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Basilica di San Lorenzo Atti della giornata di studi Intorno all’Annunciazione Martelli di Filippo Lippi. Riflessioni dopo il restauro Firenze, Museo di Casa Martelli 26 maggio 2017 © 2018 Mandragora. Tutti i diritti riservati. Mandragora s.r.l. via Capo di Mondo, 61 50136 Firenze www.mandragora.it Editor Giorgio Bencini con Francesca Mazzotta Art director Paola Vannucchi con Matteo Bertelli Stampa Grafiche Martinelli, Bagno a Ripoli Confezione Legatoria Giagnoni, Calenzano Stampato in Italia ISBN 978-88-7461-377-9 Ringraziamenti I chairmen Keith Christiansen e Carl Brandon Strehlke; Cristina Acidini, Francesco Alberti La Marmora, Rita Alzeni, Elisabetta Bazzani, Annamaria Bernacchioni, Enrico Bocci, Elisa Bonini, Maria-Liesse Boquien, Susanna Bracci, Adele Breda, Alberto Bruschi, Ciro Castelli, Daniela Cavini, Sara Cavatorti, Simone Chiarugi, Sonia Chiodo, Marco Ciatti, Margherita Cinti, Paola Cinti, Roberto Cobianchi, Lauretta Colonnelli, Rosanna Coppola, Guido Cornini, Federica Corsini, David D’Affrey, Marc De Mey, Hilde Declercq, Mathieu Deldicque, Ilaria Della Monica, Lucia Dori, Claudia Echinger-Maurach, Caroline Elam, Cecilia Frosinini, Susan Galassi, Julian Gardner, Cristina Giannini, Flaminia Gennari Santoni, Annette Hojer, Gabriella Incerpi, Daniela Karl, Annette Kranz, Michelle Laclotte, Isabella Lapi Ballerini, monsignor Angelo Livi †, Alison Luchs, Alessandra Marino, Giovanna Martellotti, Maria Millazzi Martellotti, Federico Matteuzzi, Matteo Mazzalupi, Chiara Merucci, Simona Millozzi, Lorenza Melli, Francois Minombet, Lorenza Mochi Onori, Andrea Montuori, Antonio Natali, Andrea Niccolai, Chiara Nepi, Alessandro Nova, Mariella Nuzzo, Federica Olivares, Giovanni Pagliarulo, Daniela Parenti, Enrico Parlato, Brenda Preyer, Sonia Puccetti, Daniela Ranzi, Vasily Rastorguiev, Pietro Roccasecca, Chiara Rossi, Xavier Salomon, Micaela Sambucco, Daniele Sanguineti, Paola Sannucci, Cinzia Silvestri, Andreas Schumacher, Magnolia Scudieri, Stefania Tullio Cataldo, Dominique Thiébaut, Marilena Tamassia, Caterina Toso, Michela Ulivi, Timothy Verdon, Elizabeth Walmsley, Vitale Zanchetin, Matteo Zappalupi, Emanuele Zappasodi. Intorno all’Annunciazione Martelli di Filippo Lippi RIFLESSIONI DOPO IL RESTAURO Referenze fotografiche La campagna fotografica del restauro dell’Annunciazione Martelli è stata realizzata da Ottaviano Caruso. Altre foto del dipinto sono di Claudio Giusti e Antonio Quattrone. Altri crediti fotografici: Boston © Museum of Fine Arts; Chantilly, Musée Condé, foto © RMN/Martine Beck Coppola; Città del Vaticano © Musei Vaticani/foto Pietro Zigrossi; Cleveland Museum of Art, John L. Severance Fund/foto Gary Kirchenbauer; Firenze, Archivio di Stato*; Firenze, Badia Fiorentina/foto DeA Picture Library, concesso in licenza ad Alinari; Firenze, Gallerie degli Uffizi*; Firenze, Musei del Bargello*; Firenze, Museo di San Marco*/ foto Finsiel/Archivi Alinari; Firenze, Opificio delle Pietre Dure*/Archivio fotografico; Firenze, Santa Croce/foto Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Firenze; Madrid, Patrimonio Nacional; Milano, Pinacoteca di Brera*; Monaco di Baviera/foto Blauel/Gnamm/Artothek/Archivi Alinari; Napoli, Museo di Capodimonte*; Parigi, Louvre, foto © RMN-Grand Palais (musée du Louvre)/Jean-Gilles Berizzi; Parigi, Musée Jacquemart-André/foto C2RMF/Anne Chauvet; Roma, Gallerie nazionali di arte antica - Palazzo Barberini*/foto Mauro Coen; Torino, Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti/foto Fabio Amerio; Washington D.C., National Gallery of Art, courtesy of the Board of Trustees; foto Francesco Del Vecchio, Firenze; foto Nicolò Orsi Battaglini, Firenze. Si ringraziano per le gentili concessioni: Edizioni Olivares, OPD/Harvard University Center for Italian Renaissance. * Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo. a cura di MONICA BIETTI Mandragora    .     VICTOR M. SCHMIDT Riflessioni sul vetro. Osservazioni iconografiche e stilistiche sull’Annunciazione Martelli Dopo l’accurato restauro da parte di Lucia Biondi, l’incantevole capolavoro di Filippo Lippi è tornato a risplendere nella cappella Martelli (o “degli Operai”) della basilica di San Lorenzo. Benché restino alcuni dubbi su vari aspetti, è ragionevole assumere che l’Annunciazione Martelli fosse realizzata alla fine del quarto decennio del Quattrocento e intesa già dall’inizio come una tavola d’altare quadrata, corredata da una cornice che riflette nelle grandi linee l’architettura brunelleschiana circostante (sebbene l’idea che Brunelleschi avesse “inventato” la pala tipicamente rinascimentale mi sembra fuorviante).1 In questo intervento invece vorrei concentrarmi sulla boccia di vetro raffigurata nel primissimo piano della tavola (fig. 1). Il fatto che essa sia riempita d’acqua solo a metà rende difficile collegarla con i vasi da fiori – solitamente gigli – che si vedono in tante rappresentazioni dell’Annunciazione alla Vergine. Oltre che per la posizione in evidenza e la mancanza dei fiori, il contenitore vitreo colpisce per il gioco complicato di luci e ombre, che sono rese meticolosamente. La boccia, dunque, è un punto focale, e come tale un punto di partenza per considerazioni iconografiche nonché stilistiche. Un oggetto di vetro in quanto tale è assai raro nella pittura del Trecento e del primo Quattrocento e si trova solo quando il soggetto lo richiede; quasi sempre si tratta di un soggetto con una tavola imbandita, quali le varie cene ricordate nei vangeli.2 Se una boccia è presente, essa quasi mai contiene i dettagli del manufatto raffigurato dal Lippi, cioè i riflessi nel vetro e l’ombra proiettata dal recipiente. Proprio per queste particolarità si è detto che il pittore si ispirasse direttamente a un’opera fiamminga come la cosiddetta Madonna di Lucca di Jan van Eyck (fig. 2) ora allo Städel Museum di Francoforte (datata a metà degli anni 1430)3 oppure all’Annunciazione di Rogier van der Weyden al Louvre, una tavola alquanto posteriore.4 Non sarebbe l’unico caso d’ispirazione fiamminga nell’opera del Lippi: in questo contesto è spesso ricordata la Madonna di Tarquinia, datata 1437, per l’interno domestico e le ombre portate, aspetti che trovano dei bei paralleli in alcune opere dell’ambito del Maestro di Flémalle e di Rogier van der Weyden, quali l’anta destra del trittico di Enrico Werl del Prado oppure la già citata Annunciazione del Louvre (figg. 3a-b).5 L’accostamento del vaso del Lippi con quelli eyckiani o rogieriani sembra illuminante, ma se ci chiediamo come il frate carmelitano avrebbe avuto modo di vedere un’opera di Van Eyck – o un altro dipinto fiammingo coevo – in questo periodo, la situazione diventa meno chiara. Per spiegare le corrispondenze Francis Ames-Lewis ha proposto un viaggio nelle Fiandre negli anni tra il 1434, quando il pittore è documentato a Padova, e il 1437, data della Madonna di Tarquinia.6 L’ipotesi di un viaggio non documentato alla “fonte” è un modo convenzionale ma non molto sofisticato di spiegare un’“influenza”.7 L’altra possibilità è di supporre che non l’artista bensì le opere abbiano viaggiato. Così Millard Meiss ha suggerito che Lippi abbia visto dipinti fiamminghi durante il suo soggiorno a 1. Filippo Lippi, Annunciazione Martelli, particolare, basilica di San Lorenzo.  2. Jan van Eyck, Madonna di Lucca, particolare, Francoforte, Städel Museum. 3a. Maestro di Flémalle, Santa Barbara, particolare, Madrid, Museo Nacional del Prado. 3b. Rogier van der Weyden, Annunciazione, particolare, Parigi, Musée du Louvre.  .  Padova. Ma che davvero dipinti fiamminghi si trovassero in questo periodo nella città veneta rimane una congettura.8 D’altra parte alcuni dipinti degli anni trenta furono davvero commissionati da italiani ed erano presenti nella penisola. La già ricordata Annunciazione del Louvre, parte centrale di un trittico – le ante del quale si trovano nella Galleria Sabauda di Torino – è stata eseguita per un membro della famiglia Villa di Chieri.9 Anche il committente della Madonna di Francoforte fu probabilmente un italiano, dal momento che all’inizio dell’Ottocento il trittico si trovava a Lucca, nella collezione del marchese Cittadello.10 La cosidetta Madonna di Ince Hall ha una composizione simile alla parte centrale del trittico di Francoforte (fig. 4). Benché rechi il nome di Jan van Eyck e la data 1433 a sinistra del trono, è considerata una copia di un originale perduto oppure un prodotto della bottega. Una copia posteriore apparteneva prima del 1619 a un tal Luciano Costa, forse di origine genovese. Sulla base di questi indizi Frédéric Elsig ha suggerito che anche l’originale avesse una provenienza ligure.11 Il trittico di Dresda sicuramente ha una tale provenienza, dal momento che i piccoli stemmi sulle cornici delle ante sono quelli della famiglia genovese dei Giustiniani.12 Un altro genovese, Battista Lomellini, possedeva un trittico di Jan van Eyck. L’opera è andata perduta, ma è stata descritta da Bartolomeo Facio nel suo libro De viris illlustribus scritto intorno al 1456, quando essa si trovava negli appartamenti privati di Alfonso d’Aragona, re di Napoli.13 Esiste infine la possibilità che papa Eugenio IV, presente a Basilea per il concilio – e che dal 1434 soggiornò per vari periodi a Firenze prima di rientrare a Roma nel 1443 –, possedesse dei dipinti di Van Eyck; ma la notizia riportata dal cardinale Jean Jouffroy data solo al 1468.14 A Basilea molti fiorentini, come scrive Monica Bietti nel suo saggio, erano implicati in traffici con il Nord Europa e le Fiandre fin dal 1434: fra questi Roberto Martelli e Giovanni Benci, poi committenti   .     di Filippo Lippi, e nessuno può né confermare né escludere che, oltre a condurre affari per conto dei Medici, i due banchieri abbiano anche portato opere di pittori nordici a Firenze. Però solo dagli anni cinquanta sono documentate opere fiamminghe a Firenze e sono espliciti e diretti anche i rapporti tra la pittura fiamminga e quella fiorentina.15 Le scarse possibilità di vedere dipinti fiamminghi sono un forte motivo per essere scettici circa l’ipotesi che il Lippi li abbia studiati attentamente. Del resto, come ha dimostrato Jeffrey Ruda, ci sono delle differenze profonde (innanzitutto la tecnica). Infine insistere sugli elementi “fiamminghi” implica trascurare le conoscenze della pittura toscana più antica e contemporanea da parte del Lippi.16 Per quanto riguarda l’interesse per le riflessioni su oggetti vitrei si può pensare, per esempio, all’affresco di Masolino raffigurante la morte di sant’Ambrogio nella basilica di San Clemente a Roma (fig. 5), databile prima del 1431, quando il committente, Branda Castiglione, cardinale presbitero di San Clemente, fu nominato cardinale vescovo di Porto.17 Oggi le “nature morte” nella camera non fanno impressione a causa della perdita delle finiture a secco, ma in origine dovevano essere splendide in ogni senso. Per complicare le cose vorrei menzionare il “caso” di un altro pittore con un forte interesse per effetti naturalistici quali le ombre portate e la riflessione della luce in oggetti con una superficie lucente, proprio nello stesso periodo del frate carmelitano: Konrad Witz.18 In un saggio recente Stephan Kemperdick ha ben spiegato i rapporti con la pittura fiamminga. Benché insista anche sulle differenze con pittori quali Jan van Eyck, ricorre all’ipotesi meno convincente per spiegare l’influenza della pittura fiamminga: un viaggio – non documentato – a Gand, per visitare la bottega di Van Eyck. È veramente necessario, però, imputare tutti gli effetti naturalistici nella pittura del Quattrocento alla pittura di Van Eyck quale unica fonte, o è anche ammissibile l’ipotesi di tendenze parallele, senza un rapporto diretto di dipendenza? In parallelo con la supposta influenza fiamminga, esiste anche la tendenza di interpretare la boccia in chiave “fiamminga”, cioè secondo il principio del disguised symbolism, esposto da Erwin Panofsky nel suo libro sulla pittura fiamminga del Quattrocento, pubblicato per la prima volta nel 1953. Così, parlando della Madonna di Ince Hall (fig. 4), Panofsky afferma che la boccia trasparente, collocata sul davanzale a sinistra, era uno dei simboli mariani più frequenti dell’epoca, citando a proposito la stanza di un inno sulla Natività, in cui si parla della concezione verginale di Cristo con la metafora della luce che  4. Jan van Eyck, Madonna di Ince Hall, particolare, Melbourne, National Gallery of Victoria. 5. Masolino da Panicale, Morte di sant’Ambrogio, particolare, Roma, San Clemente.  6. Paolo Uccello, Natività della Vergine, particolare, Prato, cattedrale di Santo Stefano, cappella dell’Assunta.  .  traversa un vetro: «Ut vitrum non laeditur / sole penetrante / sic illaesa creditur / virgo post et ante» («Come non si rompe il vetro quando lo attraversa il sole, così si proclama la Vergine intatta prima e dopo»).19 Il simbolismo sembra facilmente trasferibile alla boccia del Lippi20, ma forse la metafora espressa nell’inno è meglio collegabile a dipinti quali l’Annunciazione di Gentile da Fabriano alla Pinacoteca Vaticana. Qui il raggio divino fecondatore traversa davvero una finestra e si dirige verso la Vergine.21 Un’altra interpretazione della boccia è stata proposta nel 1957 dallo studioso svedese di nature morte e della loro simbologia, Ingvar Bergström. La boccia sarebbe una metafora della Vergine quale fontana della vita. Giustamente Ruda ha sollevato l’obiezione che una fontana è già rappresentata nello sfondo del dipinto.22 Per Ruda invece la boccia potrebbe essere un’immagine della purezza della Vergine, ma egli fa anche notare che nella letteratura religiosa medievale la Vergine è regolarmente definita quale “ornato vasello” o “vas” in latino (“vas spirituale”, “vas honorabile”, “vas insigne devotionis”). Secondo il ragionamento del Ruda la boccia nell’Annunciazione Martelli potrebbe simboleggiare il ruolo della Vergine come il recipiente o contenitore dell’incarnazione.23 Non è certamente da escludere, ma non sono sicuro che la metafora funzioni anche nel caso di un vaso già pieno a metà di acqua. Tuttavia ho trovato assai curioso che a quanto sembra quasi nessuno studioso si sia chiesto quale tipo di oggetto è stato raffigurato da Filippo Lippi.24 Occorre sottolineare che la Toscana nel Quattrocento vantava una vasta produzione vitrea, risalente almeno all’inizio del Duecento. L’area di produzione si concentrava in Val d’Elsa, particolarmente a Gambassi, Montaione, San Gimignano e Colle Val d’Elsa, ma c’erano anche altri centri di produzione.25 Finora non ho trovato un confronto con reperti archeologici, ma posso confermare che simili manufatti sono stati raffigurati da altri pittori fiorentini, tra i quali Paolo Uccello e Domenico Ghirlandaio (figg. 6-7).26 Nell’affresco di quest’ultimo raffigurante l’Ultima cena – nella badia di Passignano – sono visibili delle caraffe, bocce o fiaschi molto simili a quella rappresentata da Lippi; hanno la stessa tipologia e lo stesso fondo rientrato. La boccia di Lippi, dunque, è un manufatto assai comune, che è sicuramente uscito da una fornace toscana.27 Uno spunto per un’identificazione più precisa del manufatto è offerto dalla nicchia fittizia dipinta da Taddeo Gaddi nella cappella Baroncelli della basilica di Santa Croce (fig. 8). Nella parte inferiore della nicchia si vedono una patena con un bacile, nella parte superiore una pisside, l’ampollina con il vino da consacrare e dietro l’ampollina contenente l’acqua. Quest’ultima, nonché la boccia del Lippi, prive di manico e versatoio, corrispondono alla tipologia classica delle ampolline. L’altra invece dimostra la tipologia più evoluta, con manico e versatoio allungato; è questa la tipologia che si vede in altre “nature morte liturgiche” affrescate del Trecento e dell’inizio del secolo successivo.28    .     Anche questa tipologia aveva un equivalente profano, com’è dimostrato tra l’altro dalla nicchia dipinta nel palazzo comunale di San Gimignano.29 Visto che l’Annunciazione Martelli è una tavola d’altare, è lecito supporre che la boccia raffigurata in primissimo piano non sia semplicemente un fiasco “da tavola”, bensì l’ampollina che conteneva l’acqua da mescolare con il vino durante la preparazione dell’eucarestia.30 Così si spiega anche senza difficoltà la presenza dell’acqua stessa (e l’assenza dei fiori). L’antagonista diretto per il vaso lippesco si trova invece altrove: in fra Angelico, appunto. La sua grande pala per l’altare maggiore di San Marco, eseguita negli stessi anni dell’Annunciazione Martelli, contiene in primissimo piano una tavoletta raffigurante la Crocifissione.31 Anche in questo caso siamo di fronte a un oggetto liturgico, cioè la pace o osculatorium, una tavoletta dipinta, come in questo caso, o eseguita in altri materiali, che veniva baciata dal sacerdote prima della comunione e poi offerta al bacio degli altri officianti e infine dei membri della congregazione.32 Fra Angelico rappresenta la tavoletta come se fosse posizionata contro il palcoscenico, sul quale si distende la Sacra conversazione. Per il resto, l’illusionismo della tavoletta fittizia concorda bene con quello delle due cortine scostate sui lati della pala. Sia nell’Annunciazione Martelli sia nella Pala di San Marco si tratta, dunque, di oggetti liturgici, posizionati nel primissimo piano delle tavole. Benché dipinti, gli oggetti sembrano appartenere più al contesto dello spazio reale degli spettatori che al campo figurativo delle pale. In questo senso sia la pace sia la boccia riproducono in modo lucido e brillante il tipo di oggetto che probabilmente si trovava davvero sulla mensa dell’altare. La finzione scenica del Lippi è un vero e proprio tour de force. Per creare un posto per la boccia il pittore ha creato una rientranza apposita nel palcoscenico del “teatro religioso” dell’Annunciazione. Mentre la tavoletta dell’Angelico sembra un oggetto senza spessore, la boccia è un oggetto solido, per non parlare delle riflessioni su e dentro il vetro e dell’ombra portata. Le idee illusionistiche dell’Angelico nella Pala di San Marco hanno avuto un certo successo. Le cortine dipinte si trovano in tante pale d’altare successive e anche la tavoletta fittizia fu accolta dai pittori fiorentini fino alla fine del Quattrocento.33 Lippi non ha più ripetuto la boccia dell’Annunciazione Martelli. Egli ha continuato a dipingere contenitori di vetro, ma questi sono proprio vasi per fiori, come nell’Annunciazione di Monaco.34 Tuttavia, una riflessione diretta delle idee del Lippi si può vedere nella tavoletta Vergine col Bambino tra i santi Pietro e Antonio abate, opera di un pittore vicino al frate carmelitano del Musée Condé a Chantilly (fig. 11).35 Non parlo del cinghialino in primissimo piano, perché è l’attributo di Sant’Antonio, bensì dei due oggetti appoggiati sul palcoscenico marmoreo subito dietro il prato col cinghiale. Anche in questo caso siamo senza dubbio 7. Domenico Ghirlandaio, Ultima cena, particolare, Tavarnelle Val di Pesa (FI), abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano. 8. Taddeo Gaddi, Natura morta. Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Baroncelli.  9. Giovanni Santi, Madonna in trono con angeli, santi e la Resurrezione. Cagli, San Domenico, cappella Tiranni. 10. Andrea del Sarto, Compianto su Cristo morto (Pietà di Luco), particolare, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina.  .  di fronte a oggetti liturgici: un bacile e un’ampollina di vetro o cristallo.36 Infine occorre citare l’affresco a mo’ di pala d’altare di Giovanni Santi nella cittadina marchigiana di Cagli (fig. 9). Di fronte alla Madonna è posizionato un candeliere, mentre alla destra si notano proprio due ampolline. Tra il 1474 e il 1480, quando il Santi non è documentato ad Urbino, si trovava molto probabilmente in Toscana, precisamente a Firenze, e l’idea di raffigurare tali oggetti nell’affresco cagliese il pittore l’ha acquista senza dubbio laggiù.37 L’usanza di includere tali oggetti in una tavola d’altare è continuata fino al primo Cinquecento, come si vede nella Pietà di Luco eseguita nel 1523-1524 da Andrea del Sarto (fig. 10). A parte il vaso della Maddalena a destra, sono raffigurati un calice e una patena con l’ostia, che si sorregge quasi miracolosamente – oggetti che ovviamente sono anche da collegare con il Cristo morto retrostante.38 Un ulteriore sviluppo del motivo è offerto dal calice con patena sopra l’immagine del “mondo”, sorretto da due putti e posizionato nel primissimo piano del Salvator mundi di Fra Bartolomeo.39 Per concludere questo discorso: un’influenza della pittura fiamminga per quanto riguarda la boccia di Filippo Lippi nell’Annunciazione Martelli non è da escludere per principio. Comunque, un riferimento alla pittura fiamminga e a Jan van Eyck spiega in verità ben poco. La boccia del Lippi è in primo luogo un manufatto toscano assai comune. Inoltre l’oggetto è stato inserito dal pittore in un posto insolito e prominente, per cui non ci sono paralleli nella pittura nordica. Proprio a causa della posizione in primissimo piano è lecito suggerire un legame con la tavoletta fittizia inserita nella stessa posizione nella Pala di San Marco di fra Angelico, incominciata nello stesso periodo. In ambedue i casi si tratta di oggetti che nella realtà quotidiana potrebbero essere stati presenti sulla mensa dell’altare. Si ammirano per il gioco e, nel caso della pala per i Martelli, per le riflessioni nel vetro, l’acqua e le ombre portate. Proprio per le rifrazioni e i riflessi con le ombre visibili nel dipinto è quasi impossibile non ricordare il trattato della pittura di Leon Battista Alberti, scritto intorno al 1435. In questo testo, di cui esiste sia una versione latina sia una versione in volgare, Alberti espresse in modo sistematico delle idee sulla pittura, molte delle quali avevano una corrispondenza nei dipinti coevi. Nel secondo libro del De pictura Alberti propone un’esposizione dell’arte della pittura secondo tre componenti principali: circoscrizione, composizione, ricezione di lumi (II, 31).40 La ricezione di lumi è poi discussa nei capitoli 46-49 dello stesso libro. Alberti rivolge in modo particolare l’attenzione all’uso del bianco e il nero per suggerire superfici brillanti, tra le quali appunto il vetro.   .      Vorrei io un buono disegno ad una buona composizione bene essere colorato. Così adunque in prima studino circa i lumi e circa all’ombre, e pongano mente come quella superficie più che l’altra sia chiara in quale feriscano i razzi del lume, e come, dove manca la forza del lume, quel medesimo colore diventa fusco. E notino che sempre contro al lume dall’altra parte corrisponda l’ombra, tale che in corpo niuno sarà parte alcuna luminata, a cui non sia altra parte diversa oscura. Ma quanto ad imitare il chiarore col bianco e l’ombra col nero, ammonisco molto abbino studio a conoscere distinte superficie, quanto ciascuna sia coperta di lume o d’ombra … Posi mente che alla superficie piana in ogni suo luogo sta il colore uniforme; nelle superficie cave e sperice piglia il colore variazione, però ch’è qui chiaro, ivi oscuro, in altro luogo mezzo colore. Questa alterazione de’ colori inganna gli sciocchi pittori, quali se, come dicemmo, bene avessono disegnato gli ori delle superficie, sentirebbono facile il porvi i lumi. Così farebbono: prima quasi come leggerissima rugiada per infino all’orlo coprirebbono la superficie di qual bisognasse bianco o nero; di poi sopra a questa un’altra, e poi un’altra; e così a poco a poco farebbono che dove fusse più lume, ivi più bianco da torno, mancando il lume, il bianco si perderebbe quasi in fummo. E simile contrario farebbero del nero. Ma ramentisi mai fare bianca alcuna superficie tanto che ancora non possa farla vie più bianca. Se bene vestissi di panni candidissimi, convienti fermare molto più giù che l’ultima bianchezza. Truova il pittore cosa niuna altro che ’l bianco con quale dimostri l’ultimo lustro d’una forbitissima spada, e solo il nero a dimostrare l’ultime tenebre della notte. E vedesi forza in ben comporre bianco presso a nero, che vasi per questo paiano d’argento, d’oro e di vetro, e paiono dipinti risplendere.41 I consigli dell’Alberti sembrano ben corrispondere al metodo impiegato da Lippi per dipingere la boccia, con i sottili passaggi e velature.42 L’interesse da parte di Alberti per gli effetti di luce è poi dimostrato da uno dei suoi Apologhi, composti poco dopo il De pictura, alla fine del 1437. Il n. 16 di questa collezione è molto interessante: «Il sole, ferendo attraverso un calice di vetro pieno d’acqua, aveva impresso sull’altare un arcobaleno, e l’acqua vantava per sua l’impresa. Ma il calice: “Se io non fossi trasparente e netto, non sarebbe successo un bel nulla”. L’ara, tra sé e sé, gongolava all’idea di godere un tale privilegio».43 Sarebbe ovviamente ingenuo suggerire un rapporto stretto tra testo e dipinto. Per il resto, un calice non è una boccia e Filippo non ha nemmeno dipinto la boccia come se fosse un prisma. Però le parole dell’Alberti possono darci un’idea della sensibilità alle riflessioni della luce su un oggetto vitreo, proprio in un contesto sacro. 11. Bartolomeo di Giovanni Corradini, detto Fra Carnevale (?), Madonna col Bambino, san Pietro, sant’Antonio abate e angeli, particolare, Chantilly, Musée Condé.   .  Mi preme segnalare che l’Alberti, nei paragrafi citati del De pictura, afferma ben due volte che i suoi consigli si possono imparare osservando “la natura”, cioè dallo studio degli oggetti stessi.44 A tal proposito è utile sottolineare di nuovo gli effetti straordinari nella raffigurazione della boccia, che non trovano confronti diretti nella pittura coeva: non solo il gioco dei riflessi e delle ombre nella boccia e nella nicchia, ma anche lo sdoppiamento del fondo rientrato a causa della rifrazione della luce nell’acqua.45 È ben possibile che il Lippi abbia studiato una vera boccia fiorentina anziché un dipinto fiammingo finora non rintracciabile. Comunque sia, la boccia è davvero un punto focale della pala d’altare. M’immagino che anche la mensa su cui stava “gongolava” – per utilizzare le parole di Alberti – “all’idea di godere un tale privilegio”. 1 Come riferimento di base mi limito alla poderosa monografia di Ruda 1993, pp. 399403, n. 22a. Per il resto si vedano gli altri contributi in questo volume. I miei dubbi sull’idea di un Brunelleschi “impressario” li ho già espressi anni fa in Schmidt 1992. 2 Oppure la tavola imbandita raffigurata da Taddeo di Bartolo nel suo affresco delle pene infernali nella collegiata di Santa Maria Assunta a San Gimignano (si veda Mendera 2009, pp. 255-256). 3 Si vedano Oertel 1942, p. 22; Meiss 1976, p. 26; Christiansen 2004, pp. 51-52; Nuttall 2004, p. 164. 4 Si vedano Ames-Lewis 1979, p. 261; De Vos 1999, pp. 194-199, n. 7. Per i rapporti tra la pala del Lippi e la pittura fiamminga in generale, si veda anche Oertel 1942, p. 22; Holmes 1999, p. 119; Bol 2012, pp. 220-224. 5 Per l’Annunciazione si veda di recente A. Fee-Köllermann, in Der Meister von Flémalle 2008, pp. 304-307, n. 26, e L. Campbell, in Rogier van der Weyden 2009, pp. 348-353, n. 27. Le ante del Trittico Werl sono spesso riferite al Maestro di Flémalle/Robert Capin, ma l’attribuzione non è data per scontata, come ha spiegato Kemperdick 1997, pp. 133-148 (capitolo intitolato “Der Werl-Altar und die verwandte Werke des Rogier-Kreises”). È ben possibile che sia il Trittico Werl sia l’Annunciazione del Louvre fossero licenziati dalla stessa bottega. 6 Ames-Lewis 1979. Per la Madonna di Tarquinia, ora alle Gallerie nazionali di arte antica di Palazzo Barberini a Roma, si veda Ruda 1993, pp. 390-391, n. 19. Per i rapporti tra le opere di Lippi, tra le quali anche la Madonna di Tarquinia, e la pittura fiamminga rimando anche al contributo di Maria Clelia Galassi in questo volume. 7 Per questo problema rimando a Schmidt 1999. 8 Meiss 1976, pp. 24-25. L’argomento è stato ripreso da Ames-Lewis 1993, modificando così le ipotesi espresse nel saggio del 1979. Il contributo Aikema-Brown 1999 tratta principalmente la seconda metà del secolo. Rimane possibile che la Crocifissione di ambito eyckiano alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia fosse presente nel Veneto, ma non c’è consenso sulla datazione, che va dalla metà degli anni trenta fino ai quaranta del Quattrocento. Si veda B. Aikema, in Renaissance 1999, pp. 202223, n. 10; F. Elsig, in El Renacimiento mediterráneo 2001, pp. 275-277, n. 32); e Age of Van Eyck 2002, p. 238, n. 34. La copia, forse veneta, della composizione a Padova (Museo d’Arte Medievale e Moderna, inv. 541), è solo databile negli anni 1460: B. Aikema, in Renaissance 1999, pp. 204-205, n. 11; F. Cavalieri, in El Renacimiento mediterráneo 2001, pp. 278-280, n. 33; Age of Van Eyck 2002, p. 255, n. 85. 9 Si veda la letteratura citata nella nota 5. 10 Si veda Sander 1993, pp. 244-263. 11 F. Elsig, in El Renacimiento mediterráneo 2001, pp. 264-266, n. 30. 12 Neidhardt-Schölzel 2005 e la scheda alle pp. 177-180. Gli stemmi sono originali, ma per ora è impossibile stabilire a quale membro della famiglia Giustiniani spettassero. Si veda anche Galassi 2017, pp. 481-483. 13 Baxandall 1964, p. 103. Per il trittico si veda ora Galassi 2017. 14 Miglio 1975, p. 141, nota 31, citato dal trattato De dignitate cardinalatus (Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Ottoboniani lat. 793, c. 4v): «Animadverte nunc etatem qua Elion [sic, si legga: Etion] Nicomachus, Protogenes, Apelles floruerunt aut qui illos superaverunt Iohannem Brugensem cuius tabulas in Eugenii pontificis aula vidisti, aut amicissimum mihi Brucellensem Rogerium cuius picturae omnium regum aulam collustrant». Cfr. anche Nuttall 2004, p. 34. 15 Si vedano Rohlmann 1994; Rohlmann 1999; Nuttall 2004 (ma la studiosa insiste anche molto sugli scambi e paralleli con la pittura fiamminga durante gli anni 1420 e 1430); Firenze e gli antichi 2008. 16 Ruda 1984; Ruda 1993, pp. 126-132. 17 Si vedano Joannides 1993, pp. 399-413; Roettgen 1996, pp. 118-135. 18 Kemperdick 2011. I paralleli tra Lippi e Witz furono per altro già segnalati da Oertel 1942, pp. 21-22. 19 Panofsky 1953, p. 144. 20 Ciò è suggerito ma non esplicitamente formulato da Meiss 1976, pp. 3-18: 17, nota 27. Più esplicito invece Arasse 1999, pp. 143 e 349, nota 48. Si veda anche Shearman 1995, p. 220. 21 Per il simbolismo dei raggi attraverso una finestra si veda Meiss 1976, pp. 5-9. Per tavola di Gentile si veda G. Corrini, in Gentile da Fabriano 2006, pp. 266-267, n. VI.5 (con bibliografia precedente). 22 Bergström 1957, p. 13; Ruda 1993, p. 401.   .     23 Ruda 1984, pp. 229-231; Ruda 1993, pp. 401-402. 24 Con l’eccezione di alcune osservazioni espresse da Ruda 1984, p. 229. 25 Ilardi 2007, pp. 181-183 (con bibliografia precedente); Mendera 2009. 26 Per gli affreschi, si veda Cadogan 2000, pp. 202-203; Minardi 2017, pp. 79-113. 27 Ringrazio una specialista della materia, Marja Mendera, per avermi confermato questa conclusione. 28 Per le tipologie e i materiali delle ampolline: Braun 1932, pp. 414-440; Suppellettile 1988, pp. 138-140. Le “nature morte liturgiche” sono state discusse da John 1991, pp. 73-97. Peraltro questi affreschi dimostrano che l’uso di oggetti di vetro era, almeno nell’Italia centrale, più diffuso di quanto padre Braun non pensasse; si veda Braun 1932, p. 426. 29 Si veda John 1991, pp. 78-80. La nicchia dipinta fa parte della decorazione affrescata da Memmo di Filippuccio, databile negli anni 1305-1307 circa: Bagnoli 1999, pp. 141-142 e p. 151, nota 172. Per il resto, un simile oggetto, ma di metallo anziché di vetro, si vede nella tavola raffigurante la Nascita della Vergine di Paolo Giovanni Fei alla Pinacoteca Nazionale di Siena, inv. 116, per cui si veda G. Fattorini, in Da Jacopo della Quercia 2010, pp. 150-151, n. B.2. 30 D’altra parte una boccia simile è tenuta da un angelo nella tavola di Giusto di Gand, raffigurante la Comunione degli apostoli (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche). 31 Si veda L’Angelico ritrovato 2008. 32 Si vedano Braun 1932, pp. 557-572; Suppellettile 1988, pp. 315-317; Richter 2003. 33 Per le cortine rimando a Schmidt 2007. Per le tavolette fittizie: De Marchi 2012, pp. 83-84. 34 Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. n. 1072. Ruda 1993, pp. 411-412. In questo contesto si può anche ricordare la Madonna dell’umiltà con due angeli del Maestro di Città di Castello (Pisa, Museo nazionale di San Matteo), per cui si veda K. Christiansen, in Fra Carnevale 2004, pp. 162-163, n. 9). 35 Si veda A. De Marchi, in Fra Angelico 2014, pp. 96-99, n. 23. La tavoletta è anche discussa dallo stesso autore e da Neville Rowley in questo volume. 36 Si veda A. De Marchi, in Fra Angelico 2014, p. 96-99: 96, n. 23, propone una lettura diversa degli oggetti. Siccome il porcellino è da collegare con Sant’Antonio, il vaso sarebbe un simbolo mariano e il bacile un riferimento alla Lavanda dei piedi, di cui san Pietro fu protagonista. Un bacile quale attributo del santo non è però attestato. Si veda Kaftal 1952, coll. 800816. Il vaso è proprio un’ampollina secondo la tipologia classica: Suppellettile 1988, p. 140. 37 Per l’affresco si veda Varese 1994, pp. 235-237; F. Gualdi, in Raffaello e Urbino 2009, pp. 134-135, n. 15. 38 Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina, inv. 1912, n. 58. Si veda Natali 1998, pp. 158-161. 39 La grande tela, già nella cappella di Salvatore Billi alla Santissima Annunziata, si trova alla Galleria Palatina. Si veda Fischer 1990, pp. 320-358. 40 Alberti, De pictura, [1436], ed. 1973, pp. 52 (italiano) e 53 (latino). 41 Ivi, pp. 82 e 84. Il testo latino: «Bene conscriptam, optime coloratam compositionem esse velim. Ergo ut vituperatione careant, utque laudem mereantur, in primis lumina et umbrae diligentissime notanda sunt, atque animadvertendum quam in eam superficiem in quam radii luminum feriant, color ipse insignior atque illustrior sit, turn ut dehinc sensim deficiente vi luminum idem color subfuscus reddatur. Denique animadvertendum est quo pacto semper umbrae luminibus ex adverso respondeant, ut nullo in corpore superficies lumine illustretur, in quo eodem contrarias superficies umbris obtectas non reperias. Sed quantum ad lumina albo et umbras nigro imitandas pertinet, admoneo ut praecipuum studium adhibeas ad superficies eas cognoscendas quae lumine aut umbra pertactae sint … Animadverti quidem ut planae superficies uniformem omni loco sui colorem servent, sphaericae vero et concavae colores variant, nam istic clarior, illic obscurior est, alio vero loco medii coloris species servatur. Haec autem coloris in non planis superficiebus alteratio difficultatem exhibet ignavis pictoribus. Sed si, ut docuimus, recte fimbrias superficierum pictor conscripserit luminumque sedes discriminarit, facilis tum quidem erit colorandi ratio. Nam levissimo quasi rore primum usque ad discriminis lineam albo aut nigro eam superficiem, ut oporteat, alterabit. Dehinc aliam, ut ita loquar, irrorationem citra lineam, post hanc aliam citra hanc, et citra eam aliam superaddendo assequetur, ut cum illustrior locus apertiori colore pertinctus sit,  tum idem deinceps color quasi fumus in contiguas partes diluatur. At meminisse oportet nullam superficiem usque adeo dealbandam esse ut eandem multo ac multo candidiorem nequeas efficere. Ipsas quoque niveas vestes exprimendo citra ultimum candorem longe residendum est. Nam habet pictor aliud nihil quam album colorem quo ultimos tersissimarum superficierum fulgores imitetur, solumque nigrum invenit quo ultimas noctis tenebras referat. Idcirco in albis vestibus pingendis unum ex quattuor generibus colorum suscipere opus est, quod quidem apertum et clarum sit. Idque ipsum contra in nigro fortassis pallio pingendo alium extremum quod non longe ab umbra distet, veluti profundi et nigrantis maris colorem sumemus. Denique vim tantam haec albi et nigri compositio habet, ut arte et modo facta aureas argenteasque et vitreas splendissimas superficies demonstret in pictura» (ibid., pp. 83 e 85). 42 Fino a che punto i pittori coevi avessero letto veramente il trattato albertiano è un problema che vorrei tralasciare in questa sede. Tuttavia il testo è stato principalmente diffuso tramite la versione latina. Dopo l’editio princeps del 1540 (Basilea, presso Bartholomaeus Westheimer) seguì la traduzione italiana di Ludovico Domenichi (Venezia, presso Gabriel Giolito de Ferrari, 1547), suggerendo che la versione albertiana in volgare fosse sconosciuta o irreperibile. 43 Alberti, Apologi, [1437], ed. 1989, p. 77. L’originale latino: «Sol ex calice vitreo pleno aqua irim in ara pinxerat: id sibi opus aqua ad gloriam adscribebat. Calix contra: “Ni perlucidus essem atque nitidissimus” inquit “non extaret”. Haec audiens ara secum ipsa tacita, gloriam sibi illam inherere plurimam gaudebat» (ibid., p. 76). 44 «Questo assai te comprenderai dalla natura» e «Id quidem a natura et rebus ipsis pulchre perdisces» (Alberti, De pictura, [1436], ed. 1973, pp. 82 e 83). «Qui vero raccontiamo cose quali imparammo dalla natura». «Sed liceat hic nonnulla, quae a natura hausimus, referre» (ivi, pp. 84 e 85). 45 Si veda l’analisi perspicace di John Shearman (1995), p. 215. Come afferma lo studioso lo sdoppiamento è «a unicum in the history of painting, so far as I know». Ringrazio Lucia Biondi e Keith Christiansen per aver condiviso con me le loro osservazioni a proposito della boccia.