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Urban studies Perché una ricerca transdisciplinare all’Avana? Premessa Nel 2014, partecipando a un bando dell’Ateneo di Ferrara – PRIA –, abbiamo ottenuto un finanziamento per realizzare un’attività di ricerca transdisciplinare della durata di tre anni. Da subito, come gruppo di ricerca composto da urbanisti, architetti e antropologi urbani, abbiamo voluto inscrivere il nostro lavoro all’interno di ciò che l’Unesco nel 2011 ha chiamato il programma Historic Urban Landscape; ovvero quell’insieme di studi, ricerche-azioni, pratiche di rigenerazione e di conservazione integrata del patrimonio storico capaci di generare uno sviluppo sostenibile rafforzando i fattori di equità sociale. Più nello specifico, la nostra ricerca, all’interno di questo approccio, ha individuato strategie e linee guida per un programma di rigenerazione per una zona “pilota” dell'Avana non inclusa nel perimetro del sito Unesco e non oggetto d’interventi di valorizzazione. Siamo partiti, nel costruire il nostro oggetto di studio, dal fatto che i concetti di “riabilitazione”, “rigenerazione”, “conservazione del patrimonio” spesso sfuggano a un’unica definizione: a seconda dei contesti storico-geografici, e degli sguardi disciplinari che li usano, subiscono evidenti scostamenti di significato. Tuttavia è innegabile, almeno nel panorama italiano, quanto questi concetti rappresentino da diversi anni concetti chiave dell’urbanistica contemporanea e delle scienze sociali che studiano l’urbano. Da qui siamo partiti, immaginando, di conseguenza, che il nostro lavoro di ricerca non potesse che essere di natura transdisciplinare. Difficoltà ancora maggiori pone il concetto di “territorio”, anch’esso centrale per gli studi urbani socio-antropologici e per quelli urbanistici. Questo può essere indagato come elemento tangibile o intangibile, come fosse un monumento o un paesaggio culturale. Anche a fronte della difficoltà di definirlo, anche in Italia, molti ricercatori e molte ricercatrici afferenti a diverse discipline sono soliti oggi usare questo concetto per mettere in discussione i tradizionali metodi e obiettivi di conservazione del patrimonio urbano che hanno caratterizzato gli ultimi cinquant’anni. Ciò al fine di superare la dicotomia tra tutela e sviluppo, considerando le città non più come spazi chiusi e storicamente definiti, ma piuttosto come organismi dinamici, in continua evoluzione: la conseguenza è stata quella di cominciare a pensare ciò che chiamiamo conservazione del patrimonio come un processo capace di integrare gli obiettivi specifici della tutela con quelli più generali dello sviluppo sostenibile. Il cappello concettuale Historic Urban Landscape – HUL – nasce proprio da queste riflessioni e comincia a definirsi come programma di studio e intervento prima nel 2005 – Memorandum di Vienna – infine nel 2011 – “Dichiarazione sulla conservazione dei Paesaggi urbani” all’interno della Convenzione del Patrimonio Mondiale. Per l’Unesco l’HUL è «l’area urbana intesa come il risultato di una stratificazione storica di valori e attributi culturali e naturali, che si estende al di là del concetto di centro storico, o insieme, per includere il contesto urbano e geografico più ampio». Tale definizione, ovviamente, non risolve alcune ambiguità di fondo visto che, ancora una volta, a seconda dei contesti in cui si applica può rappresentare un concetto, un approccio metodologico o, più politicamente, un progetto urbano di natura utopica. Pur immersa in questa molteplicità di significati, o meglio ancora di usi, tale definizione ad oggi ha provocato una evidente conseguenza: quella di spingere molti ricercatori e molte ricercatrici a concentrarsi non solo sui beni del patrimonio tangibile, ma piuttosto ad assumere un approccio più olistico atto ad integrare la protezione del patrimonio urbano con lo sviluppo socioeconomico delle città storiche. Il carattere ambiguo del concetto di “territorio” è del resto comprensibile soprattutto quando rivolgiamo la nostra attenzione alle politiche di gestione nazionali o locali – basti pensare al nostro Paese – per la protezione dei beni culturali. Nonostante la ricchezza del dibattito e del background teorico, e il fatto che oggi urbanisti e amministratori possano contare su un sistema molto ricco e dettagliato di principi e norme, ciò che sembra mancare è la definizione di strumenti in grado di tradurre tale dibattito in progetti concreti. 1. L’Avana Non è un caso il fatto di aver scelto di rivolgere il nostro sguardo analitico a una realtà così lontana dalla nostra, ovvero quella cubana. La cesura tra principi, norme e capacità progettuale e politica di tradurre in concreto questi ultimi, è molto visibile in quelle che l’Unesco definisce le città del “Sud del Mondo”; ovvero in contesti urbani dove le dinamiche urbane appaiono più veloci e spesso meno controllabili rispetto a quelle che contraddistinguono le città europee. Territori dove i concetti di legge, di bene pubblico, di valore sociale sono molto diversi rispetto ai nostri e, di conseguenza, meritano un paio di occhiali antropologici per essere analizzati. Per questo la mancanza di un autentico e proficuo dialogo, soprattutto all’interno dell’Accademia, tra diverse discipline ha trasformato spesso la progettazione urbana in un insieme di strumenti urbanistici incompatibili con quelli in uso da altre discipline. Le conseguenze ancora oggi evidenti: la conservazione è in molti casi vista come un ostacolo allo sviluppo, o come pretesto per uno sviluppo incontrollato e insostenibile del turismo. Lavorare in un contesto “altro”, antropologicamente “lontano” come quello cubano, ci ha dato modo di confrontarci con realtà fisiche, sociali che, pur avvolte nella contemporaneità, perpetuano modi di vivere lo spazio pubblico molto differenti dai nostri. Ci ha costretto a ripensare alcuni concetti, a partire da quello di “comunità” che, quando si lega a un territorio, assume significati e valori diversi. Partendo da questi presupposti, la nostra ricerca si è data da subito come obiettivo generale quello di stabilire un metodo che, lavorando contemporaneamente su due concetti, la comunità e lo spazio, ci avrebbe permesso di considerare la protezione del patrimonio culturale come un fattore di sviluppo a vantaggio di specifici gruppi di abitanti che condividono la loro vita quotidiana in uno determinato territorio. Vi è stato un altro concetto ci ha accompagnato in tutto il percorso di costruzione della nostra ricerca, ovvero quello di equità sociale. Questo infatti ci ha spinto a indagare la città dell’Avana come una città del “Sud del Mondo”. Più nello specifico, tale concetto ci ha spinto a concentrare l’attenzione su determinati territori della capitale cubana che, sebbene ricchi di patrimonio storico e culturale, non sono mai stati sottoposti a interventi di valorizzazione. In questa direzione l’Avana costituiva per noi un caso di studio interessante: per prima cosa, in virtù della ricchezza e della stratificazione del suo centro storico e per i problemi che l’affliggono; inoltre perché, nell’attuale fase della sua storia geopolitica, Cuba, e l’Avana in particolare, hanno un evidente bisogno di definire un progetto locale e identitario di sviluppo urbano, laddove, mai come oggi, i progetti di rigenerazione in corso sono praticamente appiattiti al modello occidentale. Da questo punto di vista, indagare il caso cubano, e nello specifico habanero, ci ha anche dato modo di contribuire al dibattito sulla definizione di strategie specifiche per le città del “Sud del Mondo” che spesso, come l’Avana, sono vittime di pressioni economiche, instabilità politica e sociale, la mancanza di una visione a lungo termine e un progressivo scollamento dalla rete di città globali. 3. La partecipazione Eravamo consapevoli, nel costruire il nostro progetto di ricerca, del fatto che potevamo dialogare con una ricca bibliografia prodotta negli ultimi anni su questi temi, e, alle volte, anche di natura interdisciplinare. Il riconoscimento formale della “comunità” come attore fondamentale della conservazione del patrimonio è avvenuto da parte del World Heritage Commitee, già a partire dal 2007 – Decisions adopted at the 31st session of the World Heritage Committee. In quell’occasione il Comitato ha aggiunto ai quattro obiettivi strategici definiti dalla “Budapest Declaration on World Heritage” del 2002 – Credibilità della Lista dei Patrimoni Unesco, Conservazione del patrimonio, Capacity-building e Comunicazione – un quinto obiettivo, ovvero la Comunità: «To enhance the role of communities in the implementation of the World Heritage Convention». Un riconoscimento tutt’altro che scontato se si pensa che nel 1992, quando il World Heritage Commitee adottò le categorie del Patrimonio Mondiale – siti di valore paesaggistico o culturale –, le Linee Guida Operative emanate in quell’occasione suggerivano di «evitare la pubblicità non necessaria tra le comunità durante la fase di nomination, e di non infondere speranze (che potenzialmente potrebbero essere deluse) riguardo ai possibili mutamenti derivanti dallo status di patrimonio mondiale». Solo successivamente, infatti, se pensiamo ai Convegni sui Paesaggi Culturali (La Petite Pierre, 1992 e Schorfheide, 1993), alcuni esperti riuscirono a convincere i più, politicamente parlando, che, in particolare per i paesaggi culturali, ma anche per molti altri siti viventi, la partecipazione delle comunità locali è indispensabile sia nella fase di nomina che nella gestione successiva dei diversi siti; e proprio queste riflessioni sono stati cruciali, come dicevamo all’inizio, per modificare la concezione stessa di patrimonio, le modalità di gestione di questo e i criteri stessi di individuazione dei valori patrimoniali. Sapevamo infatti, fin dalle prime fasi di scrittura del nostro progetto, quanto l’identificazione del significato culturale dei siti richiedesse una complessa valutazione: oltre ad un’analisi storica e scientifica del patrimonio fisico sarebbero stati necessari studi di tipo sociologico e antropologico per definirne il significato culturale. Valorizzare il patrimonio di alcuni territori specifici dell’Avana, di conseguenza, avrebbe significato mettere al centro la relazione tra la rigenerazione dello spazio e il miglioramento della qualità della vita; e ciò non ci sarebbe mai stato possibile se non lavorando insieme a gruppi di abitanti, intesi non solo come l’insieme di residenti permanenti in un luogo, ma come un gruppo di persone che hanno da tempo una relazione di condivisione tra loro. Tuttavia, come già sottolineato, in occasione della Dichiarazione del 2007 non furono definite linee guida dettagliate rispetto agli strumenti per il coinvolgimento della comunità. Ciò ha storicamente determinato pratiche nefaste per quanto concerne la gestione dei siti, almeno dal punto di vista dei suoi abitanti. L’uso consistente e continuo di un approccio top-down in alcuni casi ha causato una tendenza diffusa ad usurpare il patrimonio alle comunità locali, che spesso ne sono state utilizzatrici e depositarie per generazioni. In alcune circostanze, inoltre, tale usurpazione ha portato al mutamento delle interazioni economiche e sociali che nell’ambiente patrimoniale trovavano il loro spazio naturale e che non sempre sono state capaci di adeguarsi ad un nuovo ambiente. Tale usurpazione è spesso stata fisica – attraverso ricollocamenti forzati o indotti da fattori economici della popolazione residente – e quasi sempre ideologica – attraverso interpretazioni globali e “neocoloniali” di un territorio non prendendo in considerazione i valori sociali del patrimonio riconosciuti dalla popolazione locale. Per questo motivo altro nostro obiettivo generale è stato quello di “riterritorializzaziare” il concetto di patrimonio: da un concetto astratto che si presta a una facile strumentalizzazione politica a uno che lo vede come patrimonio vivente, relazionale, legato alle pratiche quotidiane e capace di tenere insieme differenti punti di vista. In questa direzione, coinvolgere la cittadinanza ha voluto dire, per noi, condividere e negoziare con i cittadini e le cittadine che abitano nei territori che sono stati oggetto della ricerca i presupposti e le ricadute applicative del nostro lavoro. Questa è stata in sintesi la nostra interpretazione del concetto di Historic Urban Landscape: un approccio in cui la natura, l’ambiente storico e gli elementi sociali delle città concorrono a formare un patrimonio unico e complesso, laddove, in questo sistema, gli abitanti ne diventano i titolari, i consumatori e i rappresentanti degli stessi beni patrimoniali. Condividendo tale approccio abbiamo costruito rapporti di fiducia con alcuni attori sociali habaneri a partire dalla considerazione che il patrimonio urbano non è solo il mezzo attraverso cui questi ultimi si riconoscono ma rappresenta esso stesso una forma di espressione collettiva. 4. Il contesto di ricerca Costituendo il gruppo di ricerca ci siamo dati quattro obiettivi specifici. Per prima cosa abbiamo voluto costruire un catalogo critico di progetti di rigenerazione urbana e architettonica che hanno rappresentato un fattore di sviluppo sociale al di fuori della realtà cubana. Ciò, infatti, ci avrebbe permesso, utilizzando lo strumento comparativo, di lavorare sul caso cubano mettendolo a confronto con altre realtà; e, allo stesso tempo, di non isolarlo pur rispettando la sua unicità. Per esempio, il “Janmarg Bus Rapid Transit System (BRTS)”, ovvero un piano per il trasporto pubblico che ha come obiettivi strategici il miglioramento della qualità dell’aria di Ahmedabad, nello Stato occidentale del Gujarat, un esteso territorio che conta una delle economie in più rapida crescita dell’India e una forte informalizzazione del lavoro costante con un conseguente aumento della povertà. Oppure Il progetto di miglioramento dei barrios di Caracas – CAMEBA – che ha lo scopo di ridurre la povertà e il miglioramento delle condizioni abitative precarie nei barrios della capitale venezuelana. E ancora, il progetto per migliorare la qualità della vita di chi abita nei quartieri informali di Chiang Mai, la seconda città più importante della Tailandia; o quello per difendere il patrimonio della Medina di Fez, una tra le fortificazioni medievali più estese e meglio conservate al mondo tanto da essere stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1981. Il rispetto e la partecipazione della “comunità” è ciò che fa da collante a tutti i progetti che abbiamo selezionato, come nel caso di “Urban Renewal”, atto a migliorare il benessere sociale ed economico degli abitanti più poveri dei quartieri centrali della città di Kingston; così come quello realizzato nella città di Medellín, che ha avuto come punto focale l’ “urbanistica sociale”, ovvero una visione progettuale integrata capace di intervenire con risultati significativi nelle aree più marginali della città. Inoltre, abbiamo selezionato progetti che hanno cercato di riconnettere varie aree marginali di grande pregio ed eredità culturale, quali quello compiuto nel quartiere Nizamuddin di Delhi, un territorio compreso tra il sito patrimonio Unesco della tomba di Humayun e i giardini della Sunder Nursery; oppure quello in corso a George Town, la capitale dello stato malese di Penang, una delle città più antiche del paese, ricca di bellezze naturali e storiche. Progetti, tutti, che hanno come collante, come detto in precedenza, il fatto di lavorare in città considerate del Sud del Mondo1. Ci interessava, come detto, prima di costruire i nostri casi di studio all’Avana prendere a modello alcuni progetti realizzati o in corso di realizzazione così poi da provare, attraverso lo strumento comparativo, a confrontare il nostro lavoro con quello realizzato in altri contesti geografici. Ovviamente, prima di dare avvio al lavoro di campo, ci è sembrato necessario costruire la nostra cassetta di attrezzi: ovvero un sistema di strumenti e linee guida in grado di tradurre il quadro teorico dei principi in un programma modellato sul contesto cubano. Ciò ha voluto dire studiare storicamente lo sviluppo urbanistico della città dell’Avana. Le prime attività che abbiamo infatti realizzato una volta arrivati nella capitale cubana non si sono limitate alla costruzione di una bibliogafia ad hoc, ma alla realizzazione di interviste a numerosi attori sociali capaci di ricostruire il quadro storico dei processi di trasformazione urbana nella capitale cubana. Maria Victoria Zardoya Loureda, come storica urbana della Facoltà di Architettura CUJAE dell’Avana, durante la nostra prima missione all’Avana è stata la nostra principale “informatrice” e ci ha permesso di entrare in contatto con colleghi e colleghe che si occupano di questi temi all’interno della Facoltà di Architettura della CUJAE – istituzione con la quale, alla fine della ricerca, abbiamo stipulato una convenzione a nome dell’Ateneo di Ferrara. 5. Le aree di studio Tali conversazioni e letture effettuate durante la prima missione a Cuba ci hanno portato a selezionare i nostri casi di studio. Questi, infatti, sono stati scelti in base a uno studio analitico delle dinamiche sociali e spaziali che li caratterizzano. Nello specifico, le dinamiche politiche che hanno influenza diretta sulle politiche di gestione della città; le politiche economiche di apertura agli investimenti stranieri e le dirette conseguenze sul regime di proprietà e sugli usi degli spazi urbani; i vantaggi e distorsioni del sistema a due valute in questi territori; i potenziali profitti e rischi nella corsa all’oro del settore turistico; Il trasporto pubblico come indicatore di segregazione spaziale; la qualità ambientale e della vita che caratterizza queste aree. E ancora, sempre Abbiamo riassunto con schede dettagliate tutti questi progetti all’interno del sito dove abbiamo raccolto i nostri materiali di ricerca: https://urbhe.wordpress.com/la-ricerca/ 1 più nello specifico, l’influenza dei piani di Cerdà e Haussmann nella concezione del piano per lo sviluppo del Vedado; il piano di Jean Claude Nicolas Forestier del 1925-1930 in sintonia con le riflessioni che in Francia si stavano compiendo sotto l’egida del Musée social fondato da Marcel Poete e della Société française des Urbanistes; quello di José Louis Sert e l’applicazione delle linee di intervento del CIAM al contesto habanero; il tema della Vivienda Social e il piano di Franco Albini – tutti piani e progetti che hanno toccato i territori che abbiamo scelto. Fin da subito abbiamo voluto non concentrare il nostro sguardo sulla vecchia Avana dove da anni è in corso un processo di recupero di numerosi edifici della città un tempo racchiusa dentro le mura. Tale valorizzazione della parte storica dell’Avana ha avuto indubbi riflessi sul turismo ma la città patrimonio Unesco, interessata dai lavori di restauro, è solo una piccola parte di quanto costruito nella capitale cubana tra Settecento e Novecento. La ricchezza storica, sociale, fisica dell’Avana emerge infatti anche e soprattutto nelle sue zone fuori dal cento storico: ”nel disegno urbano dei quartieri che la compongono, nella qualità dei partiti architettonici e dei dettagli costruttivi dei suoi edifici residenziali, infine nella lussureggiante vegetazione che borda le strade delle griglie del Vedado o di Miramar”. Basti pensare, per esempio, al Paseo, una strada di passaggio che dal Malecòn attraversa l’interno quartiere del Vedado. Sarà infatti nel corso del Novecento, proprio nella parte ovest della città – Vedado e Miramar – che si consolideranno i quartieri residenziali della borghesia benestante: “con le eleganti ville eclettiche, gli edifici residenziali art déco e modernisti, le strade alberate e ornate di una lussureggiante vegetazione e caratterizzate oggi da un evidente degrado”. Pezzi di città giardino che si prolungheranno fino alla foce del rio Almendares, oltre il quale troviamo oggi il quartiere di Miramar, il cui progetto risale al 1908. Per farsene una idea è sufficiente concentrare lo sguardo sul moderno Malecòn, che oggi rappresenta un luogo simbolico degli habaneri i quali sostano e passeggiano lungo il muraglione che li separa dal mare. Questa autostrada urbana a sei corsie costituisce a tutti gli effetti l’interfaccia della città con il mare ed è stata realizzata, come sottolineavamo in precedenza, solo dopo il completamento dei quartieri Habana centro e il Vedado. Un luogo non risolto per molti aspetti: “Lungo questo spazio si confrontano le esigenze della salvaguardia patrimoniale del fronte urbano e le spinte alla valorizzazione immobiliare di questo luogo simbolico”: Proprio queste osservazioni ci hanno spinto a uscire dall’ Habana Vieja che dall’inizio degli anni Novanta è oggetto di studi urbani in quanto teatro di numerosi processi di rigenerazione integrata inclusi nell’area iscritta nella Lista dei Patrimoni Unesco. Tale innovativo sistema di gestione dell’Habana Vieja, infatti, sebbene stia generando una vera rinascita dell’area, al contempo sta rafforzando la cesura già definita dal perimetro del Sito Unesco: “escludendo dal processo di rigenerazione aree limitrofe al centro storico d’interesse patrimoniale notevole ed estremamente fragili dal punto di vista economico ed ambientale”. Nel 1993, infatti, nel pieno di una recessione economica senza precedenti il governo cubano decise di delegare la gestione e tutela del Centro Storico all’Oficina del Historiador – OHCH –, un’istituzione fondata nel 1938 con lo scopo di promuovere la tutela del patrimonio e la difesa dell’identità nazionale1. Da allora gli studi sull’Avana si sono per lo più concentrati sulla pianificazione del suo centro storico contribuendo alla definizione di un vero Plan Maestro: “una “Carta di navigazione” che sapesse adattarsi per rispondere in maniera flessibile ed efficace alle dinamiche che via via avrebbe potuto innescare e a quelle date da fattori esterni non prevedibili a priori”. A partire dal ‘93, infatti, parallelamente alla definizione degli strumenti di gestione, l’Oficina del Historiador ha avviato un processo di trasformazione interna per diventare una struttura capace non solo di redigere e gestire piani, ma anche “implementare progetti di rigenerazione e recupero, creare spazi per il coinvolgimento e la partecipazione della cittadinanza, avviare attività economiche in grado di dare slancio ai progetti attuati e infine di gestirne efficacemente i proventi” – e proprio in virtù del suo essere ancora oggi l’attore principale di tutte le trasformazioni dell’Habana Vieja, come gruppo di ricerca abbiamo costruito un rapporto di fiducia con questa istituzione realizzando, come vedremo in seguito, in una delle sedi dell’ Oficina il nostro workshop internazionale. Questi sono i motivi per cui abbiamo voluto decentrare il nostro sguardo analitico concentrando il lavoro fuori dal centro storico, in quattro territori poco presi in considerazione, anche a livello politico, all’interno dei progetti di valorizzazione del patrimonio della capitale cubana ancora oggi in corso. Abbiamo infatti scelto di studiare per prima l’area del Malecón, in particolare un tratto attualmente inutilizzato. Ciò ci avrebbe dato modo di rispondere ad una serie di problemi strutturali al quartiere che racchiude questo territorio, legati prevalentemente alle inondazioni che interessano periodicamente la zona. Abbiamo poi continuato ad esplorare quest’area spingendoci verso le coste del fiume Almendares, in un quartiere, il Fanguito, nato spontaneamente nella zona terminale del parco metropolitano de La Habana, nello spazio di risulta tra la fine del Vedado ed il fiume. Gli stagionali straripamenti del fiume, le strette strade sterrate percorse da animali di diverse taglie, le condizioni ambientali delle edificazioni nel Fanguito hanno portato a decretare insalubre questo quartiere. Continuando a percorrere l’Almandares abbiamo poi concentrato il nostro sguardo di ricerca l’area urbana raccolta attorno alla foce del fiume e, per ultimo, risalendo, abbiamo elaborato strategie progettuali per il quartiere storico del Vedado. Queste sono state le quattro aree prese a caso d studio su cui abbiamo lavorato alternando i nostri studi tra Ferrara e la capitale cubana nell’arco dei tre anni di lavoro. 5. Tra Ferrara e l’Avana Come gruppo di ricerca abbiamo utilizzato Ferrara e le sedi dell’Ateneo per discutere del nostro progetto e dei dati che durante il tempo raccoglievamo e producevamo dividendoci in sottogruppi sulla base delle diverse competenze disciplinari. Durante queste riunioni con cadenza bimensile abbiamo aggiornato di volta in volta una bibliografia ragionata sui temi afferenti la ricerca. All’Avana abbiamo svolto tre missioni: la prima ad aprile-maggio 2016, la seconda ad agosto-settembre 2016, la terza ad aprile 2017. Durante la prima missione abbiamo costruito rapporti di fiducia con numerosi colleghi e colleghe afferenti a diverse discipline – urbanisti, architetti e antropologi per lo più – che ci hanno aiutato a circoscrivere il nostro campo di ricerca e selezionare le aree di studio. Durante la seconda missione abbiamo preso i contatti con la Facoltà di Architettura della CUJAE e con l’Oficina dell’Historiador al fine di organizzare insieme un workshop internazionale che si sarebbe svolto durante la nostra ultima missione2. Contemporaneamente, abbiamo pubblicato un dossier con i risultati intermedi della ricerca di cui alcuni estratti sono stati pubblicati sulle riviste “Paesaggio Urbano” (2016, n° 5-6) e “Area” (2017, n° 150) e tre seminari di approfondimento per condividere con colleghi italiani e cubani i primi risultati della ricerca. Nell specifico, un seminario di approfondimento dei temi di ricerca che si è svolto il 19 ottobre 2016 presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara in preparazione del workshop Internazionale con studenti e studentesse interessate a partecipare e a costruire tesi di laurea sul tema – alla fine del lavoro infatti ben otto sono state le tesi di laurea che abbiamo prodotto dopo il lavoro di “campo” a Cuba tra il Dipartimento di Architettura e quello di Studi Umanistici. Un secondo momento formativo è stato organizzato il 23 febbraio 2017 sempre presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara per cominciare a lavorare sulle quattro aree che avremmo preso sotto esame durante il lavoro all’Avana. Infine, dopo il workshop internazionale all’Avana con conseguente lavoro di campo sulle quattro aree, abbiamo promosso un ultimo momento seminariale nelle giornate del 22 e del 23 maggio 2017, al quale, oltre agli studenti e le studentesse, ha partecipato anche una professoressa della CUJAE dell’Avana al fine di rileggere criticamente i nostri progetti strategici. Per ultimo, abbiamo presentato i primi risultati e le prime interpretazioni relative al nostro lavoro triennale nell’ambito del convegno internazionale EAAE – European Association for Architectural Education “Learning with the world” – che si è svolto a Bourdeaux il 30 agosto 2017 e all’interno del convegno internazionale “Seconda Biennale di Architettura di Pisa”, realizzato tra il 19-28 Novembre 2017 presentando i nostri progetti. Conclusioni In fase conclusiva del progetto abbiamo pensato necessario avviare una fase di restituzione del lavoro realizzato. Per fare questo stiamo tutt’ora promuovendo un dibattito su Ciba con i colleghi e le colleghe che lavorano nel campo dell’internazionalizzazione nell’Ateneo ferrarese e alcuni rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale al fine di organizzare mostre e seminari con i risultati del workshop e delle tesi di laurea; e, soprattutto, stiamo lavorando per continuare il nostro lavoro in altre realtà geografiche del Sud del mondo. Costruire un’equipe interdipartimentale per il Progetto Pria è stata un’esperienza molto positiva. Un’esperienza che ha ci ha permesso di costruire un dialogo con altri colleghi e colleghe afferenti ad altre discipline. La speranza è che progetti come questo possano indirizzare l’attività di ricerca dei nostri atenei in una direzione sempre più interdisciplinare e di natura cooperativistica laddove, nonostante la retorica sulla necessità di una maggiore transdisciplinarietà, i tagli alla cooperazione internazionale dentro ‘Accademia Durante la nostra ultima trasferta di studio, infatti, abbiamo portato all’Avana dodici, tra studenti e studentesse dei Dipartimenti di Studi umanistici e di Architettura dell’Università di Ferrara, i quali hanno lavorato a stretto contatto, nelle quattro aree di studio, con altrettanti studenti e studentesse della CUJAE. Supervisor dei progetti elaborati dagli studenti sono state le colleghe professoresse Marìa Victorìa Zardoya, Dayra Gelabert, Ada Portero Ricol e Maria Teresa Padron Lotti. 2 sono sempre più radicali e le divisioni fra i settori scientifico disciplinari sempre più significativi. Bibliografia 1. Decreto Legislativo 143 dell’ottobre del 1993, modificato nel 2015. 2. Oficina del Historiador, Plan Maestro, PEDI 2011. L’Oficina ha avviato i lavori di aggiornamento del PEDI del 2011. Il nuovo piano avrà come orizzonte temporale il 2020. 3. UNESCO World Heritage Centre, Nothing Urban is Foreign to me. Case study of Old Havana, in World Heritage n.81, settembre 2016, World Heritage Centre, UNESCO, Parigi. 4. Censo de Población y Viviendas, maggio 2001. Plan Maestro e Oficina Nacional de Estadística. 5. CIUDADELA: Abitazione destinata a molteplici famiglie, costituita da una serie di stanze perimetrali che si affacciano su un patio di uso comune, così come in comune sono il bagno e la cucina. (da ZARDOYA, María V., 2003). 6. BARBACOA: Solaio artigianale realizzato all’interno di una stanza di altezza notevole. (da http:// www.planmaestro.ohc.cu/index.php/instrumentos/glosario). 7. Mario Coyula, Al margen del Centro, in Arquitectura y Urbanismo, Vol. XXXI, n. 2/2010.