmo): quindi, una Spagna franchista e falangista avrebbe funto da tenaglia, insieme alla Germania e all’Italia, nei confronti della Francia. La Francia era interessata a realizzare un effetto tenaglia speculare, supportando il governo legittimo per evitare un ribaltamento della situazione auspicato da italiani e tedeschi; inoltre, intendeva salvaguardare i propri interessi nel Marocco francese. L’Unione Sovietica auspicava il successo del Fronte Popolare per costituire un blocco antifascista in Europa. L’appoggio sovietico fu fortemente ideologico, ma incontrò un problema: si doveva trovare un modo di attuare la partecipazione militare senza creare disagio alla Francia e al Regno Unito (non poteva far marciare l’Armata Rossa verso la Spagna). Il Regno Unito considerava illegittima la rivolta militare nei confronti del governo legittimo, ma non aveva simpatie né per l’uno né per l’altro schieramento. In ogni caso, supportava il governo legittimo, in modo da premunirsi dalle conseguenze di una vittoria della Falange, che avrebbe ostacolato le rotte imperiali. L’intervento britannico fu caratterizzato da una componente ideologica fortemente avvertita, ma unita ad una necessità di ponderazione dal punto di vista diplomatico. Il fronte italo-tedesco fu attivo dall’inizio della guerra: l’Italia fornì sostegno aeronautico (a momenti inefficiente) alle truppe filofranchiste, che avevano bisogno di raggiungere la Spagna dal Marocco. Inoltre, sia l’Italia sia la Germania riconobbero il governo di Burgos come unico governo legittimo spagnolo. Mussolini e Franco stipularono un accordo segreto, nel quale venivano assicurati gli aiuti italiani in maniera continuativa, in cambio dell’assicurazione di una collaborazione anticomunista sia presente sia futura. Nel momento in cui la guerra iniziò a volgere a favore dei falangisti, Stalin cercò di rivoltare la situazione: sapendo di non potere inviare l’Armata Rossa in Spagna, organizzò una diversa forma di partecipazioni favorendo la creazione delle Brigate Internazionali, nelle quali nessun russo era presente e che era formate da componenti politiche differenti. 21 Storia delle relazioni internazionali Verso la fine del 1936, il Comitato di non intervento propose di negoziare un disimpegno congiunto tra le potenze internazionali; il non intervento fu una finzione. La guerra civile spagnola durò tre anni e si concluse nel marzo 1939 con la vittoria della Falange e l’inizio della dittatura di Franco, che si autoproclamò caudillo. Durante l’attestazione del disimpegno, il cambiamento dello scenario internazionale sopravvenne la guerra civile spagnola. Dopo la conquista dell’Etiopia, l’Italia iniziò il perseguimento di una politica estera improntata al riavvicinamento alla Germania e alla liquidazione della questione austriaca: il nuovo Ministro degli esteri, Galeazzo Ciano, operò fin da subito per far fare balzi in avanti cospicui all’amicizia con la Germania. Già dalla prima metà del 1936, Mussolini chiarì che la questione austriaca non sarebbe mai stata motivo di ostacolo per il riavvicinamento alla Germania; la reazione di Hitler arrivò in ritardo perché capì dopo la sincerità della nuova presa di pozione italiana. L’accordo austro-tedesco dell’11 luglio 1936 conteneva il principio del “due Stati, una nazione”: si ribadiva l’indipendenza delle due entità statuali, ma si affermava l’esistenza di una matrice comune, la quale sarebbe stata la base di una politica conforme a tale principio; di fatto, una forte applicazione del principio avrebbe portato l’indebolimento di due entità indipendenti. Così, Hitler riconosceva la sovranità dell’Austria e prometteva di non intervenire nella sua vita interne. Mussolini si disse molto soddisfatto dell’accordo. Come conferma della volontà reciproca di riavvicinamento, Ciano partì in Germania per incontrare Hitler e il suo governo. La visita aveva come scopo la sottoscrizione dei “protocolli di ottobre”, che prevedevano il riconoscimento comune del governo falangista come governo legittimo e la necessità di una linea comune nei confronti della Spagna. Durante l’incontro con Hitler, Ciano gli consegnò una serie di ulteriori documenti, denominati “dossier Eden”: una trentina di documenti dello spionaggio italiano riguardanti le comunicazioni segrete tra Anthony Eden, Ministro degli Esteri britannico, e gli ambasciatori all’estero. Le premesse per la realizzazione dell’amicizia tra i due Paesi c’erano: il 1° novembre 1936 Mussolini proclamò l’esistenza di un asse che congiungeva Roma e Berlino (asse RomaBerlino), che sarebbe stato il quadro di riferimento per la politica estera italiana da lì in avanti. Il presupposto dell’Asse Roma-Berlino riguardava la risoluzione di una serie di problemi che attanagliavano i rapporti italo-tedeschi, e il suo scopo era quello di saldare un’amicizia che precedentemente era incompleta. Mussolini spinse per far fare passi in avanti in senso positivo alle relazioni tra i due Paesi per il timore di un isolamento internazionale da parte della Francia e della Germania per la questione legata alla conquista dell’Etiopia; inoltre, l’Italia avrebbe dovuto essere privilegiata nei rapporti con la Germania rispetto a tutti gli altri Paesi (in particolare il Regno Unito). I limiti iniziali dell’Asse concernevano la scelta di Mussolini di non allearsi con la Germania e di mantenere un rapporto unicamente di amicizia: l’Asse condensava l’avvicinamento in senso non di alleanza (almeno per il momento) formale politico-militare, e l’amicizia bastava per uscire dall’isolamento e recuperare la funzione di equilibrio in Europa; inoltre, secondo Mussolini, se fosse capitata l’occasione, la stretta amicizia con la Germania e il privilegio dell’Italia nei confronti di quest’ultima avrebbero permesso il rilancio del dialogo con i francesi e i britannici non da una posizione a questi ultimi subalterna, ma su un piano di parità formale e con le spalle coperte dalla Germania. 22 Storia delle relazioni internazionali L’asse fu quindi uno strumento di pressione per riprendere le discussioni con le potenze ex alleate, e i presupposti da parte italiana riguardavano tutte le concessioni non offerte da britannici e francesi in precedenza, come il riconoscimento del nuovo Impero italiano. A una settimana dall’annuncio dell’Asse, riprese il dialogo prima tra italiani e francesi e poi tra italiani e britannici. Nel novembre 1936 Italia e Regno Unito stipularono una serie di accordi commerciali, ossia gli accordi Ciano-Drummond. La premessa inglese per il proseguimento dei colloqui arrivò dalla preoccupazioni per le conseguenze della guerra civile spagnola, che aveva provocato disordini anche nelle acque del Mediterraneo tra i convogli che portavano aiuti alle due forze belligeranti. Il 2 gennaio 1937 fu stipulato il Gentlemen’s Agreement tra Italia e Regno Unito, un accordo con scambio di note, quindi meno formale e meno impegnativo di un trattato vero e proprio, ma colmo di impegno politico generale a procedere in sintonia; l’accordo specificava il luogo diplomatico prioritario all’interno del quale questa condivisione avrebbe dovuto esplicarsi, ossia il Mediterraneo (destabilizzato prima dalla crisi etiopica, poi dalla guerra civile spagnola): si espresse un interesse reciproco a far sì che si trovasse un intendimento sul Mediterraneo. Tra le potenze si diffuse l’idea che un maggiore coinvolgimento nella guerra civile spagnola avrebbe portato il continente ad affrontare una situazione che sarebbe sfuggita di mano e le sue ulteriori conseguenze spiacevoli: ripresero i tentativi di dare peso alle voci che supportavano il progressivo disimpegno e la regolamentazione dell’area mediterranea. Entrambi a favore di questa linea, britannici e francesi convocarono una conferenza sulla sicurezza mediterranea, atta a far prendere coscienza della situazione riguardante gli attacchi clandestini ai convogli di rifornimento e a proseguire sulla linea della ricerca di una soluzione. Il consenso degli italiani, prima molto forte, andò a scemare nel momento in cui Mussolini si tirò indietro con il pretesto di essere stato accusato (a suo parere ingiustamente) di essere il responsabile della destabilizzazione nel Mediterraneo per il forte appoggio materiale che stava dando alla fazione franchista. La conferenza si aprì a Nyon, in Svizzera, dal 10 al 14 settembre 1937, nella quale fu stabilito che le acque del Mediterraneo sarebbero state interdette al traffico sovietico e che qualunque aggressione ad una nave di commercio da parte di un sommergibile non appartenente alle parti in conflitto nella guerra civile spagnola (repubblicani e franchisti) avrebbe autorizzato l’intervento armato nei confronti di quest’ultimo; per scongiurare le aggressioni, si regolamentava l’introduzione di zone di sorveglianza nelle acque internazionali del Mediterraneo. La sorveglianza anglo-francese faceva salva la sorveglianza del Tirreno, che sarebbe stata concessa all’Italia nel caso in cui avesse accettato. L’Italia accettò dopo che una conferenza anglo-italo-francese le assegnò la parità con Francia e Regno Unito. Il pattugliamento del Mediterraneo venne a operarsi e fu sia tecnicamente funzionante sia politicamente significativo. Almeno dal punto di vista generale, la guerra civile spagnola riassunse le caratteristiche di una guerra interna, anche se l’Italia ebbe delle difficoltà del disimpegnarsi del tutto. Tra le fine del 1937 e l’inizio del 1938, la Spagna non fu più una priorità assoluta per Hitler, per quanto l’interesse nei suoi confronti persistesse. Hitler si impegnò nel proseguimento dell’amicizia italo-tedesca; anche Mussolini, che era convinto del fatto che all’approfondimento dell’amicizia tra i due Paesi corrispondesse un interesse italiano, visitò 23 Storia delle relazioni internazionali la Germania nel settembre 1937 (riferendosi addirittura all’ipotesi di “marciare insieme fino in fondo”; non si parlava ancora della costituzione di una alleanza vera e propria, ma di formalizzare il rapporto di amicizia). Nel novembre 1937 l’Italia sottoscrisse il Patto Anti-Comintern, firmato l’anno precedente da giapponesi e tedeschi, impegnandosi a procedere di comune accordo nei confronti delle pratiche poste in essere dall’Internazionale comunista; il Patto prevedeva anche un protocollo segreto, nel quale le parti si intendevano sull’impegno di non vincolarsi unilateralmente e di non legarsi all’URSS e, in caso di attacco da parte di quest’ultima, di prenderne le distanze. La politica estera italiana si legò così anche al Giappone. Nel frattempo, il Giappone intraprendeva una politica estera più aggressiva: pose i fondamenti della Dottrina Monroe statunitense in Asia – contro gli interessi delle potenze non asiatiche e contro lo status quo imposto negli Accordi di Washington –; inoltre, riprese la strategia offensiva nei confronti della Cina, che era ancora in una fase di guerra civile, utilizzando la tattica dell’erosione. Nell’estate 1937 iniziò una contrapposizione militare tra Cina e Giappone, che avrebbe portato un rivolgimento della guerra civile cinese (nazionalisti e comunisti si allearono momentaneamente contro il nemico comune giapponese). Intanto, in Europa, Hitler propose al Regno Unito una spartizione delle zone di influenza con l’inizio dei negoziati per una “stretta alleanza”: Hitler avrebbe riconosciuto la potenza coloniale e marittima britannica (fatta salva la restituzione alla Germania di alcune colonie perse nel 1919), ma in cambio i britannici avrebbero dovuto lasciare mano libera in oriente alla Germania e riconoscere in futuro l’egemonia tedesca in Europa. Inviato von Ribbentrop per la chiusura di un accordo, il governo britannico non lo accettò perché troppo ostile all’assunzione di impegni che rischiassero di bloccare iniziative future. Hitler rimase deluso per il fallimento di questo tentativo, ma, avendo approfondito l’intesa con i giapponesi e con gli italiani, era arrivato il momento adatto per un nuovo livello di rivendicazioni. Nel memoriale Hossbach del 5 novembre 1937, ossia il verbale di una riunione tra Hitler e i suoi collaboratori, si prevedeva il continuamento del programma hitleriano al punto successivo, ossia la riunificazione di tutti i tedeschi all’interno del Reich, mediante l’annessione prima dei Sudeti e poi dell’Austria: la distruzione della Cecoslovacchia, dell’Austria e della Polonia (l’azione contro la quale sarebbe stata condizionata dall’atteggiamento giapponese contro i sovietici) come Stati sovrani indipendenti sarebbe stata la premessa per lo scoppio di una guerra che avrebbe portato alla sconfitta della Francia e del Regno Unito entro il 1943-1944. Però, visto il quadro internazionale favorevole (l’appeasement britannico; l’impossibilità di un intervento francese; la posizione favorevole dell’Italia, pur con perplessità), la situazione austriaca sembrò più matura da risolvere rispetto a quella dei Sudeti. Il governo austriaco, guidato da von Schuschnigg, sapeva del riavvicinamento tra nazisti austriaci (il bando al Partito Nazista fu tolto nel 1934) e nazisti tedeschi; inoltre, nel marzo dello stesso anno, il cancelliere austriaco incontrò Hitler, il quale pronunciò un lungo discorso retorico e aggressivo, nel quale accusò l’Austria di opporsi all’annessione e di essere fautrice da una parte di screzi nei confronti alla Germania e dall’altra di avvicinamento alla Francia: di fatto, fu una minaccia che il nuovo corso dovesse concretizzarsi con un nuovo governo. Il rimpasto del governo ebbe luogo con l’assegnazione a esponenti del Partito nazista austriaco di 24 Storia delle relazioni internazionali ministeri strategici (tra cui Arthur Seyss-Inquart, che ottenne il Ministero degli Interni e della Sicurezza). Von Schuschnigg ebbe l’idea di convocare un plebiscito sul tema dell’indipendenza austriaca per il 13 marzo. Göring inviò un ultimatum al cancelliere austriaco, chiedendogli di revocare il plebiscito e di cedere la carica a Seyss-Inquart. Nonostante l’opposizione del presidente austriaco, Miklas, si costituì comunque il governo guidato da Seyss-Inquart: il primo provvedimento del governo fu la richiesta dell’intervento delle truppe tedesche, che attraversarono il confine austriaco. L’Anschluss si realizzò con la legge 13 marzo 1938. Da parte di quei Paesi che temevano l’Anschluss, le reazioni furono inesistenti o insignificanti: l’Italia non era del tutto soddisfatta dalle modalità attraverso le quali l’Anschluss si verificò, mentre Francia e Regno Unito non esplicitarono alcuna reazione. Per quanto riguarda in particolare il Regno Unito, il governo di Neville Chamberlain aveva deciso di incrementare il proseguimento sulla linea dell’appeasement nei confronti dei tedeschi, linea che prevedeva di operare concessioni a Hitler per temperarne gli eccessi e per ricondurre le concessioni all’interno dell’ambito diplomatico della Società delle Nazioni, in modo da disinnescare i pericoli impliciti della sua azione. Chamberlain era cosciente dei limiti della potenza britannica, che non sarebbe stata i grado di ingaggiare uno scontro militare con la Germania: il compromesso pacifico avrebbe permesso di risolvere via via i vari conflitti. Hitler era sì percepito come una personalità aggressiva e pericolosa per la pace, ma allo stesso tempo i britannici lo consideravano anche un interlocutore più affidabile dei francesi e degli italiani, ignorando che la prima vittima della nascita di una superpotenza in Europa sarebbe stato proprio l’Impero britannico. Contemporaneamente, il Regno Unito manifestò la volontà di portare avanti il dialogo con l’Italia, al fine di contenere la portata destabilizzante della politica hitleriana con l’appoggio italiano. La firma dei cosiddetti Accordi di Pasqua del 16 aprile 1938 manifestò il volere di estendere la portata delle intese stipulate dai due Paesi nell’anno precedente, completandole. Gli accordi comprendevano importanti novità politiche sulla risoluzione di controversie bilaterali tra i due Paesi: la prosecuzione delle relazioni amichevoli; la condivisione reciproca di informazioni militari sull’Africa orientale e la definizione di interessi comuni in Arabia Saudita e Yemen; nessun pregiudizio sul lago Tana, essenziale per l’Egitto, e la conferma del libero transito sul canale di Suez; divieto di propaganda ostile e previsione del ritiro dei volontari dalla Spagna; riconoscimento dell’Impero italiano e aiuto per ufficializzare tale riconoscimento all’interno della Società delle Nazioni, ma subordinato alla risoluzione della questione spagnola. L’Italia poté concludere un accordo del genere grazie al fatto che l’Asse le consentisse di stipularlo non in una posizione di subordinazione rispetto al Regno Unito, ma come sua pari e, in aggiunta, con le spalle “coperte” dalla Germania. Dopo l’Anschluss, l’azione hitleriana si concentrò sulla questione dei Sudeti, dando così filo da torcere alle diplomazie e attestando la portata destabilizzante della sua politica, che di lì a poco avrebbe fatto precipitare la situazione europea. I tre milioni e mezzo di tedeschi che abitavano i Sudeti denunciavano di essere sottoposti ad una situazione di soggezioni nei confronti del governo di Praga e prospettavano una maggiore autonomia nei confronti di quest’ultimo; portatore di queste istanze in senso centrifugo era il 25 Storia delle relazioni internazionali Suden Deutsche Partei, che, rappresentante di almeno il 90% di questa minoranza etnica, esplicitò la volontà di autonomia dal governo centrale – volontà che Hitler usò come strumento sistematico contro il governo di Praga. Durante il Congresso del Suden Deutsche Partei, il leader del partito, Konrad Henlein, annunciò un programma di otto punti (il cosiddetto programma Karlsbarg), che fu inviato al governo di Praga e di cui Hitler era a conoscenza; lo stesso Hitler aveva già fatto predisporre un piano di emergenza che sarebbe stato applicato nel caso di fallimento di una secessione autonoma e che consisteva in un’occupazione dell’area come premessa per la sua annessione al Reich. La crescente violenza delle rivendicazioni dei nazionalisti tedeschi e il concentramento di truppe tedesche in Sassonia spinsero le cancellerie europee a decidere sul da farsi per scongiurare un intervento tedesco: in particolare, i francesi e i sovietici, che erano legati alla Cecoslovacchia dal patto di mutua assistenza del 1935 (i sovietici misero in evidenza come un suo intervento a protezione della Cecoslovacchia in caso di invasione tedesca fosse subordinato all’intervento francese, il quale era a sua volta subordinato dalla mancata risoluzione della situazione da parte di provvedimenti presi dalla Società delle Nazioni). Intanto, il Regno Unito cercò di rassicurare la Francia e di portare avanti tentativi diplomatici per la risoluzione della controversia, in linea con l’appeasement. Il governo britannico inviò a Praga Lord Runciman come mediatore nel dialogo tra le due parti interne, per tentare di fare in modo che il governo di Praga accettasse il programma del Suden Deutsche Partei senza che la situazione degenerasse in una secessione. Il tentativo fallì perché il governo centrale rifiutò di approvare l’ultimo punto, che prevedeva proprio la recessione, e il Suden Deutsche Partei ritenne insufficiente questa parziale accettazione del programma. Il 12 settembre Hitler tenne un discorso a Norimberga, nel quale sottolineò come la Germania non potesse più stare a guardare di fronte all’ostilità di cui i tedeschi dei Sudeti erano vittima e come fosse necessaria la scorporazione dei Sudeti dalla Cecoslovacchia e la loro incorporazione nel Reich per risolvere questo problema: dunque, Hitler fece in modo che la crisi prendesse risvolti internazionali, allargandola al livello di disputa tra Stati. L’impegno diplomatico britannico non si arrestò: Chamberlain decise di chiedere un confronto diretto con Hitler, il quale chiese di fatto il suo benestare per il distacco dei Sudeti dalla Cecoslovacchia e l’annessione al Reich. Prima di dare una risposta a Hitler, però, Chamberlain doveva sentire le opinioni all’interno del proprio governo e di quello francese. Nel piano per i Sudeti si ammise il principio della possibilità di dare vita a una revisione dei territori della Cecoslovacchia: il piano fu accettato dai cecoslovacchi (che di fatto non avevano altra scelta, essendo l’alternativa l’invasione tedesca del proprio territorio), ma non da Hitler, che innalzò ulteriormente il livello di crisi affermando che il problema non riguardasse solo i Sudeti, ma l’esistenza stessa della Cecoslovacchia. In Europa si diffusero i timori di una guerra per via dell’inizio della mobilitazione da parte tedesca, cecoslovacca, britannica e francese. Verso la fine del mese di settembre, Hitler propose che l’annessione dei Sudeti fosse concessa immediatamente, e che in seguito si sarebbe parlato della questione cecoslovacca: per questo motivo Chamberlain coinvolse Mussolini come mediatore e iniziarono i lavori per una conferenza allo scopo di scongiurare la possibilità dello scoppio di una guerra. 26 Storia delle relazioni internazionali La Conferenza di Monaco si tenne tra il 29 e il 30 settembre 1938: parteciparono i quattro rappresentati delle potenze principali (Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier), ma non fu invitato né ascoltato il presidente cecoslovacco, Beneš, né furono avvisati i sovietici. Tutte le richieste avanzate da Hitler furono accettate, il che gli avrebbe consentito di proseguire nell’ottenimento dei Sudeti (suo obiettivo principale) senza aver bisogno di entrare in guerra. Da parte tedesca e da parte italiana si ribadì che una garanzia alla Cecoslovacchia sarebbe stata data solo dopo la risoluzione di altri problemi riguardanti altre regioni abitate da minoranze alogene che si trovavano nella stessa situazione dei Sudeti: di fatto, queste rivendicazioni avrebbero messo in pericolo l’esistenza della Cecoslovacchia. Dopo la Conferenza, si diffuse un clima di sollievo tra l’opinione pubblica, apparentemente per via della constatazione che l’accoglimento delle proposte di Hitler avrebbe portato ad un clima di pace duraturo, ma in realtà fittizio. Le conseguenze politiche di questa percezione riguardarono da una parte la visione del ruolo dell’Italia come decisivo per la salvaguardia della pace, dall’altra la stipulazione di due patti di non aggressione della Germania con Francia e Regno Unito, simbolicamente l’apice della politica dell’appeasement. Firmati rispettivamente il 30 settembre e l’8 dicembre, i due patti di non aggressione avevano alla base una dichiarazione comune che attestava la solidarietà e l’amicizia tra le parti e la promessa di non aggredirsi reciprocamente e di proseguire nella collaborazione; la dichiarazione pareva premunire da pericoli futuri. Anche dietro richiesta di Hitler, le rivendicazioni tedesche nei confronti della Cecoslovacchia fecero in modo che le minoranze polacche e bulgare traessero ulteriore forza per scorporare le proprie regione di appartenenza dalla Cecoslovacchia per fare in modo che Polonia e Ungheria le incorporassero, insistendo affinché si aprissero delle trattative a riguardo. Con un colpo di mano, la Polonia si appropriò di quelle aree popolate dalla minoranza polacca (nel Teschen), e ciò diede forza alle rivendicazioni ungheresi. L’Ungheria, invece, iniziò un negoziato bilaterale con la Cecoslovacchia per richiedere l’annessione della Slovacchia meridionale; impantanatosi il negoziato, Italia e Germania intervennero per mediare: il Primo arbitrato di Vienna del 2 novembre diede ragione agli ungheresi. Contemporaneamente, Hitler fece leva sui dissensi tra boemi, slovacchi e ruteni per favorire la formazione di regioni autonome e l’ascesa di movimenti indipendentisti; successivamente, manipolò gli esponenti dei governi di Praga e di Bratislava al punto da spingere i primi a chiedere l’intervento tedesco e i secondi a trasformarsi in uno Stato indipendente subito sottoposto all’egemonia tedesca. Un’ulteriore fase di crisi dei rapporti internazionali riguardò le relazioni dell’Italia con il Regno Unito e la Francia: secondo l’ottica di Mussolini, se era vero che la pace fosse stata salvata dall’intervento italiano a Monaco, allora l’Italia avrebbe dovuto essere considerata e riconosciuta come una potenza affidabile mediante l’accoglimento delle richieste italiane ai francesi e ai britannici. Chamberlain fu ben disposto nei confronti dell’Italia e fu favorevole all’applicazione degli Accordi di Pasqua: il Regno Unito avrebbe riconosciuto l’Impero Italiano nonostante la mancante risoluzione della questione spagnola. I francesi, al contrario, si tennero in posizioni più distanti, dando segnali contraddittori anche rispetto al riconoscimento dell’Impero italiano; la mancata menzione dell’Impero italiano nell’accreditamento del nuovo ambasciatore francese a Roma e il fastidio di Mussolini per il negoziato franco-tedesco del patto di non aggressione (da cui l’Italia rimase esclusa) e per 27 Storia delle relazioni internazionali questioni coloniali ancora aperte portarono ad un irrigidimento negoziale tra i due Paesi, il cui apice fu raggiunto il 30 novembre 1938 con le manifestazioni anti-francesi alla Camera dei fasci (si chiedeva il raggiungimento di nuovi accordi negoziali riguardanti Tunisi, Gibuti, Nizza e la Corsica, ossia quelle aree in cui vivevano comunità italiane sottoposte al controllo francese e la cui risoluzione era già passata in giudicato). Nel gennaio 1939 Mussolini compì un passo definitivo nei rapporti con la Germania in modo da sopravanzare il patto di non aggressione franco-tedesco e l’alleanza anglo-francese: scrisse all’ambasciatore italiano a Berlino di informare von Ribbentrop – ora ministro degli Esteri – che l’Italia sarebbe stata pronta a stipulare un’alleanza con la Germania. La dissoluzione della Cecoslovacchia comportò l’inizio della fase di pre-esordio alla Seconda guerra mondiale, il compimento da parte della Germania di nuove scelte e un atteggiamento innovativo da parte delle potenze europee. Le componenti essenziali dello Stato cecoslovacco portarono al suo processo di dissoluzione, a cominciare dagli slovacchi. Dopo il riconoscimento dell’autonomia locali, questi chiesero l’indipendenza dal resto del Paese: l’atmosfera era propizia per Hitler, il quale supportava e sosteneva il governo locale presieduto dal monsignor Tiso, favorevole alla separazione, assicurandogli il permanere del suo appoggio. La questione slovacca accelerò nel senso della secessione nel marzo 1939 con l’incontro tra Hitler e il capo del governo centrale, il quale auspicava la risoluzione della questione riponendo le sorti del Paese nelle mani del Fuhrer. Il trapasso politico si sarebbe verificato di lì a breve: dopo l’ingresso dell’esercito tedesco in territorio cecoslovacco, il 15 marzo Hitler fece ingresso a Praga. Il colpo di Praga portò alla creazione della Repubblica slovacca e alla formazione del protettorato tedesco di Boemia e di Moravia. Di conseguenza, i ruteni speravano di poter ottenere il pieno riconoscimento delle proprie istante secessioniste, ma l’Ungheria occupò militarmente la Rutenia per portare a compimento quel processo avviato alla fine della Conferenza di Monaco e proseguito con il volgimento a favore dell’arbitrato di Brema del 2 novembre: Hitler era favorevole alla mossa ungherese perché, essendo l’Ungheria confinante con la Polonia, questa situazione avrebbe potuto giocare a suo favore. La dissoluzione della Cecoslovacchia inflisse un duro colpo agli aspetti geo-politici stabiliti nel trattato di Versailles: l’aggressivo revisionismo tedesco aveva raggiunto una nuova vetta perché Hitler stava mettendo mano alla carta geografica europea là dove non c’erano popolazioni tedesche; inoltre, Hitler approfittò dell’incapacità delle democrazie europee di controllare le sue istanze di annessione per risolvere la questione della città tedesca di Klaipeda (in tedesco Memel) e della regione omonima, in Lituania. L’unica questione che rimaneva aperta era quella polacca. Hitler si rivolse ai polacchi per comunicare loro di avere la necessità di sistemare questioni rimaste in sospeso durante le trattative per il trattato di Versailles, ma in modo pacifico e diplomatico: infatti, il patto tedesco-polacco del gennaio 1934 avrebbe dovuto essere indirizzato come quadro per proteggere la “sistemazione generale dei problemi reciproci”; le questioni rimaste in sospeso riguardavano la soluzione del corridoio polacco e della città di Danzica, che Hitler avrebbe voluto recuperare, e l’accettazione da parte polacca della costruzione di un’autostrada e di una ferrovia extraterritoriali che avrebbero collegato la Pomerania e la Prussia orientale. Però, 28 Storia delle relazioni internazionali la Polonia riteneva di potersi svincolare da queste rivendicazioni temporeggiando, in modo tale da trattare in senso più favorevole alle proprie istanze e da resistere contando sull’aiuto dei propri alleati; Hitler captò questi segnali di riluttanza, e alla fine di marzo lanciò un ultimatum al governo di Varsavia, coerente con tutti quelli lanciati in precedenza: tra i due Paesi non sussistevano più i margini per i contatti diplomatici, e il governo di Varsavia avrebbe dovuto dare una risposta al problema di questi territori, altrimenti la Germania avrebbe provveduto da sé a risolverlo. La grande differenza rispetto agli altri ultimatum di Hitler riguardava l’atteggiamento delle altre potenze nei suoi confronti: il Regno Unito ebbe una reazione contraria, assicurando ai polacchi che, qualora l’indipendenza del loro Stato fosse stata messa in pericolo, avrebbe usato tutti i mezzi possibili per aiutarla; anche la Francia si posizionò sulla stessa linea del Regno Unito. Chamberlain e il ministro degli esteri polacco, Beck, negoziarono la stipulazione di un patto di mutua assistenza; i negoziati durarono fino al 25 agosto, quindi successivamente alla stipulazione del patto nazi-tedesco, e il trattato anglo-polacco fu svuotato della sua importanza. Il trattato franco-polacco del 1925 fu rinnovato nel maggio 1939 e corredato da un accordo militare tra gli ufficiali degli Stati Maggiori dei due Paesi: l’esercito francese avrebbe iniziato un’offensiva contro la Germania quindici giorni dopo l’attacco alla Polonia e a condizione che un accordo politico avvallasse l’intesa; l’accordo politico fu sottoscritto il 4 settembre, quindi a guerra già iniziata, e Varsavia fu occupata dai tedeschi il 17 settembre. In quel momento, però, a Hitler sembro necessario ripiegare su posizioni più calme, ma questo non avrebbe implicato che la politica finalizzata al raggiungimento del Deutsche Raum non sarebbe andata avanti; al rallentamento sulla linea Berlino-Varsavia per la risoluzione della questione polacca corrispose un accelerazione sulla linea Roma-Berlino. In quel momento, per l’Italia la Germania era un Paese amico, quasi alleato e certamente pericoloso: il colpo di Praga aveva suscitato perplessità nella diplomazia italiana perché non era stata informata da Hitler prima di portarlo a compimento e perché questo significò la distruzione repentina dell’assetto creato a Monaco, di cui Mussolini fu mediatore. Il limite della politica estera italiana era il non riuscire a trarre le conseguenze dovute dalle azioni destabilizzanti prese unilateralmente dalla Germania: la classe dirigente italiana provava malumore, ma in essa non c’era la volontà di soprassedere a tale proposito durante i negoziati per l’alleanza con la Germania. Al contrario, Mussolini era interessato a dimostrare che anche l’Italia avrebbe potuto conseguire una serie di azioni destabilizzanti in modo unilaterale, approfittando di ciò per risolvere la questione con l’Albania. Tra l’Albania e l’Italia c’erano buoni rapporti diplomatici e un’amicizia che consisteva nella subordinazione della prima alla seconda; nel momento in cui l’Albania cercò di rendersi più autonoma dall’Italia, Mussolini vide questo atteggiamento come inaccettabile e, dopo aver supportato un colpo militare di un gruppo albanese filofascista, il 7 aprile invase l’Albania, che fu incorporata nell’Impero italiano nel giro di due giorni. Dopo l’invasione dell’Albania, britannici e francesi adottarono una linea di azione cauta ma comunque indirizzata a dare garanzia a quei Paesi che fossero oggetto delle istanze dell’Asse: oltre alla Polonia, assicurarono il loro sostegno alla Romania (Stato sotto la lente di ingrandimento di Hitler per questioni legate alla sua posizione geostrategica, alle telecomunicazioni e alle risorse petrolifere), alla Grecia (ossia l’obiettivo in linea teorica 29 Storia delle relazioni internazionali successivo per la politica estera italiana) e alla Turchia (prima solo da parte del Regno Unito, poi anche dalla Francia). Regno Unito e Francia temevano azioni sempre più destabilizzanti e pericolose da parte dell’Asse, quindi prospettarono un allargamento del loro fronte diplomatico all’Unione sovietica, con lo scopo di ricomprendere quest’ultima della protezione dei Paesi oggetto di minacce e di porre fine alle pericolose istanze hitleriane. Ciò che preoccupò particolarmente i due Paesi fu l’accelerazione delle trattative del negoziato italo-tedesco. Inizialmente, i negoziati ripresero su uno schema trilaterale – quindi tra Italia, Germania e Giappone –, ma quest’ultimo si sganciò dalle trattative perché non voleva essere coinvolto in alleanze militari per questioni europee, preferendo una semplice amicizia con gli altri due. Durante la conduzione delle trattative, l’Italia premeva affinché il patto di alleanza con la Germania prevedesse un periodo di pace compreso tra i tre e i cinque anni: infatti, l’Italia temeva che la stipulazione dell’alleanza avrebbe portato la Germania a sentirsi più sicura e a scatenare una guerra, cosa a cui Mussolini e Ciano erano assolutamente contrari perché coscienti del fatto che l’Italia non fosse pronta per entrare in guerra. I tedeschi sembrano disponibili a fare questa concessione, quindi gli italiani permettono loro di pensare alle restanti clausole. La versione finale del patto, però, conteneva poche clausole ma estremamente vincolanti: la natura del patto cambiava da difensiva ad – anche – offensiva (il casus foederis all’articolo 3 riguardava “complicazioni belliche” e non specificava se la loro natura fosse solo offensiva o anche difensiva); l’entrata in vigore del patto sarebbe stata immediata; il patto sarebbe durato dieci anni. Nonostante l’impegno gravosissimo che questo patto avrebbe comportato, gli italiani lo sottoscrissero comunque: il 22 maggio 1939 tedeschi e italiani firmarono il cosiddetto Patto d’acciaio, che suggellava l’alleanza tra i due Paesi. Il giorno dopo gli italiani si accorsero di aver firmato un accordo troppo vincolante, che non prevedeva né il periodo di pace richiesto dall’Italia né alcun accenno all’Alto Adige e alla Polonia: per rimediare, Mussolini scrisse a Hitler un memorandum di integrazione al Patto d’acciaio, in attesa di un incontro tra i due per l’integrazione degli accordi; Hitler evitò di incontrare Mussolini prima di aver dato inizio alla guerra. Inoltre, non era presente alcuna garanzia sul riconoscimento della specialità dell’Alto Adige, dove la maggioranza degli abitanti era di lingua e cultura tedesca, rispetto alle politiche espansionistiche di Hitler. I due decisero di stipulare un altro accordo a riguardo, nel quale era previsto che la questione riguardante l’Alto Adige sarebbe stata risolta attraverso una consultazione referendaria da sottoporre direttamente alla popolazione altoatesina, alla quale sarebbe stato chiesto se preferissero restare in Italia o essere congiunti alla Germania: nel primo caso, lo status quo non sarebbe cambiato; nel secondo caso, invece, il territorio dell’Alto Adige sarebbe rimasto all’Italia, mentre la popolazione si sarebbe trasferita oltreconfine. In effetti, questo plebiscito ebbe luogo alla fine del 1939, ma il trasferimento non ebbe mai luogo perché la popolazione preferì aspettare la fine della guerra. Le democrazie occidentali avevano deciso di assumere una posizione di irrigidimento politico verso il Patto d’acciaio, di rafforzare i legami con i Paesi che avrebbero rischiato di cadere nel mirino politico della Germania e dell’Italia e di riprendere un discorso di sintonia con l’Unione sovietica. Il rilancio dei tentativi diplomatici avvenne sotto l’egida della situazione polacca: secondo gli anglo-francesi, le minacce tedesche potevano voler dire l’inizio del conflitto ed essere la prova 30 Storia delle relazioni internazionali che l’idea dello spazio vitale ad Oriente corrispondesse ad un’azione pratica, della quale Stalin avrebbe dovuto preoccuparsi e per la quale era necessario un fronte comune con gli anglofrancesi. Essendo un dato di fatto che la politica tedesca fosse preoccupante, Stalin era disposto ad ascoltare le proposte degli anglo-francesi, ma non ad alterare le posizioni di equidistanza dell’Unione sovietica rispetto a questi ultimi e ai tedeschi: infatti, Stalin aveva l’intenzione di ascoltare anche che cosa la Germania avesse da offrirgli, in modo tale da poter scegliere il fronte che avrebbe comportato maggiori vantaggi alla propria politica estera. C’era quindi un assenso di fondo tra le tre potenze per arginare la minaccia tedesca, ma concretamente sovietici ed anglo-francesi non si intendono per via di una diversità di vedute. L’Unione sovietica auspicava che si desse vita ad una fascia di sicurezza, ossia un sistema orientale che garantisse da una parte agli Stati appartenenti l’indipendenza dalla Germania, dall’altra all’Unione sovietica una garanzia in più contro l’egemonia tedesca. Stalin mosse questa proposta sul presupposto che fosse necessario capire anche come agire qualora si prospettasse davvero la minaccia tedesca: l’URSS era disposta ad intervenire in caso di attacco tedesco a uno degli Stati della fascia di sicurezza, ma in cambio questi ultimi avrebbero dovuto garantire diritti di passaggio all’Armata Rossa. La costituzione di una fascia di sicurezza diede preoccupazioni a Londra e a Parigi: le diplomazie anglo-francesi erano sì coscienti della sua necessità, ma nutrivano allo stesso tempo il sospetto che l’Unione sovietica volesse assicurarsi non solo protezione ma anche una sorta di “cambiale in bianco” per una futura espansione sovietica. Il negoziato rallentò. Contemporaneamente, di fronte alle incertezze anglo-francesi, Stalin trattò segretamente con Hitler su questo punto: la sua intenzione era quella di verificare che la Germania avesse l’interesse della costituzione della fascia di sicurezza. E in effetti, Hitler aveva questo interesse: la sua priorità era la liquidazione della questione polacca nel senso di una disgregazione dello Stato, ma era consapevole del fatto che, in caso avesse attaccato la Polonia, Regno Unito e Francia sarebbero intervenute e che, se l’Unione sovietica avesse concluso un’alleanza con queste ultime, avrebbe dovuto impegnare l’esercito su due fronti, scenario che avrebbe voluto evitare. I negoziati tra Stalin e Hitler iniziarono in sordina, ponendo basi generali riguardanti la soluzione di questioni economiche e commerciali tra i due Paesi. Successivamente, procedettero in maniera più spedita rispetto al negoziato tra sovietici ed anglo-francesi. A maggio i sovietici proposero la questione sulla disponibilità tedesca ad inserire una base territoriale – ossia quella della fascia di sicurezza – all’interno dell’intesa, come riconoscimento futuro che da occidente non sarebbe mai arrivata una minaccia all’esistenza sovietica. I tedeschi si mostrarono subito disponibili. L’elemento politico riguardava quindi l’attestazione che la Germania non avesse altri interessi sui territori sovietici; l’elemento territoriale concerneva il riconoscimento prioritario da parte tedesca all’URSS della fascia di sicurezza come cuscinetto tra il mondo sovietico e quello occidentale: implicava cioè una divisione delle sfere di influenza nel continente, legato ad un via libera reciproco all’allargamento. Il ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop si recò a Mosca per incontrare il suo omologo sovietico, Molotov, e sottoscrivere un patto con questi. Firmato il 23 agosto 1939, il Patto Ribbentrop-Molotov corrispose alla quadratura del cerchio sia per la Germania (sistemare la 31 Storia delle relazioni internazionali questione polacca senza preoccuparsi del fronte orientale) sia per l’Unione sovietica, poiché prevedeva il riconoscimento di nuovi territori e l’assicurazione che Hitler non avrebbe attaccato la zona di influenza sovietica. Il Patto Ribbentrop-Molotov consisteva in un patto di non aggressione dalla durata di dieci anni che avrebbe quindi assicurato sicurezza sia politica sia militare ai due contraenti. Inoltre, fu allegato anche un protocollo segreto in quattro articoli riguardante la divisione delle sfere di influenza: la Polonia sarebbe stata divisa in due parti, una centro-occidentale alla Germania e una centro-orientale all’Unione sovietica, lungo i fiumi Narew, Vistola e San; Estonia, Lettonia e Finlandia avrebbero fatto parte della sfera sovietica, la Lituania a quella della Germania; infine, l’URSS avrebbe visto riconosciuto il proprio interesse in Bessarabia. Il patto rappresentò la spinta decisiva per lo scoppio della guerra. Il 1° settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia da occidente, seguita qualche giorno dopo dall’attacco sovietico ad oriente. L’attacco tedesco in Polonia portò le democrazie occidentali – Regno Unito e Francia – a dare un ultimatum a Hitler, al cui rifiuto fece seguito lo scoppio del conflitto con la dichiarazione di guerra datata 3 settembre. In questa prima fase europea, Germania e Unione sovietica riscossero grandi vittorie; inoltre, era ancora attiva la democrazia. Per Hitler, la guerra avrebbe potuto concludersi in quel momento preciso: non avrebbe accettato l’ultimatum anglo-francese, ma si dichiarò disposto a dar vita a colloqui di pace e a ricostruire la Polonia attraverso una costruzione diplomatica. Legata a questa idea era la modifica del Patto Ribbentrop-Molotov del 28 settembre con l’accordo sulle frontiere, nel quale era previsto che, in cambio del passaggio della Lituania all’Unione sovietica, l’egemonia tedesca si sarebbe espansa verso il centro della Polonia. Intanto, le difficoltà delle armate sovietiche contro la Finlandia incoraggiarono Hitler a sfruttare la presunta fragilità militare sovietica e a proseguire nella sua strategia occidentale. La soluzione proposta da Hitler al problema polacca consisteva nella ricostruzione della Polonia all’interno della sfera territoriale di influenza tedesca, in modo che fosse ridimensionata ma più salda, in cambio di una pace di compromesso che mettesse fine alla guerra: questo prevedeva la “prima offensiva di pace” di Hitler del 6 ottobre. Il rifiuto dell’offerta di Hitler da parte anglo-francese fu un segno del mutamento nella politica europea, in particolare quella britannica. Nella primavera 1940 l’avanzata tedesca si mosse verso la Danimarca, per poi passare alla Norvegia, ai Paesi Bassi e al Belgio. Il 10 maggio i tedeschi attaccarono la Francia utilizzando la strategia del 1914 e riadattandola approfittando di una lacuna tra la linea Maginot e lo schieramento dei contingenti anglo-francesi. La Francia capitolò nel giro di quaranta giorni: il governo Reyaud si dimise e gli subentrò il generale Henri-Philippe Pétain, espressione della destra filonazista francese. L’armistizio fu firmato il 22 giugno nella foresta di Compiègne, simbolicamente sulla vettura ferroviaria di Rethondes dove era stato firmato l’armistizio del 1918. La Francia fu divisa in una parte nord, comprendente la costa atlantica fino alla Loira e con Poitiers e Tours, che sarebbe stata occupata dai tedeschi; e una parte sud, comprendente la Savoia, Lione e tutta la Francia meridionale, dove fu installato il governo collaborazionista con sede a Vichy e guidato dal generale Pétain. 32 Storia delle relazioni internazionali Con la “seconda offensiva di pace”, Hitler si appellò al Regno Unito, proponendo al governo britannico di riconoscere la supremazia della Germania sul continente europeo in cambio del riconoscimento da parte tedesca della supremazia britannica sui mari. Il rifiuto britannico da parte del governo di unità nazionale guidato da Churchill segnò la fine dell’appeasement e portò Hitler ad iniziare il tentativo di invadere le isole britanniche. Nel frattempo, l’Italia, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo più attivo in questa fase, affrontava delle difficoltà: era preoccupata per il patto Ribbentrop-Molotov, di cui non era a conoscenza; inoltre, Mussolini sperava, prima dello scoppio della guerra, di porsi come mediatore tra le parti; poi, il Paese era impreparato al conflitto. Dopo aver chiesto aiuto tedesco nel riarmo in cambio della partecipazione italiana, il 2 settembre 1939 Mussolini dichiarò la posizione italiana rispetto al conflitto come di “non belligeranza”, ossia non neutrale ma neanche in guerra. Più le vittorie militari proseguono, più Hitler diventava irritato per l’inerzia dell’alleato: l’Italia avrebbe dovuto partecipare alla guerra a fianco della Germania, altrimenti sarebbe stata tagliata fuori dagli accordi di pace e ne avrebbe subito le conseguenze. La sconfitta della Francia portò con sé un cambio di prospettiva nella visione di Mussolini: era conveniente entrare in guerra in quel momento perché il conflitto sarebbe terminato di lì a poco, dato che anche il Regno Unito avrebbe riconosciuto l’egemonia tedesca ed accettato il nuovo stato delle cose: il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra al Regno Unito e alla Francia agonizzante (coup de poignard). Il fallimento dell’Operazione Seelöwe (Leone Marino) – ossia l’invasione del Regno Unito, iniziata l’8 agosto 1940 – segnò un nuovo punto di svolta nella Seconda guerra mondiale. Se sino al 1941 la Germania dominò la scena, annichilendo anche la volontà di altri Stati nel compiere scelte autonome, a partire da quell’anno non fu più il primo motore della trasformazione e divenne l’oggetto della politica altrui. La strategia tedesca ebbe quindi un punto di arresto con il fallimento dell’invasione del Regno Unito, che fu una sconfitta pesante per la Germania e che spinse Hitler ad attendere condizioni più favorevoli. Hitler prese coscienza del fatto che il conflitto si sarebbe prolungato più di quanto auspicato, quindi revisionò le proprie scelte politiche verificando gli appoggi su cui ancora poteva contare e scongiurando che il Regno Unito potesse trovare appoggio da parte di alleati che avrebbero potuto mettere in pericolo la strategia tedesca. A riguardo di ciò, Hitler era scettico su un possibile intervento americano, perché in quel momento gli USA erano alieni alla partecipazione alla guerra, ma restava comunque il pericolo della ripresa dell’azione diplomatica britannica verso l’URSS. Verificato il legame con l’URSS, la situazione era positiva, ma non quanto Hitler avrebbe voluto. A seguito del ricongiungimento dei Paesi baltici, di una parte meridionale della Finlandia, della Bessarabia e della Bucovina settentrionale, Hitler si preoccupò per la questione romena: la Romania era rimasta vittima delle richieste sovietiche, bulgare ed ungheresi, e questo significava che l’URSS avesse mire espansionistiche in altre aree dell’Europa; in effetti, Stalin voleva proseguire la propria avanzata verso l’area meridionale, quindi l’area del Mediterraneo e degli Stretti. Inoltre, il brusco rovesciamento di fronte in 33 Storia delle relazioni internazionali Romania a favore della Germania fu ben accolto a Berlino, ma venne visto da Mosca come un elemento preoccupante. Per contenere le mire sovietiche, Hitler offrì la spartizione di sfere di influenza su base mondiale proponendo all’URSS di entrare a far parte del Patto tripartitico, stipulato tra Germania, Italia e Giappone il 27 settembre 1940 (il patto prevedeva l’individuazione di sfere di influenza su scala mondale, dando preminenza tedesca in Europa, preminenza giapponese in Estremo Oriente ed italiana nell’area balcanica e mediterranea). All’URSS furono offerti il continente indiano, l’Afghanistan, l’Iran e l’area del Golfo persico. Stalin fu portato a dire di sì, ma a suo parere, se ci fosse stato bisogno di dar vita ad un allargamento della collaborazione e al suo rinsaldamento, ci si sarebbe dovuti accordare prima sulla sistemazione delle questioni riguardanti l’appoggio in Finlandia e per l’estensione del controllo sovietico verso la penisola balcanica, la Romania, l’Ungheria, la Jugoslavia e la Grecia, oltre alla proposta di modificare la Convenzione di Montreux del 1936 sulla navigazione degli Stretti. Di tutto questo si parlò nei colloqui a Berlino tra Molotov e Hitler e Ribbentrop, tra il 12 e il 13 novembre 1940, che si conclusero in un sostanziale fallimento. Le riserve reciproche tra i due dittatori erano inoltre troppo forti per un’alleanza duratura e stabile. Il fallimento di questo accomodamento generale e la prova mediocre fornita dalle truppe sovietiche in Finlandia portarono Hitler a pensare che fosse arrivato il momento giusto per perfezionare il piano di invasione dell’URSS e quindi la ripresa dell’obiettivo originario dell’espansione dello spazio vitale verso Est. L’attacco contro l’Unione sovietica doveva iniziare il 15 maggio 1941, ma una serie di ostacoli politico-diplomatici e una situazione militare inattesa spinsero Hitler a rinviare l’attacco a giugno: il piano di attacco prevedeva infatti una Jugoslavia tranquilla, e quindi la rottura della crisi interna tra elementi filonazisti ed elementi antinazisti e filosovietici spinse Hitler ad intervenire direttamente; sia i comandanti jugoslavi sia quelli greci si arresero e firmarono un armistizio. Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l’operazione Barbarossa. L’attacco era coerente con i progetti strategici di Hitler: una fase necessaria per la conquista dello spazio vitale, ma secondaria nel quadro delle operazioni di guerra. Le previsioni di Hitler circa il contemporaneo intervento giapponese furono screditate quando il 13 aprile venne stipulato il patto di neutralità nipposovietico; inoltre, gli aiuti che di lì a poco i sovietici avrebbero ricevuto da parte degli Stati Uniti dopo l’approvazione del Lend-Lease Act sarebbero stati di fondamentale importanza contro le truppe naziste, che si ritrovarono bloccate e quasi senza rifornimenti. L’attacco a sorpresa prevedeva tre direzioni: verso Leningrado, verso Mosca e verso l’Ucraina e la Russia meridionale. L’offensiva iniziale fu penetrante e folgorante, al punto che già nella prima settimana dall’inizio delle ostilità si temeva per la tenuta dell’URSS, messa in pericolo dalla volontà delle voci centrifughe di disgregarsi. La resistenza sovietica all’aggressione tedesca era debole ed improvvisata. Stalin operò subito in senso di rinsaldamento delle file sovietiche, appellandosi direttamente ai cittadini e chiedendo loro di far fronte all’invasore straniero come ai tempi di Napoleone, trasformando la guerra in una grande azione patriottica. Tutto ciò avrebbe comportato un avvicinamento al Regno Unito e, quindi, anche agli Stati Uniti; quello che Hitler aveva temuto si stava realizzando: ci furono dei contatti diretti tra 34 Storia delle relazioni internazionali Stalin e Churchill. I primi restarono sul vago per via della volontà di Churchill di verificare la capacità di resistenza sovietica, dietro il consiglio del presidente americano Roosevelt. La reazione di Stalin ebbe un duplice significato: da un lato, rese palese il fatto che egli prefigurasse una Germania sconfitta da una coalizione globale comprendente l’Unione sovietica in una posizione dominante; dall’altro, svuotò di significato l’accordo nazi-sovietico dell’agosto 1939 e riabilitò la posizione dell’Unione sovietica nella Comunità internazionale. Le truppe naziste avevano accerchiato Leningrado e raggiunto Kiev, ma in inverno alcune colonne si fermarono a pochi chilometri da Mosca per via delle difficoltà di movimento e per la tenace resistenza sovietica. Hitler rinunciò ad un’ulteriore avanzata verso la capitale e decise di inviare le colonne verso il bacino carbonifero e industriale del Donez e verso il Caucaso per interrompere i rifornimenti petroliferi, forte degli elementi filonazisti in Medio Oriente (dove era in corso una guerriglia antibritannica) e dell’avanzata delle truppe del generale Rommel nell’Africa settentrionale. Dopo l’interruzione invernale tra il 1941 e il 1942, le operazioni militari ripresero con clamore; però, le truppe naziste erano logorate dalla guerriglia e dalla scarsità di risorse, mentre i sovietici contavano già sugli aiuti americani. Il limite dell’avanzata tedesca fu raggiunto con l’occupazione di Stalingrado nel settembre 1942; mentre le altre forze erano bloccate intorno a Leningrado e a Mosca, dal febbraio 1943 ebbe luogo la battaglia decisiva sul Volga, che si sarebbe conclusa in una disastrosa ritirata dei tedeschi. Intanto, tra il 1939 e il 1941 Regno Unito e Stati Uniti si allinearono prima in funzione antigiapponese e poi coordinarono le proprie politiche anche in ambito europeo, nonostante inizialmente un intervento diretto degli USA nel conflitto non fosse previsto. L’abbandono dell’isolazionismo da parte degli USA fu un processo lungo e tortuoso rallentato dalla concentrazione dell’amministrazione democratica verso problemi interni e dalla diffidenza verso i Paesi europei che non avessero ancora completato il pagamento dei debiti contratti nel precedente conflitto mondiale. Le iniziative sempre più virulenti e destabilizzanti da parte della Germania, culminate con la sconfitta della Francia, fecero cambiare idea all’amministrazione americana circa la possibilità di fornire aiuti concreti al Regno Unito. Il superamento degli Atti di neutralità (approvati a partire dall’agosto 1935, prevedevano il divieto ai cittadini statunitensi di vendere o trasportare armamenti verso Paesi belligeranti e di effettuare prestiti alle due parti in conflitto) mediante la modifica legislativa e l’introduzione del sistema cash and carry (acquisto in contanti e trasporto da parte dell’acquirente) avevano una natura politica consistente da un lato nel rendere salde le esigenze politiche-militari statunitensi, dall’altro a favore del Regno Unito, che disponeva di una flotta mercantile disponibile ad operare questo interscambio. Le tappe progressive del coinvolgimento statunitense seguirono il proseguimento del conflitto. Con l’inizio della Battaglia d’Inghilterra, i britannici rivolsero un appello al presidente Roosevelt affinché questi li sostenesse attraverso il prestito di cinquanta-sessanta cacciatorpediniere in cambio dell’occupazione di alcune basi britanniche in America (Bermuda, Bahamas, Giamaica, Antigua e la Guyana inglese); Roosevelt acconsentì mediante un executive agreement (che non comportava l’approvazione del Senato per entrare in vigore), nonostante il 1940 fosse un anno di elezioni negli USA, e, durante la campagna elettorale, Roosevelt avesse raggiunto un compromesso con i suoi avversari che prevedeva il 35 Storia delle relazioni internazionali non intervento in Europa. Roosevelt vinse le elezioni di quell’anno e fu confermato per il terzo mandato. Il presidente si avviò verso una nuova linea: attraverso un programma radiofonico, i “discorsi al caminetto”, avrebbe convinto la popolazione che l’intervento statunitense nella guerra fosse necessario, perché una vittoria tedesca in Europa avrebbe significato problemi reali per la sicurezza nazionale e per gli interessi americani, dato che i piani di Hitler prevedevano l’accerchiamento degli Stati Uniti. Il 16 settembre fu approvata la legge che istituiva il servizio militare negli Stati Uniti, i quali passavano in questo periodo dalla neutralità alla “non belligeranza”. Il gesto più importante nel rapporto anglo-americano fu l’approvazione del Lend-Lease Act nel marzo 1941. Mesi prima Churchill aveva spiegato a Roosevelt le difficoltà future che avrebbe avuto il Regno Unito nel continuare ad acquistare in contanti il materiale bellico dagli Stati Uniti; il presidente americano propose un sistema che consisteva nel prestare tutto il materiale di cui il Regno Unito o i suoi Paesi amici potessero aver bisogno, lanciando subito dopo una campagna pubblicitaria a sostegno di quest’idea per vincere le resistenze degli isolazionisti. La legge apriva al Regno Unito un credito illimitato (pagabile in seguito anche con rimborsi in natura) e dava al presidente americano una grande discrezionalità nel poter utilizzare a piacimento la produzione di guerra americana. Con l’inizio dell’Operazione Barbarossa, gli statunitensi iniziarono a ragionare sul fatto che fosse necessario concedere aiuti anche all’Unione sovietica sulla base del Lend-Lease Act per gli stessi motivi dietro il conferimento di aiuti ai britannici. La prima importante missione del Segretario di Stato, Hopkins, fu quella che lo condusse a Mosca all’indomani dell’attacco tedesco, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1941; egli conferì con Molotov e Stalin, i quali gli riferirono le necessità primarie dell’Unione Sovietica in materia di armamenti. Il 16 agosto Stati Uniti e Regno Unito davano il loro assenso alle forniture militari e di altro materiale necessario all’URSS. Successivamente Hopkins fu il principale artefice dell’incontro tra Churchill e Roosevelt al largo di Terranova dal 9 al 13 agosto 1941, durante il quale si parlò principalmente della minaccia di aggressione giapponese e del progetto di una “Carta Atlantica”, proposta dal premier inglese per rafforzare il legame con gli Stati Uniti e per fugare i dubbi circa trattati segreti dei britannici per accrescimenti territoriali. La Carta enunciava in otto punti i principi democratici nel campo delle relazioni internazionali: i due Stati non avrebbero ricercato alcun ingrandimento territoriale; ciascun popolo avrebbe scelto liberamente la propria forma di governo e i mutamenti territoriali che lo riguardavano; tutti gli Stati dovevano collaborare per sviluppare il processo economico e sociale mondiale mediante il diritto alla libertà di accesso ai commerci e alle materie prime; si auspicava, con la fine della tirannia nazista, un mondo sicuro e pacifico, libero dalla paura e dal bisogno, e la fine del ricorso alla forza come metodo di risoluzione delle controversie. Il documento aveva carattere puramente declaratorio e conteneva affermazioni generiche. Al fine di garantire il controllo dell’Oceano Atlantico e la sicurezza dei convogli che inviavano aiuti agli alleati, l’8 luglio fu occupata l’Islanda e l’11 settembre il presidente Roosevelt ordinò alle navi da guerra di attaccare le unità dell’Asse che fossero penetrate nella zona di difesa americana, abbandonando definitivamente la neutralità. 36 Storia delle relazioni internazionali Il dibattito interno precedente all’entrata in guerra degli Stati Uniti fu caratterizzato dalla variabile giapponese: gli Stati Uniti si erano già schierati contro il revisionismo giapponese ed erano dalla parte della Cina fin dalla crisi manciuriana. Il governo Konoye aveva avviato una politica di espansione in Indocina il cui scopo era il controllo di Singapore; la risposta anglo-americana fu l’embargo totale sui commerci giapponesi, oltre alla chiusura del canale di Panama, all’incorporazione delle truppe filippine nell’esercito americano e alla creazione di un comando delle forze americane in Estremo Oriente guidato dal generale Mac Arthur. A partire dall’estate 1941, ebbero luogo dei negoziati tra le due potenze, durante i quali i giapponesi prospettarono la divisione del Pacifico in zone di influenza; il rifiuto statunitense portò al fallimento dei negoziati e quindi alle dimissioni di Konoye, che fu sostituito al governo dal generale Tojo. I negoziati con gli USA ripresero in termini più rigidi. L’ambasciatore giapponese a Washington fu incaricato di portare al Segretario di Stato, Cordell Hull, un documento che nel caso di rifiuto statunitense sarebbe stato sostituito da una richiesta ancora più esigente. Dal carattere dilatorio per la presenza giapponese in Cina e in Indocina, la “proposta A” fu rifiutata; la “proposta B” aveva un carattere volutamente provocatorio. Alla fine di novembre 1941 l’amministrazione Roosevelt lanciò un ultimatum al governo giapponese: se la politica di espansione giapponese ai danni della Manciuria non fosse stata rivista, ci sarebbe stata una reazione volta all’inimicizia da parte statunitense. Di tutta risposta, il 1° dicembre il Consiglio Imperiale decretò che le ostilità contro gli USA sarebbero iniziate il 7 dicembre all’una pomeridiana ora di Washington; i servizi segreti americani non ebbero quindi notizia del luogo in cui l’attacco si sarebbe verificato. L’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 segnò il saldamento tra l’aspetto europeo e l’aspetto mondiale del conflitto nel momento in cui gli Stati Uniti ruppero gli indugi ed entrarono in guerra. Gli statunitensi si fecero promotori di una più ampia coalizione, la Grande Alleanza, e si dichiararono disposti a contribuire alla guerra europea per abbattere prima il nazismo e poi i suoi alleati. La preminenza alla Germania nazista diede ai giapponesi la possibilità di espandere il proprio dominio in tutto il Sud-Est Asiatico, anche se gli USA recuperarono terreno già dalla seconda metà del 1942. Con la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1° gennaio 1942, l’impegno sancito nella Carta Atlantica fu allargato. Dichiarazione sottoscritta da una pluralità di partecipanti (tra cui USA, UK, URSS, Cina, Australia, Belgio, Canada), la dichiarazione prevedeva la ripresa dei principi della Carta Atlantica – a cui si aggiunse la libertà religiosa –, l’impegno al loro rispetto e all’ottenimento della vittoria contro i nemici finalizzato a tale scopo. La coalizione era eterogenea, ma al suo interno c’era un’unitarietà di intenti; si era comunque coscienti del fatto che, una volta finita la guerra, le diversità di vedute sarebbero riemerse. Per il momento, la diffidenza di fondo riguardava solo le esigenze di guerra dei Paesi interni alla coalizione, e si manifestò nel momento in cui, delineando una linea comune contro la Germania, gli USA dovevano dimostrare che il principio dell’Europe first non dovesse restare tale e che anzi andasse ampliato: infatti, nell’Europa continentale stava combattendo solo l’Unione sovietica. Gli USA dovevano quindi aprire un efficace secondo fronte a occidente; il problema fu rimandato al futuro, ma l’alteramento dei rapporti di forza nel 1943 (le truppe alleate presero piede in Africa settentrionale e gli anglo-americani sbarcarono in Italia) fece 37 Storia delle relazioni internazionali temere agli anglo-americani che si stesse avvicinando un punto di rottura con Stalin, il quale insisteva affinché ci fosse un intervento americano nell’Europa occidentale per l’apertura del secondo fronte. A partire dall’ottobre 1943 iniziò la prassi di convocare conferenze periodiche per affrontare i temi potenzialmente divisori della “Grande Alleanza”. Tra il 18 e il 30 ottobre 1943 ebbe luogo la conferenza di Mosca tra ministri degli Esteri (Molotov, Eden e Hull), allo scopo di dare una regolamentazione formale a ciò che era accaduto in Italia e di affrontare temi più generali; si decise di costituire la European Advisory Commission per la predisposizione dei termini di una politica comune nell’Europa liberata. Alla conferenza di Il Cairo del 22-26 novembre 1943 parteciparono Churchill, Roosevelt e Chang Kai-shek. La conferenza fu voluta da Roosevelt per legittimare la presenza della Cina tra le quattro grandi potenze al posto della Francia, della quale il presidente diffidava anche per via dell’antipatia personale verso de Gaulle. Roosevelt riconobbe il primato cinese nell’Asia orientale e garantì a Chang Kai-shek l’appoggio americano per il recupero dei territori che il Giappone aveva occupato, escludendo le aree che avrebbero potuto diventare oggetto di un negoziato per impegnare i sovietici contro il Giappone (Mongolia esterna e territori minori). Dal 28 novembre al 1° dicembre 1943 si tenne la Conferenza di Teheran (nonostante la sua neutralità e stracciando le regole del diritto internazionale, nel 1941 l’Iran era stato diviso tra Unione Sovietica e Regno Unito e lo Scià era stato mandato in esilio). In questo primo incontro trilaterale, si sarebbe discusso l’intervento futuro in Europa e la sua armonizzazione contro la Germania, unico nemico riconosciuto. L’incontro di Teheran portò ad una svolta nei rapporti tra i tre Paesi; l’atmosfera fu cordiale, si discusse su molti punti importanti e Roosevelt abbandonò la sua diffidenza verso l’URSS, credendo che avrebbe intrapreso la strada della democratizzazione. L’incontro stabiliva che le tre potenze vincitrici (con l’aggiunta della Cina) avrebbero dovuto controllare la pace nel mondo dislocando le loro forze armate all’estero, i “quattro gendarmi” secondo l’affermazione di Roosevelt; gli statunitensi volevano far risorgere la vecchia Società delle Nazioni, alla quale Stalin decise di parteciparvi a condizione che non fosse ammessa la Santa Sede; iniziò la preparazione dello statuto delle “Nazioni Unite”. Roosevelt propose che l’Organizzazione delle Nazioni Unite fosse composta da organi: una “Assemblea” comprendente tutti i membri e che avrebbe discusso sui problemi mondiali; un “Comitato esecutivo” composto da i quattro grandi, due nazioni europee, una sudamericana, una mediorientale, una dell’Estremo Oriente e da un dominion che avrebbe trattato le questioni non militari; un “Consiglio di sicurezza” composto dai quattro grandi, incaricati di prendere misure immediate nel caso in cui la pace fosse stata minacciata. Sul piano militare si parlò dello sbarco in Normandia per l’apertura del secondo fronte, che avrebbe dovuto portare più di un milione di anglo-americani sulla costa francese e che si sarebbe effettuato entro il 1° maggio 1944; gli anglo-americani avrebbero quindi avanzato da ovest, accompagnati dall’avanzamento sovietico da est, al fine di chiudere la Germania su 38 Storia delle relazioni internazionali due fronti. Si discusse anche circa l’apertura del secondo fronte in Asia, da attuarsi mediante l’intervento sovietico contro il Giappone, che si sarebbe concordato in futuro. Lo sbarco contemporaneo nei Balcani chiesto da Churchill fu rifiutato dagli americani e soprattutto da Stalin, sicuramente perché non desiderava la presenza degli Alleati nella zona balcanica, considerata di propria pertinenza. Si discusse ampiamente anche del problema polacco; già dal 1941 i sovietici e i britannici si erano detti d’accordo alla ricostituzione di uno stato polacco indipendente all’interno dei suoi confini etnici, escludendo i dieci milioni di russi e tedeschi della “Grande Polonia”. Il governo polacco richiedeva addirittura lo Stato del 1872, ma l’impegno di Churchill riuscì a far accettare il punto di vista sovietico; quando l’accordo sembrava raggiunto, furono scoperte nel 1943 le fosse di Katyn cioè fosse comuni in cui l’Armata Rossa aveva sepolto undici mila ufficiali polacchi (epurazione della piccola borghesia polacca quando i sovietici erano nel Paese). Sovietici ed anglo-americani respinsero le accuse polacche e Varsavia ruppe le relazioni diplomatiche con Mosca; a quel punto i sovietici decisero di risanare il contrasto accettando parte delle rivendicazioni territoriali polacche, prendendo l’impegno che la Polonia del dopoguerra avrebbe avuto la stessa estensione che aveva prima del conflitto. Per fare ciò, le perdite dei territori polacchi ad est, andati all’URSS e corrispondenti alla linea Curzon del 1919, furono compensati con altrettanti territori ad ovest, fino al fiume Oder, a danno della Germania; si ebbe quindi uno slittamento della Polonia sulla carta politica europea verso ovest, e a causa di ciò la popolazione tedesca nei nuovi confini polacchi raggiunse i dieci milioni di abitanti: la soluzione migliore che si riuscì a trovare fu quella di cacciarli dal territorio polacco. La formalizzazione dell’intesa sulla Polonia sarebbe stata rinviata a Yalta. Le tre potenze si trovarono concordi anche sullo smembramento della Germania (che avrebbe subito il decurtamento territoriale a favore della Polonia e a favore dell’URSS per concessioni riguardanti anche la città di Königsberg), sull’installazione di basi militari in territorio tedesco e sull’amministrazione da parte della Grande Alleanza (da concordare in futuro), sistema suggerito anche per il Giappone. Riguardo ai temi minori, i tre si ritrovarono d’accordo circa l’annessione degli Stati baltici all’URSS e il ritorno dei confini finlandesi a quelli del 1940; Stalin insistette alla modifica della convenzione di Montreux, ma i suoi interlocutori rimasero sul vago perché non si sapevano le intenzioni della Turchia, ancora neutrale. Inoltre, si concordò il sostegno ai movimenti di resistenza contro il nazifascismo, soprattutto dei partigiani jugoslavi guidati da Tito. L’Armata Rossa riportò la vittoria nella battaglia di Stalingrado e in quella di Kursk a gennaio e a luglio 1943, liberò la Crimea e in agosto arrivò nei pressi di Varsavia. I sovietici non aiutarono un tentativo di rivoltosi polacchi non comunisti di liberare Varsavia; essi furono sterminati dai tedeschi e i comunisti polacchi ebbero mano libera. Gli alleati, dal canto loro, entrarono a Roma nel giugno 1944 dopo un inverno di stasi sul fronte. Due giorni dopo vi fu l’avvenimento militarmente più importante della guerra, ossia lo sbarco in Normandia, a cui si deve la liberazione di Parigi il 15 agosto e del Belgio all’inizio di settembre; tuttavia i Tedeschi mantenevano alcune sacche (Bastogne) e l’avanzata si arrestò 39 Storia delle relazioni internazionali in inverno, come pure in Italia le posizioni si attestarono lungo la linea gotica sull’Appennino toscano. Contemporaneamente, invece, continuava l’avanzata dell’Armata Rossa nell’Europa orientale e nell’inverno 1944-1945 si susseguirono una serie di armistizi: il 12 settembre si ebbe quello con la Romania, il 19 quello della Finlandia, la Bulgaria firmò il 26 ottobre dopo una inutile mobilitazione contro la Germania, l’Ungheria (dopo il tentato armistizio di ottobre e l’invasione tedesca) fu conquistata dai sovietici dopo il lungo assedio di Budapest e l’armistizio fu firmato il 20 gennaio. Sul piano politico gli armistizi assegnavano la Bessarabia, la Bucovina settentrionale e i territori conquistati nel 1941 in Finlandia direttamente all’Urss senza aspettare la conclusione dei trattati di Pace; si ritornava, quindi, alla situazione precedente all’Operazione Barbarossa, le leggi razziali furono abolite e le organizzazioni fasciste disciolte. Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, Beneš era rimasto molto deluso dall’atteggiamento francese ed inglese tenuto a Monaco e nella successiva invasione del 15 marzo 1939, così come era grato per l’aiuto sovietico garantito se la Francia avesse mantenuto i suoi impegni; nel dicembre 1943 egli incontrò Molotov e Stalin a Mosca, i quali lo rassicurarono circa l’intenzione dell’Urss di rispettare le frontiere del 1937 e di trasferire i poteri al governo cecoslovacco dopo la liberazione del Paese da parte dell’Armata Rossa; fu firmato anche un trattato di alleanza. Altrettanto forte fu la sua delusione quando vide che dopo la liberazione i sovietici volevano annettere all’Ucraina la Rutenia subcarpatica; Stalin appoggiava in pieno queste rivendicazioni. Questo fu l’inizio della dominazione sovietica nell’Europa Orientale. La liberazione della Francia pose agli Alleati una serie di problemi circa il riconoscimento del governo francese. Roosevelt non amava molto le tendenze autoritarie di de Gaulle, ma, quando Parigi fu libera e il generale si recò in patria, fu accolto da una folla esultante che convinse gli Alleati che il governo provvisorio istituito nel Paese da de Gaulle, composto da personalità venute da Algeri e da capi della Resistenza, poggiava su solide basi popolari. Quando poi il generale promise al più presto l’elezione di un’Assemblea nazionale per varare una nuova Costituzione, i tre Alleati decisero di riconoscere de iure il 23 ottobre 1944 il governo gollista; inoltre, a novembre Churchill annunciò che la Francia era ammessa come membro permanente della European Advisory Commission per decidere sul futuro della Germania. Dopo questi riconoscimenti ufficiali, de Gaulle decise di giocare il ruolo del mediatore tra gli anglosassoni e i sovietici (che manifestavano i primi dissensi), stipulando un Trattato di alleanza con Mosca il 9 dicembre 1944: quest’alleanza era rivolta unicamente contro la Germania, poiché le due parti si impegnavano a combattere sino alla vittoria finale e ad adottare tutte le misure necessarie per impedire una nuova minaccia tedesca, compreso un immediato aiuto in caso di attacco tedesco ad una delle due. De Gaulle cercò anche di trovare appoggi nel Regno Unito, in modo da allontanare gli americani dalla politica europea e trattando unicamente con l’URSS le questioni del Vecchio continente. L’idea di giocare il ruolo di arbitro si rivelò alla fine abbastanza deludente, dato che il governo sovietico non sosteneva affatto le rivendicazioni francesi negli incontri internazionali; inoltre, 40 Storia delle relazioni internazionali de Gaulle non fu convocato alla conferenza di Yalta poiché Roosevelt si oppose alla sua partecipazione e, quando subito dopo Roosevelt lo invitò a raggiungerlo ad Algeri, il generale rifiutò; fu egli a dire che a Yalta vi era “stata un’oscura spartizione dell’Europa” e che la Francia non era stata invitata perché “avrebbe impedito questa spartizione”. In realtà non fu così. L’unico successo diplomatico ottenuto in questo periodo dal nuovo governo francese fu quello di annullare i privilegi accordati agli italiani in Tunisia nel 1896 (febbraio 1945). Il 7 novembre 1944 Roosevelt fu rieletto per la quarta volta con una maggioranza ridotta; intanto, mentre l’avanzata alleata si era fermata in Europa, la Germania provò un’offensiva nelle Ardenne, e la fine della guerra non sembrò più una cosa di qualche settimana. Tra britannici ed americani cominciarono a crearsi alcuni contrasti; Churchill si recò a Mosca dal 9 al 19 ottobre 1944 e per la prima volta non poté parlare anche al nome del presidente americano; fu in questa importante riunione che Churchill e Stalin, si dice, abbiano diviso approssimativamente alcune zone di influenza e di occupazione in Europa: al Regno Unito la Grecia e all’URSS la Bulgaria, mentre in Jugoslavia ci sarebbe stato un controllo paritario (“fifty-fifty”), come soluzione di compromesso al fine , agli occhi di Churchill, di salvare i Balcani e l’Europa dalla sovietizzazione. Questa divisione fu poco apprezzata dagli americani; il Segretario di Stato Hull si dimise perché ammalato e il suo successore, Stettinius, ebbe seri contrasti con il governo britannico soprattutto a proposito dell’Italia: i sovietici appoggiarono il Conte Sforza, già ministro in epoca prefascista, per dirigere il governo italiano, mentre i britannici e soprattutto Churchill volevano la restaurazione piena della monarchia in Italia e non si fidavano del conte Sforza, affermandolo ufficialmente. Per appianare queste polemiche e chiarire meglio il ruolo della Russia in Polonia e con il Giappone si pensò ad un altro incontro dei tre Grandi, da tenersi a Yalta. La conferenza di Yalta si tenne dal 1° all’11 febbraio 1945; molte furono le decisioni importanti. Innanzitutto, si parlò della concessione alla Francia di una zona di occupazione in Germania: Stalin fu subito molto contrario, Roosevelt fu a fatica convinto dai britannici e da Hopkins, i quali sostenevano la teoria per cui un’Europa stabile era inconcepibile senza una Francia forte; alla fine si diede ai francesi anche la piena partecipazione alla European Advisory Commission. Per quanto riguardava la Polonia, si era formato un governo filosovietico a Lublino, il quale voleva soppiantare il governo polacco in esilio a Londra: si decise un accodo di compromesso, il quale considerava entrambi i governi degni di nota e stabiliva che entrambi sarebbero confluiti in un governo provvisorio di unità nazionale insieme ad altre forze politiche. Le frontiere polacche subirono lo “slittamento” ai danni della Germania per la veemente opposizione di Stalin alla ripresa dei vecchi confini orientali, ma alla fine il confine fu stabilito definitivamente lungo la linea Curzon del 1919. In più, furono prese le decisioni conclusive riguardanti la convocazione della conferenza che avrebbe dovuto varare l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Due dei tre problemi che si presentarono riguardarono gli equilibri interni sia all’Assemblea generale sia al Consiglio di sicurezza: per risolvere il primo, si arrivò al compromesso per il quale la Bielorussia e 41 Storia delle relazioni internazionali l’Ucraina (due dei quindici Stati all’interno dell’Unione Sovietica) avrebbero avuto un seggio; per risolvere il secondo, fu introdotto il diritto di veto in capo ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, che avrebbe impedito la validità di una deliberazione contraria anche solo agli interessi di uno di loro. Il terzo problema riguardava il destino degli ex mandati della Società delle Nazioni: si decise che i Paesi non ancora indipendenti, le colonie appartenenti a Stati ex nemici e i territori coloniali che l’avessero voluto sarebbero stati sottoposti ad Amministrazione fiduciaria – Trusteeship – da parte delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda la Germania, si stabilì che la linea di massima espansione per gli angloamericani e per i sovietici sarebbe stata collocata lungo il fiume Elba, situato a trecentocinquanta chilometri circa dai due schieramenti. Si accennò anche alla divisione del territorio tedesco in quattro zone di occupazione, il cui coordinamento sarebbe stato rinviato a dopo l’armistizio. Inoltre, fu approvata una “Dichiarazione sull’Europa Liberata”, sottoscritta da Churchill, Stalin e Roosevelt, in cui si affermava che negli Stati liberati dalle dittature nazifasciste sarebbero supportati dei governi provvisori, i quali avrebbero avuto lo scopo di organizzare delle libere elezioni con più liste al fine di eleggere assemblee costituenti con il compito di creare nuove costituzioni o ripristinare le vecchie; si rimetteva così nelle mani dei popoli la scelta circa le proprie istituzioni secondo i principi della Carta Atlantica. A proposito dell’intervento sovietico contro il Giappone richiesto da Roosevelt, Stalin promise che l’Armata Rossa sarebbe intervenuta nel giro di tre mesi dopo la capitolazione della Germania a condizione di recuperare i diritti e i territori che aveva perduto nella sconfitta del 1905 (il controllo delle ferrovie in Manciuria, la cessione all’URSS dell’arcipelago delle Kurili e dei territori meridionali di Sakhalin, l’internazionalizzazione del porto di Dairen, l’affitto della base navale di Porth Arthur). In generale, la conferenza di Yalta fu molto importante anche perché i tre alleati cercarono di evitare il sorgere di contrasti al momento della caduta tedesca: in passato le coalizioni si rompevano dopo gli armistizi e le armate conquistavano duramente e selvaggiamente territori; a Yalta si decise una fine delle operazioni militari “pacifica”, stabilendo la linea d’incontro tra i due eserciti sull’Elba, senza acquisizione successiva di territori. A metà marzo gli americani stabilirono una testa di ponte sul Reno e il 23 proseguirono. Roosevelt non vide la fine della guerra poiché il 12 aprile morì per un’emorragia cerebrale e fu sostituito dal suo vicepresidente, Harry Truman. Fu Truman ad assistere alla capitolazione della Germania; i sovietici arrivarono a Vienna il 13 aprile e raggiunsero l'Elba il 24; il giorno dopo l’Armata Rossa completò l’accerchiamento di Berlino e il 26 vi fu l’incontro con l’esercito anglo-americano. Il 1° maggio fu annunciata la morte di Hitler e il 7 maggio 1945, nel quartier generale di Eisenhower a Reims, il generale Jodl firmò la resa senza condizioni della Germania. La guerra in Europa era terminata. Gli avvenimenti militari nel conflitto in Asia sono fondamentali per capire quelli diplomatici. Fino all’aprile 1942 vi era stata l’avanzata folgorante delle truppe giapponesi, poi fino al novembre 1943 vi fu una fase di stallo e di riorganizzazione da parte americana, con l’arrivo di numerose e potenti portaerei. 42 Storia delle relazioni internazionali Da questa data iniziò la controffensiva americana, guidata dagli ammiragli Nimitz e Mac Arthur, che prevedeva la tattica dei “salti di montone”, cioè l’occupazione non di interi arcipelaghi, ma di isole sempre più vicine all’arcipelago giapponese. Nel luglio 1944 furono conquistate alcune isole nell’arcipelago delle Marianne, provocando la caduta del governo Tojo in Giappone. Le vittorie americane intanto proseguivano e, su proposta di Mac Arthur, si decise uno sbarco nelle Filippine, che ebbe in ottobre dopo la battaglia nei pressi dell’isola Leyte, in cui gran parte della flotta giapponese fu distrutta. Manila fu occupata il 6 febbraio, proprio durante la conferenza di Yalta, e l’offensiva continuò arrivando in prossimità dell’arcipelago giapponese nel giugno 1945; la lotta proseguiva anche in Cina, dove nel 1944 i giapponesi avevano deciso di riprendere la loro avanzata sulla costa ed nella parte meridionale. Il governo di Chang Kai-shek poteva dunque essere rifornito solo con un ponte aereo sull’Himalaya che si rivelò assai insufficiente; inoltre le migliori truppe erano impiegate per controllare i comunisti e non si battevano contro i giapponesi. Il governo di Chang Kai-shek fu salvato da una spedizione anglo-americana che aveva come scopo la conquista della Birmania e il ristabilimento dei contatti terrestri con Chang Kai-shek, quindi l’appoggio al governo nazionalista per non estendere l’influenza comunista in Cina; la campagna iniziò nel marzo 1944, e nel febbraio 1945 un primo convoglio alleato arrivò in Cina, mentre la conquista della Birmania fu completata in maggio. Questa situazione costrinse i giapponesi ad abbandonare le loro recenti conquiste nella Cina del sud e fu grazie a questa campagna che la Cina, dopo un periodo molto critico, si salvò; tuttavia la tensione tra comunisti e nazionalisti continuò. Nel dicembre 1944 il generale Hurley si recò in Cina per tentare una mediazione, incontrò Mao Tse-tung e propose a Chiang Kai-shek un governo di coalizione sulla base dei principi di Sun Yat-sen; il leader nazionalista rifiutò il governo di coalizione, sentendosi più intransigente per le vittorie alleate (che appoggiavano comunque il suo governo) e per la firma di un trattato tra il suo governo e quello sovietico nell’agosto 1945. Considerando tutto ciò Mao attenuò le sue richieste, limitando la partecipazione comunista nel governo e nell’esercito; tuttavia, tutti i negoziati furono resi vani dalla questione della Manciuria e dell’inizio della guerra civile tra comunisti e nazionalisti nel novembre 1945. Sulla questione cinese si ebbe un incontro di Hurley con Stalin e Molotov a Mosca nell’aprile 1945; Stalin manifestò il suo appoggio a Chiang Kai-shek e disse di non volere una guerra in Cina, ma si credette che l’Urss volesse un controllo sulla Cina del nord e sugli Stati dell’Asia centrale. Il rapporto con la Russia sovietica non migliorò affatto neanche dopo la Conferenza di Yalta; con l’avanzata russa in Europa si delineò la politica che Mosca era intenzionata ad attuare nei territori occupati dall’Armata Rossa. Nel febbraio 1945 fu indirizzato un ultimatum a Re Michele di Romania con il quale si pretendeva la costituzione di un governo comunista sotto la guida di Groza; nonostante l’opposizione del monarca, il governo comunista fu effettivamente insediato. Subito vi furono le proteste di Usa ed Inghilterra che invocarono la “Dichiarazione sull’Europa liberata”, che prevedeva la formazione di governi rappresentativi di tutta la 43 Storia delle relazioni internazionali popolazione nelle nazioni liberate; anche in Polonia, Molotov accettava soltanto di modificare il governo comunista di Lublino con qualche membro dei polacchi di Londra. Inoltre Stalin rimproverava agli alleati di aver proposto una pace separata alla Germania sul fronte italiano, permettendo così ai tedeschi di spostare divisioni sul fronte orientale e di rallentare l'avanzata dell’Armata Rossa; per scongiurare la rottura dell’unità tra gli Alleati, vi fu un ultimo viaggio di Harry Hopkins a Mosca alla fine di maggio 1945, dopo la capitolazione tedesca. Fu durante questi colloqui che Stalin lanciò una serie di accuse agli anglo-americani circa la partecipazione dell’Argentina alle Nazioni Unite, circa la partecipazione della Francia alla Commissione delle riparazioni, circa l’improvvisa fine delle forniture “affitti e prestiti” all’URSS e circa il fatto che nessuna nave tedesca fosse stata consegnata ai sovietici. Hopkins cercò di ricucire questi strappi e si decise che questo ed altri problemi (i governi comunisti in Polonia, Bulgaria e Romania) sarebbero stati discussi in un nuovo incontro tra i tre Grandi; sulla partecipazione dell’URSS alla guerra in Asia, Stalin si disse pronto ad attaccare il Giappone in agosto e accettò anche una trusteeship dei quattro vincitori sulla Corea. La conferenza prevista per la definizione delle questioni riguardanti la Germania si tenne il 17 luglio 1945 a Postdam, nei pressi di Berlino. I protagonisti della scena internazionale erano cambiati: il presidente Roosevelt era morto e il nuovo presidente, Truman, nominò Segretario di Stato Byrnes al posto di Stettinius; inoltre, durante la conferenza si svolsero le elezioni nel Regno Unito, le quali videro la sconfitta dei conservatori: di conseguenza, nella seconda parte della conferenza Churchill ed Eden lasciarono il posto al nuovo premier, Attlee, e al nuovo capo del Foreing Office, Bevin. Alla conferenza di Potsdam gli statunitensi suggerirono la creazione del Council of Foreign Ministers che avrebbe avuto il compito di preparare i trattati di pace con gli Stati “satelliti” della Germania (Italia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia); ogni trattato avrebbe previsto la partecipazione delle sole nazioni vincitrici su quello Stato, quindi la Francia fu ammessa soltanto nella preparazione del trattato di pace con l’Italia. Fu deciso lo scioglimento della European Advisory Commission. Gli anglo-americani si lamentarono con Stalin della situazione in Bulgaria e Romania, dove l’URSS aveva un controllo assoluto; i sovietici replicarono facendo presente il controllo occidentale in Grecia; il problema delle industrie anglo-americane confiscate dai sovietici nei Paesi occupati dall’Armata Rossa si rimandò a speciali commissioni. Molto importanti furono le decisioni circa il futuro della Germania, dato furono definiti i “Principi politici ed economici che governeranno la Germania durante il periodo iniziale di controllo”: messa al bando del partito nazionalsocialista, giudizio dei criminali di guerra e abolizione delle leggi naziste; disarmo completo e smilitarizzazione; perdita della grande industria pesante, con ipotesi di convertire la Germania a un Paese agricolo; nuova struttura politico-amministrativa federale con i Lander; previsione di organi democraticamente eletti (le cinque D: denazificazione, demilitarizzazione, deindustrializzazione, decentramento, democratizzazione). 44 Storia delle relazioni internazionali Si decise di ritardare la formazione di un governo centrale e di iniziare con delle elezioni nelle amministrazioni comunali e provinciali, per poi arrivare alla formazione degli organi dei Lander e dello Stato centrale. L’organizzazione economica fu subordinata al pagamento delle riparazioni e il livello della produzione economica sarebbe stato controllato severamente: poiché non vi era un governo che poteva pagare, si decise di procedere con prelievi in natura nelle rispettive zone di occupazione: mentre gli americani non operarono alcun prelievo a causa dei costi di trasporto, sovietici, britannici e francesi spogliarono le loro zone di occupazione di ogni bene, rendendo ancora più critiche le condizioni di vita dei tedeschi, i quali si rifugiavano sempre più nella zona controllata dagli statunitensi (finché questi non chiusero le frontiere, tranne agli ebrei); anche Berlino fu divisa in quattro zone di occupazione militare. Per quanto riguarda l’organizzazione territoriale, si accettò l’idea di uno slittamento della Polonia e quindi della perdita per la Germania dello Stato guida all’unità nazionale e alla formazione della mentalità dello Stato tedesco, ossia la Prussia; il nuovo confine polaccotedesco sarebbe stato lungo la linea Oder-Neisse occidentale. Parte dei territori prussiani andava all’Unione sovietica e parte alla Polonia, che cacciò dal suo nuovo territorio quasi quindici milioni di cittadini tedeschi; l’opinione pubblica internazionale accettò questo tragico esodo come una sorta di punizione per tutti i lutti che la guerra voluta dai nazisti aveva provocato nel mondo. Mentre in Europa si preparava la pace, la guerra proseguiva contro il Giappone. Nonostante i giapponesi disponessero in Asia di tre armate ancora inutilizzate composte da tre milioni di soldati, erano coscienti dell’approssimarsi della sconfitta a causa della distruzione quasi totale della flotta e per i continui bombardamenti delle navi e degli aerei americani sulle coste e sulle industrie nipponiche, già a corto di materie prime; gli americani preparavano uno sbarco nell’isola più meridionale dell’arcipelago giapponese. Durante la conferenza di Potsdam, gli Alleati avevano inviato ai giapponesi un ultimatum (il documento del 26 luglio) per la resa senza condizioni, che era stato rifiutato. Tra una sconfitta logorata in lunghi anni di lotte e una capitolazione prossima, è probabile che il governo nipponico volesse scegliere la seconda, al contrario di ciò che decise Hitler in Germania. Sicuramente questa decisione fu anticipata dagli avvenimenti drammatici che si susseguirono nell’arco di pochi giorni: il 6 agosto cadde la prima bomba atomica americana su Hiroshima, l’8 la Russia dichiarò guerra al Giappone, il 9 fu lanciata la seconda bomba atomica su Nagasaki. Dopo questi avvenimenti, il 10 agosto pervenne al governo americano una nota a nome dell’imperatore che accettava i termini dell’ultimatum, ponendo la condizione che il suo potere sarebbe rimasto intatto in Giappone. Questa condizione fu accettata e le istruzioni al Giappone furono date dal generale Mac Arthur a Manila il 20 agosto; il 2 settembre 1945, a bordo della corazzata Missouri, due rappresentanti dello Stato Maggiore giapponese firmarono la resa del Giappone senza condizioni, che conteneva indicazioni precise per la tutela del ruolo e dell’immagine dell’imperatore. La seconda guerra mondiale era terminata. Il format della liberazione dei territori occupati dal Giappone fu simile a quello europeo, con la divisione in base alle linee di incontro degli eserciti dei due schieramenti (Corea: 38° parallelo; Indocina: 17° parallelo).