Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Antonio Alfano, Il rapporto tra viabilità e distribuzione degli insediamenti: il caso delle Valli dello Jato e del Belice (Palermo) attraverso lo studio dell’aerofotografia storica. Premessa In questa sede si è voluta concentrare l’attenzione su alcuni tratti di viabilità storica lungo i quali sono nati e sviluppati diversi nuclei insediativi antichi. Tratti viari spesso coincidenti con le Regie Trazzere e/o rintracciati sulle fotografie aeree storiche degli anni ’50 e ’601. Le ricerche nel territorio compreso tra i fiumi Jato e Belìce Destro sono iniziate nel 2011 e concluse nel 2015. Diversi contributi sono stati resi pubblici facendo di questo territorio uno dei più conosciuti in Sicilia dal punto di vista storico ed archeologico (Alfano, 2014; Alfano, 2015/2015a/2015b, Alfano, 2017; Alfano - Muratore, 2015; Alfano - Polizzi 2017, Alfano - Salamone, 2015; Alfano - Sacco 2014, Alfano - Sacco, 2015; Muratore, 2013; Muratore, 2015) (Fig. 1). Insieme alle ricognizioni intensive e sistematiche sono stati affrontati studi sulla viabilità storica (Filingeri, 2011; Filingeri, 2014/2014/2014b) e studi specifici sull’eccezionale fortezza ossidionale del Castellazzo di Iato oggetto di scavo archeologico da un lustro (Maurici et alii, 2014/2014a, Maurici et alii 2016, Alfano, 2017). Toponomastica e paesaggio rurale Il territorio oggetto della ricerca attuale ricade completamente all’interno della Magna Divisa Jati, un macro distretto che si estendeva da Partinico ad Altofonte fino ai confini con Corleone ad est e Calatafimi ad ovest, all’interno del quale sono segnalati una serie di abitati, rocche, punti di vedetta, mulini e percorsi viari; parallelamente sono descritte evidenze topografiche particolari quali fiumi, sorgenti, monti e valli che costituiscono anche i punti di confine tra le varie circoscrizioni o semplicemente punti di rilievo. Alcuni dati toponomastici sono stati già calati nella cartografia moderna per via di una forte persistenza (Fig. 2); altri invece non sono più rintracciabili nelle carte compilate a partire da fine ‘800 dall’Istituto Geografico Militare. Questo dato, già segnalato da autorevoli studiosi di fine ‘800 (La Corte, 1902: 344), riguarda infatti l’eccessivo uso della lingua italiana al momento della “normalizzazione” di tale cartografia scientifica. Per nostra fortuna, gli archivi siciliani hanno conservato una mole di dati, tutta ancora da scoprire, che hanno già portato alla luce informazioni utilissime e verificate nello Jato così come nella Piana di Partinico e monti limitrofi (Filingeri, 2014). Lo studio del territorio della Diocesi di Monreale ha finora riguardato soprattutto l’analisi della storiografia ed il tentativo di calare al suolo ciò che è riportato dalla più importante fonte tramandataci. Si tratta del diploma di fondazione e del successivo elenco dei villani datati tra 1182 e 1183 (Alfano, 2014; Alfano, 2015; Bercher-Courteaux-Mouton, 1979)2. Tuttavia l’istituzione ecclesiastica è fondata nel 1176 ed il diploma costituisce una ricognizione dei confini volta anche a documentare il modello organizzativo rurale (Falletta, 2010) 3. Sebbene l’inedita esperienza di ricognizioni territoriali operate negli anni ’80 dal Johns (Johns, 1992) e le più recenti promosse da chi scrive, abbiano tracciato un quadro esaustivo del modello di popolamento rurale, non è stato tuttavia tentato uno studio sul paesaggio da un punto di vista del cambiamento climatico, delle analisi palinologiche da contesti stratigrafici di Monte Iato, delle faune antiche e storiche rinvenute nelle numerose grotte del territorio ed infine del cambiamento di destinazione dei terreni coltivati. Ciò ha prodotto così dei dati che hanno una valenza prettamente archeologia lasciando al margine tutta una branca di studi che caratterizzano l’archeologia del paesaggio4. Non si vuole sminuire il panorama tracciato dalle ricognizioni intensive e sistematiche ma ci si rende 1 conto che il valore di quei dati aumenterebbe in modo esponenziale se accompagnato da studi specifici (Cambi, 2014, Quirós Castillo, 2014). In questo senso il diploma di fondazione della Diocesi fornisce, per la seconda metà del XII secolo5, una mole assolutamente eccezionale di notizie sulle tipologie dei seminativi (frumento), oliveti, pascoli, aree non coltivabili, vigne o canapa (vallonem vitis e vadum cannabi della Divisa Rahalgidit), sulla trasformazione dei prodotti caseari (casearium Beiardi della Divisa inter casale Maraus et casale Buchinese) sulle varietà di alberi da frutto oltre alla segnalazione di attività artigianali come la lavorazione del lino (menaka, ubi mollificatur lini nella Divisa Ducki). Questi sono solo alcuni esempi delle innumerevoli informazioni contenute. Si tratta di un paesaggio rurale molto più variegato di oggi 6, in cui era distribuito un elevato numero di abitanti, più numerosi che attualmente, dediti sia ad attività agricole principali che secondarie. In quest’ultimo caso un esempio sono le attestazioni, in ben quattro divisae (Beluyn, Ducki, Rahalgalid, Malviti – Nania, 1995), delle kuddīah al-matāmir (matmūra sing.) o monticulum fovearum cioè colline delle fosse utilizzate per la conservazione anaerobica dei cereali. Proprio in questo territorio si concentra il più alto numero di attestazioni in Sicilia. Il numero (24 fino ad ora) la vicinanza alla rete stradale su cui dovevano essere trasportati i prodotti conservati e l’ancor più stretta connessione con areali di dispersione relativi ad insediamenti rurali attivi tra X e XII, hanno suggerito la possibilità di una cronologia di realizzazione e/o di utilizzo ad età normanna (Alfano – Sacco, 2014, pp. 35-36; Alfano – D’Amico 2017). La rete viaria antica e le persistenze di età moderna e contemporanea Allo stesso modo le informazioni contenute nel diploma di Monreale contengono un eccezionale elenco di dati sulla viabilità: sia tratta di vie regie, vie pubbliche, ponti, passaggi e guadi che consentono di ricostruire la maglia di percorrenza del territorio. Tale “sistema dei collegamenti medievali sembra sostanzialmente collegarsi alla sopravvissuta rete trazzerale (e vicinale), la cui organizzazione composita (costituita da maglie fitte e irregolari) si basa su moduli stellari multipli. Si nota che da ogni attivo stanziamento umano s’irradiano, in tutte le direzioni, sentieri o cammini che, interagendo con le unità insediative e produttive dei luoghi circostanti, danno senso compiuto all’organizzazione del singolo distretto” (Filingeri, 2014b: 365). Serena Falletta aggiunge anche che “Il testo materializza quindi una realtà espressiva composta da segni a carattere tipicamente terminale, facenti capo ad elementi naturali che si polarizzano attorno ai due sistemi territoriali già privilegiati nella pratica confinaria romana, quello idrico e quello viario” (Falletta, 2010: 45). Entrambi gli studiosi sottolineano come ci sia una maglia di strade che se in alcuni casi riprendono tracciati pre-medievali, in molti altri esempi costituiscono una novità nel panorama insediativo volto a collegare i centri rurali, i luoghi di lavoro o i luoghi di immagazzinamento dei prodotti agricoli. L’aderenza alla rete viaria o a quella idrografica è ben evidente nella tabella esemplificativa delle principali caratteristiche sull’insediamento medievale dove non si rilevano scelte contrastanti. Colline di media altezza occupate sulle sommità da insediamenti più o meno estesi e vicini sia a sorgenti che a percorsi viari (Fig. 3). La distinzione poi tra “itinerari” e “percorsi” è stata messa più volte in evidenza (Dalena, 2003) secondo cui i primi corrispondono a strade di lunga percorrenza ed i secondi sono collegamenti tra abitati e luoghi dell’interesse sociale (monasteri, fiere, santuari, etc…). Nel nostro territorio coesistono le due entità molto spesso di nuova istituzione poi tramandateci fino ai tempi moderni. Anche da un veloce sguardo alla carta ci si rende conto che la rete stradale (sono evidenziate solo le regie trazzere ed alcuni altri percorsi principali) medievale era molto più articolata di quella attuale (Fig. 4). Tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’80 la rete viaria del territorio ha subito alcuni 2 significative modifiche: sono stati creati i quattro invasi artificiali di Piana degli Albanesi, Scanzano, Garcia e Poma cancellando tutta la viabilità di fondovalle negli immediati intorni; sono stati costrutiti numerosi tratti stradali provinciali per consentire il nuovo attraversamento delle aree intorno ai bacini ed è stata realizzata la SS 640 Palermo – Sciacca con la creazione di ponti, viadotti e numerosi tratti sopraelevati. Questo, per la Valle dello Jato, è stato lo stravolgimento maggiore causando la perdita di contatto con il territorio attraversato dal fiume e con le peculiarità paesaggistiche ed insediative che lo caratterizzano. Ciò ha prodotto inoltre un abbandono delle rete ferroviaria preesistente, oggi dismessa e trasformata in pista ciclabile o nuova arteria di collegamento (Fig. 6). Tornando alla rete antica, esistono strade a lunga percorrenza che attraversavano il territorio in senso Nord-Sud (R.T. 20, 28, 69) ma anche in senso Est-Ovest (R.T. 433, 434, 510) con gli itinerari per Palermo, Partinico e la sua fertile piana, Corleone e da qui Agrigento ed ancora Sciacca passando da Calatrasi, che costituiscono la spina dorsale del territorio rurale. Si evidenzia inoltre la maggiore presenza di UT (Unità Topografiche) di tutti i periodi storici proprio lungo questi assi che certamente sono sopravvissuti alle vicissitudini storiche. A questi “percorsi lunghi” si aggiungono vie alternative verso boschi, monti e passi costellati da segni dell’attività umana. La ricostruzione della rete stradale porta alla luce anche un altro elemento strettamente legato alle divisioni confinarie tra le varie divisae in cui era parcellizzato il territorio diocesano: la linearità dei percorsi. Gli stessi attraversavano colline, fiumi, monti di una certa elevazione e sono poco condizionati dall’orografia preferendo aree di versante collinare ad una quota media di 400 m, utili a tagliare anse di fiumi che spesso esondavano e ad imboccare i passi montani più impervi partendo già da una quota agevole. Condizionati dall’orografia sono tutti i percorsi pedemontani che poco si discostano dalla viabilità attuale. Ovvero, per forza di cose, si tratta di percorsi che non hanno cambiato la loro sede stradale se non per scarti di qualche decina di metri. Esemplare in tal senso il percorso tra Racali e Piana dei Greci che attraversa la valle dello Jato a Nord passando per le masserie La Chiusa, Procura, Dammusi, Buonmarito, Guastella sedi già di abitati antichi soprattutto per i periodi IV-VII d.C. e fine IX-XII d.C. (Alfano-Sacco, 2014; Alfano-Sacco, 2015). L’alto numero di insediamenti si giustifica oltre che per le numerose fonti d’acqua anche per la presenza degli incroci con i due percorsi verso Palermo: dal Vallone della Procura (ad Ovest) e dalla Scala della Targia (ad Est). Assente invece un percorso lungo il fiume Jato per via della forte pendenza che in certi tratti produce quasi delle gole. Lungo il fiume si rintracciano solo mulini ed alcuni abitati nei pressi della cartiera moderna che sfruttavano la ricchezza delle acque sorgive circostanti. Altro itinerario fondamentale è quello della attuale RT 510 che corre pedemontana tra San Cipirello, dove si localizzava la portella (Filingeri, 2011), e Monte Aperto, nei pressi degli incroci con la viabilità verso Corleone. Proprio nell’area delle Masserie Monteaperto e Kaggio si concentra il più alto numero di UT a solo 1,5 Km dalle strade per Agrigento e Corleone. I percorsi da e per quest’ultimo centro sono legati anche alla presenza di un ospedale (Arlotta, 2005) in c.da Sant’Agata in territorio comunale di Piana degli Albanesi e della Chiesa di San Pietro della Divisa Ducki. Le fondazioni religiose hanno costituito punti di sosta lungo i tragitti ma anche luoghi in cui diffondere la religione cristiana 7 ai limiti di un territorio occupato per la gran parte da abitanti di religione musulmana. In qualche modo il territorio della Diocesi costituisce un cantone musulmano coronato da edifici di culto ed abitati fortificati di origine latina8. Sempre in relazione agli edifici di culto è stato di recente rivalutato il concetto di “chiesa di strada” come luogo di culto (cappella, chiesa vera e propria, eremo) legato strettamente alla viabilità che conferisce dimensione sacrale dei percorsi e rassicura i fedeli contro i rischi del viaggio 9. Nella Magna Divisa Iati, in quella Rahalmie e nella Divisa Terrarum Hospitalis S. Agnes si fa rispettivamente riferimento ad una via que ducit ad Corilione ad Panormum, ad una via Corilionis 3 e ad una via que ducit a Corilione ad Panormum. Allo stato attuale non sappiamo quale fosse il preciso itinerario delle ultime due ma certamente sarà stato prossimo o addirittura coincidente con le RT 20, 28 o con il tracciato Piana – Corleone (Alfano, 2015: figg. 15 e 19). Allo stesso modo la prima potrebbe ricalcare il percorso dell’attuale RT 69 che da San Cipirello passando per le divisae Summini (via veteri ducente ad Iatum), Magagi (veterem viam Iati, via Iati) e Rahalmie (via Iati), conduceva da Iato a Corleone, passando dalle numerose UT di Pietralunga ed in prossimità di quelle di Raitano10. I tratti viari appena menzionati costituiscono solo esempi delle possibilità che possono configurarsi allo storico ed all’archeologo, dai quali partire per tracciare un quadro più esaustivo possibile delle relazioni tra viabilità ed insediamento rurale in cui il sostantivo comune è persistenza. Un esempio di identificazioni al suolo della toponomastica medievale è costituito dallo studio condotto sull’area di Pizzo Pietralunga, nella valle del Belìce, grosso elemento calcareo che si erge nel paesaggio circostante occupato in prevalenza da seminativi stagionali (Filingeri, 2014a). Prima e fondamentale intuizione dello studioso, mai segnalata in precedenza, è la descrizione dei confini di numerosi distretti che spesso sono omessi poiché già proposti nei territori limitanei. In secondo luogo, l’analisi di documentazione archivistica inedita ha fatto riemergere toponimi dimenticati e non presenti né nella cartografia storica né nella diplomatica contemporanea al documento di fondazione dell’Arcidiocesi. Terzo, i confini sono stati segnati secondo un calcolo visivo quando si è trattato di assegnare emergenze paesaggistiche o orografiche alle divisae11. Dallo studio è emerso così che il Pizzo Pietralunga corrisponde alla Hajar al-Būqāl della Divisa Jurfibuckerin o Jurf Bū Karīm12 costituendo un elemento fisso del confine con la Divisa Raḥal albūqāl, il cui insediamento rurale principale è stato identificato poco a nord di Masseria Arcivocale, sulla sommità collinare (UT 33: Alfano 2014: 250; Alfano-Sacco, 2014: 27-29, Alfano-Sacco, 2015: 309). L’uso della fotografia aerea storica ed alcuni esempi specifici13 Lo studio delle riprese aeree realizzate tra il 1954 ed il 1968 accompagnato dalla consultazione di quelle del volo ATA 1987, delle ortofoto 2000 e 2008 e delle più recenti immagini presenti nel database di Google Earth, ha permesso di cogliere alcuni cambiamenti nel paesaggio rurale, che riguardano tanto i percorsi fluviali che le sedi stradali14. Le foto, acquisite ad alta definizione, sono state rettificate e georiferite in ambiente GIS così da poter interrogare il dato storico che conservano. Sono stati così sovrapposti gli shapes files relativi alla rete idrografica attuale, alla viabilità moderna, alla distribuzione degli insediamenti (UT) valorizzando in molti casi i dati acquisiti sul campo. La valle dello Jato e la via pedemontana a Nord (Fig. 5) Si tratta di un percorso che ha subito poche varianti itinerarie per via della localizzazione geografica. È infatti l’unica via che segue le basi montuose dei rilievi presenti nella Valle dello Jato, passando da Pizzo Mirabella, Monte Dammusi, Monte Signora, Monte della Fiera, Monte Billiemi. La strada si può ancora percorrere ed il suo itinerario risulta chiarissimo nelle foto del 1954-5515. La R.T. 457 (in nero sulla carta) occupa invece una sede stradale parallela, poco a valle che si discosta da quella più antica di soli 200 m in linea d’aria e 40 m di quota. Tuttavia, si nota la forte presenza di insediamenti proprio lungo il percorso antico con un numero maggiore di UT riferibili agli archi cronologici IV-VII (UT 197, 81, 82, 83, 91, 97, 90, 89, 131, 153) e fine IX-XII (155, 156, 157, 90, 149) con la presenza di UT di VIII-IX (157) e di I-II d.C. (96, 100, 153). Per quanto riguarda il medioevo islamico e normanno il toponimo Contrada Dammusi ha già suggerito di rintracciare in zona l’abitato di ‘Ayn al-dāmūs, traducibile come la sorgente della grotta (Alfano-Sacco, 2014: 174 20; Nef, 2011: 661), come villaggio a nuclei sparsi il cui centro più importante era nella UT 149, poco a Nord della Masseria Dammusi ed in una posizione eminente. La R.T 510 tra San Cipirello e Monteaperto16 (Fig. 6) Dalla portella di San Cipirello fino alla Masseria Monte Aperto si segue per ben 5 Km un percorso lineare che attraversa tre guadi sui valloni e raggiunge, sempre in modo lineare, l’incrocio con la R.T. 2017. La foto aerea mostra anche il percorso, molto più sinuoso, della ferrovia a scartamento ridotto la cui sede stradale funge oggi da pista ciclabile e da arteria di collegamento tra i campi coltivati. Oltre ad alcune UT riferibili al periodo imperiale e tardoantico (I-V d.C. – UT 194, 74, 75, 127) si rintraccia un importante insediamento che ha restituito numerosi frammenti di anfore e ceramica punica (soprattutto tra V ed inizi IV a.C. - UT 141) e diverse altre UT con una frequentazione ininterrotta dalla tarda Età del Bronzo. Estesissimo è il vicus tardoantico rintracciato tra le UT 60 e 76 le cui propaggini si estendono fino alle UT 55 e 56 ed alla necropoli UT 61 18. Due nuclei di UT ci informano sull’insediamento medievale che qui doveva esistere: UT 69, 135, 217, 218 ad Ovest di Masseria Kaggio e UT 44, 46, 47 di Masseria Monte Aperto (Alfano-Sacco, 2015: 29-31). Qui doveva poi essere un altro esteso villaggio riferibile al periodo III- VII d.C. (UT 44, 46, 47, 108, 116, 118, 121 – Alfano-Salamone, 2015). La presenza di materiali archeologici in modo così abbondante qualifica questo come uno dei percorsi Est-Ovest più rilevanti del territorio. In effetti si tratta dell’unica via pedemontana che dalla Valle dello Jato conduceva alle aree di strada che conducevano verso Corleone e verso Piana degli Albanesi, ovvero verso Agrigento. La R.T 433 e le “aree di strada” intorno a Pietralunga (Fig. 7) La R.T. 433 costituisce uno dei percorsi più interessanti dell’area del Belìce Destro che insieme alla viabilità trazzerale e vicinale delle aree intorno a Pietralunga ha permesso di rintracciare numerose UT proprio lungo le strade. La sovrapposizione alle foto aeree ha permesso innanzitutto di evidenziare le varianti del corso del fiume con la presenza di numerose lanche ed anse fossili. Il corso del fiume, che in questo tratto assume il nome di fiume di Pietralunga, è stato sempre molto tortuoso oltreché caratterizzato da continue esondazioni producendo l’assenza di UT nelle sue immediate vicinanze così come l’impossibilità di sfruttare le sue acque con delle strutture molitorie19. Nell’area di Pietralunga, oltre a numerose UT preistoriche (UT 17, 28, 50, 52, 183 – Tusa-Scuderi-Vintaloro, 1997) si rinvengono resti riferibili ai secoli II-VII d.C. (UT 22, 23, 28, 84, 186, 195) e fine IX- prima metà XIII (UT 49, 195, 21, 22, 51, 183). Tra i resti più interessanti l’UT 51, costituita da un canale scavato nella roccia su cui scorre l’acqua che si riversa poi in un vallone terminante sul fiume Pietralunga. L’UT 21 è invece costituita dal complesso delle cinque escavazioni ipogee a calotta emisferica che potrebbero corrispondere ad una delle colline delle fosse del diploma di fondazione dell’Arcidiocesi di Monreale. I nuclei principali di insediamento, posti rispettivamente intorno a Masseria Pietralunga (UT 49, 186) e Masseria Pietralunga Nuova (UT 22, 183) presentano abbondanti reperti distribuiti in modo uniforme su tutta la superficie con una densità compresa tra 8 e 20 reperti per m2 (Alfano-Sacco, 2014:25-26). Il territorio faceva parte della divisa Jurf Bū Karīm, tradotto da Annalise Nef come “le précipice de Bū Karīm” (Nef, 2011: 671) ovvero dirupo, precipizio, strapiombo di Bū Karīm. Ben si presta quindi il toponimo a definire le liste di arenaria che caratterizzano l’area, soprattutto perché è effettivamente una parola che significa costa, ripa, etc. Il tracciato stradale che collegava le due masserie è, anche questo, ben visibile sulle fotografie aeree corrispondendo ad un’arteria secondaria che collegava le RT 69 (verso Corleone) e la RT 433 (Est-Ovest). 5 L’area di Monte Arcivocalotto (Fig. 8) Anche in questo caso rispetto al corso attuale del fiume Pietralunga si nota la presenza di numerose anse fossili, già nel 1966-68, con la rettifica del percorso in diversi tratti20 e la conseguente creazione di lanche. L’assenza di rinvenimenti archeologici in questo tratto di circa 3 Km del fiume, si spiega proprio con le continue esondazioni che hanno, se mai ve ne fossero state, cancellato ogni traccia. Del resto non sono noti né dalle fonti né da resti architettonici anche i mulini. Inoltre, i percorsi delle Regie Trazzere non attraversano mai quest’area valliva sul fiume ma girano intorno (RT 35, 69, 433)21. A dominare questa porzione di territorio è il sito di Monte Arcivocalotto (UT 33) che occupa 1/3 della collina a quota 500. Eccezionale il controllo visivo del territorio sia verso Monte Iato che in direzione dei rilievi del corleonese (Alfano-Muratore, 2014: fig. 7). L’area archeologica frequentata continuativamente dall’Età del Bronzo al Basso Medioevo è una delle più estese tra quelle rinvenute (Alfano-Sacco, 2014; Alfano-Sacco, 2015; Tusa-ScuderiVintaloro, 1997), e si pone a controllo della viabilità che attraversava la zona con l’importante Quadrivio Arcivocale formato dalle RT 433 – SP 42 Est-Ovest ed RT 35 – SP 92, 93 Nord Sud. La presenza di una porzione della necropoli arcaico-classica nel sito nella UT 219 conferisce ulteriore importanza a questo incrocio. Abbreviazioni bibliografiche: Alfano A., 2014, L’insediamento medievale nella valle dello Jato e del Belìce destro: i primi risultati dalle ricognizioni di superficie, in A. Musco, G. Parrino 2014, 237-268, Palermo. Alfano A., 2015, I paesaggi medievali in Sicilia. Uno studio di archeologia comparativa: le valli dello Jato e del Belìce Destro (PA), La Villa del Casale (EN) e Valcorrente (CT), Archeologia Medievale, XLII: 329-352. Alfano A., 2015a, Dalla Villa al Villaggio. L’età romana e tardoantica attraverso la circolazione di merci, prodotti e manufatti nelle Valli dello Jato e del Belìce Destro (PA), in R. Martorelli, A. Piras, P. G. Spanu (a cura di), Isole e terraferma nel primo cristianesimo. Identità locale ed interscambi culturali, religiosi e produttivi, XI Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Cagliari 23-27 settembre 2014, 2015: 871-876. Alfano A., 2017, Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato ed il paesaggio “culturale” tra i fiumi Jato e Belìce Destro nel medioevo, in III Ciclo di Studi Medievali. Atti del Convegno 8-10 settembre 2017, Firenze: 145-157. Arcore (MB) Alfano A., 2015b, Necropoli tardoantiche ed altomedievali nel territorio della provincia di Palermo: tipologia e proposta cronologica, in Medieval Sophia, Gennaio-Dicembre 2015: 17-74. 6 Alfano A., D’Amico G., 2017, La conservazione dei cereali a lungo termine nella Sicilia Medievale. L’importanza del dato archeologico per una nuova prospettiva di ricerca, in Archeologia Medievale, XLIV: 73-91. Alfano A., Muratore S., 2014, SIT e database. L’esempio dalle ricognizioni nelle Valli dello Jato e dell’alto Belice Destro, in Archeologia e Calcolatori 24: 71-91. Alfano A., Polizzi G., 2017, I castelli delle rivolte. Dalla Piana di Partinico alla Valle dello Jato (Palermo) sulle tracce degli “ultimi” Musulmani in Sicilia occidentale, Atti del XLVIII Convegno Internazionale della Ceramica, Savona 29-30 maggio 2015, Albenga 2017: 63-81. Alfano A., Sacco V., 2014, Tra alto e basso medioevo. Ceramiche, merci e scambi nelle valli dello Jato e del Belìce Destro dalle ricognizioni nel territorio (Palermo). Online in: http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2014-309.pdf Alfano A., Sacco V., 2015, Momenti di cambiamento nell’organizzazione territoriale del paesaggio medievale in Sicilia occidentale: le valli dei fiumi Jato e Belìce Destro (IX-XIII sec.), in P. Arthur – M.L. Imperiale (a cura di), Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, 1, Lecce 912 settembre 2015, Sesto Fiorentino (FI): 307-312. Alfano A., Salamone F., 2015, Dinamiche insediative nella Valle dello Jato e dell’Alto Belìce Destro II (I sec. a.C. - XII sec. d.C.), in R. Brancato, G. Busacca, M. Massimino (a cura di), Atti del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi, Catania 23-26 maggio 2013, Grisignano di Zocco (VI) 2015: 421-434. Arcifa L., 1995, Viabilità e politica stradale in Sicilia (sec. XI-XIII), in C. A. Di Stefano, A. Cadei (a cura di), Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona, 1, Archeologia e Architettura: 27-33, Palermo. Arcifa L., 2005, Viabilità e insediamenti nel Valdemone. Da età bizantina a età normanna, in La Valle d’Agrò. Un territorio una storia un destino, in C. Biondi (a cura di), Atti del Convegno internazionale di Studi, Taormina - Marina d’Agrò (ME), 20-22 febbraio 2004. I. L’età antica e medievale, Machina Philosopharum. Testi e studi dalle culture euromediterranee, 11: 97-114, Palermo. Arcifa L., 2011, La riorganizzazione del dromos in Sicilia nel corso dell’ultima età bizantina: le vie regie sui Nebrodi, in C. Varaldo (a cura di), Ai confini dell’impero. Insediamenti e fortificazioni nel Mediterraneo occidentale (VI-VIII sec.), Atti del Convegno di Studio (Genova-Bordighera, 14-17 marzo 2002): 731-748, Bordighera. Arlotta G., 2005, Via francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia Medievale, in M. Oldoni (a cura di), Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo, Atti del Congresso Internazionale di Studi (Salerno – Cava de’ Tirreni – Ravello, 26-28 ottobre 2000): 815-887, Salerno 2005. Arnese A., Corretti A., Facella A., Michelini C., Vaggioli M.A., 2012, Contessa Entellina: foto aeree 1955-2000. Persistenze e mutamenti nel paesaggio naturale ed antropico, in C. Ampolo (a cura di) Sicilia occidentale. Studi, rassegne, ricerche, Atti delle settime giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo, Erice (12-15 ottobre 2009), V. II:122-128, Pisa. Bercher H., Courteaux A., Mouton J., 1979, Une abbaye latine dans la société musulmane: Monreale au XIIe siècle, in Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, 34, 3: 525-547. 7 Bossard C., Beck P., 1984, Le mobilier ostéologique et botanique, in J. M Pesez (a cura di), Brucato. Histoire et archéologie d'un habitat médiéval en Sicile, Roma. Cambi F., 2014 Archeologia medievale e storia e archeologia dei paesaggi, in S. Gelichi (a cura di) 2014, Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, Archeologia Medievale, Numero Speciale: 63-73. Dalena P., Dagli itinera ai percorsi. Viaggiare nel Mezzogiorno italiano, Bari 2003. Falletta S., 2010, Scrittura e memoria del confine. Considerazione in margine al Rollum Bullarum di Monreale, in Mediterranea. Ricerche storiche, A. VII, Aprile: 31-54. Filingeri G., 2011, Il toponimo San Cipirello tra filologia ed etimologia, in A. Scuderi, F. Mercadante, P. Lo Cascio (a cura di), La Valle dello Jato tra Archeologia e Storia. Con il contributo toponomastico di Giovanni Filingeri, San Cipirello: 21-34. Filingeri G., 2014, Viabilità storica della diocesi di Monreale (XII-XVI secolo), Palermo 2014. Filingeri G., 2014a, Pizzo Pietralunga: il monolite al confine di due divise della Jarīda (1182), in A. Musco, G. Parrino (a cura di), Santi, santuari, pellegrinaggi. Atti del Seminario Internazionale di Studio, San Giuseppe Jato e San Cipirello (31 agosto-4 settembre 2011): 223-236, Palermo. Filingeri G., 2014b, Itinerari medievali e Chiese di Strada nella Diocesi di Monreale, in A. Musco, G. Parrino (a cura di), Santi, santuari, pellegrinaggi. Atti del Seminario Internazionale di Studio, San Giuseppe Jato e San Cipirello (31 agosto-4 settembre 2011): 361-382, Palermo. Johns J., 1992, Monreale Survey. Insediamento nell’alto Belice dall’età paleolitica al 1250 d.C., in Giornate internazionali di studi sull’area elima (Gibellina 19–22 settembre 1991), Pisa-Gibellina: 407-420. La Corte G., 1902, Appunti di toponomastica nel territorio della Chiesa di Monreale, in Archivio Storico Siciliano, n. s., XXVII: 336-345. Lesnes,É., Poisson J. M., 2012, Calathamet. Archéologie et historire d’un Château Normand en Sicile, Collection de l’Ècole Française de Rome, Palermo 2012. Maurici F., Alfano A., Muratore S., Salamone F., Scuderi A., 2014, Il «Castellazzo» di Monte Iato in Sicilia occidentale (prov. di Palermo). Terza e quarta campagna di scavo. Ricognizioni nel territorio. Online in: http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2014-317.pdf (ultimo accesso 28 febbraio 2016). Maurici F., Alfano A., Muratore S., Polizzi G., Salamone F., Scuderi A., Scuderi R., 2014, In castris ante Iatum. Archeologia e storia, in A. Musco, G. Parrino (a cura di), Santi, santuari, pellegrinaggi. Atti del Seminario Internazionale di Studio, San Giuseppe Jato e San Cipirello (31 agosto-4 settembre 2011): 425-485. Maurici F., Alfano A., Bonaviri M., D’Amico G., De Luca M.A., Scuderi A., 2016, Il «Castellazzo» di Monte Iato in Sicilia occidentale (prov. di Palermo). Quinta e sesta campagna di scavo. Aggiornamenti dal territorio. http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2016-360.pdf Molinari A.,1997, Segesta II. Il castello e la moschea, Palermo 1997. Muratore S., 2013, Settlement’s dynamics in Western Sicily between VIII and IVBC. A Geographic 8 Information System to research, International Journal of Heritage in Digital Era, 2, 4: 569-584. Muratore S., 2015, Dinamiche insediative nella Valle dello Jato e dell’Alto Belìce Destro I (VIII sec. a.C. - II sec. a.C.), in R. Brancato, G. Busacca, M. Massimino (a cura di), Atti del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi, Catania 23-26 maggio 2013, Grisignano di Zocco (VI) 2015: 153-162. Nania G., 1995, Toponomastica e topografia storica nelle valli del Belice e dello Jato, Palermo 1995. Nef A., 2011, Conquèrir et gouverner la Sicile islamique aux XIe et XIIe siècles, Roma. Pirrotti S., 2005, Un itinerario normanno nel Valdemone, in Nuove ricerche sul Valdemone medievale, Atti del Convegno, San Marco d’Alunzio, 11 settembre 2004, Sant’Agata di Militello: 39-61. Quirós Castillo, J.A., 2014, Archeobiologie e archeologia medievale. Dall’archeometria all’archeologia ambientale, in S. Gelichi (a cura di) 2014, Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, Archeologia Medievale, Numero Speciale: 51-62. Terranova F., Pensabene, P., 2010, I resti carpologici dell’insediamento medievale sulla Villa del Casale, in P. Pensabene (a cura di), Piazza Armerina. Villa del Casale e la Sicilia tra tardoantico e medioevo: 77-79, Roma. Tusa S., Scuderi A., Vintaloro A., 1997, La preistoria e la protostoria nel corleonese e nello Jato, Corleone (PA). 9 10 11 12 13 14 Si ringrazia il personale del CRICD di Palermo per la disponibilità durante la consultazione dell’aerofototeca. Sono stati così acquisiti ed elaborati in ambiente GIS i seguenti fotogrammi con Autorizzazione specifica dell’Istituto Geografico Militare, n° 6879 in data 04.02.2016: volo 1954/55 – F. 258 – serie 22 – fot. 11084, volo 1954/55 – F. 258 – serie 24 – fot.12021, volo 1966/68 – F. 258 – serie XIX – fot. 585, 587 e 589. Per l’elaborazione dei dati è stato scelto il software open source QGIS ver. 2.12.3. 2 Si permetta il rimando ai contributi dove’ è tracciato un quadro più specifico sulla base dell’ampia bibliografia consultata. 1 15 La studiosa ha anche curato l’edizione digitale del Liber Privilegiorum della chiesa monrealese. Lo strumento è corredato da elenchi, tabelle e ricostruzioni utili ad affrontare il tema della Diocesi di Monreale nella sua interezza. www.vatlat3880.altervista.org 4 Non vogliamo lamentare solo l’assenza di studi specifici, ma indicare una nuova visione sull’archeologia rurale siciliana. Si conoscono ormai centinaia di insediamenti sparsi in tutta l’isola con un record archeologico importante ma sono davvero scarse le analisi globali su ciò che rappresenta davvero l’archeologia del paesaggio. Si necessita quindi di scavi regolari in siti rurali che non puntino a creare elenchi di reperti realizzati dall’uomo, seppure inseriti in ampi dibattiti o discussioni, ma che studino “elenchi di reperti” trasformati e/o prodotti dall’uomo per il suo primo e principale obiettivo: il sostentamento. Alcuni esempi in Sicilia meritano di essere ricordati: Segesta per cui A. Molinari, Segesta II. Il castello e la moschea, Palermo 1997; Piazza Armerina per cui F. Terranova, P. Pensabene, I resti carpologici dell’insediamento medievale sulla Villa del Casale, in P. Pensabene (a cura di), Piazza Armerina. Villa del Casale e la Sicilia tra tardoantico e medioevo, Roma 2010, pp. 77-79; Brucato per cui C. Bossard, P. Beck, 1984, Le mobilier ostéologique et botanique, in J. M Pesez (a cura di), Brucato. Histoire et archéologie d'un habitat médiéval en Sicile, Roma 1984, pp. 615-643. Assenti, ad esempio, analisi di questo tipo in un sito importante come Calathamet. 5 Probabilmente chi ha realizzato il documento ha riportato notizie precedenti ma le puntuali descrizioni del territorio e diversi altri dati intrinseci al diploma, devono aver previsto, per alcune aree, una presenza diretta di personale addetto alla cancelleria ecclesiastica: S. Falletta, Scrittura e memoria del confine. Considerazione in margine al Rollum Bullarum di Monreale, in Mediterranea. Ricerche storiche, A. VII, Aprile 2010, p. 38. 6 Attualmente il 75 % del terreno compreso tra lo Jato ed il Belìce Destro è occupato da oliveti e vigneti che costituiscono anche la peculiarità di queste vallate dove si segnalano numerose DOP e DOC. 7 L’importanza della religione cristiana e dei possedimenti degli ordini militari nella struttura viaria medievale siciliana è ampiamente verificata per l’area delle Madonie e dei Nebrodi. Tra San Leonardo di Isnello, Gratteri ed il monastero Premonstratense di San Giorgio erano due i percorsi possibili: A. Alfano 2016, La diocesi di Cefalù tra alto e basso medioevo: dati storici ed archeologici a confronto, in «Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo», 2/2016, http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/NotiziarioArcheoPalermo.html, p. 23, fig. 7; Le fondazioni religiose basiliane, alcune delle quali attive durante il periodo di dominio islamico, sono inserite in una rete capillare che collega il Tirreno allo Ionio: S. Pirrotti, Un itinerario normanno nel Valdemone, in Nuove ricerche sul Valdemone medievale, Atti del Convegno, San Marco d’Alunzio, 11 settembre 2004, Sant’Agata di Militello 2005, pp. 39-61. Questi itinerari medievali risalgono almeno all’età bizantina: L. Arcifa 2005, Viabilità e insediamenti nel Valdemone. Da età bizantina a età normanna, in C. Biondi (a cura di), La Valle d’Agrò. Un territorio una storia un destino, Atti del Convegno internazionale di Studi, Taormina - Marina d’Agrò (ME), 20-22 febbraio 2004. I. L’età antica e medievale, Machina Philosopharum. Testi e studi dalle culture euromediterranee, 11, Palermo 2005, pp. 97114; L. Arcifa 2011, La riorganizzazione del dromos in Sicilia nel corso dell’ultima età bizantina: le vie regie sui Nebrodi, in C. Varaldo (a cura di), Ai confini dell’impero. Insediamenti e fortificazioni nel Mediterraneo occidentale (VI-VIII sec.), Atti del Convegno di Studio (Genova-Bordighera, 14-17 marzo 2002), Bordighera, pp. 731-748. Per quanto riguarda l’area dei Nebrodi si fa notare che la natura impervia di molti luoghi non ha prodotto grosse novità sui percorsi che hanno sfruttato punti agevoli. In relazione agli ordini militari un esempio è costituito dalle proprietà dei teutonici: L. Arcifa, Viabilità e politica stradale in Sicilia (sec. XI-XIII), in C. A. Di Stefano, A. Cadei (a cura di), Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona, 1, Archeologia e Architettura, Palermo 1995, pp. 27-33. 8 Nel territorio che abbiamo percorso a piedi per le ricognizioni intensive e sistematiche nessun edificio di culto è stato rintracciato. Una carta di distribuzione recentemente presentata mostra il nostro assunto di partenza: gli edifici di culto della diocesi si pongono a corona del territorio compreso tra lo Jato ed il Belìce Destro (A. Alfano, I paesaggi medievali in Sicilia. Uno studio di archeologia comparativa: le valli dello Jato e del Belìce Destro (PA), La Villa del Casale (EN) e Valcorrente (CT), in Archeologia Medievale XLII, 2015, fig. 20. 9 G. Filingeri, Itinerari medievali e Chiese di Strada nella Diocesi di Monreale, in A. Musco, G. Parrino 2014, p. 380. Lo studioso tuttavia prende a riferimento luoghi di culto databili dalle fonti tra XII e XVI secolo. Le chiese medievali normanne sono solo quattro: Santa Ciriaca e San Silvestro a Monreale, San Cataldo sulla spiaggia di Cala dei Muletti e San Giacomo di Partinico oggi non più esistente. Ciò favorisce la nostra teoria secondo cui le chiese medievali sono a coronamento di un territorio fortemente islamico. Solo a partire dal XIII secolo e fino al XVI secolo si potrà realmente parlare di chiese di strada in questo territorio, che verificano le informazioni di base secondo cui molti percorsi sono un’eredità dal passato. 10 Tutte le ricostruzioni viarie sono state fatte in ambiente GIS in compagnia del dott. G. Filingeri, profondo conoscitore della diplomatica e della cartografia storica pertinente al territorio d’indagine, senza il quale le nostre considerazioni non sarebbero mai potute scaturire. 11 Tutte le problematiche sono esposte in G. Filingeri 2014a, Pizzo Pietralunga: il monolite al confine di due divise della Jarīda (1182), in A. Musco, G. Parrino 2014, pp. 223-236. 12 Tradotto da Annliese Nef come come “le précipice de Bū Karīm” ovvero dirupo, precipizio, strapiombo di Bū Karīm. Ben si presta quindi il toponimo a definire le liste di arenaria che caratterizzano l’area, soprattutto perché è effettivamente una parola che significa costa, ripa, etc.: A. Nef 2011, Conquèrir et gouverner la Sicile islamique aux XIe et XIIe siècles, Roma, p. 671. 13 Si ringrazia ancora il personale del CRICD di Palermo servizio aereofototeca per la disponibilità e l’assistenza durante la consultazione. 3 16 14 Vicino al nostro è il territorio comunale di Contessa Entellina dove è stato già ampiamente verificato il dato recuperato dalle fotografie aeree: Arnese et alii 2012, Contessa Entellina: foto aeree 1955-2000. Persistenze e mutamenti nel paesaggio naturale ed antropico, in C. Ampolo (a cura di) Sicilia occidentale. Studi, rassegne, ricerche, Atti delle settime giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo, Erice (12-15 ottobre 2009), Pisa 2012, V. II, pp. 122-128. 15 F. 258 – serie 22 – fot. 11084, volo 1954/55. 16 F. 258 – serie XIX – fot. 585, 587 e 589, volo 1966/68. 17 Arteria di collegamento tra Piana e Corleone. 18 Sappiamo solo da informazioni raccolte su posto e dalla visione di alcune fotografie dei corredi di questa necropoli. Oggi sul posto si rinvengono diverse grosse lastre calcaree. Alcune lucerne africane del tipo Atlante VIII e XA1a facevano parte dei corredi. 19 L’unica eccezione è costituita dalla UT 30, riferibile al secolo X, posta in un’area protetta da un forte affioramento calcareo. 20 F. 258 – serie 24 – fot.12021, volo 1966/68. 21 Guardando la foto aerea si notano solo due percorsi che attraversavano il fiume, uno in prossimità della UT 53 ed uno ad Est di Pizzo Pietralunga (UT 35) ma sempre sulla stessa ansa fluviale. 17