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Archivio Giuridico, vol. CCXXXVI, fasc. 3-4 2016, pp. 589-654 Gaetano Marcaccio Libertà di espressione e Libertà di reLigione: percorsi comuni, confLitti Latenti e manifesti. considerazioni preLiminari* Sommario: 1. La nascita e l’evoluzione delle libertà di manifestazione del pensiero e di religione. Il rapporto di correlazione. – 2. Le Carte internazionali e le Costituzioni del XX e XXI secolo. Due libertà tra dimensione privata e pubblica. – 3. I limiti alle due libertà. Le conseguenze sul rapporto che lega libertà di espressione e di religione. – 4. Alla ricerca di un equilibrio tra le due libertà. La critica. – 5. (segue) I limiti alla libertà di critica “religiosa”. – 6. La derisione religiosa: i confini della satira. Il limite metagiuridico del rispetto. – 7. La via internazionale. 1. La nascita e l’evoluzione delle libertà di manifestazione del pensiero e di religione. Il rapporto di correlazione La libertà di religione1 e la libertà di manifestazione del pensiero sono unite da un forte legame: la prima è una forma * Contributo sottoposto a valutazione. Per l’evoluzione della dottrina sulla libertà religiosa, si rinvia ad alcune opere classiche sull’argomento. Tra queste, F. ruFFini, La libertà religiosa. Storia dell’idea, Milano, 1991 (ristampa Torino, 1901); id., Libertà religiosa e separazione fra Stato e Chiesa, in Scritti giuridici dedicati a G. P. Chironi, vol. III, Torino, 1913, p. 239 ss., ed in Scritti giuridici minori, vol. I, Milano, 1936, p. 101 ss.; id., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, Bologna, 1992 (ristampa Torino, 1924); a.C. Jemolo, Libertà religiosa, in Il mondo, n. 40, anno 4, 4 ottobre 1952; G. Catalano, Il diritto di libertà religiosa, Milano, 1957; a.C. Jemolo, I problemi pratici della libertà, Milano, 1961; P.a. d’avaCk, Il problema storico-giuridico della libertà religiosa. Lezioni di diritto ecclesiastico, Roma, 1964; C. Cardia, Ateismo e libertà religiosa nell’ordinamento giuridico, nella scuola, nell’informazione dall’Unità ai nostri giorni, Bari, 1973; P.a. d’avaCk, Libertà religiosa. a) Diritto ecclesiastico, in Enc. dir., vol. XXIV, Milano, 1974, p. 595 ss.; C. Cardia, Società moderna e diritti di libertà, in aa. vv., Teoria e prassi delle libertà di religione, Bologna, 1975; P.a. d’avaCk, Trattato di diritto ecclesiastico italiano. Parte generale, Milano, 1978; G. dalla torre, Dignità umana e libertà religiosa, in 1 589 Gaetano Marcaccio particolare della seconda2, che permette di esternare liberamente la propria appartenenza religiosa, qualunque essa sia, e di compiere tutte le attività ad essa connesse; la seconda trova origine nella prima3, affondando le sue radici teoriche nella tolleranza religiosa faticosamente conquistata e consolidata tra il XVI ed il XVII secolo. L’Europa del XVI secolo è divisa religiosamente; l’area mediterranea è ancora impegnata nella difesa della cristianità dall’assalto musulmano, quella continentale consuma la rottura dell’unità della Chiesa di Roma con la svolta luterana dei territori tedeschi. Il movimento riformatore che investe l’Europa di lingua tedesca ed i Paesi del Nord genera nuovi conflitti, culminati in laceranti scontri religiosi4. In Germania, in particolare, le lotte fratricide interne procedono senza sosta e per decenni, con due guerre di religione di dimensioni paurose (1533-1555 e 1614-1648). “Le distruzioni e gli eccidi fanno germogliare un seme di riflessione: se l’Europa non vuole autodistruggersi, deve consentire la convivenza nella diversità”5; C. Cardia (a cura di), Studi in onore di Anna Ravà, Torino, 2003, p. 287 ss.; C. Cardia, Libertà religiosa e multiculturalismo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), maggio 2008; G. dalla torre, Dio e Cesare. Paradigmi cristiani nella modernità, Roma, 2008, p. 88 ss.; id., Lezioni di diritto ecclesiastico, V ed., Torino, 2014, p. 61 ss. 2 Cfr. C. ColaPietro, Le libertà individuali, in F. moduGno, Lineamenti di diritto pubblico, II ed., Torino, 2010, p. 588; S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, in d. Brunelli (a cura di), Diritto penale della libertà religiosa, Torino, 2010, p. 165. 3 La libertà di espressione nasce “dalla rivendicazione della libertà di coscienza o di fede”, m. manetti, Manifestazione del pensiero (libertà di), in S. Patti (diretto da), Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, vol. IX, I ed., novembre 2007, p. 363. 4 “L’Europa, divisa religiosamente e politicamente, è ancora unita, sull’intolleranza che ciascuno Stato, protestante o cattolico che sia, riserva a quanti non si riconoscono nelle rispettive religioni ufficiali”, C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea e legislazione italiana, IV ed., Torino, 2015, p. 71. Per l’a., “quanto alla libertà religiosa, Lutero, Calvino, Enrico VIII e tutti i papi dell’epoca la pensano allo stesso modo, e condividono l’opinione del calvinista Teodoro di Beza per il quale essa va considerata come «un dogma assolutamente diabolico perché significa che si dovrebbe lasciare andare ciascuno all’Inferno a modo suo»”. 5 C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 73. 590 Libertà di espressione e libertà di religione… da qui i primi interventi normativi sulla tolleranza religiosa nel territorio tedesco. La pace di Augusta (1555) fissa il principio del cuius regio eius et religio, che permette ai sudditi di abbracciare la religione (cattolica o luterana) scelta dal sovrano oppure di lasciare lo Stato, esercitando uno ius migrandi che comunque salva loro la vita. Quella di Westfalia (1648) estende il citato principio anche al calvinismo e mitiga lo ius migrandi riconoscendo al sovrano la facoltà di concedere ai sudditi la libertà di praticare privatamente altri culti e di educarvi i figli. Questi provvedimenti sono il volano per le prime teorizzazioni filosofiche: Pufendorf colloca la libertà religiosa tra i diritti naturali di ogni uomo6; Locke annovera la tolleranza tra i principi basilari della convivenza7. Pressoché contemporaneamente e sulla scorta del concetto di tolleranza religiosa matura la speculazione filosofica in tema di libertà di espressione8, intesa come possibilità di avere e manifestare un’idea, non solo religiosa, diversa da quella dominante. Essa viene declinata da J.S. Mill in triplice accezione9: trasparenza della verità; sviluppo della personalità; fondamento della società democratica. Per l’illustre pensatore britannico nessuna opinione, per quanto nettamente dominante, può ritenersi vera ed infallibile; ogni idea è patrimonio 6 Cfr. S. PuFendorF, De iure naturae et gentium libri octo, Ex Officina Knochiana, Francofurti & Lipsiae, 1744 (ristampa 1672). A partire dal Concilio Vaticano II, anche la dottrina della Chiesa cattolica annovera la libertà religiosa tra i diritti naturali; cfr. G. dalla torre, Dio e Cesare, op. cit., p. 97. “Per la dottrina cattolica la libertà religiosa è matrice e fondamento di tutte le altre libertà, civili e politiche”, ivi, p. 104; essa consiste nell’eliminazione di tutti i condizionamenti esterni alla libera scelta religiosa del singolo, ivi, p. 94 ss. 7 Cfr. J. loCke, Epistola de tolerantia, 1685; tra le tante edizioni, cfr. J. loCke, Lettera sulla tolleranza, Bari, 2005. 8 Tra i primi filosofi ad occuparsi di tale argomento, J.S. mill, t. JeFFerSon, J. loCke, J. milton, a. toCqueville, voltaire. 9 La tripartizione seguita da J.S. mill nel suo Saggio sulla libertà (1859) è riportata da J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto dei sentimenti religiosi, in Etich@: Revista Internacional de Filosofia da Moral, vol. V, n. 2, Universidade Federal de Santa Catarina, Florianópolis, SC, Brasil, 2006. 591 Gaetano Marcaccio dell’umanità, da difendere strenuamente10 in ragione della sua funzione essenziale nella ricerca della verità: “se l’opinione è vera gli si dà l’opportunità di cambiare l’errore; se è sbagliata si perde quello che è un beneficio non meno importante: la più chiara percezione e impressione che rende viva la verità è prodotta dalla collisione con l’errore”. Al contempo, questa libertà sviluppa la personalità individuale poiché “se l’individuo non avesse la libertà di pensare, esprimersi e agire, la sua vita sarebbe simile a quella di un automa, programmato solo per ripetere cose che altri stabiliscono”11. Da ultimo, è base della società democratica, garantendo la ricerca, l’elaborazione e la diffusione delle informazioni necessarie a controllare le istituzioni sociali e politiche12. Entrambe le liberà, religiosa e di pensiero, si espandono guidate dagli eventi storici. La nascita e lo sviluppo dello Stato moderno esalta la libertà di espressione, diritto che diverrà essenziale nei nuovi ordinamenti parlamentari, mentre il separatismo settecentesco divide affari statali e religiosi ed accresce la libertà religiosa: “d’ora in poi ciascuno sceglierà se credere, e se appartenere ad una comunità confessionale”13. 10 J.S. mill, Saggio sulla libertà: “Se tutta l’umanità meno uno fosse d’una stessa opinione, e un solo uomo fosse dell’opinione opposta, l’umanità non avrebbe maggior diritto di ridurre al silenzio quell’unico uomo di quanto quell’uomo avrebbe diritto, potendo, di ridurre al silenzio l’umanità”. Impedire la manifestazione di un pensiero equivale a commettere “un furto ai danni della razza umana”. 11 J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 149. L’a. riporta anche le parole di J.S. mill: “nessuno può essere un gran pensatore senza riconoscere che il suo primo dovere come tale consiste nel seguire la sua intelligenza, qualsiasi siano le conclusioni cui lo condurrà”. 12 Per J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 150, “senza libertà di espressione non è possibile l’esercizio politico dei cittadini come istanza legittimante il potere”. L’a. riporta anche il pensiero di a. toCqueville, secondo cui “la sovranità popolare e la libertà di stampa sono due cose strettamente correlate”. Cfr. S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., p. 158-159. La dottrina moderna rafforza la connessione parlando di concezione funzionale della libertà di manifestazione del pensiero, dove la funzionalità è la capacità dello Stato democratico di affermarsi. Cfr. l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero: fondamento e limiti, Milano, 1998, p. 7, in particolare nt. 19. 13 C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 75. 592 Libertà di espressione e libertà di religione… Infatti, il minimo comun denominatore dei diversi separatismi14 consiste nell’ampliamento della libertà di coscienza individuale, intesa come autodeterminazione religiosa. Da metà Ottocento l’esperienza separatista coinvolge anche l’Italia, sebbene con vesti peculiari15. Nel periodo risorgimentale fiorisce tanto la libertà religiosa, che apre a confessioni diverse da quella statale, quanto la libertà di espressione, che espande i suoi confini fino a rendere legittime le sole limitazioni alla stampa previste dalla legge16. Le conquiste ottocentesche, con tutti i loro limiti, vengono ribaltate dai totalitarismi del primo Novecento, che sospendono il cammino delle libertà tutte, colpendo anche quelle di espressione e di religione. Nel timore che la critica politica di opposizione possa delegittimarli, i regimi dittatoriali azzerano di fatto la libertà espressiva dei singoli e controllano in modo severo stampa ed altri mezzi di diffusione di massa. Le restrizioni colpiscono anche la libertà religiosa: il regime fascista conferisce una posizione di primazia alla religione cattolica proclamandola religione di Stato, a scapito degli altri culti appena tollerati17; il comunismo sovietico strizza l’occhio all’ateismo, che diviene poi “ideologia” di Stato; 14 Si richiama la contrapposizione tra separatismo “amico” (USA) e “nemico” (Francia) delle religioni. Cfr. F. ruFFini, Relazioni tra Stato e Chiesa, Bologna, 1974, p. 141 ss.; C. Cardia, Le sfide della laicità. Etica, multiculturalismo, Islam, Cinisello Balsamo (MI), 2007, p. 22 ss.; id., Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 74 ss. 15 La particolarità del separatismo italiano emerge dalla lettura combinata dell’art. 1 dello Statuto Albertino (“la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”) e della legislazione primaria contemporanea alla sua promulgazione. Quest’ultima si adopera, infatti, per eliminare lo spettro confessionista, introducendo norme favorevoli alle confessioni acattoliche. Cfr. F. ruFFini, Relazioni tra Stato e Chiesa, op. cit.; C. Cardia, Le sfide della laicità, op. cit., p. 37 ss.; id., Risorgimento e religione, Torino, 2011. 16 L’art. 28 dello Statuto Albertino afferma: “la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi”. 17 Un’analisi frettolosa della disciplina fascista potrebbe indurre in errore: sebbene l’art. 5 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, garantisca la libertà di critica religiosa, l’originaria formulazione degli artt. 402 ss. c.p. tutela con più forza la religione di Stato da possibili abusi nell’esercizio di tale libertà. 593 Gaetano Marcaccio la Germania nazista mira addirittura alla distruzione di una delle tre religioni del Libro ed allo sterminio dei suoi seguaci. 2. Le Carte internazionali e le Costituzioni del XX e XXI secolo. Due libertà tra dimensione privata e pubblica I tragici eventi del secondo conflitto mondiale fanno maturare in Occidente la consapevolezza che “la dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia”18. La condanna e la contrapposizione netta a quanto accaduto nel recente passato rivoluziona il concetto di Stato19 ed influisce sulle nuove Carte internazionali e sulle Costituzioni post-belliche, scritte ora quasi a dimensione d’uomo. Nasce lo Stato laico sociale che, basato sull’antropocentrismo, diventa mezzo e strumento per il pieno sviluppo della persona umana20 ed innalza a baluardi insopprimibili quei diritti e quelle libertà che sono estrinsecazione della personalità. Tra questi le libertà di religione e 18 H. arendt, nella citazione riportata in C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 94. 19 “Con il tempo, cambia in modo significativo il volto dello Stato e delle istituzioni pubbliche. Si cerca di smussare il loro profilo accentrato e burocratico, di trasformarli in garanti e promotori di quei diritti sociali e di libertà che devono favorire lo sviluppo della persona umana e delle sue potenzialità”, C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 98. 20 “La rivolta contro il totalitarismo è in primo luogo etica, perché lo Stato deve ripensarsi come strumento e non come fine, e l’uomo è ripensato nella sua ricchezza antropologica, con esigenze materiali, morali, spirituali. […]Lo Stato laico si trasforma in Stato laico sociale che abbandona ogni estremismo laicista e instaura un nuovo rapporto con la religione e con le chiese. La libertà religiosa viene riconosciuta a tutti, chiese e istituzioni ecclesiastiche si vedono garantita una autonomia alla quale aspiravano da tempo, le strutture sociali si aprono ad una presenza religiosa variegata e intensa”, C. Cardia, Laicità, diritti umani, cultura relativista, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), novembre 2009, p. 5. Cfr. id., Le sfide della laicità, op. cit., p. 84 ss.; G. dalla torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 61 ss. Quest’ultimo rimarca la mutabilità spazio-temporale della libertà religiosa, sottolineando il suo ampliamento in conseguenza alla nascita dello Stato democratico pluralista. 594 Libertà di espressione e libertà di religione… di espressione, che acquistano rinnovata centralità anche nel nuovo impianto costituzionale italiano. La libertà religiosa (art. 19 Cost.), quale concretizzazione del principio di laicità21 e di uguaglianza22, è tra i capisaldi dell’assetto repubblicano; è “valore di necessario completamento dell’essere umano”23, perseguendo la religione quegli obiettivi di realizzazione della personalità individuale fissati dall’art. 2 Cost. Allo stesso modo, la libertà di manifestare pubblicamente le proprie convinzioni24 (art. 21 Cost.) è corol- 21 Il principio di laicità non è previsto per tabulas nella Carta fondamentale ma, come esplicita la Consulta nella storica sentenza 12 aprile 1989, n. 203, è “uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale”, visibile dall’analisi sistematica del dettato costituzionale. Esso, “quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”, Corte cost., sent. 11 aprile 1989, n. 203; cfr. r. CoPPola, La Chiesa e la laicità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), maggio 2010, p. 3. Ancor più nell’attuale società multireligiosa e polietnica, “la laicità è apertura, inclusività, desiderio di conoscenza dell’altro e delle sue idee, è strumento di arricchimento reciproco, non di diffidenza e contrapposizione”, C. Cardia, Laicità, diritti umani, cultura relativista, op. cit., p. 23. 22 Cfr. C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 141 ss. 23 l. mai, Il sentimento religioso come fattore di realizzazione personale e sociale nelle democrazie contemporanee, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), marzo 2007, p. 1. La libertà religiosa ha una struttura polimorfa, che racchiude in sé diversi profili: dalla libertà di coscienza e di autodeterminazione, a quella di manifestazione della propria fede ed esercizio del culto, dal diritto di propaganda religiosa allo ius poenitendi. La sua caratteristica di essere un concetto-contenitore, fonte di altri diritti e libertà, che costituiscono lo zoccolo duro del diritto ecclesiastico vigente, rende pressoché sterminata la letteratura sul tema. Nell’impossibilità di un’elencazione completa, cfr. G. dalla torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 66 ss.; C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 130 ss. 24 La dilatazione concettuale della libertà di espressione porta la dottrina contemporanea ad affermare che “tale principio determina che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione e comporta la necessità di impedire che vengano create delle regole discriminatorie tra le idee (norme che a loro volta sarebbero contrarie anche rispetto al principio di eguaglianza)”, a. di mario, Eguaglianza tra le opinioni politiche: le tendenze antidemocratiche nei regimi liberali, in a. Celotto, Le declinazioni dell’uguaglianza, Napoli, 2011, p. 123. In tema, cfr. F. Carnelutti, 595 Gaetano Marcaccio lario del principio di cui all’art. 3 Cost.25 e si colloca “tra i valori primari assistiti dalla clausola dell’inviolabilità, ponendosi come «pietra angolare dell’ordine democratico»”26. Viene altreA proposito della libertà di pensiero, in Foro it., 1957, IV, p. 143; C. eSPoSito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, 1958; P. Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., vol. XXIV, 1974, p. 424 ss.; F. CuoColo, Istituzioni di diritto pubblico, XII ed., Milano, 2003, p. 722 ss.; S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, in Dizionario di diritto pubblico, vol. IV, Milano, 2006, p. 3571 ss.; m. manetti, Manifestazione del pensiero (libertà di), op. cit., p. 363 ss.; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose dopo la legge 24 febbraio 2006, n.85. Problemi e prospettive di comparazione, Milano, 2007, p. 111 ss.; G. rolla, La tutela costituzionale dei diritti, vol. III, III ed., Milano, 2007, p. 72 ss.; n. zanon (a cura di), Nozioni di diritto costituzionale, Torino, 2007, p. 258 ss.; P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., Torino, 2008, p. 469 ss.; l. PeGoraro - a. rePoSo - a. rinella - r. SCarCiGlia - m. volPi, Diritto costituzionale e pubblico, Torino, 2009, p. 194 ss.; C. ColaPietro, Le libertà individuali, op. cit., p. 581; G. de verGottini, Diritto costituzionale, VII ed., Padova, 2010, p. 333 ss.; F. FraCCHia (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Napoli, 2010, p. 114-115; t. martineS, Diritto costituzionale, XII ed., Milano, 2010, p. 565 ss.; m. mazziotti di CelSo - G.m. Salerno, Manuale di diritto costituzionale, V ed., Padova, 2010, p. 192 ss.; a. viGnudelli, Diritto costituzionale, V ed., Torino, 2010, p. 520 ss.; G. Guzzetta - F.S. marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, III ed., Torino, 2011, p. 673 ss.; l. mezzetti, Manuale breve. Diritto costituzionale, Milano, 2011, p. 464 ss.; v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, II ed., Milano, 2011, p. 121 ss.; F. Politi, Diritto pubblico, II ed., Torino, 2011, p. 405 ss.; m. mazziotti di CelSo - G.m. Salerno, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 2012, p. 95 ss.; G.u. reSCiGno, Corso di diritto pubblico, XIV ed., Bologna, 2012, p. 617 ss.; C. roSSano, Manuale di diritto pubblico, IV ed., Napoli, 2012, p. 221 ss.; P. Barile - e. CHeli - S. GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, XIV ed., Padova, 2013, p. 501 ss.; i. niCotra, Diritto pubblico e costituzionale, II ed., Torino, 2013, p. 120 ss.; S. Battini - S. CaSSeSe - C. FranCHini - r. Perez - G. veSPerini, Manuale di diritto pubblico, V ed., Milano, 2014, p. 125; r. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, XII ed., Torino, 2014, p. 458 ss.; G. FalCon, Lineamenti di diritto pubblico, XIII ed., Padova, 2014, p. 521 ss.; G.P. iariCCi, Istituzioni di diritto pubblico, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014, p. 73 ss.; m. doGliani i. maSSa Pinto, Elementi di diritto costituzionale, Torino, 2015, p. 204 ss.; F. moduGno (a cura di), Diritto pubblico, II ed., Torino, 2015. 25 Cfr. a. di mario, Eguaglianza tra le opinioni politiche, op. cit. 26 C. ColaPietro, Le libertà individuali, op. cit., p. 581. Cfr. v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 113; l. PeGoraro - a. rePoSo - a. rinella - r. SCarCiGlia - m. volPi, Diritto costituzionale e pubblico, op. cit., p. 194; a. viGnudelli, Diritto costituzionale, op. cit., p. 521; v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 121; r. Bin - 596 Libertà di espressione e libertà di religione… sì confermato il loro legame tanto che il legislatore costituzionale, oltre a porle topograficamente vicine, ne rafforza i tratti comuni: “in entrambi i casi, il Costituente intende (ha inteso) attribuire a tutti, e non ai soli cittadini, diritti e non già libertà, consentendo così immediatamente l’esercizio delle situazioni contemplate dalle due disposizioni ad ogni persona presente sul territorio italiano”27. La portata universale, comune agli artt. 19 e 21, è funzionale all’obiettivo perseguito: tutelare la diversità, tanto di pensiero quanto religiosa28. Uscendo dal solco prettamente nazionale e guardando al livello internazionale o sovranazionale regionale, la situazione non cambia: le due libertà conservano centralità e contiguità. Sul piano internazionale, la Dichiarazione universale dei diritti umani disciplina la libertà religiosa all’art. 18 e quella di espressione all’art. 1929. In ambito europeo, la positivizzazione riguarda tanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo quanto la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione euroG. Pitruzzella, Diritto pubblico, op. cit., p. 458. La definizione della libertà di manifestazione del pensiero come “pietra angolare dell’ordine democratico” è in Corte cost., sent. 17 aprile 1969, n. 84. 27 C. Salazar, Le “relazioni pericolose” tra libertà di espressione e libertà di religione: riflessioni alla luce del principio di laicità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), gennaio 2008, p. 4. Sull’estensione soggettiva dell’art. 21, in Assemblea costituente, l’on. Giulio Andreotti sostiene una sua limitazione ai solo cittadini, mentre il socialista on. Gustavo Ghidini afferma: “credo che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso ogni forma, non appartenga al cittadino in quanto facente parte dello Stato italiano ma appartenga alla personalità umana. E questo diritto io lo riconosco a tutti: stranieri o cittadini che siano”. Fin da subito prevale la seconda tesi. 28 “Come l’art. 21 Cost. mira precipuamente a consentire la circolazione del dissenso, così l’art. 19 Cost. […] intende tutelare soprattutto i fedeli aderenti ad una confessione di minoranza, oltre a quanti non si riconoscano in alcuna confessione”, C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 5. 29 Anche il Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 19) e la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 13) positivizzano la libertà di espressione. Sulla difficoltà della dottrina nel tracciare un minimo comun denominatore tra le varie fonti internazionali sulla libertà di espressione, cfr. m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti: il dinamismo dei diritti in una società in continua trasformazione, Torino, 2014, p. 26 ss. 597 Gaetano Marcaccio pea30, che pongono in sequenza libertà religiosa (artt. 9 CEDU31 e 10 Carta) e di espressione (artt. 10 CEDU32 ed 11 Carta33). La loro previsione in Carte di organizzazioni differenti34 30 La Carta dei diritti fondamentali dell’UE entra in vigore con il Trattato di Lisbona (1° gennaio 2009), acquisisce rango di norma primaria tra le fonti europee e vincolatività giuridica pari a quella dei Trattati (art. 6, par. 3, Trattato di Lisbona). Cfr. u. villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, III ed., Bari, 2013, p. 45 ss.; m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., p. 82. 31 Sull’art. 9 della CEDU, cfr. S. lariCCia, Art. 9. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, in S. Bartole - B. ConForti - G. raimondi, Commentario alla convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, p. 325 ss. 32 In virtù del principio di universalità, tale diritto è riconosciuto ad “ogni uomo” (art. 10, 1° comma, CEDU). Cfr. P. Caretti, Art. 10. Libertà di espressione, in S. Bartole - B. ConForti - G. raimondi, Commentario alla Convenzione europea, op. cit., p. 337 ss.; m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., p. 41; m. oroFino, La tutela del sentimento religioso altrui come limite alla libertà di espressione nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Rivista AIC, n. 2/2016, 30 maggio 2016, p. 8 ss. 33 Cfr. l. montanari, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti interne, Torino, 2002; v. onida, I diritti umani in una comunità internazionale, in Il Mulino, n. 3, 2006, p. 411 ss. La Carta europea (art. 11) condivide con la CEDU l’estensione dell’ambito oggettivo e soggettivo (“ogni persona”, sia essa fisica o giuridica, indipendentemente da cittadinanza, residenza o qualsiasi altra qualità). Norme sulla libertà di espressione sono previste anche in altre Carte sovranazionali regionali, tra cui la Convenzione americana sui diritti umani del 1969 (art. 13), la Carta Africana sui diritti umani e dei popoli del 1981 (art. 9) e la Carta Araba dei diritti dell’uomo del 2004 (art. 32, lett. A). Cfr. S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., p. 156 ss. 34 Tra il sistema del Consiglio d’Europa e dell’UE vi sono varie differenze. La prima attiene all’estensione soggettiva: la CEDU vincola quarantasette Paesi, mentre la Carta europea dei diritti UE ne unisce ventotto, con specificità per Polonia ed Inghilterra (cfr. u. villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, op. cit., p. 22). La seconda riguarda l’ambito di protezione offerto dai due sistemi: “la CEDU ha portata generale, nel senso che essa vincola gli Stati firmatari al rispetto dei diritti fondamentali in essa contenuti in tutte le attività che essi compiono e in tutti i settori dell’ordinamento, mentre la Carta europea dei diritti dell’uomo vincola gli Stati membri solo nelle materie di competenza dell’Unione europea”, m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., p. 28. Pertanto, “a livello regionale europeo, il sistema CEDU è divenuto il più importante strumento di diritto internazionale di tutela dei diritti umani”, d. loPrieno, La libertà reli- 598 Libertà di espressione e libertà di religione… crea sovrapposizioni che generano una moltiplicazione plurilivello di fonti normative definita in dottrina costituzionalismo multilivello. Il fenomeno non è privo di risvolti pratici problematici35 e conferma la centralità delle due libertà, la loro imprescindibilità ed il diffuso desiderio di tutela, che porta ogni organizzazione a spendere qualche parola a garanzia della diversità di pensiero e di religione. La pluripositivizzazione evidenzia anche un altro tratto comune: la loro dimensione contemporaneamente privata e pubblica. Entrambe hanno una accezione “geografica”, relativa al luogo privato o pubblico in cui si esercitano, ed una funzionale, attinente all’interesse privato o pubblico cui si legano. Il tratto parallelamente privato e pubblico della libertà di religione emerge nella libertà di coscienza, nello ius poenitendi, nell’ampiezza del proselitismo, nella libertà di culto, sia privato che pubblico (riti come il matrimonio, le processioni, il canto del muezzin, ecc. hanno nella pubblicità la loro essenza), nella libertà di esprimere la propria religiosità con simboli o abiti particolari, nelle libertà riconosciute alle confessioni, ecc. Analogamente la duplicità dimensionale della libertà di espressione si manifesta nel diritto del singolo di esprimere le proprie idee, nella libertà di informazione, di stampa36 e degli giosa, Milano, 2009, p. 237. La terza concerne gli organi giurisdizionali, Corte di Strasburgo e Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si diversificano tanto nei ruoli, quanto nei modi e nelle forme per essere aditi. 35 Il costituzionalismo multilivello ha una triplice conseguenza: “la prima è che nessuno degli ordinamenti su menzionati, accetta fino in fondo la prevalenza dell’altro. La seconda è l’inadeguatezza dell’idea di supremazia come criterio decisivo per dirimere eventuali difformità interpretative o conflitti tra i tre ordinamenti. La terza, conseguente alle precedenti, è l’emersione di criteri interpretativi, nella giurisprudenza delle Corti, utili a prevenire le conflittualità”, m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., pp. 30-31. Tra questi criteri, quello di collaborazione, complementarità, interpretazione congiunta, interazione, cooperazione e mutuo apprendimento. 36 La libertà di stampa è disciplinata dagli artt. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, 10 della CEDU, 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e 21 della Costituzione. A livello legislativo primario, le norme basilari sono la legge 8 febbraio 1948, n. 47 (“Disposizioni sulla stampa”) e la legge 3 febbraio 1963, n. 69 (“Ordinamento della professione di giorna- 599 Gaetano Marcaccio altri mezzi di comunicazione (radiotelevisione, cinema, teatro ed internet)37, che forniscono al singolo gli strumenti per parlista”), rinnovata dal D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150. Negli anni Ottanta il legislatore tenta di garantire un’informazione pluralistica ed una maggiore trasparenza sulle fonti di finanziamento della stampa (legge 5 agosto 1981, n. 416, e legge 25 febbraio 1987, n. 67); negli anni Novanta (legge 31 luglio 1997, n. 249) vara una normativa anti-trust per evitare concentrazioni in un unico soggetto ed istituisce un’Autorità garante; nei Duemila, invece, regolamenta l’editoria elettronica (legge 7 marzo 2001, n. 72). Cfr. F. CuoColo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 724 ss.; id., Lezioni di diritto pubblico, IV ed., Milano, 2006, p. 184 ss.; G. rolla, La tutela costituzionale dei diritti, op. cit., p. 75 ss.; n. zanon (a cura di), Nozioni di diritto costituzionale, op. cit., pp. 261-262; P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 471 ss.; G. de verGottini, Diritto costituzionale, op. cit., p. 335 ss.; F. FraCCHia (a cura di), Manuale di diritto pubblico, op. cit., pp. 115116; t. martineS, Diritto costituzionale, op. cit., p. 567 ss.; m. mazziotti di CelSo - G.m. Salerno, Manuale di diritto costituzionale, op. cit., p. 192 ss.; a. viGnudelli, Diritto costituzionale, op. cit., p. 525 ss.; G. Guzzetta - F.S. marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, op. cit., p. 677 ss.; l. mezzetti, Manuale breve, op. cit., p. 466 ss.; v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 122 ss.; G.u. reSCiGno, Corso di diritto pubblico, op. cit., p. 621 ss.; C. roSSano, Manuale di diritto pubblico, op. cit., pp. 225226; P. Barile - e. CHeli - S. GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 507 ss.; i. niCotra, Diritto pubblico e costituzionale, op. cit., p. 124 ss.; r. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, op. cit., p. 461 ss. 37 In materia radiotelevisiva il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (T.U. 31 luglio 2005, n. 177) tenta un riparto equo delle frequenze, ridefinendo i limiti anti-trust e fissando una nuova soglia massima di concentrazione in un unico soggetto (c.d. sistema integrato della comunicazione). Per tal via, mira alla massima “trasparenza degli assetti delle società proprietarie delle reti”, F. CuoColo, Lezioni di diritto pubblico, op. cit., p. 184. La norma non riesce ad eliminare le posizioni dominanti, di qui il duplice intervento dell’UE (CGUE 31 gennaio 2008, c. n. 380/2005 e parere motivato della Commissione del 18 luglio 2007) in seguito al quale “il legislatore italiano ha modificato il testo unico della televisione assoggettandolo alla disciplina del codice delle comunicazioni elettroniche (D.l. n. 59/2008, conv. in L. n. 101/2008)”, v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 128. Sulla disciplina radiotelevisiva, cfr. F. CuoColo, Lezioni di diritto pubblico, op. cit., p. 184; m. mazziotti di CelSo - G.m. Salerno, Manuale di diritto costituzionale, op. cit., p. 193 ss.; G.u. reSCiGno, Corso di diritto pubblico, op. cit., pp. 619-620; P. Barile - e. CHeli - S. GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 504 ss.; r. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, op. cit., p. 463 ss. Gli spettacoli cinematografici e teatrali hanno una disciplina differente (legge 21 aprile 1962, n. 161) che prevede, per i soli film, un controllo preventivo effettuato da una commissione ministeriale. Questa 600 Libertà di espressione e libertà di religione… tecipare attivamente alla vita democratica, nella libertà di associarsi, in quella di manifestare e di scioperare, le quali non sono che una modalità di estrinsecazione del pensiero critico, ed in tanti altri corollari che sarebbe impossibile annoverare. Ciò che ne deriva è un’ampiezza tale delle libertà di religione e di espressione da riconfermare la loro posizione di primazia negli ordinamenti occidentali, legata a doppio filo con la loro funzione pubblica. Entrambe perseguono uno dei principali obiettivi dello Stato laico sociale post-bellico, ossia lo sviluppo della personalità individuale (nella Dichiarazione universale del ’48 all’art. 29 e nella Costituzione italiana all’art. 2). La libera esistenza delle confessioni e la libertà religiosa permettono ai culti di svolgere la loro funzione di evoluzione personale; può limitarne la visione ai minori degli anni 14 o 18 oppure può vietarne la proiezione in caso di contrarietà al buon costume. Cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., p. 3577 ss.; P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 476; P. Barile - e. CHeli - S. GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 510 ss. I lavori teatrali sono soggetti, invece, solo ad un vaglio successivo diretto “a reprimere le violazioni del buon costume e, in particolare, la commissione di reati”, v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 129. Per Internet, poi, sorgono molteplici questioni. La prima attiene alla natura di comunicazione rivolta al pubblico, cioè ad un numero indefinito di soggetti, oppure a soggetti specifici. “A seconda della soluzione […] mutano i limiti opponibili all’esercizio di questo tipo di comunicazione, così come mutano le possibilità di stabilire forme di controllo e di intervento repressivo da parte dei pubblici poteri a tutela di interessi costituzionalmente garantiti: si pensi al buon costume, alla tutela dei minori, alla tutela della “privacy”, alla prevenzione e repressione dei reati. Esiste poi il problema di disciplinare il “governo” della rete, ossia di stabilire delle regole in ordine alle condizioni di accesso alla rete stessa, alle condizioni di gestione della medesima, alle condizioni di fornitura dei servizi che attraverso la rete transitano. […] Problemi nuovi sono sorti in ordine alla propaganda elettorale via Internet”, P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 477. Altri profili problematici sorgono per i reati commessi tramite internet in ordine all’individuazione del tempus e del locus commissi delicti; cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Mezzi di comunicazione di massa”, in Dizionario di diritto pubblico, vol. IV, Giuffrè, Milano, 2006, p. 3642. Da ultimo, si ricorda che, “secondo la più recente giurisprudenza, l’informazione on-line non può essere ricompresa nel concetto di “stampa” (Cass. pen., sez. V, n. 35511/2010)”, i. niCotra, Diritto pubblico e costituzionale, op. cit., p. 126. Da ciò deriva l’inapplicabilità delle garanzie costituzionali in tema di sequestro, previste dall’art. 21, 3° comma, Cost. 601 Gaetano Marcaccio analogamente la libertà di manifestazione del pensiero, intesa come libertà di pensare, agire, opporsi alle idee di maggioranza senza accettarle acriticamente, accompagna l’individuo nel suo percorso di sviluppo. Quest’ultima gode, poi, di un ulteriore profilo di pubblicità. È la base per la costruzione di una società democratica, peculiarità che, unita alla sua natura generale, sposta gradualmente l’attenzione su di essa, accrescendo l’autonomizzazione delle due libertà, senza eliminare il loro rapporto di collegamento, e ponendo le basi di un possibile conflitto e la necessità di un loro coordinamento. 3. I limiti alle due libertà. Le conseguenze sul rapporto che lega libertà di espressione e di religione Il breve excursus storico-giuridico mostra come le libertà di espressione e di religione acquistano una consapevolezza pubblica sempre più diffusa, tangibile nell’estensione contenutistica e nella posizione di primazia occupata nel quadro normativo odierno. La loro malleabilità fa sì che non rimangano immutate ma sappiano rispondere alle esigenze contingenti ed alle evoluzioni storico-sociali. Le Carte internazionali e nazionali, unite all’elaborazione dottrinaria, sviluppano questi temi, raffinandone la trattazione, arricchendone i contenuti ed i corollari, ma anche complicando il quadro giuridico-normativo in cui ci troviamo ad operare. Una questione particolarmente ostica è quella dei limiti entro i quali si muovono le libertà, problema spinoso che interroga gli studiosi tanto sulla legittimità di circoscrivere una libertà quanto sull’estensione di tale confine. In ordine alla prima questione, il liberalismo politico impedisce la proclamazione di libertà assolute ed illimitate, che possano spingersi ovunque, fino alla negazione dei diritti altrui38. In tal senso costante giurisprudenza costituzionale ita38 a. di Giovine, I confini della libertà di manifestazione del pensiero. Linee di riflessione teorica e profili di diritto comparato come premesse a uno studio sui reati d’opinione, Milano, 1988, p. 87, osserva: “se, dunque, in linea 602 Libertà di espressione e libertà di religione… liana riconosce la limitabilità dei diritti anche di rango costituzionale. Già nella sua prima sentenza (Corte cost., sent. 14 giugno 1956, n. 1), la Consulta afferma che “il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e che nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, poiché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile”. Precisa, però, che è possibile “limitare la libertà solo per quel tanto strettamente necessario a garantirla” (sent. 25 ottobre 1989, n. 487). Percorsi logici simili sono seguiti anche a livello sovranazionale39. Acquisita l’astratta legittimità dei limiti, non ci resta che affrontare la questione della loro estensione. Partendo dall’ordinamento sovranazionale regionale, la CEDU (artt. 9, 2° comma, e 10, 2° comma) individua un elenco ampio ma generico di motivazioni idonee a giustificare la restrizione delle libertà di religione e di espressione, mentre la Carta dei diritti fondamentali dell’UE richiama la clausola generale di cui all’art. 52, 1° comma, che consente di limitare ogni diritto in essa contenuto40. Le due Carte, solo apparentemente molto diverse, utilizzano in realtà la medesima tecnica giuridica, caratterizzata dalla vaghezza dei motivi che d’ipotesi, non sarebbe certo da rifiutare l’idea che i principi di libertà della teoria liberale abbiano subito la sorte forse inevitabile dei principi, di essere cioè piegati per salvaguardare determinati interessi, vero è piuttosto, in questo specifico caso, che una «religione della libertà» intesa come qualcosa di esclusivo, che non può venire a patti con altri valori, trova scarsa risonanza nel liberalismo politico: è stato al riguardo notato che in esso, «a differenza di quello filosofico, la libertà non è mai stata vista come “assenza di vincoli o limitazioni” all’agire individuale; tutt’al contrario, lungo una tradizione che va da Locke a Tocqueville, esso ha posto sempre l’accento su una visione, per così dire, “giuridica” della libertà, in quanto opportunità di agire consentita e protetta sia nei confronti dei singoli che dello Stato da precise garanzie e limitazioni sancite dalla legge”. Cfr. anche v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 117. 39 Cfr., tra le altre, Consiglio d’Europa, Risoluzione Freedom of expression and respect for religious beliefs, 28 giugno 2006, n. 1510; Consiglio d’Europa, Risoluzione Safeguarding human rights in relation to religion and belief and protecting religious communities from violence, 24 aprile 2013, n. 1928. 40 Cfr. m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., p. 93 ss. 603 Gaetano Marcaccio giustificano la restrizione, dalla grande discrezionalità lasciata al legislatore statale nell’individuazione concreta dei limiti e dalla fissazione delle stesse condizioni di legittimità della limitazione (previsione in una legge statale; rispetto del contenuto del diritto limitato; proporzionalità rispetto all’obiettivo; necessità della limitazione in una società democratica)41. L’ordinamento interno, invece, accomuna le libertà di religione e di manifestazione del pensiero nell’unico limite costituzionale espresso del buon costume, il quale però, nell’ambito della più estesa libertà religiosa, si applica alla sola libertà di culto. Per costante dottrina e giurisprudenza, il buon costume è identificato in entrambe le disposizioni con la morale sessuale42 41 Cfr. m. oroFino, La tutela del sentimento religioso altrui come limite alla libertà di espressione, op. cit., p. 11 ss. 42 La giurisprudenza costituzionale costante definisce chiaramente il buon costume di cui all’art. 21. È ragionevole ritenere che le stesse considerazioni si estendono anche all’art. 19; cfr. C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 152 ss. Ciò posto, “per costante orientamento della giurisprudenza e della dottrina, il concetto di buon costume, contenuto nell’art. 21 della Costituzione come limite alla libertà di manifestazione del proprio pensiero, si riferisce soltanto alla sfera sessuale”, Corte cost., sent. 27 luglio 1992, n. 368. Cfr. Corte cost., sent. 19 febbraio 1965, n. 9; Corte cost., sent. 16 dicembre 1970, n. 191; Cass. pen., sez. III, sent. 11 dicembre 2008, n. 10535. In dottrina, r. Pinardi, Istituzioni di diritto. Parte prima. Elementi di diritto pubblico, Torino, 2003, p. 191: “la nozione di buon costume utilizzata dalla Costituzione è assai simile a quella impiegata nel diritto penale, avendo quindi a che fare con la tutela del cosiddetto “comune senso del pudore” in relazione alla (specifica) sfera sessuale”. Cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., p. 3577; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 115 ss.; n. zanon (a cura di), Nozioni di diritto costituzionale, op. cit., p. 262; P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 470; G. de verGottini, Diritto costituzionale, op. cit., p. 341; F. FraCCHia (a cura di), Manuale di diritto pubblico, op. cit., p. 114; a. viGnudelli, Diritto costituzionale, op. cit., p. 528; G. Guzzetta - F.S. marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, op. cit., p. 675; v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 121; F. Politi, Diritto pubblico, op. cit., p. 405; G.u. reSCiGno, Corso di diritto pubblico, op. cit., p. 620; r. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, op. cit.; G.P. iariCCi, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 77-78, nt. 57; m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., p. 147. 604 Libertà di espressione e libertà di religione… ed è clausola generale che si presta ad un’interpretazione mutevole al variare delle evoluzioni socio-culturali43. Ad esso se ne affiancano altri, di natura implicita. Infatti “la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nell’esigenza che, attraverso l’esercizio di essi non vengano sacrificati beni ugualmente garantiti dalla Costituzione”44, e così in relazione alla libertà di manifestazione del pensiero, la giurisprudenza della Corte costituzionale osserva che “la previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata ed illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione”45. Alcune restri43 Il pudore, la morale, il buon costume ed il comune sentimento, sono “concetti diffusi e generalmente compresi, sebbene non suscettibili di una categorica definizione”; infatti, il costume “varia notevolmente secondo le condizioni storiche d’ambiente e di cultura”, Corte cost., sent. 16 dicembre 1970, n. 191. 44 Corte cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19. In altre pronunce la Consulta parla addirittura di esistenza di “limiti naturali alla espansione di qualsiasi diritto” (Corte cost., sent. 14 aprile 1965, n. 25) e di “necessità di tutelare beni diversi, che siano parimenti garantiti dalla Costituzione” (Corte cost., sent. 30 gennaio 1974, n. 20). Questi limiti ulteriori sono definiti impliciti tanto dalla giurisprudenza costituzionale (tra le altre Corte cost., sent. 30 gennaio 1974, n. 20) quanto dalla dottrina (cfr. C. ColaPietro, Le libertà individuali, op. cit.; t. martineS, Diritto costituzionale, op. cit.; a. di mario, Eguaglianza tra le opinioni politiche, op. cit.; l. mezzetti, Manuale breve, op. cit..; v. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit.; G.u. reSCiGno, Corso di diritto pubblico, op. cit.; i. niCotra, Diritto pubblico e costituzionale, op. cit.; m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit.; m. doGliani - i. maSSa Pinto, Elementi di diritto costituzionale, op. cit.). I limiti impliciti sono riconosciuti da anni, tant’è che già la dottrina degli anni ’70 affermava che “la libertà di pensiero è contenuta entro i limiti che valgono ad impedirne gli abusi”, a. teSauro, Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, II ed., Torino, 1972, p. 425, e che la libertà di manifestazione del pensiero “non ammette altri limiti che quelli indicati nel corpo dello stesso art. 21 o che possono direttamente desumersi da altre norme costituzionali”, P. Barile, Istituzioni di diritto pubblico, III ed., Padova, 1978, p. 515. 45 Corte cost., sent. 27 marzo 1974, n. 86. Cfr. Corte cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19; Corte cost., sent. 14 aprile 1965, n. 25; Corte cost., sent. 6 luglio 1966, n. 87; Corte cost., sent. 11 luglio 1966, n. 100; Corte cost., sent. 29 605 Gaetano Marcaccio zioni originano dal rispetto dei c.d. diritti della personalità46, tra cui il diritto all’integrità fisica, a quella morale (l’onore e la reputazione)47, il diritto al nome48, all’immagine49, all’identità sessuale50, alla riservatezza51 e il diritto d’autore, “nei suoi dicembre 1972, n. 199; Corte cost., sent. 27 febbraio 1973, n. 15; Corte cost., sent. 27 febbraio 1973, n. 16; Corte cost., sent. 16 luglio 1973, n. 133; Corte cost., sent. 30 gennaio 1974, n. 20. 46 I diritti della personalità “mirano a tutelare e a realizzare i fini dell’art. 2 affermati anche negli artt. 3, secondo comma, e 13, primo comma” (Corte cost., sent. 12 aprile 1973, n. 38) e sono fondamentali perché indisponibili, irrinunciabili ed imprescrittibili. Quali “patrimonio irretrattabile della persona umana” (Corte cost., sent. 26 luglio 1979, n. 98; Corte cost., sent. 3 febbraio 1994, n. 13; Corte cost., sent. 23 luglio 1996, n. 297), “non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione” (Cass. civ., sez. III, sent. 10 maggio 2001, n. 6507). 47 Corte cost., sent. 27 marzo 1974, n. 86, prende in considerazione “l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione)”. Cfr. anche Corte cost., sent. 27 febbraio 1973, n. 15: “un limite implicito […] può essere ravvisato nel generale principio del neminem laedere in virtù del quale non è mai lecito ingiuriare, diffamare, oltraggiare o calunniare”. L’estensione del concetto di onore fa sì che “nella giurisprudenza della Corte anche la reputazione delle singole aziende costituisce un limite alla libertà di pensiero […]: sent. n. 73/1983”, m. ainiS, Libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, in a. PizzoruSSo - r. romBoli - a. ruGGeri - a. Saitta - G. SilveStri (a cura di), Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale: dottorato di ricerca in Giustizia costituzionale: Lipari, 1-2 ottobre 2004, Milano, 2005, p. 30. Sul limite dell’integrità morale, cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., pp. 3577-3578; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 118. 48 Tra le altre, Corte cost., sent. 11 febbraio 1988, n. 176; Corte cost., sent. 3 febbraio 1994, n. 13; Corte cost., sent. 23 luglio 1996, n. 297; Corte cost., sent. 28 novembre 2002, n. 494. 49 Tra le altre, Corte cost., sent. 6 luglio 1970, n. 120; Corte cost., sent. 12 aprile 1973, n. 38. Nella seconda si legge testualmente: “la tutela dei diritti sulla propria immagine, su quelle dei genitori, dei coniugi e dei figli […] non trova ostacolo nel precetto costituzionale di cui all’art. 21 della Costituzione e in particolare ai commi secondo e terzo”. 50 Questo diritto è stato “dapprima negato con sent. n. 98/1979, poi affermato con sent. n. 161/1985”, m. ainiS, Libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, op. cit., p. 31. 51 Tra le tante, Corte cost., sent. 12 aprile 1973, n. 38. Cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., p. 3579. 606 Libertà di espressione e libertà di religione… aspetti morali, anziché patrimoniali”52. Altri limiti sono scollegati dall’art. 2 Cost. ed attengono ad ordine pubblico53, sicurezza pubblica54, buon andamento nell’amministrazione della giustizia55, ordine e metodo democratico56, “protezione di varie forme di segreto, più o meno costituzionalmente giustificate, quali il segreto di Stato […], il segreto d’ufficio (art. 326 c.p.) ed il segreto professionale (art. 200 c.p.p.)”57. La previsione di limiti impliciti dimostra che è sempre possibile il contemperamento tra diritti contenuti nella Carta fondamentale perciò, in caso di contrasto tra libertà di manifestazione del pensiero ed altri beni di rilevanza costituzionale58, occorre “sempre, da parte del legislatore e dell’interprete, un giudizio di prevalenza del valore in concreto dei due interessi costituzionali che si trovano in contrasto. E tale giudizio dovrà rispettare un uni52 m. ainiS, Libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, op. cit., p. 27. 53 “La libertà di manifestazione del pensiero (come del resto questa Corte ha già avuto occasione di affermare nelle sentenze n. 1 del 1956, e nn. 33, 120 e 121 del 1957) incontra un limite nell’esigenza di prevenire o far cessare turbamenti dell’ordine pubblico”, ossia dell’“ordine legale su cui poggia la convivenza sociale”, Corte cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19. Nella definizione di ordine pubblico la Consulta richiama Corte cost., sent. 23 giugno 1956, n. 2. In dottrina, cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., p. 3579. Tra le altre pronunce che annoverano l’ordine pubblico tra i limiti impliciti, Corte cost., sent. 14 giugno 1956, n. 1 (“è evidentemente da escludere che con l’enunciazione del diritto di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentite attività le quali turbino la tranquillità pubblica, ovvero abbia sottratta alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei reati”); Corte cost., sent. 26 gennaio 1957, n. 33; Corte cost., sent. 8 luglio 1957, n. 120; Corte cost., sent. 8 luglio 1957, n. 121; Corte cost., sent. 29 dicembre 1972, n. 199; Corte cost., sent. 27 febbraio 1973, n. 15. 54 “Intesa quale protezione dei cittadini da ogni violenza attuale o potenziale”, Corte cost., sent. 29 dicembre 1972, n. 199. 55 Tra le altre, Corte cost., sent. 14 aprile 1965, n. 25; Corte cost., sent. 10 marzo 1966, n. 18. Cfr. S. CaSSeSe (diretto da), voce “Manifestazione del pensiero”, op. cit., pp. 3578-3579. 56 Tra le altre, Corte cost., sent. 6 luglio 1966, n. 87. 57 C. ColaPietro, Le libertà individuali, op. cit., pp. 581-582. 58 Tra i beni di rilevanza costituzionale sono ricompresi anche quelli che non trovano “espresso riconoscimento in disposizioni costituzionali, purché […] riconducibili a principi sanciti in apicibus”, C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 18. 607 Gaetano Marcaccio co canone, ma di difficile applicazione: quello della ragionevolezza (in tal senso, sia pure cautamente, Corte costituzionale n. 20/1974, 86/1976, 290/1974)”59. Limiti legislativi ulteriori rispetto al buon costume sussistono anche per la libertà di culto. Barriera insormontabile è la legge penale, che vieta rituali e pratiche aberranti o comunque illecite mediante le disposizioni in tema di lesioni personali, violenza sessuale, disturbo della quiete pubblica, maltrattamento di animali, ecc. Ad essa si affiancano norme di varia natura che disciplinano modalità e tempi dei riti, soprattutto se celebrati pubblicamente, necessarie a rispettare esigenze di urbanistica, viabilità, quiete e sicurezza pubblica60. 59 P. Barile, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 516 e P. Barile - e. CHeli - S. GraSSi, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 501. Cfr. P. Caretti - u. de Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 470; V. onida - m. Pedrazza Gorlero, Compendio di diritto costituzionale, op. cit., p. 121. Certa dottrina critica l’operato della Consulta e lo fa sotto più profili. Alcuni osteggiano l’individuazione di limiti ulteriori e diversi rispetto all’unico previsto dal costituente. Tra essi, in passato, C. eSPoSito, il quale si opponeva all’inserimento dell’ordine pubblico tra i limiti impliciti all’art. 21, rilevando che in tutti gli altri casi in cui il costituente aveva voluto dare all’ordine pubblico il potere di limitare un diritto, lo aveva fatto espressamente; attualmente, m. ainiS, il quale critica le limitazioni derivanti dalla tutela dei diritti della personalità, sostenendo che “questa giurisprudenza costituzionale dà luogo ad un paradosso. Difatti se i diritti della personalità proteggono un bene che non si colloca al di fuori della persona bensì nella persona stessa, nell’individualità fisica o nell’esperienza morale e civile di ciascuno (P. Rescigno), ne deriva che la stessa libertà di manifestazione del pensiero dovrebbe costituire il primo – e forse il più importante – diritto della personalità. Sicché restringere i confini in nome di un’esigenza di tutela rivolta, per l’appunto, alla personalità, è un po’ come tirarsi un calcio da se stessi”, m. ainiS, Libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, op. cit., p. 29. Altri non approvano, invece, il modus operandi della Consulta per l’individuazione dei limiti impliciti. In particolare, i giudici costituzionali operano casisticamente, evitando “di formulare regole generali e astratte che possano in futuro estendersi ai nuovi casi di conflitto, e sviluppando viceversa una giurisprudenza frammentata, instabile, episodica. Una giurisprudenza delle mani libere, per così dire, che ogni volta trae partito dalla specifica questione sottoposta al vaglio della Corte, senza estrarne standard o canoni o principi”, ivi, pp. 31-32. 60 Per svolgere riti religiosi in luoghi pubblici (es. processioni, riti in grandi stadi, ecc.) è necessaria la comunicazione alla competente autorità amministrativa la quale, verificato il rispetto delle norme poste a tutela delle esigenze elencate, ne autorizzerà la celebrazione. 608 Libertà di espressione e libertà di religione… La maturata consapevolezza della connaturalità del concetto di limite alla dialettica dei diritti, unita alla previsione di limiti impliciti, produce momenti di frizione tra le libertà di espressione e di religione, le quali si scontrano oggi a viso aperto sulla questione della libertà di manifestazione del pensiero religioso, tema di attualità tra i più accesi. La politica, la società civile, la dottrina si interrogano in modo crescente sulla limitabilità della libertà di cui all’art. 21 al fine di proteggere la religione o il sentimento religioso ed aprono il dibattito tanto sulla legittimità costituzionale quanto sull’estensione di questi vincoli. La questione è spinosa. Alla base c’è una delicata operazione di bilanciamento tra due libertà, di pensiero e di religione, che “costituiscono il cardine del “modello democratico” delle relazioni fra persone fisiche, soggetti collettivi e istituzioni repubblicane”61, pertanto qualsiasi squilibrio a favore dell’una o dell’altra risulterebbe ingiustificabile ed eccessivo. Oggigiorno la ricerca di una soluzione soddisfacente è peraltro complicata dal multiculturalismo, fenomeno che scalfisce in più campi gli equilibri giuridici raggiunti. La creazione di una società multiculturale porta con sé nuove esigenze e nuove istanze di tutela, che chiamano l’Occidente a ripensare alcuni approdi giuridico-normativi ritenuti fino a qualche decennio fa indiscutibili ed inemendabili. La possibilità di una revisione delle nostre categorie giuridiche costituisce il punto di maggior scontro tra culture ed una delle interferenze più intense attiene proprio alla definizione del rapporto tra libertà di espressione e di religione. La difficoltà dell’argomento rende opportuno procedere per gradi. Preliminarmente si esaminerà la concreta estensione della libertà di espressione religiosa nel problematico corollario della critica, successivamente si valuterà la legittimità e l’opportunità di limiti alla libertà di cui all’art. 21 Cost. in nome della tutela delle religioni o del sentimento religioso, si 61 v. tozzi, Cosa intendo per “Disciplina democratica della libertà di pensiero e di religione”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 14 del 2014, p. 2. 609 Gaetano Marcaccio tratterà poi della satira religiosa e delle esigenze di rispetto per la “religiosità” e l’identità religiosa altrui. 4. Alla ricerca di un equilibrio tra le due libertà. La critica Il rapporto tra le libertà di espressione e di religione vive oggi il suo punto di maggior scontro nella ricerca del giusto equilibrio tra manifestazione del pensiero, in particolare critico o satirico, e appartenenza religiosa e religiosità altrui. Il diritto di critica religiosa è un corollario della libertà di espressione che presenta, però, maggiori difficoltà di bilanciamento rispetto alla semplice manifestazione “asettica” del proprio pensiero. Un ordinamento democratico necessita del confronto di opinioni62, che può ritenersi completo ed effettivo soltanto se consente l’espressione di idee difformi da quelle dominanti, pena la mera formalità della libertà di manifestazione del pensiero; il raggiungimento di tale completezza ha nel diritto di critica un passaggio fondamentale63. Questa modalità espressiva si sostanzia “in un’attività eminentemente valutativa, in un dissenso, o in un consenso, per lo più ragionato rispetto alle opinioni o alle condotte altrui, e, sotto il profilo intrinseco, si con62 Sull’importanza della libertà di manifestazione del pensiero per la democrazia, si richiama il pensiero di J.S. mill: “Crediamo che una delle chiavi etiche per delineare un modello di “libertà di espressione democratica” affondi le sue radici nel rispetto delle differenze. Rispetto delle differenze non significa indifferenza, ma una propensione al riconoscimento delle posizioni differenti per ampliare lo spettro delle opinioni nel dibattito pubblico”, J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 155. Cfr. Consiglio d’Europa, Risoluzione 28 giugno 2006, n. 1510, cit.; Consiglio d’Europa, Raccomandazione Blasphemy, religious insults and hate speech against persons on grounds of their religion, 29 giugno 2007, n. 1805; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 112; G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica nell’attività giornalistica: profili di diritto dell’informazione, Milano, 2013, p. 47. 63 Cfr. J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 154 ss.; v. Pezzella, La diffamazione, Lavis (TN), 2009, p. 483 ss.; G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 43 ss. 610 Libertà di espressione e libertà di religione… figura come un’analisi di eventi, condotte, fenomeni, allo scopo di apprezzarne l’intimo significato e le conseguenze che siano a questi causalmente riconducibili”64. In quanto manifestazione ragionata di un giudizio di valore, la critica rivolta ad una religione o ad un sentimento religioso può suscitare lo sdegno del fedele. Questo perché, diversamente dalle idee politiche, artistiche e filosofiche, quelle religiose non sono il frutto di un’attività conoscitiva e di apprendimento; ad esse si accede senza riserve. Ciò rende il credente meno disposto ad ascoltare critiche, discutere o confrontarsi con altre convinzioni religiose per giungere a soluzioni condivise e migliori, come avviene in altri campi. La religione è una verità assoluta ed inconfutabile, pertanto “l’attacco ideologico al portato religioso viene avvertito […] dal fedele come uno svilimento del Verbo, e non come un’occasione di critica e di riflessione” 65. Ciò premesso, nonostante la critica religiosa possa essere percepita come un affronto irreparabile, nessuna sua limitazione aprioristica ed assoluta può ritenersi legittima, essendo tale attività espressiva tutelata contemporaneamente dagli artt. 19 e 21 Cost.66. Persino in epoca fascista, periodo caratte- 64 G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., pp. 43- 44. 65 v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 127. J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., pp. 157-158: “crediamo di poter affermare che la libertà di espressione non debba avere alcun limite religioso. Il fatto che le persone possano esprimere le proprie credenze senza incorrere in un atto blasfemo è stato la conquista della nostra cultura occidentale. La libertà di espressione protegge addirittura le critiche più estreme che si possono fare alle idee religiose e al dominio che il potere pretende di esercitare sui popoli per il suo tramite”. Cfr. anche v. Pezzella, La diffamazione, op. cit. Parimenti emblematiche sono due frasi di Salman Rushdie, autore dei Versetti satanici, riportate in r. aBel, La parola e il rispetto, Milano, 1996: “mi sembra del tutto legittimo che si possa dissentire dall’ortodossia, non solo riguardo all’Islam, ma riguardo a qualunque altra cosa… il dubbio, mi sembra, è la condizione centrale dell’essere umano nel ventesimo secolo” (p. 19) e “non esistono argomenti vietati, compreso Dio e compresi i profeti” (p. 16). Seppur riferito alla satira, cfr. anche n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, in n. Fiorita - d. loPrieno (a cura di), La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società mul66 611 Gaetano Marcaccio rizzato da un legame speciale tra lo Stato e la confessione cattolica, la legge sui culti ammessi garantiva, quantomeno formalmente, la piena libertà di discussione in materia religiosa, rendendo addirittura possibile esprimersi criticamente nei confronti del cattolicesimo67. Con l’ordinamento repubblicano la critica religiosa acquista nuova linfa; non registra più la carenza di effettività sostanziale degli anni mussoliniani, dovuta all’originaria formulazione degli artt. 402 ss. c.p., scritti ad esclusivo vantaggio della religione di Stato. La Costituzione del 1948 pone la libertà di manifestazione del pensiero in una posizione centralissima, spingendo alcuni a considerarla addirittura sovraordinata a qualsiasi altro diritto68. Ma vi è di più. ticulturali, Firenze, 2009, p. 28 ss. In giurispr., Cass. civ., sez. III, sent. 31 marzo 2006, n. 7605: “deve escludersi […] che il diritto di cronaca – e di critica – non possa essere esercitato allorquando esso venga a collidere […] con l’altrui sfera di libertà religiosa, giacché l’ampia formulazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero, riconosciuto dall’art. 21 Cost., non tollera siffatta limitazione”. Altra dottrina, invece, parte dall’assunto che ogni critica deve essere motivata e che molte religioni sono basate su precetti rivelati, non razionalmente spiegabili, pertanto afferma che parlare di critica religiosa “sembra una patente contraddizione”, m. Fumo, La diffamazione mediatica, Torino, 2012, p. 255. Cfr. Consiglio d’Europa, Raccomandazione 29 giugno 2007, n. 1805, cit. 67 Ex art. 5 della legge 24 giugno 1929, n. 1159: “la discussione in materia religiosa è pienamente libera”, disposizione che riprende l’art. 2 della legge delle guarentigie del 1871 (“la discussione sulle materie religiose è pienamente libera”). In verità, la formulazione apparentemente ampia è ridimenzionata in concreto tanto dalle norme del codice Rocco sui reati di opinione (artt. 402406 c.p.), scritte ad esclusivo vantaggio della religione di Stato, quanto dall’interpretazione restrittiva di dottrina e giurisprudenza. 68 Emblematica è l’espressione “senza dibattito non c’è democrazia” di J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 155. Cfr. m. ainiS, Libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, op. cit., p. 29; n. CaneStrini, Diritti fondamentali e autorizzazioni di polizia. Il rischio della limitazione del diritto di libera manifestazione del pensiero nell’applicazione dell’articolo 18 del T.U.L.P.S., in Diritto di critica. Rivista dell’Associazione giuristi democratici, n. 2, anno 2, San Felice a Cancello (CE), ottobre 2006, p. 49. Il primo afferma che la libertà di manifestazione del pensiero “dovrebbe costituire il primo – e forse il più importante – diritto della personalità”; il secondo definisce tale libertà come “condizione preliminare e presupposto insopprimibile per l’attuazione ad ogni livello della forma propria dello Stato democratico”. 612 Libertà di espressione e libertà di religione… Precludere in modo assoluto la libertà di manifestazione del pensiero e di critica in nome della religione realizzerebbe un inaccettabile capovolgimento di valori costituzionali basato su un’interpretazione distorta e capziosa della libertà di religione, la quale, mutando essenza, dovrebbe trasformarsi in un ostacolo valido ed insormontabile all’esercizio dei diritti e delle libertà di cui all’art. 21. Al contrario, la libertà religiosa ha tra i suoi corollari la libertà di coscienza, che dà pari dignità costituzionale ad ogni scelta spirituale individuale, anche di non-religione69, e quella di propaganda, che ormai da decenni è riconosciuta anche ai movimenti atei ed agnostici. Questi corollari verrebbero posti nel nulla dalla previsione di una limitazione assoluta della libertà di espressione religiosa. Così facendo, innanzitutto si regredirebbe all’impostazione giurisprudenziale degli anni Cinquanta, che ritiene l’ateismo irrilevante e lecito precludendogli la propaganda, in secondo luogo si comprimerebbe la libertà di coscienza e di autodeterminazione del singolo, irrimediabilmente condizionato nelle sue scelte religiose da una siffatta normativa. L’estensione del diritto di critica non potrà essere intaccata in via assoluta nemmeno quando l’oratore è un personaggio di rilevanza pubblica, le cui opinioni hanno maggior eco rispetto a quelle del quisque de populo in ragione del ruolo ricoperto nella società. L’unica eccezione a tale regola nasce nello stesso principio di laicità, e precisamente dal corollario dell’autonomia tra affari statali e confessionali70, che preclude ai soli personaggi pubblici statali (parlamentari, Ministri, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, ecc.) di esprimere, 69 La libertà di coscienza e di autodeterminazione “è la facoltà spettante all’individuo di credere a quello che più gli piace o di non credere, se più gli piace, a nulla”, F. ruFFini, La libertà religiosa. Storia dell’idea, op. cit. “Entrambi questi approdi costituiscono riposte diverse al medesimo problema e alle stesse domande”, C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 144. 70 “Fra le tante decisioni della Corte costituzionale una specifica menzione merita la sentenza n. 421/1993, dove il principio di laicità viene, in materia di riserva di giurisdizione ecclesiastica, espressamente ricollegato all’estraneità per lo Stato dell’elemento religioso, cioè alla distinzione fra ordine spirituale e ordine temporale (art. 7, comma 1, Cost.)”, r. CoPPola, op. cit., p. 4. 613 Gaetano Marcaccio in veste istituzionale, “giudizi di valore sugli usi, le pratiche ed i precetti di questo o quel culto”71. Tuttavia, è bene distinguere tra liceità ed opportunità politica. Il soggetto pubblico non deve mai sottovalutare la maggior risonanza e dirompenza sociale delle sue affermazioni, elementi che fanno auspicare un atteggiamento misurato ed un linguaggio equilibrato nell’esternazione di giudizi in materia religiosa, così da non dare adito ad equivoci. Sarebbe un grande errore sottovalutare il modo in cui il credente avverte la critica alla propria fede, tanto più se attaccata irreparabilmente da espressioni non equilibrate, con un’eco sociale considerevole e magari diffuse da una stampa poco accorta e rispettosa della completezza e veridicità delle dichiarazioni rese. Emblematica è la reazione violenta72, non certamente giustificabile, del mondo musulmano al discorso tenuto da Papa Benedetto XVI all’Università di Ratisbona73. Disquisendo sul rapporto ragione-religione, il Pontefice cita Manuele II Paleologo nella parte in cui l’imperatore bizantino chiede al suo interlocutore “mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”74. Decon- 71 C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 11. La reazione culmina addirittura con l’assassinio di suor Leonella Sgorbati, missionaria operante a Mogadiscio, in ritorsione alla lezione tenuta in Germania. Le altre sono di minore intensità; tra esse, proteste di piazza, minacce di morte a Benedetto XVI, assedi, incendi di edifici di culto cattolici. 73 Il riferimento è alla Lectio magistralis Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni del 12 settembre 2006, il cui testo integrale è disponibile in www.vatican.va. 74 Il passo citato è tratto da un’opera scritta probabilmente tra il 1394 ed il 1402 dall’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, la quale è la trasposizione di un dialogo su cristianesimo ed islam tra l’autore ed un persiano colto. 72 614 Libertà di espressione e libertà di religione… testualizzata75 e strumentalizzata dai media islamici76, la citazione ha sollevato un dibattito sulla sua opportunità, aprendosi a differenti valutazioni dottrinarie77. L’art. 21 Cost. tutela anche la critica esercitata con mezzi di comunicazione di massa ancorché, in tal caso, i limiti risultino più stringenti per via della pubblicità e della distribuzione capillare del messaggio. Tutto ciò si riflette sull’eventuale processo penale instaurato per presunto uso improprio della libertà di critica mass-mediatica. Vi sarà liceità dell’esercizio al ricorrere dei requisiti giurisprudenziali78 della verità almeno putativa del fatto79, dell’interesse alla divulgazione dell’o75 La frase incriminata fa parte di un discorso molto più ampio, dal quale viene estrapolata con troppa facilità e frettolosità. La decontestualizzazione comporta la perdita del nesso inscindibile tra il passo ed il discorso papale che, analizzato nel suo insieme, evidenzia l’assenza di un’adesione esplicita del Pontefice alle tesi di Manuele II Paleologo. L’estrapolazione stravolge anche il fatto in sé, la cui valutazione non può prescindere dal contesto peculiare in cui la frase viene pronunciata. Benedetto XVI tiene una lectio magistralis in una facoltà di teologia; si rivolge, quindi, a tecnici della materia, abituati a disquisire della religione con un approccio critico. Di qui la drastica riduzione dell’offensività. L’operazione di decontestualizzazione è osteggiata anche dalla Commissione europea che, tramite il suo portavoce Johannes Laitenberger, afferma: “in the Commission’s view, any reaction must be based on what was actually said and not on quotes being taken out of context. And even less on quotes being deliberately taken out of context”, dichiarazione tratta da Brussels defends Pope’s freedom of expression, in “ww.euobserver.com”. 76 In un discorso tenuto in Venezuela pochi giorni dopo la lectio magistralis, l’allora Presidente dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad, esprime le sue perplessità sulle modalità di diffusione nel mondo islamico delle informazioni riguardanti il discorso papale ed afferma: “è indubbio che c’è chi diffonde informazioni scorrette”. Cfr. Ahmadinejad frena: “Rispetto per il Papa”. Ratzinger: “Dal sangue alla speranza”, in www.repubblica.it. 77 Critica la scelta papale n. FaSCiano, Dell’impossibile incontro tra fede e ragione. Anatomia del discorso di Ratisbona, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), aprile 2007. 78 Tra le tante, Cass. civ., sez. I, sent. 18 ottobre 1984, n. 5259; Cass. civ., sez. I, sent. 7 febbraio 1996, n. 982; Cass. pen., sez. V, sent. 23 settembre 1997, n. 11663; Cass. pen., sez. V, sent. 14 febbraio 2002, n. 20474. In dottrina, cfr. G. Ballarani, Profili giuridici dell’informazione. Cronaca, critica e satira, in Giustizia civile, fasc. 10, 2007, p. 409 ss.; a. viGnudelli, Diritto costituzionale, op. cit., p. 523. 79 Sulla verità almeno putativa del fatto, Cass. civ., sez. I, sent. 5 maggio 1995, n. 4871; Cass. civ., sez. III, sent. 16 settembre 1996, n. 8284; Cass. 615 Gaetano Marcaccio pinione80 e della continenza, ossia la correttezza di linguaggio81. La loro contemporanea sussistenza permetterà l’applicazione della scriminante di cui all’art. 51 c.p. (“Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”), che è “ormai indiscutibilmente […] il punto di riferimento sistematico-codicistico dei diritti di cronaca e di critica”82. Nell’applicazione pratica, poi, la critica mediante mezzi di diffusione massificata pone problemi di contemperamento con altri beni, tra cui l’onore e la reputazione del soggetto a cui si rivolge83. Il terreno diventa particolarmente scivoloso nel campo della critica religiosa per “il rischio che un’afciv., sez. III, sent. 2 luglio 1997, n. 5947. Il requisito della rispondenza al vero è meno stringente nell’esercizio del diritto di critica rispetto a quello di cronaca. Questo perché, “data la prevalenza dell’aspetto valutativo, il giudizio critico non può essere ricondotto a canoni di verità rigorosamente oggettivi”, G. Ballarani, Profili giuridici dell’informazione, op. cit. È limitato “«alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e delle valutazioni espresse» (Cass., sez. 5^, 14 febbraio 2002, Trevisan, n. 221904); e comunque «deve essere esercitato nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, sicché restano ugualmente punibili le espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti» (Cass., sez. 5^, 18 febbraio 2002, Gutierres, n. 221684)”, Cass. pen., sez. V, sent. 16 marzo 2005, n. 13264. Cfr. G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 46 ss. Altra dottrina, evidenzia l’a., ritiene non necessario il requisito della rispondenza al vero nell’esercizio del diritto di critica; questo perché “mal si attanaglia all’espressione di un’opinione, che non è idonea ad essere accertata come vera o falsa, ma, al più, fondata o infondata, persuasiva o non persuasiva”, ivi, p. 49. 80 L’interesse pubblico alla divulgazione è la voglia di conoscere “quella interpretazione del fatto”, G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 54. 81 Tra le tante, Cass. civ., sez. III, sent. 4 luglio 2006, n. 15270; Trib. Mondovì, sez. pen., sent. 22 maggio 2007, n. 100. In dottrina, m. PSaro, La diffamazione a mezzo stampa. Profili di risarcimento del danno, Milano, 1998, p. 79 ss. In relazione a questo requisito, “la volontà diffamatoria può essere tratta dalla stessa obiettiva attitudine offensiva delle espressioni usate ovvero dal modo in cui le espressioni vengono utilizzate”, G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 44. 82 G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 56. Sull’operatività dell’art. 51 c.p., tra le altre, Cass. pen., sez. V, sent. 28 novembre 2005, n. 46864; Trib. Mondovì, sez. pen., sent. 22 maggio 2007, n. 100. 83 Si ammette “il pieno soddisfacimento dell’informazione nei limiti in cui esso non debordi oltre la necessità della efficace comunicazione”, G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 48. 616 Libertà di espressione e libertà di religione… fermazione mal interpretata possa essere ritenuta lesiva non solo dell’onore di un singolo, ma di un’intera comunità religiosa, con inevitabili ripercussioni nell’ambito delle relazioni internazionali”84. In tali casi si preferisce centralizzare il requisito della continenza espressiva, ritenendo sussistente l’illecito solo se “le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto allo scopo che il divulgatore (giornalista) risulta essersi prefissato”85, soluzione apprezzabile perché evita aprioristiche limitazioni nel contenuto, in totale armonia con i principi di uguaglianza, libertà religiosa e pluralismo espressivo. 5. (segue) I limiti alla libertà di critica “religiosa” Il quadro tracciato rimarca l’ampiezza della libertà di cui all’art. 21 Cost., supportata da quella giurisprudenza di legittimità per la quale la critica “può essere esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente”86. Va però considerata l’esistenza, sopra riconosciuta, di limiti impliciti alla libertà di espressione, che consentono un intervento limitativo del legislatore ordinario a garanzia di un valore religioso. Su tali basi, il legislatore penale italiano circoscrive la libertà di cui all’art. 21, in qualsiasi sua forma, punendo quelle opinioni da lui ritenute eccessive perché offensive delle religioni in genere (art. 724 c.p.) ovvero delle confessioni religiose (i c.d. 84 v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 550, il quale parla addirittura di terreno “minato”. 85 G. CataliSano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica, op. cit., p. 48. È necessario, quindi, un giudizio di proporzionalità. 86 Cass. civ., sez. III, sent. 31 marzo 2006, n. 7605. A simili conclusioni perviene indirettamente anche la Corte costituzionale la quale, in tema di vilipendio, afferma che esso “non si confonde né con la discussione su temi religiosi, così a livello scientifico come a livello divulgativo, né con la critica e la confutazione pur se vivacemente polemica; né con l’espressione di radicale dissenso da ogni concezione richiamantesi a valori religiosi trascendenti, in nome di ideologie immanentistiche o positivistiche o altre che siano”, Corte cost., sent. 8 luglio 1975, n. 188. 617 Gaetano Marcaccio reati di opinione87). La scelta di siffatte disposizioni speciali non è antitetica a quanto affermato in precedenza perché, come vedremo, non vieta la libertà di manifestazione del pensiero religioso tout-court ma punisce soltanto le derive ritenute offensive ed inaccettabili88. È poi pienamente lecita in quanto, in linea di teoria generale, norme penali speciali sono giustificate dal fatto che la libertà di espressione, “come in genere tutte le libertà civili, per un verso, costituisce fonte di legittimazione e condizione essenziale di vita e di crescita del sistema […]; per un altro, può rappresentare, se fruita in forme aggressive da quanti a quel sistema si contrappongono radicalmente, un potenziale pericolo per la sua stabilità o addirittura per i suoi valori di civiltà (è il caso, ad esempio, delle ideologie fondate sull’odio di razza)”89. Non resta quindi che approfondirne l’analisi. Non pone particolari problemi ermeneutici l’art. 724 c.p., che punisce “chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità”90. Al contrario, i c.d. 87 Il riferimento è agli artt. 403, 404 e 405 c.p. così come modificati dalla legge 24 febbraio 2006, n. 85. Cfr. G. dalla torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, op. cit., p. 77 ss. 88 “Rimangono escluse dalla garanzia di cui all’art. 21 Cost. le offese e contumelie fine a se stesse, che si traducono, contemporaneamente nelle offese al credente e nell’oltraggio ai valori etici in cui si sostanzia il fenomeno religioso oggettivamente riguardato”, r. lotierzo, Osservazioni Cass. pen. 24 ottobre 2006, n. 1725, in Cassazione penale, fasc. 1, 2008, p. 378 ss. 89 a. di Giovine, I confini della libertà di manifestazione del pensiero, op. cit., pp. 21-22. Anche la Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione (art. 24), approvata con Decreto del Ministero dell’Interno del 23 aprile 2007, afferma che “l’ordinamento […] proibisce l’offesa verso la religione e il sentimento religioso delle persone”. Sulla Carta dei valori, cfr. G. amato - C. Cardia, Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, in C. Cardia G. dalla torre (a cura di), Comunità islamiche in Italia. Identità e forme giuridiche, Torino, 2015, p. 597 ss. Altra dottrina critica tale documento, cfr. P. SiraCuSano, Vilipendio religioso e satira: “nuove” incriminazioni e “nuove” soluzioni giurisprudenziali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), luglio 2007, p. 7. 90 Con sentenza del 18 ottobre 1995, n. 440, la Corte costituzionale estende la tutela alle bestemmie contro qualsiasi Dio, parificando la posizione delle varie confessioni religiose. Sebbene lodevole nel merito, in quanto supera la precedente limitazione alla sola religione cattolica, l’intervento è censu- 618 Libertà di espressione e libertà di religione… reati di opinione, normati al capo I, titolo IV, libro II del codice penale (“Dei delitti contro le confessioni religiose”), sollevano vari interrogativi. Questi due gruppi di norme sono accomunati, però, dalla medesima questione di legittimità costituzionale, sostenendo alcuni la loro contrarietà al principio di laicità91. L’infondatezza dell’affermazione origina dal rinnovamento concettuale postbellico della laicità che “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”92. Ciò posto, è proprio tale principio a legittimare “una tutela penale paritaria di tutte le confessioni”93, la cui positivizzazione risiede nella discrezionalità legislativa. Tra i reati di opinione, gli artt. 403 e 404, 1° comma, c.p. contrastano l’uso smodato della libertà di manifestazione del pensiero, punendo rispettivamente le “offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone” e le “offese a una confessione religiosa mediante vilipendio [o danneggiamento]94 rabile nel metodo poiché la Consulta si sostituisce al legislatore e ne modifica l’intentio originaria. Cfr. C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 23 ss.; G. leziroli, La tutela penale della religione fra la Carta e la Corte, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2008, p. 24 ss. Il successivo intervento legislativo si limita alla mera depenalizzazione della fattispecie, punita ora con sanzione amministrativa pecuniaria. 91 Cfr. C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 29. 92 Corte cost., sent. 11 aprile 1989, n. 203. 93 G. CaSuSCelli, Appartenenze/credenze di fede e diritto penale: percorsi di laicità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), novembre 2008, p. 9. Cfr. a. Sereni, Sulla tutela penale della libertà religiosa, in Cassazione penale, fasc. 11, 2009, p. 4499B ss., secondo cui “il principio di laicità, espressione di una cultura saldamente secolarizzata, non implica affatto scelte drastiche di politica criminale nel senso della rinuncia alla leva penale”. Cfr. v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., pp. 5-6, il quale afferma che “la scelta del legislatore italiano sembra dunque chiara: l’esperienza religiosa dei consociati merita ancora oggi tutela contro le espressioni di vilipendio, e tale tutela deve essere attuata senza alcuna discriminazione fra confessioni religiose e tra credenti delle diverse confessioni religiose”. 94 La fattispecie di danneggiamento è disciplinata dall’art. 404, 2° comma, ma esula dal tema in esame. 619 Gaetano Marcaccio di cose”95. La finalità è disincentivare condotte espressive eccessive, inaccettabili e non meritevoli della tutela ex art. 21, mirando alla loro eliminazione o drastica riduzione. L’attuale formulazione è anche il frutto di numerosi interventi della Consulta96, che hanno aperto la strada alla riforma legislativa del 2006. La nuova disciplina eguaglia la tutela penale apprestata alle varie confessioni religiose ma non è priva di criticità. La tecnica legislativa adottata poggia su disposizioni ambigue, foriere di dubbi ermeneutici, che sollevano problemi di rispondenza al principio di precisione delle norme penali. Infatti, il legislatore sembra superare la fisiologica elasticità esegetica ed usa espressioni vaghe che rendono difficile un’interpretazione univoca e dividono la dottrina. Tra queste annoveriamo per indeterminatezza “chi professa la confessione religiosa”97 e “cose che formino oggetto di culto, o siano con95 Entrambe le disposizioni hanno dimensione plurioffensiva, tutelano in via principale la religione ed in via secondaria, rispettivamente, l’onore della persona e la cosa. La plurioffensività emerge in quanto la violazione si concretizza soltanto se vi è collegamento funzionale tra la persona o la cosa oggetto di offesa e la religione stessa. Cfr. v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 41; a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale. Esegesi di alcuni delitti sopravvissuti al ripensamento normativo in tema di reati di opinione, in d. Brunelli (a cura di), Diritto penale della libertà religiosa, op. cit, p. 93, questi ultimi limitatamente all’art. 403 c.p. La primazia della tutela accordata alla religione emerge indirettamente dal 2° comma dell’art. 404, il quale punisce anche l’offesa rivolta ad un oggetto privo di valore patrimoniale (es. ostia) oppure di proprietà dello stesso offensore. Cfr. d. Pulitanò, Spunti critici in tema di vilipendio della religione, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 1969; P. SiraCuSano, I delitti in materia di religione, Milano, 1983; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit.; F. BaSile, A cinque anni dalla riforma dei reati in materia di religione: un commento teorico-pratico degli artt. 403, 404 e 405 c.p., in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), maggio 2011, p. 16 e pp. 29-30. Nega la plurioffensività d. FalCinelli, Il valore penale del sentimento religioso, in d. Brunelli (a cura di), Diritto penale della libertà religiosa, op. cit., p. 44. 96 Cfr. C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 25 ss.; G. leziroli, La tutela penale della religione, op. cit. 97 Secondo la dottrina maggioritaria l’espressione si rivolge a “chiunque manifesti in qualsiasi forma l’appartenenza ad essa o partecipi, anche occasionalmente, a riti riservati ai fedeli”, a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale, op. cit., p. 77. Per la minoritaria, invece, 620 Libertà di espressione e libertà di religione… sacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto”98, per genericità i concetti di ministro di culto99 e di vilipendio100. Criticabile è anche la parzialità dell’intervenessa è estesa anche ad “una figura ideale di fedele […] ovvero […] un rappresentante storicamente esistito (profeta, santo, martire, fondatore della religione)”, d. FalCinelli, Il valore penale del sentimento religioso, op. cit., p. 54. Ad ogni modo, la formula utilizzata dal legislatore crea problemi ermeneutici di individuazione concreta dei soggetti rientranti nel concetto di “fedele”. Ciò per l’impossibilità di indagare l’intima adesione del singolo e per l’inattendibilità del criterio delle manifestazioni esterne di religiosità. Sul punto, basti pensare che alcuni culti, tra cui il cattolico, aprono le cerimonie religiose a chiunque. 98 I problemi esegetici posti dalle “cose che formino oggetto di culto” sono superabili guardando al “rapporto di relazione che deve intercorrere tra l’oggetto e la devozione popolare […]. Tutte le cose che siano concretamente oggetto di preghiera e di rispetto da parte di una comunità di fedeli, a prescindere da disposizioni ufficiali dell’autorità religiosa”, v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 47. 99 Parte della dottrina sostiene che è lo Stato ad individuare i ministri di culto “in virtù di richiami desumibili da convenzioni che per lo Stato assumono carattere vincolante”, a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale, op. cit., p. 79, quali le Intese. Così facendo, i ministri di culto delle confessioni senza Intesa o con un’Intesa che non fissi criteri d’individuazione dei ministri non godrebbero della tutela rinforzata di cui all’art. 403, 2° comma. È preferibile, quindi, guardare all’ordinamento confessionale ed alle funzioni concretamente svolte dal soggetto per qualificarlo o meno come ministro di culto. Anche quest’ultima impostazione non è esente da rischi, risultando vulnerabile dall’opportunismo di alcuni movimenti che, abusando della qualifica confessionale, perseguono fini differenti. Emblematico il caso degli abitanti di una cittadina americana che, fondata una confessione religiosa, si autoproclamavano tutti ministri di culto per godere dei vantaggi fiscali. Per approfondimenti in tema di ministri di culto, cfr. r. BeniGni, La qualifica di “ministro di culto” tra autoreferenzialità confessionale e discrezionalità amministrativa. Le Intese del XXI secolo ed i recenti pareri del Consiglio di Stato, nn. 2748/2009 e 561/2012, in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, n. 3, 2012, p. 1 ss. 100 La corretta definizione del vilipendio contrappone più scuole di pensiero. La difficoltà nel fissare un concetto univoco porta una parte della dottrina a sostenere l’incostituzionalità di tutte le disposizioni in tema di vilipendio perché contrarie al principio di precisione delle norme penali (art. 25, 2° comma, Cost.). La Consulta rigetta la tesi (Corte cost., sent. 30 gennaio 1974, n. 20) ed invita gli interpreti a condurre l’operazione ermeneutica riferendosi al comune sentire. Da tale premessa, alcuni sostengono che il vilipendio è un concetto normativo extragiuridico, definibile sulla scorta di norme sociali e di costume che mutano in relazione all’oggetto sul quale ricade l’offesa. La tesi 621 Gaetano Marcaccio to riformatore. La sua limitatezza disattende le aspettative di totale parificazione tra situazioni che, sebbene non completamente assimilabili tra loro, necessitano di un’uguale disciplina penale. In particolare, il riformatore accantona troppo frettolosamente la reale portata della libertà di coscienza e sceglie di tutelare esclusivamente il sentimento religioso collettivo101, non anche quello individuale. Ciò emerge tanto dal bene giuridico tutelato, le sole confessioni religiose102, quanto dalpecca per eccessiva indeterminatezza, indi la preferibilità della ricostruzione di altra dottrina, la quale giustifica le difficoltà definitorie con l’ambivalenza semantica che il vilipendio ha anche nel linguaggio comune. Nel comune sentire il termine vilipendio indica sia un semplice disprezzo sia una manifestazione di disprezzo mediante espressioni irrisorie. L’ambivalenza si ripercuote anche sulla giurisprudenza di legittimità, la quale talvolta ritiene sufficiente la semplice denigrazione, talaltra richiede altresì la finalità di scherno e derisione. Analogo dualismo per i giudici costituzionali; cfr., da un lato, Corte cost., sent. 30 gennaio 1974, n. 20, dall’altro, Corte cost., sent. 8 luglio 1975, n. 188. In breve, la duplicità di interpretazioni deriva dal doppio significato del termine vilipendio, il quale “si sostanzia in una manifestazione di disistima e disprezzo, che – soprattutto negli ultimi anni – parte della giurisprudenza ha ritenuto punibile solo se espressa in termini particolarmente grossolani, offensivi o volgari. Rimane dunque forte il dubbio che davvero gli artt. 403 e 404, 1° comma, pongano rilevanti problemi di compatibilità con il principio di precisione delle norme penali”, v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., pp. 64-65. 101 “Il sentimento religioso tutelato dai nuovi artt. 403 ss. parrebbe essere il solo sentimento collettivo, e segnatamente il sentimento religioso della pluralità di fedeli che si riconoscono in una determinata confessione religiosa”, F. BaSile, A cinque anni, op. cit., p. 15. Cfr. v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit.; G. CaSuSCelli, Appartenenze/credenze di fede e diritto penale, op. cit. 102 La nuova rubrica è intitolata “Dei delitti contro le confessioni religiose”. Un’importante questione interpretativa attiene all’individuazione del concetto di confessione religiosa, stante l’ “assenza nel nostro ordinamento di criteri legali precisi che definiscono la nozione di confessione religiosa”, F. BaSile, A cinque anni, op. cit., p. 8. Per sopperire a tale mancanza, nel tempo la dottrina ecclesiasticistica elabora più regole ermeneutiche, che vanno dalla quantitativa alla sociologica, dalla storica alla psicologica, fino a quella che guarda alla progettualità della confessione. Analogamente la giurisprudenza elabora vari criteri, molto spesso non esenti da critiche. Da qui la diffusione di orientamenti a sostegno dell’impossibilità di tracciare confini certi della religiosità; cfr. Cass. pen., sez. VI, sent. 8 ottobre 1997, n. 1329. Per superare l’impasse, nonostante il principio di non ingerenza tra affari statali e religiosi, parte della dottrina spinge per l’elaborazione di “una nozione convenziona- 622 Libertà di espressione e libertà di religione… la persistente utilizzazione di un linguaggio confessionista103. Gli effetti della scelta si ripercuotono sui beneficiari della tutela penale dalle aggressioni vilipendiose, escludendo i movimenti religiosi di nuova formazione e quelli atei ed agnostici104. I primi vengono privati della protezione penale proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno, presentando una maggiore vulnerabilità connessa alla loro recente formazione; i secondi, ancorché non possano vantare un’integrale assimilazione alle religioni, hanno diritto alle medesime garanzie penali contro le offese subite105. La circoscrizione dell’ambito soggettivo avvenuta nel 2006 mette in crisi la libertà religiosa, ed in particolare il corollario della libertà di coscienza del singolo, che potrebbe essere condizionato a non aderire ad un movimento, sia esso nuovo o areligioso, totalmente ignorato dal legislatore penale. Contrasta poi con il principio di libera manifestazione del pensiero, prevedendone una diversa estensione in situazioni uguali, e con la laicità, che giustifica norme penali a tutela della religione purché egualmente estese ad ogni idea religiosa, anche aconfessionale. Questi vulnera possono essere superati solo con un intervento organico che abroghi le norme, a tutto van- le di religione al solo fine di ricollegare ad essa concrete conseguenze giuridiche in sede, per esempio, di tutela penale del fenomeno religioso o di riconoscimento della personalità giuridica”, v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 69. 103 Il riferimento è ai termini “confessione religiosa; chi la professa; ministro di culto; cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto; funzioni, cerimonie o pratiche religiose”, v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 72. Per approfondire la “matrice «confessionista»” della terminologia, ivi, p. 74. 104 Le disposizioni riformate, “benché rivisitate ed epurate delle discriminazioni più evidenti, restano in vita come norme che proteggono penalmente la scelta religiosa «positiva»”, S. BonFiGlio, Art. 405 c.p.: il delitto di «turbatio sacrorum» nel nuovo scenario della tutela penale, come novellato dalla l. n. 85/2006, in d. Brunelli (a cura di), Diritto penale della libertà religiosa, op. cit., p. 111. 105 Sulla necessità di estendere la tutela anche alle visioni del mondo agnostiche, cfr. n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, op. cit., p. 33. 623 Gaetano Marcaccio taggio delle disposizioni di diritto penale generale106, oppure le estenda anche ai soggetti che ora sono privi di tutela, superando altresì l’attuale terminologia confessionista107. La scelta tra l’una o l’altra opzione108 rientra nelle decisioni di politica del diritto e nella discrezionalità del legislatore; tuttavia preme sottolineare il bisogno di una normativa penale rispettosa dell’art. 3 Cost. e del principio di laicità, che tuteli con la stessa intensità soggetti che hanno uguale diritto a non essere offesi. Oltre a quelle penali, la critica religiosa subisce altre restrizioni legate alle richieste di risarcimento del danno causato dall’opinione espressa, domande proponibili tanto dalla parte civile costituita nel procedimento penale quanto dall’attore di un autonomo giudizio civile, le quali possono esporre ad esborsi pecuniari rilevanti che sostanziano, come vedremo, un forte limite indiretto alla libertà di espressione. Il codice di rito penale del 1988 abbandona, come è noto, il c.d. principio dell’unità della giurisdizione, per il quale sussiste un’interdipendenza tra giudizi penali e civili relativi alla medesima vicenda a tutto vantaggio dei primi, ed abbraccia il c.d. doppio binario, garante dell’indipendenza tra i due giu- 106 Tale soluzione è sostenuta da a. Sereni, Sulla tutela penale della libertà religiosa, op. cit.; a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale, op. cit. L’eliminazione delle norme del capo I, titolo IV, libro II del codice penale necessita di un intervento radicale, non di mera espunzione. Ad esempio, l’abrogazione del c.d. vilipendio reale di cui all’art. 404, 2° comma, espanderebbe la portata dell’art. 635 c.p., che disciplina il danneggiamento. Questa norma prevede un aggravio di pena in caso di azione rivolta contro un edificio destinato “all’esercizio di un culto” (n. 3), riferimento che dovrebbe essere eliminato per evitare incongruenze. 107 L’elaborazione di disposizioni speciali onnicomprensive, basate su un linguaggio neutro, non-confessionale, in grado di tutelare il sentimento religioso di ognuno, indipendentemente dalla propria scelta, è soluzione sostenuta da v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 70. 108 Sull’alternativa tra i due modelli, m.a. BiSaCCi, Religione e diritto penale: una indagine comparativa, in d. Brunelli (a cura di), Diritto penale della libertà religiosa, op. cit., p. 142; a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale, op. cit. 624 Libertà di espressione e libertà di religione… dizi109. Si autorizza così la proposizione di autonome domande risarcitorie in sede civile del danno, patrimoniale o meno, causato da un astratto fatto di reato, potendo questo giudice accertarne incidentalmente la commissione. Lo strumento è usato sempre più frequentemente in ragione della scarsa tutela della vittima in sede penale e degli indubbi vantaggi processuali per l’attore civile in termini di prescrizione110 e di oneri probatori111; il ricorso al giudice civile attualmente riguarda soprattutto i casi di diffamazione112. 109 Il mutamento di rotta emerge chiaramente nel nuovo art. 75 c.p.p. il quale, al 2° comma, prevede che l’azione civile iniziata precedentemente all’introduzione del procedimento penale prosegue autonomamente “in sede civile se non è trasferita nel processo penale”. La scomparsa della pregiudizialità penale si evince, altresì, dalla ridotta possibilità del giudicato penale di influenzare il processo civile, opportunità attualmente sussistente solo in caso di sentenza penale accertatrice “della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso” (art. 651 c.p.p.). Da ultimo, la modifica sistematica emerge dall’espunzione della pendenza del giudizio penale tra i casi di sospensione necessaria del processo civile (art. 295 c.p.c.). In giurispr., tra le altre, Cass. civ., sez. I, sent. 15 gennaio 2005, n. 729. 110 L’azione civile per il risarcimento del danno si prescrive in cinque anni (art. 2947 c.c.), mentre la querela per l’attivazione dell’azione penale è proponibile nei tre mesi successivi alla notizia del fatto di reato (art. 124 c.p.). 111 “In sede civile risulta più agevole la prova dell’elemento psicologico. Oggi risulta, infatti, definitivamente superato quell’orientamento giurisprudenziale che riteneva necessario ai fini del risarcimento del danno l’accertamento da parte del giudice civile dell’esistenza della diffamazione anche dal punto di vista del dolo (Cass. civ., 3 maggio 1958, n. 1563, FI, 1958, I, 1116)”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 596. Di qui, l’accoglimento della richiesta anche per colpa. Inoltre, “la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato punibile per il concorso di tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato e sia, pertanto, idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale (Cass. 12.8.1995 n. 8845)”, Cass. civ., sez. II, sent. 19 ottobre 2007, n. 22020. 112 Cfr. m. PSaro, La diffamazione a mezzo stampa, op. cit. Il risarcimento civile conseguente a diffamazione è previsto anche in altri ordinamenti, cfr. F. Calvez - a.C. duBoS - a. dreSSayre, Liberté d’expression & protection des droits de la personnalité en matière de presse, in Observatoire du droit européen de la Cour de Cassation, luglio 2008, pp. 40-41. 625 Gaetano Marcaccio In materia di critica religiosa le lesioni più ricorrenti attengono ad interessi non patrimoniali. Se non sussistono dubbi sulla proponibilità di domande risarcitorie da parte del singolo che si senta diffamato o discriminato per le sue convinzioni religiose, qualche perplessità sorge in relazione alla legittimazione attiva delle confessioni religiose in caso di loro diffamazione o di violazione degli artt. 403 e 404, 1° comma. La questione è legata alla natura giuridica del danno non patrimoniale ed alla sua evoluzione. Come noto, nel 2005 la Corte di Cassazione traccia una categoria di danno ampia, non limitata a quello morale soggettivo ma comprensiva “di ogni ipotesi in cui si verifichi la ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica”113. Lettura rafforzata dalle quattro sentenze delle Sezioni Unite civili del 2008114 che stabiliscono l’unitarietà del danno non patrimoniale115, non più scindibile in sottocategorie foriere di quell’atipicità contraria all’intentio del legislatore116. L’indivi113 114 26975. Cass. civ., sez. I, sent. 15 gennaio 2015, n. 729. Cass. civ., sez. Un., sentt. 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 115 A titolo esemplificativo, “non è conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali, in quanto la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tener conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 651. 116 Con tali pronunce i giudici di legittimità ribadiscono “che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad esempio, nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quella in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 649. Le quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite recepiscono altresì il principio della tolleranza, escludendo la risarcibilità dei danni bagatellari. “Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un dirit- 626 Libertà di espressione e libertà di religione… sibilità del danno non patrimoniale in sottocategorie autonome determina il superamento del filone giurisprudenziale che riteneva irrisarcibile la species danno morale soggettivo per le persone giuridiche, in quanto per esse “non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini di patema d’animo (v., da ultimo, sentenza n. 2367/2000)”117. Ad oggi, quindi, la natura unitaria del danno non patrimoniale rende proponibile l’azione risarcitoria da parte delle persone giuridiche, e tra esse delle confessioni religiose; ad adiuvandum, già risalente giurisprudenza penale annovera i culti tra le vittime della diffamazione118. Ci sembra chiara, quindi, la loro to inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale”. L’atteggiamento restrittivo origina dalla necessità “di arginare una giurisprudenza dei giudici di pace che aveva portato a ritenere risarcibili la rottura di un tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli o la mancata fruizione di una partita di calcio alla tv”, ivi, p. 653. Contesta le pronunce della Cassazione F. azzarri, Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile, in Responsabilità civile e previdenza, fasc. 1, 2012, p. 0016B ss. L’a. critica la scelta della Cassazione nella misura in cui fissa tra i requisiti per valutare la risarcibilità o meno di un danno quello della gravità dell’offesa, in un ordinamento, come il nostro, in cui manca la codificazione della soglia di gravità. Afferma, “nelle province del danno non patrimoniale l’appello alla tolleranza postula che l’offesa debba essere tale da coinvolgere in concreto l’interesse contro cui è diretta, mentre assorbe tutte quelle pretese aquiliane di minimo rilievo avanzate solo per appagare l’ipersensibilità individuale”, definendo ciò un equivoco. 117 Cass. civ., sez. III, sent. 31 maggio 2003, n. 8828. 118 La prima sentenza dei giudici di legittimità sul punto è Cass. pen., sez. V, sent. 11 aprile 1986, n. 2887. La pronuncia riconosce “la capacità della comunità israelitica di Roma e del singolo cittadino appartenente alla razza ebraica ad essere soggetto passivo del reato di diffamazione”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 550. L’a. riporta un estratto di sentenza in cui la Corte afferma espressamente: “la collettività ebraica […] anche considerata come pluralità di individui è distinguibile, nell’ambito della indistinta generalità dei cives in base all’inequivoco comune denominatore etnico-razziale, connesso con l’interesse differenziato e necessariamente delimitato di una minoranza razziale e religiosa alla pari dignità sociale con gli altri cittadini, garantita dall’art. 3 della Costituzione, che appunto esclude correlativamente e specificamente ogni discriminazione razziale (e non si dimentichi che la pari dignità sociale costituisce il fondamento del diritto alla propria reputazione)”, ivi, pp. 550-551. Analogamente, in un caso relativo alla Congregazione dei Testimoni di Geova, Cass. pen., sez. V, sent. 7 ottobre 1998, n. 12744: “d’altro canto è pacifico in giurisprudenza che non solo una persona fisica ma anche 627 Gaetano Marcaccio legittimazione attiva al risarcimento civilistico ex artt. 2059 c.c., 185 c.p. e 403, 404, 1° comma, o 595 c.p.119, che, limitatamente alla diffamazione, sarà accompagnato da un’ulteriore riparazione pecuniaria se commessa a mezzo stampa120. L’ampia legittimazione attiva in tema di risarcimento del danno conseguente ai reati di cui sopra evidenzia i pericoli connessi a tale sistema. Come accennato, le domande risarcitorie civili hanno spesso un’entità economica tale da creare problemi di effettività nell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, limitandola indirettamente. Ciò espone al rischio di un uso-abuso dello strumento civilistico per colpire, anche in via preventiva, persone o testate giornalistiche che esprimano opinioni sgradite. In altre parole, ancorché non fossimo davanti ad una vera e propria diffamazione o vilipendio della confessione, il sedicente offeso potrebbe instaurare un autonomo processo civile per meri fini intimidatori e per far tacere il contraddittore, portatore di un’idea non condivisa dal ricorrente. In questo caso si configurerebbe una vera e propria deformazione dello strumento risarcitorio, deliberatamente una entità giuridica o di fatto - una fondazione, un’associazione ed in particolare un sodalizio di natura religiosa - possa rivestire la qualifica di persona offesa dal reato: è infatti concettualmente ammissibile l’esistenza di un onore e decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati o membri, considerati come unitaria entità, capace di percepire l’offesa (Cass. 11.4.86 n. 02817 Rv 172417; Cass. 23.2.88 n. 03756 Rv 177953; Cass. 16.3.92 n. 02886 Rv 189101; Cass. 27.4.98 n. 04982 Rv 210601)”. 119 La proponibilità dell’azione non fa salve le difficoltà nell’individuazione concreta del soggetto che possa rappresentare la confessione religiosa nel processo civile. Oltre a questo problema si pone quello del profilo risarcitorio che, secondo F. azzarri, Il sensibile diritto, op. cit., deve essere risolto usando il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., sulla base di parametri fissati dalla giurisprudenza. 120 L’art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, rubricato “riparazione pecuniaria”, stabilisce che “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”. Dalla norma emerge che la riparazione pecuniaria è una sanzione civile accessoria, volta a colpire la condotta dell’autore, non a risarcire il danno al diffamato. La sua funzione punitiva ne consente l’irrogazione “anche in via incidentale in sede civile”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 673. 628 Libertà di espressione e libertà di religione… trasformato in mezzo privato di censura al solo fine di disincentivare ulteriori manifestazioni del pensiero “fastidioso”. Si tratta di un rischio da valutare e semmai correggere laddove si volesse “depenalizzare” la tutela diffamatoria spostandola esclusivamente in sede civile, così come chiede l’Europa121 sulla base dell’assunto che l’offesa diffamante presupponga quasi un danno risarcibile in re ipsa122. Più in generale, accettare l’eliminazione di qualsiasi norma penale sulla diffamazione e la riduzione dell’intera vicenda alla materia risarcitoria consente una sorta di mercanteggiamento dell’onore, della reputazione e della dignità, valori necessari per un’esistenza libe121 Tra le altre, Consiglio d’Europa, Raccomandazione 29 giugno 2007, n. 1805, cit. “Dall’Europa viene un messaggio […] di auspicio alla riserva alla sede civile della tutela in materia di diffamazione”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 594. Tramite il suo portavoce Alexander Ivanko, in relazione al caso italiano del giornalista che aveva indagato sui festini a luci rosse organizzati presso una società, anche l’OSCE afferma la necessità di sostituire le norme penali con quelle civili ed osteggia la possibilità di condannare un giornalista “alla prigione per aver fatto il proprio mestiere”. Aggiunge che la norma penale disincentiverebbe i giornalisti dallo svolgere le inchieste più delicate (OSCE, nota 8 marzo 2004, in www.cittadinolex.kataweb.it). La scelta è legata a doppio filo con la “nota giurisprudenza di Strasburgo secondo la quale la pena detentiva per i reati commessi con l’uso della stampa deve essere relegata alle ipotesi di eccezionale gravità”, e. maSCHi - G.e. viGevani, Ai confini della critica: dal Tribunale di Rovereto una lezione sul reato di diffamazione, in Dir. pen. cont., 25 febbraio 2016. Nella stessa direzione va anche l’ONU, il cui Relatore sulla libertà di opinione ed espressione ha proposto la sostituzione delle “norme penali sulla diffamazione con norme civili”, S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., p. 193. Cfr. F. Calvez - a.C. duBoS - a. dreSSayre, Liberté d’expression & protection, op. cit., p. 33 ss. 122 Nel nostro ordinamento questo si evince dal combinato disposto degli artt. 2059 c.c., 185 c.p. e 595 c.p. Sul punto, la dottrina sostiene che dalla diffamazione “non può non discendere una incidenza sul patrimonio morale e psichico del soggetto passivo (Trib. Roma, 10 marzo 1982, GI, 1983, I, 2, 190)”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 600. Analogamente in giurispr., Cass. civ., sez III, sent. 10 maggio 2001, n. 6507: “la più recente dottrina e lo stesso orientamento giurisprudenziale ritengono che esista un vero e proprio diritto alla reputazione personale anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento normativo, in particolare nell’art. 2 e nel riconoscimento dei diritti inviolabili della persona (in questo senso anche C. Cost. 10.12.1987 n. 478, secondo cui «l’art. 2 Cost. sancisce il valore assoluto della persona umana»)”. 629 Gaetano Marcaccio ra, oltre a tradire il principio in virtù del quale ogni diritto è limitato dall’estensione degli altri, permettendo di “comprare” la dignità e l’onore altrui ed allargando a dismisura la libertà di manifestazione del pensiero a tutto vantaggio dei grandi ricchi. Tutto ciò non implica l’esclusione della risarcibilità del danno da diffamazione, ma invita a riflettere sui benefici di una normativa penale, seppur blanda e mite, che rimarchi l’esistenza di principi inderogabili, non acquistabili. 6. La derisione religiosa: i confini della satira. Il limite metagiuridico del rispetto Questioni ancora più complesse di contemperamento tra libertà di manifestazione del pensiero e di religione originano dalla satira, genere espressivo che svela vizi, debolezze, abitudini e convinzioni delle persone oppure mostra in chiave ironica personaggi noti al fine di smitizzarli e dissacrarli123. Essa ha una funzione di controllo sociale, di difesa dall’uso smodato dei poteri, di apertura alla tolleranza, esercitabile con mezzi umoristici tanto eruditi quanto incolti. Invero, la satira non è che una forma sui generis di critica124, co123 La satira è tipologica o individuale. “La prima descrive errori e vizi di una determinata categoria sociale, senza riferimenti individuali. La seconda, che è quella che crea maggiori problemi per il giurista perché più dell’altra rischia di ledere i diritti della personalità altrui, colpisce una persona specificatamente individuata, di cui l’autore satirico esalta in modo caricaturale vizi, tic e difetti”, v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 563. 124 “La critica ammette certi voli dell’immaginazione che riproducono in modo canzonatorio i confini della realtà”, J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 158. Cfr. l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 48 ss.; m. Fumo, La diffamazione mediatica, op. cit., p. 326 ss.; analogamente anche la prevalente giurisprudenza. Contra, S. d’alFonSo, Satira religiosa e vilipendio della religione nello Stato costituzionale e di diritto, in m. PariSi - v. tozzi, Immigrazione e soluzioni legislative in Italia e Spagna, Campobasso, 2007, p. 139; l. diotallevi, Diritto di satira, libertà di pensiero e l’«ambiguo» richiamo all’art. 33 Cost., in Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 2, 2013, p. 1235B ss. Il nesso inscindibile che lega satira e libertà di manifestazione del pensiero è indirettamente rimarcato da l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 52, il quale afferma che “tanto più solida è la tutela di cui gode la sa- 630 Libertà di espressione e libertà di religione… stituzionalmente protetta125, soggetta ai medesimi limiti penali126 ed alle stesse censure che derivano da un uso improprio dello strumento risarcitorio. Risulta quasi innata nell’uomo, tanto che già Giovenale rileva “difficile est saturam non scribere”, e naturalmente può avere ad oggetto anche la religione. Nella concretezza gode di peculiari modalità espressive127 che non rendono applicabili tutti i parametri di liceità fissati per cronaca e critica: se da un lato persiste il limite dell’aggancio ad un fatto quantomeno verosimile, seppur estremizzato,128 tira – e più in generale la libertà di manifestazione del pensiero – tanto maggiore è, in termini di democrazia, il beneficio di cui fruiscono gli appartenenti ad una comunità, ed in ultima analisi, lo stato di salute del sistema democratico”. 125 Dottrina e giurisprudenza riconoscono il fondamento costituzionale della satira. Tutti sono concordi nel rinvenirlo nell’art. 21 Cost., al quale, però, solo alcuni aggiungono il riferimento agli artt. 9 (promozione della cultura) e 33 (libertà dell’arte) Cost. “Questa interpretazione è stata però debitamente confinata all’interno di una costruzione che convogliava tali principi in direzione di una tutela ‘ulteriore’ rispetto a quella già prevista dall’articolo 21 Cost.”, S. d’alFonSo, Satira religiosa e vilipendio, op. cit., p. 137. In altre parole, l’a. subordina gli artt. 9 e 33 alla primazia dell’art. 21, conferendo ai primi mera funzione derogatoria dei limiti risultanti dal secondo. Autorevole dottrina affianca all’art. 21 il solo art. 33; cfr. e. inFante, Satira: diritto o delitto?, in Dir. Inform., 1999, p. 387; v. Pezzella, La diffamazione, op. cit., p. 566. Detta tesi è criticata da l. diotallevi, Diritto di satira, libertà di pensiero e l’«ambiguo» richiamo all’art. 33 Cost., op. cit., il quale afferma che “ricondurre il diritto di satira, non solo alla previsione generale di cui all’art. 21 Cost., ma anche a quella speciale dettata dall’art. 33 Cost., rischia di circoscrivere la portata «costituzionalmente» rilevante a quelle sole manifestazioni che siano connotate da una particolare valenza artistica”, rischiando di determinare un’ingiustificabile restrizione della portata della satira. 126 “Da nessuna norma e da nessun principio ricavabile dal sistema può desumersi che la satira in materia religiosa sia soggetta a limiti diversi da quelli generali”, a.G. Cannevale - C. lazzari, La tutela delle religioni e il codice penale, op. cit., p. 91. Cfr. l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 96, nt. 3. 127 La satira ha la “finalità di suscitare ilarità nei precettori”, l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 12. 128 Cfr. Trib. Milano, sez. I civ., sent. 30 gennaio 2012, caso Fiorani - De’ Giorgi; cfr. l. diotallevi, Diritto di satira, libertà di pensiero e l’«ambiguo» richiamo all’art. 33 Cost., op. cit. In dottrina, tra gli altri, l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 99; n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, op. cit., p. 28. Contra, S. d’alFonSo, Satira religiosa e vilipendio, op. cit., p. 141. Sul punto, v. Pezzella, La diffamazione, 631 Gaetano Marcaccio dall’altro la continenza espressiva è ontologicamente contrastante con le sue caratteristiche129. Pertanto, ancor più che nei casi precedenti, il bilanciamento tra diritto di satira e beni costituzionali è “irriducibile a griglie regolative attendibili”130. La difficoltà nel tracciare confini precisi, contemporaneamente rispettosi della libertà di manifestazione del pensiero, della libertà religiosa e dell’uguaglianza, è evidente anche nella giurisprudenza italiana. Emblematica in tal senso una sentenza del 2006 del Tribunale di Latina relativa alle “vignette, apparse sul sito www.eretico.com […], riproducenti il Papa e altri ministri del culto cattolico nell’atto di compiere o subire atti sessuali”131. Il giudice respinge la circoscrizione della satira alle espressioni colte ed erudite e rifiuta la tesi che ne sostiene una limitazione aprioristica132. Ciò premesso, distingue tra satira buona e meno buona, ritenendo lecita la sola irrisione costruttiva, in quanto espressione di un pensiero critico, tendente ad “indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il op. cit., p. 568, riporta la divisione della giurisprudenza: Cass. pen., sez. V, sent. 22 dicembre 1998, n. 13563 si contrappone a Trib. Roma, sentt. 5 giugno 1991, 13 febbraio 1992 e 26 giugno 1993; Trib. Piacenza, sent. 18 aprile 1997. 129 “In argomento, cfr. Sez. V, 22 dicembre 1998, Senesi, in Dir. Inf., 1999, p. 369, secondo la quale il linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira, in particolare grafica, è svincolato da forme convenzionali, onde non si può applicarle il metro consueto di correttezza dell’espressione”, r. lotierzo, Osservazioni Cass. pen. 24 ottobre 2006, n. 1725, op. cit. 130 P. SiraCuSano, Vilipendio religioso e satira, op. cit., p. 10. 131 Trib. Latina, sez. pen., sent. 24 ottobre 2006, n. 1725. 132 “Nessun pensiero può, a priori, qualificarsi come non meritevole di tutela perché l’art. 21 della Costituzione non riconosce un diritto funzionale dell’individuo, ma un diritto attribuito al singolo in quanto tale”, Trib. Latina, sez. pen., sent. 24 ottobre 2006, n. 1725. Analogamente, autorevole dottrina evidenzia “come nemmeno si possa circoscrivere la tutela costituzionale alle sole manifestazioni di pensiero sostenute da un adeguato livello intellettuale e culturale: D. Pulitanò, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia, 1970, n. 5-6, p. 194”, r. lotierzo, Osservazioni Cass. pen. 24 ottobre 2006, n. 1725, op. cit. Cfr. P. SiraCuSano, Vilipendio religioso e satira, op. cit., p. 3. 632 Libertà di espressione e libertà di religione… bene”133. La diversificazione salva due delle tre vignette134 (ex art. 51 c.p.) poiché “rappresentazioni satiriche volte a criticare, anche in modo dissacrante, la posizione assunta dalle gerarchie ecclesiastiche nei confronti dell’omosessualità e, più in generale, del desiderio sessuale”135, intento critico che ne esclude l’oscenità. Diverso è l’esito per la terza (un cursore animato del Papa che si masturba), che non presenta “alcun elemento di irrisione costruttiva, direttamente o indirettamente riconducibile nell’alveo della libera manifestazione del pensiero”, e pertanto fatto tipico non scriminato, anche se non punito per mancanza di dolo136. Ritenere lecita la sola satira costruttiva potrebbe essere un risultato astrattamente desiderabile in quanto osteggia le derive meramente offensive, ma la tesi del Tribunale di Latina risulta di difficile applicazione concreta laddove collega la liceità dell’espressione satirica alla manifestazione di un pen- 133 Trib. Latina, sez. pen., sent. 24 ottobre 2006, n. 1725, la quale richiama la sentenza Cass. pen., sez. I, sent. 24 febbraio 2006, n. 9246. Seppur velatamente, la distinzione sembra confermata da Cass. pen., sez. III, sent. 13 ottobre 2015, n. 41044. Contro il fine educativo della satira, tra gli altri, m. Fumo, La diffamazione mediatica, op. cit., p. 327. 134 La prima è intitolata “perché al clero fa paura il gay pride?” e raffigura la sodomizzazione di un alto prelato; la seconda, “la pagina dei fans di pope’n’poppe”, è “un’immagine animata di una ragazza bionda dal cui seno esce la testa del Papa”. 135 Trib. Latina, sez. pen., sent. 24 ottobre 2006, n. 1725. A parere del giudicante, “non può in concreto ritenersi che le vignette […] abbiano un carattere osceno poiché la rappresentazione degli atti e degli istinti sessuali in esse contenuti non è fine a se stesso, ma è strumentale all’espressione, in modo satirico, di un pensiero critico, anche diffuso nel comune sentire, nei confronti di atteggiamenti e posizioni assunte dai vertici ecclesiastici sul tema della sessualità”. 136 Ferma la diatriba sull’elemento soggettivo del dolo, per alcuni generico, per altri specifico, il Tribunale aderisce alla seconda impostazione e pronuncia “l’assoluzione dell’imputato per l’assenza dell’elemento psicologico non avendo egli inteso vilipendere né la confessione religiosa né la persona rappresentativa della stessa”. Contra, Cass. pen., sez. III, sent. 13 ottobre 2015, n. 41044, la quale ritiene sufficiente il dolo generico per la condotta di cui all’art. 403 c.p. In dottrina, P. SiraCuSano, Vilipendio religioso e satira, op. cit., p. 13, afferma che “l’opzione del dolo generico sembra a tutt’oggi ancora da preferire”; analogamente n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, op. cit., p. 39. 633 Gaetano Marcaccio siero critico e demanda tale operazione valutativa alla discrezionalità dei giudici, slegandola da qualsiasi parametro legislativo. L’organo giudicante, quindi, procederà sulla base di una valutazione personale, condizionata dalla propria cultura, sensibilità ed idee. Simile impostazione darebbe ai magistrati giudicanti un potere valutativo enorme, sganciato da criteri di legge, che se malamente esercitato produrrebbe effetti pericolosamente vicini alla censura. I tribunali potrebbero condizionare l’esercizio di un diritto costituzionale non sulla base della legge ma sulla scorta delle loro convinzioni, scegliendo ciò che merita di essere pubblicato, perché ritenuto costruttivo, e ciò che invece deve essere sanzionato. Ma vi è di più. Tale impostazione, tra l’altro rinnovata nella sentenza della Suprema Corte 24 febbraio 2006, n. 9246, paventa il rischio che la giurisprudenza si trasformi quasi in una moralizzatrice della società, dotata del potere di modificarne i piani etici a suo piacimento con dichiarazioni di illiceità sganciate da parametri legislativi; il giudice diventerebbe, insomma, secondo la celebre frase di De André, “arbitro in terra del bene e del male”137. La questione dei limiti alla libertà di espressione sul “religioso”, soprattutto in forma critica o satirica, va ampliando i suoi confini, aggravandosi di giorno in giorno per diversi motivi tra cui il potenziamento mass-mediatico, l’accresciuta diversità religioso-culturale e la crescente perdita di rispetto per la “religiosità” e la libertà religiosa altrui. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa internazionalizza ogni messaggio, conferendogli una “potenzialità diffusiva illimitata”138, che supera il territorio da cui parte e si estende a livello globale. Così per le vignette satirico-religiose edite da importanti testate giornalistiche straniere139, la cui 137 F. de andrè, Un giudice, in Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971. Cfr. n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, op. cit., p. 27. 138 S. d’alFonSo, Satira religiosa e vilipendio, op. cit., p. 129. Cfr. e. maSCHi - G.e. viGevani, Ai confini della critica, op. cit. 139 I casi di maggior clamore mediatico sono due. Da un lato, la c.d. “guerra delle vignette”, scatenatasi nel 2005 per la pubblicazione di disegni satirici su Maometto da parte del giornale danese Jyllands-Posten (cfr. v. PaCillo, 634 Libertà di espressione e libertà di religione… icasticità non conosce confini linguistici divulgando il messaggio ironico a tutti coloro che guardano il disegno140. Sebbene le illustrazioni deridano varie fedi, le reazioni più dure nascono tra gli islamici, la cui fortissima sensibilità religiosa141, unita alla scarsa secolarizzazione del loro credo ed al rigido divieto di riprodurre immagini sacre, limita la possibilità di ironizzare sull’affaire religioso, eventualità del tutto esclusa dai fondamentalisti142. Le peculiarità musulmane emergono sempre più in Occidente con le nuove società plurireligiose e multiculturali. La multiculturalità è l’effetto di un crescente stabilirsi sul suolo europeo di persone provenienti da aree geografiche impregnate di una cultura religiosa, filosofica e giuridica molto diversa dalla nostra, una cultura che, nel caso dell’Islam, si discosta da quella dei Paesi ospitanti anche in tema di diritti fondamentali. Il fenomeno multiculturale mette in crisi vari equilibri giuridico-sociali dell’Occidente. Scalfisce la convivenza pacifica tra persone di etnie e religioni diverse, raggiunta soltanto grazie ad un lavoro secolare agevolato dalla loro pluricentenaria coabitazione e dalla matrice culturale comune. Intacca quelle libertà per noi fondamentali, che non trovano radi- I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 1 ss.). Dall’altra i contrasti insorti con le vignette edite da Charlie Hebdo, rivista che colpisce ogni fede religiosa. 140 Cfr. r. de Benedetti, Morire dal ridere. Processo alla satira, Milano, 2015, pp. 48-49, il quale cita C.S. Grenda e C. Beneke, studiosi americani e collaboratori di “New Republic”. 141 La sensibilità religiosa varia tra le diverse confessioni tant’è che quanto appare empio e sacrilego per una religione, può non esserlo per un’altra. Esempio ne è l’atteggiamento opposto di cristiani e musulmani nel rapporto uomo-divinità: i primi lo umanizzano, i secondi sottomettono la creatura al creatore. Analogamente la differenza tra cristiani ed ebrei in tema di speculazione filosofico-teologica su Dio, consentita dai primi ed esclusa radicalmente dai secondi. 142 “Una repressione severa della satira in quanto vilipendio contro tutte le religioni non aiuta le voci dell’Islam moderato, che si battono per una liberalizzazione del pensiero e del diritto anche in questi paesi, ma lo danneggia privandolo di un punto di riferimento «altro» e rafforza piuttosto i regimi autoritari ed i movimenti fondamentalistici”, n. Colaianni, Diritto di satira e libertà religiosa, op. cit., p. 46. 635 Gaetano Marcaccio ci nella cultura giuridica islamica. In breve, forza un confronto tra sistemi di diritto, di pensiero e di fede molto diversi, influendo anche sulle libertà in discussione. Gli Stati in cui domina la religione di Muhammad non vantano infatti un’ampia positivizzazione delle libertà di manifestazione del pensiero e di religione. La prima ha un’estensione ridotta, la seconda in alcuni casi non è addirittura contemplata, mancando in alcune aree del Dār al-Islam tanto la libertà di coscienza143 quanto lo ius poenitendi144. La portata tendenzialmente definita ed omogenea che tali libertà assumono negli ordinamenti occidentali è messa in discussione dalle istanze di quei musulmani che invocano una netta preordinazione della religione alla libertà di espressione, limitando quest’ultima fino quasi ad eliminarla. Le sollecitazioni provengono quasi esclusivamente dalle frange più intransigenti dell’immigrazione islamica, es143 “L’unico peccato irremissibile per l’Islam è quello di dare a Dio degli associati (il peccato di sĭrk)”, C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico, op. cit., pp. 5-6. La compressione della libertà di coscienza è confermata nelle Analisi continentali allegate al Rapporto 2014 sulla libertà religiosa nel mondo, di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Nel continente africano l’Islam è religione di Stato in Algeria, Marocco, Gibuti, Comore, Sudan, Tunisia e Mauritania, cfr. J.S. rodriGuez Soto, Libertà religiosa in Africa, in Rapporto 2014 sulla libertà religiosa nel mondo di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. La libertà religiosa è fortemente limitata anche in Medio Oriente, pure in quegli Stati in cui essa è formalmente riconosciuta. Afferma P. StenHouSe, Libertà religiosa in Medio Oriente, in Rapporto 2014, op. cit., “di tutti i Paesi islamici esaminati per questo rapporto, l’Arabia Saudita è la sola che non ha una Costituzione e che non ammette la libertà di religione, benché ai cristiani sia permesso di possedere una Bibbia per uso puramente privato”, ma la compressione della libertà religiosa si estende in concreto oltre i confini statuali dell’Arabia. 144 In Sudan e Mauritania “la conversione a una religione diversa dall’Islam equivale all’apostasia, un reato che può essere punito severamente. In alcuni Paesi islamici, anche se essa non è punita con provvedimenti gravi, le autorità ne limitano la possibilità, come accade in Marocco e in Algeria. La Libia è un caso a parte, perché sebbene convertirsi dall’Islam non sia proibito dalle leggi esistenti, chi lo fa rischia serie conseguenze, tra cui l’arresto e l’incarcerazione”, J.S. rodriGuez Soto, Libertà religiosa in Africa, op. cit. “La libertà d’espressione è un lusso inarrivabile per cristiani, ebrei, credenti d’ogni fede, che in tante parti del mondo, devono conquistare il diritto d’esistere, vivere con dignità”, C. Cardia, Libertà religiosa, libertà d’espressione, dal convegno Dialoghi in cattedrale 2015, San Giovanni in Laterano – Roma, 24 marzo 2015. 636 Libertà di espressione e libertà di religione… sendo invece contrastate dai moderati e dagli italiani convertiti all’Islam, questi ultimi cresciuti nel portato di libertà tipicamente occidentale. La precisazione evidenzia il fulcro della questione multiculturale e la sua difficoltà risolutiva: le minoranze si battono per modificare l’estensione di alcune libertà perché non le riconoscono, non le sentono proprie, non le accettano. La fermezza delle richieste genera momenti di frizione che pongono l’Occidente dinanzi alla scelta di ripensare le basi della propria cultura giuridica ovvero di ignorare tali appelli. Alla domanda le società multiculturali rispondono in maniera negativa, ritenendo siffatte istanze inconciliabili con l’inderogabilità delle libertà che tentano di circoscrivere, in particolare con quelle di espressione e di religione. Il loro accoglimento rimetterebbe in discussione valori giuridici fondamentali ed irrinunciabili, accentuerebbe il conflitto tra fedi e potrebbe far rifiorire istituti ormai desueti come il reato di blasfemia. Forte della loro indeclinabilità, le società multiculturali continuano ad applicare gli schemi giuridici preesistenti ed a mantenere il sostanziale equilibrio raggiunto tra le libertà di religione e di espressione. Il rifiuto di modifiche estreme e la tendenza a conservare l’acquisita stabilità tra le due libertà è possibile anche recuperando il limite metagiuridico del rispetto, la cui decadenza alimenta lo scontro tra modelli di pensiero e di fede. La riduzione del sentimento di rispetto per la religiosità e la libertà religiosa altrui si percepisce dal sopravanzare di un’interpretazione eccessiva della libertà di manifestazione del pensiero, ritenuta illimitata ed illimitabile. In tal senso alcuni vignettisti si arrogano un potere di siffatta estensione e fanno della provocazione, dell’insulto e della ridicolizzazione elementi specifici del loro humor. Analogamente certe riviste pubblicano disegni satirici offensivi tout-court delle religioni, ignorando il principio per il quale il diritto di satira non può trasformarsi “in diritto al libero insulto”145 ed assecondando quelle esigenze economiche legate troppo spesso al numero di copie 145 l. BaleStra, La satira come forma di manifestazione del pensiero, op. cit., p. 52, nt. 114. 637 Gaetano Marcaccio vendute146. Emblematica è la vignetta del giornale danese Jyllands-Posten (J-P) che ritrae Maometto con una bomba sotto al turbante, quasi a ritenere che qualsiasi musulmano debba essere necessariamente un terrorista147. Oltre a basarsi su un evidente error in factis, dovuto non tanto ad ignoranza ma alla duplice voglia di emarginare il diverso e di rispondere ad esigenze di mercato, il disegno di Kurt Westergaard usa in maniera distorta la libertà di espressione148, aggredendo una cultura religiosa e discriminandone i membri in ragione della loro appartenenza149. Sferrato un simile attacco, peraltro condotto sulla cosciente alterazione dei tratti culturali salienti dell’Islam, non sorprende più di tanto la reazione di chi vede offeso il proprio portato culturale secolare, ferma comunque la condanna delle azioni violente. L’inasprirsi della satira religiosa fino a farsi derisione deve indurci a riflettere. È vero, la satira deve essere tagliente, asciutta, può rivolgersi alle religioni e criticarne i precetti fondamentali ma non può prescindere dal rispetto della cultura socio-religiosa, della religione in sé o del singolo, non potendo 146 Autorevole dottrina sostiene il forte collegamento tra pubblicità e mercato delle idee, rilevando l’inscindibile legame tra il gradimento dell’idea ed il prezzo a cui può essere venduto lo spazio pubblicitario ad essa collegato: “più le idee hanno successo di mercato, più attraggono investimenti pubblicitari. La manifestazione del pensiero assume dunque una dimensione tutta economica: sono finanziate le idee che hanno un pubblico, le altre sono marginalizzate”, v. zeno zenCoviCH, La libertà d’espressione, Bologna, 2004, p. 90. Queste considerazioni preoccupano perché potrebbero piegare ed assoggettare un diritto costituzionale ad esigenze meramente economiche, svilendolo. 147 Sulla “guerra delle vignette” la Corona danese dichiara l’inattaccabilità giuridica degli autori delle vignette di J-P; cfr. F. Calvez - a.C. duBoS - a. dreSSayre, Liberté d’expression & protection, op. cit., pp. 56-57. 148 La libertà di espressione “non la si può utilizzare come arma contro le credenze di altre persone che si vedono gratuitamente stigmatizzate socialmente da immagini che le degradano”, J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 158. 149 Cfr. J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 160, il quale aggiunge che “la diffusione della caricatura da parte degli altri mezzi di comunicazione europei quale gesto di solidarietà, continua ad essere una difesa erronea dell’esercizio sbagliato di una libertà di espressione mal interpretata”. 638 Libertà di espressione e libertà di religione… avere come unico ed esclusivo fine l’offesa150. Sul punto autorevole dottrina ci apre gli occhi: “se tutti s’offendessero reciprocamente non siamo in una società liberale, siamo nell’anticamera di una guerra ideologica e religiosa”151. Naturalmente, ciò non esclude il libero esercizio dell’umorismo ogniqualvolta un fedele si senta insultato, bensì evidenzia l’inaccettabilità della satira offensiva tout-court. Sostenere il più sfrenato free speech equivale ad autorizzare l’aggressione di diritti altrui in nome dell’estremizzazione di un diritto proprio152, in evidente contrapposizione al liberalismo politico che, rifuggendo dal 150 Sull’esclusione della satira finalizzata alla mera offesa, tra gli altri, m. Fumo, La diffamazione mediatica, op. cit., p. 332 ss. Del suo scritto riportiamo un passo (p. 332): “Cass., sez. V, n. 2128 del 2000, ric. Vespa, Mass. Uff. 215475, afferma che, pur dovendosi valutare meno rigorosamente le espressioni della satira sotto il profilo della continenza, non di meno, la satira stessa, al pari di qualsiasi altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica”. La condanna dell’offesa fine a sé stessa è indirettamente confermata da una recente sentenza della Cassazione la quale, riprendendo le considerazioni della Corte d’Appello, ritiene violato l’art. 403 c.p. qualora l’espressione superi il limite del rispetto della devozione altrui, “ingiustamente messo a repentaglio da una manifestazione che […] appare costituire una mera contumelia, scherno e offesa fine a sé stessa”, Cass. pen., sez. III, sent. 13 ottobre 2015, n. 41044. 151 C. Cardia, Libertà religiosa, libertà d’espressione, op. cit. L’a. condanna la satira finalizzata all’offesa perché in questi casi “ad essere colpito al cuore è anche quel decalogo dei diritti umani […] perché […] tutela nello spirito, e nella lettera, il rispetto della dignità della persona, chiede alle persone di vivere in spirito di fratellanza. Ma quale dignità posso avere se viene perfino teorizzato il diritto opposto di irridere, offendere, vilipendere, nel peggiore dei modi, le convinzioni religiose (sentimenti che le accompagnano) che sono parte integrante della mia personalità?”. Cfr. J.C. Suarez villeGaS, La libertà di espressione e il rispetto, op. cit., p. 154, secondo il quale “non si ammette l’insulto, in nessun tipo di argomento, perché può influire emotivamente sulla ricezione del dibattito delle idee”; m. Fumo, La diffamazione mediatica, op. cit., p. 332 ss. 152 Simile impostazione è il frutto di un errato bilanciamento tra diritti, tangibile nelle parole di uno dei vignettisti morti nell’attentato a Charlie Hebdo del gennaio 2015. “Wolinski, in un’intervista qualche anno fa a un blogger italiano ha dichiarato: «Noi non crediamo alle menzogne della religione e questo ci rende liberi dai condizionamenti per ricercare la verità, nella misura in cui esista questa verità […]»”, r. de Benedetti, Morire dal ridere, op. cit., p. 10. Dalla premessa fatta, Wolinski sosteneva l’assoluta assenza di limiti per i giornalisti nell’espressione e divulgazione delle loro idee. 639 Gaetano Marcaccio considerare la libertà come assenza di vincoli, tende a contemperarne l’estensione con le altre. Ancora più emblematica è la vignetta di Charlie Hebdo, intitolata “Mgr Vingt-trois a trois papas” (trad. “Monsignor Ventitrè ha tre papà”), che raffigura una triplice sodomizzazione tra Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo. Risulta davvero difficile qualificare questa illustrazione come una lecita espressione del diritto di satira153; essa è in realtà un’offesa secca al dogma cristiano, un mero attacco alla sfera più intima dell’uomo, quasi fino ad umiliarlo. Proprio qui entra in gioco il limite metagiuridico del rispetto, che dovrebbe fungere da stella polare per la libertà di manifestazione del pensiero religioso, non solo satirico, emarginando le offese fini a sé stesse154. Tale limite sembra la soluzione ideale per bilanciare le esigenze plurireligiose con i principi fondamentali dei sistemi occidentali, entrati in crisi con il multiculturalismo, riuscendo a preservare i capisaldi dell’ordinamento e contemperandoli alle sensibilità delle minoranze. Ancor di più per la satira caricaturale. Presa coscienza della sua potenzialità offensiva, la pubblicazione di vignette come quelle a cui si è accennato dovrebbe essere preceduta da valutazioni di ammissibilità giuridica, intesa come contemperamento tra libertà, di accettabilità sociale, in termini di conseguenze pubbliche che potrebbero derivarne, e di tollerabilità individuale, recepita come reazione personale all’ironia offensiva rivolta alla propria fede, convincimento intimo e spesso indubitabile. Questioni di sensibilità che dovrebbero elevare il rispetto a baluardo del corretto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero religioso, in particolare satirico, osteggiando le espressioni meramente denigratorie, mosse da intenti puramente offensivi. In questo senso, un noto giornalista afferma che “ci sono parole, pronunciate o scritte, che di 153 Analogamente la copertina di Charlie Hebdo raffigurante Gesù che invita a tavola esponenti del clero intitolata “Le dîner de cons”. 154 Anche Consiglio d’Europa, Risoluzione 28 giugno 2006, n. 1510, cit., incoraggia il rispetto della religiosità altrui, osteggiandone gli attacchi, ed afferma espressamente “respect for religious beliefs should limit freedom of expression”. Cfr. pure Consiglio d’Europa, Raccomandazione 29 giugno 2007, n. 1805, cit. 640 Libertà di espressione e libertà di religione… per se stesse, possono provocare gravi reazioni. Per questo è necessario saperle governare. Il tema è, quindi, quello della libertà di manifestazione del pensiero (di stampa), che non può essere svincolata dal dovere della responsabilità”155. Anche Art Spiegelman individua nella responsabilizzazione e nel rispetto le chiavi di volta per bilanciare la libertà di espressione religiosa. Riferendosi in particolare alle immagini satiriche ed in un’ottica figlia dello spirito di apertura al dialogo, il disegnatore statunitense ne coglie la loro forza positiva ed inclusiva, contrapponendola a quella distruttiva (“le nostre immagini sono ponti, non muri”). Obiettivi del genere sono più facilmente raggiungibili negli ordinamenti inclusivi mentre appaiono quasi utopistici in quelli ostili alla dimensione pubblica della religione ed a tratti apertamente contrari alle fedi. Tra questi quello francese che, in nome della laïcité, assume un atteggiamento ondivago in tema di libertà di espressione religiosa. Nonostante le norme contenute nella loi du 29 juillet 1881 sur la liberté de la presse156, le perplessità sull’atteggiamento della Francia emergono dall’operato dei giudici transalpini che, da un lato, assolvono Charlie Hebdo nel 2007 per la vignetta del Profeta con la bomba sotto al turbante, servendosi di un’opinabile limitazione dei soggetti destinatari della derisione157, dall’altro pu155 Queste le parole del direttore v. rini, Le parole del Papa: giornali FISC, “coniugare libertà e rispetto”, in Vita Cattolica, 24 gennaio 2015, in SIR – Servizio informazione religiosa, www.agensir.it. 156 Cfr. F. Calvez - a.C. duBoS - a. dreSSayre, Liberté d’expression & protection, op. cit. 157 Ripercorrendo brevemente il caso, il Tribunal de Grande Instance de Paris si trova a dover valutare la configurabilità del “délit d’injures publiques envers un groupe de personnes à raison de sa religion” per alcune vignette pubblicate dal giornale Charlie Hebdo (Tribunal de Grande Instance de Paris, 22 mars 2007, n. 0620808086). Richiamate le limitazioni alla libertà di espressione fissate dalla Loi du 29 juillet 1881 sur la liberté de la presse, dall’art. 10 CEDU e da altre norme internazionali, il giudice sostiene che la laicità ed il pluralismo francese non impediscono la critica religiosa, purché l’opinione non si tramuti in un’offesa ad un’intera comunità. A parere dei giudici, le vignette incriminate si rivolgono soltanto ai terroristi musulmani, non a tutti i fedeli, ed hanno come fine quello di disincentivare i destinatari alla commissione di atti criminali in nome di Dio; da qui il loro fine educati- 641 Gaetano Marcaccio niscono il comico Dieudonné per le sue affermazioni antisemite, in quanto offensive della comunità ebraica158. Ciò è frutto dell’immobile laicità francese, che diffida di tutti i culti, elimina la religione dalla vita pubblica, vieta ai cittadini di manifestare il loro credo indossando simboli religiosi evidenti e relega la religiosità nell’esclusiva sfera privata. Osteggiando tutto ciò che è manifestazione della propria fede religiosa, la Francia non instaura un clima inclusivo, di apertura alla diversità interreligiosa, ma privatizza l’affare religioso, lo svilisce, dimenticando la sua funzione sociale e pubblica. Il clima di malevolenza si riversa anche sulla libertà di manifestaziovo e l’assenza di reato. La ricostruzione giudiziale appare quantomeno opinabile in quanto la vignetta che rappresenta Maometto con una bomba sotto al turbante sembra quasi una sorta di presunzione generalizzante, che marchia tutti i musulmani come fanatici religiosi ed attentatori. 158 La sentenza della Cassation, chambre criminelle, 16 octobre 2012, n. 11-82866, rigetta il ricorso di Dieudonné confermando la condanna di I° e II° grado per violazione dell’art. 23 della Loi du 29 juillet 1881 sur la liberté de la presse per aver ingiuriato gli appartenenti ad una comunità religiosa, nella specie gli ebrei. In particolare, qualche anno prima Dieudonné introduceva il suo spettacolo definendolo uno show che vuole superare la recensione negativa che lo ha definito “le plus grand meeting antisémite depuis la dernière guerre mondiale”. Con questo obiettivo cavalca l’antisemitismo più becero, offendendo ripetutamente e gratuitamente l’etnia ebraica. Tra le scelte più spinte, ospita il pluricondannato esponente negazionista R. Faurisson, incitando il pubblico ad applaudirne l’ingresso; fa apparire sul palco un attore vestito con il pigiama tipico dei campi di sterminio, definito “abito di luce”; invita l’attore a consegnare all’ospite un candelabro a tre braccia con tre mele collocate al vertice; sostiene l’intervento di Faurisson, che critica aspramente la legge francese nella misura in cui non permette di diffondere liberamente le sue tesi. Nel 2015, la sentenza della Corte di Strasburgo M’bala M’bala vs. Francia (M’bala M’bala è il cognome di Dieudonné), ricorso n. 25239/13, sent. 20 ottobre 2015, rigetta l’istanza del comico francese. Riferendosi ad alcuni precedenti, la Corte afferma che un’interpretazione dell’art. 10 CEDU come quella fornita dal ricorrente utilizzerebbe la libertà di espressione per fini contrari alla lettera e allo spirito della Convenzione, contribuendo alla distruzione dei diritti e delle libertà da essa garantiti. Cfr. anche P. Caroli, La Corte europea in tema di offese pubbliche agli Ebrei. C. eur. dir. uomo, quinta Sezione, Dieudonné M’bala M’bala c. Francia, ric. 25239/13, in Dir. pen. cont., 21 dicembre 2015; G. PuGliSi, La “satira” negazionista al vaglio dei giudici di Strasburgo: alcune considerazioni «in rime sparse» sulla negazione dell’olocausto. Nota a C. edu, sent. 20 ottobre 2015, Dieudonné M’bala M’bala c. Francia, in Dir. pen. cont., 23 febbraio 2016. 642 Libertà di espressione e libertà di religione… ne del pensiero religioso, che è molto più vicino al free speech e soprattutto ignora le istanze di rispetto, inteso quale limite metagiuridico. Prima di passare all’analisi delle modalità seguite in ambito internazionale nella dialettica delle due libertà, è opportuna un’ultima precisazione, resasi necessaria dal riferimento alle vignette di J-P e Charlie Hebdo. Questi disegni hanno scatenato la reazione delle frange estreme del fanatismo religioso musulmano, azioni che è doveroso condannare e scindere dal multiculturalismo, anche al fine di dissolvere quell’aurea di islamofobia che pervade oggi l’Occidente. Troppo spesso si generalizza, si ragiona per categorie; troppo spesso tutti i musulmani sono accusati degli attentati, o sono quantomeno ritenuti complici. Per un principio ormai consolidato nella nostra cultura giuridica, il fatto criminale è addebitabile soltanto all’autore, regola aurea che trova applicazione rigorosa anche nella valutazione degli atti terroristici, imputabili soltanto a chi li ha ideati, progettati ed eseguiti. La puntualizzazione, per quanto ovvia, è necessaria per non confondere due questioni, quella multiculturale e quella estremista, che non possono esser poste sullo stesso piano. I fondamentalisti strumentalizzano la religione ed il concetto di jihad159 per mistificare la loro impresa criminale ed instaurare un regime di terrore, cercando di limitare con la forza la libertà di espressione e facendo rivivere in Occidente “la paura di morire non dalle risate […] bensì per mano di chi non è capace di ridere perché non ne vede il motivo”160. Essi sfruttano la religione, ne fanno un uso improprio, che emerge altresì dall’illogicità degli attentati i quali, lungi dal ripristinare l’onore violato di Dio, lo offendono nuovamente. Pianificare una carneficina in suo nome alla redazione di Charlie Hebdo è un’azione che viola molto più profondamente il divieto di nominalo invano rispetto alla trasgressione imputabile ai vignettisti del giornale fran- 159 Cfr. l’editoriale “A chiare lettere”, Charlie Hebdo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 12 gennaio 2015. 160 r. de Benedetti, Morire dal ridere, op. cit., p. 31. 643 Gaetano Marcaccio cese161. Illogicità avvertita anche dai musulmani moderati, i quali sono le prime vittime del fondamentalismo perché guardati con sospetto in quanto islamici e perché ostacolati nel percorso di pace e dialogo interreligioso. 7. La via internazionale Il binomio libertà di espressione e di religione si ripropone anche in ambito internazionale. Senza ripercorrere la già menzionata pluripositivizzazione delle Carte generali, l’ordinamento internazionale tutela la manifestazione del pensiero religioso anche con norme che osteggiano le sue derive. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (art. 19, 3° comma) e la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 13, 2° comma) richiamano in chiave giuridica le esigenze di rispetto messe in luce nel capitolo precedente, condizionando la libertà di espressione al “rispetto dei diritti e della reputazione altrui”162, tra cui la libertà religiosa. La Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione del 1965 contrasta l’hate speech vietando la manifestazione del pensiero che incita alla discriminazione, anche religiosa. In Italia, l’attuale formulazione della legge di attuazione di quest’ultima Convenzione (art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654) punisce le istigazioni alla commissione di atti discriminatori anche per motivi religiosi (1° comma, lett. A) e vieta organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi con tali fina161 Il prof. a. melloni, ospite alla trasmissione tv “Il tempo e la storia” di Arnaldo Donnini, dedicata a La blasfemia, RAI, osserva in proposito: “la ragione per cui nelle fedi di Abramo il nome di Dio è protetto, va usato soltanto nella preghiera o con riguardo, o addirittura taciuto, non è per l’idea presuntuosa di poter mettere al riparo Dio dalle parole blasfeme degli uomini, ma proprio per proteggere l’idea che si possa usare Dio per prevaricare sugli altri, per uccidere gli altri. E dunque, se a Parigi un atto di blasfemia c’è stato, è stato quello di chi ha ucciso credendo di poterlo fare nel nome di Dio”. 162 In entrambi i casi la limitazione necessita di previsione legislativa e deriva da esigenze di sicurezza nazionale, ordine pubblico, salute o morale pubblica. 644 Libertà di espressione e libertà di religione… lità (3° comma)163. La norma riduce sì la libertà di manifestazione del pensiero ma lo fa per combattere una sua estensione inaccettabile, per contrastare la diffusione di idee che istighino alla discriminazione. Infatti, la sua legittimità costituzionale risiede proprio nell’obiettivo perseguito. Nonostante essa superi il limite espresso dell’art. 21 Cost., la finalità di uguaglianza formale e sostanziale fissata dall’art. 3 della Carta fondamentale fa sì che “l’ordinamento possa richiedere ai cittadini il sacrificio totale di un proprio diritto costituzionale quale la libertà di manifestazione del pensiero, al fine di rimuovere pregiudizi sociali che gravano sull’appartenenza religiosa, oltre che su quella etnico-culturale”164. In direzione totalmente differente va la teoria della c.d. defamation of religions165, sulla cui opportunità si sollevano valu- 163 Nella formulazione originaria manca un richiamo espresso ai motivi religiosi, ma la successiva legge 8 marzo 1989, n. 101 (art. 2, 5° comma) chiarisce che “il disposto dell’art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, si intende riferito anche alle manifestazioni di intolleranza e pregiudizio religioso”. Ciò in totale aderenza al disposto dell’art. 20, 2° comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (“qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge”). 164 C. Salazar, Le “relazioni pericolose”, op. cit., p. 19. L’a. (p. 20) ritiene che “la disciplina sull’hate speech trova copertura nel principio di laicità, per come esso si atteggia nel nostro ordinamento, in combinato disposto con l’uguaglianza sostanziale, presentandosi al tempo stesso quale norma coerente con l’adempimento dei vincoli scaturenti dall’integrazione comunitaria ex art. 117, c. 1, Cost., oltre che – sempre in forza della disposizione ora citata – con l’esecuzione degli obblighi internazionali derivanti dai trattati sull’eliminazione delle varie forme di discriminazione cui l’Italia aderisce”. In Italia, in caso di discriminazione è altresì possibile presentare domanda civile risarcitoria ex art. 44 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. 165 I fini della norma traspaiono chiaramente dalla Risoluzione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, UN doc. A/RES/61/164, 19 dicembre 2006 ed in quella del Consiglio dei diritti umani, UN doc. A/HRC/10/22, 22 marzo 2009. Per approfondimenti sulla defamation of religions, cfr. S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., p. 149 ss.; a.G. BelnaP, Defamation of religions: a vague and overbroad theory that threatens basic human rights, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), aprile 2011; S. anGeletti, Freedom of religion, freedom of expression and the United Nations: recognizing values and rights in 645 Gaetano Marcaccio tazioni discordanti166. A partire dal 1999, sulla spinta dell’OIC (Organisation of Islamic Cooperation)167, si sviluppa un trend internazionale che porta all’approvazione di una serie di Risoluzioni ONU168 in tema di diffamazione delle religioni con una duplice finalità: “da un lato, […] offrire una tutela non solo alla libertà religiosa individuale ma anche al sentimento religioso, sia esso del singolo fedele come delle confessioni o di altri sistemi di valore, in funzione di un maggior grado di coesione sociale e di una più stabile pace religiosa; dall’altro, […] impedire che atteggiamenti meramente diffamatori possano aprire la strada a gravi violazioni dei diritti umani (tra i quali gli atti di incitamento alla discriminazione e all’odio religioso) nei confronti dei seguaci del culto diffamato”169. Il fine perseguito dall’organismo internazionale mira ad eliminare la disarmonia sociale derivante dalla diffusione di stereotipi pseudoreligiosi ed a frenare la crescita del velato senso di xenofobia e razzismo, sviluppatosi soprattutto avverso i musulmani170. La nobiltà di intenti non nasconde i vulnera della disciplina, anzi, l’analisi dei documenti ONU mostra come le insidie superino di gran lunga i benefici. La prima questione nasce nella determinazione del soggetto passivo. Tradizionalmente la tutela internazionale della libertà di religione è limitata ai singoli individui, la defamation allarga, invece, l’ambito soggettivo proteggendo le religioni come istituzioni. Altri problethe “defamation of religions” discourse, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 29 del 2012. 166 a.G. BelnaP, Defamation of religions, op. cit., critica fermamente la defamation of religion definendola “a vague, overbroad principle designed to provide protection specifically for Islam and to allow Islamic nations to impermissibly limit the expressions of others within their countries” (p. 49). Da tali premesse, gran parte della dottrina preferisce perseguire gli obiettivi posti dalla defamation of religions con strumenti politici e sociali, piuttosto che limitando la libertà di espressione e di critica religiosa. 167 Sulle motivazioni dell’OIC, a.G. BelnaP, Defamation of religions, op. cit., p. 2 ss. 168 Cfr. a.G. BelnaP, Defamation of religions, op. cit., p. 19 ss.; S. anGeletti, Freedom of religion, freedom of expression, op. cit., p. 12 ss. 169 S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., p. 170. 170 Cfr. S. anGeletti, Freedom of religion, freedom of expression, op. cit., p. 7 ss.; Consiglio d’Europa, Risoluzione 24 aprile 2013, n. 1928, cit. 646 Libertà di espressione e libertà di religione… mi sorgono dalla genericità e dall’indeterminatezza di contenuti, limiti e standard applicativi della disciplina, situazione che paventa il rischio di una sua strumentalizzazione. Il linguaggio utilizzato, infatti, non è adatto a circoscrivere in maniera certa i comportamenti puniti né coloro che hanno diritto a far valere la violazione, imprecisioni da cui potrebbero derivare conseguenze pericolose. La defamation of religions concede ad ogni singolo Stato grande discrezionalità nell’individuazione delle norme ritenute più idonee al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, pertanto ogni Paese può stabilire qualsiasi tipo di regola purché funzionale ad evitare offese ed attacchi ai portati religiosi. L’allargamento dell’ambito soggettivo, l’indeterminatezza contenutistica e la libertà statale nella fissazione della norma paventano un concreto rischio di eccessiva compressione della libertà di espressione171, che può spingersi fino a conferire legittimità e protezione internazionale ad istituti ormai desueti e comunque inconciliabili con le libertà internazionalmente previste, come accade per il reato di blasfemia172 negli Stati che lo ritengono il mezzo più adatto a proteggere la religione. 171 Il rischio di compressione della libertà di espressione risulta evidente nella Risoluzione del Consiglio dei diritti umani, UN doc. A/HRC/RES/4/9, 30 marzo 2007. Al punto 10, essa afferma: “everyone has the right to freedom of expression, which should be exercised with responsibility and may therefore be subject to limitations as provided by law and necessary for respect of the rights or reputations of others, protection of national security or of public order, public health or morals and respect for religions and beliefs”. 172 Il reato di blasfemia è ancora presente in quei Paesi confessionali che puniscono con la pena capitale chi si oppone alla religione statale (es. Afghanistan, Arabia Saudita, Iran, Pakistan e Sudan). Cfr. a.G. BelnaP, Defamation of religions, op. cit., p. 36 ss.; S. anGeletti, Freedom of religion, freedom of expression, op. cit., p. 5 ss. In passato, la blasfemia era prevista anche in ordinamenti storicamente votati al riconoscimento delle libertà. Ad esempio, quello inglese riteneva addirittura che la blasphemy fosse “non solo un’ipotesi di offesa a Dio e alla religione, ma un crimine contro lo Stato, contro il Governo e contro lo stesso assetto costituzionale della Nazione di cui la Cristianità, nell’accezione anglicana, era considerata elemento fondamentale”, C. Cianitto, La gestione dei conflitti tra libertà di religione e libertà di espressione: il caso britannico, in n. Fiorita - d. loPrieno (a cura di), La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di religione, op. cit., p. 142. La rilevanza pubblica delle leggi inglesi sulla blasphemy e la loro appartenenza 647 Gaetano Marcaccio Le critiche sollevate evidenziano le difficoltà della defamation of religions nel centrare gli obiettivi di libertà di espressione, libertà di religione e dialogo interculturale e plurireligioso che si è prefissata. Norme statali a protezione delle religioni declinabili addirittura in termini di punizione della blasfemia rischiano di produrre effetti contrari a quelli perseguiti, fino alla drastica riduzione delle libertà di pensiero e di religione, che si vorrebbero invece tutelare173. Conferire legittimità internazionale a normative che puniscano chiunque si discosti dal pensiero maggioritario elimina in un sol colpo la libertà di manifestazione del pensiero e, se l’idea imposta avesse natura religiosa, anche quella di religione, baluardi faticosamente conquistati nei secoli; senza contare i rischi connessi alla possibile estensione del principio alla libertà politica, artistica, filosofica, ecc. La critica alla defamation of religions è rinnovata da alcuni organismi internazionali. Il Relatore speciale ONU sulla promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione dubita dell’opportunità di usare un istituto siffatto per proteggere religioni, simboli statali o identità nazionali, ricordando che tradizionalmente le norme internazionali a tutela della reputazione proteggono gli individui, non anche valori o istituzioni174; il Comitato dei diritti umani pone al centro la libertà di espressione ed esclude limitazioni conseguenti alla protezione di una religione o di un’idea175. Conclu- all’assetto costituzionale ha fatto sì che la risposta dell’Inghilterra alle istanze di protezione avanzate dalle altre confessioni non sia stata quella “di estendere ad altre religioni la tutela penale riservata alla religione di maggioranza, ma quella di sopprimere il reato di blasphemy”, ivi, p. 142. 173 Parafrasando le parole di a.G. BelnaP, Defamation of religions, op. cit., p. 19, con la teoria della defamation, l’OIC permette agli estremisti islamici di creare un regime di terrore che punisce coloro che compiono atti contrari alla loro religione e fa salve le norme sulla blasfemia. 174 Cfr. S. anGeletti, La diffamazione delle religioni, op. cit., pp. 160 e 189. 175 Il riferimento è al Commento generale del luglio 2011. Cfr. S. anGeletti, Freedom of religion, freedom of expression, op. cit., p. 15 ss. L’Alto Commissario per i Diritti Umani rinnova la sua critica alle leggi sulla blasfemia nel Plan of action on the prohibition of advocacy of national, racial or 648 Libertà di espressione e libertà di religione… dendo, la critica alla diffamazione delle religioni origina dalla modalità assolutamente indisciplinata con la quale essa si dipana nell’ordinamento internazionale e dai rischi di compressione delle libertà di espressione e di religione che ne conseguono, non da una nostra opposizione aprioristica alla tutela penale della religione. Anche l’Europa combatte le opinioni religiose meramente offensive ma non introduce regole simili alla c.d. defamation of religions così come intesa nell’ordinamento internazionale. Si oppone fermamente alla protezione delle religioni come istituzioni, invita le organizzazioni internazionali ad accantonare siffatto concetto, suggerisce di limitare la libertà di espressione solo per tutelare diritti individuali ed interessi sociali, non prevede norme che possano escludere la libertà di manifestazione del pensiero religioso o quella di religione176. Si dimostra più rispettosa della loro estensione e centralità177, religious hatred that constitutes incitement to discrimination, hostility and violence, 5 ottobre 2012. 176 La posizione europea emerge chiaramente in OSCE, Dichiarazione congiunta Defamation of religion, and anti-terrorism and anti-extremism legislation, 15 dicembre 2008, la quale traccia il concetto europeo di defamation of religion, invita le organizzazioni internazionali a riformare il proprio ed elogia l’abrogazione delle leggi sulla blasfemia, in quanto inconciliabili con la libertà di espressione. Anche la Risoluzione 28 giungo 2006, n. 1510, cit. e la Raccomandazione 29 giugno 2007, n. 1805, cit., del Consiglio d’Europa si oppongono alle leggi sulla blasfemia, rimarcando altresì la legittimità della critica religiosa e l’impossibilità per il credente di ritenersi immune da questa. Nello stesso senso, cfr. Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, ricorso n. 13470/87, sent. 20 settembre 1994. 177 La Corte EDU afferma la centralità della libertà di espressione per la costruzione di una società democratica, la quale deve basarsi su pluralismo, tolleranza ed apertura; cfr. Corte di Strasburgo, Handyside vs. Regno Unito, ricorso n. 5493/72, sent. 7 dicembre 1976; Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, ricorso n. 10737/84, sent. 24 maggio 1988; Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit.; Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, ricorso n. 44179/98, sent. 10 luglio 2003; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, ricorso n. 64016/00, sent. 31 gennaio 2006; Corte di Strasburgo, M’bala M’bala vs. Francia (c.d. caso Dieudonné), cit. In alcune pronunce, tale libertà è espressamente definita “una delle condizioni per […] lo sviluppo di ognuno”, Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit. Con formule analoghe, cfr. Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit.; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit. Quest’ultima 649 Gaetano Marcaccio dà la giusta rilevanza alle tradizioni culturali e religiose nazionali e concede agli Stati una certa discrezionalità178, circoscritta dall’art. 10 CEDU e soggetta al controllo della Corte di Strasburgo179, nel contemperare la libertà d’espressione con il rispetto delle convinzioni religiose altrui. L’autonomia statale origina dal principio del bilanciamento tra libertà, è assegnata alle singole nazioni perché ritenute in posizione migliore per tali valutazioni180 ed è contenuta dalla stretta necessità della limitazione, che “secondo la giurisprudenza costante della Corte […] implica un ‘bisogno sociale imperioso’”181. Ad ogni modo, essa non intacca l’estensione della libertà di espressione che, già dalla sentenza Handyside vs. Regno Unito, ricomprende non solo le opinioni inoffensive o indifferenti ma anche quelle scioccanti o inquietanti182. Il principio fissato nel caso Handyside costituisce un caposaldo della giurisprudenza successiva ed è rinnovato anche nella criticata sentenza Otto Preminger Institut vs. Austria. sentenza, poi, qualifica la libertà religiosa tra gli assi portanti della società democratica e della formazione personale. 178 Sulla discrezionalità statale, Corte di Strasburgo, Handyside vs. Regno Unito, cit.; Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit.; Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit.; Corte di Strasburgo, Wingrove vs. Regno Unito, ricorso n. 17419/90, sent. 25 novembre 1996; Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, cit.; Corte di Strasburgo, I.A. vs. Turchia, ricorso n. 42571/98, sent. 13 settembre 2005; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit.; Corte di Strasburgo, Klein vs. Slovacchia, ricorso n. 72208/01, sent. 31 ottobre 2006; Corte di Strasburgo, Aydin Tatlav vs. Turchia, ricorso n. 50692/99, sent. 2 maggio 2006. 179 Cfr. Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit.; Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, cit. 180 Cfr. Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit.; Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit.; Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, cit. 181 Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit. Analogamente, Corte di Strasburgo, Handyside vs. Regno Unito, cit.; Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, cit.; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit.; Corte di Strasburgo, Nur Radyo ve Televizyon Yayinciligi A.Ş. vs. Turchia (n. 2), ricorso n. 42284/05, sent. 12 ottobre 2010. 182 Cfr. Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit.; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit. 650 Libertà di espressione e libertà di religione… Il caso attiene alla programmazione da parte dell’associazione culturale Otto Preminger della proiezione di un film che rappresenta grottescamente il Dio cristiano, la Madonna e Gesù183. I giudici nazionali condannano l’Istituto per violazione delle norme penali interne sui “comportamenti che sviliscono e offendono persone, istituzioni, dogmi di una comunità religiosa riconosciuta nel Paese”184. Investita della vicenda, la Corte di Strasburgo sostiene la legittimità della normativa austriaca in quanto conforme al dettato dell’art. 10 CEDU ed alla discrezionalità statale che permette ad ogni ordinamento di fissare norme a tutela del sentimento religioso attaccato da offese ritenute inaccettabili. Sulla sentenza la dottrina si divide. Una parte185 si schiera contro tale pronuncia e ne critica sia le scelte di merito186 sia quelle di principio, ritenendo eccessiva la discrezionalità riconosciuta alle singole Nazioni nella fissazione del confine lecito-illecito. Sostiene, infatti, che una tutela geograficamente troppo differenziata esalta il localismo, ostacola l’armonizzazione normativa europea e consente il “recupero di principi inaccettabili, come quello che prevede una protezione privilegiata nei confronti della maggioranza di una popolazione che pratica una determinata religione”187. 183 Il film in questione è intitolato Das Liebeskonzil. Per approfondimenti sulla vicenda, S. lariCCia, Art. 9. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, op. cit., pp. 332-333; v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 156 ss.; d. loPrieno, La libertà religiosa, op. cit., p. 253 ss.; S. anGeletti, Libertà di espressione c. libertà religiosa: il difficile equilibrio nella tutela della manifestazione del pensiero e della sensibilità dei credenti, in www.diritti-cedu.unipg.it, 2010; m. oroFino, La libertà di espressione tra Costituzione e carte europee dei diritti, op. cit., pp. 59-60; id., La tutela del sentimento religioso altrui come limite alla libertà di espressione, op.cit., p. 14 ss. 184 S. anGeletti, Libertà di espressione c. libertà religiosa, op. cit., p. 2. 185 Tra gli altri, m. luGli - J. PaSquali Cerioli - i. PiStoleSi, Elementi di diritto ecclesiastico europeo, Torino, 2008; S. anGeletti, Libertà di espressione c. libertà religiosa, op. cit. 186 Autorevole dottrina sostiene l’idoneità delle cautele adottate ad evitare l’illiceità. In particolare, la proiezione è vietata ai minori dei diciassette anni, è limitata a coloro che acquistano il biglietto per il teatro ed è preceduta da una diffusa campagna pubblicitaria che avverte sul contenuto della trama. 187 m. luGli - J. PaSquali Cerioli - i. PiStoleSi, Elementi di diritto ecclesiastico europeo, op. cit., p. 90. Gli autori sostengono altresì che la Corte fis- 651 Gaetano Marcaccio In realtà, la fissazione di limiti alla libertà di espressione, ancorché assegnata all’autonomia statale, non è affatto illimitata e risponde sempre ai criteri dell’art. 10 CEDU. La decentralizzazione nasce dall’impossibilità di tracciare un concetto unitario europeo di “morale”188 o di “tutela della religione”189, bisogno quest’ultimo estremamente variabile nel tempo e nello spazio190. Proprio per questo ogni Stato fissa margini alla libertà di espressione sulla scorta delle esigenze interne191, confini che possono declinarsi evidentemente anche nella punizione delle espressioni gratuitamente offensive del sentimento religioso. L’unico aspetto realmente censurabile della sentenza riguarda il riferimento alla percentuale di cattolici presenti nella regione austriaca interessata, posto tra i motivi a sostegno della congruità della decisione dei giudici nazionali. Questa scelta è criticabile nella misura in cui rischia di elevare a discrimen di liceità un criterio quantitativo che potrebbe non tutelare adeguatamente tutte le scelte religiose, preferendo invece l’adesione alla confessione maggioritaria192. Concludendo, anche in ambito internazionale ed europeo sembra auspicabile un sistema riguardoso delle libertà di espressione e di religione, che faccia del rispetto un baluardo insopprimibile nella manifestazione del pensiero religioso e che non accetti l’assoluto free speech né autorizzi limitazioni aprioristiche alla libertà di espressione. Un sistema che apra sa “la superiorità della libertà di religione sulla libertà di espressione” (p. 89). 188 Cfr. Corte di Strasburgo, Handyside vs. Regno Unito, cit.; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit.; Corte di Strasburgo, Müller ed altri vs. Svizzera, cit. Quest’ultima pronuncia afferma che si è cerata una definizione unitaria, ma vanamente. 189 Cfr. Corte di Strasburgo, Murphy vs. Irlanda, cit.; Corte di Strasburgo, Giniewski vs. Francia, cit. 190 Cfr. Corte di Strasburgo, Otto Preminger Institut vs. Austria, cit. 191 Cfr. Corte di Strasburgo, Handyside vs. Regno Unito, cit. 192 Cfr. v. PaCillo, I delitti contro le confessioni religiose, op. cit., p. 160, il quale rileva la fragilità delle giustificazioni avanzate dai giudici di Strasburgo le quali fanno “perno sul concetto di maggioranza religiosa anagrafica della popolazione della regione, tendenti a riproporre quelle vecchie teorie giurisprudenziali italiane – ormai, come si è visto, superate dal nostro Giudice Costituzionale – che giustificavano la disparità di trattamento tra le varie confessioni religiose sulla base di argomenti statistici”. 652 Libertà di espressione e libertà di religione… al dialogo interreligioso ed interculturale, inteso quale momento di confronto e trionfo della diversità193. In questo senso va l’esaltazione al more speech della Dichiarazione congiunta Freedom of expression and incitement to racial or religious hatred del 22 aprile 2009, documento internazionale in cui si sostiene che una maggiore propensione al dialogo può educare alle differenze, promuovere la diversità, dar forza alle minoranze194. 193 Ciò è quanto sostenuto anche da alcuni organi dell’ONU, dall’UNESCO, da importanti ONG, da altre Organizzazioni internazionali, dal Consiglio d’Europa e da una parte consistente della dottrina. 194 Letteralmente la Dichiarazione congiunta Freedom of expression and incitement to racial or religious hatred, Durban Review Conference, 22 aprile 2009: “the strategic response to hate speech is more speech: more speech that educates about cultural differences; more speech that promotes diversity; more speech to empower and give voice to minorities, for example through the support of community media and their representation in mainstream media. More speech can be the best strategy to reach out to individuals’ hearts and minds, changing what they think and not merely what they do”. Cfr. Consiglio d’Europa, Risoluzione 28 giugno 2006, n. 1510, cit.; Raccomandazione 29 giugno 2007, n. 1805, cit. Entrambe individuano la diversità culturale come una risorsa e spingono per il dialogo tra religioni e culture differenti. 653 Abstract Gaetano Marcaccio, freedom of expression and freedom of religion: common ways, hidden and obvious conflicts. Preliminary analysis Freedom of expression and freedom of religion coexist in an encounter-clash relationship. On the one hand, they are connected by the historical-normative evolution, as can be seen in international Charters and national Constitutions, which makes them topographically close, positivizes them with similar regulative techniques, and influences them about their content. On the other, the conflict is about mutual boundaries. With this essay, I specifically analyze the limits that freedom of religion poses to free expression of thought, in its variations of critique and satire, with reference to the Italian case, but also with a gaze to supranational and foreign legislation and jurisprudence. I then focus on the mutations generated by the growing social multiculturalism, which sometimes leads to questionable positions in contrast with founding principles. parole chiave: Libertà di espressione, critica religiosa, satira religiosa. 654