Carini, la città di Maria?
di Giovanni Filingeri e Gianluca Serra
Articolo pubblicato il 14.08.2018 su Il Vespro, con introduzione di Antonio Catalfio
http://www.ilvespro.it/2018/08/14/carini-la-citta-di-maria-unaffascinante-ipotesi-di-giovannifilingeri-e-gianluca-serra/
Nel 2004, in Mélanges de l’École Francaise de Rome (MEFRM, t.,116), é stato pubblicato
l’articolo di Jeremy Johns, professore emerito di arte e archeologia del Mediterraneo islamico, dal
titolo Una nuova fonte per la geografia e la storia della Sicilia nell’XI secolo: il kitāb Garā’ib alfunūn wa-Mulah al-‘uyūn.
Il testo scientifico trae la sua origine dall’acquisto da parte della prestigiosa Università di Oxford
di un inedito manoscritto arabo, che può considerarsi un vero trattato cosmografico, intitolato Kitāb
Garā’ib al-funūn wa-Mulah al-‘uyūn, cioè “Il Libro delle curiosità delle scienze e delle
meraviglie per gli occhi“. L’opera, di autore ignoto, si compone di un solo volume di quarantotto
fogli, diviso in due libri, databile entro la prima metà dell’XI secolo d.C., quindi antecedente
all’occupazione normanna della Sicilia avvenuta fin dal 1061.
La mappa della Sicilia. Università di Oxford.
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La Sicilia è citata in tre capitoli del secondo libro e, precisamente, nel capitolo X, contenente una
mappa del Mediterraneo, nel capitolo XII e, infine, nel capitolo XIII, che tratta di Al-Mahdiyya,
ossia la capitale del regno fatimita in Ifrīqiyya. La gran parte delle notizie riportate nel capitolo XII
è attinta dall’opera del viaggiatore iracheno Ibn Hawqal che visitò la nostra Isola nell’anno
dell’Egira 362/972-73, mentre la paternità delle altre notizie è di dubbia provenienza e ancora
oggetto di studio ed approfondimento. L’autore del testo, probabilmente egiziano, figura come
curatore, anche se, in realtà, propone sue personali riflessioni e informazioni. La mappa dell’Isola,
riprodotta schematicamente come un cerchio schiacciato, è difforme dall’iconografia triangolare
proposta in seguito da Idrīsī (1154) sia per l’inversione dell’orientamento, secondo la nota
convenzione islamica (SN), sia per l’assenza totale delle linee della costa in grado di caratterizzare
la morfologia reale dei luoghi e di facilitare la contestualizzare dei toponimi ivi riportati. Nella
mappa sono, infatti, indicati 140 toponimi, di cui circa un terzo ancora da identificare. La stessa
capitale dell’Isola, Palermo, è disegnata nel mezzo della costa tirrenica settentrionale e non a nordovest come di consueto. Probabilmente, chi ha disegnato la mappa non aveva cognizione della
geografia dei luoghi, ma solo una lista dei toponimi principali del litorale siciliano similare
all’itinerario/rotta da Al-Mahdiyya a Palermo, riportato nel capitolo XIII dello stesso trattato. Altri
toponimi presenti nella mappa, riferibili all’entroterra siciliano, sono ordinati secondo linee rette,
suggerendo la presenza di itinerari tra le singole aree geografiche spesso di dubbia e complessa
identificazione topografica.
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Il nostro interesse per questo manoscritto non è casuale, in quanto motivato dalla citazione di due
toponimi arabi affini, entrambi verosimilmente ubicati in questa parte della Sicilia Nordoccidentale.
Il primo, tratto dal libro II, cap. XII, f. 32b-33a, è riportato al numero 4) dell’elenco dei toponimi
della mappa della Sicilia (cfr. appendice 4), Gabal hāriğ tusammā Ra’s Marīrā, «una montagna che
sporge [sul mare] chiamata Ra’s («capo di») Marīrā (?); la citazione segue al numero 3) Marsa alTin, «L’ancoraggio dell’argilla». Il secondo toponimo, Madīnāt Mariyā, ossia “Città di Maria”, è
riproposto in appendice 5 col numero 20) dell’itinerario/rotta da Al-Mahdiyya a Palermo (cfr. Libro
II, cap. XIII, f. 34a), a quaranta miglia da Santūbīt (San Vito Lo Capo) segnato a sua volta col
numero progressivo 19). Infine, nell’appendice 5 si attesta col numero 21) la distanza di 24 miglia
lungo il litorale tra Madīnāt Mariyā e Siqilliyya (Palermo).
I due toponimi Mariya/Marīrā, fortemente affini, si ritrovano vicini nella citata mappa; e, pertanto,
lo studioso Jeremy Johns non esclude una possibile correlazione fra di loro, tanto da ipotizzare
l’associazione Madīnāt Mariyā/Carini, in quanto unico centro abitato attestato nel litorale
occidentale tra Palermo e Calatubo.
A supporto della tesi, introduciamo adesso i preziosi riferimenti topografici risultati dallo studio
analitico del trattato geografico del viaggiatore Al-Idrīsī, nato a Ceuta e vissuto alla corte di
Ruggero II (1105-1154). Nella sua descrizione, Idrīsī segnala le varie tappe del litorale isolano
seguendo un orientamento descrittivo est-ovest, con inizio dalla città di Palermo. Sulla sinuosa e
frastagliata costa, estesa fino a Punta Raisi, la fonte segnala le cinque miglia fino a Barqah (Barca,
Vergine Maria), le cinque miglia fino a Marsâ al-Tîn (lido di Mondello), le due miglia fino a Ghâla
(capo Gallo), le quattro miglia fino all’Isola delle Femmine, le sei miglia fino al porto di Carini
(arco del Baglio, foce del torrente della Grazia) ed, infine, le altre tre miglia fino a ra’s, cioè la
punta sotto Cinisi (Punta Raisi). Il geografo segnala, anche, l’itinerario di 12 miglia che collega
Carini a Palermo, corrispondente probabilmente allo sviluppo del tracciato interno Passo di Rigano/
Scala di Carini/Bellolampo.
Dal confronto fra le citate fonti emergono dati topografici significativi; se, infatti, sviluppiamo sul
terreno la distanza di 24 miglia dell’itinerario costiero Madīnāt Mariyā-Siqilliyya (Palermo),
riproposto dal manoscritto dell’XI secolo, si perviene al Gabal hāriğ tusammā Ra’s Marīrā, «una
montagna che sporge [sul mare] chiamata Ra’s («capo di») Marīrā, da identificare verosimilmente
con il Pizzo di Mezzo (m 850), cioè l’estrema propaggine settentrionale della catena Monte
Pecoraro/Montagna Longa che sporge sull’area antistante appellata Punta Raisi/Pozzillo. Nel
Cinquecento, questo rilievo, appellato Monte di San Giovanni (cfr. mappa di T. Spannocchi) per la
presenza alle sue falde, dell’omonima chiesa medievale appartenente ai Teutonici, fungeva da
luogo di vedetta nel sistema di vigilanza della fascia costiera. Ricordiamo ai lettori che, sul versante
occidentale del rilievo, si ritrova ancor oggi attestato il santuario della Madonna del Furi (Cinisi),
d’incerta fondazione. E’ da notare soprattutto la persistenza del toponimo Ra’s rimasto a
denominare l’omonimo promontorio (Punta Raisi).
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L’ipotesi dello studioso Jeremy Johns, alquanto suggestiva ma di grande fondamento
toponomastico e topografico, merita la giusta attenzione, in quanto avvalorata dalla semplice
sovrapposizione delle distanze espresse dalle due fonti e dalla residua toponomastica.
Fatta questa preliminare premessa di carattere topografico, si pone l’interrogativo di spiegare il
particolare attributo dato alla città di Carini in un’epoca che precede l’occupazione dell’Isola da
parte dei Normanni. L’argomento si apre ad un ventaglio di riflessioni e suggestioni che ci portano
lontano nel tempo e che qui proviamo a rappresentare.
Con molta probabilità, l’appellativo rimanda al culto verso la Santa Vergine, che dovette essere
abbastanza diffuso e intenso sin dai primi secoli del Cristianesimo e tale da sopravvivere anche
sotto il dominio musulmano dell’Isola. Con l’Islam era in corso una guerra di riconquista
territoriale, non una guerra santa o di religione. Islamismo, Ebraismo e Cristianesimo sono tutte
religioni notoriamente monoteiste. La parentela degli arabi con gli ebrei attraverso Abramo va a
collegarsi con i frequenti richiami del Corano a personaggi ed episodi della Bibbia e dei Vangeli. I
musulmani negano la divinità di Gesù e ne proclamano solo la qualifica di profeta; la Vergine
Maria, madre di Gesù, è, invece, per il Corano l’eletta tra tutte le donne del creato nonché modello
di riferimento per la spiritualità e la pietà popolare; e, in quanto modello di umiltà e di virtù, lo
stesso Maometto la colloca tra le sante, tra le persone elette da Dio nella storia sacra. Per questa
purezza e pratica della rettitudine, la persona di Maria, chiamata con il nome coranico Maryam, o
anche Sayyda (Signora), esercita un certo fascino su tutto il mondo islamico, quale segno
dell’onnipotenza divina ed esempio per i credenti. Il nome di Maria nel Corano si legge ben
trentaquattro volte di cui ventiquattro associato al nome di Gesù. Possiamo, quindi, presumere un
certo rispetto e ammirazione dei musulmani verso la Vergine Maria già durante la fase di
occupazione dell’Isola, iniziata nel 827 e durata ben 137 anni.
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Mancano, comunque, notizie certe sul culto mariano nel periodo delle origini; nonostante la
presenza benedettina fosse già attiva sul territorio isolano nei sei monasteri fondati da Gregorio
Magno, esso doveva, in ogni caso, conformarsi alle consuetudini liturgiche del tempo e, quindi, al
rito greco nelle chiese e nei monasteri bizantini. Intorno al V secolo e dopo il Concilio di Efeso
(431), si afferma la superiorità devozionale della Vergine sulle altre figure religiose e divampa
fortemente la spinta di venerazione dei fedeli verso di Lei. Per il popolo bizantino, Maria diviene
la protettrice delle città cristiane fino a diventare amuleto contro gli assedi e le guerre o anche, in
forma privata, contro le malattie e le quotidiane insidie della vita. Prima dell’occupazione islamica,
la Sicilia conosce una grande esplosione culturale e religiosa. Tra il 678 e 701, l’isola diede quattro
papi, tutti di origine orientale; nella seconda metà dell’VIII secolo fu eletto un altro papa siciliano,
Stefano
II.
A Villagrazia di Carini esiste il complesso catacombale più vasto della Sicilia occidentale,
espressione di una forte e numerosa comunità cristiana già nel IV sec. d.C.; un’area archeologica
che rivaluta le attestazioni dell’Ecclesia Carinensis nell’epistolario di papa Gregorio Magno (E.
Vitale, 2011). La diocesi rurale, probabilmente scorporata da quella di Palermo, comprendeva un
vasto territorio sovrapponibile, a nostro parere, a quello dell’antica città di Hykkara, distrutta dagli
ateniesi nel 415 a.C. e ripopolata nel corso dei secoli successivi. E’ ipotizzabile che il limes di
competenza diocesana si estendesse, sulla costa tirrenica, dal lido di Sferracavallo fino ad oltre il
fiume Calatubo, mentre, sull’entroterra, dalla piana di Partinico fino alla corona di Monti che
circondano le antiche divise di Sàgana/Rachal Karram, Rendicelle e Rasilme.
Particolare della pianta del sistema idrografico del torrente San Vincenzo. 1874. ASP.
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Il cimitero ipogeico di Villagrazia, ricadente nell’Ottocento nel fondo del barone di Cutomino e
in gran parte interrato a causa degli straripamenti alluvionali e torrenziali (v. mappa), dista circa 1
km in linea d’area dal nucleo insediativo tardo romano di San Nicola (Karines) ubicato in pianura
a cavallo del torrente San Vincenzo/Grazia. Qui la presenza di abitazioni di età islamica, impostate
su strutture murarie tardo romane e bizantine, ha fornito un valido indizio a supporto dell’asserita
continuità dell’insediamento da epoca romana fino all’età normanna (Vitale, 2011).
Peraltro, è significativa la precisa testimonianza del geografo Idrīsī: …Carini, terra graziosa, bella
e abbondante produce gran copia di frutte d’ogni maniera ed ha un vasto mercato e la più parte de’
comodi che si trovano nelle grandi città, [come sarebbero] de’ mercati [minori], de’ bagni e de’
grandi palagi …avvi una fortezza nuova, fabbricata sopra un colle che domina la terra.
Probabilmente, nel corso degli anni, a seguito dell’avviato progetto d’incastellamento feudale si
rese necessario il progressivo trasferimento delle strutture chiesastiche e abitative dalla piana al
poggio collinare, dove oggi sorge la moderna Carini e, precisamente, nel nuovo quartiere munito
della Terravecchia.
La numerosa comunità cristiana e l’attestazione dell’Ecclesia Carinensis fanno, dunque, ipotizzare
la presenza di una sede episcopale, di una basilica paleocristiana in contrada San Nicola (presso la
chiesa omonima) e di un culto intenso e ricco di fervore verso la Madonna, tutti elementi che
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concorrono a dare valore alla citazione/ipotesi “Carini, Città di Maria” del manoscritto dell’XI
secolo, in piena epoca musulmana. Non meraviglia, alla luce delle considerazioni su esposte, un
esempio di “tolleranza religiosa di fatto”, nonostante il tentativo di rapida islamizzazione dell’Isola
avviato subito dopo la cruenta fase di occupazione. Un impegno categorico e vessatorio che non si
rivolse solo nei confronti delle istituzioni, degli enti amministrativi e delle emergenze
architettoniche, con la creazione di un emirato e la trasformazione di chiese e/o sinagoghe in
moschee, ma, soprattutto, nei confronti di ebrei e cristiani che furono sottoposti ad una serie di
obblighi (cittadini a diritti limitati e subalterni, cosiddetti dhimmi). Fra questi vi era, anche, il
divieto di praticare in pubblico la propria fede o di accudire i luoghi di culto. Per garantirsi i pochi
diritti rimasti cristiani ed ebrei dovevano pagare una tassa di capitazione, la famigerata Jizya.
Tuttavia, i musulmani non fecero nulla di concreto per impedire l’ascetismo dei monaci basiliani
di Sicilia e la loro predicazione e nel condurre avanti, fino alle estreme conseguenze, la politica di
conversione religiosa della popolazione cristiana siciliana. Non gli conveniva! Le conversioni
facevano, infatti, venire meno le ingenti risorse provenienti dalle imposte cui erano sottoposti i
dhimmi. Se è difficile pensare alla possibilità di costruire edifici di culto durante l’occupazione
araba, è indubbio che, nonostante le vicissitudini del tempo, l’elemento cristiano e soprattutto il
culto verso Maria nelle sue espressioni rituali orientali siano sopravvissuti fino all’arrivo dei
Normanni.
Ma c’è, anche, un’altra considerazione che ci spinge a rafforzare l’attribuzione proposta dal noto
studioso inglese: si tratta della profonda devozione mariana radicata nella baronia di Carini sin dal
XIV secolo nonché la presenza capillare, in questo vasto territorio, di chiese e cappelle rurali che
assicuravano alla comunità carinese una vasta rete di protezione sacrale.
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Il testamento del carinese Giacomo Aparo, rogato dal notaio Filippo Carastono nel 1345,
documenta la presenza di almeno cinque chiese, di cui due ignote alla storiografia locale, che sono
S. Marie de Nova e Ecclesia Sancte Mariae de Carino (in quest’ultimo sito doveva essere seppellito
il testatore). Il primo di questi luoghi di culto si trovava alla foce del torrente della Grazia, presso
un importante crocevia e il porto di Carini (arco del Baglio); del secondo, invece, sappiamo ben
poco anche dal punto di vista topografico. Tuttavia, l’appellativo de Carino è indizio che ci
troviamo di fronte alla più importante chiesa del distretto; ciò trova, anche, conferma dalla
menzione della rappresentanza ecclesiastica che amministrava la chiesa, imperniata sulle figure del
cappellano, del presbitero (Venuto da Agrigento) e del chierico. L’istituzione dell’Arcipretura
carinese è, inoltre, documentata da una delle sottoscrizioni della pergamena n. 285 del Tabulario
di San Martino delle Scale, rogata il 20 dicembre 1362, I Indizione:
“Ego Presbiter Andreas dj Giracio Archipresbiter Terre Carinj testor”. Le altre chiese medievali
menzionate nel testamento rogato dal notaio Carastono sono: S. Maria Maddalena (convento,
periodo bizantino?), S. Nicola (citata in una pergamena del 1270), S. Lorenzo (1094, convento).
Nel corso del secolo XV a queste chiese si aggiungono le altre: San Vito, San Giuliano, San Biagio
(1417), Madonna del Roccazzello (Maria della Grazia), Madonna della Grazia (trappeto di
Villagrazia), Maria SS. di Loreto, San Rocco, S. Caterina, San Giovanni, S. Maria Maggiore, S.
Venera (1321). In questa lista bisogna pure inserire l’antica cappella di Maria SS. della Grazia
annessa al trappeto cannamelarum di Villagrazia di Carini e la cappella nobile del castello di Carini,
dedicata all’Annunziata, ricostruita negli anni 1561-62 sotto la baronia di Vincenzo La Grua II.
La successione del titolo di arcipretura carinese, secondo Rocco Pirri, erudito siciliano nato a Noto
nel 1577, è la seguente: S. Giuliano, S. Vito, Assunta; mentre, il carinese Buffa Armetta rileva, più
correttamente, che la chiesa di San Vito non fu la seconda Chiesa Parrocchiale, come vuole la
tradizione paesana e R. Pirro, per la ragione che la chiesa dell’Assunzione nacque prima.
Sulla base delle risultanze archivistiche, siamo più propensi a dar credito all’ipotesi di un’originaria
collocazione della chiesa parrocchiale dedicata a Sanctae Mariae de Carino, antesignana
dell’odierna Matrice intitolata all’Assunta, in contrada San Nicola e del suo successivo
trasferimento nella Terravecchia, un evento verificatosi entro il primo ventennio del XIII secolo,
cioè quando l’abitato della piana è in decadenza a causa del suo coinvolgimento nella rivolta
musulmana protrattasi ininterrottamente fino al 1247, anno in cui la brutale repressione federiciana
mette definitivamente fine all’esistenza della comunità musulmana nell’Isola. L’imposizione
fiscale in epoca angioina registra per
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Castello di Carini da via Garita. foto primi Novecento
Carini il pagamento di 25 onze a fronte di un nucleo abitato di 125 fuochi, cioè di uno stock di
popolazione stimabile in circa 450 persone. Nel 1283, dopo il Vespro, le fonti segnalano una forte
contrazione fino a 75 fuochi (260 anime). In atto, tuttavia, non vi sono valide attestazioni
archeologiche e storiche che possano dimostrare come l’insediamento urbano di contrada S. Nicola
abbia seguito, nell’immediatezza, il fenomeno dell’incastellamento feudale avviato fin dalla prima
metà del XII secolo (Idrīsī). Durante il regno di Carlo d’Angiò, il fortilizio di Carini è annoverato
nella rete dei castelli demaniali della Sicilia ultra; mentre, nel registro di lettere (ACFUP) dell’anno
1316-17, indizione XV, 9 maggio, sono soltanto menzionati i casali di Alcamo e Carinj. In un altro
documento del 1349 si ha, invece, il riferimento a terre et castri Careni.
Intorno alla fine del secolo XIV, sotto il governo feudale degli Abbate, avviene la delocalizzazione
del maggior luogo di culto di Carini nel Piano dei Cardi, appellato in seguito pianu de la Maiori
Ecclesia. Con molta probabilità, questo evento è legato all’esiguità dello spazio disponibile intorno
alla primitiva struttura chiesastica che impediva l’auspicato ampliamento architettonico imposto
dall’incremento demografico della popolazione carinese, già stabilmente insediata nel nuovo
quartiere munito chiamato Mandra degli Giumenti, o altrimenti detto Terranova/Roccaczi. A
seguito del trasferimento, l’antico sito parrocchiale viene riconsacrato a San Giuliano, creando fra
gli eruditi l’opinione di essere stata innalzata quest’ultima a nuova chiesa parrocchiale.
In un manoscritto dell’Archivio storico diocesano di Mazara, riguardante gli atti della visita
pastorale di mons. Antonio Lombardo alle chiese di Carini nel dicembre del 1578, vi è la
riproduzione, nel foglio 238, di due immagini della Madonna: la prima, in tondo, posta all’apice
come l’impronta di un sigillo, l’altra di più grande dimensione, forse disegnata a mano, è inserita
in basso dopo la consueta premessa,
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ricadendo sopra la scritta: La Ecclesia magiore [di Carini] sotto titulo della Assumptione de la
gloriosissima Vergine Maria. In entrambe le immagini, la Vergine, coperta da un ingombrante
manto e con il capo coronato, tiene nel braccio destro il bambino Gesù, anch’esso con il capo
coronato e il viso rivolto alla Madre. La figura è sospesa sopra un alone di nubi.
Al termine di questo breve commento non rimane che soffermarci sull’affascinante ipotesi con
alcune considerazioni e proposte.
In una continuità ideale, possiamo ipotizzare che l’antica basilica paleocristiana di Hyccara/Karines
fosse già dedicata all’Assunta, una festa liturgica maggiore introdotta dall’Oriente a Roma nella
seconda metà del secolo VII, e cardine della pietà popolare mariana nei secoli successivi. L’Assunta
viene invocata come Mater misericordiae che pone sotto il Suo manto protettivo tutta la comunità
cristiana di Carini. Certamente, la prevalenza e continuità devozionale del culto della Santa Vergine
Maria nella storia religiosa carinese è tale da giustificare l’attributo che l’autore del manoscritto
arabo le assegnava già nella prima metà del XI secolo. Ci sorprende il fatto che la pietà e la
devozione verso la Madre di Dio non siano state ulteriormente testimoniate da fonti dirette
normanne, così come risulta finora, e che l’unico riferimento ad oggi rinvenuto sia affidato ad un
anonimo cronista seguace (forse) di altra religione. Invero, la notizia appare più credibile e rende
un grande merito al curatore del manoscritto arabo perché ci ha fornito un ulteriore tassello della
storia ultra millenaria di Hykkara/Karines/qariniś.
In una delicata fase storica mondiale in cui sparute fazioni ideologiche rivendicano una guerra detta
impropriamente santa (sic?), riscoprire un segno, pur marginale di “tolleranza” religiosa verso la
Vergine Maria già in epoca di occupazione musulmana, viene in nostro sostegno per ricostituire
nel mondo ponti di pace e legami di fraterna solidarietà tra gli uomini di buona volontà da
condividere quale dono universale di un Dio comune.
Infine, nell’intento di trovare nuovi spunti a supporto di quanto ipotizzato, vogliamo rivolgere un
appello agli organi competenti affinché valutino la proposta di effettuare adeguate ricognizioni
archeologiche e saggi nell’area limitrofa all’antico caseggiato di San Nicola al fine di individuare
la basilica paleocristiana e la sede episcopale”.
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