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Il corpo come conflitto: fine vita e diritto costituzionale verso un orizzonte biopolitico. di Andrea Venanzoni (Dottorando di ricerca in Diritto pubblico e costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi Roma Tre) Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia, ha scritto Camus ne Il Mito di Sisifo. Nelle dinamiche evolutive di una società in cui le tecnologie, non solo medicali, stanno imprimendo un significante nuovo al concetto stesso di vita, trasformandola in uno “spazio libero e giuridicamente nuovo”, per dirla alla Schmitt, si assiste ad un (ri)posizionamento parimenti radicale dei processi di giuridificazione del corpo e della sua disponibilità individuale. Pur prendendo atto della chiusura costituente ad ipotesi di formulazione di un autentico diritto di morire, l’analisi si appunta sulla evanescenza del corpo nella costruzione foucaultiana delle istituzioni totali, sull’essenza storicosostanziale del suicidio e riflette sugli archetipi fondanti dei canoni autosovrani, come la dignità, connettendo tra loro pronunce giudiziali aventi ad oggetto proprio l’ inferenza tra corporeità e determinazione individuale: dalla riaffermazione di un principio solidaristico insito nella auto-determinazione a partire dalla dichiarazione di incostituzionalità del reato di plagio nel 1981, basata proprio su una raffinata ricostruzione della reificazione e della soggezione come conflitto tra autorità e libertà, alla giurisprudenza costituzionale (e non solo) più recente, con il conflitto tra poteri e il silenzio glaciale delle Camere sul caso Englaro passando per Welby fino alla recentissima e tuttora in corso vicenda processuale di Marco Cappato. La pietas costituzionale, nella ermeneutica evolutiva della libertà individuale e nella sua connessione solidaristica al dato sociale importata dai formanti tecnologici, schiude a Costituzione invariata un orizzonte di libertà, non tanto di decidere arbitrariamente di uccidersi quanto a certe, precise condizioni di congedarsi dal mondo e di affermare, come atto politico individuale totale, la propria libertà di rimanere un essere umano degno. To question if life is really worth living is to answer to the fundamental question in philosophy, as Albert Camus pointed out in his The Myth of Sisyphus. According to the evolving social dynamics, high technology, and not only the medical one, is replacing the deep meaning and the whole concept of life and it is transforming it in “a void space and a juridically brand new thing”, to www.giurisprudenzapenale.com │Giurisprudenza Penale│redazione@giurisprudenzapenale.com Rivista Giuridica registrata presso il Tribunale di Milano (Aut. n. 58 del 18.2.2016) │Codice ISSN 2499-846X GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” quote Carl Schmitt. There’s a radical change in the main topics related to the juridification of the body and to the core of individual self-possession. The italian Constitution doesn’t allow a real right to die, so the essay focuses on the foucaultian theory of total institutions, on the historical and cultural bases of suicide and euthanasia, on the fundamental archetypes of selfsovereignty such as dignity as a form of pure intersection between social biases and processual statements, trying to develop a socio-constitutional theory in which the right to die is replaced with a full right to remain a human being, with political rights, dignity and self-consciousness: from the appalling and emerging principle of solidarity we can find in the italian Corte Costituzionale’s judgment with whom the supreme judges deleted the crime of plagiarism from the italian criminal code back in 1981, a judgment based mainly on the analysis of reification and subjection, to the judicial statements about power conflicts, over the Englaro’s case, and not forgetting the painful Welby’s case, and the recent Cappato’s trial. Constitutional pietas, according to the evolving interpretation of individual freedom and social rights as they are intrinsically changed by the massive use of technology, means a horizon of freedom of choice; this doesn’t involve the right to plainly kill oneself but, at certain conditions, to take oneself’s life with his own hands, and to remain, at every cost, a homo dignus. Sommario: 1. La lotta biopolitica per la vita: il corpo tra solidarietà e autorità. 1.1 Il suicidio come fatto sociale. 1.2 Il paradigma biopolitico. 1.3 Il corpo tra conflitto e istituzione totale: nascita della clinica 2. La libertà di congedarsi dal mondo; l’articolo 580 c.p. come dispositivo di controllo sociale. 2.1 Suicidio modo d’uso: la criminalizzazione dell’autodeterminazione individuale. 2.2 Enfermer le dehors: suicidio, prostituzione, plagio. 2.3 La soglia di determinazione biologica della modernità: personalismo, solidarietà e dignità contro la riduzione biopolitica del corpo a esperimento diffuso 3. Il diritto costituzionale e gli infermi: malattia, tecnica e dato politico. 3.1 Senso e consenso: legge sul consenso informato e valorizzazione degli articoli 2 e 13 Cost. 3.2. Nostalgia dell’origine: il caso Dj Fabo/Cappato. 4. Una conclusione: per una democrazia del fine vita “Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla stessa finestra per dare una occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per 2 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme” D. F. WALLACE, Infinite Jest, Einaudi, 2006 1. La lotta biopolitica per la vita: il corpo tra solidarietà e autorità. 1.1 Il suicidio come fatto sociale. Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia1. L’abissale quesito sollevato da Camus pone un duplice ordine di problemi; in primo luogo, con questa opera del 1942, il pensatore francese tenta un superamento delle teoriche sociologiche e filosofiche che vedevano nell’azione suicidaria una frattura dell’ordinamento sociale, un gesto che per riprendere una delle sfumature della partizione teorica durkheimiana diveniva a tutti gli effetti anomico. Ma c’è un ulteriore dato degno di menzione nell’analisi camusiana, ovvero il concetto di vita degna di esser vissuta. Nella sua elaborazione, Camus affresca la figura dell’uomo assurdo, l’uomo cioè che è in lotta permanente con il mondo e che non si toglie la vita per disperazione ma come atto di rivendicazione politica totale, di affermazione di se stessi a fronte delle dinamiche relazionali e sociali di controllo, fossero esse politico-ideologiche o religiose. Questo individuo non consiste in un futuro connesso a fumose idee di speranza ma si sostanzia nel qui ed ora, prendendo la vita con le sue stesse mani. Echeggiano, in questa ricostruzione, i versi di John Donne sull’afferrare con le mani le chiavi della propria esistenza2. Una sfida titanica contro la natura stessa e che in certa misura accompagna nel corso della storia la edificazione di moltissime istituzioni giuridiche3. Se per Enrico Morselli4 e successivamente Durkheim5, che sulle statistiche di Morselli aveva fondato la sua elaborazione pur discostandosi dagli approdi concettuali del primo, il suicidio aveva rappresentato un atto di deviazione dal canone di continenza sociale, una rottura dell’ordine istituzionale, Camus 1 A. CAMUS, Il Mito di Sisifo, Bompiani, 2000, p. 7. P. BERNARDINI, “I have the keys of my prisons in myne own hand”. Prime note sul Biathanatos di John Donne, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2004, pp. 3 e ss. 3 Come è stato rilevato, il timore dei suicidi spiega da solo parecchie istituzioni giuridiche importanti, così, EM. JOBBÈ-DUVAL, Les morts malfaisants. Larvae, Lemures d’apres le droit et les croyans populaires des Romains, Sirey, 1924, p. 73. 4 E. MORSELLI, Il Suicidio, Dumolard, 1879. 5 Addirittura come noto, Durkheim arriva a rilevare la tendenziale e asserita indifferenza delle motivazioni individuali del suicida, E. DURKHEIM, Il suicidio. L’educazione morale, UTET, 1969, p. 62. 2 3 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” spezza questa tradizione e pone l’accento sulla consapevolezza dell’esserci, di un uomo consapevole di non essere Dio ma consapevole anche del controllo capillare esercitato dai dispositivi istituzionali sulle sue scelte e sulle sue attitudini. La dignità della vita è un canone particolarmente intenso negli anni in cui il pensatore francese inizia a redigere la sua riflessione sul suicidio. Nel 1911 il politico socialista francese Paul Lafargue si tolse la vita assieme alla moglie Laura, figlia di Karl Marx; nonostante Lafargue avesse lasciato una dettagliata lettera nella quale dava conto di essere sano di corpo e di spirito, il gesto venne duramente condannato dagli ambienti marxisti6. Pochi anni dopo, nell’insorgere della rivoluzione bolscevica in Russia, uno dei primi provvedimenti adottati dagli avanzanti rivoluzionari fu quello di contrastare i suicidi e di dettare canoni ermeneutici nuovi per spiegare i fenomeni suicidari. Essi venivano ricondotti alla lotta duale e spietata tra la realtà fenomenica circostante e l’interiorità umana, con una prevalenza necessitata del dato biologico; una volta preso il potere, i Bolscevichi misero nero su bianco che nessuno poteva darsi la morte e che essa era un fatto sociale, solo il potere del collettivo avrebbe potuto decretare la fine di un individuo o di un gruppo di individui7. Nel 1920, venne data alla stampe in Germania una piccola plaquette, Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens: ihr Mass und ihre Form a firma congiunta del giurista Karl Binding e dello psichiatra Alfred Hoche8; si trattava di una opera destinata ad esercitare una influenza enorme non solo sul pensiero successivo ma anche sui moduli procedurali, organizzativi e pragmatici della biopolitica eugenica del Terzo Reich9. Il fulcro della teorica dell’opera era proprio quello ruotante attorno alla figura della vita degna o non degna di essere vissuta10. Lo spirito che animava i due 6 U. GRASHOFF, In einem Anfall von Depression: Selbsttotungen in der Ddr, Links Verlag, 2006, p. 276, ricorda come il marxista Franz Mehring vergando una sorta di epitaffio dei due coniugi suicidi riprese la metafora marziale resa celebre da Cicerone, condannando il gesto e asserendo come neppure il più grande veterano nella lotta per la libertà e per la emancipazione vantasse il diritto di chiamarsene fuori. 7 K. M. PINNOW, Violence against the collective self and the problem of social integration in early bolschevick Russia, in Kritika. Explorations in Russian and Eurasian History, 2003, p. 661. 8 E. DE CRISTOFARO - E. SALETTI, Precursori dello sterminio. Binding e Hoche all’origine della eutanasia dei malati di mente in Germania, Ombre Corte, 2011, G. ALY, Zavorre. Storia dell’Aktion T4: l’eutanasia nella Germania nazista 1939-1945, Einaudi, 2017. 9 R. ESPOSITO, Bios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, 2004, p. 115. 10 In senso solo parzialmente diverso, la qualificazione di esseri umani non persone proposta di recente da chi come H. T. ENGELHARDT J.r, Manuale di Bioetica, 4 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” autori era non solo quello di una bonifica sociale generalizzata ma anche di un umanitario ausilio al welfare state e alle famiglie dei malati incapaci di provvedere a sé; quella che veniva proposta era una buona morte. Il concetto di bontà della morte era però declinato in chiave desoggettivizzante11, era cioè la sfera pubblica, non tenendo in alcuna considerazione la effettiva volontà del singolo, a decidere per lui. Ma l’opera dei due scienziati sociali conteneva un altro elemento di assoluto interesse; la dimensione valoriale incistata nella determinazione della scelta finale, in questo caso di cui viene spogliato il singolo portatore del corpo e la sua sostituzione procedurale con un valore consustanziale alla dimensione pubblica. Non è solo lo Stato a decidere, il corpo rifluisce, si ripiega su se stesso, cessa di essere vita politica e diviene un ingranaggio spezzato della macchina statale. 1.2 Il paradigma biopolitico. Il corpo malato muta in uno stato di eccezione permanente sedimentato in un conflitto valoriale12, in cui all’arretramento di un valore se ne espande un Saggiatore, 1999, p. 205 giustifica l’infanticidio ad opera dei genitori del proprio figlio portatore di grave handicap. 11 Come ha notato P. SINGER, L’etica della sacralità della vita è una malata terminale, in ID., La vita come si dovrebbe, Il saggiatore, 2001, p.201, nella vicenda del giovane tifoso di calcio Tony Bland rimasto in seguito alla tragedia dello stadio di Hillsborough in stato vegetativo, la House of Lords, nel caso Airedale N.H.S. trust v. Bland, del 4 febbraio 1993, ha dovuto, in assenza di qualunque parametro individuale che permettesse di ricostruire la volontà dello stesso Bland, ricorrere a parametri oggettivi, arrivando a decidere che quella esistenza non era nell’interesse di Bland. Non diversamente da quanto avvenuto nelle decisioni delle Corti americane nei casi Cruzan e Schiavo e nel caso Lambert deciso dalla CEDU nel 2015; la sostituzione della ricostruzione effettiva della volontà del singolo con visioni valoriali oggettivizzate o con il criterio dell’interesse collettivo conducono alla dimensione dell’orizzonte biopolitico, sulla cui linea si staglia la visione della vita indegna di essere vissuta. Nel caso Cruzan, Cruzan by Cruzan v. Director, Missouri Department of health (No. 88-1503), 1990, la Lower Court del Missouri ha elaborato una gradazione delle soluzioni ricorrendo a tre criteri discretivi, al cui interno comparivano chiare forme oggettivizzate di interesse al cui apice si situava il giudizio sostitutivo. 12 Secondo B. LATOUR, Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, Raffaello Cortina, 2000, p. 119 il richiamo ai valori finisce con l’ingenerare una polarizzazione delle opzioni e delle parti interessate al discorso con la contestuale scomparsa/esclusione di volta in volta delle parti meno avvantaggiate, ovvero la mancanza di considerazione di ulteriori proposizioni nel criterio di assolutizzazione del postulato sposato sin dall’inizio dalla parte proponente, 5 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” altro13: è il passaggio da uno Stato territoriale a uno Stato biologico, fondato sulla dimensione antropico-biologica14. Nella de-territorializzazione, o meglio nella fludità viralmente espansiva delle frontiere e delle barriere e nell’emergere incessante della questione biocorporea, il potere sovrano viene articolato in segmenti funzionali al mantenimento dell’ordine costituito; nella Germania hitleriana la dimensione finita e reclusa del campo di concentramento riproduce il dispositivo di dominio sul corpo del malato internato in clinica. Non casualmente il prodromo organizzativo del momento olocaustico è generalmente ricondotto proprio alle politiche eugenetiche attive tese alla eliminazione fisica dei soggetti ritenuti indegni di vivere; l’Aktion T415 celebrò la scomparsa, sociale e fisica, del corpo indesiderabile, malato, facendolo divenire una particella inscindibile dal plesso istituzionale in cui i malati venivano internati Il corpo malato, tecnicamente inserito in procedimenti finalizzati alla sua cura, viene occultato dalle dinamiche socio-relazionali e portato a divenire altro: la spersonalizzazione rende inaccettabile qualunque ipotesi di autodeterminazione, di cui il suicidio rappresenta epitome. Non a caso l’hitlerismo condanna severamente le prassi suicidarie, riservandone l’accettazione a limitatissime ipotesi valoriali guerriere 16 conformi alla auto-rappresentazione del potere sovrano17. Non a caso proprio per questa commistione conflittuale tra valori, l’opera suscitò l’interesse di Carl Schmitt, G. AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 2005, p. 151 14 M. FOUCAULT, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, 2009, pp. 208 e ss. sottolinea come la società inizi a delineare dispositivi di controllo non più sul corpo individualizzato ma sull’uomo come specie; sono processi resi possibili dalla tecnica e dalla sua capillare incidenza nel dato sociale. Ad ogni elemento medicale, innovativo, teso alla dimensione vitale, se ne contrappone uno distruttivo e di controllo: è la tecnica istituzionalizzata che rende possibile la cura delle grandi malattie e al tempo stesso gli stermini di massa, mediante la loro industrializzazione. 15 Una delle figure cardine dell’Aktion T4, unitamente al Dottor Karl Brandt, alto ufficiale delle SS, fu il futuro comandante del campo di Treblinka, Franz Stangl, sul fondamento organizzativo, culturale e con ampie conversazioni con lo stesso Stangl, detenuto al termine del conflitto, G. SERENY, In quelle tenebre, Adelphi, 1994, specialmente pp. 80 e ss.. 16 E’ il caso di sottolineare come nel diritto romano, a far tempo dall’Imperatore Tiberio e in un clima generale in cui l’incidenza concreta dei suicidi era particolarmente elevata, il suicidio dell’individuo ritenuto indegno o sottoposto a processo e a rischio di condanna a morte venisse duramente riprovato dall’ordinamento, tanto da importare la perdita del patrimonio che non poteva quindi essere trasmesso per via ereditaria A. D. MANFREDINI, Il suicidio. Studi di diritto romano, Giappichelli, 2008, p. 217. 17 Paradigmatica la concessione dell’ “onore” del suicidio a Erwin Rommel, superficialmente coinvolto nella congiura che avrebbe portato ad attentare alla vita del Fuhrer il 20 Luglio 1944. O all’ordine emanato da Adolf Hitler e rivolto al Generale 13 6 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” Quando, a partire dal 1943, i primi rovesci bellici iniziarono ad incrinare la fiducia dell’esercito tedesco nella vittoria finale e la durezza del conflitto soprattutto nelle sue brutali conseguenze sul fronte dell’Est si riverberò dalla taiga russa al cuore pulsante della Germania, le autorità tedesche corsero ai ripari emanando una serie di disposizioni tese a reprimere duramente i suicidi. Da un lato venne prevista la fucilazione per chi aveva solo tentato senza riuscirvi, dall’altro vennero emanate misure punitive incidenti sull’assistenza economica ai congiunti, come ad esempio la privazione della pensione riservata alla vedova del soldato suicida18. Simbolicamente ancora più interessanti, poiché traspiranti una chiara aura medioevale, le misure adottate dal Reichsfuhrer delle SS Heinrich Himmler, il quale arrivò a disporre che il soldato suicida venisse sepolto senza onori e con le mani legate19. La tensione repressiva dell’anelito autodeterminativo del singolo raggiungeva la sua massima e più perfezionata espressione nei campi di concentramento, in cui il punto focale della industrializzazione applicata al thanatos inglobava tutti i reclusi in una unica macchina-corpo governata da un principio di totale asservimento alla logica della produzione; il corpo, spogliato della sua caratterizzazione personalistica, recedeva a dato eminentemente se non esclusivamente biologico, ingenerando meccanismi di coercizione psicologica che rendevano inconcepibile il gesto suicida20. La costruzione del campo come confine del corpo, modulato sulla finitezza, sulla limitazione spaziale, sul rendere unica prigione il corpo stesso, è un elemento che accomuna il totalitarismo hitleriano con quello sovietico; la vita condotta nel gulag, inumana, spersonalizzante, devoluta alla costituzione totalizzante di un organismo unico di vita e pensiero e produzione solo raramente riusciva a culminare con il suicidio21. L’eliminazione dall’orizzonte delle possibilità della speranza e la riconducibilità del quotidiano ad una dimensione meccanizzata segnalano come il campo di concentramento rappresenti la sublimazione terribile ma Von Paulus, comandante della VI Armata tedesca accerchiata e prossima all’annientamento nell’assedio di Stalingrado: Hitler ordinò a Von Paulus di resistere fino all’ultimo uomo e poi di suicidarsi con vero spirito prussiano per non cadere vivo nelle mani del nemico. Si era soliti parlare a questo proposito di Selbstmord auf Befehl, di suicidio a comando, in questo senso A. ENZI, Il lessico della violenza nella Germania nazista, R. Paron, 1971, p. 372. 18 C. MALAPARTE, Kaputt, Mondadori, 1979, p. 328. 19 C. MALAPARTE, Kaputt, cit., p. 350. 20 Come sottolineato da H. ARENDT, nei campi di sterminio vi era una sorprendente rarità di azioni suicidarie, Le origini del totalitarismo, Comunità, 1996, p. 623. Si veda anche T. BRONISCH, Suicidality in german concentration camps, in Archives of suicide research, 1996, pp. 129 e ss. 21 A. SOLZENICYN, Arcipelago Gulag, Mondadori, 2001, vol. I, p. 1430, per analoghe considerazioni sulla stupefacente rarità dei suicidi nei gulag. 7 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” efficace della tecnica, e del connesso potere, trasfuso nella biologia: una inesausta ricerca di dominio sociale declinata nel senso della sovranità collettiva, in luogo di liberazioni auto-sovrane rappresentate dalla libera scelta del suicidio. E proprio in questa consapevole auto-nullificazione risiede il nudo potere della sovranità individuale, la fatalità di ciò che è intimamente sovrano, poiché ciò che è sovrano non può darsi se non nella negazione di sé stesso, o nell’istante durevole della morte22. 1.3 Il corpo tra conflitto e istituzione totale; nascita della clinica. Proprio questo canone della sovranità assoluta come esercizio di autodeterminazione ci porta a dover inferire come il controllo bio-politico sul corpo non sia una esclusiva del totalitarismo; nel totalitarismo si assiste ad una fusione procedurale tra dato tecnico e controllo sociale, ma anche nel sistema liberale permane la sfera di indisponibilità del proprio corpo, poiché lo stesso viene incardinato in un intreccio socio-relazionale intenso, in cui alla mancanza di regola si sostituisce la razionalità tecnica a-umana. Ciò che nell’ordine liberale non viene regolato viene lasciato, fluttuante, a rispondere delle razionalità intrinseche e parziali dei singoli sistemi, come ad esempio quello della scienza medica, governato da sue regole proprie che non sempre collimano con i valori liberal-democratici. Il controllo sul corpo viene ratificato proprio dalla proceduralizzazione23 esercitata dalle istituzioni su di esso. D’altronde, anche volendo prescindere dalla razionalità tecnica, il fondamento cristiano24 della cultura occidentale ha da sempre guardato con profonda sfiducia alla libertà assoluta del singolo, culminante appunto nel gesto suicidario25. 22 Così G. BATAILLE, La letteratura e il Male, SE, 2006, p. 145 il quale più oltre continua asserendo che la morte è l’unico modo per evitare alla sovranità l’abdicazione. Non c’è più schiavitù nella morte: nella morte non vi è più nulla. Di sovranità nel corpo e sul corpo parla diffusamente P. VERONESI, Uno statuto costituzionale del corpo, in S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di Biodiritto, Giuffrè, 2011, p. 128. 23 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Tipografia Giusti, 1872, p. 1153 in nota ricorda come una antica legge della città di Marsiglia dichiarava permesso il suicidio a condizione che chi ne avesse volontà chiedesse facoltà di commetterlo al Consiglio dei seicento che reggeva la repubblica, manifestandogli le ragioni che a ciò lo inducevano: se il Consiglio le riteneva meritevoli accordava il permesso suicidario. 24 Per una ampia ricostruzione delle concezioni filosofiche del suicidio nella antichità, R. MARRA, Suicidio, diritto e anomia. Immagini della morte volontaria nella civiltà occidentale, ESI, 1987, pp. 16 e ss. 25 F. SCLAFANI – O. GIRAUD – G. BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio – profili giuridici, criminologici, psicopatologici, ESI, 1997, p. 7 sottolineano come la radicalizzazione del riconoscimento del disvalore etico e giuridico dell’azione 8 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” La morte, in assoluto, oltre che una liberazione arbitraria finisce con l’incarnare un ordine di autorità superiore rispetto a quella del patto sociale, e come tale diviene intollerabile per un ordinamento che postula la sua assoluta finitezza regolamentare e assiologica26 Permane uno scetticismo di fondo su un gesto che nella migliore delle ipotesi incrina l’ordinata convivenza civile, minandone i costrutti fondanti perché finisce con il metterli in questione: magistrale in questo senso la polemica interna agli ambienti liberali che infuocò il panorama giuridico italiano di fine ottocento27. Ma mentre nel totalitarismo biopolitico il potere pretende di esercitare un controllo assoluto sulla nuda vita del soggetto28, restringendo lo spazio fino ad annullare il singolo nella totalità di un organismo che fagocita le singole identità29, nel liberalismo permane lo spazio di sopravvivenza, per quanto conchiuso nella carta, ovvero nel riconoscimento formale e burocratico, della identità come momento di separazione tra mero bios e soggetto politico e titolare di diritti. C’è però un momento in cui i due fenomeni, totalitarismo e liberalismo, si connettono e si congiungono in una danza macabra di pura essenza suicidaria sia coincisa per indubbio tramite della opera ermeneutica e concettuale dei canonisti con l’affermazione della dottrina cristiana. Il Concilio di Arles nel 452 d.C. ricondusse il suicidio al furor diabolicus, il Concilio di Braga del 563 d.C. determinò il divieto di commemorazione del defunto, mentre nel 693 d. C. il Concilio di Toledo negò al suicida la sepoltura cristiana stabilendo altresì la scomunica per chi avesse vanamente attentato alla propria vita. 26 A. KOJÉVE, La nozione di autorità, Adelphi, 2011, p. 27, sottolinea come la impossibilità di reazione da parte di una collettività organizzata contro un morto faccia sì che il morto stesso acquisisca una autorità divina, in quanto l’esercizio della autorità viene svolta dalla figura del defunto senza alcun rischio o responsabilità. 27 Sulla concezione liberale del suicidio e sulla polemica ferriana di fine ottocento su omicidio e suicidio, ampiamente A. CADOPPI, Una polemica fin de siecle sul dovere di vivere: Enrico Ferri e la teoria dell’omicidio-suicidio, in L. STORTONI (a cura di), Vivere: diritto o dovere? Riflessioni sull’eutanasia, L’Editore, 1992, p. 125. 28 La distinzione intercorrente tra soggetto e persona consiste proprio nella peculiare considerazione che nel secondo caso rivestono le particolarità costitutive fisiche e morali, mentre nel primo caso ci si trova davanti un centro di imputazione di situazioni giuridicamente rilevanti, così C. M. BIANCA, Diritto civile. La norma. I soggetti, I, Giuffrè, 2002, p. 136. Nell’approccio biopolitico permane quindi il soggetto, mentre recede la persona; la caratterizzazione individuale smette di avere rilevanza per l’ordinamento e rimane solo un centro di imputazione di ordini, comandi, interessi. La rilevanza della distinzione ha portato non casualmente una parte della dottrina a postulare la necessità di un passaggio “dal soggetto alla persona”, in questo senso S. RODOTÀ, La vita e le regole, Feltrinelli, 2006, p. 25. 29 E. RESTA, L’identità nel corpo, in S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di Biodiritto, Giuffrè, 2011, p. 10, rileva l’importanza della dimensione spaziale e di quella temporale nel percorso di costruzione della identità e nella sua relazionalità con il corpo. 9 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” biopolitica30; è quello della nascita e dello sviluppo della istituzione totale31. Nel caso che qui interessa, la clinica32. Nella clinica, intendendosi per tale il processo di istituzionalizzazione del corpo anche mediante percorsi di medicalizzazione casalinga, e quindi non solo attraverso la erezione materiale dell’ospedale che pure di certo costituisce l’elemento principe del discorso e della esperienza, suicidio e eutanasia vengono ridotti ad unità, vengono burocratizzati e proceduralizzati; essi, spogliati dell’afflato auto-determinativo, iniziano a competere a soggetti terzi, che agiscono nel nome di un bene collettivo in genere sottratto al potere decisionale del singolo e risultante dalla razionalità scientifica33. La reazione liberale alla biopolitica totalitaria è di segno contrario ma di uguale intensità, finendo per rovesciarne non tanto i postulati quanto i meri effetti; se nella biopolitica totalitaria, il corpo del singolo è dominato da un assetto di riduzione al tutto organico della legge vivente, nel liberalismo, nell’intento di non far gravare sulle spalle del singolo l’apparato pubblico e le sue decisioni, il corpo viene abbandonato alla sua sofferenza oppure fatto scomparire quando non più utile. Per questo, nel costituzionalismo liberal-democratico non ci si accontenta e non ci si deve accontentare di sovvertire l’esito della biopolitica totalitaria, ma al contrario si deve erigere un sistema di garanzie effettive ed efficaci che 30 Sottolinea con energia la emersione della istanza biopolitica come perdita di ogni consistenza intrinseca alla nuda vita, totale malleabilità e permeabilità del concetto di bios da parte della incidenza del potere pubblico, F. D’AGOSTINO, Bioetica e biopolitica. Ventuno voci fondamentali, Giappichelli, 2011, p. 55. 31 In una celebre lettera rivolta a Francesco Crispi, lo scienziato svedese Alfred Nobel chiedeva che venissero create e istituite in Italia due cliniche destinate a progetti eutanasici, a mezzo gas venefico, onde porre fine alle gravi sofferenze di malati incurabili. Crispi declinò l’offerta. L’elemento che emerge da questa vicenda è l’attenzione progettuale che Nobel dedicò e il sotteso umanitario, che però finiva per essere un umanitarismo di salute pubblica in cui il bene del malato veniva sostituito con ciò che Nobel riteneva fosse preferibile per loro. Appare interessante anche notare come Nobel parlasse proprio di due “istituti” del costo di 250 lire ciascuno, ovvero due cliniche della buona morte. Su questa vicenda, M. CAVINA, Andarsene al momento giusto. Culture dell’eutanasia nella storia europea, Il Mulino, 2015, p. 149. 32 La clinica, sottolinea Gilles Deleuze, istituisce una identità di struttura tra il visibile e l’enunciabile, il sintomo e il segno, lo spettacolo e la parola. E’, in altre parole, come nel caso della prigione, il frutto di un orizzonte disciplinare, non giuridico, G. DELEUZE, Foucault, Cronopio, 2009, p. 86. 33 Nel momento in cui il liberalismo importa la deregulation e la mancanza di intervento legislativo, il soggetto viene lasciato nelle mani dei sistemi parziali, come quello medico; ogni sistema parziale è dotato di una propria logica, di un proprio linguaggio, di una propria auto-normazione che finisce per prevalere sulla volontà del singolo. Il rischio biopolitico liberale è la sottrazione del corpo al riconoscimento di espresse garanzie legislative che tutelino il corpo stesso nella fase terminale della sua vita. 10 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” valorizzino la volontà del singolo e che la tengano ferma e pura anche nel suo ingresso nella logica chiusa della istituzione totale. In questa infatti, il corpo malato si de-identifica, recede ad uno stadio immerso in una coltre di non rappresentazione, da cui deriva che il soggetto malato è la caratterizzazione negativa del fattore malattia34, perdendo nei fatti la sua connotazione di soggetto politico: non casualmente lo spazio della malattia 35 oltre che spazio finito, limitato e chiuso, è uno spazio governato da regole comunicative e informative centralizzate in senso organicistico36. La malattia e l’istituzione totale che ne reca il segno corporeo tendono a divenire una sola cosa. La scomparsa del malato dalla sfera sociale, nel totalitarismo, rende la legge vivente incarnata dal despota al tempo stesso assassinio e magia, poiché desacralizza il corpo e lo rende vittima facendolo scomparire dalla socialità stessa37: ma anche nella liberal-democrazia il corpo incurabile, divenuto altro dalla identità soggettivizzante viene relegato in spazi impermeabili38 poiché appare sempre più evidente, anche ad un sistema che si è dotato di garanzie giuridiche, la interscambiabilità funzionale tra corpo della malattia e corpo della persona malata39. L’anello connettivo tra dimensione biopolitica e istituzione totale è determinato dalla tecnica, anzi dal dominio della tecnica: la riduzione del corpo a nuda vita, priva di qualunque sovra-struttura politico-soggettivizzante, precede infatti la comparsa dei totalitarismi, ed è in certa misura consustanziale alla produzione scientifica priva di regolazione politica. Come ci ricorda Agamben40, durante lo svolgimento del processo ai medici nazisti che si tenne a Norimberga subito dopo quello celebrato a carico delle massime strutture e degli alti vertici del Terzo Reich, persino gli scienziati di chiara fede anti-nazista che avrebbero dovuto testimoniare a carico degli 34 M. FOUCAULT, Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo medico, Einaudi, 1998, p. 27. 35 Sul generale rifiuto culturale della sofferenza, della morte e della malattia nella cultura occidentale, come momento topico determinatosi dopo una tendenziale esibizione della morte stessa, diffusamente P. ARIES, Storia della morte in occidente, BUR, 2006, pp. 226 e ss. 36 Come sottolineato da G. BENN, Lo smalto sul nulla, Adelphi, 1992, p. 264, non esiste più l’uomo con un contenuto o la necessità che egli debba averne, ne esistono solo i sintomi. Vero è che la razionalità del nichilismo tecnico finisce per rendere in pari intensità la logica della biopolitica totalitaria. 37 B. MAGNI, I confini del corpo, in S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di Biodiritto, Giuffrè, 2011, p. 39. 38 M. FOUCAULT, Nascita della clinica, cit. p. 173, mette in luce come la malattia prende corpo in uno spazio che coincide con quello dell’organismo, essa ne segue le linee e la sagoma, si organizza secondo le sue linee generali, si piega parimenti nel senso delle sue singolarità. E’ quindi nel momento in cui morte e malattia appartengono ad un luogo tecnico che la malattia stessa viene spazializzata. 39 M. FOUCAULT, Nascita della clinica, cit. p. 15. 40 G. AGAMBEN, Homo sacer, cit. p. 154. 11 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” imputati riconobbero che gli atroci esperimenti posti in essere sui prigionieri e sugli internati erano stati meravigliosamente concepiti e preparati. La meraviglia, come termine, lascia sgomenti, perché da un lato è riferita ad un carnevale di orrore e sofferenza incistato di determinazioni scientifiche, dall’altro perché riecheggia il momento in cui la nuda vita è sottoposta all’esercizio assoluto dello stato di eccezione, che finisce per sostanziarsi nella determinatezza ordinamentale del campo. Ma ancor più sgomenti resero giudici e uditorio di quelle ferali, convulse giornate dibattimentali tenute a Norimberga le vivide narrazioni addotte dagli avvocati della difesa tutte tese a delineare come la sperimentazione sugli esseri viventi, esseri viventi spogliati della loro dignità politica, e del loro essere soggetti e politikon zoos, ridotti ad estensione delle istituzioni totali carcerarie o cliniche che li fagocitavano e dentro cui erano stati gettati, fosse stata una consuetudine molto diffusa, prima ancora dell’avvento del Terzo Reich, negli stessi Stati Uniti41. Venne delineata una dettagliata e abbacinante mostra delle atrocità a base di cavie umane, detenuti, malati mentali, su cui erano state diffuse in America le spore e i bacilli della febbre petecchiale e di altre tremende infezioni e malattie: centinaia di persone spogliate del loro status di individui-persone erano stati immersi nella coltre nebbiosa della indistinzione tra potere e suo esercizio, divenendo meri ingranaggi biologici di una sperimentazione diffusa, in cui la coincidenza era assoluta tra dispositivo scientifico e norma posta. La questione è pertanto meno consolatoria di quanto possa sembrare; se anche Stati di matrice liberale, presidiati da garanzie giurisdizionali, dalla partecipazione popolare, dalla presenza di una vivace opinione pubblica, hanno potuto inabissarsi nel canone biopolitico spogliando l’uomo della sua politicità e rendendolo pura essenza biologica, che cosa impedisce che ciò possa ripetersi? 41 Celebre, e ideale per rendere l’idea del quadro culturale e sociale che dominava diverse latitudini a prescindere dagli orientamenti ideologici che informavano la singola compagine statuale, la sentenza della Corte suprema americana del 1924, Buck vs. Bell, nella quale il giudice estensore, Oliver Wendell Holmes, prendendo radicale posizione a favore della eugenetica e della sterilizzazione delle persone afflitte da deficit mentale ebbe a scrivere “abbiamo visto come più di una volta il bene pubblico possa richiedere ai migliori cittadini la loro vita. Sarebbe strano se esso ormai non potesse chiedere a coloro che hanno indebolito lo Stato un sacrificio minore, allo scopo di prevenire noi stessi dall’essere sommersi dall’incompetenza…tre generazioni di imbecilli sono sufficienti”. Come ricorda C. FUSCHETTO, Fabbricare l’uomo. L’eugenetica tra biologia e ideologia, Armando editore, 2004, p. 122, il Giudice Holmes era uno stimatissimo giurista di fede progressista, e di certo non un reazionario; questo indica chiaramente come la tendenza alla spoliticizzazione del singolo ridotto in stato di minorità dalla malattia operata da razionalità tecniche fosse un dato presente anche nel cuore degli Stati a vocazione liberale. 12 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” La tecnica, senza regolazione e senza alcuna forma di controllo democratico, senza cioè emersione di un momento rappresentativo che ne democratizzi le istanze più profonde e capillari42, è essa stessa istanza biopolitica: le Costituzioni liberal-democratiche hanno rappresentato l’irruzione nella storia di forze sociali che rimaste latenti per decenni hanno poi chiesto di farsi potere costituente, hanno elevato sulla scena delle dimensioni del potere pubblico la società e le sue istanze, un assetto valoriale incardinato in moduli garantistici, con una continua oscillazione di bilanciamenti e contro-reazioni. L’articolo 3243 della Costituzione repubblicana è un segno di una narrazione che vuole rappresentare la scienza in un dispositivo in cui ricerca, sperimentazione, malattia, corpo dell’infermo vengono democratizzati, informati al canone della dignità, della tutela, erigendo una barriera contro interferenze eticizzanti dello Stato ma anche dalle dinamiche autopoietiche della narrazione scientifica priva di regolazione. Derive eticizzanti che utilizzano il paradigma della dignità, declinato in chiave di incidenza pubblicistica nella sfera di autodeterminazione individuale, d’altronde non mancano, e non solamente nel nostro Paese. Emblematico il caso del lancio del nano44 registratosi in Francia, in cui venne sollevata giudizialmente la questione della mancanza di dignità insita in questa pratica, e che pure costituiva elemento di sostentamento e attività lavorativa per il protagonista che pertanto in sede giudiziale divenne parte resistente. Oppure la vicenda tedesca risalente agli anni ottanta e concernente i peep show, ovvero i locali di spogliarello: anche in questo caso il concetto di dignità venne oggettivizzato e il corpo abbassato a campo di conflitto, scindendolo dalla volizione e dalle aspirazioni e dal canone di autodeterminazione individuale. Si trattava, in entrambi i casi, di una dignità spogliata del vincolo di solidarietà. 42 Ciò che davvero sembra non potersi perdonare al suicida è la realizzazione di ciò che J. AMÈRY, Levar la mano su di sé, Bollati Boringhieri, 1990, p. 11, definiva il momento del salto che conduce alla folle eguaglianza. 43 S. CANESTRARI, Bioetica e diritto penale. Materiali per una discussione, Giappichelli, 2014, p. 65, sottolinea come l’articolo 32 Cost. abbia funzione e valenza di scudo contro improprie invasioni della sfera pubblica nell’ambito sanitario individuale, vietando ad esempio sperimentazioni sul corpo umano. 44 A. MASSARENTI, Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, Guanda, 2006, p. 12, il quale, dolorosamente e da libertario, asserisce di essere turbato dalla pratica in sé e da come poterne giustificare il suo divieto. In questo caso, come nella per certi versi similare questione affrontata in Germania nei primi anni ottanta in tema di peep show, il contrasto si gioca tra autodeterminazione individuale esercitata dal corpo e invasività dispositiva del potere pubblico portata sul corpo. 13 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” 2. La libertà di congedarsi dal mondo; l’articolo 580 c.p. come dispositivo di controllo sociale 2.1 Suicidio modo d’uso; la criminalizzazione della autodeterminazione individuale. Nel corso del 1989, il Pretore di Portici dispose il sequestro, su tutto il territorio nazionale, del libro Suicidio modo d’uso, tradotto dal francese e pubblicato in Italia dalla casa editrice anarchica torinese Nautilus. Il reato ipotizzato dal magistrato campano era l’articolo 580 del codice penale, nella parte in cui detta norma sanziona l’istigazione al suicidio45. Ancora più significativa la vicenda francese46 di pochi anni precedente e concernente il medesimo volume; Suicide mode d’emploi di Claude Guillon e Yves le Bonniec, edizione Alain Moreau, era stato infatti pubblicato proprio in Francia nel 1982. Si trattava di un saggio che inserendosi nella tradizione socio-psicologica libertaria inaugurata anni prima da Felix Guattari, oltre a decostruire il fenomeno suicidario, nel suo capitolo più controverso, il decimo, arrivava a delineare empiricamente le modalità di suicidio da considerarsi meno dolorose. Ebbe un notevole successo commerciale, arrivando a vendere oltre centomila copie e gli autori vennero contattati da moltissime persone che si dimostrarono interessate alla applicazione pratica dei consigli contenuti nel capitolo decimo. In seguito a un feroce dibattito e a vibranti proteste, il Senato francese l’anno seguente la pubblicazione del testo iniziò l’esame di un testo di legge che avrebbe dovuto sanzionare l’apologia del suicidio; il dibattito parlamentare culminò nella approvazione della legge in parola, nel 198747. I primi processati a seguito della entrata in vigore della legge furono proprio Guillon e Bonniec e il loro editore, poiché essendo stato ristampato il volume nel 1989 venne ritenuto rientrante nel margine temporale operativo della legge; a Guillon inoltre fu contestata anche la corrispondenza con persone che avevano manifestato seri propositi suicidi e che in alcuni casi li avevano portati a termine. La fattispecie incriminatrice contenuta nell’articolo 580 del codice penale italiano risente in maniera evidente di un aroma48 mirante al controllo sociale, in cui cioè le coordinate di libertà accordate al singolo nella sua 45 P. BANDERA, Manuale di cultura industriale, ShaKe, 1998, p. 247. L. CHAUVEAU, 13 Ans apres, les auteurs et l’editeur de suicide, mode d’emploi en proces, in Liberation, 16 febbraio 1995. 47 Loi n. 87-1133 du 31 Decembre 1987, Tendant reprimer la provocation au suicide. 48 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. IV, Tipografia delle mantellate, 1929, p. 160, laddove emerge come solo una concezione pagana della vita e dei suoi fini avrebbe potuto immaginare una attenuazione della responsabilità rispetto all’omicidio volontario. 46 14 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” autodeterminazione49 si infrangono a fronte dello scardinamento del tassello portante della sovranità; il suicidio del singolo, in sé, non può essere punito, nonostante rechi ancora lo stigma della riprovazione sociale, ma in oggetto e in questione viene la connessione tra il suicida e un altro soggetto che, a vario titolo e a vario modo, prende parte, psichicamente nella istigazione e pragmaticamente nell’aiuto/agevolazione, alla azione suicida. Una delle domande che puntellano il dibattito penalistico sulle figure penalmente rilevanti connesse al suicidio, è se esso sia un atto lecito o illecito, un atto libero o solo tollerato dall’ordinamento ma su cui finisce per gravare uno stigma sociale50. Il codice albertino del 1839, come noto, era ferocemente ostile al suicidio, richiamando in questo le costituzioni piemontesi del 1770 le quali prevedevano addirittura la impiccagione del cadavere del suicida51. Con il codice Zanardelli del 188952, appare per la prima volta la fattispecie della istigazione al suicidio: di omicidio del consenziente invece non si ha ancora modo di parlare posto che le coordinate ideologiche dottrinali maggioritarie inferivano la tendenziale irrilevanza del consenso prestato, ritenendo che l’omicidio del consenziente fosse un omicidio tout court. La sociologia positivista del tempo tendeva indubbiamente a vedere nell’azione suicida la rottura del patto sociale, oltre a paventare rischi di emulazione: ma questa emulazione da evitare e debellare, più che declinata nel senso di esclusivamente paternalistica protezione dei soggetti deboli esposti a rischi psichici, operava come meccanismo di reiterazione dello status quo in quanto era la totalità sociale a decidere sulla dimensione corporea53 del singolo non potendo permettere fratture della convivenza e metodi di autodeterminazione totale. Sull’approccio paternalistico in diritto penale, con particolare riguardo proprio alla istigazione e alla agevolazione del suicidio ex articolo 580 cp, M. ROMANO, Danno a se stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. Dir. proc. Pen., 2008, p. 985, e A. SPENA, Esiste il pluralismo penale? Un contributo al dibattito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. Dir. proc. Pen., 2004, pp 1234 e ss. 50 R. E. OMODEI, L’istigazione e aiuto al suicidio tra utilitarismo e paternalismo: una visione costituzionalmente orientata dell’articolo 580 c.p., in Diritto penale contemporaneo, 2017, 10, pp. 143 e ss. 51 Sulle parziali modificazioni importate dalla concezione illuminista e beccariana, ampiamente V. MANZINI, Trattato di diritto penale, VIII, UTET, 1985, p. 110. 52 Sull’impianto concettuale del codice Zanardelli in rapporto alla condotta suicidaria, nelle sue varie sfumature, L. ZUPPETTA, Del suicidio in rapporto alla morale, al diritto e alla legislazione penale punitiva, 1885, Ernesto Anfossi editore, pp. 612 e ss., P. VIAZZI, Istigazione o aiuto al suicidio, Soc. ed. Libraria, 1908. 53 Non casualmente ancora oggi l’approccio bioetico della dottrina cattolica tende a postulare la indisponibilità del corpo e a divinizzare l’esperienza della sofferenza come momento catartico, D. TETTAMANZI, L’etica della malattia e del dolore, in ID. , Custodi e servitori della vita, Salcom, 1985, pp. 473 e ss, analogamente G. GIUSTI, L’eutanasia. Diritto di vivere – diritto di morire, Cedam, 1982, p. 11. 49 15 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” Traccia di questa impostazione si rinviene chiaramente anche nel Codice Rocco; l’istigazione e l’aiuto al suicidio previsti e attualmente normati dall’articolo 580 c.p. più che figli dell’organicismo fascista e della concezione della sacralità della vita cattolica risentono di un generalizzato dispositivo di controllo tendenzialmente in linea con la visione liberale ottocentesca, per cui la indisponibilità del corpo era ricondotta ad una dimensione causale oggettivizzata, in cui le motivazioni liberatorie, di scelta assoluta, di chiamarsi fuori dal mondo, divenivano inaccettabili perché prive di una essenza socialmente o economicamente apprezzabile. Si tratta, in piana evidenza, di una norma dalla formulazione ambigua, i cui elementi costitutivi attingono pesantemente ad una dimensione extragiuridica54. Che il suicidio, a quadro normativo attuale, sia un gesto solo fattualmente tollerato e non permesso lo si evince piuttosto agevolmente proprio dalla incriminazione prevista dalla fattispecie dell’articolo 579 c.p. disciplinante l’omicidio del consenziente e più ancora efficacemente proprio dall’articolo 580 c.p. Come è stato sottolineato55, sulla scia della analisi delle teorie sul paternalismo penale e dell’harm principle56, l’introduzione nel nostro ordinamento di una disciplina che ha legittimato il diritto a lasciarsi morire, rifiutando le cure anche quando le stesse presentino la chiara connotazione dell’essere salvavita, ha parzialmente complicato il quadro; si pone infatti ora la questione se il concetto stesso di lasciarsi morire possa essere considerato omologo o quantomeno affine al congedarsi dal mondo. La questione adombra la semantica totalitaria57 della stessa eutanasia, ovvero del dominio della tecnica58, nel genus scienza, che finisce per incistarsi A. CONTINIELLO – G. F. POGGIALI, Il delitto di istigazione o aiuto al suicidio nell’ordinamento italiano e sovranazionale, in Giurisprudenza penale web, 2017, 4, p. 1, definiscono il delitto de quo come uno dei più oscuri e discutibili. 55 A. MASSARO, Il caso Cappato di fronte al giudice delle leggi: illegittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio, in Diritto penale contemporaneo, 2018, p. 8. 56 J. FEINBERG, The moral limits of criminal law, III, Harm to self, Oxford University Press, 1986, pp. 344 e ss., per una ampia disamina dell’opera e della influenza esercitata dael pensiero di Feinberg, D. PULITANÒ, Il diritto penale di fronte al suicidio, in Diritto penale contemporaneo, 2018, 7, pp. 59 e ss. 57 Come è stato correttamente sottolineato, lasciare priva di regolazione la dinamica eutanasica, come in generale qualunque dinamica altamente scientificizzata significa nei fatti ingenerare una catena di espropriazioni della autodeterminazione, la quale sarà limitata dalla razionalità scientifica; uno spazio libero dal diritto sarebbe uno spazio occupato dalla tecnica, e finirebbe per situare il malato fuori dall’ordinamento facendolo recedere a non-soggetto, F. MANTOVANI, Eutanasia, in Dig. Discipline pen., IV, 1990, p. 424. Mantovani come noto muoveva dalla differenziazione tra una dimensione collettivistica e biopolitica della eutanasia, imposta dai pubblici poteri come processo di sanificazione, avendo in mente proprio l’Aktion T4 nazista, e una di matrice individualistica afferente la libera determinazione del singolo sofferente. 54 16 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” capillarmente nel corpo umano, sedimentandosi e governandolo senza più alcuna forma di possibilità di autodeterminazione; appare infatti evidente59 come la differenza tra eutanasia passiva consensuale e suicidio risieda solamente nella accettazione del dispositivo di reiterazione del dominio tecnico60. L’eutanasia passiva consensuale è un rifiuto incardinato in una proceduralizzazione del corpo disperso nella istituzione totale, è lo schermo dietro cui viene celato al mondo esterno, all’ordine sociale, la possibilità che un individuo assuma il proprio destino nelle sue mani e giunga a consistere nella determinazione assoluta di un per lui inevitabile chiamarsi fuori61. L’eutanasia passiva consensuale, il rifiuto, il lasciarsi morire, nella sua dimensione di negazione scientificamente e socialmente accettabile, maschera due elementi; la frattura sociale imposta dal canone della affermazione del Sé sulla socialità ordinata in regole e soprattutto la dinamica istituzionale che continua a privare l’infermo di qualunque ausilio al suo gesto, determinando la consistenza del suicidio puro come diritto dei sani62. 2.2 Enfermér le dehors: suicidio, prostituzione, plagio. La medicalizzazione, l’ingresso del corpo nella finitezza istituzionale e normativa della cura, della clinica, lasciano insorgere lo sdilinquimento del corpo stesso nella semantica della conservazione, laddove la barriera più forte e invalicabile è per l’ordine liberale, e non solo per il potere dispotico totalitario, l’apporto solidaristico di un soggetto terzo, estraneo alla formazione di una volontà dinamicamente e staticamente stabilita, nella fase 58 La tecnica deve essere governata e regolata nella dinamica politico-istituzionale, poiché i suoi atti e “fatti” rispondono ad una razionalità altra rispetto alla dottrina liberal-democratica, una razionalità che non conosce di suo uguaglianza e dignità ma solo l’efficienza del proprio scopo finale. Per l’importanza del bilanciamento tra diversi principi costituzionali in relazione ai fatti scientifici e tecnici, M. D’AMICO, La Corte e lo stato dell’arte (prime note sul rilievo del progresso scientifico e tecnologico nella giurisprudenza costituzionale), in E. MALFATTI – R. ROMBOLI – E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione, Giappichelli, 2002, pp. 432 e ss. 59 S. CANESTRARI, Fine vita e rifiuto di cure: profili penalistici. Rifiuto informato e rinuncia consapevole al trattamento sanitario da parte di paziente competente, in S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di Biodiritto, II, Giuffrè, 2011, p. 1906. 60 S. RODOTÀ, Il corpo “giuridificato”, in S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di Biodiritto, Giuffrè, 2011, pp. 63 e ss. sottolinea come l’avanzare inesorabile delle tecnologie stia incidendo sulla dimensione stessa del corpo, rendendolo liquido, puro, scisso dai suoi vincoli fisici, e determinando di contro la necessità che esso non rimanga preda dei linguaggi della tecnologia avanzata. 61 M. BARBAGLI, Congedarsi dal mondo. Il suicidio in occidente e oriente, Il Mulino, 2009, pp. 227 e ss. per le statistiche sui suicidi commessi da malati terminali. 62 M. LUCIANI, Suicidio, diritto dei sani, in La Stampa, 30 Aprile 2002. 17 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” esecutiva, laddove il soggetto potenzialmente agente ne sia impedito fisicamente. Lo stesso pietoso neologismo suicidio assistito63 più che evocare la dimensione solidaristica dell’ausilio e della assistenza, richiama il fattore della osservazione, dell’assistere come osservare, rimanendo impermeabili ed esterni alla sfera non solo volitiva ma anche pragmatica di azione del soggetto. D’altronde che tra rifiuto delle cure e rifiuto della esistenza non vi sia un nesso immediatamente diretto tale da portarne a inferire la perfetta fungibilità è piuttosto palese dalla dimensione ordalica e agonica che la sospensione delle cure può anche importare. Nel punire e reprimere l’istigazione e l’aiuto materiale al suicidio l’articolo 580 c.p. ci dice che essendo il suicidio dell’uomo sano ingovernabile, e per ciò stesso risultandone un atto di assoluta rottura, un atto capace di incrinare le basi assiologiche su cui è stata edificata la società contemporanea, qualunque avvicinamento di soggetti terzi verso questo mare in tempesta, o camusianamente parlando verso questo uomo in rivolta, determina il rischio di un contagio della frattura. Non appare casuale che questa connotazione di dispositivo di controllo sociale sia talmente elevata o pervicace che la concreta incidenza della sua portata incriminatrice da un lato, in presenza di suicidi consapevoli e lucidi, sia sempre stata assolutamente limitata, mentre dall’altro si avanza un suo utilizzo a tutto campo64, in cui il bene tutelato più che la vita umana è quello della vita umana inserita nel contesto sociale ordinato e istituzionalizzato. L’istigazione così efficace da ingenerare o rafforzare il proposito suicidario è una emanazione diretta e palese di un modo di atteggiarsi del pubblico potere che non può accettare l’idea di una simile volontà, tanto radicale da negare la sua stessa permanenza, il suo esserci. A testimonianza di ciò, un ampio, vasto reticolo di indizi normativi che punteggiano e puntellano la indisponibilità assoluta della vita umana e la negazione, larvata e liminale rispetto ai meccanismi di controllo del totalitarismo ma pur sempre presente; si pensi agli articoli dal 114 al 117 del TULPS che sanzionano la pubblicazione sui giornali e in altre forme di scritti G. DWORKIN – R. G. FREY – S. BOK, Eutanasia e suicidio assistito – pro e contro, Einaudi, 2001. 64 Le cronache rimandano casi di contestazione del reato di istigazione al suicidio che oscillano dalla vicenda del suicidio di Tiziana Cantone, la ragazza campana suicida dopo la diffusione virale di un suo filmino pornografico amatoriale mediante prima sistemi di messaggistica istantanea whatsapp e poi approdato su internet, e in cui per tale fattispecie venne indagato il suo ex compagno, al suicidio di un imprenditore ligure cui un istituto di credito aveva negato un prestito e che vide iscritto nel registro degli indagati il direttore dell’istituto stesso che aveva negato il prestito. Si tratta, in tutta evidenza, di casi che non hanno nulla a che vedere con la ratio ispiratrice dell’articolo 580 cp ma che bene rendono la tendenziale evanescenza della norma e il suo costituire una mina vagante nel cuore dell’ordinamento. 63 18 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” di ritratti di suicidi, o all’articolo 14 della legge n. 47 del 1948 e all’articolo 30 comma 20 della legge n. 223/1990, i quali dispongono il divieto di pubblicazioni e/o di trasmissioni televisive o radiofoniche destinate a bambini idonei per la loro vivida consistenza di istigare al suicidio. Tutte previsioni normative abbondantemente sopravvissute in termini temporali all’entrata in vigore della Costituzione. Grava su tutto ciò quell’aria di morte che finisce, anche in termini squisitamente psico-patologici, per inferire una consonanza intima tra la dinamica aggressiva contro se stessi e quella contro altri65: ed è in questo che si situa il fondamento di un comportamento istigatorio che in linee tendenziali finirebbe per istigare un atto che di suo non dovrebbe esser considerato illecito66. La riflessione gius-penalistica si è non casualmente polarizzata su alcune fattispecie che tendono similmente a connotare la realizzazione di comportamenti di loro non illeciti, come appunto la prostituzione67: il favoreggiamento della prostituzione si configura nei fatti in una istigazione di una condotta che la normativa di riferimento, la legge Merlin, mira a riconnettere alla dimensione autodeterminativa della persona che si prostituisce. Se consideriamo quindi che la autodeterminazione sessuale rientra senza alcun dubbio nella sfera dei diritti inviolabili della persona, il favoreggiamento finirebbe con il punire in realtà una condotta che mira a rafforzare o rendere possibile un diritto fondamentale della persona umana, mediante l’intersezione economica e logistica di domanda e offerta. L’eccezione di legittimità costituzionale delle norme in parola emersa dal caso Tarantini68 segnala più di qualche mero episodio di contatto e di sintonia con la vicenda Cappato; in entrambe a venire in questione è il diversificarsi del contesto sociologico e la recessività tendenziale delle dinamiche sovraordinate e istituzionalizzanti, come la moralità pubblica, la rilevanza pubblica della vita umana, concezioni pubblicistiche di dignità. Nell’ordinanza per altro viene proposto un canone ermeneutico semantico che adombra alcune differenziazioni tra varie forme di prostituzione69, il che rileva 65 U. FORNARI, Psicopatologia e psichiatria forense, Torino, 1989, p. 433 per una ampia casistica di profili psicologici di suicidi e per una analisi delle varie modalità e dei tipi psicologici. 66 P. TONINI, Istigazione, tentativo, e partecipazione al reato, in Studi in memoria di Giacomo Delitala, Giuffrè, 1984, p. 1578. 67 A. MASSARO, Il caso Cappato di fronte al giudice delle leggi, cit., pp. 24 e ss. 68 Corte app. Bari, sez. III, ordinanza del 6.2.2018, In dottrina, A. CADOPPI, L’incostituzionalità di alcune ipotesi della Legge Merlin e i rimedi interpretativi ipotizzabili, in Diritto penale contemporaneo, 2018, 3, pp. 153 e ss. 69 Il termine prostituzione è in effetti, sociologicamente e giuridicamente, indeclinabile al singolare e deve più opportunamente essere declinato al plurale, come 19 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” poiché anche nelle questioni di fine vita si assiste spesso a lotte semantiche che differenziano tra termini e concetti. Si condivide qui l’opinione70 di chi rileva l’assoluta irrilevanza in termini giuridici, ma di più anche sociologici e psicologici, del lemma escort, un cardine questo che i giudici del caso Tarantini hanno ritenuto al contrario quasi dirimente a lasciar intendere chi svolga l’attività di prostituzione in maniera libera e consapevole. Escort è una sfumatura prestazionale ed economica del genus prostituta, un mascheramento semantico classista esattamente come lo è, in termini istituzionali, il lemma eutanasia, passiva o attiva, consensuale; entrambi i termini ineriscono una modalità tecnica, operativa, del proprio dispiegarsi, con precise caratterizzazioni, ma nel loro nocciolo duro appartengono sempre alla libera e consapevole scelta interiore di auto-determinazione la quale però non è meccanicisticamente determinata dall’aderire o meno alla categoria in parola. Non viene cioè in questione il se, ma il come. Possono esserci escort davvero libere e consapevoli, ma possono anche trovarsene di sfruttate dalla tratta71. Il punto dirimente del favoreggiamento è il suo ancoraggio non tanto alla dimensione reificante tipologicamente ascrivibile alla tratta quanto il suo apporto puramente logistico e agevolatorio, originante da una sedimentazione autodeterminata del soggetto che si prostituisce. In questo caso il disvalore che l’ordinamento, in chiave morale, riversa comunque sulla prostituta finisce con il punire chi venga a contatto con essa in maniera non del tutto episodica e sporadica quale il cliente. Ma il favoreggiamento ha anche molto a che fare con la libertà di espressione e di formazione delle opinioni e dei convincimenti, in questo similmente alla istigazione pura al suicidio. C’è in realtà, proprio in questa prospettiva di espressione di opinioni, anche un altro caso di totale similitudine concettuale, obliquo ormai rispetto al radar della ricerca giuridica posta la sua ormai ultra-trentennale espunzione dal nostro panorama ordinamentale; ci si riferisce alla fattispecie di plagio, originariamente sanzionata dall’articolo 603 del codice penale. sottolineato in dottrina I. MERZAGORA – G. TRAVAINI, Prostituzioni, in A. CADOPPI (a cura di), Prostituzione e diritto penale, Dike, 2014, pp. 38 e ss. Ma la differenza tra le varie tipologie oltre che empirica, effettuale, connessa alle modalità di esercizio, è sotto altro profilo da riconnettersi alla libera scelta o alla coercizione. Ciò detto appare impreciso asserire che la escort, termine atto a indicare solo un modo di esercizio della prostituzione, sia da considerarsi sempre e comunque prostituta volontaria pienamente libera e consapevole. 70 A. MASSARO, Il caso Cappato di fronte al giudice delle leggi, cit. p. 26. 71 G. CANDIA – F. GARREFFA, Migrazioni, tratta e sfruttamento sessuale in Sicilia e Calabria, FrancoAngeli, 2011, p. 91. 20 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” Si trattava di una fattispecie penale altamente controversa, che esattamente come nel caso della istigazione al suicidio e nel caso della prostituzione finiva per ancorarsi a parametri squisitamente extra-giuridici72. Lo stesso termine plagio, nel linguaggio di uso comune, è altamente polisenso; può indicare il plagio artistico, da cui in fondo deriva in chiave semantica73 o la riduzione in schiavitù intesa come reificazione corporea, da cui discendeva la sua collocazione topografica tra i reati contro la libertà individuale74. In realtà, come non avevano mancato di rilevare i perplessi estensori del codice penale, l’articolo 612 del progetto di codice poi trasfuso nell’articolo 603 del testo definitivo finiva per incriminare condotte in cui l’assoggettamento fisico e l’esercizio del pieno potere discendevano non solo da una privazione della libertà fisica del soggetto ma anche da un esercizio reiterato di dinamiche psichiche avvolgenti e dimidianti che incidendo sull’arbitrio del soggetto-vittima finivano per coartarlo. Nel diritto romano, barbarico e medievale, il termine plagium, a partire dalla Lex Fabia risalente alla fine del III secolo a.C., oggetto di ampie trattazioni da parte dei massimi giuristi latini come Gaio, Ulpiano, Paolo, indicava la riduzione in stato di soggezione di un uomo libero ingenuo o liberto facendone poi oggetto di vendita75. Analoghe considerazioni valgono per l’editto di Teodorico, del VI secolo d.C., che al capo 78 reprimeva e sanzionava in maniera molto severa l’assoggettamento di uomini liberi mediante raggiri o con l’uso della forza, e per la Lex Visigothorum e la lex Frisionum, rispettivamente del VI secolo e dell’VIII secolo d.C. Nonostante quindi una tradizione concettuale consolidata e traslata fino alle codificazioni degli Stati pre-unitari, compreso il codice Zanardelli del 1889, l’accezione di plagio adottata nel codice Rocco del 1930 se ne discostava in maniera palese; se ne discostava perché il tratto comune del plagio nelle diverse epoche storiche era stato l’utilizzo, per ridurre in stato di soggezione, della forza, della coazione fisica. 72 Sulla impossibilità di affrontare il tema del suicidio anche da parte dei giuristi in termini squisitamente ed esclusivamente normativi, F. RAMACCI, Premesse alla revisione della legge penale sull’aiuto a morire, in Studi in memoria di Pietro Nuvolone, II, Giuffrè, 1991, p. 201, il quale poi sottolinea l’inestricabile fascio di considerazioni filosofiche, etiche, psicologiche di cui si nutre la fattispecie in questione. Nell’epigramma 52 Marziale connetteva tra loro la falsa attribuzione di opere letterarie con l’assoggettamento al proprio servizio di schiavi altrui, determinando proprio con questa connessione concettuale la bipartizione di significato del medesimo termine, una bipartizione che è sopravvissuta fino ai giorni odierni. 74 A. NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica , Giappichelli, 2012, p. 125. 75 Per una ampia ricostruzione storica e concettuale del plagio, a partire dal diritto romano, G. M. FLICK, La tutela della personalità nel delitto di plagio, Giuffrè, 1971. 73 21 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” Al contrario l’articolo 603 del codice penale era contraddistinto da una consistenza ombrosa, altamente ambigua, perché pur situato tra i reati di riduzione in schiavitù, i quali tipologicamente si basavano su forza e violenza, portava in evidenza e rilievo i meccanismi psichici di inferenza del potere del plagiario sulla mente e sul corpo del plagiato; il grande problema in termini di incriminazione del reato di plagio consisteva proprio nella precisa individuazione della sua portata offensiva e dei suoi elementi costitutivi, oltre che nella enorme incidenza di una caratterizzazione extra-giuridica come il condizionamento psichico. Proprio come il reato di istigazione al suicidio, il reato di plagio ha avuto una esistenza processuale tormentata, scarsamente utilizzato ma nelle vicende che lo hanno visto protagonista sempre connesso a dimensioni ideologiche e di conservazione dell’ordine costituito; dalla vicenda di Don Emilio Grasso, che avrebbe poi portato alla pronuncia 9 Aprile 1981, n. 96 della Corte Costituzionale che dichiarò la illegittimità costituzionale dell’articolo 603 cp per violazione dell’articolo 25 Cost.76, alla unica condanna di cui si ha memoria, quella del filosofo Aldo Braibanti77, il plagio si è presentato come una fattispecie concettualmente elastica, tesa a inglobare e metabolizzare spunti dissonanti, tutti lambenti la pura manifestazione del pensiero e dei confini estremi del patto sociale. La connessione tra i tre delitti, quello di istigazione al suicidio e quello di plagio e quello di favoreggiamento della prostituzione, è rappresentata proprio dal tentativo istituzionale di chiudere fuori il fuori, l’erezione di una struttura 76 Sulla sentenza della Corte Costituzionale e sugli scenari aperti dopo l’espunzione della fattispecie dal nostro ordinamento, con riferimento particolare ai casi di condizionamento psichico, G. FLORA, Il plagio tra realtà e negazione: la problematica penalistica, in Riv. it. Dir. proc. Pen., 1990, p. 87. 77 Braibanti, filosofo, ex partigiano torturato dalla Banda Carità, drammaturgo organizzatore di un laboratorio teatrale, poeta e intellettuale irregolare di tendenze anarchiche, aveva intrecciato, in tempi diversi, relazioni omosessuali con due suoi studenti, uno dei quali lo aveva seguito a casa sua, dopo il trasferimento del Braibanti dall’Emilia a Roma. Denunciato per plagio dalla famiglia di questi, venne in primo grado condannato a nove anni di reclusione, successivamente ridotti in Appello a sei di cui due condonati solo per meriti resistenziali senza che l’impianto accusatorio fosse stato minimamente scalfito: la sentenza di appello, Corte di Assise di appello, Sezione I penale, del 30 settembre 1971, è pubblicata in Foro italiano, 1971, vol. 95, pp. 1 e ss.. A favore di Braibanti si schierarono molti intellettuali, come Pasolini, Bene, Moravia, Eco. Sia la struttura della contestazione sia la, elefantiaca, sentenza di primo grado ponevano l’accento sulle doti oratorie e retoriche e culturali del Braibanti, ma soprattutto sulla sua omosessualità, nonostante il Braibanti abbia per altro negato di essere omosessuale; ben presto la vicenda, anche per la caratura degli intellettuali scesi in campo per protestare l’innocenza del filosofo e la fumosità del reato contestato, divenne uno scontro frontale tra opposte opzioni valoriali. L’intera vicenda è ampiamente ricostruita in G. FERLUGA, Il processo Braibanti, Zamorani, 2003. Il caso esistenziale e processuale è divenuto anche una piece teatrale, M. PALMESE, Il caso Braibanti, Caracò, 2017. 22 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” dispositiva che impedisca il chiamarsi fuori, la permanenza di una linea di confine tra determinazione individuale liberatoria e intelaiatura sociorelazionale collettivizzante, l’enfermér le dehors di Maurice Blanchot78; la torre di Braibanti, la comunità di Don Grasso, la liberazione mediante la morte per il malato imprigionato nel corpo della malattia, divengono paradigmi inaccettabili per una certa visione utilitaristica del patto sociale, una visione che postulando la sua totale finitezza non può tollerare spunti auto-liberatori. 2.3 La soglia di determinazione biologica della modernità: personalismo, solidarietà e dignità contro la riduzione biopolitica del corpo a esperimento diffuso. Viene quindi in questione la grande tematica della dignità79 e della solidarietà, quelle caratterizzazioni che in termini di costituzionalismo liberaldemocratico, assieme alla eguaglianza80, costituiscono il formante basico della vestizione politica del soggetto e del suo esserci nella dimensione rappresentativa81. La dignità, nel lessico del costituzionalismo, inerisce una dimensione urvaloriale, endiadica rispetto alla persona umana, caratterizzante e rafforzativa rispetto ad un dato elemento; dignità umana, dignità sociale. Sono concetti diversi, pur originando fenomenologicamente dal riconoscimento del singolo come persona, colto nel reticolo di relazioni intrasubiettive che animano le formazioni sociali: la partecipazione del soggetto M. BLANCHOT, L’entretien infini, Gallimard, 1969, p. 292; il confinare fuori dallo spazio sociale ciò che è situato già fuori indica l’erezione di un dispositivo di controllo e di stabilizzazione dell’assetto valoriale dato al fine di impedire l’ingresso di ciò che è percepito come disvalore o controvalore. Il potere costituito, detto in termini di teoria politica e costituzionalistica, arresta l’ingresso delle dissonanze latenti prodotte da altre forze costituenti che cercano di penetrare nell’assetto istituzionale agitandosi negli interstizi di una Carta costituzionale e di un ordinamento dato. Da questa collisione dialettica o nasce una chiusura totale con un rigetto del corpo sociale latamente costituente oppure ne nasce una armonizzazione, mediante un percorso di accesso/inclusione al dispositivo costituzionale già dato. Plagio, favoreggiamento della prostituzione, istigazione al suicidio rappresentano, in questa chiave interpretativa, i puntelli della barriera chiamata a impedire l’accesso di ciò che è fuori e lotta per accedere. 79 P. CHIARELLA, L’eutanasia: un problema giuridico aldilà del bene e del male, in P. FALZEA (a cura di), Thanatos e nomos. Questioni bioetiche e giuridiche di fine vita, Jovene, 2009, p. 137, per la considerazione dell’intreccio tra dignità e libertà. 80 A. CELOTTO, Il problema dell’eguaglianza, in ID., Le declinazioni dell’eguaglianza, Editoriale scientifica, 2011, pp. 11 e ss. 81 S. RODOTÀ, La vita e le regole, cit., p. 22, sottolinea come la corporeità vada intesa come libera costruzione della personalità, pensata certo indipendentemente dallo spazio giuridico, ma concretamente essa si pone come polo dialettico rispetto alla produzione di regole giuridiche e dall’altra come prodotto di una scelta politica e sociale che fonda spazi di autonomia. 78 23 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” alla cosa politica consustanzia il suo divenire permanente zoon politikon, elevandosi dalla pura materialità biologica82. La dignità emerge, sia a livello interno sia nel processo di integrazione sovranazionale, nel preciso momento in cui l’umanità vuole chiamare ad armistizio le varie componenti che tra loro cospiranti compongono la totalità sociale83, per elidere in radice la possibilità dell’insorgere di fenomeni di inimicizia assoluta tra formazioni sociali e visioni ideologiche antitetiche; si vuole cioè evitare che il conflitto, per quanto aspro e duro, possa inerire il campo valoriale, assegnando al proprio nemico, non più avversario quindi, il contrassegno di chi si pone fuori dall’umanità, come era avvenuto nella ricostruzione schmittiana del nemico in senso oggettivo84. Il conflitto per valori, come si è avuto già modo di rilevare, è scivoloso, perché tende ad insinuarsi nel tessuto sociale disarticolandone la aggregazione e gli elementi nodali; non appare un caso che proprio di dominio dei valori siano state ammantate le teoriche che maggiormente hanno inciso nella espunzione del corpo umano dall’orizzonte politico facendolo regredire allo stato naturale-biologico. Binding e Hoche si sentivano investiti di un dovere etico connesso alla dignità della vita, la loro opera non casualmente connette in senso assoluto la vita biologica con la dignità: in questo contesto la dignità era un parametro attorno cui far ruotare la accettabilità o meno della prosecuzione dell’esistenza, ma un parametro spogliato della sua politicità, quindi tolto dalle mani del soggetto e rimesso nelle mani dello stato di eccezione che avrebbe deciso seguendo le linee direttrici della sovranità pubblica. Non stupisce quindi osservare come la Corte Costituzionale abbia dimostrato nel corso degli anni un evidente self-restraint in argomento85: sembrerebbe quasi contraddittorio, a prima vista, dover rilevare come la dignità, che punteggia e compone Dichiarazioni, Convenzioni, come elemento di radicale modifica dell’orizzonte valoriale e rottura rispetto a quanto avvenuto nel secondo conflitto mondiale, finisca poi sempre per dover essere accompagnata da un effettivo parametro in base al quale la Corte giudicherà. 82 Il governo del corpo riunisce e incorpora una vasta costellazione di prerogative di varia natura e di vari rami del diritto. In questo senso il governo del corpo è un percorso e un processo di isolamento delle parti e dei tessuti del corpo medesimo, proprio perché l’isolamento è governo del confine dell’io, così P. VERONESI, Uno statuto costituzionale del corpo, cit., p. 129. 83 Sulla porosità assiologica delle Carte costituzionali liberal-democratiche, capaci senza eccessivi traumi di assorbire e fare proprie le istanze emananti dalla società civile, R. ROMBOLI, La relatività dei valori costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo, in Pol. Dir., 1991, p. 567. 84 C. SCHMITT, Teoria del partigiano, Adelphi, 2005, pp. 125 e ss. 85 G. GEMMA, Dignità umana: un disvalore costituzionale?, in Quad. cost., 2008, 2, pp. 379 e ss. 24 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” In altre parole: la dignità non è stata riconosciuta ancora come elemento ordinale autonomo su cui stabilire la incostituzionalità di un provvedimento legislativo. C’è sempre, deve esserci, una integrazione di cui la dignità divenga rafforzativo86; se lasciata libera essa potrebbe, è questo il timore, operare come una forma di attrazione verso una tirannia dei valori87, i quali anche quando assoluti risentono di un canone di finitezza incistato nella contingenza storica. Un assoluto che porterebbe ad una segmentazione della socialità attraverso dinamiche di appartenenza, e per linee tendenziali all’arbitrio del potere88. Se potesse esser applicata isolatamente dalle sue sfumature politiche la dignità, in tema di fine vita, potrebbe conformemente a certi dati ideologici connaturati allo sviluppo socio-storico italiano essere declinata nella necessità di espunzione di qualunque forma di autodeterminazione individuale, facendo assurgere la vita ad una connotazione assolutizzata, una connotazione che la renderebbe scissa dalle caratteristiche individuali del portatore di quella vita; in questo senso, la dignità sarebbe regressione, e la vita rifluirebbe paradossalmente nella dimensione meramente biologica, in quanto il corpo, il corpo clinicizzato, malato, tenuto in vita artificialmente nel nome della dignità assoluta della vita, diventerebbe non più vita ma solo nuda vita89. E’ la soglia di rilevanza e di determinazione biologica ad informare i differenziali della modernità; laddove un potere, sia esso quello degli apparati pubblici o della scienza egemone lasciata libera di operare secondo le sue direttrici e le sue logiche e la sua razionalità, invade capillarmente la sfera interiore, fisio-psichica, del soggetto, ecco che deve emergere un contropotere che riaffermi la libera scelta autodeterminativa del soggetto. In questo senso, la dignità non può mai essere scissa dal canone personalistico e dai paradigmi della/e libertà90. 3. Il diritto costituzionale e gli infermi: malattia, tecnica e dato politico La parola vita compare solo due volte in Costituzione, e in entrambi i casi in senso non riducibile alle questioni che qui si vanno affrontando. 86 F. MODUGNO, Trattamenti sanitari non obbligatori e Costituzione, in Diritto e società, 1982, p. 318. Il diritto alla vita, nella interpretazione della giurisprudenza costituzionale, difficilmente potrebbe essere ricostruito come una metanorma; esso viene sempre integrato, proprio come la dignità, dal principio di libertà dell’individuo. La vita, come la dignità, deve per questo essere informata ad un canone di effettiva libertà. 87 C. SCHMITT, La tirannia dei valori, Adelphi, 2008. 88 Corte Cost. 22 Marzo 1988, n. 364. 89 Corte Cost. 17 Luglio 2001, n. 252, esprime in tema sanitario l’essenza di nucleo duro della personalità umana riferit alla sua dignità e alla sua libertà. 90 P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei casi e astrattezza della norma, Giuffrè, 2007, A. D’ALOIA, Decidere sulle cure. Il discorso giuridico al limite della vita, in Quad. cost., 2010, 2, p. 237. 25 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” In un caso, all’articolo 59, diviene solo parametro temporale ad indicare la permanenza in carica dei Senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Nell’altro caso, contenuto nell’articolo 117, essa è indicata come vita sociale, culturale ed economica in termini di piena parità tra uomini e donne. Naturalmente ritenere che la vita appartenga all’orizzonte concettuale e semantico, essendone quasi pre-condizione, del tessuto costituzionale è dato non seriamente revocabile in dubbio: per utilizzare il linguaggio della Corte Costituzionale, essa è un bene essenziale soggetto a garanzia assoluta91. Ma di quale vita si parla però quando se ne indica la sua sottoposizione a garanzia assoluta, quasi a voler lasciar trasparire la presenza nel nostro ordinamento non tanto di un diritto alla vita quanto di un dovere di vivere? La nuda vita, intesa nel mero senso biologico, spogliata di riferimenti politicosoggettivizzanti, o al contrario di una vita pienamente integrata nel dato della sua intrinseca politicità ? A ben vedere, naturalisticamente, la Costituzione non disconosce nemmeno l’essenza più pura della morte e persino della morte violenta; essa ripudia solo l’irrogazione della morte come pena, come sanzione, contrastando essa con i criteri minimi di umanità e di rieducazione. Ma, ed è ben noto, la Costituzione continua a prevedere il dovere di difesa, in armi, della Patria all’articolo 52, definendo questo dovere addirittura come sacro; lo stesso ripudio della guerra di cui all’articolo 11 Cost. va declinato sotto il genus specifico della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ovviamente se il rifiuto della guerra e della connessa violenza fosse assoluto, lo stesso articolo 52 Cost. avrebbe scarso senso; senza poi contare che come dimostrato dalla evidenza storico-empirica l’Italia ha in varie occasioni partecipato, sia pur nel quadro di un mascheramento semantico da peacekeeping o da azioni umanitarie, a conflitti armati. D’altronde è evidente come laddove vi sia la vita vi debba per forza essere anche la morte, in una dolorosa endiadi. Anche per questo pudore il diritto, si pensi a quello civile, spesso crea una morte legalmente rilevante scissa dalla morte biologica, ingenerando una dimensione in cui non esiste davvero morte ma solo, tecnicamente, fine vita. La Costituzione non disconosce quindi morte e violenza, ma le proceduralizza in un canone garantistico, democratico, legato a un vincolo solidaristico: rende cioè evidente la necessità di governare, fin nei loro esiti più capillari, anche gli aspetti più dissonanti della esistenza, nel nome di un bene superiore. Questo bene, connesso appunto all’afflato solidaristico, può in ambiti estremi ed eccezionali inerire alla sopravvivenza stessa dello Stato, come nel caso della difesa della Patria: senza questa difesa, non vi sarebbe più garanzia 91 Corte Cost. 27 Giugno 1996, n. 223. 26 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” statuale a difendere lo stesso singolo, e nel nome di questa considerazione viene legittimata una violenza e una dimensione collettivistica92 di estrinsecazione della violenza. Questo al tempo stesso significa però riconoscere al singolo, sempre nel nome della solidarietà sociale e politica, il diritto di rimanere se stesso, integro e degno, un soggetto politico; anche se questo diritto può ammantarsi di sfumature violente, contro se stessi, e paradossali. L’evoluzione tecnologica, anche sotto il genus medico e farmacologico, inarrestabile e imprevedibile quando la Costituzione venne promulgata, ha determinato l’emersione di nuovi canoni di violenza93, di sottoposizione del corpo al dominio di una razionalità rimasta senza alcuna forma di dialettica rappresentativa: lo scarto determinatosi tra garanzia giuridica e accelerazione scientifica ha lasciato il corpo, in alcuni casi, a recedere ad oggetto di sperimentazione diffusa, quasi esso fosse la simbolica rappresentazione della nuda vita. Ed ecco allora che questa tensione tra convivenza e violenza, tra pace e conflitto, la quale corre lungo tutto il vasto dettato costituzionale, non è altro che la necessità di protezione della valenza politico-soggettivizzante della vita umana, la quale chiede di non esser fatta rifluire alla sua mera essenza biologica. Abbiamo già parlato, non casualmente, di una soglia biologica di determinazione della modernità; è un tratto saliente del punto di rottura registrato tra razionalità politica e linguaggio scientifico, uno iato che fa registrare l’arretramento della valenza politica del singolo e l’avanzamento non tanto di un collettivo o di un organico, ma pur sempre informato a canoni politici, quanto di una logica del momento clinico94. 92 Detto in altri termini, se la solidarietà intesa come legame, anche sociale, tendente alla valorizzazione e alla promozione della dignità e della libertà della persona, e alla protezione di questa da spinte centrifughe eticizzanti, può addirittura portare alla necessità di difendere questo legame con le armi e quindi ricorrendo ala violenza, appare evidente come il mantenimento della dignità sotto condizione di libertà sia un parametro talmente assoluto da informare l’essenza profonda stessa del costituzionalismo liberal-democratico; ne consegue che nel momento in cui la persona dovesse essere fatta recedere ad uno stadio non più politico ma meramente biologico, ella avrebbe il diritto di esercitare quell’atto di violenza contro se stessa per tornare alla piena, libera dignità di soggetto politico. 93 R. DWORKIN, Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà individuale, Einaudi, 1994, p. 297, sottolinea come la tirannia del dato tecnico chiamato a condizionare la preservazione meramente biologica della vita umana contrasti con la meraviglia della natura. 94 E proprio nello scandagliare il senso profondo di questa logica si situa il punto di maggior interesse in prospettiva costituzionalistica, per comprendere cioè chi sia tenuto a individuare la soglia oltrepassata la quale una vita può essere considerata del tutto arretrata in una dimensione esclusivamente biologica, A. RAUTI, Certus an, incertus quando: la morte e il diritto del paziente all’ultima parola fra diritto, etica e 27 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” La totalizzazione della istituzione e la metabolizzazione del corpo richiedono, di necessità, uno statuto costituzionale del corpo. La costruzione di un valore legale della morte, mediante la sua sottrazione al dato esperienziale comune, si traduce, nel lessico giuridico non solo costituzionale, nella traslazione del termine, eminentemente polisemico, dalla purezza della morte alla consistenza asettica del “fine vita”; nel codice civile, la morte si situa nel punto di caduta del decesso, della fine biologica, si pensi all’articolo 4 c.c. disciplinante la commorienza o all’articolo 456 c.c. ove l’apertura della successione è connessa al momento della morte95, al contrario nel diritto pubblico il “fine vita” indica una, lunga, fase che accompagna il soggetto in exitu, una fase che come tipico del diritto pubblico deve continuare a puntellare il suo cammino di garanzie e diritti96 onde evitare che egli venga ridotto a nuda vita. E se il diritto a morire può certo apparire come un diritto paradossale97, bisogna focalizzare la propria attenzione proprio sulla fase del fine vita; la morte, in sé, il chiamarsi fuori istantaneo del suicida che non abbia bisogno di agevolazioni e ausilio altrui, è un lungo istante ininterrotto, ma per chi non abbia, logisticamente, la medesima possibilità la fine della vita si trasforma in un calvario agonico che finisce per sdilinquire i precetti di dignità e libertà della persona, sottoponendola ad una violenza, la violenza fredda della tecnica98, che si situa fuori dalla soglia di violenza accettabile per il nostro ordinamento. La paradossalità ben emerge considerando che da un lato chi agevola l’azione suicidaria oggi viene punito, dall’altro lato però impedire un suicidio pienamente voluto e consapevole sarebbe un atto di egoismo99. tecnica, in P. FALZEA (a cura di), Thanatos e nomos. Questioni bioetiche e giuridiche di fine vita, Jovene, 2009, p. 266. 95 G. SALITO, Autodeterminazione e cure mediche. Il testamento biologico, Giappichelli, 2012, p. 27. 96 Diritti nel senso pieno del termine, non mere enunciazioni di principio. Sulla bulimia spesso sloganistica dei nuovi diritti, ampiamente , A. CELOTTO, L’età dei (non) diritti, Giubilei Regnani, 2017, specialmente pp. 121 e ss. 97 H. JONAS, Il diritto di morire, Il Nuovo Melangolo, 1991, p. 7, sottolinea quanto strana sia la combinazione delle parole morte e diritto messe assieme. 98 La violenza cieca della tecnica reca lo stigma del benessere, un ottundimento dell’individuo avvinto dal benessere, una rincorsa cieca determinata dal progresso tecnico e industriale, con la conseguenza di una dissolvenza dell’Uomo nel sistema, A. GEHLEN, L’uomo nell’era della tecnica, Armando editore, 2003, p. 106. 99 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, 1984, p. 59, per il quale se da un lato lo Stato deve dissuadere il proposito auto-distruttivo e per questo incriminare chi agevoli o rafforzi detti propositi, nel momento però in cui un singolo decide in piena coscienza, superati tutti gli sforzi di convincimento effettuati dallo Stato, di suicidarsi, adoperarsi per tenerlo comunque in vita configurerebbe una violenza esercitata nei confronti del suicida. Analogamente R. ROMBOLI, Art 5 . La libertà di disporre del proprio corpo, in Commentario del codice civile. Scialoja – 28 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” È difficile, in effetti, parlare di una autentica libertà, in senso giuridico, di suicidarsi; perché invero sarebbe una libertà non puntellata da alcuna garanzia, non agevolata ma anzi tenuta nascosta nelle pieghe ombrose e dolorose del fatto personale, in una realtà cruda in cui il suicida è solo davanti e con se stesso100. Il gesto suicida, nella sua materiale consistenza, è un atto di cui né la collettività né l’ordinamento possono conoscere; se ne disconoscono le motivazioni, le modalità di attuazione, la spinta emotiva e quella psichica, diventa in questa prospettiva impossibile da giuridificare compiutamente, sia nel senso di riconoscerlo come diritto sia come fatto oggetto di un qualche divieto. Proprio per questo, non viene di certo meno la spinta all’aiuto del soggetto che si imbatta nel potenziale suicida, né lo Stato dovrebbe abdicare al suo percorso di colloquio e convincimento dell’aspirante suicida a recedere dai suoi propositi. Vincoli solidaristici e dignità implicano prima di tutto il consolidamento della effettiva volontà del soggetto intenzionato a chiamarsi fuori dal mondo. Proprio per questo le legislazioni eutanasiche più avanzate, come quella olandese o quella svizzera, non lasciano spazio a particolari fraintendimenti sul processo di formazione della volontà: ciò significa governo del percorso scientifico, mettere a punto la razionalizzazione del quadro clinico, le sofferenze patite dal soggetto, e prendere atto alla fine che la vita, la vita di quel soggetto, è scesa sotto la soglia della vita politica per situarsi completamente e irrimediabilmente nel campo della vita biologica. La determinazione di questa discesa non può essere rimessa clinicamente solo alla scienza senza il previo apporto del malato101, poiché in caso contrario Branca, Zanichelli, 1988, p. 246. In realtà appare evidente come anche in questa prospettiva l’agevolazione suicidaria ritenuta penalmente rilevante sia contraddittoria rispetto a questo autentico obbligo di astensione laddove ci si trovi davanti una volontà pienamente matura e consapevole: per questo la logica che governa la legittimità del suicidio assistito oltre a dover trovare una propria disciplina legislativa e la espunzione della attuale formulazione degli articoli 579 e 590 cp deve essere puntellata da garanzie, procedure e accorgimenti tecnici, mediante una democratizzazione del percorso medicale di fine vita. 100 In questo senso, condivisibilmente, M. DONINI, La necessità di diritti infelici. Il diritto di morire come limite all’intervento penale, in Diritto penale contemporaneo, 2017, p. 8. 101 Si pone ovviamente il gravissimo problema concernente gli incapaci e tutte quelle persone non ritenute dall’ordinamento in grado di formulare una piena volontà autonoma che dovrebbero poter accedere alla dimensione eutanasica, per l’interposta persona del tutore, solo dopo e con un notevole aggravio dell’accertamento diagnostico e con una valutazione medicale collegiale, sul modello olandese, pur non esente questo da errori. L’accertamento diagnostico dovrebbe clinicamente stabilire la dinamica di sofferenza patita e le prospettive concrete di lenimento del dolore stesso. E’ evidente che per questi soggetti, l’eutanasia dovrebbe essere qualcosa che si situa 29 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” entreremmo nel terreno ombroso delle vite indegne di essere vissute: si tratta di una adeguata commistione, di un bilanciamento tra la espressione della volontà del singolo e l’accertamento diagnostico effettuato dai tecnici. 3.1 Senso e consenso: legge sul consenso informato e valorizzazione degli articoli 2 e 13 Cost. Il 31 Gennaio 2018 è entrata in vigore la legge 22 Dicembre 2017, n. 219, recante la disciplina normativa in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento; si tratta, senza dubbio alcuno, di un importante passo avanti, propiziato anche dalla intensa attività giurisdizionale102 e dal fermento dell’opinione pubblica, dopo i laceranti casi, pur diversi tra loro per incidenza patologica e grado e forma di volontà palesati alla cessazione dei trattamenti sanitari e alla tenuta in vita, di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro103. E se nel caso della Englaro si è forse raggiunto il punto più elevato della crisi socio-sistemica di istituzionalismo parlamentare, con il Parlamento prima silente e poi impegnato nel sollevare conflitto di attribuzione avverso la pronuncia della Corte di Cassazione104, senza che la questione fosse stata prima sintetizzata e regolata all’esito del dibattito parlamentare, con la legge 219/2017 sembra essere maturata una maggiore consapevolezza declinata sul versante della responsabilizzazione medicale e della valorizzazione della autodeterminazione del singolo. Non appare di certo casuale che nello stesso articolo di detta legge, l’articolo 1, convivano la necessità di apprestare tutela al diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona stabilendo che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge con il pieno diritto di conoscere le proprie condizioni di aldilà della extrema ratio, perché in nessun caso la volontà espressa potrebbe davvero essere la loro, ma solo una ricostruzione finzionale della loro volontà. 102 Ad esempio, la sentenza della Corte Costituzionale 23 Dicembre 2008, n. 438 nella quale venne rilevato come il consenso informato, inteso quale consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. 103 M. E. BUCALO, Profili costituzionali rilevanti nell’ambito del caso Englaro e la necessità della disciplina legislativa sul fine vita, in P. FALZEA (a cura di), Thanatos e nomos. Questioni bioetiche e giuridiche di fine vita, Jovene, 2009, in particolare pp. 55 e ss. per il grave conflitto istituzionale tra poteri. 104 Corte di Cassazione, n. 21748/2007. In dottrina F. D. BUSNELLI, Il caso Englaro in Cassazione, in Fam. Pers. E succ., 2008, 12, pp. 966 e ss. 30 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” salute e di essere informato in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. In questa prospettiva la sintetizzazione del diritto alla vita con i riferimenti alla dignità e alla autodeterminazione stanno ad indicare lo scardinamento assiologico della protezione paternalistica della nuda vita105, della vita fatta recedere cioè dalla sua politicità soggettiva ad uno stadio di mera essenza corporea, di prigione biologica incistata e incardinata nella istituzione della clinica: è il consenso106 maturo, consapevole, pienamente formato, mediante una evoluzione costante e irrinunciabile degli aggiornamenti medici e farmacologici che rende il singolo autodeterminato. Il dato legislativo, in questo percorso di formazione della coscienza autodeterminativa, valorizza la relazionalità paziente-medico107, aldilà del dato deontologico, stabilendo una serie proceduralizzata di raccolta e cristallizzazione del consenso, cercando quindi di riequilibrare la asimmetria tipologica che intercorre tra singolo malato e medico come emanazione di un sapere tecnico dotato di canoni sistemicamente non-comunicabili: malato e medico rappresentano due sistemi differenti che vengono a contatto solo nella base di linguaggio rappresentata dalla malattia, la scienza medica, come alfabeto della clinica, senza alcun input di riequilibrio, senza una vera democrazia della sofferenza e della morte, rappresenta una totalità da cui è espunto il linguaggio umano, servendosi essa solo di codici linguistici e concettuali dettati dal progresso del proprio sistema scientifico108. Al contrario, la legge 219/2017, in piena attuazione della tutela della libertà individuale, libertà intesa nel suo senso più pieno di riconoscimento della 105 P. BORSELLINO, Bioetica tra autonomia e diritto, Zadig, 1999, p. 70 parla a proposito dell’approccio paternalistico del diritto penale e civile sul corpo del malato di una vera e propria usurpazione del momento decisionale. 106 Sulla generalizzazione internazionale del diritto a non essere sottoposto a trattamenti curativi e sanitari contro la propria volontà, ampiamente, F. VIGANÒ, Esiste un diritto a essere lasciati morire in pace? Considerazioni in margine al caso Welby, in Dir. proc. Pen., 2007, pp. 5 e ss. 107 Che al contrario in precedenza era del tutto e asimmetricamente sbilanciata in favore del personale sanitario; d’altronde la consistenza stessa dell’articolo 5 c.c., recante la disciplina degli atti di disposizione del proprio corpo, recava lo stigma di una visione proprietaria del corpo, a cui veniva sotteso un incipiente sostrato di decisionismo collettivistico, P. STANZIONE, Art. 5 c.c., in P. CENDON (a cura di), Commentario al Codice civile, Giuffrè, 2009, p. 32 e ss. 108 Una delle grandi sfide della modernità è certo rappresentata dal governare democraticamente il linguaggio del laboratorio, rendendo la scienza, originariamente regno del non-umano, un elemento simbiotico tra dimensione non-umana e presenza umana, in questo senso B. LATOUR, Non siamo mai stati moderni, Eleuthera, 2009, p. 45 e ss.. 31 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” dignità e della autodeterminazione, va ad incidere proprio sulla connessione non più unilaterale ma questa volta biunivoca tra paziente e medico. La rinuncia, il rifiuto ai trattamenti sanitari109, al cui interno la legge ricomprende anche nutrizione artificiale e idratazione ovvero le tecniche di sostegno vitale superando un punto in precedenza assai controverso, rappresentano il cardine sostanziale di una volontà di tutela della vita davvero degna, della vita politica; anche la possibilità di rivedere le proprie decisioni, una possibilità riconosciuta in ogni momento, si inserisce in questa linea tematica. Di particolare interesse è naturalmente l’articolo 6 comma 1 della legge 219/2017 a mente del quale il medico che abbia precisamente ossequiato la volontà del malato andrà esente da conseguenze di ordine penale o civile; la norma in parola entra in ovvia tensione con la previsione secondo cui comunque il malato non potrà esigere trattamenti contrari alla legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche. Alla luce di questa disposizione appare evidente che la legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento non disciplina il diritto a morire, quanto piuttosto il diritto alla piena autodeterminazione di se stessi nella fase crepuscolare della propria esistenza; è un riconoscimento importante ma ancora incompleto, perché sostanzia tendenzialmente e innerva nel canone della vita ancora dei residui di soggezione al potere tecnico, rende cioè la fine della vita uno scorrere naturale senza però poter imprimere quelle accelerazioni che molti malati in condizioni particolarmente critiche e di sofferenza richiedono. La novità più significativa contenuta nella legge è senza dubbio però quella disciplinata dall’articolo 4: le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), comunemente note come testamento biologico o bio-testamento. Si tratta di una rilevantissima cristallizzazione anticipata della volontà espressa dal soggetto che in ipotesi, in futuro, potrebbe venirsi a trovare nella materiale impossibilità di estrinsecare la sua volontà in merito ai trattamenti sanitari. Prima dell’entrata in vigore della legge n. 219/2017, nella generale ottica di una rivisitazione ermeneutica evolutiva dell’articolo 32 c. 2 Cost., una parte della dottrina inferiva una caratterizzazione differente tra rifiuto e rinuncia a seconda della qualificazione soggettiva dell’individuo, se egli fosse cioè capace o meno, e nel caso di rinuncia alle cure implicante l’intervento di un tecnico, ovvero di un medico: si riteneva che allo stato attuale della normazione, solo il rifiuto di cure espresso da persona capace di intendere e volere potesse rientrare totalmente sotto l’usbergo dell’articolo 32 c.2 Cost., mentre per gli altri casi si sarebbe reso necessario un intervento legislativo, così G. U. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario secondo l’art. 32, co. 2 Cost., al principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, in Dir. pubbl., 2008, p. 101. 109 32 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” La novità è di non poco momento poiché segnala una radicale discontinuità rispetto al passato, laddove come noto la mancata attualità del consenso prestato finiva per instaurare giudizi penali, i quali molto spesso più che alla ricerca di una condotta davvero delittuosa erano devoluti alla effettiva ricostruzione della volontà prestata dal malato110. Il diritto di morire infatti non è una discesa nella barbarie e nell’arbitrio ma una affermazione di volontà e di dignità del singolo il quale in alcune condizioni, di particolare dolore, potrebbe per affermare la propria dignità chiedere di imprimere una accelerazione alla propria morte; in questo senso, l’architettura concettuale su cui poggia la legge 219/2017 la rende apprezzabile in termini di depotenziamento della portata normativa dell’articolo 579 cp ma non anche su quello dell’articolo 580 cp. La legge sul consenso informato ha da un lato stabilizzato un assetto emergente dall’opera giudiziale, tracciando una linea di maggior chiarezza in alcuni ambiti, come la indicazione della formazione del consenso e la relativa importanza; ma l’elemento più rilevante ad esso sotteso è l’aver costituito a tutti gli effetti una sintetizzazione di democratizzazione della morte. La refrattarietà del Parlamento ad affrontare temi eticamente sensibili, la tendenziale auto-esautorazione che come abbiamo visto ha raggiunto il suo picco più doloroso nel caso Englaro, ha determinato nelle questioni di fine vita il dominio della tecnica e della clinica, la scomparsa del corpo nei meccanismi della discorsività medico-scientifica, senza alcuna forma di tensione dialettica rappresentativa dell’insieme sistemico uomo-malato/procedura scientifica: l’idea della conservazione corporea come fattore a rilevanza biologica, puntellata dalla normativa penalistica, ha ipostatizzato un quadro generale in cui il malato recedeva a nuda vita, spogliato della sua caratterizzazione politico-soggettiva, privo di qualunque voce in sede parlamentare e rappresentativa. Il consenso, prima della legge 219, non era mai davvero consenso del malato, quanto piuttosto consenso del nudo corpo de-soggettivizzato; in questo senso l’articolo 32 Cost. rappresentava e rappresenta un parametro bicefalo, che se da un lato si pone come scudo alla invasività dei pubblici poteri, dall’altro contiene una germinazione latente che continua a postulare un collettivismo sanitario funzionale alla conservazione non tanto della vita degna quanto della vita nuda. In questo senso l’articolo 32 Cost. deve, fisiologicamente, essere declinato in un insieme plurisfaccettato che assommi il principio della dignità personale di cui all’articolo 2 Cost. e quello della libertà sancito dall’articolo 13 Cost.; la Sull’importanza in chiave penalistica di questa novità legislativa, A. MASSARO, L’omicidio del consenziente e l’istigazione o aiuto al suicidio. La rilevanza penale delle pratiche di fine vita, in Giurisprudenza penale web, 2018, 10, specie pp. 23 e ss. 110 33 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” scissione molecolare di questo insieme rischia di far risorgere la visione istituzionalistica di un articolo 32 Cost. a trazione de-soggettivizzante. 3.2 Nostalgia dell’origine: il caso DjFabo/Cappato Il segno più tangibile e simbolicamente potente della evanescenza assiologica dell’articolo 580 c.p. ci è rimandato, quasi plasticamente, dalle parole del Pubblico Ministero la quale davanti la Corte D’Assise di Milano ha chiesto l’assoluzione di Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, imputato del reato di cui all’articolo 580 cp per aver agevolato il suicidio di Fabiano Antoniani (in arte, Dj Fabo, per la sua attività di disc jockey), aggiungendo ella di non poter rappresentare la pubblica accusa nei confronti di un individuo che ha semplicemente aiutato un soggetto impossibilitato a farlo a esercitare un diritto, non il diritto a morire quanto il diritto alla dignità111. Le stesse oscillazioni giudiziali che hanno punteggiato processualmente la vicenda, prima con la Procura che ha chiesto l’archiviazione per l’imputato e la successiva imputazione coatta stabilita dal Giudice per le indagini preliminari il 10 Luglio 2017, infine l’apertura del dibattimento in Corte d’Assise e la sequenziale sollevazione da parte di questa della questione di costituzionalità112 tradiscono tutti gli imbarazzi e le difficoltà operative di una norma oggettivamente oscura. Il caso, nei suoi drammatici particolari, è noto, anche per essere assurto alle cronache televisive, specialmente in un filmato della trasmissione televisiva Le Iene, un filmato poi utilizzato in chiave processuale nel percorso di ricostruzione della volontà finale di Antoniani: Antoniani, appunto, che a seguito di un gravissimo incidente automobilistico occorsogli nel Giugno 2014, era rimasto tetraplegico e affetto da cecità bilaterale corticale. La autonomia di Antoniani era del tutto compromessa, sia in chiave respiratoria, dovendosi egli servire di un respiratore artificiale sia pure non in via del tutto continuativa, sia in chiave alimentare presentando una gravissima forma di disfagia e nella evacuazione: ad aggravare il quadro la frequenza e la intensità di spasmi e contrazioni che finivano per provocargli indicibili sofferenze, solo molto parzialmente lenite dall’utilizzo di sedativi, residuando solo l’opzione della sedazione profonda. Dj Fabo, la pm Tiziana Siciliano: “assolvete Cappato. Rappresento lo Stato, quindi anche l’imputato”, in Il Fatto Quotidiano, 17 Gennaio 2018. 112 E. CANALE, La Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi sull’eventuale sussistenza del diritto a morire (Osservazioni a margine dell’ordinanza della I^ Corte di Assise di Milano, 14 Febbraio 2018, imp. Cappato), in Osservatorio costituzionale, 2018, 2, p. 5, sottolinea il contrapposto approccio tra il GIP che ha disposto la imputazione coatta e la Corte di Assise, un approccio ermeneutico differente in tema di diritto alla vita. 111 34 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” L’Antoniani aveva mantenuto pienamente le sue capacità intellettive, ed aveva piena coscienza del suo calvario, una coscienza che lo aveva portato nel 2016 e dopo l’insuccesso di un trapianto di cellule staminali per cui si era recato in India, alla decisione di porre termine alla sua vita. Vita e sofferenza, nel suo caso, rappresentavano una assoluta endiadi. La dignità della sua persona era minata in maniera irreparabile, non solo e non tanto perché per sfuggire al dolore avrebbe dovuto ricorrere alla sedazione profonda quanto per la assoluta irreversibilità di una condizione che lo aveva spogliato della sua stessa soggettività, facendo regredire il suo corpo ad un dato puramente biologico incistato nella ordalia della malattia. Nonostante i tentativi di dissuasione operati da madre e fidanzata, l’Antoniani si dimostrava irremovibile, continuando a palesare la volontà di porre termine alla sua esistenza. In questo quadro, di iniziale collazione di informazioni sulle associazioni svizzere eutanasiche come Exit e la Dignitas, presso cui poi si sarebbe materialmente recato, si situano i contatti tra Antoniani e familiari e Marco Cappato, nella sua qualità di esponente della associazione Luca Coscioni, associazione notoriamente impegnata in divulgazione e informazione concernenti il fine vita. Dopo una serie di contatti via mail e telefonici tra la fidanzata dell’Antoniani e Cappato, questi illustrò la possibilità, conforme a legge italiana, di avvalersi della sedazione profonda, contestualmente interrompendo ventilazione e alimentazione e lasciando la malattia al suo decorso. A fronte di questa possibilità l’Antoniani mantenne fermo il suo proposito di recarsi in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito, tanto che nel mentre non aveva interrotto il suo inoltro di documentazione medica e legale alla Dignitas, tra cui un certificato medico che ne attestava la piena capacità di intendere e di volere. Il “semaforo verde” venne fissato dalla Dignitas per la data del 27 Febbraio 2017: nei mesi che precedettero la data fatidica, Antoniani ebbe modo di rivolgere un appello al Capo dello Stato e di farsi intervistare dalla trasmissione Le Iene, un filmato che come già detto sarebbe poi stato acquisito dalla Procura e trasmesso anche durante il dibattimento in Corte d’Assise. Dal filmato emerge chiaramente come il suo volersi chiamare fuori non sia un mero, egoistico chiamarsi fuori dal patto sociale, dal mondo, dalla vita politica, quanto piuttosto ciò che Rainer Maria Riilke definiva una metafisica nostalgia dell’origine, una rincorsa cieca verso ciò che è stato113: la riduzione a corpo meramente ed esclusivamente biologico, innervato in un dispositivo tecnico, che rende quel corpo clinica di se stesso ed estensione della malattia, in una stordente commistione di tirannia scientifica e scomparsa della R. BRITTON, Dolore originario e ira impetrata. Un’esplorazione delle elegie duinesi di Riilke, in DAVID BELL (a cura di), Psicoanalisi e cultura, Bruno Mondadori, 2002, p. 47. 113 35 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” consapevolezza politico-individuale, comporta la nullificazione della libertà e della dignità, la dignità della vita effettiva, la dignità di avere piena coscienza del proprio ruolo di individuo. Non vale opporre un presunto ottundimento della consapevolezza individuale, accecata dalla sofferenza, quando però questa sofferenza è priva di speranza di guarigione; il malato, come scriveva Thomas Bernhard, è davvero il più crudelmente lucido di tutti gli individui, nessuno possiede una immagine del mondo più chiara della sua114. Lo statuto costituzionale del corpo è lo statuto costituzionale della piena dignità di questo corpo, della reductio ad unum tra elemento di identificazione psichica, soggettivo-politica ed espressione corporea115; i vincoli solidaristici non impongono la permanenza della sofferenza, dell’annullamento, dello spossessamento della coscienza e della individualità116. Gli articoli 2, 3, 13 e 32 Cost. tra loro cospiranti rendono il quadro di un individuo che deve poter essere libero e consapevole e godere della piena dignità117, protetto dal rischio di riduzione, esercitato dai pubblici poteri o dalla razionalità tecnica non governata da un processo democraticorappresentativo, a nuda vita, a dato biologico. Come è stato sottolineato118, i casi Englaro e Welby differiscono profondamente da quello di Antoniani, poiché a differenza dei primi due in questo ultimo caso non vi è stato rifiuto delle cure o interruzione delle stesse (o della alimentazione artificiale). Il suicidio assistito e l’eutanasia attiva, ad oggi, continuano a situarsi fuori dal nostro panorama giuridico: eppure a ben guardare il riconoscimento di un diritto a congedarsi dalla propria sofferenza, a interrompere il circuito della riduzione a nuda vita in cui si è mera parte di un dispositivo tecnico, non sarebbe legislativamente impossibile. 114 T. BERNHARD, Il respiro. Una decisione, Adelphi, 1994. Si pensi ai casi di rettificazione di sesso, evolutivamente discendenti dall’articolo 32 Cost. ma anche dalla caratterizzazione effettuale dei principi di eguaglianza e personalistico, una autentica bussola costituzionale che permette di ricongiungere e saldare la parte psichica e quella corporea della persona transessuale, P. VERONESI, Uno statuto costituzionale del corpo, cit. p. 161. 116 Secondo Corte Cost. 3 Febbraio 1994, n. 13 un precipuo nomen costituzionale della dignità è il diritto a essere se stessi, inteso come rispetto dell’immagine partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee e esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano e al tempo stesso qualificano l’individuo. 117 Corte Cost. 17 Luglio 2000, n. 293 secondo cui il principio della dignità della persona umana permea di sé il diritto positivo. 118 M. E. DE TURA, Il principio di autodeterminazione e la tutela della vita umana: esiste un diritto a morire? (Osservazioni a margine della ordinanza del g.i.p. di Milano, 10 Luglio 2017, giud. Gargiulo, imp. Cappato), in Osservatorio costituzionale, 2017, 3, p. 12. 115 36 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” Molti dei punti concettuali sono stati cesellati da una inesausta opera giurisprudenziale, sedimentatasi anche se non principalmente a causa della inerzia legislativa119. Esattamente come nel caso del plagio, anche nel caso della istigazione al suicidio viene in luce il contrasto con l’articolo 25 comma 2 Cost., proprio per la tendenziale ambiguità e opacità della sua ratio incriminatrice e dei suoi stessi elementi costitutivi; ma più ampiamente, come correttamente rilevato dalla Corte d’Assise, gli articoli 2 e 13 comma 1 della Costituzione elevano la libertà del singolo ad essere riconosciuto come pieno soggetto politico, non come estensione meramente meccanicistica di un dispositivo clinico-medicale o di una volontà pubblica che trasforma la dignità in un dispositivo di controllo. In questo senso la libertà di decidere quando e come morire, discriminatoriamente, è ad oggi un fatto che viene in rilievo solo per l’individuo sano o comunque nelle condizioni tali da rendere per lui praticabile il darsi la morte senza interventi ausiliari di terzi. A chi invece non sia data questa possibilità non residua che la possibilità di lasciarsi morire, quando però la sospensione delle cure conduca alla morte: per tutti gli altri, per gli incurabili afflitti da gravissime patologie in cui però gli esiti di una eventuale interruzione dei trattamenti sanitari non siano mortali residua questo permanente limbo di dolore e di vita biologica. A tutti gli effetti, una discriminazione che contrasta anche con il canone di eguaglianza120 sacralizzato dalla nostra Carta costituzionale. 4. Una conclusione: per una democrazia del fine vita La recente vicenda di Antoniani, e il conseguente processo a carico di Marco Cappato hanno ribadito per l’ennesima volta la difficoltà di affrontare in chiave giuridica la dolorosa fase terminale della esistenza, una fase su cui gravano considerazioni meta-individuali, morali, religiose, filosofiche, giuridiche e politiche. Nonostante il tendenziale passo avanti rappresentato dalla legge n. 219/2017, le residue opzioni di fine vita, quelle più concretamente eutanasiche, continuano a presentarsi come rappresentativamente ingovernate; la stasi S. BARBARESCHI, Il giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p.: le strade a disposizione della Corte, in Federalismi.it, 2018, 10, specialmente pp. 7 e ss. per l’analisi del diritto vivente, sia nella teorica generale del costituzionalismo sia nel caso concreto. 119 120 La commistione inscindibile tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale si traduce nella necessità di infondere effettiva dignità e libertà nel soggetto-persona, tenendo conto della sua vita, della sua materialità, M. DOGLIANI – C. GIORGI, Art. 3. Costituzione italiana, Carocci, 2017, p. 100. 37 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” parlamentare del dibattito in tema rammenta il lungo silenzio121 serbato sulla stessa espressione del consenso, e che ha portato alle vivide vicende di Englaro e Welby. Lo abbiamo visto; quando l’organo detentore della funzione legislativa ed espressivo della sovranità popolare recede dalla sua precipua funzione, soprattutto in materie tanto delicate, si lascia campo libero alla razionalità intrinseca e procedurale dei sistemi tecnici, ad un auto-governo che artificializza l’esistenza e la rende persistente ma spogliata di qualunque caratteristica politica122. La democratizzazione123 del fine vita significa governare e regolare la autodeterminazione individuale fino alle estreme conseguenze, riportare cioè la tecnica entro il confine della dimensione rappresentativa e garantistica. Non possono di certo essere gli interventi surrogatori della giurisprudenza o le manipolazioni ermeneutiche della Corte costituzionale a tracciare una via del tutto compiuta e da ritenersi soddisfacente e garantistica per l’individuo malato. Nel quadro attuale gli articoli 579 e 580 c.p. conservano solo una aura di controllo sociale, non proteggono interessi; o meglio, bilanciando tra loro le opposte polarità sottese, tra interessi tutelati e interessi danneggiati dalla concreta applicazione delle due norme, si comprende agevolmente come siano questi ultimi a prevalere e ad esser maggioritari. E sono questi ultimi a G. G. PISOTTI, Fine vita e tribunali. Relazione al seminario “Autodeterminazione terapeutica e questioni di fine vita” (Roma, Senato della Repubblica, 23 Ottobre 2017), in Giurisprudenza penale web, 2017, 11, p. 1, sottolinea come sin dal lontano 1985 il Parlamento si dibattesse nelle secche della regolazione normativa delle scelte di fine vita, citando le parole dell’Onorevole Loris Fortuna il quale dichiarò che era giunto il momento di dar luogo a un processo dialettico e culturale nel Parlamento e nel Paese sulla questione della dignità della vita nel suo momento terminale. Per una panoramica dei disegni di legge pendenti, M. DONINI, La necessità di diritti infelici, cit. p. 7 e specialmente n.14; come rileva l’Autore appare particolarmente sconfortante il fatto che di non vi sia alcuna proposta legislativa di derivazione governativa, le uniche come noto che nel presente assetto istituzionale e dei rapporti di forza presentino concrete chance di approvazione. 122 Qualunque forza sociale, laddove si ritenga che essa possa positivizzare una norma giuridica per mera imposizione, per il suo mero sopravanzare le altre forze in campo, senza una regolazione compiuta che sintetizzi le opposte opzioni rendendole in pieno equilibrio, e quindi riconducendo nell’alveo della presenza costituzionale le istanze provenienti dalla società, finisce con il legittimare l’arbitrio e l’abuso; la razionalità tecnica lasciata isolata e senza rappresentanza produce il proprio sistema chiuso e autorefenziale impermeabile alla comunicazione costituzionale, allo stesso modo la società civile scardinata e chiusa fuori dalla rappresentanza politica e dai paradigmi costituzionali diviene un moto di collisione con l’ordine costituito, A. CATELANI, Il diritto come struttura e come forma, Rubbettino, 2013, p. 119. 123 E’ la procedura di incistamento del discorso delle forze sociali latenti, come la società civile e le sue pulsioni, in un cardine garantistico che le costituzionalizzi e le renda rappresentate, B. LATOUR, Politiche della natura, cit., p. 123. 121 38 GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 1-BIS - “QUESTIONI DI FINE VITA” prevalere perché spogliano il singolo, lo rendono dato biologico, senza più alcun crisma politico. Allo stato attuale, sembra di poter dire che le due norme citate debbano e possano essere espunte, anche mediante ripetuti interventi caducatori della Corte costituzionale, dal nostro ordinamento, perché esse contrastano davvero e nel modo più grave e intimo con gli articoli 2, 3, 13, 25 c.2, e 32 della Carta costituzionale: ma il vuoto lasciato da questa espunzione deve essere governato e presidiato, al fine di evitare l’espandersi delle razionalità tecniche che finirebbero con l’attuare le loro logiche biopolitiche124 e al fine soprattutto di impedire che il cambiamento venga attuato senza la effettiva partecipazione delle istanze sociali che lottano per il loro riconoscimento125. E’, in poche parole, un istinto effettivo di conservazione del dato costituzionale a fronte della vis espansiva dei poteri sociali126: l’opinione pubblica e la società civile lasciate senza alcuna forma di mediazione parlamentare, nella inerzia del dibattito legislativo, finiscono per incidere sulla de-giurisdizionalizzazione dei precetti costituzionali, lasciando il campo libero alla immissione del corpo nel governo della razionalità tecnica. Mentre al contrario, è necessario non tanto andare alla ricerca di ciò che nella Costituzione non c’è, tendendo ad un approccio valoriale, quanto valorizzare ciò che nella Costituzione è presente e chiarissimo ab origine: dignità equivale a libertà. 124 Da un lato cioè è necessario continuare a prevedere fattispecie incriminatrici a tutela di incapaci e minori, un fattore questo che si situa aldilà delle possibilità degli interventi giudiziali e della Corte costituzionale. Dall’altro è indispensabile riprendere i lavori parlamentari per convogliare nel dibattito dei soggetti rappresentativi le istanze latenti rimaste fuori dal circuito della rappresentanza. 125 “Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d’interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinchè il mondo non continui a cambiare senza di noi. E alla fine non si cambi in un mondo senza di noi”, G. ANDERS, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, 2007, II, p. 1. 126 E.W. BOCKENFORDE, Salvaguardia della libertà di fronte al potere sociale, in ID. Stato, Costituzione, democrazia. Studi di teoria della costituzione e di diritto costituzionale, Giuffrè, 2006, pp. 345 e ss., sottolinea l’importanza di governare razionalmente re-inserendo nel contesto costituzionale le organizzazioni sociali che si formano per aggregazione intorno interessi collettivi. Mentre infatti lo Stato si è autoimbrigliato in un reticolo di contrappesi che fungano da garanzia per il singolo, onde limitare la concreta incidenza di potenziali abusi, le forze sociali, prive di analoghi contrappesi, tendono alla virulenta espansione. Per l’Autore un ruolo primario in questo percorso potenzialmente distruttivo è dettato proprio dalla occupazione della opinione pubblica e dalla formazione di un agenda setting che esula dalla logica intrinseca del parlamentarismo democratico. Mi sembra evidente come applicando questa preoccupazione al tema del fine vita, se ne debba inferire la necessità di canalizzare questi movimenti di opinione nel sistema garantistico costituzionale, democratico e parlamentare. 39