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Un disturbo schizotipico di personalità.pdf

Caso clinico Stati alterati di coscienza in un disturbo schizotipico di personalità: un caso clinico trattato con olanzapina Impairments of consciousness in a schizotypal personality disorder: a clinical case treated with olanzapine PIERLUIGI SCARCIGLIA, SIMONA GHERARDELLI, LORENZO TARSITANI, MASSIMO BIONDI Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, III Clinica Psichiatrica, Università di Roma, La Sapienza RIASSUNTO. Introduzione. I disturbi dissociativi costituiscono un importante capitolo dell’attuale Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali (DSM-IV). La dissociazione è stata descritta come una perdita della continuità delle normali funzioni integrate della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente circostante e/o del proprio corpo. Il caso. Descriviamo qui un caso clinico, pervenuto nell’Ambulatorio della III Clinica Psichiatrica dell’Università “La Sapienza” di Roma, nel quale, sulla base di un disturbo schizotipico di personalità, abbiamo potuto rilevare costanti ed ordinati episodi dissociativi. L’approccio farmacologico, da noi applicato, si è incentrato sull’utilizzo di olanzapina (5mg/die), ottenendo buoni risultati ed un’ottima compliance farmacologia da parte del paziente. Risultati. Sulla base di questo risultato, osservato in questo caso, il trattamento con olanzapina ha dimostrato un buono spettro d’efficacia, mantenendo anche un buon profilo farmacologico di sicurezza. Nonostante il nostro risultato sia limitato, noi auspichiamo ulteriori studi per definire più approfonditamente nuovi criteri per un atipico utilizzo dell’olanzapina. PAROLE CHIAVE: disturbi dissociativi, disturbo schizotipico di personalità, olanzapina, caso singolo. SUMMARY. Introduction. Dissociative disorders are an important chapter in the present diagnostic Manual of Mental Disorder (DSM-IV). Dissociation has been described as a disruption of the normally integrated functions of consciousness, memory, identity or perception of the environment and/or the body. The case. We present a single case, arrived in the Ambulatory of the 3rd Psychiatric Clinic, University “La Sapienza” of Rome, in which, on the basis of a schizotypal personality disorder, we observed constant and ordinated dissociative episodes. We utilized a pharmacological approach based on olanzapine (5mg/die) obtaining good results and an excellent compliance. Results. On the basis of these results, observed in this case, treatment with olanzapine showed a good spectrum of efficacy, with a substantially favourable safety profile. Although our result is limited, we suggest further studies to underline new criteria for a novel atypical usage of olanzapine. KEY WORDS: dissociative disorders, schizotypal personality disorder, olanzapine, single case. La linea di confine fra “psicoticismo” e psicosi francamente diagnosticabile è spesso labile e non di rado sono osservabili, nella pratica clinica, transitori switch dall’una all’altra di queste forme appartenenti allo stesso continuum psicotico. Un esempio di questa complessa e variegata espressione psicopatologica è rappresentato dai disturbi dissociativi, da sempre fonte di dibattiti e controversie circa la reale interpretazione e collocazione dei loro sintomi, ascrivibili ad una “alterna discontinuità della coscienza e della memoria”(1). Il termine “dissociazione”, introdotto per la prima volta da Pierre Janet in una sua lezione tenuta alla Harvard School of Medicine, stava ad indicare i fenomeni propri dell’isteria in cui alcuni contenuti mentali venivano non integrati (disaggregation) e quindi esclusi dal normale fluire della coscienza (2,3). I suoi studi sull’isteria furono strettamente in- E-mail: p.scarciglia@hotmail.com Rivista di psichiatria, 2004, 39, 4 270 Stati alterati di coscienza in un disturbo schizotipico di personalità trecciati a quelli sull’ipnosi. Nei primi del ’900 questo fece sì che la storia dei disturbi dissociativi fosse intimamente legata a quella dell’ipnosi, usata sia come mezzo di esplorazione che come strumento terapeutico. A Janet va pure il merito di aver collegato i fenomeni dissociativi ad un evento traumatico. Questo concetto fu poi approfondito da Freud e Breuer (4) che dimostrarono nelle descrizioni dei loro casi, quanto il trauma psichico fosse la causa principale della nevrosi isterica: “il trauma rimane nella psiche del soggetto come un corpo estraneo, una traccia mnesica irriducibile che conserva tutto il suo potere patogeno”(5). Mentre in Europa Janet e Freud studiavano i fenomeni dissociativi, negli Stati Uniti psicologi come James pubblicavano lavori sulle “personalità doppie” (6). Col passare degli anni si vide però un lento svanire dell’interesse nei confronti dei disturbi dissociativi. I motivi di tale fenomeno furono il progressivo declino dell’ipnosi, il crescente affermarsi della psicanalisi (che privilegiava i conflitti intrapsichici rispetto alla verità storica) e la nuova ridefinizione del concetto di dementia praecox con il nuovo termine di schizofrenia da parte di Bleuler (7), che causò una certa confusione fra le forme dissociative isteriche e la dissociazione, propria della psicosi endogena. Negli anni ’80, con l’uscita del DSM-III (8), i disturbi dissociativi, prima inclusi all’interno del grosso capitolo delle nevrosi, sono stati riconosciuti come un’entità autonoma e differenziata dalle altre e l’interesse per questo genere di patologie ha dato vita nel 1984 alla prima società scientifica dedicata direttamente a questo argomento: International Society for the Study of Multiple Personality and Dissociation. Definire cosa siano i disturbi dissociativi implica che si abbia una buona definizione del termine “dissociazione”. Molto corretta dal punto di vista formale sembrerebbe quella di Spiegel e Cardegna (9): “la dissociazione è una separazione strutturale dei processi mentali (pensieri, emozioni, volontà, memoria e identità) che normalmente sono integrati”. Andrebbe quindi inquadrata come un modello di difesa, in cui due o più entità mentali tra loro incompatibili siano strutturate in modo da escludersi a vicenda dalla coscienza. Utilizzando questo concetto di dissociazione, negli Stati Uniti si stabilì una netta demarcazione fra i fenomeni dissociativi e quelli di conversione e somatoformi. Oggi, la caratteristica essenziale, alla base dei disturbi appartenenti alla sfera dissociativa, è considerata “uno stato di alterazione della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente” (10). I soggetti con disturbi dissociativi hanno perso il senso di unitarietà della propria coscienza, sentono la mancanza di un’identità o sono confusi circa la propria natura. Alla base di questo disturbo vi sarebbe, secondo Liotti (11), la “perdita dell’impressione soggettiva di continuità della memoria e della coscienza”. Di solito esperienze soggettive, vissute come angosciose, ascrivibili a stati alterati della coscienza (stati ipnoidi, stati oniroidi, sonnambulismo, depersonalizzazione, derealizzazione), entrano a far parte della complessa e articolata schiera dei disturbi dissociativi. Il senso di irrealtà vissuto dai pazienti affetti da tale sintomatologia viene spesso descritto come una sorta di “sogno ad occhi aperti” in cui anche l’esperienza corporea può risultare modificata e stravolta. La perdita della continuità dell’esperienza soggettiva costituisce il centro del quadro clinico anche se questo stesso può, in seguito, essere completato da sintomi appartenenti alla sfera dell’ansia, della depressione, dei disturbi del comportamento alimentare, ad abuso di sostanze o a sintomi psicosomatici e di conversione. Molto spesso, inoltre, lo stile di vita dei soggetti, già caotico e frammentato, sembra essere costellato da sintomi insoliti e difficilmente inquadrabili attraverso un criterio strettamente categoriale. A volte si nota una personalità premorbosa vicina ad un disturbo di asse II di cluster A o di cluster B (12), altre volte si intravede una certa similitudine con disturbi della sfera ansiosa (Disturbo Post-Traumatico da Stress, DPTS) (13,14), talvolta i sintomi compromettono a tal punto la vita socio-relazionale del paziente da orientare i criteri verso una diagnosi di un esordio schizofrenico, nonostante manchi in questi pazienti l’anaffettività, elemento caratteristico di tale patologia. In realtà il DSM elenca anche altre categorie diagnostiche, oltre ai disturbi dissociativi, in cui, in assenza di alterazioni organiche, è possibile dimostrare una certa frammentarietà della coscienza (DPTS, disturbo borderline di personalità, disturbo schizotipico di personalità). È possibile ipotizzare un filo comune nell’espressione sintomatologica della coscienza in questi disturbi così apparentemente diversi? È possibile distinguere una matrice dissociativa pura da un disturbo di personalità di asse II? Perché spesso un sottofondo premorboso schizoide o schizotipico può con molta facilità virare verso un disturbo dell’area dissociativa? Quest’ultimo punto costituisce il core del caso qui in osservazione. In una personalità francamente schizotipica, infatti, abbiamo potuto osservare costanti e ordinati episodi dissociativi. La descrizione degli stessi, inoltre, ci è parsa di grande interesse per evidenziare la possibile correlazione fra l’uno e l’altro disturbo e per fornire probabili ipotesi etiopatogenetiche alla base del disturbo dissociativo. Rivista di psichiatria, 2004, 39, 4 271 Scarciglia P, et al. IL CASO Indagando sulle motivazioni alla base delle difficoltà nel sonno, lamentate dalla paziente, questa riferisce di “avere degli amici” che, a volte, la vengono a trovare la sera, motivo per cui ha difficoltà a prender sonno. La paziente riferisce di avvertire delle “presenze” che inizierebbero a manifestarsi al crepuscolo sotto forma di rumore di passi e chiacchiericcio, successivamente in forma di persone ai piedi del suo letto. Tali “presenze” la fisserebbero con insistenza comunicando con lei tramite il pensiero con l’intenzionalità di arrecarle un danno. Queste allucinazioni visive complesse vengono descritte come transitorie, eliminabili completamente se la paziente viene stimolata da stimoli esterni di carattere tattile o sonoro ed associate ad un restringimento della coscienza dell’ambiente circostante. Riferisce, altresì, di convivere con le “presenze” dall’età di 18 anni e di essere convinta di possedere poteri soprannaturali (“riesco a comunicare con queste entità perché sono dotata del terzo occhio”). La credenza nel pensiero magico è confermata dall’affermazione che pochi eletti possano comunicare con l’aldilà e ricevere dagli spiriti dei defunti predizioni circa gli accadimenti della vita quotidiana. Tale spiegazione sarebbe in linea con l’evidenza che né il marito né alcun altro suo conoscente sarebbero in grado di “vedere le presenze”, che comparirebbero soltanto quando la paziente è sola e indifesa. Riferisce, inoltre, esperienze percettive insolite come sentirsi pizzicare le braccia, venir scossa nel letto e, a volte, la minacciosa sensazione di stravolgimento corporeo descritta come “un essere vivo dentro la pancia che batte dei colpi” e che la renderebbe immobile. La paziente riferisce, inoltre, l’episodica manifestazione di una “entità maligna” in forma di una voce di uomo, profonda, baritonale a contenuto persecutorio. La paziente descrive l’esecuzione spontanea di brani musicali al pianoforte in un presumibile stato alterato di coscienza, con scomparsa di contenuti ideici e la successiva spiegazione da parte della stessa, che tali brani possano risultare graditi all’entità. Nonostante le riferite dispercezioni visive, a tratti uditive, durante il colloquio non si apprezzano atteggiamenti che suggeriscano visione o ascolto. A livello delle funzioni cognitive si evidenzia, nel primo incontro, una lacuna mnestica durante il periodo adolescenziale che la paziente non riesce a specificare meglio. In quel periodo, intorno all’età di diciotto anni, sarebbe avvenuto il primo episodio dispercettivo. La signora A.P. racconta di aver visto nell’atto dell’addormentamento “un’anziana, vestita di nero, avvicinarsi al letto sorridendo in modo beffardo. Mi mostrava le mani che lentamente diventavano rosse e poi fuoco che mi ha lanciato addosso”. Dopo quasi vent’anni da questo episodio, la signora riferisce di aver avuto un grave incidente stradale mentre era alla guida della sua automobile. La paziente non ricorda nulla della dinamica di tale evento tranne il confuso ricordo “dell’improvvisa comparsa delle entità” davanti alla sua automobile. A.P. è una donna di 54 anni, tunisina di cittadinanza italiana, secondogenita di quattro germani. È venuta in Italia all’età di diciotto anni. Coniugata dall’età di 28 anni con un coetaneo, ha un figlio di 25 anni in trattamento psicoterapico da circa due anni, per problemi psicologici non meglio specificati. La donna non fa uso di alcolici e nega assunzione attuale o pregressa di sostanze psicoattive. Lavora come impiegata a contatto con il pubblico, con discreto profitto lavorativo. Vive con la famiglia acquisita e non ha alcun rapporto relazionale interpersonale né con altri familiari né con amici. Si descrive come una persona dalla forte personalità, con tendenze artistiche, tuttavia introversa e poco propensa ad intraprendere nuovi rapporti interpersonali e ad instaurare un rapporto confidenziale. Buoni i rapporti con il coniuge e con i colleghi di lavoro. Giunge alla nostra osservazione con una lieve quota d’ansia libera, lamentando difficoltà nell’addormentamento, sonno scarsamente ristoratore e di breve durata (3-4 ore). Il tono dell’umore, normoorientato ad una prima valutazione, mostra, a tratti, note di disforia. L’atteggiamento nei confronti degli interlocutori è collaborativo sebbene si evidenzi una certa tendenza alla seduttività e sospettosità. L’eloquio è fluido e la produttività verbale risulta lievemente aumentata. La paziente è seguita presso un centro per lo studio delle cefalee da circa dieci anni per una forma di emicrania con aura visiva, in trattamento farmacologico (Difmetre, 1cpr/die). Riferisce di aver eseguito, fin dall’adolescenza, numerosi EEG per sospetto focus epilettogeno, risultati comunque tutti negativi, ed una TC cerebrale, eseguita in seguito ad un episodio di derealizzazione avvenuto sul posto di lavoro. Tale episodica esperienza viene descritta dalla signora come un mancato riconoscimento del luogo in cui si trovava in quel momento e dei documenti che ella stessa aveva poco prima archiviato. A questo angoscioso senso di irrealtà si associava un penoso senso di perdita di sé. Durante il colloquio, il contenuto del discorso verte essenzialmente su tematiche riguardanti patologie fisiche pregresse di cui, tuttavia, la signora A. P. non presenta alcuna documentazione clinica. È evidenziabile una lieve accelerazione ideativa e tendenza alla grandiosità, su base temperamentale. Nella narrazione è possibile evidenziare scarsa partecipazione emotiva e sorrisi a tratti incongrui rispetto ai contenuti del discorso, ma verosimilmente attribuibili ad una difficoltà a gestire la relazione interpersonale; viene riferita colecistectomia, miomectomia e successivamente isterectomia per un pregresso carcinoma uterino, polipectomia intestinale in più interventi consecutivi, altri interventi per la rimozione di emorroidi e la cauterizzazione di una fistola anale. Su richiesta dei medici la paziente porta in visione la documentazione clinica dei suddetti interventi. Rivista di psichiatria, 2004, 39, 4 272 Stati alterati di coscienza in un disturbo schizotipico di personalità Indagando sulla lacuna mnestica adolescenziale, è emersa, inoltre, una relazione sessuale, avvenuta in questa età, con un amico di famiglia (dell’età del padre). Al conseguimento di tale rapporto, la paziente sarebbe stata istigata dai genitori. Indagando in maniera più approfondita sulla presenza di traumi ad abusi fisici, subiti dalla donna nell’infanzia, sono emersi numerosi e reiterati abusi da parte del padre, dello zio materno e di amici dei genitori. Tali episodi sarebbero stati perpetrati nel tempo, fino al suo arrivo in Italia, con il consenso dei genitori e con la diretta connivenza del padre che avrebbe permesso e favorito tali atti. Nella descrizione della storia passata, la donna riferisce inoltre un episodio di arresto motorio, all’età di sei anni quando, recandosi a scuola, da sola, assisteva all’omicidio di un uomo. Tale omicidio avveniva in una via isolata: un malvivente aveva ucciso un uomo e brandendo l’arma da taglio del delitto in mano, le urlava, incitandola ad andarsene e minacciandola di morte. DISCUSSIONE Il carattere clinico dei disturbi lamentati dalla signora A.P., incentrati essenzialmente su episodi dispercettivi con derealizzazione (presente soprattutto quando racconta dell’essere che terrebbe in grembo) ma non accompagnati da depersonalizzazione, uniti al forte shock subito dalla stessa per i ripetuti abusi, ha orientato la nostra diagnosi verso un disturbo appartenente all’area dissociativa. La scarsa compromissione sul piano relazionale-lavorativo, unita ad una discreta affettività, e soprattutto ad una costante critica, mantenuta durante i colloqui successivi, ci hanno permesso di escludere un disturbo che potrebbe lasciar ipotizzare una diagnosi di schizofrenia cronica (questa nostra osservazione è stata altresì avvalorata e confermata dai test somministrati). Riguardo ad un possibile inquadramento all’interno dei disturbi dell’umore, ci è parso che la lieve accelerazione ideativa mostrata dalla signora, accompagnata dal suo atteggiamento verbale seduttivo e dalla sua tendenza ad un’accresciuta autostima, siano da considerare piuttosto dei tratti caratteriali e temperamentali. Inoltre, la coerenza nei processi del pensiero, la capacità di giudizio conservata e la presenza di un buon insight di malattia porterebbero ad escludere tale ipotesi diagnostica. I criteri di esclusione adottati per fare diagnosi differenziale sono stati necessari perché, a volte, i sintomi propri del disturbo dissociativo sono prevalenti, tuttavia nel quadro clinico non trovano riscontro i criteri propri del DSM-IV di questo disturbo. La diagnosi viene così ad indirizzarsi, facendo leva sui pochi punti chiave di tale patologia: la perdita di memoria e il disturbo di coscienza che, pur nel suo ben definito timing, rimane un nodo centrale nei criteri diagnostici (15). In alcuni casi l’episodio dispercettivo o francamente allucinatorio sembrerebbe, inoltre, essere assimilabile ad un vero e proprio disturbo di trance dissociativa: è come se un’alterazione transitoria della coscienza focalizzi la reattività del soggetto su stimoli ambientali ben definiti, al di fuori dei quali lo stesso soggetto sembri mantenere un funzionamento completamente critico e distaccato rispetto all’evento vissuto (16). A questo punto il dubbio diagnostico potrebbe riguardare una diagnosi differenziale con un episodio di assenza tipico dell’area prettamente neurologica delle epilessie (crisi parziale o pseudo-crisi). Rimanendo, quindi, in ambito organico-funzionale, la dissociazione potrebbe rappresentare anche la linea di confine fra una pseudo-crisi ed una vera attivazione focale. In letteratura sono stati osservati numerosi casi di pseudoseizure in cui, somministrando scale specifiche per la valutazione della dissociazione, si riscontravano elevati punteggi negli item riguardanti episodi dissociativi (17,18). In ambito psichiatrico la dissociazione è descritta come una “interruzione della normale funzione integrata della coscienza, della memoria o della percezione dell’ambiente o del proprio corpo” (DSMIV e ICD-10). Molti Autori, però, sono concordi nell’affermare che il termine dissociazione nasconda in realtà un significato poco definibile e spesso confondibile con altri modelli interpretativi (19). È inoltre molto importante riconoscere il differente significato attribuito al termine dissociazione in Europa e nel Nord America, lo stesso dicasi per la differente interpretazione presente nel DSM-IV e nell’ICD-10. Nel manuale statistico americano questa è associata ai disturbi somatoformi e ai disturbi di conversione; nel manuale europeo, i disturbi dissociativi costituiscono un capitolo a sé in cui compaiono, fra gli altri, gli attacchi pseudo-epilettici (pseudoseizure), chiamati “ attacchi pseudo-dissociativi”. Questo potrebbe suggerire un probabile coinvolgimento della dissociazione in alcuni casi di pseudo-epilessia o di disturbi parziali della coscienza (20). L’alta comorbilità fra disturbi della sfera psichiatrica (somatizzazione, ansia fobica, interpersonal sensitivity, ansia libera, depressione) ed episodi similepilettici farebbe presupporre un possibile fattore comune (21). Tale dato sarebbe anche in accordo con i dati presenti in letteratura riguardanti la comorbilità presente fra epilessia e disturbi psichiatrici (22,23), tuttavia non chiarisce quale sia la reale patogenesi degli episodi dissociativi né quella degli episodi di pseudoseizure. Alcuni Autori hanno supposto che la connes- Rivista di psichiatria, 2004, 39, 4 273 Scarciglia P, et al. sione fra un attacco pseudo-focale ed una patologia di carattere psichiatrico possano essere proprio gli episodi dissociativi (24). Harden (1997) in un suo lavoro ha postulato che per la genesi di un disturbo dissociativo siano necessari i seguenti criteri: disturbi episodici della memoria, gravi traumi psichici (specialmente abusi di carattere sessuale), una diagnosi di disturbi di personalità in asse II, una diagnosi di DPTS o di disturbo della sfera affettiva in asse I (25). Inoltre, Kuyk, et al. (26) hanno descritto in una review l’incremento di sintomi dissociativi (specialmente di amnesia dissociativa) in pazienti con pseudoepileptic seizure che avevano alle spalle una storia di ripetuti abusi sessuali o fisici. Whitlock (27) e Ludwig (28) hanno dimostrato che il meccanismo alla base della dissociazione sia un disturbo dell’attenzione e della memoria risultante dall’incremento dell’inibizione di stimoli afferenti provenienti da strutture corticali e diretti al midollo. Questo meccanismo sarebbe alla base di un’esperienza dissociativa; tuttavia i meccanismi psicopatologici coinvolti in questi disturbi sembrano essere molto più complessi di quanto si possa pensare. Alla luce di queste descrizioni si è cercato di escludere una possibile causa organica alla base del disturbo. Gli esami strumentali richiesti (EEG e TC) si sono dimostrati negativi: assenti alterazioni nel tracciato EEG, assenti alterazioni morfologiche dell’encefalo e dilatazioni ventricolari. Contemporaneamente sono stati effettuati esami ematochimici (emocromo con formula, elettroliti, dosaggio degli enzimi epatici) anch’essi privi di alterazioni. Sono stati inoltre somministrati alcuni test tesi ad evidenziare il sottofondo psicopatologico della signora e ad analizzare più approfonditamente il caso. La scala 3/TRE (29), volta ad indagare i sintomi positivi, negativi e comportamentali della schizofrenia, ha messo in evidenza un punteggio di 15 con valori più elevati nell’item riguardante le alterazioni della percezione. La Hamilton (30,31) ha rispettivamente ottenuto punteggi di 8 e 15 punti, con valori più elevati negli item riguardanti l’Insonnia e i Sintomi gastro-intestinali nella prima scala e i Sintomi paranoidei nella seconda. La SVARAD (32) ha mostrato un punteggio complessivo di 7, con alterazioni più marcate nella dimensione Apprensione/Timore e nella Rabbia. Ci è parso opportuno somministrare inoltre il questionario SDQ-20 (Somatic Dissociation Questionnaire) (33) dal quale è emerso un punteggio di 12. Il punteggio complessivo secondo il sistema CGI è risultato 5. Il trattamento farmacologico di questo caso si è incentrato dapprima su una terapia costituita da perfenazina (2mg/die, a salire), che la paziente avrebbe interrotto dopo tre giorni in seguito all’instaurarsi di una sintomatologia caratterizzata da forte agitazione ed irritabilità. La terapia veniva quindi sostituita con 5mg/die di olanzapina. Contemporaneamente, la paziente veniva monitorata per il dosaggio degli enzimi epatici, la glicemia, la prolattinemia, la colesterolemia totale, i trigliceridi e veniva verificato il peso corporeo per confrontarlo nei successivi controlli. Dopo tre settimane continuative di trattamento, la signora giungeva al controllo ambulatoriale riferendo un netto miglioramento nella sintomatologia: “i farmaci sono più potenti delle presenze”, “scomparse le dispercezioni visive ma non quelle uditive”. Riferito inoltre un netto miglioramento sul piano comportamentale: “sono più tranquilla e mi sento più sicura di me e nell’ambiente di lavoro funziono benissimo”. A due mesi dall’assunzione di questa nuova terapia, erano scomparse completamente anche le dispercezioni uditive: “non ho più quel mondo!”. La signora A.P. aveva inoltre portato in visione gli esami richiesti che risultavano tutti nella norma così come il peso corporeo, immodificato durante il corso della terapia. Oggi, a sei mesi dall’inizio dell’assunzione della nuova terapia, la signora continua ad assumere olanzapina, conduce una vita di lavoro e relazionale tranquilla ed appagante, non ha più sentito o visto “le entità” descritte in precedenza e in questo lento ma continuo ritorno alla normalità dimostra una tangibile e continua ripresa dell’affettività e della sicurezza. CONCLUSIONI La complessa storia clinica e la ricca storia personale descritta dalla paziente hanno meritato un’attenta disamina, prima di formulare una diagnosi. A questo punto il trattamento con olanzapina si è dimostrato efficace non solo nell’eliminare i “sintomi positivi” descritti dalla signora (le dispercezioni corporee, gli episodi di lieve distorsione della realtà, le dispercezioni visive), ma anche nel ridurre progressivamente quella quota d’ansia e quello stato di insicurezza e di precarietà descritti. Andando a ricercare più specificamente i fattori dimensionali che vanno a combinarsi, in vario modo, all’interno di questo caso clinico, è possibile analizzare in quali di queste l’olanzapina abbia fornito una maggiore risoluzione e in quali invece si sia dimostrata poco incisiva. Attraverso i colloqui effettuati con la paziente nelle settimane successive alla prima osservazione, si è potuto notare una progressiva riduzione dell’insonnia, descritta dalla stessa come ormai insostenibile, con una conseguente progressiva riduzione del livello di ansia e dell’agitazione. Un’altra dimensione marcatamente ridotta in seguito alla terapia è ri- Rivista di psichiatria, 2004, 39, 4 274 Stati alterati di coscienza in un disturbo schizotipico di personalità sultata essere la rabbia: è probabile che i colloqui e le elaborazioni dei propri vissuti abbiano contribuito molto a ridurre il livello di tensione interna descritto come “un peso” dalla paziente; tuttavia è stata osservata una netta riduzione di questa dimensione, sin dalle prime settimane. La capacità di giudizio e il rapporto con la realtà non sono mai stati intaccati dalla patologia, tuttavia durante gli episodi dispercettivi si è verificato una sorta di appannamento degli stessi, rientrati, anche se con più lentezza, con l’utilizzo della terapia. Le “presenze”, descritte dalla signora sono lentamente scomparse e con esse è aumentata la sicurezza, si è ridotta la difficoltà di concentrazione ed è scomparso quasi completamente il senso di angoscia e di preoccupazione che traspariva nell’atteggiamento e verbalmente durante i colloqui. Man mano che la paziente ha riacquisito sicurezza e tranquillità, sono migliorati anche i rapporti sociali e lavorativi. Nonostante questi cambiamenti siano risultati netti e si siano mantenuti nel tempo, consolidandosi, non è stata osservata alcuna modifica nel livello di autostima (sempre molto elevata) né nell’atteggiamento della signora (seduttivo ed eccentrico). Questo si è verificato anche con le strane credenze raccontate dalla paziente e con il pensiero magico, rimasti inattaccabili dalla critica. Il patrimonio esperienziale e le esperienze dispercettive, se pur interpretate come esterne e irreali, hanno mantenuto la collocazione di un vissuto illusionale, descritto come un “sesto senso”. Tutto ciò non è parso modificarsi nel corso del trattamento farmacologico, avvalorando sempre di più la tesi di un sottofondo shizotipico di personalità. Nel corso delle settimane, inoltre, non sono emersi effetti collaterali, accrescendo e mantenendo così una buona compliance. Alla luce di questo risultato, vista la buona adesione al trattamento, dimostrata dalla paziente, visti i buoni risultati sui sintomi che maggiormente compromettevano le normali funzioni socio-lavorative e non riscontrando, nel caso da noi trattato, alcun effetto avverso, riteniamo utile l’indicazione di questo antipsicotico atipico nei casi di disturbo dissociativo non complicati da alcuna sindrome psico-organica. Sarebbero tuttavia auspicabili nuovi e più approfonditi studi, con casistiche più ampie, per verificare in maniera più approfondita tale trattamento. BIBLIOGRAFIA 1. Liotti G: Il concetto di dissociazione del DSM-III e l’etiopatogenesi dei disturbi dissociativi. Rivista di psichiatria, 1993, 28, 121-132. 2. Janet P: L’Automatisme Psychologique. Alcan, Paris, 1889. 3. Janet P: L’état mental des hysteriques. Alcan, Paris, 1911. 4. Freud S, Breuer J: (1892-95). Studi sull’Isteria. O.S.F., Boringhieri, Torino, 1967. 5. Dotti A: I disturbi dissociativi. 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