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Il simbolo di protezione del Patrimonio Culturale: le ragioni dell'insuccesso e la revisione della Convenzione dell'Aja. Massimo Carcione 1. In occasione della 16ª Tavola Rotonda sui problemi del Diritto Internazionale Umanitario dell'IIHL di Sanremo (3-7 aprile 1991) avevo già avuto occasione Cfr. M.CARCIONE, Protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato: prospettive di sviluppo della normativa convenzionale (dispensa a cura dell'IIHL), Sanremo 1991, pag. 7; alla sessione, svoltasi dell'ambito della 16ª Tavola Rotonda sui problemi del Diritto Umanitario, erano presenti autorevoli rappresentanti della coalizione alleata e dell'Iraq, che avevano appena concluso il loro "contenzioso" nel Golfo e che per questa ragione avevano dimostrato una particolare sensibilità al tema dei danni al patrimonio: un argomento che è stato peraltro ripreso più volte durante il conflitto, per lo più a scopo propagandistico, dagli stessi Iracheni. di portare all'attenzione dei presenti un problema che reputo di rilievo centrale nello studio delle cause dello scarso successo della Convenzione dell'Aja del 1954, ma che non ha trovato - almeno sinora - alcuna attenzione in sede di processo per la revisione della normativa internazionale Si veda da ultimo il Rapporto finale della riunione di esperti Governativi sulla revisione della Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (Aja 1954), UNESCO, Vienna 11-13 maggio 1998, che completa l'iter avviato con il documento di Lauswolt (9-11 febbraio 1994). Sui lavori preparatori della Commissione Internazionale di Esperti dell'UNESCO e sul ruolo della Delegazione italiana diretta dal Prof. F.Francioni, si veda il breve resoconto di F.Fiorita in M.CARCIONE-A.MARCHEGGIANO (a cura di) La protezione dei beni culturali nei conflitti armati e nelle calamità - Atti del Convegno Internazionale (Alessandria 11-13 aprile 1997), Milano 1998, p. 105., né ha destato interesse nella dottrina contemporanea, così come in quella precedente gli ultimi e più importanti studi (sotto il profilo della loro diretta influenza sul processo di revisione avviato dall'UNESCO) sono P.J. BOYLAN, Réexamen de la convention pour la protection des biens culturels en cas de conflit armé, UNESCO, London 1993 e J. Toman, La protection des biens culturels en cas de conflit armé-Commentaire de la Convention de La Haye du 14 mai 1954, UNESCO, Paris 1994. Sul tema generale, si rinvia a M. FRIGO, La protezione dei beni culturali nel diritto internazionale, Milano 1986 e alla vasta bibliografia in esso riportata, ed inoltre A.F. PANZERA, La tutela internazionale dei beni culturali in tempo di guerra, Torino 1993; S.E. NAHLIK, La protection internationale des biens culturels en cas de conflit armé, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international, 1967, I, pag. 67 e segg.; W. A. SOLF, Cultural Property, Protection in Armed Conflict, in Encyclopedia of Public International Law, 1986, vol. 9, pag. 64 e segg.; Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, La protezione internazionale dei beni culturali (Atti del Convegno di Firenze, 22-24.11.1984), Roma 1986; F. FRANCIONI, Patrimonio comune della cultura. Sovranità e conflitti armati, in Studi in ricordo di Antonio Filippo Panzera, vol. I, Diritto internazionale. . Il problema della individuazione dei beni e delle località protette si è sempre posto nella normativa umanitaria in modo prioritario, ed è stato risolto tradizionalmente attraverso la creazione di simboli internazionali adeguati a rendere riconoscibile in modo inequivocabile una persona, un edificio, una località, un'organizzazione internazionale neutrale, un mezzo posto sotto protezione internazionale convenzionale. Anche gli strumenti internazionali in materia di protezione dei beni culturali, recependo l'opinione unanime della dottrina, avevano inteso dare ai beni culturali un simbolo che, adeguatamente divulgato, conosciuto e rispettato universalmente, avrebbe dovuto garantire l'incolumità e la neutralizzazione del patrimonio culturale del l'umanità e contraddistinguere Organizzazioni, mezzi e personale incaricati di cooperare e garantire la protezione. In questo senso, il Regolamento sulle leggi e usi della guerra terrestre allegato alla IV Convenzione dell'Aja del 1899/1907 poneva correttamente il principio ma, lacuna imperdonabile, rimandava ad un momento successivo e occasionale L'art. 27 del Regolamento, comma 2, prescrive per la protezione dei monumenti durante assedi e bombardamenti l'uso di "appositi segni visibili, che saranno notificati anticipatamente all'assediante". la definizione delle caratteristiche di questo simbolo, limitando dunque l'obbligo generale all'adozione di un qualsivoglia simbolo di identificazione, a condizione che fosse noto dall'altra parte; stranamente, un simbolo fu invece elaborato e imposto nella IX Convenzione L'art. 5 capo 2 della IX Convenzione dell'Aya del 1907 prescriveva invece il "dovere" di identificare i beni culturali in zone soggette a bombardamenti navali con "grandi pannelli rettangolari rigidi, divisi seguendo una delle diagonali in due triangoli di colore nero in alto e bianco in basso", relativa al bombardamento da parte di forze navali, per le quali forse si era ritenuto più complesso il previo concerto tra le parti in conflitto. Evidentemente lo scarso peso attribuito al problema si poneva in stridente contrasto con la normativa umanitaria che, a partire dalla Convenzione di Ginevra del 22 Agosto 1864, aveva immediatamente posto la Croce Rossa quale emblema unico e universale della neutralità delle strutture sanitarie di qualsiasi natura, ed in particolare di quelle appartenenti all'Organizzazione non governativa che avrebbe da allora portato questo stesso nome e simbolo in tutto il mondo, facilitandone il rispetto e la conoscenza universale. Unico aspetto positivo di questa normativa veniva ad essere, nonostante tutto, proprio il simbolo, complessivamente apprezzabile ed adeguato alle funzioni che avrebbe dovuto svolgere; ma una pur remota chance che questo simbolo potesse divenire l'omologo, in questo settore, della Croce Rossa fu frustrata dapprima dalla stessa ingombrante presenza del simbolo sanitario, che indusse a parlare in numerose occasioni di Croce rossa dei beni culturali o a proporre, per assonanza, la creazione di una 'Croce d'oro'; ed infine dallo stesso Pacte Roerich il quale, ignorando totalmente il primo simbolo, venne a proporne un altro All'art. III il Pacte Roerich (Convenzione di Washington del 1935) prevedeva "un cercle rouge renferment une triple sphère, le tout sur fond blanc"., infrangendo in tal modo una pur relativa universalità di segnalazione, ed insieme ad essa l'incipiente e difficile identificazione, nell'opinione comune, tra simbolo e categoria protetta. 2. A coronare questo quadro infelicissimo venne il progetto della Convenzione dell'Aja, che propose un ennesimo simbolo Secondo il Progetto,il simbolo doveva consistere in un "disco bianco, nel quale si inscrive un triangolo equilatero pieno, blu chiaro"., forse il più apprezzabile sul piano della semplicità grafica e della riconoscibilità a di stanza, nonchè della facilità di esecuzione. Ma questo simbolo, facile e comprensibile da chiunque, era viziato a giudizio della delegazione elvetica da un imperdonabile difetto: era infatti confondibile con quello utilizzato in Svizzera per la segnalazione stradale degli autocarri a rimorchio. Basandosi su questo paradossale criterio, qualunque altro simbolo adeguatamente semplice sarebbe stato probabilmente scartato, perché già utilizzato per chissà quale simbologia di qualche Stato parte alla Convenzione, il che indusse le Delegazioni a sbizzarrirsi in una grottesca gara di proposte EUSTATHIADES, La protection des biens culturels en cas de conflit armé et la Convention de la Haye du 14.5.1954, EDI 3, Athènes 1959, p.492; i Paesi scandinavi proposero ad esempio uno scudo bianco in cui si inscrive una losanga blu chiara, bordato in blu chiaro per la protezione speciale, mentre la Francia suggerì un disco bianco in cui si inscrive una larga banda mediana orizzontale blu chiara, con l'aggiunta di varie stelle a graduare l'importanza del bene protetto., il cui unico punto in comune risultava essere l'impossibilità di riassumere in due parole e soprattutto di capire e spiegare facilmente forma e caratteristiche grafiche del simbolo. Problema questo che a persone forse meno raffinate ma sicuramente più pratiche non si era neppure posto allorquando, circa un secolo prima, si scelse felicemente come simbolo di protezione addirittura una bandiera nazionale invertendone semplicemente i colori. Il risultato finale di questo capitolo dei lavori della Conferenza non avrebbe potuto essere più infelice; la Convenzione infatti, contraddicendo ogni presupposto del sistema di segnalazione, pone all'art. 6 il principio generale secondo cui "i beni culturali possono essere muniti di segno distintivo", rendendo discrezionale, limitato nei criteri pratici e comunque eventuale l'uso del simbolo codificato all'art. 16. In contrasto con questa scelta si era posta la delegazione italiana, che invano tentò di perorare la necessità di catalogare tutti i beni protetti e non solo quelli sottoposti a protezione speciale, e soprattutto di affidare tale compito ad una struttura indipendente, una vera 'Croce Rossa dei beni culturali'. A coronamento di questo ponderoso dibattito, la Conferenza fece infine propria la proposta del Prof. Zachwatowicz NAHLIK, Biens culturels et conflit armé, Paris 1967, p.133; cfr. la relazione fatta dall'A. nel corso della Conferenza dell'Aja del 1954 (Atti, p.248), polacco, alla cui fervida mente dobbiamo l'ideazione del simbolo che l'art. 16 definisce cripticamente "uno scudo, appuntito in basso, inquartato in croce di Sant'Andrea di blu e bianco", cui è aggiunta una seconda descrizione ("Uno scudo formato da un quadrato blu, di cui uno degli angoli è inscritto nella punta dello stemma, e da un triangolo blu al di sopra del quadrato, entrambi delimitati da triangoli bianchi ai due lati"), che oltre a rendere ancor più difficile la comprensione del simbolo rivela l'imbarazzo dei Delegati, consapevoli forse di avere creato un "mostro" grafico e giuridico, inadeguato a svolgere la sua funzione anche nell'ipotesi che fosse stato sufficientemente divulgato. Il simbolo viene utilizzato dalla Convenzione in due modi differenti, secondo la categoria di beni che è posto a segnalare (art. 17); da solo identifica i beni sotto protezione generale, la cui individuazione è rimessa alla libera scelta dello Stato detentore, il personale incaricato della protezione, il personale di controllo, le carte di identità del personale stesso. L'uso del simbolo "ripetuto tre volte in formazione triangolare con un simbolo in basso" (Eustathiades), deve invece, ai sensi dell'art. 17, indicare esclusivamente i beni sotto protezione speciale, i trasporti e i rifugi improvvisati. Anche questo uso così articolato, evidentemente, può contribuire a rendere difficoltosa l'attuazione di queste norme, che sembrerebbero basarsi sul presupposto che un simbolo è tanto più efficace quanto più è complicato Sull'argomento si veda ancora EUSTATHIADES, op.cit., p.491ss. Ma l'obiezione più seria, al di là della critica, è che nelle stesse Convenzioni di Ginevra del 1949 ci si è posti il problema dell'eventualità di un uso del simbolo di Croce Rossa in sede nazionale per altri scopi (art. 44 della prima Convenzione): ma naturalmente sarebbe inverosimile che si fosse deciso di abolire il simbolo di Croce Rossa come identificatore delle strutture sanitarie, sul presupposto che ad esempio in Italia numerose farmacie utilizzano questo simbolo come insegna. Per questo motivo si è interdetto qualsiasi uso non conforme alle prescrizioni della Convenzione, con evidente inclusione delle utilizzazioni preesistenti. L'opposta decisione adottata della Conferenza dell'Aja, dunque, è stata l'ennesima dimostrazione della scarsa convinzione, almeno da parte di molte delegazioni, circa l'importanza del tema in questione; è difficile pensare che con un minimo di pressione diplomatica la Svizzera, da sempre portatrice di un messaggio di neutralità e di internazionalismo, sensibile al problema del diritto umanitario fin dal tempo della nascita della Croce Rossa, sarebbe stata così ottusa da rifiutare di astenersi dall'uso di un simbolo adottato a livello internazionale per uno scopo tanto importante. Senza contare che, fatta eccezione per i mezzi di trasporto dei beni culturali previsti all'art. 12 (che comunque devono essere segnalati in modo certo assai vistoso e facilmente identificabile) sarebbe alquanto improbabile l'eventualità di confondere un monumento storico o un'opera d'arte con un autocarro a rimorchio. 3. Naturalmente, perché una critica sia costruttiva è necessario formulare, nei limiti determinati dalla natura di questo intervento, qualche ipotesi di soluzione alternativa; per questo si era già tentato nel 1991 Cfr. M.CARCIONE, op.cit., Sanremo 1991, pag. 7, che riprendeva e sviluppava una tesi di laurea discussa presso l'Università degli Studi di Torino (Prof. A.Marazzi), a.a. 1988/89, non pubbl. , senza la pretesa di avere in tasca la soluzione di problemi che per secoli hanno reso problematica una effettiva protezione dei beni culturali, di sviluppare un ragionamento in merito alla problematica della segnalazione (o segnalamento, come è definito dalla Convenzione), oltre a formulare proposte in merito alle procedure di protezione ed al ruolo dell'organizzazione internazionale specializzata per la protezione del patrimonio: proposte, queste ultime, che hanno trovato, al contrario delle prime, un certo riscontro nel lavoro di Boylan e nel successivo lavoro degli Esperti governativi. Prendendo spunto dalle considerazioni critiche sviluppate poc'anzi, ritengo quindi utile provare a riproporre ancora oggi le mie perplessità circa il sistema risultante dal combinato disposto degli articoli 6, 10, 16 e 17 (oltre all'art. 20 del Regolamento), che non sembrerebbero essere destinati ad alcuna modifica o aggiornamento, al contrario delle norme relative alla necessità militare, alle procedure relative alla protezione speciale e all'organismo internazionale incaricato di sovrintendere e promuovere l'applicazione della Convenzione dell'Aja del 1954: a) è del tutto evidente la scarsa idoneità del simbolo, nella sua configurazione grafica, a garantire una reale riconoscibilità e conoscenza universale dei beni culturali in situazioni belli che, specialmente alla luce dello sviluppo delle tecnologie belliche; si tratta di un problema marginale sotto il profilo sostanziale, e tale è sempre stato giustamente considerato dalla dottrina, ma si può dire che ne sono state indubbiamente sottovalutate le implicazioni psicologiche, vale a dire la tendenza dell'opinione pubblica ad identificare una categoria di beni o di soggetti protetti (e tutto l'apparato relativo alla loro protezione) attraverso un simbolo o un'istituzione internazionale, il che ha significative implicazioni anche per quanto concerne la protezione in tempo di pace, in tutte le sue connessioni con la normativa che stiamo esaminando; b) la Convenzione ha precluso ab origine un effettivo uso del segno distintivo, rendendone facoltativo l'utilizzo per i beni culturali soggetti a protezione generale, e lasciando piena discrezionalità alle Alte Parti circa le modalità di segnalazione, ma soprattutto in merito alla valutazione sull'opportunità di segnalare o meno un bene culturale; c) un ulteriore elemento di incertezza e di dubbia utilità è stato il voler creare un duplice segno per le diverse categorie di beni protetti, quasi non fosse sufficiente a distinguere i beni sotto protezione speciale il loro numero limitatissimo, l'iscrizione in un Registro e soprattutto la loro stessa natura di monumenti di altissima importanza: il che dovrebbe poterli rendere riconoscibili anche al comandante militare più sprovveduto; d) infine, è di comune evidenza che la grande maggioranza delle Alte Parti contraenti e la stessa U.N.E.S.C.O. non hanno ottemperato all'obbligo di rendere universalmente noto il segno distintivo stesso, attraverso programmi di diffusione della normativa (alle FF.AA. ed alla popolazione), ma anche con un uso più corretto e frequente, anche al di fuori degli impieghi strettamente formali. La soluzione di questi problemi, malgrado la loro relativa semplicità di formulazione normativa, trova un ostacolo di notevole rilievo in alcune considerazioni di opportunità e buon senso, delle quali non si può non tenere conto, specialmente se si considera la realtà internazionale; per questo l'intento del procedimento di revisione (che, va ricordato, è previsto dalla stessa Convenzione), dovrebbe mirare essenzialmente a semplificare e razionalizzare la normativa del 1954, adottando anche per quanto attiene il segnalamento soluzioni pratiche ed adeguate all'odierno sviluppo tecnologico e scientifico. Innanzi tutto non appare realistica l'ipotesi di modificare ancora una volta il simbolo: questa soluzione, a fronte di possibili vantaggi sul piano pratico, comporterebbe la dispersione dell'attuale patrimonio di conoscenza e utilizzo, per quanto circoscritto, del segno distintivo; è dunque giocoforza mantenere lo "scudo appuntito in basso inquartato in croce di S.Andrea di blu e bianco", del quale sarebbe almeno opportuno elaborare una nuova e più chiara definizione tecnica. Sarebbe poi positivo, anche se si esula a questo punto dall'ambito strettamente giuridico, che si affermasse nell'uso comune una denominazione di facile comprensione, che valesse ad identificare il segno stesso e le Organizzazioni attivamente operanti in questo ambito (al di là della stessa U.N.E.S.C.O.): naturalmente l'intento è comune alle considerazioni precedenti e sta per fortuna trovando soluzione attraverso l'uso - sempre più frequente - del termine Scudo blu (Blue shield o Bouclier bleu) che identifica l'ormai avviato progetto di collaborazione istituzionale tra le diverse O.n.g. attive nel settore della protezione dei beni culturali. Ma sarebbe necessario agevolare l'uso dello Scudo blu, in modo uniforme, per identificare e segnalare tutti i beni culturali, ovviamente in modo adeguato alla loro importanza artistica, storica o culturale ed al concreto rischio di danneggiamento, distruzione o saccheggio in caso di conflitto armato, con particolare attenzione, ad esempio all'eventuale vicinanza di obiettivi militari. 4. Nello specifico, e vista la natura delle proposte formulate al termine della riunione UNESCO di esperti Governativi sulla revisione della Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (Vienna 11-13 maggio 1998), è forse ancora possibile proporre un'ulteriore norma da inserire nell'ormai probabile Secondo protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell'Aja del 1954, che potrebbe essere quindi suscettibile di ratifica e applicazione almeno da parte degli Stati più sensibili al problema della salvaguardia del patrimonio culturale dell'Umanità. Alla luce delle precedenti considerazioni si potrebbe prevedere nella nuova normativa l'obbligo di utilizzare in ogni tempo i tre Scudi blu per segnalare quei pochi beni iscritti al Registro della protezione speciale; si potrebbe invece raccomandare vivamente l'uso del simbolo per segnalare anche in tempo di pace i beni culturali, ad imitazione di quanto avviene per il segno di croce rossa in riferimento alla materia sanitaria, anche se non si rispettano rigidamente le modalità prescritte dalla Convenzione dell'Aja del 1954: sarebbe ad esempio consentita espressamente la riproduzione del simbolo su segnali indicatori e cartelli di località storico-artistiche, su opuscoli e pubblicazioni e sulle pertinenze e le strutture adiacenti il bene culturale stesso, il che renderebbe sicuramente più note la forma e le prerogative del misconosciuto "scudo inquartato" In Belgio il simbolo è usato, ad esempio, per segnalare tutti i monumenti storici di un certo rilievo, mentre in Svizzera è usato per identificare personale, strutture e materiali relativi alla protezione dei beni culturali nell'ambito delle strutture federali, cantonali e regionali di protezione civile.. Dovrebbe infine divenire obbligatorio (mentre oggi vi è una mera facoltà) il segnalamento, attraverso l'apposizione di un solo Scudo blu, di tutti i beni culturali, o almeno di quelli di un certo rilievo: basti pensare alle centinaia di beni ormai iscritti alla Lista del patrimonio dell'UNESCO ai sensi della Convenzione di Parigi del 1972, destinati a crescere vertiginosamente nei prossimi anni, i quali peraltro non dispongono attualmente di alcuna formale identificazione grafica esterna. Ma soprattutto è indispensabile - a mio sommesso avviso - rivedere radicalmente lo stesso uso del segno, essendo anacronistica la funzione di segnalazione a distanza dell'edificio, quasi si fosse ancora nel l'epoca degli obici e degli aerostati citati nelle prime Convenzioni dell'Aja del 1899: oggi la segnalazione visiva conserva una certa funzione esclusivamente in riferimento alle truppe di occupazione, cui può essere importante rammentare gli obblighi imposti dalla Convenzione in una situazione di guerra convenzionale, o più probabilmente di guerriglia, sul territorio adiacente il monumento o il centro monumentale. Ma allora sia per i beni sotto posti a protezione ordinaria che a maggior ragione per quelli di altissima importanza, sarebbe auspicabile andare ben oltre il semplice segno posto "all'entrata del bene culturale immobile" o sul perimetro del centro monumentale. Inoltre, la segnalazione a distanza dovrà essere realizzata non solo con la tradizionale "cartellonistica" esterna, ma anche secondo modalità analoghe a quanto previsto nei Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1977: ad esempio tecnologie elettroniche (segnali radio o radar) o sistemi luminosi si veda l'allegato I al I Protocollo aggiuntivo dell'8.6.1977, relativo all'identificazione (capitolo III, artt.6,7,8); oggi non è più opponibile a queste segnalazioni, specie luminose, l'obiezione che De Visscher aveva sollevato nel 1938 circa l'eventualità che tali segnali servissero di riferimento per le operazioni belliche nemiche: le tecnologie moderne, con l'uso di infrarossi e satelliti spia non hanno certo bisogno per orientare un attacco a distanza di fare riferimento sui monumenti segnalati a scopo protettivo.. Merita ancora una riflessione, in conclusione, l'amara vicenda dei beni culturali della ex-Yugoslavia, che oltre agli immensi danni e saccheggi subiti hanno anche dovuto patire (e con loro il personale addetto che tanto si era impegnato con lungimiranza per la loro salvaguardia Si veda la toccante testimonianza della responsabile della Soprintendenza di Karlovac (Croazia) in M.CARCIONE-A.MARCHEGGIANO (a cura di) La protezione dei beni culturali nei conflitti armati e nelle calamità, op.cit., p. 123.) la beffa determinata da una delle più emblematiche "anomalie" di questa atroce guerra etnico-religiosa. E' stato infatti evidenziato e comprovato che il simbolo dello Scudo blu, correttamente e chiaramente riportato sui monumenti civili e religiosi dei diversi Stati balcanici (in particolare in Croazia e in Bosnia) ha in realtà costituito il "bersaglio" prediletto dei più feroci combattenti delle fazioni in lotta, i quali hanno pienamente riconosciuto nei diversi monumenti (si pensi al ponte di Mostar o alla Biblioteca universitaria di Sarajevo) il valore simbolico dell'identità storico-culturale dell'avversario Sul caso della Bosnia e della città di Sarajevo cfr. F. Maniscalco, Sarajevo. Itinerari artistici perduti, Napoli 1997. . Ma proprio per questa ragione artiglieri e cecchini si sono accaniti su di essi con brutale e sistematica violenza. Potrà sembrare paradossale, forse, ma occorre riconoscere e tentare di evitare il ripetersi di queste assurde situazioni L'esperienza del Contingente militare italiano in Albania ha portato per l'ennesima volta l'attenzione sul problema dei sacheggi, perpetrati in questo caso dalla stessa popolazione civile del luogo, che hanno trovato addirittura un inaccettabile sostegno da parte di militari dei diversi contingenti militari stranieri, che non resistendo alla tentazione di portare a casa un prezioso souvenir hanno di fatto assunto l'odiodo ruolo di ricettatori (Cfr. F.Maniscalco, Frammenti di storia venduta. I tesori di Albania, S.M.Esercito Italiano, Roma 1998 - Video VHS).: bisogna allora valutare l'opportunità di consentire l'esonero dall'obbligo internazionale di segnalamento per quei monumenti che, in considerazione delle particolari circostante nella quali si sta svolgendo il conflitto, rischiano un maggiore danno in ragione dell'enfasi sul loro valore, data proprio dall'uso dello Scudo blu. PAGE 4