Συναγωνίζεσθαι
Studies in Honour of Guido Avezzù
Edited by Silvia Bigliazzi, Francesco Lupi,
Gherardo Ugolini
Σ
Skenè Studies I • 1
S K E N È Theatre and Drama Studies
Executive Editor
General Editors
Editorial Board
Managing Editors
Editorial Staff
Layout Editor
Advisory Board
Guido Avezzù.
Guido Avezzù, Silvia Bigliazzi.
Simona Brunetti, Francesco Lupi, Nicola Pasqualicchio, Susan Payne,
Gherardo Ugolini.
Serena Marchesi, Savina Stevanato.
Francesco Dall’Olio, Marco Duranti, Carina Fernandes,
Antonietta Provenza, Emanuel Stelzer.
Alex Zanutto.
Anna Maria Belardinelli, Anton Bierl, Enoch Brater,
Jean-Christophe Cavallin, Rosy Colombo, Claudia Corti,
Marco De Marinis, Tobias Döring, Pavel Drabek, Paul Edmondson,
Keir Douglas Elam, Ewan Fernie, Patrick Finglass, Enrico Giaccherini,
Mark Griffith, Daniela Guardamagna, Stephen Halliwell, Robert
Henke, Pierre Judet de la Combe, Eric Nicholson, Guido Paduano,
Franco Perrelli, Didier Plassard, Donna Shalev, Susanne Wofford.
Copyright © 2018 S K E N È
All rights reserved.
ISSN 2464-9295
ISBN 978-88-6464-503-2
Published in December 2018
No part of this book may be reproduced in any form
or by any means without permission from the publisher
Dir. Resp. (aut. Trib. di Verona): Guido Avezzù
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S K E N È Theatre and Drama Studies
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Contents
Silvia Bigliazzi - Francesco Lupi - Gherardo Ugolini
Πρόλογος / Prologue
9
Part 1 – Τραγῳδία / Tragedy
1. Stephen Halliwell
“We were there too”: Philosophers in the Theatre
15
2. Maria Grazia Bonanno
Tutto il mondo (greco) è teatro. Appunti
sulla messa-in-scena greca non solo drammatica
41
3. Vittorio Citti
Una nota inutile ad Aesch. Suppl. 950
69
4. Angela M. Andrisano
Le performances della Pizia (Aesch. Eum. 29-33)
81
5. Pierre Judet de La Combe
Una dialettica regale. Gli argomenti della regina
sulla ricchezza in Aesch. Pers. 159-69.
91
6. Liana Lomiento
Osservazioni critico-testuali e metriche su
Aesch. Eum. 352-3 = 365-6
107
7. Enrico Medda
Alcune congetture inedite di A.E. Housman
all’Agamennone di Eschilo
133
8. Franco Montanari
Mito e poesia: la figura di Clitennestra dall’Odissea a Eschilo
147
9. Antonietta Provenza
Un destino paradigmatico.
L’ibrido e la necessità del γάμος nel mito di Io
167
10. Alessandro Grilli
Forme e funzioni della parola magico-sacrale
nei Sette contro Tebe
195
11. Giovanni Cerri
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice:
protostoria di un mito
219
12. Renzo Tosi
Creonte e il potere che rivela l’uomo (Soph. Ant. 175-7)
237
13. Roberto Nicolai
Perché Edipo è chiamato τύραννος?
Riflessioni sull’Edipo re come tragedia del potere
251
14. Seth L. Schein
The Second Kommos in Sophocles’ Philoctetes (1081-1217)
277
15. Camillo Neri
Marginalia Colonea
299
16. Francesco Lupi
Minima Sophoclea. Frr. 150, 722, 338 R.2
323
17. Paola Angeli Bernardini
Ecuba, le prigioniere troiane e la presenza del mare
nelle Troiane di Euripide
341
18. Adele Teresa Cozzoli
Azione drammatica e metateatro nell’Oreste di Euripide
359
19. Jordi Redondo
Alcestis: Pro-Satyric or Simply Romantic Tragedy?
385
20. Marco Zanolla
Tracce di polemica contro il ploutos
nell’Alcmena di Euripide: frr. 95, 96 e 92 Kn.
403
21. Edward M. Harris
Pollution and Purification in Athenian Law
and in Attic Tragedy: Parallels or Divergences?
419
Part 2 – Κωμῳδία / Comedy
22. Andreas Bagordo
κομψευριπικῶς. Tracce di Euripide socratico-sofistico
nella commedia attica
457
23. Marco Duranti
Due questioni interpretative nelle Ecclesiazuse
di Aristofane (vv. 1089-91, 1105-11)
491
24. Giuseppe Mastromarco
Aristofane, Le donne che occupano le tende, fr. 488 K.-A.
503
25. Olimpia Imperio
I demagoghi nelle commedie di Aristofane e dei suoi rivali
515
26. Andreas Markantonatos
The Heracles Myth in Aristophanes’ Acharnians:
The Boeotian and Dicaeopolis Scene (ll. 860-958)
545
27. Piero Totaro
Antiche e nuove esegesi di Aristofane, Pluto 168
563
28. Fausto Montana
Lamia nella Collana di Menandro (fr. 297 K.-A.)
585
29. Guido Paduano
Un tema della Nea: la verità come perfetto inganno
599
30. Massimo Di Marco
Una probabile eco della parodia comica del Ciclope
di Filosseno in Ermesianatte (fr. 7.73-4 Powell)
615
Part 3 – Παράδοσις / Reception
31. Maria Pia Pattoni
Tragic and Paratragic Elements in Longus’ Daphnis and Chloe
633
32. Paola Volpe
Il Ciclope: un mostro tra antico e moderno
653
33. Eric Nicholson
Finding Room for Satyrs at the Theatrical Table,
from Ancient to Modern Times
675
34. Francesco Dall’Olio
Oedipus Tyrant? Tyranny and Good Kingship
in Alexander Neville’s Translation of Seneca’s Oedipus
693
35. Silvia Bigliazzi
Euripidean Ambiguities in Titus Andronicus:
the Case of Hecuba
719
36. Vayos Liapis
On the Sources of Petros Katsaïtis’ Iphigenia (1720): Between
Lodovico Dolce, Molière, and the Commedia dell’Arte
747
37. Gherardo Ugolini
Il Genio della tragedia. Antigone nel Vorspiel di Hofmannsthal
783
38. Douglas Cairns
Fascism on Stage? Jean Anouilh’s Antigone (1944)
805
39. Avra Sidiropoulou
Negotiating Oblivion: Twenty-First Century Greek
Performances of Ancient Greek Plays
833
40. Martina Treu
‛Guidaci a passo di danza’. Cori comici sulla scena
857
41. Adele Scafuro and Hiroshi Notsu
Miyagi’s Antigones
881
Part 4 – Ἔξω τοῦ θεάτρου / Theatre and Beyond
42. Anton Bierl
Symmachos esso: Theatrical Role-Playing and
Mimesis in Sappho fr. 1 V.
925
43. Walter Lapini
La casa dei belli (Asclepiade AP 5.153)
953
44. Mauro Tulli
Plato’s κάλλιστον δρᾶμα in Greek Biography
963
45. Simona Brunetti
Il coraggio di tradire per poter tramandare: un allestimento
contemporaneo del Gysbreght van Aemstel
di Joost van den Vondel
975
46. Nicola Pasqualicchio
Piano d’evasione: carcere e utopia negli Shakespeare
della Compagnia della Fortezza
1003
47. Sotera Fornaro
Il giovane rapsodo nella Stanza della Segnatura di Raffaello
1025
The Authors
1043
Appendix
Guido Avezzù’s Publications (1973-2018)
1079
11
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice:
protostoria di un mito
Giovanni Cerri
Abstract
The essay offers a full reconstruction of the ancient Antigone myth
at Thebes compared to Sophocles’ dramatic adaptation. In the Cyclic
Thebaid and in Pindar’s odes an attitude of pious benevolence by the victorious Thebans towards the defeated Argives emerges with regards
to the latter’s funeral honours for their dead. However, the mytheme
of Polyneikes’ denied burial for high treason is not an invention of sixth-century Athenian propaganda. Actually, on account of Pausanias’ testimony, it can be argued that the myth of Polyneikes’ burial ban and
Antigone’s ensuing rebellion were an integral part of the Theban myth,
even though the outcome of the incident must not have been as lethal as
it is in Sophocles’ Antigone. In that play, the narrative variant is introduced to serve the dramaturgical project: its function was to point out the
antinomy between ‘unwritten law’ and ordinary legislation, which was
alive and well in the Athens of Sophocles’ time.
La trama dell’Antigone di Sofocle
Sarà bene prendere le mosse da un sunto analitico della tragedia
sofoclea, data alla scena nei primi mesi del 442 o del 441 a.C., che è
il più antico testo conservato, nel quale la vicenda risulti narrata in
modo particolareggiato e completo.
Prologo (vv. 1-99)
Dal dialogo tra Antigone e Ismene, figlie del grande ma sventurato
Edipo, risulta che la loro città, Tebe, è da poco scampata all’assedio
argivo; la scena si svolge davanti al palazzo reale; l’ora del giorno
corrisponde alle prime luci dell’alba; Creonte, detentore del potere
dopo la morte dei loro due fratelli, l’uno fratricida dell’altro, ha de-
220
Giovanni Cerri
cretato che Eteocle sia oggetto dei massimi onori civici, perché ha
garantito la salvezza della città assalita dall’esercito ostile di Argo,
che invece il corpo di Polinice, complice del nemico esterno e perciò traditore della patria, non riceva le esequie rituali e sia abbandonato al disfacimento fuori le mura, che infine sia condannato a
morte chiunque osasse contravvenire a questo divieto; Antigone
è decisa a disobbedire e ad affrontare la pena capitale; Ismene, pur
serbando intatto il suo affetto per la sorella, non si sente di fare
causa comune con lei, sia per debolezza femminile, sia perché non
ritiene giusto contravvenire all’ordine di chi governa, anche se
l’ordine è a sua volta ingiusto.
Parodo (vv. 100-61)
Il Coro, che nell’Antigone impersona i γέροντες, gli ‘anziani-senatori’ di Tebe, intona un inno di ringraziamento agli dèi, che hanno
salvato la città dall’invasione straniera, dalla strage, dal saccheggio, dall’asservimento. Dal punto di vista del genere poetico, è un
inno insieme religioso e trionfale.
Episodio I (vv. 162-331)
Creonte, uscito dal portone del palazzo reale ed entrato in scena,
dà finalmente veste ufficiale al suo bando (κήρυγμα), enunciandolo
in tono solenne davanti agli anziani del Coro, da lui convocati davanti al palazzo di prima mattina, per una riunione riservata, lontana da sguardi e orecchie indiscrete.
Giunge all’improvviso una delle guardie (φύλακες) che erano state appostate dal sovrano in vedetta, per bloccare e arrestare in tempo chiunque avesse tentato di seppellire il cadavere di
Polinice contro il dettato del bando. L’uomo è terrorizzato, perché
porta la notizia che qualcuno è riuscito effettivamente a compiere il rito funebre, cospargendo il corpo di terriccio, e teme, come
del resto ognuno dei suoi compagni, di essere incolpato di aver lui
compiuto il reato, dietro compenso di qualche mandante. Creonte
in effetti si dichiara convinto che così siano andate le cose e sanci-
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
221
sce: o il gruppo di guardia sarà in grado di individuare il colpevole e trascinarlo prigioniero a pagare il fio o sarà ritenuto corrotto e
colpevole l’intero corpo di guardia e ogni suo membro verrà torturato a morte, perché confessi prima di essere ucciso. Adirato, rientra nel palazzo; la guardia corre via ad avvisare i compagni.
Stasimo I (vv. 332-83)
È un elogio appassionato della tecnica (τέχνη), per mezzo della quale l’uomo è riuscito a superare il suo stato originario di impotenza ferina e ad attingere la civiltà. Elogio della tecnica in generale e in particolare delle tecniche più importanti ai fini
del progresso: navigazione, agricoltura, caccia, pesca, allevamento del bestiame, linguaggio, edilizia, politica e diritto, medicina. Di
fronte a queste riflessioni del Coro, la critica moderna ha incontrato serie difficoltà: a prima vista non si riesce a comprendere né il
loro rapporto né la loro funzione, rispetto al contesto drammatico
in cui sono inserite. La chiave per risolvere il problema è in realtà
offerta dal Coro stesso nella parte finale del suo canto che, riferendosi chiaramente alla tecnica specifica della politica e del diritto,
contrappone un’inventività encomiabile, che sa conciliare le leggi
positive con i principi eterni della giustizia divina, ad un’inventività biasimevole, che privilegia le prime ai danni dei secondi o viceversa, offendendo in un caso e nell’altro l’ordine civico (vv. 365-71):
“Avendo nell’abilità dell’arte / una sapienza che supera ogni attesa, / talvolta l’uomo si volge al male, talaltra al bene. / Se concilia
le leggi del suo paese/con la giustizia giurata degli dèi, / è cittadino
al sommo, senza città è colui al quale / per arroganza piace ciò che
non è bello”.1 Appare più che evidente la riprovazione implicita sia
di Creonte, che ha legiferato forzando i limiti imposti dagli dèi, sia
del personaggio non ancora identificato che, in nome di quei limiti, si è sentito senz’altro in diritto di ritenere nullo il decreto emanato dall’autorità costituita, e di infrangerlo con azione individua1 τέχνας ὑπὲρ ἐλπίδ’ ἔχων, / τοτὲ μὲν κακόν, ἄλλοτ’ ἐπ’ ἐσθλὸν ἕρπει, /
νόμους παρείρων χθονὸς / θεῶν τ’ ἔνορκον δίκαν / ὑψίπολις· ἄπολις ὅτῳ τὸ
μὴ καλὸν / ξύνεστι τόλμας χάριν.
222
Giovanni Cerri
le ed eversiva. Entrambi, Creonte e lo sconosciuto, hanno peccato
di audacia temeraria (τόλμα), troppo convinti di avere il monopolio individuale della sapienza giuridico-politica.
Episodio II (vv. 384-581)
Irrompe sulla scena la stessa guardia che prima aveva portato la
notizia del seppellimento clandestino di Polinice. Questa volta non
è sola: porta con sé Antigone, colta in flagranza di reato e quindi
arrestata. Creonte esce di nuovo dal palazzo e chiede spiegazioni.
La guardia racconta come si sono svolti i fatti. L’uomo, ascoltata la
minaccia di Creonte, era tornato dai compagni e li aveva informati. Insieme avevano accuratamente disseppellito Polinice e si erano
riappostati in vedetta. Era allora comparsa Antigone, aveva constatato che la sepoltura era stata eliminata e il corpo del fratello
era di nuovo esposto alla vista e alla voracità dei rapaci. Perciò lo
aveva sepolto una seconda volta, compiendo la libagione di rito.2
Le guardie l’avevano accerchiata e fatta prigioniera.
Segue il famoso confronto oratorio tra Antigone e Creonte,
quasi il fulcro dell’intera tragedia: la fanciulla sostiene il primato
delle “leggi non scritte”, il sovrano sostiene invece quello degli ordini impartiti da chi ha la funzione di governo. A conclusione del
dialogo asperrimo, Antigone è condannata a morte, ai sensi del decreto già bandito.
Esce dal palazzo Ismene in lacrime, che si dichiara complice
e correa della sorella. Antigone smentisce la sua versione dei fatti e respinge con disprezzo e sarcasmo la sua solidarietà. Ismene si
dispera e prega invano Creonte di risparmiarla, appellandosi anche al fidanzamento che lega Antigone ad Emone, figlio dello stesso Creonte.
2 La critica moderna (ma non quella antica) ha creato e ingigantito qui un
problema che in realtà non sussiste: perché mai Antigone compie di nuovo il
rito che aveva già compiuto? Sono state date al quesito le risposte più disparate e improbabili. Basta leggere attentamente il testo e la spiegazione emerge limpida dal racconto della guardia: Antigone aveva seppellito il corpo; le
guardie lo avevano disseppellito; Antigone lo seppellisce di nuovo, perché secondo lei è giusto che sia sepolto, non dissepolto! Che altro c’è da chiarire?!
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
223
Stasimo II (vv. 582-630)
Beati quelli che riescono a trascorrere la vita intera senza che gli
dèi mandino loro sventure! Ma per lo più queste colpiscono individui e famiglie in forma di cecità mentale che induce al male
(ἄτα). Tale maledizione divina continua a perseguitare la stirpe dei
Labdacidi, fino a Edipo e alla sua prole. Su tutti veglia perenne la
potenza di Zeus, al quale non sfugge nessun atto di ingiustizia.
Episodio III (vv. 631-780)
Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, viene ad incontrare il padre davanti alla reggia. Sulle prime gli professa totale
dedizione, quali che siano le sue decisioni. Ma poi comincia a riferirgli, come per metterlo in guardia nel suo stesso interesse, le
obiezioni che sente circolare in privato tra la gente di Tebe. Le
rappresenta in maniera convincente, troppo convincente, per cui
Creonte comincia ad accusarlo di contestare in proprio il decreto da lui emanato. Il dialogo degenera in diverbio, soprattutto per
l’intransigenza paterna. Creonte ribadisce la condanna a morte di
Antigone. Emone se ne va sdegnato, promettendo che il padre non
lo rivedrà mai più.
Sollecitato dal Coro, Creonte specifica finalmente il genere di supplizio che sarà inflitto alla fanciulla: morirà chiusa viva in
una delle grotte che si aprono nei dintorni di Tebe.
Stasimo III (vv. 781-805)
Inno ad Eros, dio dell’amore, che ha dimostrato ancora una volta la propria potenza invincibile, attraverso il comportamento di
Emone.
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Giovanni Cerri
Episodio IV (vv. 806-943)
Dal palazzo reale esce Antigone scortata dalle guardie che debbono accompagnarla al luogo dell’esecuzione capitale. La fanciulla intona un lungo compianto funebre su se stessa, votata a morte
prematura e ingiusta, priva delle nozze cui aspirava, priva persino
dell’accompagno funebre che spetta a tutti i defunti. A tratti, il lamento si trasforma in un paradossale epitalamio, in un inno sarcastico di festa per il suo matrimonio con il regno dei morti. A lei risponde il Coro, cercando di consolarla. Così l’episodio si inizia, e
prosegue per la sua maggior parte, non come un normale dialogo
parlato, ma nella forma insolita di un canto lirico a struttura strofica, immediatamente contiguo al precedente canto corale. Un brano lirico infra-episodico di questo tipo viene di solito denominato kommòs (κομμός), che vuol dire ‘lamentazione rituale’, e deriva
dalla stessa radice del verbo κόπτειν ‘battere’, in questo caso ‘battersi il petto’, in segno di lutto disperato. Solo verso la fine, con
l’intervento di Creonte, si torna al dialogo in trimetri giambici.
Stasimo IV (vv. 944-87)
Il Coro narra una serie di miti relativi ad eroine ed eroi puniti o
uccisi crudelmente come Antigone in buie prigioni senza scampo.
Episodio V (vv. 988-1114)
Si reca ora da Creonte Tiresia, il celeberrimo e infallibile profeta
di Tebe. Siccome è cieco, lo conduce per mano un ragazzo. Dal suo
osservatorio mantico ha constatato che gli uccelli augurali schiamazzano in maniera dissonante, quasi imbarbarita, e si attaccano
in volo fra loro, ferendosi a vicenda; le carni delle vittime offerte
sull’altare reagiscono al fuoco dando segnali chiaramente funesti.
È inoltre informato che in città gli altari di tutti gli dèi vengono insozzati da cani e uccelli con brandelli di carne strappata al cadavere di Polinice. Per placare l’ira divina, è necessario dunque tornare
sulla decisione presa e seppellire il morto secondo il rito. Creonte
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
225
non si limita a rifiutare il consiglio con la solita superbia intollerante, ma accusa il sacerdote di parlare così, perché corrotto con
denaro da chi vuole sovvertire l’ordine civico.
Tiresia, sdegnato nel profondo, preannuncia a Creonte imminenti e gravi lutti familiari, quale punizione per aver lasciato insepolto un morto e seppellito viva una donna; evoca la potenza
vendicatrice delle Erinni; quindi esce di scena. Creonte, di fronte
alla solennità della predizione-maledizione, resta finalmente sconvolto. Di colpo è divenuto un altro da se stesso. Si rivolge tremebondo al Coro, chiedendogli consiglio. I vecchi senatori lo esortano a disfare quanto finora ha fatto: “Va’ a liberare la fanciulla
dalla grotta sotterranea ed eleva il tumulo al corpo abbandonato.”
(v. 1100ss.).3 Creonte, tardivamente convertito, dà ordine alle guardie di andare a far legna per il rogo funebre di Polinice e corre egli
stesso a recuperare Antigone dalla caverna.
Stasimo V (vv. 1115-54)
Inno a Dioniso, nativo e signore di Tebe, che salvi la sua città dal
gorgo della sventura.
Episodio VI – Esodo (vv. 1155-352)
Entra in scena una delle guardie che Creonte aveva portato con sé,
quando era andato ad eseguire i consigli del Coro. Ha qui la funzione di riferire in forma narrativa, in qualità di testimone oculare, i fatti accaduti fuori scena, dei quali debbono essere informati
sia i personaggi del dramma che ne sono ancora ignari sia il pubblico teatrale: perciò riceve in questo caso la qualifica di Ἄγγελος
(‘Messaggero’, ‘Nunzio’) sulla base del suo ruolo drammatico e teatrale, non quella di Φύλαξ, ‘guardia’, sulla base del lavoro svolto dal personaggio a livello di trama. Subito dopo entra in scena per la prima volta anche Euridice, moglie di Creonte e madre
3 ἐλθὼν κόρην μὲν ἐκ κατώρυχος στέγης / ἄνες, κτίσον δὲ τῷ
προκειμένῳ τάφον.
226
Giovanni Cerri
di Emone, uscita dal palazzo proprio in quel momento, giusto in
tempo per ascoltare il racconto del Messaggero. Creonte per prima cosa ha curato che il corpo di Polinice fosse bruciato sulla pira secondo il rito, ne ha fatto calare le ceneri in una tomba regolare, ha fatto erigere sopra la tomba il tumulo monumentale. Si è
quindi recato a liberare Antigone dalla caverna, ma non è giunto in tempo utile, perché la fanciulla si era suicidata impiccandosi
con una corda ottenuta attorcigliando le proprie vesti. Rimossa la
roccia di chiusura, agli occhi dei liberatori tardivi si è profilata una
visione straziante: i fianchi di Antigone morta e pendente dall’alto sono stretti in un ultimo abbraccio disperato da Emone, riuscito in qualche modo a penetrare nel sepolcro prima di Creonte e dei
suoi uomini, ma neanche lui giunto in tempo per salvare la fidanzata. Emone, visto il padre, impugna la spada e tenta di ucciderlo; fallito il colpo, trafigge se stesso e muore. Finito il racconto del
Messaggero, Euridice si ritira nel palazzo senza proferire nemmeno una parola; arriva invece Creonte in persona, sostenendo sulle
proprie braccia il cadavere del figlio.
La lamentazione di Creonte è in metro lirico e cantata.
Da questo punto in poi il dramma procede fino alla fine in forma di kommòs: le strofi e le antistrofi intonate da lui si alternano a trimetri giambici isolati o in brevi sequenze, recitati dal Coro,
da Creonte stesso e da un nuovo Messaggero. Quest’ultimo, ad un
certo momento della sequenza, esce dal palazzo per riferire agli
astanti ciò di cui è stato testimone all’interno: il suicidio cruento di
Euridice. In ragione del suo ruolo, nell’elenco dei personaggi che
la tradizione manoscritta premette all’inizio del dramma, è detto
Ἐξάγγελος cioè ‘Messaggero dall’interno (ἐξ-ἄγγελος)’.
Il mito prima di Sofocle
Il filologo Asclepiade, quasi certamente Asclepiade di Mirlea, vissuto nel I sec. a.C., attestava che, secondo il racconto svolto dal
poema epico arcaico e ciclico la Tebaide (forse databile già al sec.
VIII a.C.), Adrasto, capo supremo dell’esercito argivo impegnato
nell’assedio di Tebe, dopo la sua sconfitta definitiva, aveva tenuto un solenne discorso funebre in onore dei caduti, iniziandolo con
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
227
un alto elogio di Anfiarao, uno dei condottieri deceduti.4 Pindaro
in due odi, la Nemea 9, vv. 22-7, databile al 474-73 a.C., e l’Olimpica
6, vv. 12-17, databile al 468, descriveva il rito funebre a partire dalla cremazione dei corpi sulle pire, nella fattispecie sette pire collettive, su ognuna delle quali erano stati deposti i caduti di uno dei
sette diversi contingenti impegnati nell’assedio, per terminare appunto con il discorso di Adrasto e con il suo pezzo di apertura, relativo ad Anfiarao, definito “pupilla dell’esercito, valente nel profetare e nel combattere con la lancia”.5 Asclepiade sosteneva, e non
abbiamo ragione di dubitarne, che Pindaro riprendeva, parafrasava
(εἰληφέναι) il passo corrispondente della Tebaide.6
Certo, Pindaro avrà imitato allusivamente la Tebaide ciclica. Non si deve dimenticare però che era nativo e cittadino di Tebe
e che, con tutta la sua produzione lirica, si qualificò poeta per eccellenza delle antichità tebane e loro strenuo difensore. Perciò,
se trattò quello snodo mitico in accordo con la Tebaide, significa
che la Tebaide su quello snodo non si discostava dal mito locale di
Tebe. Anzi, è logico pensare che, in quanto poema epico panellenico, assumesse nella propria trama il mito tebano proprio per promuoverlo a mito panellenico.
Ora, sia dal dato a noi noto sulla Tebaide sia dai due brani pindarici, emerge un atteggiamento di pietosa transigenza dei
Tebani vincitori nei confronti degli assalitori sconfitti sul campo, almeno per quanto riguarda le onoranze funebri ai loro caduti:
permisero che celebrassero il funerale davanti a Tebe nel più scrupoloso rispetto del rito. Non solo non c’è traccia nei testi da noi
esaminati di divieti di sepoltura ai danni di chicchessia, ma la serenità grandiosa, con la quale Adrasto dà inizio alla glorificazione dei compagni morti, sembra escludere che nella trama della
Tebaide e nella traccia mitica orale seguita da Pindaro fossero in4 Apud schol. Pind. Ol. 6.16 (Vol. III, p. 160, 5-6 Drachmann) = Asclepiad.
Myrl., FHG III, 299 Müller = Thebais, fr. 5 Kinkel = 5 Allen = 10 Bernabé.
5 στρατιᾶς ὀφθαλμὸν ἐμᾶς / ἀμφότερον μάντιν τ’ ἀγαθὸν καὶ / δουρὶ
μάρνασθαι (Pind. Ol. 6.18-20).
6 La notizia su Asclepiade fornita dallo scolio citato alla nota precedente suona così: ποθέω: ὁ Ἀσκληπιάδης φησὶ ταῦτα εἰληφέναι ἐκ τῆς κυκλικῆς
Θηβαΐδος (“Rimpiango: Asclepiade afferma che queste cose sono riprese dalla Tebaide ciclica”).
228
Giovanni Cerri
tervenuti elementi di così grave turbativa come sarebbe stata un’esposizione forzata del cadavere di Polinice alla non sepoltura, alla
putrefazione e allo scempio da parte degli animali predatori.
L’ipotesi è convertibile in tesi grazie a quanto riferisce
l’antiquario e archeologo Pausania (II sec. d.C.) nella Guida della Grecia (9.18.1-4). Sulla strada che conduceva da Tebe a Calcide,
uscendo dalla Porta Pretide, si incontravano a non grande distanza dalla città le tombe eroiche di alcuni caduti del mito. Ognuna
di esse era oggetto di riti periodici e di antiche leggende locali.
Pausania precisa di essere stato informato su tutto ciò da sacerdoti-esegeti “specializzati nel ricordare le memorie avite” (Θηβαίων
δὲ οἱ τὰ ἀρχαῖα μνημονεύοντες). Aveva così potuto vedere con
i propri occhi la tomba del tebano Melanippo e quella di Tideo,
campione dell’esercito argivo. A questo punto interviene la notizia
per noi sorprendente e dirimente: qualche chilometro più in là sorgeva anche la tomba di Eteocle e Polinice, sepolti insieme nonostante il loro fratricidio reciproco e celebrati ogni anno con “riti”
(δρώμενα) che includevano anche un sacrificio animale. Non appena i sacerdoti avevano dato fuoco alle carni dedicate insieme ad
entrambi, la fiamma si biforcava, si divaricava come per miracolo
in due fiamme tendenti in direzioni opposte, evidentemente per effetto di una inimicizia perdurante oltre la morte, nei secoli dei secoli.7 Prima di Pausania, già Callimaco, nel III sec. a.C., aveva descritto il rito tebano, con il suo immancabile miracolo, in un brano
degli Aetia oggi perduto, ma il cui contenuto è ricostruibile attraverso un’allusione di Ovidio, Tristia 5, 5, 31-40.8
Dunque, almeno sulla base dei dati esaminati sin qui, nessuna traccia di cadaveri lasciati volontariamente insepolti nel mito
tebano più antico. L’accusa rivolta ai Tebani di aver commesso tale
crudeltà emerge invece nel mito ateniese, più in particolare nel mito eleusino, con molta probabilità più recente, data la posteriorità
delle antichità ateniesi e attiche, rispetto a quelle della città vicina,
7 Non c’è ragione di dubitare della storicità effettiva dell’elemento miracoloso: si verificava certamente grazie a uno di quei trucchi sacerdotali che
sono ben noti nei rituali religiosi delle civiltà più diverse.
8 Callim. fr. 105 Pfeiffer = 208 Massimilla. L’intrico delle fonti posteriori a
Callimaco trova un’esposizione molto chiara in Massimilla 2010: 455-7.
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
229
che aveva raggiunto piena fioritura già in età micenea.
Secondo Erodoto (9.27) Ateniesi e Tegeati, prima della battaglia di Platea contro i Persiani (479 a.C.), si disputarono di fronte ai
Lacedemoni, scelti come arbitri, l’onore di combattere all’ala sinistra dell’armata federale. Prevalsero gli Ateniesi, i quali, fra gli altri titoli mitici di gloria, citarono anche il loro intervento armato
per ottenere dai Tebani la consegna dei corpi insepolti dei guerrieri caduti nell’assedio di Tebe ai tempi di Eteocle e Polinice. I corpi
furono in effetti riconsegnati e seppelliti ad Eleusi.
Il dato mitico e monumentale è confermato da Plutarco nella Vita di Teseo (29.4-5):
συνέπραξε δὲ καὶ Ἀδράστῳ τὴν ἀναίρεσιν τῶν ὑπὸ τῇ Καδμείᾳ
πεσόντων, οὐχ ὡς Εὐριπίδης ἐποίησεν ἐν τραγῳδίᾳ, μάχῃ τῶν
Θηβαίων κρατήσας, ἀλλὰ πείσας καὶ σπεισάμενος· οὕτω γὰρ οἱ
πλεῖστοι λέγουσι· . . . ταφαὶ δὲ τῶν μὲν πολλῶν ἐν Ἐλευθεραῖς
δείκνυνται, τῶν δὲ ἡγεμόνων περὶ Ἐλευσῖνα, καὶ τοῦτο Θησέως
Ἀδράστῳ χαρισαμένου. καταμαρτυροῦσι δὲ τῶν Εὐριπίδου
Ἱκετίδων οἱ Αἰσχύλου Ἐλευσίνιοι, ἐν οἷς καὶ ταῦτα λέγων ὁ
Θησεὺς πεποίηται.
[(Teseo) collaborò anche con Adrasto per la riconquista dei corpi dei caduti sotto la Cadmea, non vincendo i Tebani in battaglia,
come dice Euripide nella tragedia, ma convincendoli e stipulando un patto: così dicono i più. . . . Le tombe della maggior parte
dei caduti si mostrano ad Eleutere,9 ma quelle dei comandanti vicino ad Eleusi, avendo Teseo concesso anche questo ad Adrasto. Gli
Eleusinii di Eschilo testimoniano contro le Supplici di Euripide: negli Eleusinii Teseo dice anche queste cose.]10
Ad Eleusi, demo attico non lontano da Atene e sede del santuario celeberrimo e veneratissimo di Demetra e Core, si mostravano le tombe nelle quali si dichiarava fossero sepolti i corpi dei comandanti caduti durante l’assedio a Tebe, provocato dall’inimicizia
fra Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Doveva trattarsi di monumen9 Città sotto il versante meridionale del monte Citerone, appartenuta alla Beozia fin verso la fine del VI sec. a.C., passata poi sotto la giurisdizione
attica.
10 Cf. Aesch. Eleusinii, pp. 18ss. Nauck.
230
Giovanni Cerri
ti abbastanza vetusti da sopportare una leggenda riferita a fatti
dell’età eroica. A sua volta la leggenda eleusinia doveva essere già
piuttosto antica e ben radicata all’inizio del V secolo a.C., se nel
479 i rappresentanti degli Ateniesi potevano allegarla come titolo di onore e di superiorità in una disputa con Tegea di fronte all’esercito confederale, che si accingeva a combattere contro i Persiani
a Platea. Secondo questa leggenda gli Ateniesi ai tempi di Teseo
avevano dato una sonora lezione di civiltà ai Tebani, che avevano
empiamente impedito ai nemici sconfitti di seppellire i loro caduti.
Il confronto tra mito tebano, configurato dai soli elementi offerti fino a questo punto del nostro discorso, e mito eleusinio, narrato secondo Erodoto dagli Ateniesi a Platea nel 479 e sceneggiato sia da Eschilo negli Eleusinii sia, molti decenni dopo, da
Euripide nelle Supplici, potrebbe indurre e ha in effetti indotto varî
critici moderni a credere che il mitema della negazione della sepoltura a Polinice per alto tradimento sia un’invenzione propagandistica attica di VI secolo.11 Benché, per l’esattezza, la leggenda attica
in oggetto non parli del caso di Polinice considerato nella sua specificità, ma di una crudeltà tebana esercitata nei confronti dei caduti nemici in generale.
Ma la realtà storica è un’altra! Il divieto di sepoltura per
Polinice in quanto traditore e la ribellione di Antigone, sua sorella, facevano parte integrante del mito tebano, anche se l’esito della vicenda doveva essere stato favorevole a quest’ultima, non letale come è nella tragedia di Sofocle. Ne siamo informati da un’altra
testimonianza di Pausania, che è di capitale importanza. La critica
moderna l’ha trascurata, per un pregiudizio “libresco” largamente
diffuso: le fonti di poeti e scrittori sarebbero sempre poeti e scrittori; ognuno di loro, a meno che non citi espressamente un autore determinato, riflette uno qualsiasi dei poeti e scrittori a lui precedenti; ciò che dice un autore del II secolo d.C. (ad es., Pausania)
può derivare dalle fonti classiche o da fonti ellenistiche più o meno tarde, perciò non serve alla ricostruzione dei miti nella loro forma originaria. Ma Pausania non era né un poeta né un narratore di
fantasia; era uno studioso di antichità che descriveva monumen11 Basti per tutti l’esempio di Jebb 1900: IX: “The refusal of burial was evidently an Attic addition to the story”.
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
231
ti, santuari, templi, riti e miti pertinenti; sue fonti erano i sacerdoti addetti a tali riti e alla trasmissione fedele di tali miti; non si
ispiravano alle tragedie attiche del V secolo a.C. né a Callimaco né
ad Euforione, ma eseguivano i riti come si erano sempre eseguiti e narravano i miti locali come si erano sempre narrati. Dunque
ascoltiamolo:12
τοῦ δὲ Μενοικέως οὐ πόρρω τάφου τοὺς παῖδας λέγουσιν
Οἰδίποδος μονομαχήσαντας ἀποθανεῖν ὑπὸ ἀλλήλων· σημεῖον
δὲ τῆς μάχης αὐτῶν κίων, καὶ ἀσπὶς ἔπεστιν ἐπ᾽ αὐτῷ λίθου. . . .
καλεῖται δὲ ὁ σύμπας οὗτος <τόπος> Σῦρμα Ἀντιγόνης: ὡς γὰρ
τὸν τοῦ Πολυνείκους ἄρασθαί οἱ προθυμουμένῃ νεκρὸν οὐδεμία
ἐφαίνετο ῥᾳστώνη, δεύτερα ἐπενόησεν ἕλκειν αὐτόν, ἐς ὃ εἵλκυσέ
τε καὶ ἐπέβαλεν ἐπὶ τοῦ Ἐτεοκλέους ἐξημμένην τὴν πυράν.
[Non molto oltre la tomba di Meneceo, (i Tebani) dicono che il figli
di Edipo (Eteocle e Polinice) si affrontarono in duello e morirono
uno per mano dell’altro: a ricordo del loro combattimento c’è una
colonna, e sulla colonna uno scudo in pietra. . . . Tutta questa località è chiamata Trascinamento di Antigone: siccome infatti, per
quanto si sforzasse, non trovava il modo di tenere agevolmente
sollevato da terra il cadavere di Polinice, decise in un secondo momento di trascinarlo, finché, continuando a trascinarlo, non lo ebbe gettato sulla pira di Eteocle già accesa.]
Se ne ricavano, riguardo al mito tebano, i seguenti elementi: lo
scontro fratricida si immaginava avvenuto in un posto determinato fuori della cinta muraria ed era monumentalizzato; lì stesso o
negli immediati paraggi si immaginava che fosse stata accesa la pira su cui bruciare il corpo di Eteocle; il corpo del fratello era sta12 Come gli ha dato ascolto Lesky 1972: 194: “Trotzdem scheint das
Bestehen einer derartigen Lokalsage wahrscheinlicher als freie Erfindung
des Dichters. Dafür spricht die thebanische Überlieferung über Ἀντιγόνης
σῦρμα (Paus. 9.25.2), jene Stelle, an der man Schleifspuren vom Körper des
Polynikes zu erkennen meinte, den Antigone zum Schiterhaufen des Eteokles
schleppte” (“Sembra in ogni caso più probabile supporre l’esistenza di una
leggenda locale di questo genere, piuttosto che una pura invenzione da parte di Sofocle. Tale ipotesi è sorretta dalla tradizione tebana dell’Ἀντιγόνης
σῦρμα (Paus. 9.25.2), il luogo in cui si pensava di riconoscere tracce del corpo
di Polinice, trascinato da Antigone al rogo di Eteocle”).
232
Giovanni Cerri
to invece lasciato lì dove era stramazzato al suolo, in base alla decisione di non seppellirlo. Antigone si ribellò a questa decisione;
strascinò il cadavere di Polinice fino alla pira sulla quale ardeva già
il corpo di Eteocle, perché fosse tributato anche a lui l’onore funebre. Evidentemente la città accettò il fatto compiuto, non osando
intervenire con violenza empia sulla cremazione di Eteocle, già in
atto e perciò sacra; il gesto di Antigone fu accettato come irreversibile, in quanto ritualmente efficace;13 il percorso da lei compiuto trascinando il corpo del fratello ricevette un toponimo commemorativo e celebrativo; la fanciulla non subì conseguenze punitive,
in quanto aveva, sì, infranto la legge, ma l’infrazione si era configurata come sacra, voluta dagli dèi, ed era stata dunque legittimata a posteriori.
Eschilo presentò per la prima volta al concorso teatrale la
tetralogia Laio, Edipo, Sette a Tebe, Sfinge (dramma satiresco) nel
467 a.C.: lo attesta la didascalia recepita nella hypothesis. È stata
conservata solo la terza tragedia, ambientata nella Tebe assediata dall’esercito argivo, nel momento dello scontro risolutivo: terrore delle fanciulle tebane, costituenti il Coro, rimproveri di Eteocle,
impegnato ad organizzare il contrattacco e a tenere alto il morale
dei combattenti, vittoria finale dei Tebani, morte sia di Eteocle sia
di Polinice nel duello fratricida. Lo scempio consanguineo offusca
la gloria di Eteocle stesso, benché eroe salvatore della sua patria.
La tragedia si conclude con un lungo brano dedicato al problema della sepoltura dei due fratelli (vv. 861-1078). Tutta questa
sezione è di dubbia autenticità: la maggior parte dei critici la considera apocrifa, dandone poi varie datazioni, dagli anni successivi alla morte di Eschilo (456 a.C.) fino allo spirare del V secolo. Prescindiamo dall’autenticità o meno e da qualsiasi congettura
cronologica, questioni che in questa sede non sarebbero pertinenti.
Limitiamoci a riferirne succintamente il contenuto.
Mentre il Coro sta intonando il compianto funebre per i due
fratelli e per la rovina dell’intera famiglia di Edipo, arriva sul luogo
13 Come abbiamo già visto in Paus. 9.18.1-4, i Tebani onoravano sia
Eteocle sia Polinice con sacrifici eroici eseguiti ogni anno sulla loro tomba
comune. Le due notizie di Pausania si integrano perfettamente fra loro in una
ricostruzione coerente della mitologia tebana.
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
233
un araldo (κῆρυξ) che riferisce e proclama un decreto (vv. 1005-25)
appena promulgato da chi ha assunto funzione di governo, dopo
la morte prematura di Eteocle, l’ultimo re in carica:14 onori funebri
solenni e tomba monumentale per Eteocle, divieto di sepoltura per
Polinice. Nella scena si possono distinguere tre momenti (vv. 100525; 1026-53; 1054-78). Il primo contiene l’illustrazione del decreto,
che sembra cumulare l’espulsione del cadavere di Polinice dal territorio cittadino e l’esclusione assoluta di qualsiasi rito funebre, sia
pure in zona estranea, con l’abbandono del corpo alla voracità degli animali selvatici; il divieto è naturalmente motivato con l’accusa di tradimento. Segue un confronto dialogico fra Antigone e l’araldo: la fanciulla si dichiara decisa a seppellire il fratello, in nome
del vincolo di parentela; l’araldo le obietta che un simile comportamento sarebbe violenza nei confronti della città. Un terzo momento è costituito dal brano corale anapestico di chiusura: all’inizio il
Coro esprime un’angosciosa incertezza tra pietà religiosa e paura della punizione in caso di disobbedienza; poi le coreute si dividono in due semicori: metà delle fanciulle manifestano l’intenzione di partecipare con Antigone alla sepoltura di Polinice, costi quel
che costi, mentre l’altra metà dichiara di voler aderire alla cerimonia in onore di Eteocle, giusta da tutti i punti di vista.
Si noti che questo epilogo dei Sette a Tebe, da chiunque e in
qualsiasi epoca particolare sia stato composto, coincide in ogni suo
snodo saliente con il mito locale di Tebe, quale abbiamo ricostruito
attraverso i dati periegetici offerti da Pausania, ivi compresi il recupero finale del corpo insepolto e l’immunità di Antigone: i due
cortei funebri che si sono formati non possono preludere, non possono certo implicare un seguito disastroso, con l’esecuzione capitale di Antigone e, in massa, di tutte le sue accompagnatrici.
Ecco, proprio su questo punto la tragedia di Sofocle si discosta dal mito tebano: Antigone viene condannata a morte e muore.
La variante era necessaria in funzione del progetto drammaturgico. Il vecchio mito di Tebe conteneva già in sé l’idea tradizionale dello scontro ancestrale tra solidarietà genetica e solidarietà cit14 La formula del v. 1006 dei Sette a Tebe è volutamente generica: δήμου
προβούλοις τῆσδε Καδμείας πόλεως (“i consiglieri del popolo di questa città cadmea”).
234
Giovanni Cerri
tadina. Sofocle voleva precisare l’antinomia nel senso del dibattito
vivo nell’Atene del suo tempo tra “legge non scritta” e legiferazione ordinaria; aveva bisogno di due personaggi irriducibili: Creonte
deciso ad affermare la sovranità illimitata della legiferazione ordinaria in quanto sovranità della città nel suo insieme; Antigone,
costretta dalla legge illegale ad un’illegalità non più sanabile. La
prevaricazione di Creonte doveva produrre un effetto di tragicità totale, catastrofica. Non c’era dunque spazio per una sanatoria
salvifica. Probabilmente l’esito mortale per Antigone fu sua invenzione personale. Data la scarsezza della documentazione in nostro
possesso, non siamo però in grado di escludere che la variante mitica esistesse già in qualche area del mondo greco o in qualche testo poetico oggi perduto.
Ismene
Una riflessione a sé merita la figura di Ismene. Secondo la hypothesis II dell’Antigone, attribuita a Sallustio, retore e grammatico
vissuto tra IV e V sec. d.C., il poeta arcaico Mimnermo di Colofone
(VII sec. a.C.) narrava che la fanciulla “mentre si intratteneva con
Teoclimeno, morì uccisa da Tideo, per ordine di Atena”.15 Il mitema
è confermato e circostanziato dallo storico genealogista Ferecide
di Atene (prima metà del V sec. a.C.), secondo cui Ismene, figlia di Edipo, sorella di Antigone, Eteocle e Polinice, “fu uccisa da
Tideo presso una fonte, ed è da lei che la fonte prende il nome di
Ismene”.16 La precisazione è essenziale: si trattava di una leggenda
locale narrata in connessione con una fonte sacra di Tebe, e il contenuto di tale leggenda appare facilmente ricostruibile, integrando i dati offerti dai due frammenti di Mimnermo e di Ferecide con
quanto sappiamo da altre fonti sulla topografia reale della città.
15 Mimn. fr. 21 West = 19 Gentili-Prato: Μίμνερμος δέ φησι τὴν μὲν
Ἰσμήνην προσομιλοῦσαν Θεοκλυμένῳ ὑπό Τυδέως κατὰ Ἀθηνᾶς ἐγκέλευσιν
τελευτήσαι.
16 Schol. (MTAB) Eur. Pho. 53 (I, p. 257, 14 Schwartz) = FGrHist 3 F 95 Jacoby
= fr. 107 Dolcetti: Ἰσμήνη, ἣν ἀναιρεῖ Τυδεύς ἐπὶ κρήνης, καί ἀπ’ αὐτῆς ἡ
κρήνη Ἰσμήνη καλεῖται. Lo scolio sembra riferire testualmente le parole di
Ferecide.
Antigone, Ismene e sepoltura di Polinice
235
L’esercito argivo al comando di Adrasto e al servizio di
Polinice è giunto nei pressi di Tebe e si è accampato. Tideo, uno
dei condottieri, vuole prima di tutto onorare e pregare la dèa
sua protettrice: si reca perciò al celebre santuario extraurbano di
Atena Onca, situato fuori della Porta Onca.17 Ma qui, al riparo da
occhi indiscreti, si sono appartati a fare l’amore due giovani tebani, Ismene e Teoclimeno. Tideo li sorprende in pieno rapporto sessuale. Compare la dea Atena che, sdegnata del sacrilegio, ingiunge
a Tideo di ucciderli. È così che Ismene trova la morte.
Si potrebbe pensare che questa ricostruzione sia troppo fantasiosa, rispetto alle poche allusioni contenute nei frammenti di
Mimnermo e Ferecide. Invece l’intera scena si trova ‘fotografata’ in due figurazioni vascolari, datate dagli archeologi al secondo quarto del VI sec. a.C., cioè coeve o di poco posteriori allo stesso Mimnermo. Vi si vede Ismene seminuda, afferrata da Tideo,
che la trafigge con la spada; il giovane maschio che fugge nudo e a gambe levate; la dèa Atena che impugna l’inseparabile lancia.18 Non ci sono margini di dubbio: i personaggi sono identificati con i loro nomi, iscritti accanto alle immagini rispettive. Il nome
del fuggitivo, dato solo da uno dei due frammenti vascolari, è però
Periclimeno, non Teoclimeno come in Mimnermo.19
Secondo la leggenda legata al santuario tebano di Atena
Onca e alla sua fonte sacra, Ismene era dunque morta prima dello
scontro finale fra Tebani e Argivi, quando entrambi i fratelli erano
ancora vivi. Nella documentazione in nostro possesso, il suo ruolo
di confidente e interlocutrice di Antigone a proposito della sepoltura di Polinice emerge solo nella tragedia attica del V secolo, se-
17 Su esistenza ed ubicazione di questo santuario, cf. Aesch. Sept. 164ss.;
486ss.; 501ss.
18 Anfora corinzia proveniente da Cerveteri, conservata a Parigi, Louvre,
E 640; Skyphos attico a figure nere, conservato ad Atene, Museo dell’Acropoli, nr. 603. Ottima descrizione dei due reperti in Krauskopf 1990.
19 Data l’autorevolezza dell’iscrizione arcaica, qualche studioso ha pensato che la forma “Teoclimeno”, contenuta nella notizia su Mimnermo, sia
dovuta ad errore intervenuto nella tradizione manoscritta prima o dopo
Sallustio, nel cui testo la troviamo. È però verosimile che l’alternanza tra i
due nomi fosse variante mitica già nel VII-VI sec. a.C.
236
Giovanni Cerri
gnatamente nell’Antigone di Sofocle (442 a.C.).20 La variante è in
palese contraddizione con la leggenda tebana della Fonte Ismene.
Se risalisse ad una variante già esistente o fosse frutto di innovazione sofoclea, non è possibile dire con certezza.
Riferimenti bibliografici
Jebb, Richard Claverhouse (ed.) (1900), Sophocles, The Plays and
Fragments, With Critical Notes, Commentary, and Translation
in English Prose, Part III: The Antigone, Cambridge: Cambridge
University Press. (Facsimile Reprint, General Editor P.E.
Easterling, Introduction by R. Blondell, Bristol: Bristol Classical
Press, 2004).
Krauskopf, Ingrid (1990), “Ismene”, in: Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae (LIMC), Düsseldorf: Artemis-Verlag, vol. 5, 1, 796-9: 2, 526-7.
Lesky, Albin (1972), Die tragische Dichtung der Hellenen, 3. Auflage (1956),
Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht.
Massimilla, Giulio (ed.) (2010), Callimaco, AITIA, Libro terzo e quarto,
Introduzione, testo critico, traduzione e commento, Pisa-Roma:
Fabrizio Serra editore.
20 Nel finale dei Sette a Tebe la figura di Ismene è evanescente: nominata
nel testo poetico insieme ad Antigone solo al v. 862, ricompare come sua interlocutrice nel successivo dialogo lirico, ma l’attribuzione nominativa delle
battute, trasmessa dai codici, potrebbe essere stata frutto di regia posteriore,
perché nulla nel testo porta ad escludere che si tratti in realtà di dialogo lirico tra i due semicori.