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Συναγωνίζεσθαι Studies in Honour of Guido Avezzù

Συναγωνίζεσθαι Studies in Honour of Guido Avezzù Edited by Silvia Bigliazzi, Francesco Lupi, Gherardo Ugolini Σ Skenè Studies I • 1 S K E N È Theatre and Drama Studies Executive Editor General Editors Editorial Board Managing Editors Editorial Staff Layout Editor Advisory Board Guido Avezzù. Guido Avezzù, Silvia Bigliazzi. Simona Brunetti, Francesco Lupi, Nicola Pasqualicchio, Susan Payne, Gherardo Ugolini. Serena Marchesi, Savina Stevanato. Francesco Dall’Olio, Marco Duranti, Carina Fernandes, Antonietta Provenza, Emanuel Stelzer. Alex Zanutto. Anna Maria Belardinelli, Anton Bierl, Enoch Brater, Jean-Christophe Cavallin, Rosy Colombo, Claudia Corti, Marco De Marinis, Tobias Döring, Pavel Drabek, Paul Edmondson, Keir Douglas Elam, Ewan Fernie, Patrick Finglass, Enrico Giaccherini, Mark Griffith, Daniela Guardamagna, Stephen Halliwell, Robert Henke, Pierre Judet de la Combe, Eric Nicholson, Guido Paduano, Franco Perrelli, Didier Plassard, Donna Shalev, Susanne Wofford. Copyright © 2018 S K E N È All rights reserved. ISSN 2464-9295 ISBN 978-88-6464-503-2 Published in December 2018 No part of this book may be reproduced in any form or by any means without permission from the publisher Dir. Resp. (aut. Trib. di Verona): Guido Avezzù P.O. Box 149 c/o Mail Boxes Etc. (MBE 150) – Viale Col. Galliano, 51, 37138, Verona (I) S K E N È Theatre and Drama Studies http://www.skenejournal.it info@skenejournal.it Contents Silvia Bigliazzi - Francesco Lupi - Gherardo Ugolini Πρόλογος / Prologue 9 Part 1 – Τραγῳδία / Tragedy 1. Stephen Halliwell “We were there too”: Philosophers in the Theatre 15 2. Maria Grazia Bonanno Tutto il mondo (greco) è teatro. Appunti sulla messa-in-scena greca non solo drammatica 41 3. Vittorio Citti Una nota inutile ad Aesch. Suppl. 950 69 4. Angela M. Andrisano Le performances della Pizia (Aesch. Eum. 29-33) 81 5. Pierre Judet de La Combe Una dialettica regale. Gli argomenti della regina sulla ricchezza in Aesch. Pers. 159-69. 91 6. Liana Lomiento Osservazioni critico-testuali e metriche su Aesch. Eum. 352-3 = 365-6 107 7. Enrico Medda Alcune congetture inedite di A.E. Housman all’Agamennone di Eschilo 133 8. Franco Montanari Mito e poesia: la figura di Clitennestra dall’Odissea a Eschilo 147 9. Antonietta Provenza Un destino paradigmatico. L’ibrido e la necessità del γάμος nel mito di Io 167 10. Alessandro Grilli Forme e funzioni della parola magico-sacrale nei Sette contro Tebe 195 11. Giovanni Cerri Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice: protostoria di un mito 219 12. Renzo Tosi Creonte e il potere che rivela l’uomo (Soph. Ant. 175-7) 237 13. Roberto Nicolai Perché Edipo è chiamato τύραννος? Riflessioni sull’Edipo re come tragedia del potere 251 14. Seth L. Schein The Second Kommos in Sophocles’ Philoctetes (1081-1217) 277 15. Camillo Neri Marginalia Colonea 299 16. Francesco Lupi Minima Sophoclea. Frr. 150, 722, 338 R.2 323 17. Paola Angeli Bernardini Ecuba, le prigioniere troiane e la presenza del mare nelle Troiane di Euripide 341 18. Adele Teresa Cozzoli Azione drammatica e metateatro nell’Oreste di Euripide 359 19. Jordi Redondo Alcestis: Pro-Satyric or Simply Romantic Tragedy? 385 20. Marco Zanolla Tracce di polemica contro il ploutos nell’Alcmena di Euripide: frr. 95, 96 e 92 Kn. 403 21. Edward M. Harris Pollution and Purification in Athenian Law and in Attic Tragedy: Parallels or Divergences? 419 Part 2 – Κωμῳδία / Comedy 22. Andreas Bagordo κομψευριπικῶς. Tracce di Euripide socratico-sofistico nella commedia attica 457 23. Marco Duranti Due questioni interpretative nelle Ecclesiazuse di Aristofane (vv. 1089-91, 1105-11) 491 24. Giuseppe Mastromarco Aristofane, Le donne che occupano le tende, fr. 488 K.-A. 503 25. Olimpia Imperio I demagoghi nelle commedie di Aristofane e dei suoi rivali 515 26. Andreas Markantonatos The Heracles Myth in Aristophanes’ Acharnians: The Boeotian and Dicaeopolis Scene (ll. 860-958) 545 27. Piero Totaro Antiche e nuove esegesi di Aristofane, Pluto 168 563 28. Fausto Montana Lamia nella Collana di Menandro (fr. 297 K.-A.) 585 29. Guido Paduano Un tema della Nea: la verità come perfetto inganno 599 30. Massimo Di Marco Una probabile eco della parodia comica del Ciclope di Filosseno in Ermesianatte (fr. 7.73-4 Powell) 615 Part 3 – Παράδοσις / Reception 31. Maria Pia Pattoni Tragic and Paratragic Elements in Longus’ Daphnis and Chloe 633 32. Paola Volpe Il Ciclope: un mostro tra antico e moderno 653 33. Eric Nicholson Finding Room for Satyrs at the Theatrical Table, from Ancient to Modern Times 675 34. Francesco Dall’Olio Oedipus Tyrant? Tyranny and Good Kingship in Alexander Neville’s Translation of Seneca’s Oedipus 693 35. Silvia Bigliazzi Euripidean Ambiguities in Titus Andronicus: the Case of Hecuba 719 36. Vayos Liapis On the Sources of Petros Katsaïtis’ Iphigenia (1720): Between Lodovico Dolce, Molière, and the Commedia dell’Arte 747 37. Gherardo Ugolini Il Genio della tragedia. Antigone nel Vorspiel di Hofmannsthal 783 38. Douglas Cairns Fascism on Stage? Jean Anouilh’s Antigone (1944) 805 39. Avra Sidiropoulou Negotiating Oblivion: Twenty-First Century Greek Performances of Ancient Greek Plays 833 40. Martina Treu ‛Guidaci a passo di danza’. Cori comici sulla scena 857 41. Adele Scafuro and Hiroshi Notsu Miyagi’s Antigones 881 Part 4 – Ἔξω τοῦ θεάτρου / Theatre and Beyond 42. Anton Bierl Symmachos esso: Theatrical Role-Playing and Mimesis in Sappho fr. 1 V. 925 43. Walter Lapini La casa dei belli (Asclepiade AP 5.153) 953 44. Mauro Tulli Plato’s κάλλιστον δρᾶμα in Greek Biography 963 45. Simona Brunetti Il coraggio di tradire per poter tramandare: un allestimento contemporaneo del Gysbreght van Aemstel di Joost van den Vondel 975 46. Nicola Pasqualicchio Piano d’evasione: carcere e utopia negli Shakespeare della Compagnia della Fortezza 1003 47. Sotera Fornaro Il giovane rapsodo nella Stanza della Segnatura di Raffaello 1025 The Authors 1043 Appendix Guido Avezzù’s Publications (1973-2018) 1079 11 Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice: protostoria di un mito Giovanni Cerri Abstract The essay offers a full reconstruction of the ancient Antigone myth at Thebes compared to Sophocles’ dramatic adaptation. In the Cyclic Thebaid and in Pindar’s odes an attitude of pious benevolence by the victorious Thebans towards the defeated Argives emerges with regards to the latter’s funeral honours for their dead. However, the mytheme of Polyneikes’ denied burial for high treason is not an invention of sixth-century Athenian propaganda. Actually, on account of Pausanias’ testimony, it can be argued that the myth of Polyneikes’ burial ban and Antigone’s ensuing rebellion were an integral part of the Theban myth, even though the outcome of the incident must not have been as lethal as it is in Sophocles’ Antigone. In that play, the narrative variant is introduced to serve the dramaturgical project: its function was to point out the antinomy between ‘unwritten law’ and ordinary legislation, which was alive and well in the Athens of Sophocles’ time. La trama dell’Antigone di Sofocle Sarà bene prendere le mosse da un sunto analitico della tragedia sofoclea, data alla scena nei primi mesi del 442 o del 441 a.C., che è il più antico testo conservato, nel quale la vicenda risulti narrata in modo particolareggiato e completo. Prologo (vv. 1-99) Dal dialogo tra Antigone e Ismene, figlie del grande ma sventurato Edipo, risulta che la loro città, Tebe, è da poco scampata all’assedio argivo; la scena si svolge davanti al palazzo reale; l’ora del giorno corrisponde alle prime luci dell’alba; Creonte, detentore del potere dopo la morte dei loro due fratelli, l’uno fratricida dell’altro, ha de- 220 Giovanni Cerri cretato che Eteocle sia oggetto dei massimi onori civici, perché ha garantito la salvezza della città assalita dall’esercito ostile di Argo, che invece il corpo di Polinice, complice del nemico esterno e perciò traditore della patria, non riceva le esequie rituali e sia abbandonato al disfacimento fuori le mura, che infine sia condannato a morte chiunque osasse contravvenire a questo divieto; Antigone è decisa a disobbedire e ad affrontare la pena capitale; Ismene, pur serbando intatto il suo affetto per la sorella, non si sente di fare causa comune con lei, sia per debolezza femminile, sia perché non ritiene giusto contravvenire all’ordine di chi governa, anche se l’ordine è a sua volta ingiusto. Parodo (vv. 100-61) Il Coro, che nell’Antigone impersona i γέροντες, gli ‘anziani-senatori’ di Tebe, intona un inno di ringraziamento agli dèi, che hanno salvato la città dall’invasione straniera, dalla strage, dal saccheggio, dall’asservimento. Dal punto di vista del genere poetico, è un inno insieme religioso e trionfale. Episodio I (vv. 162-331) Creonte, uscito dal portone del palazzo reale ed entrato in scena, dà finalmente veste ufficiale al suo bando (κήρυγμα), enunciandolo in tono solenne davanti agli anziani del Coro, da lui convocati davanti al palazzo di prima mattina, per una riunione riservata, lontana da sguardi e orecchie indiscrete. Giunge all’improvviso una delle guardie (φύλακες) che erano state appostate dal sovrano in vedetta, per bloccare e arrestare in tempo chiunque avesse tentato di seppellire il cadavere di Polinice contro il dettato del bando. L’uomo è terrorizzato, perché porta la notizia che qualcuno è riuscito effettivamente a compiere il rito funebre, cospargendo il corpo di terriccio, e teme, come del resto ognuno dei suoi compagni, di essere incolpato di aver lui compiuto il reato, dietro compenso di qualche mandante. Creonte in effetti si dichiara convinto che così siano andate le cose e sanci- Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 221 sce: o il gruppo di guardia sarà in grado di individuare il colpevole e trascinarlo prigioniero a pagare il fio o sarà ritenuto corrotto e colpevole l’intero corpo di guardia e ogni suo membro verrà torturato a morte, perché confessi prima di essere ucciso. Adirato, rientra nel palazzo; la guardia corre via ad avvisare i compagni. Stasimo I (vv. 332-83) È un elogio appassionato della tecnica (τέχνη), per mezzo della quale l’uomo è riuscito a superare il suo stato originario di impotenza ferina e ad attingere la civiltà. Elogio della tecnica in generale e in particolare delle tecniche più importanti ai fini del progresso: navigazione, agricoltura, caccia, pesca, allevamento del bestiame, linguaggio, edilizia, politica e diritto, medicina. Di fronte a queste riflessioni del Coro, la critica moderna ha incontrato serie difficoltà: a prima vista non si riesce a comprendere né il loro rapporto né la loro funzione, rispetto al contesto drammatico in cui sono inserite. La chiave per risolvere il problema è in realtà offerta dal Coro stesso nella parte finale del suo canto che, riferendosi chiaramente alla tecnica specifica della politica e del diritto, contrappone un’inventività encomiabile, che sa conciliare le leggi positive con i principi eterni della giustizia divina, ad un’inventività biasimevole, che privilegia le prime ai danni dei secondi o viceversa, offendendo in un caso e nell’altro l’ordine civico (vv. 365-71): “Avendo nell’abilità dell’arte / una sapienza che supera ogni attesa, / talvolta l’uomo si volge al male, talaltra al bene. / Se concilia le leggi del suo paese/con la giustizia giurata degli dèi, / è cittadino al sommo, senza città è colui al quale / per arroganza piace ciò che non è bello”.1 Appare più che evidente la riprovazione implicita sia di Creonte, che ha legiferato forzando i limiti imposti dagli dèi, sia del personaggio non ancora identificato che, in nome di quei limiti, si è sentito senz’altro in diritto di ritenere nullo il decreto emanato dall’autorità costituita, e di infrangerlo con azione individua1 τέχνας ὑπὲρ ἐλπίδ’ ἔχων, / τοτὲ μὲν κακόν, ἄλλοτ’ ἐπ’ ἐσθλὸν ἕρπει, / νόμους παρείρων χθονὸς / θεῶν τ’ ἔνορκον δίκαν / ὑψίπολις· ἄπολις ὅτῳ τὸ μὴ καλὸν / ξύνεστι τόλμας χάριν. 222 Giovanni Cerri le ed eversiva. Entrambi, Creonte e lo sconosciuto, hanno peccato di audacia temeraria (τόλμα), troppo convinti di avere il monopolio individuale della sapienza giuridico-politica. Episodio II (vv. 384-581) Irrompe sulla scena la stessa guardia che prima aveva portato la notizia del seppellimento clandestino di Polinice. Questa volta non è sola: porta con sé Antigone, colta in flagranza di reato e quindi arrestata. Creonte esce di nuovo dal palazzo e chiede spiegazioni. La guardia racconta come si sono svolti i fatti. L’uomo, ascoltata la minaccia di Creonte, era tornato dai compagni e li aveva informati. Insieme avevano accuratamente disseppellito Polinice e si erano riappostati in vedetta. Era allora comparsa Antigone, aveva constatato che la sepoltura era stata eliminata e il corpo del fratello era di nuovo esposto alla vista e alla voracità dei rapaci. Perciò lo aveva sepolto una seconda volta, compiendo la libagione di rito.2 Le guardie l’avevano accerchiata e fatta prigioniera. Segue il famoso confronto oratorio tra Antigone e Creonte, quasi il fulcro dell’intera tragedia: la fanciulla sostiene il primato delle “leggi non scritte”, il sovrano sostiene invece quello degli ordini impartiti da chi ha la funzione di governo. A conclusione del dialogo asperrimo, Antigone è condannata a morte, ai sensi del decreto già bandito. Esce dal palazzo Ismene in lacrime, che si dichiara complice e correa della sorella. Antigone smentisce la sua versione dei fatti e respinge con disprezzo e sarcasmo la sua solidarietà. Ismene si dispera e prega invano Creonte di risparmiarla, appellandosi anche al fidanzamento che lega Antigone ad Emone, figlio dello stesso Creonte. 2 La critica moderna (ma non quella antica) ha creato e ingigantito qui un problema che in realtà non sussiste: perché mai Antigone compie di nuovo il rito che aveva già compiuto? Sono state date al quesito le risposte più disparate e improbabili. Basta leggere attentamente il testo e la spiegazione emerge limpida dal racconto della guardia: Antigone aveva seppellito il corpo; le guardie lo avevano disseppellito; Antigone lo seppellisce di nuovo, perché secondo lei è giusto che sia sepolto, non dissepolto! Che altro c’è da chiarire?! Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 223 Stasimo II (vv. 582-630) Beati quelli che riescono a trascorrere la vita intera senza che gli dèi mandino loro sventure! Ma per lo più queste colpiscono individui e famiglie in forma di cecità mentale che induce al male (ἄτα). Tale maledizione divina continua a perseguitare la stirpe dei Labdacidi, fino a Edipo e alla sua prole. Su tutti veglia perenne la potenza di Zeus, al quale non sfugge nessun atto di ingiustizia. Episodio III (vv. 631-780) Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, viene ad incontrare il padre davanti alla reggia. Sulle prime gli professa totale dedizione, quali che siano le sue decisioni. Ma poi comincia a riferirgli, come per metterlo in guardia nel suo stesso interesse, le obiezioni che sente circolare in privato tra la gente di Tebe. Le rappresenta in maniera convincente, troppo convincente, per cui Creonte comincia ad accusarlo di contestare in proprio il decreto da lui emanato. Il dialogo degenera in diverbio, soprattutto per l’intransigenza paterna. Creonte ribadisce la condanna a morte di Antigone. Emone se ne va sdegnato, promettendo che il padre non lo rivedrà mai più. Sollecitato dal Coro, Creonte specifica finalmente il genere di supplizio che sarà inflitto alla fanciulla: morirà chiusa viva in una delle grotte che si aprono nei dintorni di Tebe. Stasimo III (vv. 781-805) Inno ad Eros, dio dell’amore, che ha dimostrato ancora una volta la propria potenza invincibile, attraverso il comportamento di Emone. 224 Giovanni Cerri Episodio IV (vv. 806-943) Dal palazzo reale esce Antigone scortata dalle guardie che debbono accompagnarla al luogo dell’esecuzione capitale. La fanciulla intona un lungo compianto funebre su se stessa, votata a morte prematura e ingiusta, priva delle nozze cui aspirava, priva persino dell’accompagno funebre che spetta a tutti i defunti. A tratti, il lamento si trasforma in un paradossale epitalamio, in un inno sarcastico di festa per il suo matrimonio con il regno dei morti. A lei risponde il Coro, cercando di consolarla. Così l’episodio si inizia, e prosegue per la sua maggior parte, non come un normale dialogo parlato, ma nella forma insolita di un canto lirico a struttura strofica, immediatamente contiguo al precedente canto corale. Un brano lirico infra-episodico di questo tipo viene di solito denominato kommòs (κομμός), che vuol dire ‘lamentazione rituale’, e deriva dalla stessa radice del verbo κόπτειν ‘battere’, in questo caso ‘battersi il petto’, in segno di lutto disperato. Solo verso la fine, con l’intervento di Creonte, si torna al dialogo in trimetri giambici. Stasimo IV (vv. 944-87) Il Coro narra una serie di miti relativi ad eroine ed eroi puniti o uccisi crudelmente come Antigone in buie prigioni senza scampo. Episodio V (vv. 988-1114) Si reca ora da Creonte Tiresia, il celeberrimo e infallibile profeta di Tebe. Siccome è cieco, lo conduce per mano un ragazzo. Dal suo osservatorio mantico ha constatato che gli uccelli augurali schiamazzano in maniera dissonante, quasi imbarbarita, e si attaccano in volo fra loro, ferendosi a vicenda; le carni delle vittime offerte sull’altare reagiscono al fuoco dando segnali chiaramente funesti. È inoltre informato che in città gli altari di tutti gli dèi vengono insozzati da cani e uccelli con brandelli di carne strappata al cadavere di Polinice. Per placare l’ira divina, è necessario dunque tornare sulla decisione presa e seppellire il morto secondo il rito. Creonte Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 225 non si limita a rifiutare il consiglio con la solita superbia intollerante, ma accusa il sacerdote di parlare così, perché corrotto con denaro da chi vuole sovvertire l’ordine civico. Tiresia, sdegnato nel profondo, preannuncia a Creonte imminenti e gravi lutti familiari, quale punizione per aver lasciato insepolto un morto e seppellito viva una donna; evoca la potenza vendicatrice delle Erinni; quindi esce di scena. Creonte, di fronte alla solennità della predizione-maledizione, resta finalmente sconvolto. Di colpo è divenuto un altro da se stesso. Si rivolge tremebondo al Coro, chiedendogli consiglio. I vecchi senatori lo esortano a disfare quanto finora ha fatto: “Va’ a liberare la fanciulla dalla grotta sotterranea ed eleva il tumulo al corpo abbandonato.” (v. 1100ss.).3 Creonte, tardivamente convertito, dà ordine alle guardie di andare a far legna per il rogo funebre di Polinice e corre egli stesso a recuperare Antigone dalla caverna. Stasimo V (vv. 1115-54) Inno a Dioniso, nativo e signore di Tebe, che salvi la sua città dal gorgo della sventura. Episodio VI – Esodo (vv. 1155-352) Entra in scena una delle guardie che Creonte aveva portato con sé, quando era andato ad eseguire i consigli del Coro. Ha qui la funzione di riferire in forma narrativa, in qualità di testimone oculare, i fatti accaduti fuori scena, dei quali debbono essere informati sia i personaggi del dramma che ne sono ancora ignari sia il pubblico teatrale: perciò riceve in questo caso la qualifica di Ἄγγελος (‘Messaggero’, ‘Nunzio’) sulla base del suo ruolo drammatico e teatrale, non quella di Φύλαξ, ‘guardia’, sulla base del lavoro svolto dal personaggio a livello di trama. Subito dopo entra in scena per la prima volta anche Euridice, moglie di Creonte e madre 3 ἐλθὼν κόρην μὲν ἐκ κατώρυχος στέγης / ἄνες, κτίσον δὲ τῷ προκειμένῳ τάφον. 226 Giovanni Cerri di Emone, uscita dal palazzo proprio in quel momento, giusto in tempo per ascoltare il racconto del Messaggero. Creonte per prima cosa ha curato che il corpo di Polinice fosse bruciato sulla pira secondo il rito, ne ha fatto calare le ceneri in una tomba regolare, ha fatto erigere sopra la tomba il tumulo monumentale. Si è quindi recato a liberare Antigone dalla caverna, ma non è giunto in tempo utile, perché la fanciulla si era suicidata impiccandosi con una corda ottenuta attorcigliando le proprie vesti. Rimossa la roccia di chiusura, agli occhi dei liberatori tardivi si è profilata una visione straziante: i fianchi di Antigone morta e pendente dall’alto sono stretti in un ultimo abbraccio disperato da Emone, riuscito in qualche modo a penetrare nel sepolcro prima di Creonte e dei suoi uomini, ma neanche lui giunto in tempo per salvare la fidanzata. Emone, visto il padre, impugna la spada e tenta di ucciderlo; fallito il colpo, trafigge se stesso e muore. Finito il racconto del Messaggero, Euridice si ritira nel palazzo senza proferire nemmeno una parola; arriva invece Creonte in persona, sostenendo sulle proprie braccia il cadavere del figlio. La lamentazione di Creonte è in metro lirico e cantata. Da questo punto in poi il dramma procede fino alla fine in forma di kommòs: le strofi e le antistrofi intonate da lui si alternano a trimetri giambici isolati o in brevi sequenze, recitati dal Coro, da Creonte stesso e da un nuovo Messaggero. Quest’ultimo, ad un certo momento della sequenza, esce dal palazzo per riferire agli astanti ciò di cui è stato testimone all’interno: il suicidio cruento di Euridice. In ragione del suo ruolo, nell’elenco dei personaggi che la tradizione manoscritta premette all’inizio del dramma, è detto Ἐξάγγελος cioè ‘Messaggero dall’interno (ἐξ-ἄγγελος)’. Il mito prima di Sofocle Il filologo Asclepiade, quasi certamente Asclepiade di Mirlea, vissuto nel I sec. a.C., attestava che, secondo il racconto svolto dal poema epico arcaico e ciclico la Tebaide (forse databile già al sec. VIII a.C.), Adrasto, capo supremo dell’esercito argivo impegnato nell’assedio di Tebe, dopo la sua sconfitta definitiva, aveva tenuto un solenne discorso funebre in onore dei caduti, iniziandolo con Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 227 un alto elogio di Anfiarao, uno dei condottieri deceduti.4 Pindaro in due odi, la Nemea 9, vv. 22-7, databile al 474-73 a.C., e l’Olimpica 6, vv. 12-17, databile al 468, descriveva il rito funebre a partire dalla cremazione dei corpi sulle pire, nella fattispecie sette pire collettive, su ognuna delle quali erano stati deposti i caduti di uno dei sette diversi contingenti impegnati nell’assedio, per terminare appunto con il discorso di Adrasto e con il suo pezzo di apertura, relativo ad Anfiarao, definito “pupilla dell’esercito, valente nel profetare e nel combattere con la lancia”.5 Asclepiade sosteneva, e non abbiamo ragione di dubitarne, che Pindaro riprendeva, parafrasava (εἰληφέναι) il passo corrispondente della Tebaide.6 Certo, Pindaro avrà imitato allusivamente la Tebaide ciclica. Non si deve dimenticare però che era nativo e cittadino di Tebe e che, con tutta la sua produzione lirica, si qualificò poeta per eccellenza delle antichità tebane e loro strenuo difensore. Perciò, se trattò quello snodo mitico in accordo con la Tebaide, significa che la Tebaide su quello snodo non si discostava dal mito locale di Tebe. Anzi, è logico pensare che, in quanto poema epico panellenico, assumesse nella propria trama il mito tebano proprio per promuoverlo a mito panellenico. Ora, sia dal dato a noi noto sulla Tebaide sia dai due brani pindarici, emerge un atteggiamento di pietosa transigenza dei Tebani vincitori nei confronti degli assalitori sconfitti sul campo, almeno per quanto riguarda le onoranze funebri ai loro caduti: permisero che celebrassero il funerale davanti a Tebe nel più scrupoloso rispetto del rito. Non solo non c’è traccia nei testi da noi esaminati di divieti di sepoltura ai danni di chicchessia, ma la serenità grandiosa, con la quale Adrasto dà inizio alla glorificazione dei compagni morti, sembra escludere che nella trama della Tebaide e nella traccia mitica orale seguita da Pindaro fossero in4 Apud schol. Pind. Ol. 6.16 (Vol. III, p. 160, 5-6 Drachmann) = Asclepiad. Myrl., FHG III, 299 Müller = Thebais, fr. 5 Kinkel = 5 Allen = 10 Bernabé. 5 στρατιᾶς ὀφθαλμὸν ἐμᾶς / ἀμφότερον μάντιν τ’ ἀγαθὸν καὶ / δουρὶ μάρνασθαι (Pind. Ol. 6.18-20). 6 La notizia su Asclepiade fornita dallo scolio citato alla nota precedente suona così: ποθέω: ὁ Ἀσκληπιάδης φησὶ ταῦτα εἰληφέναι ἐκ τῆς κυκλικῆς Θηβαΐδος (“Rimpiango: Asclepiade afferma che queste cose sono riprese dalla Tebaide ciclica”). 228 Giovanni Cerri tervenuti elementi di così grave turbativa come sarebbe stata un’esposizione forzata del cadavere di Polinice alla non sepoltura, alla putrefazione e allo scempio da parte degli animali predatori. L’ipotesi è convertibile in tesi grazie a quanto riferisce l’antiquario e archeologo Pausania (II sec. d.C.) nella Guida della Grecia (9.18.1-4). Sulla strada che conduceva da Tebe a Calcide, uscendo dalla Porta Pretide, si incontravano a non grande distanza dalla città le tombe eroiche di alcuni caduti del mito. Ognuna di esse era oggetto di riti periodici e di antiche leggende locali. Pausania precisa di essere stato informato su tutto ciò da sacerdoti-esegeti “specializzati nel ricordare le memorie avite” (Θηβαίων δὲ οἱ τὰ ἀρχαῖα μνημονεύοντες). Aveva così potuto vedere con i propri occhi la tomba del tebano Melanippo e quella di Tideo, campione dell’esercito argivo. A questo punto interviene la notizia per noi sorprendente e dirimente: qualche chilometro più in là sorgeva anche la tomba di Eteocle e Polinice, sepolti insieme nonostante il loro fratricidio reciproco e celebrati ogni anno con “riti” (δρώμενα) che includevano anche un sacrificio animale. Non appena i sacerdoti avevano dato fuoco alle carni dedicate insieme ad entrambi, la fiamma si biforcava, si divaricava come per miracolo in due fiamme tendenti in direzioni opposte, evidentemente per effetto di una inimicizia perdurante oltre la morte, nei secoli dei secoli.7 Prima di Pausania, già Callimaco, nel III sec. a.C., aveva descritto il rito tebano, con il suo immancabile miracolo, in un brano degli Aetia oggi perduto, ma il cui contenuto è ricostruibile attraverso un’allusione di Ovidio, Tristia 5, 5, 31-40.8 Dunque, almeno sulla base dei dati esaminati sin qui, nessuna traccia di cadaveri lasciati volontariamente insepolti nel mito tebano più antico. L’accusa rivolta ai Tebani di aver commesso tale crudeltà emerge invece nel mito ateniese, più in particolare nel mito eleusino, con molta probabilità più recente, data la posteriorità delle antichità ateniesi e attiche, rispetto a quelle della città vicina, 7 Non c’è ragione di dubitare della storicità effettiva dell’elemento miracoloso: si verificava certamente grazie a uno di quei trucchi sacerdotali che sono ben noti nei rituali religiosi delle civiltà più diverse. 8 Callim. fr. 105 Pfeiffer = 208 Massimilla. L’intrico delle fonti posteriori a Callimaco trova un’esposizione molto chiara in Massimilla 2010: 455-7. Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 229 che aveva raggiunto piena fioritura già in età micenea. Secondo Erodoto (9.27) Ateniesi e Tegeati, prima della battaglia di Platea contro i Persiani (479 a.C.), si disputarono di fronte ai Lacedemoni, scelti come arbitri, l’onore di combattere all’ala sinistra dell’armata federale. Prevalsero gli Ateniesi, i quali, fra gli altri titoli mitici di gloria, citarono anche il loro intervento armato per ottenere dai Tebani la consegna dei corpi insepolti dei guerrieri caduti nell’assedio di Tebe ai tempi di Eteocle e Polinice. I corpi furono in effetti riconsegnati e seppelliti ad Eleusi. Il dato mitico e monumentale è confermato da Plutarco nella Vita di Teseo (29.4-5): συνέπραξε δὲ καὶ Ἀδράστῳ τὴν ἀναίρεσιν τῶν ὑπὸ τῇ Καδμείᾳ πεσόντων, οὐχ ὡς Εὐριπίδης ἐποίησεν ἐν τραγῳδίᾳ, μάχῃ τῶν Θηβαίων κρατήσας, ἀλλὰ πείσας καὶ σπεισάμενος· οὕτω γὰρ οἱ πλεῖστοι λέγουσι· . . . ταφαὶ δὲ τῶν μὲν πολλῶν ἐν Ἐλευθεραῖς δείκνυνται, τῶν δὲ ἡγεμόνων περὶ Ἐλευσῖνα, καὶ τοῦτο Θησέως Ἀδράστῳ χαρισαμένου. καταμαρτυροῦσι δὲ τῶν Εὐριπίδου Ἱκετίδων οἱ Αἰσχύλου Ἐλευσίνιοι, ἐν οἷς καὶ ταῦτα λέγων ὁ Θησεὺς πεποίηται. [(Teseo) collaborò anche con Adrasto per la riconquista dei corpi dei caduti sotto la Cadmea, non vincendo i Tebani in battaglia, come dice Euripide nella tragedia, ma convincendoli e stipulando un patto: così dicono i più. . . . Le tombe della maggior parte dei caduti si mostrano ad Eleutere,9 ma quelle dei comandanti vicino ad Eleusi, avendo Teseo concesso anche questo ad Adrasto. Gli Eleusinii di Eschilo testimoniano contro le Supplici di Euripide: negli Eleusinii Teseo dice anche queste cose.]10 Ad Eleusi, demo attico non lontano da Atene e sede del santuario celeberrimo e veneratissimo di Demetra e Core, si mostravano le tombe nelle quali si dichiarava fossero sepolti i corpi dei comandanti caduti durante l’assedio a Tebe, provocato dall’inimicizia fra Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Doveva trattarsi di monumen9 Città sotto il versante meridionale del monte Citerone, appartenuta alla Beozia fin verso la fine del VI sec. a.C., passata poi sotto la giurisdizione attica. 10 Cf. Aesch. Eleusinii, pp. 18ss. Nauck. 230 Giovanni Cerri ti abbastanza vetusti da sopportare una leggenda riferita a fatti dell’età eroica. A sua volta la leggenda eleusinia doveva essere già piuttosto antica e ben radicata all’inizio del V secolo a.C., se nel 479 i rappresentanti degli Ateniesi potevano allegarla come titolo di onore e di superiorità in una disputa con Tegea di fronte all’esercito confederale, che si accingeva a combattere contro i Persiani a Platea. Secondo questa leggenda gli Ateniesi ai tempi di Teseo avevano dato una sonora lezione di civiltà ai Tebani, che avevano empiamente impedito ai nemici sconfitti di seppellire i loro caduti. Il confronto tra mito tebano, configurato dai soli elementi offerti fino a questo punto del nostro discorso, e mito eleusinio, narrato secondo Erodoto dagli Ateniesi a Platea nel 479 e sceneggiato sia da Eschilo negli Eleusinii sia, molti decenni dopo, da Euripide nelle Supplici, potrebbe indurre e ha in effetti indotto varî critici moderni a credere che il mitema della negazione della sepoltura a Polinice per alto tradimento sia un’invenzione propagandistica attica di VI secolo.11 Benché, per l’esattezza, la leggenda attica in oggetto non parli del caso di Polinice considerato nella sua specificità, ma di una crudeltà tebana esercitata nei confronti dei caduti nemici in generale. Ma la realtà storica è un’altra! Il divieto di sepoltura per Polinice in quanto traditore e la ribellione di Antigone, sua sorella, facevano parte integrante del mito tebano, anche se l’esito della vicenda doveva essere stato favorevole a quest’ultima, non letale come è nella tragedia di Sofocle. Ne siamo informati da un’altra testimonianza di Pausania, che è di capitale importanza. La critica moderna l’ha trascurata, per un pregiudizio “libresco” largamente diffuso: le fonti di poeti e scrittori sarebbero sempre poeti e scrittori; ognuno di loro, a meno che non citi espressamente un autore determinato, riflette uno qualsiasi dei poeti e scrittori a lui precedenti; ciò che dice un autore del II secolo d.C. (ad es., Pausania) può derivare dalle fonti classiche o da fonti ellenistiche più o meno tarde, perciò non serve alla ricostruzione dei miti nella loro forma originaria. Ma Pausania non era né un poeta né un narratore di fantasia; era uno studioso di antichità che descriveva monumen11 Basti per tutti l’esempio di Jebb 1900: IX: “The refusal of burial was evidently an Attic addition to the story”. Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 231 ti, santuari, templi, riti e miti pertinenti; sue fonti erano i sacerdoti addetti a tali riti e alla trasmissione fedele di tali miti; non si ispiravano alle tragedie attiche del V secolo a.C. né a Callimaco né ad Euforione, ma eseguivano i riti come si erano sempre eseguiti e narravano i miti locali come si erano sempre narrati. Dunque ascoltiamolo:12 τοῦ δὲ Μενοικέως οὐ πόρρω τάφου τοὺς παῖδας λέγουσιν Οἰδίποδος μονομαχήσαντας ἀποθανεῖν ὑπὸ ἀλλήλων· σημεῖον δὲ τῆς μάχης αὐτῶν κίων, καὶ ἀσπὶς ἔπεστιν ἐπ᾽ αὐτῷ λίθου. . . . καλεῖται δὲ ὁ σύμπας οὗτος <τόπος> Σῦρμα Ἀντιγόνης: ὡς γὰρ τὸν τοῦ Πολυνείκους ἄρασθαί οἱ προθυμουμένῃ νεκρὸν οὐδεμία ἐφαίνετο ῥᾳστώνη, δεύτερα ἐπενόησεν ἕλκειν αὐτόν, ἐς ὃ εἵλκυσέ τε καὶ ἐπέβαλεν ἐπὶ τοῦ Ἐτεοκλέους ἐξημμένην τὴν πυράν. [Non molto oltre la tomba di Meneceo, (i Tebani) dicono che il figli di Edipo (Eteocle e Polinice) si affrontarono in duello e morirono uno per mano dell’altro: a ricordo del loro combattimento c’è una colonna, e sulla colonna uno scudo in pietra. . . . Tutta questa località è chiamata Trascinamento di Antigone: siccome infatti, per quanto si sforzasse, non trovava il modo di tenere agevolmente sollevato da terra il cadavere di Polinice, decise in un secondo momento di trascinarlo, finché, continuando a trascinarlo, non lo ebbe gettato sulla pira di Eteocle già accesa.] Se ne ricavano, riguardo al mito tebano, i seguenti elementi: lo scontro fratricida si immaginava avvenuto in un posto determinato fuori della cinta muraria ed era monumentalizzato; lì stesso o negli immediati paraggi si immaginava che fosse stata accesa la pira su cui bruciare il corpo di Eteocle; il corpo del fratello era sta12 Come gli ha dato ascolto Lesky 1972: 194: “Trotzdem scheint das Bestehen einer derartigen Lokalsage wahrscheinlicher als freie Erfindung des Dichters. Dafür spricht die thebanische Überlieferung über Ἀντιγόνης σῦρμα (Paus. 9.25.2), jene Stelle, an der man Schleifspuren vom Körper des Polynikes zu erkennen meinte, den Antigone zum Schiterhaufen des Eteokles schleppte” (“Sembra in ogni caso più probabile supporre l’esistenza di una leggenda locale di questo genere, piuttosto che una pura invenzione da parte di Sofocle. Tale ipotesi è sorretta dalla tradizione tebana dell’Ἀντιγόνης σῦρμα (Paus. 9.25.2), il luogo in cui si pensava di riconoscere tracce del corpo di Polinice, trascinato da Antigone al rogo di Eteocle”). 232 Giovanni Cerri to invece lasciato lì dove era stramazzato al suolo, in base alla decisione di non seppellirlo. Antigone si ribellò a questa decisione; strascinò il cadavere di Polinice fino alla pira sulla quale ardeva già il corpo di Eteocle, perché fosse tributato anche a lui l’onore funebre. Evidentemente la città accettò il fatto compiuto, non osando intervenire con violenza empia sulla cremazione di Eteocle, già in atto e perciò sacra; il gesto di Antigone fu accettato come irreversibile, in quanto ritualmente efficace;13 il percorso da lei compiuto trascinando il corpo del fratello ricevette un toponimo commemorativo e celebrativo; la fanciulla non subì conseguenze punitive, in quanto aveva, sì, infranto la legge, ma l’infrazione si era configurata come sacra, voluta dagli dèi, ed era stata dunque legittimata a posteriori. Eschilo presentò per la prima volta al concorso teatrale la tetralogia Laio, Edipo, Sette a Tebe, Sfinge (dramma satiresco) nel 467 a.C.: lo attesta la didascalia recepita nella hypothesis. È stata conservata solo la terza tragedia, ambientata nella Tebe assediata dall’esercito argivo, nel momento dello scontro risolutivo: terrore delle fanciulle tebane, costituenti il Coro, rimproveri di Eteocle, impegnato ad organizzare il contrattacco e a tenere alto il morale dei combattenti, vittoria finale dei Tebani, morte sia di Eteocle sia di Polinice nel duello fratricida. Lo scempio consanguineo offusca la gloria di Eteocle stesso, benché eroe salvatore della sua patria. La tragedia si conclude con un lungo brano dedicato al problema della sepoltura dei due fratelli (vv. 861-1078). Tutta questa sezione è di dubbia autenticità: la maggior parte dei critici la considera apocrifa, dandone poi varie datazioni, dagli anni successivi alla morte di Eschilo (456 a.C.) fino allo spirare del V secolo. Prescindiamo dall’autenticità o meno e da qualsiasi congettura cronologica, questioni che in questa sede non sarebbero pertinenti. Limitiamoci a riferirne succintamente il contenuto. Mentre il Coro sta intonando il compianto funebre per i due fratelli e per la rovina dell’intera famiglia di Edipo, arriva sul luogo 13 Come abbiamo già visto in Paus. 9.18.1-4, i Tebani onoravano sia Eteocle sia Polinice con sacrifici eroici eseguiti ogni anno sulla loro tomba comune. Le due notizie di Pausania si integrano perfettamente fra loro in una ricostruzione coerente della mitologia tebana. Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 233 un araldo (κῆρυξ) che riferisce e proclama un decreto (vv. 1005-25) appena promulgato da chi ha assunto funzione di governo, dopo la morte prematura di Eteocle, l’ultimo re in carica:14 onori funebri solenni e tomba monumentale per Eteocle, divieto di sepoltura per Polinice. Nella scena si possono distinguere tre momenti (vv. 100525; 1026-53; 1054-78). Il primo contiene l’illustrazione del decreto, che sembra cumulare l’espulsione del cadavere di Polinice dal territorio cittadino e l’esclusione assoluta di qualsiasi rito funebre, sia pure in zona estranea, con l’abbandono del corpo alla voracità degli animali selvatici; il divieto è naturalmente motivato con l’accusa di tradimento. Segue un confronto dialogico fra Antigone e l’araldo: la fanciulla si dichiara decisa a seppellire il fratello, in nome del vincolo di parentela; l’araldo le obietta che un simile comportamento sarebbe violenza nei confronti della città. Un terzo momento è costituito dal brano corale anapestico di chiusura: all’inizio il Coro esprime un’angosciosa incertezza tra pietà religiosa e paura della punizione in caso di disobbedienza; poi le coreute si dividono in due semicori: metà delle fanciulle manifestano l’intenzione di partecipare con Antigone alla sepoltura di Polinice, costi quel che costi, mentre l’altra metà dichiara di voler aderire alla cerimonia in onore di Eteocle, giusta da tutti i punti di vista. Si noti che questo epilogo dei Sette a Tebe, da chiunque e in qualsiasi epoca particolare sia stato composto, coincide in ogni suo snodo saliente con il mito locale di Tebe, quale abbiamo ricostruito attraverso i dati periegetici offerti da Pausania, ivi compresi il recupero finale del corpo insepolto e l’immunità di Antigone: i due cortei funebri che si sono formati non possono preludere, non possono certo implicare un seguito disastroso, con l’esecuzione capitale di Antigone e, in massa, di tutte le sue accompagnatrici. Ecco, proprio su questo punto la tragedia di Sofocle si discosta dal mito tebano: Antigone viene condannata a morte e muore. La variante era necessaria in funzione del progetto drammaturgico. Il vecchio mito di Tebe conteneva già in sé l’idea tradizionale dello scontro ancestrale tra solidarietà genetica e solidarietà cit14 La formula del v. 1006 dei Sette a Tebe è volutamente generica: δήμου προβούλοις τῆσδε Καδμείας πόλεως (“i consiglieri del popolo di questa città cadmea”). 234 Giovanni Cerri tadina. Sofocle voleva precisare l’antinomia nel senso del dibattito vivo nell’Atene del suo tempo tra “legge non scritta” e legiferazione ordinaria; aveva bisogno di due personaggi irriducibili: Creonte deciso ad affermare la sovranità illimitata della legiferazione ordinaria in quanto sovranità della città nel suo insieme; Antigone, costretta dalla legge illegale ad un’illegalità non più sanabile. La prevaricazione di Creonte doveva produrre un effetto di tragicità totale, catastrofica. Non c’era dunque spazio per una sanatoria salvifica. Probabilmente l’esito mortale per Antigone fu sua invenzione personale. Data la scarsezza della documentazione in nostro possesso, non siamo però in grado di escludere che la variante mitica esistesse già in qualche area del mondo greco o in qualche testo poetico oggi perduto. Ismene Una riflessione a sé merita la figura di Ismene. Secondo la hypothesis II dell’Antigone, attribuita a Sallustio, retore e grammatico vissuto tra IV e V sec. d.C., il poeta arcaico Mimnermo di Colofone (VII sec. a.C.) narrava che la fanciulla “mentre si intratteneva con Teoclimeno, morì uccisa da Tideo, per ordine di Atena”.15 Il mitema è confermato e circostanziato dallo storico genealogista Ferecide di Atene (prima metà del V sec. a.C.), secondo cui Ismene, figlia di Edipo, sorella di Antigone, Eteocle e Polinice, “fu uccisa da Tideo presso una fonte, ed è da lei che la fonte prende il nome di Ismene”.16 La precisazione è essenziale: si trattava di una leggenda locale narrata in connessione con una fonte sacra di Tebe, e il contenuto di tale leggenda appare facilmente ricostruibile, integrando i dati offerti dai due frammenti di Mimnermo e di Ferecide con quanto sappiamo da altre fonti sulla topografia reale della città. 15 Mimn. fr. 21 West = 19 Gentili-Prato: Μίμνερμος δέ φησι τὴν μὲν Ἰσμήνην προσομιλοῦσαν Θεοκλυμένῳ ὑπό Τυδέως κατὰ Ἀθηνᾶς ἐγκέλευσιν τελευτήσαι. 16 Schol. (MTAB) Eur. Pho. 53 (I, p. 257, 14 Schwartz) = FGrHist 3 F 95 Jacoby = fr. 107 Dolcetti: Ἰσμήνη, ἣν ἀναιρεῖ Τυδεύς ἐπὶ κρήνης, καί ἀπ’ αὐτῆς ἡ κρήνη Ἰσμήνη καλεῖται. Lo scolio sembra riferire testualmente le parole di Ferecide. Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice 235 L’esercito argivo al comando di Adrasto e al servizio di Polinice è giunto nei pressi di Tebe e si è accampato. Tideo, uno dei condottieri, vuole prima di tutto onorare e pregare la dèa sua protettrice: si reca perciò al celebre santuario extraurbano di Atena Onca, situato fuori della Porta Onca.17 Ma qui, al riparo da occhi indiscreti, si sono appartati a fare l’amore due giovani tebani, Ismene e Teoclimeno. Tideo li sorprende in pieno rapporto sessuale. Compare la dea Atena che, sdegnata del sacrilegio, ingiunge a Tideo di ucciderli. È così che Ismene trova la morte. Si potrebbe pensare che questa ricostruzione sia troppo fantasiosa, rispetto alle poche allusioni contenute nei frammenti di Mimnermo e Ferecide. Invece l’intera scena si trova ‘fotografata’ in due figurazioni vascolari, datate dagli archeologi al secondo quarto del VI sec. a.C., cioè coeve o di poco posteriori allo stesso Mimnermo. Vi si vede Ismene seminuda, afferrata da Tideo, che la trafigge con la spada; il giovane maschio che fugge nudo e a gambe levate; la dèa Atena che impugna l’inseparabile lancia.18 Non ci sono margini di dubbio: i personaggi sono identificati con i loro nomi, iscritti accanto alle immagini rispettive. Il nome del fuggitivo, dato solo da uno dei due frammenti vascolari, è però Periclimeno, non Teoclimeno come in Mimnermo.19 Secondo la leggenda legata al santuario tebano di Atena Onca e alla sua fonte sacra, Ismene era dunque morta prima dello scontro finale fra Tebani e Argivi, quando entrambi i fratelli erano ancora vivi. Nella documentazione in nostro possesso, il suo ruolo di confidente e interlocutrice di Antigone a proposito della sepoltura di Polinice emerge solo nella tragedia attica del V secolo, se- 17 Su esistenza ed ubicazione di questo santuario, cf. Aesch. Sept. 164ss.; 486ss.; 501ss. 18 Anfora corinzia proveniente da Cerveteri, conservata a Parigi, Louvre, E 640; Skyphos attico a figure nere, conservato ad Atene, Museo dell’Acropoli, nr. 603. Ottima descrizione dei due reperti in Krauskopf 1990. 19 Data l’autorevolezza dell’iscrizione arcaica, qualche studioso ha pensato che la forma “Teoclimeno”, contenuta nella notizia su Mimnermo, sia dovuta ad errore intervenuto nella tradizione manoscritta prima o dopo Sallustio, nel cui testo la troviamo. È però verosimile che l’alternanza tra i due nomi fosse variante mitica già nel VII-VI sec. a.C. 236 Giovanni Cerri gnatamente nell’Antigone di Sofocle (442 a.C.).20 La variante è in palese contraddizione con la leggenda tebana della Fonte Ismene. Se risalisse ad una variante già esistente o fosse frutto di innovazione sofoclea, non è possibile dire con certezza. Riferimenti bibliografici Jebb, Richard Claverhouse (ed.) (1900), Sophocles, The Plays and Fragments, With Critical Notes, Commentary, and Translation in English Prose, Part III: The Antigone, Cambridge: Cambridge University Press. (Facsimile Reprint, General Editor P.E. Easterling, Introduction by R. Blondell, Bristol: Bristol Classical Press, 2004). Krauskopf, Ingrid (1990), “Ismene”, in: Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae (LIMC), Düsseldorf: Artemis-Verlag, vol. 5, 1, 796-9: 2, 526-7. Lesky, Albin (1972), Die tragische Dichtung der Hellenen, 3. Auflage (1956), Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht. Massimilla, Giulio (ed.) (2010), Callimaco, AITIA, Libro terzo e quarto, Introduzione, testo critico, traduzione e commento, Pisa-Roma: Fabrizio Serra editore. 20 Nel finale dei Sette a Tebe la figura di Ismene è evanescente: nominata nel testo poetico insieme ad Antigone solo al v. 862, ricompare come sua interlocutrice nel successivo dialogo lirico, ma l’attribuzione nominativa delle battute, trasmessa dai codici, potrebbe essere stata frutto di regia posteriore, perché nulla nel testo porta ad escludere che si tratti in realtà di dialogo lirico tra i due semicori.