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Pietro I d'Alençon e il culto di s. Anna
Carlo F. Polizzi
Pietro I d'Alençon e il culto di s. Anna
Pietro I di Francia - detto d'Alençon ( Château-Pèlerin 29/6/1251 - Salerno 6/4/1283 ) - conte di
Alençon, Chartres, Perche e Blois, visconte di Trun, signore di Guise, Essay, Avesnes, Bernay, Sées,
Montaigu, Ecouché, Mortrée, Mortagne-au-Perche, Bellême e dell'appannaggio di Cotentin, fu il
quinto figlio maschio di Luigi IX di Francia e Margherita di Provenza. Nel 1272, con il matrimonio di
Giovanna de Chatillon, il principe Pietro entra in possesso, tra gli altri beni, anche di Chartres, uno dei
maggiori centri religiosi di pellegrinaggio mariano. Nella cattedrale di Chartres erano conservati il
Velo di s. Maria vergine e, in particolare, la testa di s Anna, madre di Maria, reliquia quest'ultima che
ritroveremo successivamente nel possesso dei conti di Ventimiglia. Sulla documentata autenticità della
reliquia di Chartres - a differenza della leggendaria presenza altomedievale dei resti di s. Anna in Apt;
derivata da una elaborazione del tardo Trecento - si veda E. Panou, The Cult of St. Anna in
Byzantium, Abingdon, New-York 2018, p. 39-40. Del resto, soltanto dall'ultimo quarto del XIII secolo
è documentata la liturgia relativa a s. Anna nella cattedrale di Apt: Si nous pouvons découvrir l'époque
où ce livre fut écrit, nous serons en droit de conclure qu'à cette même époque l'Église d'Apt était en
pleine possession de célébrer la fête de sa patronne. Or ce livre a été écrit sous l'épiscopat de
Raymond II de Bot, qui occupa le siège d'Apt de 1275 à 1303 ( P.-V. Charland, Madame saîncte Anne
et son culte au Moyen âge, Parigi 1911, p. 20 ).
Riproduzione della statua di Pietro I d'Alençon in Saint-Louis de Poussy (
A. Erlande-Brandenburg, L'identification de la statue de Pierre d'Alençon,
provenant de l'église du prieuré de Saint-Louis à Poissy, “Bulletin de la Société
nationale des antiquaires de France”, 1 (1968-1970), p. 154-160 ).
Sia Pietro I d'Alençon, sia il suo successore Carlo I di Valois,
subirono l'interdetto e la scomunica da parte del potente Capitolo
della cattedrale di Chartres, per non averne osservato i privilegi, e
forse non fu estranea alla vicenda la traslazione a Reims e poi la
scomparsa della sacra reliquia di s. Anna. ( L. Amiet, La juridiction
privilégiée spirituelle du Chapitre cathédral de Chartres, "Revue
historique de droit français et étranger", s. 4., 2 (1923), p. 242 ).
Et per simile modo vennero in Firenze a di 24. di Novembre
vegnente [ 1282 n.d.r. ], il Conte di Lanzone, fratello del Re di
Francia, con molti Baroni e Cavalieri, i quali lo Re Filippo di Francia, mandava per soccorso del Re
Carlo. Soggiornati alquanti dì in Firenze, et da' Fiorentini veduti honorevolmente se n' andarono a
Corte di Roma al Re Carlo. ( G. Villani, Historie fiorentine, in Storie di Giovanni, Matteo e Filippo
Villani, Milano 1729, 1., col. 295 ).
Pietro d'Alençon - detto conte Lanzò, Lanzola dai cronisti catalani e siciliani - fu ferito mortalmente a
Catona, in Calabria, lunedì 18 gennaio 1283, nello scontro con un contingente da sbarco di duemila
almogaveri che, partito da Messina con otto galee, massacrò la sua scorta, secondo i cronisti, di
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trecento cavalieri, – re Pietro d'Aragona in una epistola parla di 450 fra militi e armigeri uccisi ammassando un enorme bottino, dopo che il conte di Alençon ebbe a offrire agli assalitori 15.000
marche d'argento per la sua vita. La spedizione aragonese fu organizzata con l'obiettivo di vendicare la
morte di Manfredi di Svevia, suocero di Pietro III d'Aragona ( consanguineo del conte Giovanni
Làscaris di Ventimiglia come discendenti entrambe da re Andrea II d'Ungheria ): Ganeremos la
Catona adonde se halla el conde de Alanson hermano del rey de Francia con todo el poder del
exercito y vengaremos las desgracias de vuestro suegro el rey Manfredo ( De rebus Regni Siciliae (9
settembre 1282 – 26 agosto 1283). Documenti indediti estratti dall'Archivio della Corona d'Aragona,
a cura di I. Carini, Palermo 1882, p. 296-297; N. Feliu de La Penya i Farell, Anales de
Cataluña..., Barcellona 1709, 2., p. 82 )
Lo scopo di questa ricerca è comprendere come poté dileguarsi il capo della madre di Maria dalle
cattedrali di Chartres e Reims, e come poté ricomparire a migliaia di chilometri di distanza in Sicilia,
agli albori del XIV secolo. In assenza di una documentazione autentica e di prove dirette, che
esplicitino il passaggio di consegne della preziosa reliquia, mi limiterò a riproporre una ricostruzione
circostanziale delle vicende che poterono favorirne la traslazione. Nondimeno, possiamo osservare che
la descrizione fisica della reliquia di Chartres/Reims corrisponde esattamentre a quella conservata oggi
a Castelbuono in Sicilia - come del resto testimoniato già nel 1672 dal sacerdote dell'Istituto Serafico
Antonino Della Piana, che visionò il frammento all'epoca ancora conservato in Chartres e lo ritenne
complementare al teschio di Castelbuono -:
P. Antonino della Piana, Religioso Sacerdote dell'Istituto Serafico, il quale l'anno 1672 [...] trovò nel
Tesoro di quella Cathedrale una mezza statua d'argento della Santa, nel cui capo v'era ingastata quel
pezzo di Reliquia del cranio di detta Santa, senza però il cristallo, indi havendola molto bene
osservata, vidde che quel pezzetto di Reliquia non era più di quanto pareva, e di misura appunto
quanto manca nel Cranio del Santo Capo che si mostra ed adora in Castelbuono ( D. Monacò
Amodei, Il Trionfo della Fecondità. Vita de' ss. patriarchi Gioacchino ed Anna..., Parte prima,
Palermo 1690, p. 203-204 ).
Il sacro teschio di s. Anna nel reliquiario cinqucentesco
dei marchesi di Geraci
Le chef de sainte Anne, auquel manquaient
d'ailleurs la mâchoire inférieure et quelques
parties de la supérieure, avait été donné à
l'église de Chartres, en 1205, par Louis, comte
de Blois, qui l'avait envoyé de Constantinople
comme la plus précieuse partie de son butin.
C'était sur cette relique que les chanoines
prêtaient
serment
lors
de
leur
réception. ( Cartulaire de Notre-Dame de
Chartres, a cura di E. de Lepinois, L. Merlet,
Chartres 1862, 1., p. 60; sul metodo generale
della presente ricerca vedi S. Baciocchi [ et al. ],
La distribution des corps saints des catacombes à
l’époque moderne, de Rome aux Nations, in Les
pratiques du transnational, terrain, preuves, limites, a cura di J.-P. Zuniga, Parigi 2011 ).
1. Il reliquiario sulle vetrate della SS. Trinité de Vendôme e il reliquiario vuoto di Reims
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2. Et benedictus fructus ventris tui Iesus, et benedicta sit sancta Anna mater tua ex qua sine macula
caro tua processit virginea....
3. Luigi, conte di Blois e duca di Nicea e la Confraternita di S. Anna di Gand
3.1 La Confraternita di S. Anna di Gand nell'Autunno del Medioevo
3.2 La conquista della Bitinia/Ducato di Nicea da parte di Luigi di Blois
3.2.1 I lacerti dell'Impero d'Oriente
3.3 Il culto carmelitano del teschio di s. Anna e l'arrivo in Occidente nel XIII secolo
4. L'estinzione delle case imperiali Staufen e Doukas Vatatzes Làskaris e il ruolo dei conti
di Ventimiglia tra Aragona, Capeti e Palaiologos
5. I conti di Ventimiglia e il sangue imperiale dei Làscaris
6. La fondazione della Mare de Deu di Montblanch di Eudossia Làscaris e Santa Ana di
Montornés/Montblanch
7. La Cappella di S. Anna dei Giacobini di Parigi, il sepolcro dei conti di Alençon e Valois nei
secoli XIII e XIV
8. L'arrivo della reliquia di sant'Anna a Geraci e Castelbuono dalla Francia, secondo la
leggenda
8.1 Culto e leggenda di s. Anna: dal Trinubium alla Vita sancti Servatii
8.1.1 L'unzione a re di Carlo I d'Angiò esponenete del lignaggio divino di Iesse/Ysay secondo
il cardinale Eudes de Châteauroux
9. Movente, mezzi e opportunità: il culto di s. Anna e Maria d'Ungheria, regina di Sicilia, cugina
di Eudossia Làscaris
9.1 La diffusione del culto di s. Anna e di s. Maria Maddalena
9.1.2 La centralità del culto di s. Anna nella famiglia di Maria Arpad regina di Sicilia,
Gerusalemme, Ungheria e contessa di Provenza
9.1.3 Carlo II d'Angiò fondatore e patrono di S. Massimino di Provenza e S. Anna in S.
Lorenzo Maggiore di Napoli
Apt
9.1.3.1 I conti di Ventimiglia visconti di Marsiglia e le reliquie di s. Anna da Montrieux a
10. Grassatores et capud proditionis facte contra nos
10.1 Carlo d'Angiò e il commercio del sale
10.2 I conti di Ventimiglia, cospiratori, capi della sedizione e alleati dei Faydit provenzali
10.3 Il secondo esito della cospirazione, dopo i Vespri siciliani: la fine del sogno imperiale di
Carlo I d'Angiò
11. La prigionia di Carlo II d'Angiò nel castello "ventimigliano" di Cefalù, dal giugno 1284 al
novembre 1285, e la prigionia dei nipoti di Luigi IX
11.1 I debiti per la liberazione di Carlo II d'Angiò
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11.2 I nipoti di Luigi IX di Francia, 'affidati' a Eudossia Làscaris di Ventimiglia
11.2.1 Il patronato dei Doukai Vatatzes sulla Theotokos Pammakaristos, Costantinopoli e
gli Zaccaria di Genova
11.3 Qui en Xàtiva volrà entrar sobre nós haurà de pasar. Jaume I – Crónica. La Hermita de
Santa Ana de Jàtiva
11.4 Donna Vatatza di Ventimiglia e i poteri taumaturgici delle reliquie
11.4.1 Les rois thaumaturges contro i conti taumaturghi
11.4.1.1 Una guerra non-convenzionale: la potente arma dell'ideologia capetingia
12. L'avvicinamento dei conti di Ventimiglia ai Capetingi e il loro ruolo diplomatico nella
Guerra del Vespro
13. Il Trattato di Tarascona e il cardinale-vescovo di Sabina, Gerardo da Parma, reggente di
Napoli e legato apostolico a Reims
13.1 Il compromesso tra i conti di Ventimiglia e Carlo II d'Angiò, 1285-1290
14. I conti d'Ischia e il culto di s. Anna sin dall'XI secolo
14.1 San Guglielmo da Polizzi, i Ventimiglia e la teofania dei Nebrodi
14.2 Eudossia Làscaris contessa di Ventimiglia, gli Spinola di San Luca e Ramon LLull
14.2.1 La Crociata di Granada e i finanziamenti delle vedove benefiche
14.3 Dalle Marche a Palermo: Ugo da Talacchio e la fondazione di S. Anna delle Scale
14.4 S. Maria del Parto di Messina: la confraternita dei terziari francescani e lo spiritualismo
siciliano
14.5 Le ossa di s. Anna a Messina e l'Ordine delle sorores penitentes di S. Maria e Tutti i Santi
di Acri
15. I Filangeri di Candida, la contea di Geraci e le reliquie di s. Caterina d'Alessandria
16. Gerardo da Parma e le reliquie di s. Maria Maddalena trasportate da S. Massimino in S.
Giovanni in Laterano
17. La seconda legazione di Gerardo da Parma in Sicilia
18 Enrico II di Ventimiglia richiede a Carlo II d'Angiò l'investitura delle contee di Ischia e
Geraci.
19. I conti di Ventimiglia de excelso et magno genere...de alta sanch et de grand linatge
20. Conclusioni
________________________________________________________________
1.Il reliquiario sulle vetrate della SS. Trinité de Vendôme e il reliquiario vuoto di Reims
La sensibilità di Pietro I d'Alençon nei confronti delle reliquie è testimoniata in una vetrata dell'
abbazia della Trinità di Vendôme, dove è rappresentata la consegna, da parte del principe capetingio
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all'abate, del reliquiario della Santa Lacrima di Cristo, ovvero di un prezioso manufatto racchiudente
una delle lacrime, secondo la leggenda, profuse dal Salvatore in occasione della morte di s. Lazzaro
fratello si s. Maria Maddalena. ( J.-B.Vaivre .Une représentation de Pierre d'Alençon sur les verrières
de la Trinité de Vendôme (circa 1280), "Bulletin Monumental", 140 (1982). 4., p. 305-313 ). Il
Lazzaro della leggenda visse a Cipro fondando il monastero di Kykkos dove fu conservato un
frammento del teschio di s. Anna. Vendôme, dove appare l'immagine del conte d'Alençon e della
reliquia, appare molto lontana dalla contea siciliana di Geraci, dove finì la reliquia di s. Anna. Ma è
solo un'impressione; i luoghi in realtà sono prossimi. Vendôme alla fine del Duecento - quando
nascono le vetrate della Trinità - è la casa della contessa Eleonora de Montfort, sorella di Giovanni,
conte di Geraci nel 1271, al posto del filo-svevo Enrico II di Ventimiglia, futuro proprietario del
teschio di s. Anna. Non solo, altra sorella di Giovanni, Laura, fu la contessa di Comminges moglie di
Bernardo VII, in lotta con la contessa Làscara di Ventimiglia, per il controllo della contea pirenaica di
Pallars Sobirà. Giovanni de Monfort, signore di Castres-en-Albigeois, la Ferté-Alais e Bréthencourt,
aggiunse nel Regnum alla paterna contea di Squillace, quella di Montescaglioso oltre a molti altri
castelli (Alba, Soverato, Satriano, Gravina, Belvedere, Salandra Camarda, Pomarico, Craco, Uggiano,
Montepeloso etc.) divenendo come regio vicario generale uno dei più stretti collaboratori degli Angiò
di Napoli, sino alla morte dell'1 dicembre 1300. Eleonora de Montfort fu moglie, dopo il 5 maggio del
1295, di Giovanni V conte di Vendôme, il quale segue Pietro d'Alençon in Sicilia nel 1282. Inoltre, il
conte Giovanni de Vendôme fu fratello di Pietro, canonico della cattedrale di Tours, forse da
identificare con l'omonimo Pietro da Tours, arcidiacono e poi vescovo di Cefalù dal 1269 al 1274, in
strette relazioni con il conte Enrico II di Ventimiglia. ( A. de Sainte-Marie, A. de SainteRosalie, Histoire genealogique et chronologique de la Maison Royale de France..., Parigi 1726, 1., p.
432).
Per Pietro d'Alençon molto più rilevante della reliquia di Vendôme, anche per gli intensi pellegrinaggi,
fu l'acquisizione del controllo del santuario di Chartres, dove negli anni a seguire è testimoniata la
presenza solo di reliquie secondarie di s. Anna, come alcuni frammenti di una costola e del teschio.
La présence de quelques reliques insignes est bien sûr attestée, et on a justement souligné
l'omniprésence de l'iconographie mariale dans une cathédrale qui conservait la « chemise » ou «voile
» de la Vierge. On a aussi mis en relation l'arrivée du chef de sainte Anne en 1205 et la représentation
de la mère de la Vierge au trumeau du portail central au nord du transept et au centre des cinq
lancettes placées sous la rose nord...La relique la plus célèbre de la cathédrale de Chartres après la
chemise de la Vierge est le chef de sainte Anne, envoyé de Byzance par Louis de Blois en 1205, année
de sa mort devant Andrinople. La relique fut reçue à la cathédrale en grande cérémonie des mains de
sa femme Catherine, comtesse de Chartres, Blois et Clermont. Le chef était enveloppé dans un riche «
pallium » d'or, et trois autres « palliums » furent offerts à la cathédrale en même temps que la relique,
comme l'indique l'obit de la comtesse Catherine. Le chanoine Estienne situe le reliquaire « dans la
place la plus honorable » du second trésor.
Le chef était « dans un buste (hauteur 20 pouces), de vermeil doré, dont le visage est peint jusqu'aux
lèvres de couleur chair: le reste en est couvert d'une mentonnière de vermeil, qui se perd sous une
grosse draperie en tortillon, qui forme la coiffure, et dont le bout tombe sur l'épaule gauche ».
Estienne nous informe également que le reliquaire bénéficia de deux donations, l'une en 1343 de cent
livres parisis par Jean, sous-doyen, pour « faire le chef», l'autre en 1344 de quarante livres par Jean
de Chantemesle, chanoine, pour « rétablir le chef ». Il est donc probable que l'on réalisa au milieu du
XIV e siècle un nouveau reliquaire pour la tête de la mère de la Vierge, car on jugeait peut-être que le
réceptacle primitif n'était pas assez précieux [ o semplicemente perché restava un frammento del
teschio, che doveva essere celato nell'immagine scultorea del trecentesco busto-reliquiario, n.d.r. ].
Pianta della cattedrale di Chartres
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Una parte consistente del capo di s. Anna sembra
sia stato accolto nella omonima cappella - attestata
prima del 1240 – della cattedrale di Reims fatta
erigere dall'arcivescovo capetingio Enrico di
Dreux (1227-1240), ma già in epoca antica il
relativo reliquiario in rame dorato risultava vuoto.
Potrebbe dunque trattarsi della reliquia traslata in
potere dei conti di Ventimiglia. Naturalmente
resta da comprendere le circostanze che poterono
portare alla trasmissione della reliquia dai
Capetingi ai conti liguri. ( G. Marlot, Histoire de
la ville, cité et université de Reims métropolitaine
de la Gaule Belgique, Reims 1846, 3., p. 526; J.P. Ravaux, Les campagnes de construction de la
cathédrale de Reims au 13. siècle. "Bulletin
Monumental", 137 ( 1979 ). 1., p. 9, 56: Archives
Marne, dépôt annexe de Reims, G 414:
chapellenie fondée entre 1230 et 1239. Elle se
trouvait dans la chapelle rectangulaire sud ).
Il nipote dell'arcivescovo Enrico, Giovanni di
Bretagna, nel 1236 aveva sposato Bianca di Navarra, accedendo al trono navarrese. La nipote di
Giovanni, Alice di Bretagna, diverrà la suocera di Pietro I d'Alençon. Si è pure ipotizzato che il
monastero di Ourscamp presso Noyon avesse ricevuto le reliquie di Reims mancanti, ma queste in
realtà provengono da Apt in Provenza, e in epoca molto più tarda, alla fine del Quattrocento:
l'antique abbaye d'Orcamp, près Noyon en Picardie , garde avec beaucoup de vénération une autre
portion du crâne, qu'elle tient de Mathieu de Boys, à elle léguée par testament de son père Simon de
Hoye, qui l'avait reçue lui-même du Chapitre d'Apt en 1496, étant lieutenant‘ du roi en Provence; un
titre authentique l'atteste ( X. Mathieu, De la dévotion a sainte Anne mère de la vierge Marie, ou du
culte que l'on rende a ses reliques dans l'ancienne cathédrale d'Apt en Provence, Apt 1861, p. 23 ).
Il reliquiario vuoto del capo di s. Anna, proveniente dalla cattedrale di Reims
2. Et benedictus fructus ventris tui Iesus, et benedicta sit sancta Anna mater tua ex qua sine macula
caro tua processit virginea....
L'obituario di Chartres così rammenta i benefattori Luigi e Caterina di Blois, donatori del capo di s.
Anna, e il canonico Giovanni Lambert, fondatore della cappella di s. Anna, defunto intorno al 1260:
Obiit Ludovicus, illustris comes Blesensis, qui ad partes transmarinas in servicium Dei iter
aggrediens, septem libras et dimidiam nobis dédit et assignavit, in molendinis suis de Carnoto
annuatim percipiendas, ad suum et matris sue Adelicie et uxoris sue Katerine anniversaria in hac
ecclesia celebranda, scilicet quinquaginta solidos pro unoquoque. Qui etiam caput sancte Anne,
matris béate Virginis genitricis Dei, apud Constantinopolim acquisivit et huic sancte ecclesie cum
pallio precioso transmisit. Unde ex tali presentatione thesauri et susceptione materni capitis in domo
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filie, facta leticia magna in populo, clerus hujus ecclesie
et comitissa Katerina, que ex parte predicti comitis viri
sui caput presentavit, in id concorditer convenerunt, pro
intuitu statuendo, ut singulis annis de oblationibus factis
predicto sancto capiti centum solidi in augmentum et
ampliorem venerationera anniversarii ejusdem comitis
adderentur; ex qiuibus distribuerentur sex denarii
singulis non canonicis et residuum canonicis qui
anniversario intéressent, et preterea conferrentur ex
eisdem oblationibus centum solidi, pro remedio prefati
comitis, ejusdem die obitus, ad refectionem pauperum de
Elemosina Carnotensi.
Et multa alia huic ecclesie bona fecit. ( Item habemus L
solidos per argentarium seu receptorem comitis
Carnotensis, et debent reddi in medio mensis aprilis ). Et
Katerina , nobilis comitissa Blesensis et Clarimontis, que
caput beate Anne, matris beatissime Virginis Dei
genitricis Marie, a viro suo, illustri comite Ludovico,
apud Constantinopolim acquisitum et huic missum
ecclesie, cum precioso pallio presentavit et tria alia
pallia preciosa eidem ecclesie dédit; ad cujus anniversarium in hac ecclesia celebrandum dictus
comes vir suus quinquaginta solidos assignavit, sicut in obitu ejusdem comitis suprascripto plenius
continetur; et ad augmentum ejusdem anniversarii Theobaldus, comes, filius suus, quinquaginta
solidos superaddidit, sicut in obitu ejusdem comitis suprascripto plenius continetur. Obiit magister
Iohannes Lamberti, quondam canonicus Carnotensis; pro cujus anniversario habemus quatuor
trituratores in granchia de Clausovillari; item residuum redditus, exitus et proventus terrarum quas
ipse acquisivit in territorio de Vovis, deductis et solutis presbitero altaris béate Anne qui pro tempore
erit, quod idem magister fundavit, duodecim libris annui redditus, quas idem presbiter habet quolibet
anno in terris predictis, occasione fundamenti altaris predicti ( Cartulaire de Notre-Dame de
Chartres, a cura di E. de Lepinois, L. Merlet, Chartres 1865, 3., p. 62, 89, 178 ).
le porche nord de la cathédrale paraît commémorer par une de ses statues la récente acquisition de
cette précieuse relique. On voit, en effet, adossée au trumeau du portail central, non pas la Vierge
portant l'enfant, comme le voudrait l'usage, mais sainte Anne portant la Vierge. Cette singularité se
reproduit a l'intérieur, où un des vitraux de la claire-voie placée sous la rose du nord nous montre
aussi sainte Anne tenant la Vierge enfant dans ses bras. Il est visible qu'on a voulu honorer d'une
façon toute particulière la mère de Marie et que la présence de son " chef" dans l'église peut seule
explicjuer la place insolite qu'elle occupe ( P.-V. Charland, Le culte de sainte Anne en Occident.
Seconde Période: de 1400 (environ) à nos jours, Quebec 1921, p. 336 ).
La fondazione della cappella di s. Anna in Notre-Dame di Reims, è posta sotto il patronato di
Giovanni, conte di Roucy, cognato dell'arcivescovo Enrico, per averne sposato la sorella Isabella, e nel
secolo successivo sotto quello di Giovanni II di Chatillon-Porcéan, signore de Dampierre, Sompuis e
Rollaincourt, pronipote di Gaucher V de Chatillon-Porcéan, che reincontreremo in conclusione..
Cette chapelle fut fondée en 1239, par Guichard de Château-Porcien, chanoine de Reims, constituant
en dot au chapelain de la quatrième chapelle de l'autel de Saint-Anne, 57 septiers à prendre sur les
moulins de Neufchâtel, que lui avait laissés son oncle Ebale de Roucy, autrefois chanoine de
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Reims...Cette donation est confirmée par une charte de Jehan, comte de Roucy, du mois d'Octobre de
l'année 1239. ( Pouillé de Reims. — Lay. 28, lias. 47, n° 2. )
La seconde chapelle était de l'ancienne congrégation, à la nomination du tournaire. Le titulaire avait
droit à une des stalles du choeur, du côté droit; il était chargé de quinze messes, et payait 22 livres 11
sols de taxe sur l'estimation de 150 livres aux décimes. Cette chapelle fut fondée par le même
Guichard de Château-Porcien. Il créa 10 livres de rente sur le vinage de Chasteau, en faveur des
chapelains de la troisième chapelle de Sainte-Anne. ( Pouillé de Reims. — Lay. 28, lias. 46, n° 1. )
Cette chapelle fut l'occasion de quelques contestations, car, en 1281, le doyen et le chapitre faisaient
une convention entre eux pour la présentation du chapelain. ( Lay. 28, lias. 46, n° 2. )
Cette chapelle et les 10 livres de rente furent confirmées par Jehan de Chastillon, comte de Porcien, le
1er Juin 1350. ( Charte avec scel, lay. 28, lias. 46, n° 5. ) ( Ch. Cerf, Histoire et description de NotreDame de Reims, Reims 1861, 1., p. 447-448 ).
Le vestigia dei manieri ventimigliani di Ollioules e Evenos
presso la foresta di Montrieux, dove, nella locale Certosa, si
conservavano dal 1252 alcuni frammenti del teschio di s.
Anna.
Le trésor de la cathédrale possédait d'autres
reliques de sainte Anne, en particulier sa «
pantoufle » dont le chanoine Estienne dit qu'elle
avait été « rapportée du Levant avec la relique ».
Elle était conservée dans une châsse d'argent
jusqu'en 1563, quand la châsse fut saisie et la
pantoufle remisée dans une simple galoche en
bois. La châsse dite « de Tous les saints », qui
rassemblait des reliques ayant perdu leur écrin,
contenait également une relique identifiée par une
authentique: « De beata Anna, matre beatae
Mariae », et une autre encore de la Porte dorée: «
De Portis Aureis ». La date d'arrivée de ces deux
dernières reliques est indéterminée, et l'on ne peut
affirmer avec certitude qu'elles ont eu, comme le
chef, une incidence réelle sur les choix
iconographiques ( vedi nota successiva riferita a Lautier Claudine ).
Tuttavia nel 1232 il cavaliere Geoffroy du Soleil introduce in Francia alcune reliquie di s. Anna e s.
Maria Maddalena, autenticate dal patriarca di Gerusalemme, altri frammenti del capo di s. Anna sono
presenti nel 1252 nella certosa di Montrieux presso Tolone, fondazione quest'ultima collegata al
santuario della Sainte Baume e al culto di s. Maria Maddalena sin dal XII secolo ( R. Wyche, A
Provençal Holy Land. Re-reading the Legend and the sites of Mary Magdalene in southern France,
“Collegium medievale”, 29 ( 2016 ), p. 115: Et de capite sancte Anne matris gloriose virginis Marie ).
Le reliquie furono donate dal du Soleil, di ritorno dalla Sesta Crociata, all'Abbazia cistercense di
Voisins, inserita nel territorio e ressort feudale di Hugues II Le Loup de Senlis ( + 1247 ), signore di
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Villepinte e Charenton. L'abbazia, all'interno dell'arcidiocesi di Chartres, godette pur diverse
donazioni dai conti di Blois e Chartres ( C. H. Berman, The White Nuns: cistercian abbeys for women
in medieval France, Philadelphia 2018, p. 273 ).
Sainte Anne, n'était pas fêtée à Chartres au XIII siècle, ainsi qu'on le constate dans le Veridicus.
Après l'arrivée du chef, elle fut célébrée au siècle suivant avec faste le 26 juillet avec le rang de fête
double. Ce jour-là, on ornait entièrement l'église et l'on se rendait en procession au chef de la sainte.
Il apparaît donc clairement que la présence de la relique a provoqué un changement spectaculaire
dans la liturgie. Immédiatement après l'arrivée de cette relique majeure, le programme
iconographique sculpté fut modifié, tout comme celui des vitraux, ce qui témoigne avec éloquence de
l'importance qu'on accordait aux précieux restes. En effet, une figure de sainte Anne est sculptée au
trumeau du portail central du bras nord du transept, là où on attendrait une statue de la Vierge
puisque le linteau et le tympan sont consacrés à Glorification de la Vierge-Eglise. Pour le vitrail, au
centre des cinq lancettes situées sous la rose nord, on a de nouveau représenté sainte Anne portant
Marie enfant ( baie 121 ) ( fig. 8 et 49 ), qui fait ainsi face à l'image de la Vierge à l'Enfant placée au
centre des lancettes placées sous la rose sud ( baie 122 ) ( fig. 56 ).
Dans les autres verrières, il ne faut pas mésestimer la place de sainte Anne dans la partie basse de la
Vie de la Vierge (baie 28b). En effet, au-dessus des panneaux consacrés aux donateurs, qui montrent
les vignerons devant Thibaud comte de Chartres, huit scènes se rapportent à l'Histoire d'Anne et de
Joachim et à la Naissance de la Vierge (fig. 51 et 52). Une lancette de la baie 125, dans le bras nord
du transept, est également consacrée à Anne et Joachim. Actuellement, le vitrail est moderne, puisqu'il
s'agit d'une réalisation de Coffetier de 1880.Néanmoins, les sujets choisis par le peintre-verrier
correspondent à la description du vitrail primitif que donnait Pintard au début du XVIIIe siècle: audessus de la donatrice sont représentées l'Annonce à Joachim et la Rencontre à la Porte dorée, qui
reprennent les épisodes racontés dans la verrière du XIIL siècle disparue. ( C. Lautier Claudine, Les
vitraux de la cathédrale de Chartres. Reliques et images, “Bulletin monumental”,161 ( 2003 ), p. 57 ).
Nondimeno, l'affermazione che s. Anna non sia festeggiata nella liturgia di Chartres nel Duecento è
priva di fondamento - e peraltro contrasta sonoramente con il fiorire duecentesco dell'iconografia a lei
dedicata nella catttedrale -: nel 1280 la festività di s. Anna è tra le dieci principali del calendario
liturgico, e i canonici di Chartres introducono la celebrazione dell'immacolata concezione di Maria,
sulla scorta delle teorie del teologo/filosofo francescano Duns Scoto, che coinvolgono direttamente la
madre s. Anna. Inoltre, almeno dal 1260, è pur documentato l'altare di s. Anna: Pro quolibet duplici
festo, quando ponitur candelabrum, V. cereos, et ponitur candelabrum ad Pascha, ad Penthecosten,
ad festum sancte Anne, ad Assumptionem, ad Nativitatem beate Marie, ad Dedicationem, ad festum
Omnium-Sanctorum, ad Natale Domini, ad Purificationem, ad Annuntiationem.
Il 29 dicembre 1250 moriva l'arcidiacono Guglielmo, che lasciava alla cattedrale di Chartres duecento
lire di capitale, per creare una rendita utile all'acquisto delle candele nelle solennità maggiori:
faciendum luminare circa altare ad honorem gloriose Virginis et filii sui; quod ardebit in
sollempnitatibus inferius annotatis: primo in vigilia Natalis Domini, et ardebit in tota sollempnitate, et
in die Circoncisionis, Epyphanie, Purificationis et Annunciationis; secundo renovabitur in Pascha, et
ardebit tota sollempnitate paschali et tribus diebus sequentibus et in Ascensione et tota sollempnitate;
tercio renovabitur in sollempnitate Penthecostes, et ardebit in tota sollempnitate et tota ebdomada
sequenti ad completorium, et in die Trinitatis et in festo beate Anne; quarto renovabitur in
Assumptione béate Marie,- et ardebit in tota sollempnitate, et simili modo in Nativitate ejusdem et in
festo Dedicationis.
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Il 14 marzo di un anno vicino al 1260 era morto il canonico Giovanni Lambert, fondatore della
Cappella di S. Anna, dotata di un reddito annuo di 12 lire. ( Cartulaire de Notre-Dame de Chartres, a
cura di E. de Lèpinois, L. Merlet, Chartres 1862, 1., p. CXLI; 3., p. 5, 62 ).
3. Luigi, conte di Blois, duca di Nicea e la Confraternita di Gand
Il primo elemento che lega i possessori del capo di s. Anna e i conti di Ventimiglia, imparentatisi e
eredi degl imperatori bizantini di Nicea, è il comune interesse a rivendicare i possessi e titoli imperiali
niceni. Nell'aprile del 1205, come osservato, le truppe crociate e dei Veneziani subiscono una terribile
sconfitta ad Adrianopoli ad opera dei Bulgari e dei Cumani. L'esercito è distrutto, Baldovino è fatto
prigioniero e il doge Enrico Dandolo ferito gravemente. Muore nella battaglia Luigi di Blois,
pretendente di Nicea.
Lors du partage du butin et des terres, Louis de Blois eut une part en rapport avec son rang et
l'importance de ses troupes. Il reçut donc le chef de sainte Anne, qu'il fit envoyer à Chartres, et des
reliques de saint Pierre et de saint André, que la comtesse Catherine apporta à Beauvais en 1206.
Baudouin lui remit également le duché de Nicée, à l'est de Constantinople, pour la conquête duquel il
envoya deux de ses meilleurs vassaux, Pierre de Bracheux et Payen d'Orléans. Mais en mars 1205 les
Grecs de Thrace se révoltèrent. Sans attendre l'arrivée de ses vassaux, Louis marcha sur Andrinople
(l'actuelle Edirne) avec cent quarante chevaliers seulement et planta son camp devant la ville. Or une
forte armée de Coumans, qui soutenaient la ville rebelle, se présenta devant la troupe des croisés. Le
14 avril 1205, dans une manoeuvre inconsidérée qui faillit provoquer la ruine du jeune empire latin,
Louis de Blois, suivi de l'empereur Baudouin et d'un grand nombre de chevaliers, se lança à la
poursuite des Coumans. Mais ceux-ci les attirèrent dans une embuscade au cours de laquelle Louis
périt, ainsi qu'Etienne du Perche, Renaud de Montmirail et un grand nombre de chevaliers. Baudouin
de Flandre fut pris vivant et il mourut prisonnier vers 1206. Son frère Henri de Hainaut prit alors la
régence de l'empire d'Orient, puis fut couronné empereur. L'obit de Louis de Blois est inscrit au 15
avril dans le nécrologe de la cathédrale de Chartres. ( C. Lautier, Les vitraux de la cathédrale de
Chartres, p. 3-93 ).
La sorella di Luigi, Margherita di Blois, aveva sposato, nel 1190, Ottone Senzaterra di Hohenstaufen
conte palatino di Borgogna e rimasta vedova nel 1200 era passata al matrimonio con Gauthier II
d'Avesnes nel 1204, dal quale nacque Maria d'Avesnes moglie di Ugo I di Chatillon, da cui discese la
moglie di Pietro d'Alençon e altri eredi che incontreremo di seguito. Ottone, quartogenito del
Barbarossa, regnava tra Strasburgo e lo splendido palazzo alsaziano di Hagenau, dove giunsero alcune
fra le prime reliquie di s, Anna in Occidente, nel corso del XII secolo ( J.-Y. Mariotte, Les Staufen en
Alsace au XIIe siècle d’après leurs diplômes, "Revue d’Alsace" 119 ( 1993 ), p. 43-74 ).
3.1 La Confraternita di S. Anna di Gand nell'Autunno del Medioevo
A mezzo tra una pia istituzione e un'ordine cavalleresco dinastico-militare, l'Arciconfraternita di S.
Anna credo costituisca un unicum straordinario nel panorama storico, almeno a mia conoscenza. Se
non altro, per tal motivo, val la pena soffermarvi l'attenzione, per misurare la portata dell'argomento
trattato. Le prime reliquie, in assoluto,in Occidente della santa gerosolimitana, probabilmente giunsero
a Gand, in Fiandra, il 15 aprile del 1101. Ne fanno fede un decreto del 18 luglio del 1101 di Pasquale
II – antecedente una dozzina d'anni l'istituzione dell'Ordine di S. Giovanni Battista di Gerusalemme
del medesimo pontefice – poi ripreso in privilegi e indulgenze di Alessandro VI e Urbano VIII. In tal
modo, un'iniezione determinante al culto di s. Anna fu offerta al Paese - le Fiandre - a cui Goffredo di
Buglione, duca della Bassa Lorena e Avvocato del Santo Sepolcro, donò, prima di morire nel luglio
1100, un' importante reliquia della santa, posta nella chiesa di Sint Niklaas di Gand, sulla Schelda, in
onore del compagno d'armi Roberto II conte di Fiandra, cognato di Ruggero Borsa d'Hauteville duca
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di Puglia. Roberto, dopo il successo della prima crociata e la conquista di Gerusalemme, rinunciò a
ogni possedimento conquistato in Terrasanta e rientrò in patria, affidata al governo della moglie
Clemenza di Borgogna. La volontà di Goffredo fu realizzata dal fratello, re Baldovino I di
Gerusalemme, e tra i primi confratelli della neonata istituzione fiamminga il papa iscrisse i medesimi
donatori; Baldovino e il defunto Goffredo. Si può forse dubitare di una data tanto remota di
fondazione della pia confraternita, ma è indubbio che la diffusione della liturgia relativa a s. Anna si
sviluppa in nord Europa e nell'Inghilterra normanna proprio tra la fine dell'XI e i primi decenni del XII
secolo, contemporaneamente all'arrivo presunto delle reliquie in Fiandra, contea strettamente saldata
alla monarchia normanna, avendo contribuito alla conquista dell'isola e pretendendo un tributo annuo
per tali ragioni dagli stessi sovrani normanni:
The earliest surviving liturgical texts for the feast were composed in the 1130s by Osbert of Clare,
prior of Westminster, for Worcester Cathedral [ … ] The Protevangelium Jacobi was also present at
the abbey of Bury St Edmunds by 1100, where, around the same time, the Trinubium text appeared for
the first time in England ( K. Ihnat, Early evidence for the cult of Anne in Twelfth-century
England,“Traditio”, 69 ( 2014 ), p. 1, 5 )
Dopo i sovrani di Gerusalemme, il registro confraternitale annovera fra i membri più illustri
l'imperatore Federico I Hohenstaufen, nel 1153, e il suo pronipote re Enrico VII nel 1224, già
conosciuti come appassionati ospiti del palazzo alsaziano di Hegenau, dove, nella cappella del S.
Salvatore, almeno dal 1183 si conservava altra reliquia di s. Anna. Seguono poi in parata un lungo
elenco di sovrani e duchi di Borgogna, Brabante e Lorena. Nel 1315 entrano nell'esclusiva
confraternita di s. Anna la regina Giovanna di Borgogna e nel 1351 il figlio Giovanni II di Francia,
fondatore nello stesso anno dell'Ordre de Notre-Dame de l'Étoile. L'ordine della Stella che forse ispirò
nel Quattrocento l'ordine della Stella fondato da Alfonso il Magnanimo e, in Messina, dal marchese
Giovanni I di Ventimiglia. E sicuramente quello del Nodo, fondato nel 1352 da re Luigi I di Sicilia,
figlio di Filippo I di Taranto. La lista della nobile Confraternita di S. Anna è però molto affollata:
Nous pouvons cependant y démêler encore les noms de Philippe le Hardi et de sa femme, Marguerite
de Flandre ( 1384 ); de Phihppe le Bon, duc de Bourgogne; d'Isabelle, fille du roi Jean de Portugal (
1477 ); de Charles le Téméraire avec sa femme Catherine, fille de Charles VII, roi de France; de
Marguerite, sœur du roi Edouard d'Angleterre ( 1477 ); du noble seigneur Jean de Luxembourg,
lieutenant de Philippe le Bon; de Philippe II, roi des Espagnes et des Indes; de Marguerite de Parme,
régente des Pays-Bas; de Marie, reine d'Angleterre; des sérénissimes Albert et Isabelle, archiducs
d'Autriche et ducs de Bourgogne; du très excellent Don François de Mello, suprême régent des PaysBas, rendu célèbre par sa défaite à Rocroy, etc. ( Charland, Le culte de sainte Anne en
Occident, p.111 ).
A Gand si incontra il marchese di Geraci, Simone II di Ventimiglia, nel novembre del 1556 al
giuramento prestato da Filippo II d'Asburgo di rispettare i privilegi di Palermo, al cospetto di altro
esponenete di ramo distinto dei conti di Ventimiglia; ovvero di Vincenzo del Bosco di Ventimiglia,
inviato della capitale siciliana. Ramo familiare quest'ultimo che nei primi decenni del secolo seguente
ottenne brevetto dell'Ordine del Toson d'Oro. Il marchese di Geraci si trasferì alla corte
fiamminga "per fermarsi continuamente et risieder appresso questa Regia Maestà" sin quasi alla fine
del 1558, partecipando con il fratello Carlo - futuro conte di Naso, gentiluomo di camera regia e
cavaliere di S. Giacomo della Spada - alla Battaglia di S. Quintino dell'11 agosto del 1557, come
membri dello Squadrone Reale. Il marchese siciliano non ottenne il collare del Toson d'oro, ma forse
d'allora, in sua vece prestigiosa, i marchesi di Geraci iniziarono a indossare la catena d'oro regggente il
reliquiario di un dente di S. Anna, successivamente documentata. Poi, fra il 1588 e il 1590, Francesco
di Ventimiglia, figlio del conte di Naso, fu ancora nel Brabante come capitano del Tercio Lombardo.
Nondimeno, la Confraternita di S. Anna fu aperta alla partecipazione delle maggiori case sovrane
europee:
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Les reliques de sainte Anne et celles des compagnes de sainte Ursule sont conservées dans une châsse
hexagone de bois d'ébène, incrustée d'écaillé et garnie de ciselures d'argent. Cette esquisse historique,
quoique succincte, suffira pour faire apprécier l'importance d'une confrérie qui remonte à une haute
antiquité et qui compte parmi ses membres, depuis son origine jusqu'à la fin du XVIIIe siècle, les
princes les plus puissants de l'Europe.
Una pubblicazione del XVIII secolo, tratta da un manoscritto del 1642, annovera tra i membri della
Confraternita di S. Anna lo stesso Filippo II d'Asburgo e il padre Carlo V, ( nel 1552 ) - nativo di
Gand - oltre un lungo elenco di duchi di Borgogna e notabili fiamminghi, a proseguire dal capetingio
Filippo II l'Ardito di Borgogna:
Illustrissimus et potentissimus D. Philippus Audax, dux Burgundiae, comes Flandriae, etc. Primus in
dignitate inter Belgarum comites primus in pietate erga mag. matrem Annam cura lectissima sua
coniuge Margareta, anno Domini 1384.
Joannes dux Burgundiae etc. cum nobilissima coniuge Margareta Alberti ducis Bavariae filia
anno Domini 1407.
Philippus Bonus dux Burgundiae et cum dilectissimae coniugibus Michaela, Caroli VI. Gallorm regis
filia: Bonna; et Isabella, Joannis Regis Lusitaniae filia, anno Domini 1437 [ Filippo III il Buono,
fondatore dell'Ordine del Toson d'oro nel 1430 n.d.r. ].
Carolus Audax, dux Burgundiae, etc. cum coniugib. Catharina Caroli VII Francorum regis
filia: Isabella, Caroli ducis Borboniae: et Margareta sorore Edoardi Anglorum regis,
hunc confraternitatem illustravit anno Domini 1473...
( O. Cancila, I Ventimiglia di Geraci ( 1258 - 1619 ), 2., Palermo 2016, p. 310; K. De
Volkaersbeke, Les églises de Gand, 2., Eglises paroissiales et oratoires, Gand 1858, p, 170-171, 198;
T. Brandenbarg, W. Deeleman-van Tyen, L. Dresen-Coenders, Heilige Anna, grote moeder. De cultus
van de Heilige Moeder Anna en haar familie in de Nederlanden en aangrenzende streken, Nimega
1992, p. 69; Oorspronck beginsel ende audtheyt der devotie tot de H. Reliquien ende Beeldtvan de H.
Moeder Anna, Gand 1725, p. 25 - 27 ).
3.2 La conquista della Bitinia/Ducato di Nicea da parte di Luigi di Blois
Lors dona l'empereres Baudoins au comte Loeys la duchée de Niqué, qui ere une des plus hautes
honors de la terre de Romenie, et séoit d'autre part del Braz [ oltre il Bosforo rispetto a Costantinopoli
n.d.r. ] ( Joffrois de Vile-Hardoin, La croisade de Constantinople, 67. ).
A Nicea si era organizzato - a seguito della caduta di Costantinopoli in potere latino nell'aprile del
1204 - un dominato bizantino sotto la guida di Teodoro I Làscaris, il quale, inizialmente, assunse il
titolo di despotes, ovvero signore assoluto membro della famiglia imperiale; Teodoro era genero di
Alessio III Angelos e dunque era imparentato con un antico esponente dell'Impero e della dinastia
regnante a Costantinopoli. Inoltre, Teodoro era il fratello di Costantino Làscaris, uno tra gli ultimi ed
estremi difensori della capitale nella drammatica notte del 12 aprile e che fu, nella concitazione, eletto
imperatore contro Alessio V Doukas Mourtzouphlos ma, ovviamente, non poté essere incoronato. Il
principato o despotato di Teodoro Làscaris andava dall'Egeo fino ai confini con il sultanato
d'Iconio, identificandosi con l'Anatolia occidentale e centrale, escludendo gran parte delle coste
settentrionali che erano cadute nelle mani dell'impero latino.
Mais celui qui fit le plus grand rôle en Asie, et qui perpétua chez les Grecs la succèssion impériale, fut
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Théodore Lascaris. Au moment de la prise de Constantinople, après la fuite de Murzuphle, lorsqu'on
n'attendait que le saccagement et le carnage, Théodore avait osé prétendre au nom d'empereur, et
semblait ne l'avoir reçu de ses malheureux compatriotes que comme un titre de funérailles. Échappé
cependant au glaive et aux fers des Latins, il avait passé le Bosphore avec sa femme Anne Comnène,
qui, étant fille d'Alexis III, lui donnait des droits à la souveraineté. Il se présenta avec elle aux portes
de Nicée, ne s'annonçant que sous le nom de despote Alexis son beau père. Les Grecs, maîtres de la
ville, refusèrent d'abord de le recevoir; et ce ne fut qu'à force de prières qu'il les engagea enfin à
donner du moins un asile à sa femme, fille de leur prince légitime. Il la confia entre leurs mains et
partit pour rassembler les Grecs fugitifs. Il forma une petite armée, avec laquelle il fit des courses aux
environs de Pruse, et s'empara de quelques châteaux. Trop faible pour se soutenir long-temps, il eut
recours au sultan d'Icône, dont il était ami, et en obtint des secours qui le rendirent maître de Nicée,
de Pruse et de presque toute la Bithynie.
Sant'Anna di Chartres con la Vergine e il libro, secondo la classica
iconografia della madre di Maria, che ricorda l'effige con libro della Mare
de Deu de la Serra. La vetrata di Chartres fu commissionata e offerta negli
anni 1226 - 1234 dalla regina reggente di Francia, l'anscarica Bianca di
Castiglia, madre. tra gli altri, di re Luigi IX e Carlo I d'Angiò.
Louis, comte de Blois, avait été investi du
domaine de cette province, sous le titre de
duc de Nicée, fit partir, vers la Toussaint,
Pierre de Bracheux et Payen d'Orléans,
avec cent chevaliers, qui, s'étant rendus à
Gallipoli, passèrent l'Hellespont, et prirent
port à Pèges, ville maritime, possédée par
les Latins dès le temps des empereurs
grecs. Ils fortifièrent le château de
Palorme sur la Propontide, et, après y
avoir mis garnison, ils entrèrent plus avant
dans le pays. Cependant Théodore
Lascaris, prince grec de Nicée, avec ce
qu'il avait de Grecs rassemblés de toutes
parts, et les secours du sultan d'Icône, se
mit en campagne pour arrêter leurs
progrès. Les deux armées se rencontrèrent
le 6 décembre, dans une plaine au-dessous
de Pénamène, sur les confins de la Mysie et
de la Bithynie. Les troupes de Théodore,
quoique plus nombreuses, furent défaites après un combat opiniâtre, et cette victoire rendit les
Français maîtres de Pénamène, de Lopade et presque toute la Bithynie jusqu'à Nicomédie; mais Pruse
résista à leurs efforts. Peu de jours après le départ de Pierre de Bracheux, deux autres corps partirent
de Constantinople.
L'un avait chef le prince Henri, frère de l'empereur, qui descendit dans l'Hellespont et s'empara
d'Abydos. Il en fit sa place d'armes, et reçut d'utiles se cours des Arméniens dispersés en grand
nombre aux environs de l'ancienne Troie, et mortels ennemis des Grecs. L'autre corps d'armée passa
le Bosphore vis-à-vis de Constantinople, sous la conduite de Macaire de Sainte-Menehould,
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accompagné de Mathieu de Valincourt et de Robert de Ronçoy. Ils marchèrent droit à Nicomédie,
qu'ils trouvèrent abandonnée, et où ils mirent garnison. Henri, suivant le conseil des Arméniens,
traversa ensuite la Troade, et arriva en deux jours à Adramytte, qui se rendit aussitôt. Peu de temps
après, Théodore Lascaris parut devant la place avec une nouvelle armée; mais, attaqué par les
Français, il fut encore vaincu, et sa défaite entraîna la soumission de tout le pays. Les Français se
trouvèrent ainsi maîtres des côtes du Bosphore, de la Propontide, de l'Hellespont, et de toute l'Asie
Mineure jusqu'à l'ancienne Eolide. Malheureusement, les vainqueurs furent rappelés en Europe par
un ordre de Baudouin, que menaçaient les Bulgares. ( C. Le Beau, Histoire du Bas-Empire, a cura di
M. Brosset, Parigi 1835, 17., p. 202-205 ).
3.2.1 I lacerti dell'Impero d'Oriente
In tutt'altra area geografica, e cioè nel cuore dei Balcani, Michele I Doukas Komnenos ( 1204 - 1215 )
fondò un regno autonomo con capitale in Arta, un piccolo centro agricolo dell'Epiro. Da Arta, Michele
controllava l'Epiro, la Grecia nord occidentale e la Tessaglia occidentale. Anche Michele poteva
vantare una parentela con la famiglia imperiale, essendo il bisnipote del grande Alessio I Komnenos. Il
principato o regno d'Epiro è conosciuto come despotato ma sul titolo di despota per Michele e il
suo successore, Teodoro Angelos Doukas Komnenos (1215 - 1230), ci sono forti dubbi tra gli storici.
A Trebisonda, ancora prima della caduta di Costantinopoli ma sempre nel 1204, si era proposto il
potere alternativo dei 'Megas Komnenoi', come si definivano. Alessio e Davide Komnenos erano
nipoti di Andronico I Komnenos, che era stato imperatore tra il 1183 e il 1185, per via di Manuele che
era un figlio di Andronico. Manuele, fuggito dall'impero dopo la rovina del padre, aveva sposato
una principessa georgiana e lì aveva stabilito il suo lignaggio. I Komnenoi 'georgiani' attaccarono e
presero Trebisonda, fondarono un impero autonomo sul Mar Nero, nella costa anatolica nordorientale, e Alessio assunse il titolo di basileus, ancor prima che a Costantinopoli si insediasse un
imperatore latino ( B. Osswald, L’idée d’Empire dans une province séparatiste: le cas de l’Épire (
13.-17. siècle ), "Rives méditerranennés", 58 ( 2019 ), p. 97 - 116 ).
3.3 Il culto carmelitano del teschio di s. Anna e l'arrivo in Occidente nel XIII secolo
Quo vero delatum postea sit idem S. Annae cranium, accipite. Est igitur in Asia regio, quam
Maryandinum vocant, Bithyniae contermina, in qua nobilissima stetit urbs Acone, veneno aconito
dira, quae tempore longo Christiana tandem per Othomannum Turcarum tyrannum sub annum
Domini millesimum trecentesimum destruitur, & Machometum agnoscere cogitur, ubi & fratrum
Carmelitarum, ad quatuor miliaria huic oppido vicinum concrematum est monasterium, fratribus
adhuc ibidem inventis pro fide Christi crudeliter trucidatis: aufugerant attamen prius aliquot, qui ossa
sacra permulta, & inter alia cranium В. Annae matris Deifaerae virginis in Europam asportaverunt:
nam ( ut Usuardus in Martyrologio scribit ) in civitate Aconensi dormitio seu mortis dies B. Annae
septimo Calendas Augusti a multis saeculis religiose & celebriter colebatur. [ ... ] Hodie Beatissimae
Annae Chrifti aviae caput, seu cranium, in Alemania inferiori, oppido Marco-duri, quod Marcus
quondam Agrippa ante Chriftum natum condidit, in Ducatu nunc Iuliacensi, quod brevitate gaudens
vulgus Duren appellat ritibus piis colitur & asseruatur, quinto-lapide ab Ubiorum Colonia
Agrippina ( L. Cupero, Beatae Annae Christi servatoris nostri aviae maternae genealogia et
vita, Antverp 1592, p. 140 - 142 ).
Secondo Cupero, provinciale dei locali Carmelitani, l'arrivo a Düren di una porzione del teschio di s.
Anna si situa nel 1300, ma altre fonti la pongono nel novembre del 1500, a seguito di un furtum
sacrum della reliquia proveniente da Magonza. Qui sarebbe giunta dalla Palestina nel 1212.
Interessante comunque la presunta relazione con la Bitinia e quindi l'Impero lascaride di Nicea,
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origine anch'essa presunta della reliquia. Anche se appare chiara una confusione tra Accon in Palestina
- dove è documentato l'insediamento dei Carmelitani - e il monastero di S. Anna di Leukate - a
occidente della capitale religiosa Nicomedia - dove il Synaxarion di Costantinopoli pone reliquie della
santa - ma si tratta di un'omonima Anna vissuta nel IX secolo -. Regione, questa di Nicomedia,
sottratta ai Latini da Giovanni III Doukas Vatatzes nel 1240, colui che nel 1212 aveva sposato Irene
Làscaris assumendone il cognome. ( Panou, The cult of s. Anna in Byzantium, p. 60 ).
L'Ordine dei Fratelli della B. Vergine Maria del Monte Carmelo è sorto, alla fine del secolo XII e
inizio del XIII, da un gruppo di uomini che, attratti dal richiamo evangelico dei Luoghi Santi si
"consacrarono in essa a Colui che vi aveva effuso il suo Sangue" in una vita di penitenza e di
preghiera. Essi si stabilirono al Monte Carmelo, presso la Fonte di Elia e ricevettero, su loro richiesta
una Forma di vita da Alberto, patriarca di Gerusalemme ( 1206-1214 ) che li costituì in unica
comunità di eremiti, attorno a un oratorio dedicato a Maria. Dopo la conferma di Onorio III ( 1226 ) e
Gregorio IX ( 1229 ), Innocenzo IV ( 1247 ) completò il loro cammino di fondazione e, con alcune
modifiche alla Forma di vita, li inserì tra i nascenti Ordini di Fraternità Apostolica ( Mendicanti )
chiamandoli a unire alla vita contemplativa la sollecitudine per la salvezza del prossimo. Nel
1238/1242 - a seguito del fallimento della crociata di Federico II di Svevia - i Carmelitani fondarono il
convento di Messina, in Sicilia, che fu considerato la casa madre delle istituzioni europee. Secondo
Vincenzo da Beauvais, che scrive a metà del Duecento, la grande migrazione dei Carmelitani in
Europa risalirebbe proprio al 1238: Post haec anno Domini 1238 propter paganorum insultus
compulsi sunt ab illo loco per varia regiones Mundi dipergi; la fonte del Cinquecento che attribuisce
al 1300 l'abbandono della Terrasanta e l'arrivo della reliquia di s. Anna non trova piena conferma;
anche perché Accon, dove insisteva uno dei più importanti conventi carmelitani, fu occupata dai
Turchi nel 1291. ( L: M. Saggi, Storia dell'Ordine carmelitano, Roma 1962-63, p. 37: Vita di S. Anna
madre di Maria vergine genitrice di Dio, protettrice dell'Ordine carmelitano, in G. M. Fornari, Anno
memorabile de' Carmelitani..., Milano 1690, 2., p.232 ).
Probabilmente già dal 1235, a causa delle difficili condizioni politico-religiose della Terrasanta,
alcuni carmelitani avevano fatto ritorno in Occidente. Alcuni avevano preso la strada del deserto di
Fortamia a Cipro, altri erano giunti in Sicilia, in Francia meridionale e in Inghilterra. Sicuramente le
fondazioni più antiche sono quelle di Valenciennes del 1235, di Cipro del 1238, di Les Aygalades
presso Marsiglia in Provenza intorno al 1238, di Aylesford e Hulne in Inghilterra del 1242 e di
Messina probabilmente degli anni ’30 del XIII secolo [...]
A mio avviso, si è voluta sintetizzare la Visione di Emerenziana sul Monte Carmelo (Fig. 17), soggetto
già rappresentato in ambito carmelitano. Emerenziana, madre di S. Anna, desiderava consacrarsi a
Dio, ma non sapendo cosa decidere poiché il padre l’aveva promessa ad un uomo “ricorse per tanto à
divoti Romiti del Carmelo per ottenere, mediante le loro orationi, qualche sollievo à suoi sospiri: da
quali ben subito essaudite le dilei domande, furono trè di questi rapiti in spirito, e viddero
rapresentarsegli avanti gli occhi una radice, dalla quale ne pullulavano, due tronchi: Dal primo
n’usciva una verga bellissima, sopra cui spiccava un fiore d’inestimabile bellezza, e fragranza che col
suo odore riempiva d’inesplicabile consolatione l’universo: dall’altro pure una verga bellissima, da
cui si vedeva uscire un’ fiore odoroso, che da se solo pensato era mirabile; mà in paragone del primo
sembrava un nulla. N’uscivano poscia dal primo tronco due altri rami, che in varij getti si
dividevano, tutti belli; mà al pari del primo restava la loro fragranza anientata. Quando frà
queste visioni sentissi una voce dal Cielo che disse: Haec radix est Emerentiana nostra,
magnae propagationi destinata”. In seguito a questa visione Emerenziana comprese di dover sposare
Stollano, dal quale avrebbe avuto Anna, madre di Maria da cui sarebbe nato Gesù, e Ismeria, da cui
nacque S. Elisabetta, moglie di Zaccaria e madre di Giovanni Battista. ( L. Turi, I carmelitani di
Puglia e la memoria della Terrasanta, "Ad limina. Revista de investigacion del Camino de Santiago y
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las peregrinaciones", 6 ( 2005 ), p. 177 ).
I Carmelitani rivendicarono la loro presenza nel monastero di S. Anna di Gerusalemme nel XIII
secolo, come si può dedurre da questi passi sull'origine dell'ordine:
Nel Comuento poi di S. Anna in Gierusalemme, doppo il P. Priore Gieronimo, che diede della regola
nostra i primi documenti al sudetto S. Angelo, al fratello suo Giouanni, soggetto di vita esemplare, e
di innocenza singolare, vi successe il P. Ilariane Prouinciale di Terrasanta, morto per mano de'
Saraceni, del quale parlando il nostro Generale Gio: Grossi nel suo Viridario, lo dimanda Santo;
soggiongendo, che il suo corpo si troua in Cipro in un certo luogo, o sia Castello detto di S. Ilarione,
riposto in nobile tomba sotto la custodia del Re di Cipro, che tiene di quella gelosamente le chiavi. Di
questo Ilarione fanno memoria molti nostri Autori riferiti nel tomo quarto de nostri Annali sotto
l'anno 1256.
S. Anna di Gerusalemme carmelitana: Che se poi hebbe Maria in Gerusalemme un'altra Casa, in cui
fu concetta, e nacque, come stimano altri: se è vero, ciò che molti dicono, che altra stanza sua, e de
suoi Genitori fosse in Gierusalemme, situata in Porta aurea; iui parimente ſuccessero al possesso
li Carmeliti con un loro Monastero nuovo, del quale fra molti altri discorre Hildesino lib. de princip.
Ordin, Fratr. Beatae Mariae de Monte Carmelo contra Detractores. cap. 14. Traditum tenemus ex
Patribus, quod primus Conventus Ordinis, post montis Carmeli Collegium fuit in loco, qui porta aurea
dicitur, in quo Ioachim, et Anna convenerunt, o in illam coniunctionem consenserunt, ex qua gloriosa
Virgo concepta fuit, et nata quasi diceret Beata Virgo, ibi debent morari Fratres mei, ubi primo
tractatum est de conceptione mea, Così anche Balduino Laertio Atrebatense in collectan.
Exemplorum, ei miraculorum cap. 1. disse Alium Comventum fecerunt in Porta aurea, vbi beata Virgo
fuit concepta. De hoc habetur in quadam cronica Romana, ubi dicitur, Tempore predicationis Domini
nostri Ieſu Chriſti Heremita de Monte Carmeli in Hierusalem accesserunt, quorum quidam anno
septimo a passione Domini regnante Romano Imperio usque ad tempora Titi, et Vespasiani
imperatorum, apud Hierusalem in Porta aurea consederunt religiose vivendo. ( Fornari, Anno
memorabile, p. 90, 728 ).
Se queste tradizioni dovessero indicarci una pista di ricerca, in una prima parziale conclusione,
dovremmo concludere che a Magonza il frammento di s. Anna giunge pochi anni appresso l'arrivo
della parte principale del teschio in Chartres ( 1205 e 1212 le datazioni ) e le due parti potrebbero esser
dunque saldate a una comune origine, non esattamente connessa a Costantinopoli, ma, attraversato il
Bosforo, a Nicomedia e all'impero di Nicea, passato inizialmente sotto l'autorità del conte di Blois, né
si può escludere che le reliquie di Mainz siano riferite a una omonima ma distinta s. Anna, monaca
vissuta nel IX-X secolo. Vedremo al punto 14.4 che a Messina alcune ossa di s. Anna e e reliquie della
santa giunsero - da Accon e Terrasanta - nei locali monasteri dell'Ordine di S. Maria e Tutti i Santi e S.
Maria di Monte Alto, il primo insediato contemporaneamente ai Carmelitani nella città siciliana,
intorno al 1238-1242. L'arrivo e ricongiunzione della parte principale del sacro teschio negli anni a
seguire in Sicilia, probabilmente intorno al Giubileo del 1300 e alla Pace di Caltabellotta del 1302,
potrebbe dunque esser saldato alla consanguineità e successione dei conti di Ventimiglia dagli
imperatori di Nicea, i Làscaris. Vedremo ora in qual misura e in quali termini e ciorcostanze.
4. L'estinzione delle case imperiali Staufen e Doukas Vatatzes Làskaris e il ruolo dei conti
di Ventimiglia tra Aragona, Capeti e Palaiologoi
Eudossia Làscaris di Ventimiglia, 'infanta' di Grecia ed erede porfirogenita del padre Teodoro II, ebbe
lontana origine comune con la moglie di Pietro d'Alençon, come discendente di Gaucher I di
Chatillon, nonno della sua trisavola femminile Anna-Agnese di Chatillon, principessa d'Antiochia.
Gaucher I, infatti fu pur il nonno di Gaucher II di Chatillon, trisavolo di Jeanne, consorte del
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d'Alençon. L'azione di Giovanni Vatatzes, suo nonno paterno, seppur ristretta inizialmente all'ambito
niceno, divenne anche balcanica, riguardando alla fine, dopo il 1246, i regni di Tessalonica, Epiro e
Tracia, occupati da Giovanni davvero con opera di grande imperatore, perfettamente allineata con il
miglior passato bizantino, in parte, almeno da due secoli, dimenticato. e quindi eredità pesantissima da
sostenere per la nipote.
Giovanni lasciò un bilancio più che positivo sotto molteplici punti di vista: aveva quasi
triplicato l'estensione territoriale del suo impero, cacciando completamente i latini dall'Asia minore,
sbarcando nei Balcani, occupando Tessalonica, la Macedonia, la Tessaglia, parte della Tracia e parte
dell'Epiro e insediandosi in molte isole egee, Rodi, Chios, Lesbos e Samos. Inoltre, l'Epiro mutilato di
gran parte del suo territorio settentrionale era ridotto a stato vassallo, l'impero bulgaro battuto e
umiliato e l'impero latino d'oriente ridotto alla capitale e nei fatti assediato da terra e dal mare.
L'economia e le finanze statali godevano, alla sua morte, di un'eccezionale salute e facevano di Nicea
e Ninfeo il punto di riferimento per Selgiuchidi, Impero di Trebisonda e Latini stessi. Un'opera simile
ebbe effetti nell'immaginario e nella cultura e contribuì a configurare la mitologia di
Giovanni Vatatzes, facendo riferimento al suo evergetismo; cinquant'anni dopo la sua morte,
il basileus fu santificato con il significativo appellativo di 'Il Misericordioso'.
Teodoro II Doukas Làskaris - il padre di Eudossia - era l’unico figlio maschio di Giovanni III Doukas
Vatatzes. Era nato nel 1221, nel marzo, e alla morte del padre aveva trentatré anni ed era sposato con
Elena Asen di Bulgaria fin dal 1235; la madre di Teodoro, per parte sua, era morta, nel 1239. Proprio
in quel medesimo e fatale 1254 Elena morì, lasciandogli quattro figlie e un erede maschio di appena
quattro anni, il futuro Giovanni IV Làskaris.
Teodoro II fu principalmente un intellettuale e trasformò, dunque, Nicea in un grande centro di cultura
e nel vero cuore del mondo bizantino: decine di filosofi, uomini di pensiero, scrittori e artisti furono
attirati nella capitale anatolica della nuova basileia, costituendo una raffinatissima amalgama
culturale, assolutamente inimitabile nel resto del mondo bizantino. Teodoro stesso fu un raffinato
scrittore di cose teologiche e di trattatelli scientifici, ponendosi quasi al centro di questo movimento
culturale, a imitazione della vita e dell’opera del grande alleato di suo padre, l’appena scomparso
Stupor Mundi, l’imperatore Federico II. Teodoro II, fu assiduo discepolo di Niceforo Blemmida, che
era stato oltre che un buon intellettuale anche uno strenuo difensore delle prerogative della chiesa
ortodossa contro quella romana fin dal 1234. Sotto di lui Nicea venne paragonata all’Atene della
classicità e divenne una sorta di ‘nuova Atene’.
Fu probabilmente la morte della basilissa Elena, che rappresentava un potente legame tra Bulgaria e
Nicea, dipartita occorsa nel 1254, congiunta con la scomparsa del padre, a rendere plausibile agli
occhi dello czar Michele I Asen una ridefinizione dei rapporti di forza tra i due stati nell'area
balcanica; nel 1255 lo czar bulgaro, infatti, occupò la Tracia dei Niceni. Teodoro II reagì
brillantemente e sconfisse gli invasori. Nel 1256 il basileus concluse un importante trattato con la
Bulgaria secondo il quale lo czar Michele non solo si ritirava dai territori appena occupati ma ne
cedeva altri ai Niceni. Si trattava di piccoli aggiustamenti di confine, comunque tutti favorevoli ai
Bizantini.
Anche verso l'Epiro Teodoro condusse una politica di mantenimento delle posizioni raggiunte ma con
qualche intraprendenza. Una delle figlie del basileus era già stata promessa ai tempi del padre a
Niceforo, figlio di Michele II Doukas, despota dell'Epiro, secondo un accordo siglato nel
1249. Finalmente nel 1257 si celebrò il matrimonio e durante le trattative matrimoniali, svoltesi
in Tessalonica e di cui furono protagonisti il basileus e la madre di Michele Doukas, Teodoro II riuscì
a ottenere per il matrimonio tra Maria Làscaris e Niceforo, la cessione di molti territori epiroti e di
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Durazzo ai Niceni. Le trattative, quasi sicuramente, non furono chiare e si giocò da entrambe le
parti sull'equivoco tanto è vero che il despota d'Epiro rifiutò categoricamente di abbandonare i territori
in questione. Allora il basileus occupò con la forza tanto Durazzo quanto la città macedone di Servia.
Ambas victorias fueron logradas por Carlos de Anjou, y al extinguirse la línea directa sucesoria
masculina de los Hohenstaufen, Constanza se convirtió para los gibelinos en legítima heredera de la
corona de Sicilia. De este modo e inesperadamente Pedro el Grande se convirtió por su matrimonio
en el paladín de la causa gibelina, circunstancia coyuntural que abría las puertas del Mediterráneo
central a la Casa real de Aragón y condal de Barcelona, y hacía coincidir las ambiciones mercantiles
de sus súbditos catalanes, y en especial barceloneses, con su proprio programa, en el que la fe y los
derechos feudales tienen una destacada importancia. Tras la muerte de su suegro, Manfredo, y de su
cuñado [ recte primo n.d.r.], Conradino, e incluso unos meses antes de la muerte de éste, Pedro el
Grande se había dejado comprometer recibiendo una embajada de Enrico de Ventimiglia en 1268 [
conte di Ischia, Geraci, Collesano e Maro n.d.r. ]; un año después un cierto número de barones se
comprometió a defender los derechos de doña Constanza, a la vez que acoge a un importante grupo
de gibelinos sicilianos en Aragón, que, llaman a Constanza, “Regina”. Entre ellos, los Prócida,
Lanza, Loria, incluso princesas imperiales de la dinastía de Nicea [ Eudossia Làscaris contessa di
Ventimiglia dal 1261 n.d.r. ], todo un símbolo para Pedro. Todo ello hizo que al llegar al trono Pedro
el Grande, no tuviera ninguna duda sobre su compromiso gibelino y el papel que le tocaba
representar. De esta manera se iniciaba la verdadera expansión mediterránea, en que Pedro el
Grande, gracias a un matrimonio coyuntural, va diseñando un plan de intervención cuyo objetivo era
Sicilia, pero las tenazas eran Mallorca y el Magreb. ( S. Claramunt Rodriguez, La politica
matrimonial de la casa condal de Barcelona y real de Aragon desde 1213 hasta Fernando el Catolico,
"Acta historica et archaeologica mediaevalia", 23-24 (2002-2003), p. 203-204 ).
Quién fue la infanta doña Láscara que llegó al rey en Calatayud. Estando el rey en la villa de
Calatayud vino a su corte la infanta doña Láscara, hija del emperador Teodoro Láscaro, mujer
que fue del conde Guillermo de Veintemilla ( J. Zurita y Castro, Anales de Aragòn, 4., 5. )
5. I conti di Ventimiglia e il sangue imperiale dei Làscaris
La quatrième fille de Théodore II Laskaris se prénommait Eudocie, selon Georges Acropolite;
Nicéphore Grégoras doit faire erreur une fois de plus en la nommant Irène, qui était certainement le
prénom de la fille aînée de l'empereur, mariée à Constantin Tich, le tsar de Bulgarie. Le tableau
dressé au début du chapitre invite à voir en elle la femme de Guillaume de Vintimille (Vintimiglia),
que Georges Pachymère donne comme conjoint de la quatrième fille de l'empereur. Les nouveaux
époux durent quitter Constantinople pour Gênes en 1262. La femme de Guillaume-Pierre, comte de
Vintimille, est bien connue grâce aux sources occidentales. J. Miret y Sans a exhumé des archives du
royaume d'Aragon de nombreux documents où il est question de la princesse. De même que Constance
de Hohenstaufen, la veuve de Jean III Batatzès, elle fut entretenue royalement à la cour d'Aragon; le
roi d'Aragon semble avoir gratifié les deux princesses d'importantes largesses, dans l'espoir
d'acquérir des droits sur leur succession éventuelle en Orient, comme le montrent les documents dont
il sera fait état dans le chapitre suivant. ( A. Failler,.Chronologie et composition dans l'Histoire de
Georges Pachymère, “Revue des études byzantines”,38 (1980), p. 71 ).
Heirs of Emperor Alexios III Angelos who ruled from 1195-1203:
1) Emperor Alexios III Angelos.
2) Anna Komnene Angelina (1175/80?-1212) daughter. Married first Sebastokrator Isaac Komnenos
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(died soon after 1196); married second Theodoros Komnenos Laskaris (1171/74?-1221) Emperor
Theodore I Laskaris at Nicaea.
3) Theodora Angelina Komnene. Daughter. Married Ivanko, a relative of Bulgarian Tsar Ivan Asen I.
No known children;
) Irene Doukaina Komnene Laskarina (died 1239) Oldest (?) Daughter. Married First Despot
Andronikos Palaiologos ( died 1216? ), no known children, married second emperor John III Doukas
Vatatzes ( 1192 ?-1254 ). Maria Laskarina married Bela IV king of Hungary, the son king Stephan V
of Hungary. the niece Maria of Hungary married king Charles II of Naples.
5) Emperor Theodore II Doukas Làskaris (1221?-1258), son.
6) Emperor Saint John IV Doukas Làskaris (1250-1305?), deposed by Michael VIII Palaiologos.
Childless.
7) Eudokia Laskarina Asenina ( 1245/48-1311 ) 4th oldest sister, wife of Count Guglielmo Pietro
I of Ventimiglia and Tenda ( 1230-1283 ), she is cousin of Maria Arpad of Hungary wife of king
Charles II of Naples. Step-niece of Anna-Constance of Hohenstaufen empress of Nicaea,
daughter of Frederick II emperor. Mother of Eudokia is Helen Asen Arpad, niece of Andrew II
king of Hungary, father of Yoland queen of Aragon, wife of king James I the Conqueror.
Therefore Kings James II of Majorca, Peter III The Great, and James II, of Aragon and Sicily,
and the brothers Sancho IV of Castile, Ferdinand de La Cerda - sons of Violante of Aragon - are
cousins blood kin of Eudokia Làskarina of Ventimiglia. In the same manner of Alfonso of
Portugal son of St. Elixabeth of Aragon. Isabel of Aragon wife of Philip III the Bold king of
France makes Eudokia Làskarina of Ventimiglia as cousin of Philip IV of France, Peter I of
Alençon - brother of king – as blood kin of Charles of Valois count of Chartres ( 1290 ) and
Alençon ( 1285 ), king of Aragon ( 1280 ), pretender emperor of Byzantium. Eudokia is cousin of
Theodora Doukaina Vatatzaina - niece of sebastocrator Isaac, brother of Jhon III Vatatzes her
grandfather - wife of emperor Michael VIII Palaiologos, and couisin blood kin of emperor
Andronikos II Palaiologos ( 1282-1328 ), their son, husband of Violante/Irene of Monferrato.
Mary-Martha Doukaina Vatatzaina ( also Doukaina Komnene Branaina Palaiologina ), sister of
Theodora, is wife of Michael Doukas Glabas Tarchaneiotes patron of Thetokos
Pammakaristos, Byzantine headquarter of the relics of St. Anna. ( Blanche of Anjou, in Huesca,
13 August 1307: "tradimus et comendamus vobis inclite dompne Laschare dilecte consanguinee
nostre palacium domini Rege et nostrum civitatis Osce, pro habitagium vestro, toto tempore vite
vestre" )
8. - Giovanni I Làscaris di Ventimiglia, Count of Ventimiglia, Vermenagna and Tenda, son
- Jaime/Giacomo di Ventimiglia, son
- Ottone di Ventimiglia, bishop of Ventimiglia, son
- Làscara di Ventimiglia, countess of Pallars Sobirà and Bergueda, with a dowry of annual
income for 6000 marvedì to Barcelona, daugther
- Beatrice di Ventimiglia, viscountess of Montcada lady of Fraga, with a dowry of 1000 marks
of silver ( about 530 pounds ), daugther
- Violante di Ventimiglia, lady of Ayerbe, with a dowry of castles Castalla, Beniafalim, and
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annual income of the castles Tibi-Torrosella ( Alicante, then transferred to Barbegal and Liria )
and Huesca, for 6000 money, daugther
- Vatatza di Ventimiglia, lady of Santiago do Cacém, Panòias, Sines, Castro Verde, Villalar,
Huelva etc., daughter
6. La fondazione della Mare de Deu di Montblanch di Eudossia Làscaris e Santa Ana di
Montornés/Montblanch
Di poco posteriore all'arrivo dell'imperatrice Anna-Costanza di Hohenstaufen in Aragona, cioé
all'anno 1269, si pone l'ingresso di Eudossia Làscaris e dei figli alla corte aragonese, per
considerazione - secondo lo storico cinquecentesco Zurita - della sua parentela con Maria di
Montpellier - figlia di Eudossia Komnena nipote dell'imperatore Manuele Komnenos - regina madre
del regnante Giacomo I il Conquistatore. Ma questi, più direttamente, era anche marito di
Yolanda/Violante Arpad di Ungheria, cugina consanguinea della contessa Làscaris.( C. Nique, Les
deux visages de Marie de Montpellier (1182-1213), “Bulletin de l'Academie des Sciences et Lettres de
Montpellier”, 45 ( 2014 ), p. 245-262 ).
casi en el mismo tiempo vino tambien a estos Reynos la infanta hya del Emperador Theodoro
Lascaro, que se llamo Irene [ recte Eudossia n.d.r. ]: y aviala casada el Emperador Paleologo con el
Conde Guillen de Veintemilla .- por tener mucho deudo con el infante D. Pedro de Aragon, quanto io
creo, por parte de la Rejna donna Maria su Aguela Señora de Mompeller, se vino a estos rejnos con
tres hjas, que tuvo del Conde de Veintemilla su marido ( Zurita y Castro, 3., 75. )
Intorno al 1295 in Montblanch, in Aragona, la principessa Eudossia Làscaris fonda il convento di
clarisse della Mare de Deu de la Serra, donando la statua-reliquia miracolosa della Madonna con
bambino, di scuola gotica francese. L'edificio delle clarisse sorse presso il duecentesco Hospital de la
Serra.
La primera referència històrica del santuari de la Serra es troba en un document del 20 de gener de
1296, en el qual els síndics de Montblanc cedeixen el lloc de Santa Maria de la Serra a la infanta
Irene [ recte Eudossia n.d.r. ] Làscara, porquè s'hi pugui edificar un monestir de monges clarisses, de
l'orde franciscana ( M. Solé Maseras, M. D. Mestres Solé, Principals restauracions del Santuari de la
Serra (1811-1995), "Aplec de treballs: revista del Centre d'Estudis de la Conca de Barberà.
Montblanc", 14 ( 1996 ), p. 205 ).
In realtà, già dal 1295 il cappellano della pieve di Montblanch lamentava la perdita delle sue rendite a
favore della Mare de Deu, che dunque fu attiva prima della cessione a Eudossia della proprietà del
luogo, forse da tempo occupato da una comunità di mulieres religiosae, non ancora aderenti al
secondo ordine francescano. Nel 1288, alla morte del figlio Giacomo, Eudossia aveva ricevuto la città
di Jàtiva in signoria al fine di utilizzarne le rendite per la fondazione di un monastero in onore del
giovane cavaliere defunto. Non conosciamo i dettagli della morte del giovane, forse nei disordini
nobiliari di Saragozza che condussero, a fine 1287, al Privilegio de la Uniòn o nella campagna del
1288 di Alfonso III nell'invasione di Cerdanya – la contea a nord della signoria ventimigliana di
Bergua - contro lo spodestato re di Maiorca. La dedica del nuovo monastero è alla Madre di Dio,
la Theotokos a cui il nonno del defunto, l'imperatore Teodoro II, insigne poeta e teologo, aveva
dedicato la sua composizione liturgica del Grande Canone della Paraklesis. Teodoro moriva trent'anni
prima del nipote, il 18 agosto del 1258, dopo esser entrato – negli ultimi giorni - nel monastero di
Sosadron come monaco.
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Le vicende di Giacomo di Ventimiglia, sono probabilmente connesse alla guerra con Giacomo II di
Maiorca, signore della Vall Ferrera, una enclave ecclesiastica, tenuta dai re di Maiorca in feudo dai
vescovi di Urgell, incuneata sul lato orientale del contado di Pallars nel possesso della sorella
Làscara. Poco prima della sua morte, Pietro il Grande ha ordinato all'erede Alfonso di occupare
immediatamente le Isole Baleari, invasione consumata dalla fine del 1285 e all'inizio del 1286.
Giacomo II di Maiorca, con l'aiuto delle truppe francesi, rispose con una nuova invasione della
Catalogna, però senza successo. Da parte sua il re d'Aragona promosse attacchi contro la costa
francese.Verso la metà del 1286 fu firmata una tregua, tra Aragona, Francia e il re di Maiorca, che
sarebbe durata fino all'anno successivo. In questo contesto, Alfonso III decise di colpire lo zio
Giacomo II di Maiorca di sorpresa: la conquista di Minorca ancora musulmana, emirato vassallo del re
maiorchino. Le operazioni durarono a malapena due mesi. La conquista di Minorca, fatta in piena
vigenza della tregua, attivò di nuovo la guerra tra i re di Aragona e Maiorca; Giacomo II fece nuove
operazioni militari sul confine catalano nel 1288 e nel 1289 - nelle quali probabilmente perì il di
Ventimiglia - lanciando persino una sfida, a Bordeaux, con suo nipote Alfonso III d'Aragona.
L'ossessione di Giacomo II, a quel tempo un re senza regno, fu che il suo caso non fosse dimenticato o
ignorato. Infine, i negoziati furono aperti, come quello di Tarascona nel 1291, frustrati dalla morte di
Alfonso III. L'avvicinamento dei re di Aragona e Maiorca ebbe un alto prezzo; di sorpresa e in segreto
il vescovo di Magalona vendette al re di Francia i suoi diritti su Montpellier, consistenti in un quartiere
adiacente alla città provenzale, e la sua eminente signoria su di essa; a causa di questo fatto il re di
Maiorca si ritrovò esser vassallo diretto del re di Francia. Quattro anni dopo, il trattato di Anagni pose
fine alle ostilità. Ma soltanto con il trattato di Argelers del 1298 Giacomo II poté riottenere Maiorca (
A. Riera i Melis, El regne de Mallorca, la corona d’Aragó i França al començament del segle 14.,
in Le Roussillon et les Baléares. La place de l’Asie dans l’historiographie de la monarchie catholique,
a cura di Hé. Thieulin-Pardo, "e-Spania – Revue interdisciplinaire d'études hispaniques médiévales et
modernes", 12 ( 2017 ), n. 28 in https://journals.openedition.org/e-spania/26975 ). Giacomo II arrivò
fisicamente in Maiorca non prima del dicembre 1299, quindi, se fu effettivamente sua la fondazione
della cappella palatina di S. Anna o avvenne nel corso del 1285, prima della conquista dello zio o nel
1300 ( R. Figuères, La résidence des rois de Majorque, in Le Roussillon et les Baléares,
in https://journals.openedition.org/e-spania/27179 ).
La porta e i bastioni di S. Anna di
Montblanch
Montblanch è pur un centro cultuale di
sant'Anna sino, almeno, dal 1340,
quando è documentato per la prima
volta l'ermita de santa Anna de
Montornes, chiesa gotica dipendente
dal monastero di Poblet e poi dai
canonici del Santo Sepolcro di S.
Anna di Barcellona. Sul sacro luogo si
manifestarono molti miracoli e la pretesa apparizione della Madonna, come ricorda un documento di
Alfonso il Magnanimo del XV secolo. Questo è quanto afferma l'attuale storiografia, ma la formella in
rilievo posta sopra la porta principale del santuario della Serra sembra proprio rappresentare sant'Anna
in trono, coronata, con in braccio la Madonna e il Bambino, secondo una iconografia medioevale
molto diffusa e celebre - s. Anna Metterza - e mi fa sospettare che il santuario fondato dalla contessa
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di Ventimiglia inizialmente fosse dedicato anche a sant'Anna,
in onore della patrona del Castillo de Jàtiva, la città che ebbe a
finanziare la fondazione delle clarisse della Mare de Deu de la
Serra.
La formella posta sopra il portale principale della Mare de Deu de la
Serra che sembra rappresentare s. Anna Metterza - s. Ana Trina, con
Madonna e Bambino sul trono, invero di dubbia lettura, ma sembra
abbastanza chiara l'aureola del Bambino che copre parzialmente il volto
di s. Anna, l'aureola di Maria seduta sulla gamba sinistra della madre e
l'aureola di s. Anna appena accennata dietro la corona con fioroni -.
Nell'immagine in basso iconografia della Metterza/s. Ana Trina, della
fine del XIII secolo al Museo di Astorga, nel Regno di Leòn, alla
confluenza del Camino Francès e della Via de la Plata per il Santuario
Dopo la morte di Eudossia, nel 1311, esplode il culto di s. Anna in Montblanch; oltre la fondazione
di Montornés le mura della città alta volute da Pietro il Cerimonioso prendono il nome di muralles
de santa Anna, attorno all'omonimo barri e portale cittadino, e nella chiesa-ospedale di S.
Magdalena – nel raval di S. Anna - è eretta la cappella di S. Anna attorno all'immagine di una statua
policroma della madre di Maria. Invero, la chiesa di s. Magdalena risale almeno all'anno 1266
secondo un testamento conservato nella parrocchia locale:
di Santiago. Sull'iconografia della Metterza - che si afferma in territorio iberico, nord europeo e padano
intorno alla metà del XIII sec. - vedi M. Ferrari, Dipinti medievali in San Giorgio a Brescia. Appunti attorno
all’iconografia della Sant’Anna Metterza, "Brixia sacra" s. 3, 13 ( 2008 ), p. 437-506.
La primera referència a l’hospital de Santa Magdalena data de 1266. El 6 de novembre se signava el
testament de Ramon Sala, habitant de la Guàrdia dels Prats. Entre les donacions fetes a favor de
diverses esglésies de la vila, destaca una deixa de dotze diners per a la capella de l’hospital de Sant
Bartomeu i una altra d’idèntica quantitat per a l’hospital de Santa Magdalena ( A. Conejo da
Pena, L’antic hospital de Santa Magdalena de Montblanc, “Locus amoenus”, 6 ( 2002-2003 ), p.131 ).
7. La cappella di S. Anna dei Giacobini di Parigi: il sepolcro dei conti di Alençon e Valois nei
secoli XIII e XIV
Entré la chapelle du rosair, et la chapelle Sainte-Anne, dite d'Alençon, on voyoit le tombeau de
Charles de Valois, II du nom, comte d'Alençon, etc., surnommé le magnanime, pair de France, et
second fils de Charles I de Valois, et de Marguerite, sa première femme. Il étoit représenté sur ce
tombeau, armé de toutes piéces ,avec une cotte d'armes sans blason ; il n'avoit point de couronne, et il
portoit sur son écu ses armes, qui étoient de France à la bordure de gueules, chargée de huit besans
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d'or. Charles de Valois, deuxième du nom, surnommé le Magnanime, succéda en
1322 à son père, Charles I, aux comtés d'Alençon , et du Perche. Il accompagna
le roi Philippe, son frère, dans la guerre de Flandres, et fut blessé
dangereusement à la bataille de Cassel, gagnée sur les flamands. Au retour de
la campagne le roi, pour récompenser sa valeur, lui fit don de la seigneurie de
Fougère, et du comté de Porhoët. Philippe le gratifia encore de la terre de
l'Aigle, confisquée sur Jean de Bretagne, comte de Montfort. A la bataille de
Crécy, donnée le 26 août 1346, il commandoit l'avant-garde; il s'exposa
témerairement, il y fut tué et peu regretté, parce que son imprudence avoit été
cause de la perte de la bataille. Il avoit épousé d'abord Jeanne, comtesse de
Joigny, morte sans enfans; et en secondes nôces, Marie d'Espagne, fille de
Ferdinand II, seigneur de Lara , dont il eut quatre fils, Charles qui lui succéda,
Philippe, archevêque de Rouen et cardinal, Pierre et Robert. Dans le tombeau
de Charles II de Valois repose le corps de Marie d'Espagne, sa deuxième femme,
veuve, en premières nôces, de Charles d'Evreux, comte d'Estampes, et fille de
Ferdinand d'Espagne, II du nom, et de Jeanne héritière de Lara. Sa statue est àcôté de celle de son mari: elle a la tête nue. Les cheveux nattés, et une couronne
à fleurons; son long surcot traîne jusqu'à terre: sous ses pieds sont deux chiens, qui rongent des os.
Autour du tombeau on lit:
cy-gît le vaillant et noble prince monseigneur CHARLES frère germain du roi de France, jadis comte
d'Alençon, comte du Perche, sire de Verneuil, et Dampfront, qui mourut à la bataille de Crécy, l'an M
CCC XLVI le XXVI, jour d'août. Et cy-gist MARIE D'ESPAGNE, sa compaigne, comte d'Alençon,
du Perche, et d'Estampes, laquelle trepassa, l'an de grace Mil CCC LXXIX, le XIX de novembre. Priez
Dieu pour les ames d'eulx.
Aux deux angles de la chapelle d'Alençon, on voit deux figures debout sur des piliers. Le père Texte a
cru que ces deux figures étoient les statues de Charles , comte d'Alençon, et de Marie d'Espagne, son
épouse. Celle qui est à-droite, en entrant, vis-à-vis le tombeau, pourroit bien être une seconde statue
de cette princesse, car elle ressemble beaucoup à celle qui est sur le tombeau; mais ce père s'est
trompé au sujet de celle qui est à-gauche: elle représente un jacobin avec tous les habits de l'ordre.
Ce pourroit bien être Charles III, comte d'Alençon, pair de France, fils du prince et de la princesse
dont nous venons de parler. Il se fit religieux de l'ordre dans ce couvent, fut ensuite archevêque de
Lyon, et mourut dans son château de Pierre-Cise le 5 juillet 1375, environ quatre ans avant la mort de
sa mère. C'est probablement Marie d'Espagne qui a fait élever ce tombeau au prince, son mari: en
effet elle avoit choisi elle même cette chapelle pour le lieu de sa sépulture: elle y fit sa statue, avec
celle de son fils, archevêque de Lyon, mort avant elle, et apparemment dans le temps de l'érection du
monument; enfin, après sa mort, Pierre II, comte d'Alençon, son fils, fit faire une seconde statue de
cette princesse, pour la placer sur le tombeau, à côté du prince, son ſil [...]
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Particolare del sepolcro di Carlo II il Magnanimo di
Valois, conte di Alençon, Perche, Chartres e Jogny,
nella Cappella di S. Anna – detta d'Alençon - ai
Giacobini di Parigi, a sinistra sua moglie Maria de La
Cerda, pronipote di Alfonso X di Castiglia e figlia di
Fernando de La Cerda, prigioniero, sino al 1288, nel
palazzo di Jàtiva, citttà regia valenzana concessa dal
1286 a Eudossia Làscaris, contessa di Ventimiglia e
infanta dell'impero di Bisanzio.
Le coeur de Pierre de France, comte
d'Alençon, cinquième fils de Saint-Louis est dans le même tombeau. Il fut transporté de Salerne à
Paris; son corps fut porté aux cordeliers, et son coeur dans ce couvent , comme il l'avoit or donné par
son testament , qui est assez curieux:
J'eslis ma sépulture de notre ordre, charogne aux Cordéliers, et celle de mon mauvais coeur aux frères
Prêcheurs de Paris, veut que la tombe, qui sera sur mon corps, ne soit pas de plus grande dépense que
cinquante livres, et celle qui sera sur man caur de trente livre
Pierre de France , comte d'Alençon , de Chartres et de Blois , cinquième fils de Saint - Louis , se
trouva avec son père, au siége de Tunis. Après la mort du roi, il passa en Sicile, et mourut à Salerne.
Son corps fut porté aux Cordeliers, et son coeur aux Jacobins. Dans le même tombeau est le coeur de
Jeanne de Châtillon, comtesse de Blois et de Chartres, fille unique de Jean de Châtillon , comte de
Blois et d'Alix de Bretagne, et femme de Pierre de France , comte d'Alençon. Elle mourut le 29 janvier
1291. Son corps fut enterré à l'abbaïe de la Guiche, et son coeur aux Jacobins, ainsi qu'on l'apprend
d'une relation de la mort de cette princesse, rapportée par dom Materne. ·On y trouve enfin les corps
de Louis de France, comte d'Evreux , et de Margueritte d'Artois, sa femme, fille de Philippe d'Artois,
et de Blanche de Bretagne. (A.-L. Millin, Antiquités nationales, ou recueil de monumens pour servir à
l'Histoire générale et particulière de l'empire François..., Parigi 1792, 4., p. 74
8. L'arrivo della reliquia di sant'Anna a Geraci e Castelbuono dalla Francia, secondo la
leggenda
Secondo il frate cappuccino Domenico Monacò Amodei, nel XVII sec., era opinione diffusa che la
reliquia del capo di Anna fosse arrivata in potere del conte Guglielmo di Ventimiglia nell'anno
1242. Il frate rileva tale informazione nel Memorial genealogico pubblicato dal principe Giovanni IV
di Ventimiglia nel 1660. Ma questi a sua volta si basa sul Martirologio del Maurolico. Tale reliquia
non sarebbe stata estranea a quella conservata a Chartres. Il frate cappuccino assicura, come
accennato, che questa sarebbe stata solo un frammento del cranio della santa, complementare al
teschio conservato dai conti di Ventimiglia. A Guglielmo di Ventimiglia la reliquia sarebbe stata
consegnata da un non meglio identificato nobile o duca di Lorena. Una reliqua di s. Anna era
conservata sin dal XII secolo nella Heiligenforst/Foresta Sacra che incoronava come meravigliosa e
sterminata riserva di caccia e delizie la cappella palatina del SS. Salvatore di Hagenau, in Alsazia,
nella sontuosa residenza degli Svevi, preferita in particolare da Federico II. Quindi saldava il culto
della santa al parentado dei conti di Ventimiglia, i quali, sia attraverso il sangue degli Hauteville sia
attraverso quello degli Aleramici, condividevano il retaggio spirituale e politico con gli Hohenstaufen
( V. Nixon, Mary's Mother: Saint Anne in Late Medieval Europe, Pennsylvania 2004, p. 167 ).
è molto antica e сomunе traditione, che l’habbiano cambiato con alcune Terre, e ricche possessioni,
che havevano, come beni Patrimoniali nella Lorena Prouincía della Francia. nella forma che siegue.
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Si trovava in quella provincia un nobilissimo Cavaliere che haveva in suo potere il preziossimo tesoro
del santo Capo...hor sapendo ciò il pietoso Guglielmo Ventimiglia...lo cambiò con quelle sue terre che
erano di sua Casa e Dominio in quella Provincia...( D. Monacò Amodei, Il trionfo della
fecondità, p. 214; Giovanni di Ventimiglia, Memorial genealogico..., Madrid 1660, p. 8).
Leggendaria, peraltro, resta da considerare la presenza della reliquia in Geraci, nella cappella castrale
fondata o rifondata nel 1311 dal conte Francesco I e dedicata alla vergine Maria. In realtà, la prima
attestazione documentaria sulla sede del prezioso oggetto di culto risale alla metà del XVI secolo ed è
riferita a Castelbuono: Castello Bono caput S. Annae matris beatae Virginis in arce oppidi, eiusque
Sacello, secondo quanto affermato da F. Maurolico, Martyrologium secundum morem sacrosanctae
Romanae et universalis Ecclesiae, Venezia 1576, p. 125, opera composta nel 1564. Maurolico, grande
scienziato, umanista e riformatore religioso, in contatto con gli ambienti spiritualisti siciliani e
europei, fu dal 1552 abate di S. Maria del Parto presso Castelbuono: Ricorda il nipote Francesco (
1613 ) che Maurolico si rinchiuse dentro il Monastero ad habitar in commune con quei devoti monaci
sotto regolar osservanza, ristorovvi le mura di già distrutte e smantellate, vi fabricò sagrestia,
camere, corridoij, volte, & officine domestiche ( G. Giorgianni, La festa della Madonna assunta a
Messina. Storia, macchine, architettura ed evangelismo. Francesco Maurolico e altri interpreti:
Guido delle Colonne, Bartolomeo da Neocastro, Nicolò Speciale, Matteo Caldo, “Archivio storico
messinese”, 68 (1995), p. 160).
La cappella di Sant'Anna nel castrum di
Cefalù, probabilmente la prima sede della
reliquia
giunta
in
Sicilia,
prima
del
trasferimento in Castelbuono, quando la
città di Cefalù fu ceduta dai marchesi di
Geraci al demanio, nel 1451. La cappella di
Cefalù
e
la
Cappella
palatina
di
Castelbuono sono gli unici istituti medievali
delle diocesi cefaludana e messinese dedicati
alla madre di Maria nel XIII-XIV secolo. Si
trattava
dell'unico
edificio
religioso
a
intitolarsi a s. Anna, in tutta la diocesi di
Cefalù. Nella contermine diocesi di Patti un solo edificio - come osserveremo al punto 14.1 - si intitola a s. Anna ma
risale al 1118, sempre al XII secolo risale S. Anna di Messina.
la cappella e il castello di Geraci restarono in uso almeno fino al 1454, quando, secondo la
tradizione, Giovanni I Ventimiglia elevò Castelbuono a capitale dei suoi domini (ora divenuti
marchesato) e vi trasferì pure il teschio di Sant’Anna […] Va comunque rilevato che nell’iscrizione
interna suddetta non si fa menzione della reliquia e la cappella risulta intitolata alla Vergine; tale
intitolazione è confermata anche nel testamento del conte Francesco I Ventimiglia del 22 agosto 1337,
nel quale si dispone che dopo la sua morte un sacerdote avrebbe dovuto celebrare per l’anima del
testatore giornalmente e in perpetuo, per un salario di quattro onze l’anno a carico delle rendite di
Geraci, una messa e gli uffici divini nella cappella sepolcrale di «Sancte Marie de castro Geracii»
( G. Antista, Le cappelle ventimigliane in epoca medievale: Cefalù e Geraci, in Alla corte dei
Ventimiglia: storia e committenza artistica, 'Atti del convegno di studi', Geraci Siculo, Gangi, 27-28
giugno 2009, a cura di G. Antista, Geraci Siculo 2009, p. 59 ).
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A metà Quattrocento, la nobile dinastia risiede, prevalentemente, a Cefalù, ma, quando il vescovo
riscatta la città al demanio, Giovanni, primo marchese di Geraci, ritiene preferibile trasferirsi a
Castelbuono e porta lì la capitale del marchesato. Un atto tanto importante non può farsi senza
idonee solennità e, intorno al 1454, il passaggio nella nuova dimora è sancito con la traslazione nel
castello della reliquia che “consacra”, ormai, la gloria e il prestigio dei Ventimiglia. Tuttavia,
nonostante sia un perfetto uomo della Rinascenza e apprezzi nel giusto valore le opere d’arte,
Giovanni I non sembra preoccuparsi di decorare la cappella in cui si conserva il sacro teschio che,
nel suo lungo e dettagliato testamento del 1474, non è neppure menzionato. Qualunque sia la cagione
della singolare dimenticanza, bisogna osservare che prosegue al tempo di Antonio e di Enrico IV e
che, probabilmente, non è possibile ricondurla esclusivamente alle gravi traversie giudiziarie e
politiche che vedono la confisca e il passaggio al demanio del marchesato e l’esilio di Enrico a
Ferrara, presso Ercole I d’ Este col quale la famiglia è imparentata. Del resto, neanche la
restituzione dei beni e del titolo a Filippo Ventimiglia, avvenuta nel 1491, per quanto ne sappiamo,
determina alcuna attività a favore della cappella e della reliquia in essa custodita. Questa scarsa
attenzione verso la madre della Vergine è, però, destinata a cessare nel corso del primo quarto del
sec. XVI. ( F. Martino, Religiosità “patetica” e culto mariano tra “vor-reformation” ed età barocca.
A proposito di un reliquiario siciliano, “Heliopolis”, 14 (2016), n. 2., p. 20 ).
Quindi, non sussistendo testimonianze della precedente presenza in Geraci della reliquia – se non
la vox populi del 1687 riferita dal Monacò Amodei, trasformata poi in certezza storiografica – resta
possibile, e conveniente, ipotizzare che la reliquia fosse tenuta nella diretta disposizione dei conti
presso Cefalù – vera capitale e residenza preferita dei conti-marchesi almeno sino al XV secolo – o
presso un'istituzione religiosa come S. Maria del Parto nelle vicinanze di Castelbuono.
Iscrizione di autentica del cranio di s. Anna
posseduto dai conti di Ventimiglia, in
caratteri greci del XII sec: "Il Capo di
sant'Anna madre della madre di
Dio"; CAPUT SANCTAE MATRIS
DEIPARAE.
Inoltre, di fatto, i conti di
Ventimiglia non possedettero beni in
Lorena e la cessione a Carlo d'Angiò
dei beni liguri fu ricompensata con
beni provenzali nel 1258. In Lorena
detenne beni l'erede dei conti di
Chartres, che portarono in Francia la reliquia del capo di s. Anna. Pietro d'Alençon nel 1272 sposa
Giovanna di Chatillon, che gli porta in dote oltre Chartres, le contee lorene di Guise e Avesnes. Se
deve darsi un qualche credito alla leggenda dell'arrivo della reliquia in Sicilia, si deve quindi posporre
almeno al 1272 la consegna della stessa ai conti di Ventimiglia. Il Guglielmo di Ventimiglia della
leggenda avrebbe sposato una fantomatica Stemma figlia naturale dell'imperatore Federico II, ma nella
realtà storica Guglielmo Pietro I di Ventimiglia sposa Eudossia figlia di Teodoro II imperatore, a sua
volta configlio/figliastro di Anna Costanza di Hoehenstaufen, ella sì effettivamente figlia di Federico
II. La protagonista dell'arrivo del capo di s. Anna in possesso dei conti di Ventimiglia potrebbe dunque
identificarsi con Eudossia Làscaris, e la rinuncia dei diritti sulle presunte terre lorenesi sarebbe invece
la rinuncia dei diritti dei conti di Ventimiglia sul ducato di Nicea, rivendicato dai discendenti dei conti
di Blois e Chartres. In realtà, osserveremo che le cose furono più complesse, anche perché i conti di
Geraci, che nel 1311, alla morte di Eudossia Làscaris, fondarono o rifondarono la cappella del castello
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di Geraci – ove si presume, a mia opinione erroneamente, conservata la reliquia -, discendono da
Enrico II, figlio di Filippo e non del cugino Guglielmo Pietro. Se intervento vi fu di Eudossia nella
traslazione della reliquia, osserveremo che esso poté attuarsi tramite l'arcidiacono di Jàtiva - città in
signoria di Eudossia - pur arcivescovo, diplomatico e tesoriere in Sicilia.
I conti di Ventimiglia sono sempre in guerra con gli Angiò, se si eccettua la tregua del 1278 – e dopo
il 1285-1290 in alcune circostasnze che analizzeremo - quando Eudossia è gia da diversi anni in
Aragona e Maria di Brabante/Lorena, pur dal 1275, è regina di Francia e cognata quindi di Pietro
conte di Chartres. Il padre di Maria, Enrico III duca di Brabante e Lorena, è accomunato in una
allocuzione del re Alfonso X di Castiglia al conte di Ventimiglia - probabilmente Guglielmo Pietro fra i sostenitori della candidatura imperiale del re castigliano. Alfonso a Toledo - nel 1275 di fronte
all'assemblea dei ricos hombres - recita un'allocuzione densa di espressioni di gratitudine per il
continuo ausilio politico e il sostegno morale dei proceres che in tutta Europa sostengono la sua
candidatura all'Impero. Tra i maggiori leader europei della parte ghibellina il re di Castiglia pone
Guglielmo Pietro e il duca Enrico III di Brabante e Lorena, quest'ultimo all'epoca però già defunto:
« Considerati poi i diritti che ho e la parentela, essendo tanto stretto con le casate dell'Impero. Non
solo per mia madre, che è della nobilissima Casa di Svevia, dalla quale furono creati cinque
imperatori che tennero quella dignità con grande maestà - dall'imperatore Corrado III - e furono
duchi di Svevia e di Franconia. Nondimeno per discendere in linea legittima maschile dai conti di
Borgogna, che traggono successione dai re di Borgogna e Francia. E d'altronde, ben sapete, con la
mia abituale franchezza ho guadagnato alla mia causa grandi principi e signori, che non soltanto son
stati miei amici, ma molti d'essi son miei vassalli come sono Ugo duca di Borgogna, Guido conte di
Fiandra, Enrico duca di Lorena, Gastone conte di Béarn e Guido visconte di Limoges, tutti questi,
principi e signori di gran stato. E il Marchese di Monferrato mio genero e il Conte di Ventimiglia e
altri signori lombardi e tedeschi, ai quali io devo grande e crescente riconoscenza, poiché mi
incoraggiano da molto tempo e mi scrivono continuamente affinché mi decida di uscir dalla Spagna
per insistere nelle mie pretese [alla corona imperiale n. d. r.]; assicurandomi il lor favore e offrendomi
la certezza che da un mio ritardo può derivar gran danno [trad. orig. d. r.]
8.1 Culto e leggenda di s. Anna: dal Trinubium alla Vita sancti Servatii
San Servazio vescovo di Tongres e primo re
dei Franchi, nella leggenda del XII-XIII
secolo, consanguineo della Sacra Parentela
di s. Anna ( anonimo del 1480 ca.).
The names of Mary’s parents are
mentioned for the first time in the
Protevangelium of James (second
century A.D.) as part of the story of
the birth and maternal ancestry
of Jesus. The Protevangelium was widely spread in the East and it had the role of giving information
about what was omitted in the officially approved, canonical Gospels. It efficiently popularized the
story of Mary’s childhood and resulted in liturgical feasts. Anne was celebrated in the Eastern liturgy
connected to Marian feasts: the Nativity of Mary (seventh century), the Presentation of Mary in the
Temple (fifth century), the Conception of Anne (eighth century). The Protevangelium of James was not
known in the West until the sixteenth century. Thus the saint’s vita was propagated in the West by a
Latin version of the Protevangelium, the Gospel of Pseudo-Matthew, also known as the Liber de Ortu
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Beatae Mariae et Infantia Salvatoris (ca. 550-700), and works derived from it, of which the
most important was De Nativitate Sancte Mariae, also called The Gospel of the Birth of Mary. The
gospel on Mary and her parents spread to the West in the Carolingian Empire (eighth, ninth century),
and the number of texts increased considerably in the Ottonian Empire (tenth century) ( N.
Emoke, Narrative and visual sources of saint Anne's cult in late medieval Hungary ( 14. -16. centuries
) in a comparative perspective, Doktori Disszertáció, Eötvös Loránd University Faculty of
Humanities in co-tutelle with Babeş-Bolyai University Faculty ofHumanities, Budapest 2015, p. 17-18
).
L'albero di Jesse, ossia la genealogia di Gesù e s.
Anna
( Città di Tallinn Archives.TLA Cm 4, 71v., sec. XIIIXIV )
Alongside the Franciscans, the Carmelites also
became important disseminators of St
Anne’s cult. The foundation of the Holy Kinship lies
in the so-called Trinubium legend or that of St
Anne’s three marriages. According to the legends,
St Anne was married three times: following the
death of the Virgin Mary’ father Joachim, she
married a further two times and had daughters
from both marriages. Both daughters were named
Mary, but, to distinguish them, they are called by
their fathers’ names – Mary Salome and Mary
Cleophe. According to the legend, five children of
the Virgins sisters became the disciples of Jesus:
James the Great, John the Apostle, Jude Thaddeus,
James the Less, and Simon. During the Middle
Ages, the Holy Kinship was further elaborated
upon: the family of St Anne’s sister Esmeria, whose youngest members were John the Baptist and the
Bishop of Maastricht Servatius, was also included ( M. Kurisoo, Sancta Anna ora pro nobis. Images
and veneration of St Anne in medieval Livonia, "Acta historiae artium Balticae", 2 ( 2007 ), p. 19 ).
Ainsi donc, en reprenant ces données ou, plus exactement, en les résumant, Jean d’Outremeuse
n’innovait guère. Il travaillait sur des traditions soigneusement mises au point avant lui. On les
rencontre en effet, sous des formes diverses et souvent même avec plus de détails, dans des ouvrages
aussi différents que les commentaires de Pierre Lombard ( Patrologie Latine, t. 192, col. 101-102 ),
l’Histoire scolastique de Pierre le Mangeur ( ch. XLVII : De electione duodecim apostolorum ),
la Conception Nostre Dame de Wace ( vv. 1135-120 ), Li Romanz de Dieu et de sa mered’Herman de
Valenciennes ( vv. 3094-3133 ), quatre auteurs du XIIe siècle ; ou encore Le Livres dou Tresor de
Brunetto Latini ( I, 64 : Dou parenté Nostre Dame), La Légende dorée de Jacques de Voragine ( ch.
127 : La Nativité de la Vierge Marie, fêtée le 8 septembre ), deux auteurs écrivant autour des années
1265 ; ou encore L’histoire de Hainaut de Jacques de Guise ( V, 50 : de tribus maritis, filiis et filiabus
beatae Annae ), un écrivain un peu plus tardif, du XIVe siècle, exact contemporain de Jean
d’Outremeuse. Bien sûr, comme c’est souvent le cas, Jean d’Outremeuse ne reproduit pas fidèlement
les textes antérieurs. Ainsi par exemple Jacques de Voragine est plus précis et plus complet que lui
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dans son énumération des enfants issus du mariage d’une Marie avec Alphée : Marie eut quatre fils
d’Alphée : Jacques le Mineur, Joseph le Juste, appelé aussi Barsabas, Simon et Jude. Par contre le
chroniqueur liégeois sera le seul à attirer l’attention sur la variété des noms attribués à l’épouse
d’Alphée : Marie Cléophas, comme dans la liturgie du 8 décembre, précisera-t-il, mais aussi Marie
Jacques ou Marie Joseph. Il y a toutefois plus intéressant à relever en matière de variantes.
3. L’introduction de saint Servais dans la famille de Jésus ( § 1 )
On songe notamment ( § 1 ) aux allusions de Jean d’Outremeuse, d’abord au père d’Anne et
d’Émérie, Achar, mais surtout à un frère d’Élisabeth, qui se serait appelé Éliud, lequel aurait
engendré un Émyb, père de saint Servais, évêque de Tongres. Les mobiles de cette seconde addition
sont clairs : il ne s’agit plus de mettre au point la « Sainte Parenté », mais de rattacher à cette
dernière, et ainsi à Jésus, un personnage du IVe siècle qui fut très populaire au Moyen Âge, en
l’occurrence saint Servais qui fut evesque de Tongre, mais, précise immédiatement Jean
d’Outremeuse, le siege astoit seant à Treit sour Mouse, aujourd’hui Maastricht ( § 1 ). On sait en effet
que saint Servais est « le premier évêque attesté de la Civitas Tungrorum, district romain qui allait de
la Toxandrie jusqu’à l’Ardenne et qui deviendra plus tard le diocèse de Liège », qu’« à la cité
romaine de Tongres, il préféra la ville mosane de Maastricht, établie à l’intersection des deux
principaux axes de communication de la région, l’antique route Bavais-Cologne et la Meuse » et que
cette dernière cité abrite aujourd’hui son sarcophage et ses reliques, qui sont encore objets de
vénération. La simple insertion dans la « Sainte Parenté » d’un frère d’Élisabeth, du nom d’Éliud,
permettait à saint Servais de devenir le petit-fils du frère de sainte Élisabeth, et d’être ainsi apparenté
à saint Jean Baptiste et à Jésus.Jean d’Outremeuse ne fait ici qu’une allusion rapide à cette
généalogie, mais elle lui tenait à cœur. Lorsqu’il traitera de cet évêque beaucoup plus loin, à sa place
dans la ligne du temps ( Myreur, t. II, p. 64 ), il la reprendra, en insistant d’ailleurs sur sa
valeur : Enssi fut à Jhesu-Crist prochain sains Servais et sains Johan-Baptiste, et à sains Johan
ewangeliste, et à sains Philippe, et à sains Jaque, et à toute la lignie Jhesu-Crist ; et issit de la droite
lignie royal le roi David, et des plus grans des juys, et de Judas Machabeus. Saint Servais s’inscrivait
ainsi dans une prestigieuse lignée biblique. Élargissement fantaisiste bien sûr, qui fait songer aux
généalogies fictives des grandes familles du monde romain antique, lesquelles tenaient à se donner
d’éminents ancêtres et n’hésitaient même pas, à l’occasion, à se rattacher à des divinités. ( J.
Poucet, L’Évangile selon Jean d’Outremeuse ( 14. s. ). Autour de la Naissance du Christ ( Myreur, I,
p. 307-347 passim ). Texte, traduction et commentaire in Épisodes évangéliques vus par un
chroniqueur liégeois du 14. siècle [ Jean d'Outremeuse ] , " Folia electronica classica ", 28 ( 2014 ) ).
Vos saveis que sainte Anne, qui fut mere à la benoite Virgue Marie, oit une soreur qui oit nom
Esmeria. Celle Esmeria oit de son marit une filhe et 1 fis; car sainte Elizabeth, la mere sains JohansBaptiste, fut la filhe, et ly fis fut nommeis Elyud 1 por son propre nom. Elyud oit oussi I. fis qui oit
nom Emyb, qui oit à femme sainte Manceline. De ches II issit sains Servais, de quoy nos volons
parleir. Enssi fut à Jhesu Crist prochain sains Servais et sains Johan-Baptiste, et à sains Johan
Ewangeliste, et à sains Philippe, et à sains Jaque, et à toute la lignie
Jhesu-Crist; et issit de la droite lignie royal le roy David, et des plus grans des jujys et de Judas
Machabeus. — Quant sains Servais nasqui ly angle |y apportât son nom que Dieu ly avoit eslut à son
pere et a sa mere; et enssi fut nommeis, par le revelation del angle, Servais, qui vault ortant que
wardeurs, car ilh devoit encor wardeir mult de gens, et oussi son pays aprèschu , de grandes
tribulations, enssicom vos oreis, et feroit oussi à nostre loy aiide en gardant fermement ( Jean de Preis
dit de Outremeuse, Ly mireur des histors, a cura di A. Borgnet, Bruxelles 1869, 2., p. 64; vedi anche
C. Chabaneau, Le romanz de Saint Fanuel et de Sainte Anne et de Nostre Dame et de Nostre Segnor et
de ses Apostres, Parigi 1889 ).
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8.1.1 L'unzione a re di Carlo I d'Angiò, esponente del lignaggio divino di Jesse/Ysay, secondo il
cardinale Eudes de Châteauroux
Il 6 gennaio 1266, il cardinale Eude de Châteauroux, in occasione dell'incoronazione e unzione a re di
Sicilia di Carlo I d'Angiò, pronunziò un lungo sermone che ci è stato conservato. L'autore è un noto
teologo e cancelliere dell'Università di Parigi, il quale come legato papale in Terrasanta, nella prima
crociata di Luigi IX, raccolse e portò in Francia la reliquia del sangue di Cristo. Lo stesso prelato nel
1248 aveva pronunciato altro sermone all'atto di consacrazione della Sainte-Chapelle nel 1248,
dotando questo istituto di sacre indulgenze per i suoi visitatori. Lo stesso Eudes guidò la commissione
parigina che condannò il francescano gioachimita Gerardo da Borgo San Donnino. Eudes è
considerabile dunque il grande ideologo della "diagonale capetingia", ovvero del progetto egemonico
angioino mediterraneo, dalla Francia alla Provenza, alla Sicilia e Bisanzio.
C'est la fameuse « descente angevine » conduite par Charles d'Anjou, le plus jeune frère de Louis IX,
et victorieuse successivement à Bénévent puis Tagliacozzo. Les sermons d'Eudes de Châteauroux
scandent l'entreprise : pour l'onction du nouveau roi de Naples ^ ; pour ses victoires sur Manfred et
Conradin ад ; pour l'inciter à chasser les garnisons de Sarrasins, autrefois recrutées par Frédéric II,
de Lucera où ce dernier les avait installées, et d'où elles se révoltaient régulièrement contre leur
nouveau maître ( A. Charansonnet, Du Berry en Curie, la carrière du cardinal Eudes de Châteauroux
(1190 ?-1273) et son reflet dans sa prédication, "Revue d'histoire de l'Église de France", 86 ( 2000 ),
n- 216, p. 13-14, 27, 34 ).
Hec ystoria parabola est presentis temporis. Abiecto enim et proiecto a Domino propter peccata sua
domino Frederico et omni progenie eius a regimine regni Sicilie, per uicarium suum precepit inungi
in regem Sicilie de domo et familia Ysay, id est magnifici Karoli, dominům Karolum filium régis
Francie descendentem a magnifico Karolo, ultimum inter fratres suos, qui in presagium futurorum
Karolus vocatus est, ut sicut succedit ei in nomine, succedat ei in regia dignitate... Ysay interpretatur
salus mea vel Domini salutare. Vere magnificus Karolus salus Dominin fuit. Per ipsum enim salvavit
Dominus populum suum ab impetu Sarracenorum et Paganorum qui partes occidentales invaserant et
fere totum Occidentem occupaverant impii et ipsum summun pontificem in carcere detinebant.
Magnificus autem Karolus hanc confusionem Ecclesie sustinere non valens, vocatus ab Ecclesia
Romana venit de Francia, patrimonium eripuit et dominum apostolicum liberavit, et urbem summo
pontifici restituit et factus est Patricius Romanorum. Et postmodem rex de domo istius Ysay, id est
magnifici Karoli, descendit, iste Karolus noster et est de familia et de domo eius, sicut dicitur de
Ioseph quod erat de domo David . Et speramus de Dei misericordia quod per ministerium eius
restituetur ecclesia patrimonium suum, liberabitur Ecclesie que videtur quasi obsessa undique ab
inimicis suis ( In unctione domini Karoli in regem Sicilie, in RLS n.° 819, ms d'Arras, Bibl. mun.
876, f. lr - lv )
9. Movente, mezzi e opportunità: il culto di s. Anna e Maria d'Ungheria, regina di Sicilia, cugina
di Eudossia Làscaris
Alla morte di Pietro I d'Alençon in Salerno, già sceso in Calabria con un centinaio di cavalieri francesi
per appoggiare lo zio Carlo I d'Angiò nella Guerra del Vespro, si verifica, nel 1283, una particolare
coincidenza. Come osservato, il cuore del principe è inviato per la sepoltura nella cappella parigina di
S. Anna dei Giacobini o Domenicani a Parigi; ma a pochi chilometri da Salerno nella omonima
arcidiocesi, il vescovo di Capaccio, Pietro II ( 1275-1286 ), Maestro razionale del Regno, inviato a
papa Martino IV per raccogliere trentacinquemila once d'oro per la guerra siciliana, decide di fondare
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un grande monastero di canonichesse lateranensi o intitolato a s. Anna, situato nella terra natale di
Nocera dei Cristiani. La scelta del presule e funzionario angioino non è individuale ma il frutto di una
strategia religioso-politica della corte reale, guidata dalla regina Maria Arpad - figlia del re ungherese
Stefano V e pronipote della bisnonna di Eudossia Làscaris di Ventimiglia -. Agli inizi del Trecento,
sempre da S. Anna di Nocera, sorgerà il monastero domenicano femminile di S. Pietro a Castello in
Napoli:
L’iniziativa della nascita del convento si deve presumibilmente a una comunità di mulieres religiosae
che verso il 1282 ebbero come primo centro di aggregazione la chiesa di Sant’Anna di Nocera. Un
grande sostegno alla comunità di queste donne arrivò dal vescovo Pietro di Capaccio il quale nel suo
testamento espresse la volontà di costruire un monastero femminile in cui sarebbero arrivate le
monache agostiniane, dal monastero di San Paolo di Poggio donato [ Dona Dei oggi Poggio Nativo,
monastero dipendente da Farfa n. d. r. ] in Sabina. Tuttavia il primo documento che attesta la
costruzione del monastero è la bolla emanata da Niccolò IV nel 1288 e indirizzata alla prima priora
Perna. Nell’atto si ripercorre la storia della fondazione legata appunto alle ultime volontà del
vescovo Pietro che invoca la venuta delle monache agostiniane dalla Sabina «monialis monasteri
Sancti Pauli de Podio Dona Dei ordinis Sancti Augustini, Sabinensis diocesis» e dispone che tutti i
suoi beni vadano alla comunità monastica insieme ad un credito di 260 once che lui vantava nei
confronti del conte di Marsico, Ruggero Sanseverino. Nello stesso anno, il 7 novembre, il legato
apostolico nel Regno, il cardinale Gerardo da Parma, esecutore testamentario del vescovo di
Capaccio, affidava il monastero alla guida dei frati Predicatori.
Cosa spinse la regina Maria a fondare un monastero domenicano femminile nella capitale del regno
agli inizi del XIV secolo e perché nell’area urbana più vicina alla nuova residenza reale da poco
terminata? Non è semplice rispondere, ma possiamo proporre delle riflessioni che forse aiutano a
capire le motivazioni di questa fondazione che – come le altre di origine reale – contribuiva a
comporre la rete istituzionale sulla quale si basava la gestione del sistema del sacro, vero capitale
simbolico, intorno al quale si strutturarono buona parte dei processi sociali, culturali e politici del
mondo urbano basso medievale. Quasi nulla conosciamo sul primo periodo di vita di Maria
d’Ungheria, ma possiamo di certo affermare che trascorse una parte della sua adolescenza nelle
residenze di Buda e Visegrád, frequentate peraltro da numerosi frati predicatori che da anni insieme
ai francescani erano i protagonisti della vita religiosa e culturale a corte. Molto probabilmente visitò
e frequentò il monastero domenicano dell’Isola delle Lepri sul Danubio, anch’esso di fondazione
reale in cui visse e fu sepolta sua zia, Margherita,sorella del padre, il re Stefano V a cui si deve
peraltro l’inizio del processo di canonizzazione della prima santa domenicana ungherese.
La futura regina, appartenente alla beata stirpe, si formò spiritualmente tenendo ben presente i
modelli da imitare: quelli di Elisabetta [sua prozia s. Elisabetta Arpad fondatrice dell'ospizio di S.
Anna a Eisenach nel 1226 n.d.r.] e di Margherita. Fu educata alla pratica dei principi e valori di
quella nuova pietas religiosa che si andava diffondendo nelle corti dell’Europa intera e che prevedeva
la fondazione di una propria comunità da parte delle regine e delle principesse, monasteri dunque al
servizio della famiglia reale, dove si cercava di dare una forma duratura alla prefigurazione terrestre
della corte celeste, e dove, peraltro, ci si poteva ritirare per poter trascorrere gli ultimi anni seguendo
il modello di vita monastico imposto dalle regole dell’ordine con il fine di riparare i possibili peccati
commessi durante la vita ed aspirare alla salvezza della propria anima. A questi valori risponde la
nota fondazione del monastero clariano di Donnaregina, ma anche la volontà di creazione di uno
spazio monastico da affidare ad una comunità di domenicane la cui affinità spirituale Maria aveva
avuto modo di conoscere da fanciulla in Ungheria, e di condividere da regina, durante i suoi lunghi
soggiorni nella cittadina di Nocera dove era in contatto con la comunità di Sant’Anna.
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L’atto che portò alla trasformazione di un monastero maschile benedettino, quello di San Pietro a
Castello, nella sede del primo cenobio femminile domenicano nella capitale del Regno fu una supplica
da parte della regina Maria d’Ungheria al papa Bonifacio VIII. Il pontefice, infatti, il 15 febbraio del
1301 dona il monastero benedettino di San Pietro a Castello di Napoli con tutti i beni e i diritti
connessi insieme alla facoltà di insediarvi un numero opportuno di monache per fondare un nuovo
convento domenicano, concede inoltre alla comunità la libertà di elezione della priora e tutti gli altri
diritti e privilegi che la Santa Sede conferisce ai conventi dell’ordine dei predicatori. Questa
donazione vincolò, inoltre, il pontefice a imporre a Giovanni, arcivescovo di Capua, di cedere alla
regina il monastero di San Pietro a Castello con i beni e i diritti connessi e di trasferire i monaci
benedettini in esso dimoranti in altri monasteri napoletani: San Sebastiano, Santi Severino e Sossio e
Santa Maria a cappella. Ottenuto lo spazio, la regina si adoperò per la ristrutturazione degli ambienti
e per la concessione di tutti quei privilegi e beni che avrebbero portato la comunità a poter vivere
nelle condizioni di autonomia economica prevista dalle norme papali. La famiglia di Carlo II d'Angiò
e Maria Arpad La struttura fu pensata inoltre per poter ricevere dall’Ungheria la cognata, Isabella
d’Angiò, ripudiata da Ladislao IV, e la sorella di Maria, Elisabetta d’Ungheria, vedova del re serbo.
Per accogliere e assistere le regine che si ritirarono nel monastero napoletano furono chiamate
alcune consorelle da Sant’Anna di Nocera. Nel 1303 Carlo II nel concedere a Rolando, priore di San
Pietro a Castello il diritto di pesca sul tratto di litorale di Napoli che si estende da San Vincenzo a
Capo Transverso, sottolinea la presenza nel cenobio di suor Elisabetta, figlia del re d’Ungheria.
Il forte legame spirituale, intensificatosi negli anni, con questo luogo che la Regina poteva spesso
raggiungere per poter visitare la cognata e la sorella e vivere momenti di ritiro dalla impegnatissima
vita di corte, traspare da un documento del 1319 in cui dichiara che le monache le hanno concesso la
facoltà di utilizzare una casa coperta di paglia, detta lisca, situata nell’orto del monastero. Una parte
della storiografia ritiene che Maria risiedette in Castelcapuano, che le era stato destinato come
residenza da Carlo II nel testamento del 16 marzo 1308, o in una casa nel giardino del convento di
San Pietro a Castello fatta costruire da lei negli ultimi anni di vita. Anche nelle sue ultime volontà la
regina si ricorda della comunità e lascia alla priora di San Pietro a Castello «crucem cum pede de
argento deaurato cum imaginibus beate Virginis et s. Joannis evangelisti et brachium b. Blasii
munitum argento» ( G. T. Colesanti, Le fondazioni domenicane femminili nel Mezzogiorno medievale:
problemi e prospettive di ricerca ( secoli 13.-14. ), in Clarisas y dominicas. Modelos de implantación,
filiación, promoción y devoción en la Península Ibérica, Cerdeña, Nápoles y Sicilia, a cura di G. T.
Colesanti, B. Garí, N. Jornet-Benito, Firenze 2017, p. 80-84 ).
I conti di Ventimiglia, che condividono il sangue imperiale e regio di Làscaris e Arpad, ne
condividono la santità di lignaggio, e giocano la loro influenza per giustificare i recenti insediamenti
in Sicilia e Provenza 'al pari' e in opposizione ai loro cugini angioini:
Une telle abondance de saints et de saintes ne pouvant relever du hasard ni constituer un simple
accident statistique, il y a donc lieu de croire que la dynastie des Arpadiens bénéficiait d'un prestige
sacral très fort, qui se transmettait de génération en génération [...] Ainsi, en plein XIVe siècle, l'idéed'une sainteté dynastique, loin de disparaître, se renforce par la fusion de deux lignages royaux, qui
comptaient des saints dans leurs rangs: celui des Arpadiens en Hongrie et celui des CapétiensAngevins, avec les deux saints Louis: Louis IX, canonisé en 1297, et Louis d'Anjou ou de Toulouse. On
peut certes voir là l'effet d'une volonté politique dont le but aurait été - et fut effectivement - de se
servir des saints apparentés aux souverains régnants comme cautions de la légitimité d'une dynastie
dont l'implantation en Italie du Sud et en Hongrie était somme toute récente. On est plus étonné de
retrouver ce type d'arguments dans la bouche d'un théologien comme le franciscain François de
Meyronnes. Celui-ci en effet, dans un sermon sur S. Louis d'Anjou prononcé en 1317, énumérant les
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raisons pour lesquelles le fils de Charles II pouvait être à bon droit considéré comme un saint, cite en
premier lieu le fait «qu'il appartint à une génération de saints» ( A. Vauchez. « Beata Stirps »:
sainteté et lignage en Occident aux 13. et 14. siècles, in Famille et parenté dans l'Occident
médiéval, 'Actes du colloque de Paris (6-8 juin 1974)', Roma 1977, p. 402-403. Vedi anche S. Hoch,
Beata Stirps, royal patronage and the identification of the Sainted Rulers in the St Elizabeth Chapel at
Assisi, "Art History", 15 ( 1992 ), p. 279-95; J. Dunbabin, The French in the Kingdom of Sicily, 12661305, Cambridge 2011, p. 189-198 ).
9.1 La diffusione del culto di s. Anna e di s. Maria Maddalena
Se il culto di s. Anna in Europa orientale risaliva all'alto medioevo, in Francia abbiamo notato
che prende spunto e vigore proprio dall'arrivo del teschio della santa in Chartres agli inizi del
Duecento, e dai legami che si crearono con la beata stirps capetingio-angioina, attraverso la parziale
traslazione del teschio in Reims, sede primaziale dell'episcopato franco.
Or, moyennant les hymnes, séquences, offices rimes que l'on peut trouver encore en très grand
nombre de nos jours dans les anciens bréviaires, missels, livres d'heures, livres d'offices quelconques,
nous pouvons fournir la preuve que la fête de sainte Anne était célébrée dès le XIII siècle, à NotreDame et à Saint-Victor de Paris, à Chartres, Saint-Chéron-les-Chartres, Avignon, Apt, Toulon,
Marseille, Senez, Sens (ou Senones — Breviarium Senonse), Jouarre-en-Brie, Soissons, Saint-Lô,
Douai, Reims, Nevers, Sainte-Barbe-en-Auge, diocèse de Lizieux. Nous avons vu ailleurs que, vers le
milieu du XIII siècle, la fête de sainte Anne était célébrée à Notre-Dame de Paris. Petrus de Columna,
disait le texte, instituit duplum in festo beatae Annae, et que faut-il entendre au juste par là ?
Faisaiton déjà à cette époque les distinctions de rite simple, semidouble, double, etc.? Quoi qu'il en
soit, il s'agit bien d'une fête, et d'une fête plus ou moins solemnelle, peut-être très solemnelle, puisque
trentesept cierges devaient être allumés pendant les matines et les deux premières messes. Si, pour le
bénéfice d'un article plus complet, il nous est permis encore ici d'infliger au lecteur des répétitions,
nous lui rappellerons que, à la même époque, et déjà dès longtemps, Notre-Dame de Paris avait en
pleine façade une porte dite de Sainte-Anne ornée de sculptures historiées qui racontaient à leur
manière la légende de cette Sainte; que la même Notre-Dame possédait autour de 1270 une chapelle
de Sainte-Anne, "ou brûlait une lampe à perpétuité..." ( Charland, Le culte de sainte Anne en
Occident, p. 323-324 ).
9.1.2 La centralità del culto di s. Anna nella famiglia di Maria Arpad regina di Sicilia,
Gerusalemme, Ungheria e contessa di Provenza.
L'importanza del culto di s Anna per Maria Arpad e la sua famiglia non è riscontrabile solo con
la fondazione del convento domenicano di Nocera. Uno dei massimi capolavori dell'arte duecentesca
fu la cappa di s. Luigi, vescovo di Tolosa, terzogenito di Maria, nato proprio a Nocera (1275-1298).
1. Dans celui qui sert comme de point de départ et de jalon pour se reconnaître, se trouve un ange au
nimbe rouge; c'est là le céleste hérault qui précède le cortège; c'est peut-être aussi l'invocation de
l'artiste chrétien au début de son oeuvre, comme autrefois le poète à la muse antique.
2. Le premier médaillon après celui de cet ange renferme la conception de la sainte Vierge ; c'est,
comme on le voit, commencer tout-à-fait par le commencement. Un ange, tenant un phylactère de
la main gauche, apparaît à sainte Anne en prières et semble lui adresser la parole: l'ange et la sainte
ont le nimbe rouge.
3. Un ange annonce à saint Joachim la grossesse de sainte Anne; Joachim est à genoux, il porte une
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barbe de vieillard ; il est sans nimbe, quoique saint : il est ici considéré comme patriarche, homme de
l'ancienne loi.
4. L'entrée de la Vierge au temple. Saint Joachim et sainte Anne marchent derrière elle. Joachim est
encore sans nimbe : sainte Anne est nimbée de rouge, et la sainte Vierge de vert. Marie monte
joyeusement les degrés du temple, un cierge à la main; elle paraît avoir plus de trois ans. Le temple se
trouve sur une élévation; il est petit, simple et sans ornements d'architecture.
5. Le travail de la Vierge dans le temple. Marie, nimbée de rouge et vêtue de vert, est placée entre
deux compagnes sans nimbe ; elles tiennent à elles trois un voile déployé qu'elles ont travaillé de leurs
mains. La tradition rapporte que la sainte Vierge s'occupait à faire de la tapisserie dans le temple: a
tertia usque ad nonam , textrino operi vacaret, dit la Légende dorée. (M. L. Rostan, La chape de saint
Louis, évèque de Toulouse, conservée dans l'église de Saint-Maximin ( Var). Chalon-sur-Saone 1855,
p. 4)
Riproduzione di un disegno nella preziosa cappa di
broccato duecentesco di s. Luigi d'Angiò terzogenito di
Maria Arpad, rappresentante i santi Gioacchino, Anna e
Maria.
San Luigi d'Angiò fu educato dai padri spirituali
francescani negli stessi ambienti catalani, e nei
medesimi anni, frequentati da Eudossia Làscaris,
fondatrice del convento francescano della Mare
de Deu. Dopo i famosi Vespri Siciliani del 30
marzo 1282 che avevano cacciato gli Angioini
dalla Sicilia, il re Carlo I d'Angiò voleva
impossessarsi dell'isola ribelle. Già nel maggio
del 1282, fece costruire a Marsiglia una flotta
comandata da Jean de Vivaud, che mandò a Messina. L'anno seguente, l'ammiraglio Barthelemy
Bonvin raccolse diverse navi, ma i risultati furono deludenti. In primo luogo, Guglielmo Cornut fu
battuto dagli Aragonesi l'8 luglio 1283 durante la Battaglia di Malta, poi la flotta marsigliese e
napoletana fu nuovamente sconfitta il 5 giugno 1284 da Ruggero di Lauria. Durante quest'ultima
battaglia, il padre di Luigi, Carlo II, che è solo principe di Salerno ma erede della corona di Napoli,
viene fatto prigioniero. Carlo I d'Angiò morì in Foggia il 7 gennaio 1285, il principe di Salerno
divenne re di Napoli con il nome di Carlo II, ma restando in carcere. Seguendo il trattato di Oloron
(Pirenei atlantici) di fine luglio 1287 e dopo varie trattative, Carlo II fu rilasciato nel 1288 ma a
condizione che tre dei suoi figli, Luigi, Roberto e Raymond Bérenger, fossero consegnati in ostaggio
al re d'Aragona, insieme a sessanta signori provenzali e venti notabili marsigliesi.
Luigi sarà prigioniero in Catalogna per sette anni, dai quattordici ai ventuno anni. Fu prima
imprigionato nel castello di Montcada vicino a Barcellona, poi in quello di Siurana, nella provincia di
Tarragona. Le condizioni di detenzione in quest'ultimo luogo furono particolarmente dure e
probabilmente contrasse la tubercolosi, che lo portò a morire pochi anni dopo. Durante la prigionia
Luigi annunciò la sua intenzione di diventare un prete, senza obiezioni di suo padre. Sempre durante la
detenzione, papa Celestino V lo nominò nell'ottobre del 1294 vescovo di Lione - dove la leggenda
poneva la sepoltura delle reliquie di s. Anna da parte di s. Longino - ma questa consacrazione non fu
efficace. Grazie al forte coinvolgimento di Papa Bonifacio VIII, un trattato di pace fu firmato ad
Anagni tra il re di Aragona e il re di Napoli il 12 giugno 1295. Carlo II si stava preparando ad andare
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in Catalogna quando ricevette la terribile notizia della morte del suo primogenito Charles Martel che
fece di Luigi d'Angiò l'erede della corona di Napoli se non si fosse ritirato a beneficio di suo fratello
Roberto. Il 31 ottobre 1295 a Figuières, un incontro ebbe luogo tra il re Giacomo II d'Aragona e Carlo
II d'Angiò durante il quale i prigionieri furono liberati. Luigi rinunciò alla successione in favore del
fratello minore Roberto.
9.1.3 Carlo II d'Angiò fondatore e patrono di S. Massimino di Provenza e S. Anna in S. Lorenzo
Maggiore di Napoli
La testa di Maria Maddalena - dissotterrata nel 1279 dal principe di Salerno - era stata portata ad Aix e
posta in una cappella del palazzo dei Conti di Provenza. Carlo di Salerno si proponeva di farla
racchiudere in un reliquario particolare ancora più bello e sontuoso di quello d’argento. Suo padre,
Carlo I d'Angiò, appresa la scoperta delle reliquie, aveva mandato al figlio dall’Italia la propria corona
reale con l’ordine di porla sulla testa stessa della santa, che egli considerava ormai patrona e
protettrice di tutti i suoi Stati. Questa corona restò sulla testa di Maria Maddalena fino alla rivoluzione
quando nel 1793 Barras la confiscò per retribuire gli eserciti della Repubblica in pericolo. Andando
per le lunghe l’esecuzione del busto d’oro, il principe Carlo - per timore di non potere egli stesso
portare a conclusione il suo progetto - aveva fatto venire ad Aix gli arcivescovi di Arles, Aix ed
Embrun, col vescovo di Carpentras, per comunicare loro le sue intenzioni. Il verbale di quella riunione
recita:
Noi, per grazia di Dio, arcivescovi di Arles, Aix ed Embrun, facciamo conoscere a tutti coloro che
leggeranno le presenti lettere che siamo stati invitati personalmente ad Aix presso l'illustre e
magnifico signor Carlo, primogenito del re di Gerusalemme e di Sicilia, principe di Salerno. Egli
ci ha mostrato e noi abbiamo visto coi nostri occhi ( nella cappella del suo palazzo ) il capo della
beata Maria Maddalena separato dal mento o mandibola inferiore. Affinché la verità non venga
alterata in seguito, ci ha confidato segretamente, a voce, qual era il suo progetto relativo a questa
insigne reliquia. Egli voleva e prometteva di riportare nella chiesa di St.Maximin la testa della santa,
separata dalla mandibola, e conservata onorevolmente in un reliquario d'oro, d'argento e di pietre
preziose, a condizione che tale chiesa fosse assegnata a dei servitori più idonei al culto divino e alla
lode della santa. Altrimenti - ci disse - egli aveva l'intenzione di deporre altrove quella testa, in
qualche onorevole chiesa dove si compisse specialmente una funzione a lode e gloria della gloriosa
Maddalena, chiesa che egli dovrebbe costruire nel modo migliore. Dato ad Aix, nella cappella del
palazzo superiore, nell'anno del Signore 1281, l'11 giugno.
Le rapprochement de la piété nobiliaire et de la piété princière s’exprime enfin par la dévotion aux
saints protecteurs de la dynastie angevine. Dans ce domaine nous devons nous contenter
d’attestations ponctuelles, mais qui nous semblent riches de sens. Ces indices concernent tout d’abord
le culte envers sainte Marie-Madeleine, dont Charles II, alors encore prince de Salerne, a exhumé les
reliques à Saint-Maximin en décembre 1279 et mai 1280. La dévotion du roi envers la pécheresse
repentie est bien connue. C’est pour abriter ses reliques qu’il fait élever le couvent dominicain de
Saint-Maximin à partir de 1295, couvent avec lequel lui, puis son fils, entretiennent des relations très
particulières, assez éloignées des principes des Constitutions de l’ordre des frères prêcheurs. Les
autres sanctuaires favorisés par le roi sont à leur tour associés au culte magdalénien: Notre-Damede-Nazareth bénéficie d’une relique et l’église San Domenico Maggiore de Naples reçoit le vocable
de Sainte-Marie-Madeleine. De part et d’autre de la Méditerranée, un lien privilégié est ainsi créé
entre saint Dominique, sainte Marie-Madeleine et le souverain, un lien qui contribue symboliquement
à unifier la Provence et le royaume dans une commune dévotion, étroitement associée à la personne
royale: rappelons-nous que le corps de Charles II est lui-même partagé, distribué, à l’instar des
reliques de sainte Marie-Madeleine, et plus tard de celles de saint Louis d’Anjou, entre les sanctuaires
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provençal et napolitain de Notre-Dame-de-Nazareth et de San Domenico Maggiore. Dans ce contexte,
le roi semble se soucier d’associer la noblesse provençale à sa dévotion. Plusieurs membres des Baux
de Marignane, de Puyricard et de Berre sont témoins de la translation du crâne de sainte Marie
Madeleine en 1283, et de donations solennelles du roi à Saint-Maximin et à Notre-Dame-de-Nazareth,
en 1297 et en 1307. Par ailleurs, il est remarquable que dans le Livre des miracles de Sainte-MarieMadeleine, composé par Jean Gobi senior, prieur du couvent de Saint-Maximin, entre 1313 et 1328,
pour soutenir l’essor du pèlerinage, le seul miracle (sur un total de 85) qui fait référence à une
personne clairement identifiée concerne Agatha de Mévouillon ( 1283-1313 ), seconde épouse de
Bertran de Baux, comte d’Avellino ( 1244 - †1305 ) ( F. Mazel, Piété nobiliaire et piété princière en
Provence sous la première maison d’Anjou ( vers 1260 - vers 1340 ), in La noblesse dans les
territoires angevins à la fin du Moyen Age, a cura di N. Coulet - J.-M. Matz, Roma 2000, p. 533 ).
L'imponenete maniero di Saint-Martin ( sec. XIII ) dei conti
di Ventimiglia, visconti di Marsiglia, oggi, insieme alle loro
baronie della Bastide de Brauch, Varages e La Verdière,
situate nel Cantone di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume.
Nei pressi di S. Massimino, a una quarantina di
chilometri da Marsiglia, si elevavano i castelli dei
conti di Ventimiglia discendenti da Bonifacio figlio di Emanuele I nipote abiatico di Guglielmo
III conte di Ventimiglia (1200-1214) - che il 28
marzo 1258 aveva ceduto i propri diritti sulla
contea ligure a Carlo I d'Angiò, in cambio di un'ampia signoria nella valle del Verdon, con i manieri di
La Verdière - una delle più rilevanti fortificazioni del conte di Provenza - Brauch, Bézaudun, Ansouis,
Varages, Valensole, Tourves, Saint-Martin-de-Pallières, Le Broc, feudi già detenuti dai de Castellane,
a nord di S. Massimino. A seguito della transazione del 1258, Bonifacio conte di Ventimiglia lasciò la
città ponentina e si trasferì in Provenza. Dopo il 1290 - deceduto il cognato di Emanuele II di
Ventimiglia, Guilhem VI de Signes, visconte di Marsiglia e padre della beata Delphine morta ad Apt
nel 1360 -. Emanuele entrò in possesso dei beni della moglie Sybille de Signes sposata il 9 febbraio
1266 - con la dote di diecimila soldi tornesi - aggiungendo ai propri i feudi della viscontea della città e
territorio di Marsiglia, in particolare le castellanie di S. Anna di Evenos, Ollioules, Beausset, SixFours, siti a sud del territorio di S. Massimino, in condominio con l'altro cognato Bertrand de Signes.
Sibylle era figlia di Guilhem V e della cugina di Emanuele, Beatrice di Ventimiglia - figlia a sua volta
di Ottone -. Guilhem V de Signes - suocero di Emanuele II di Ventimiglia - il 4 marzo del 1239
fissava i confini tra il suo territorio e quello del priorato certosino di Montrieux - dove si conservavano
dal 1252 alcuni frammenti del teschio di s. Anna - e che condivideva con i de Signes la signoria di
Méounes, Foncimaille, Cancerilles, Romegos, Signes-Barrayrenque, Néoules, Orves etc. -. Ill 13
novembre 1246 Guilhem donava ai certosini il diritto di passaggio e pascolo sui suoi territori.
Emanuele II di Ventimiglia fu padre di Bonifacio II, e questi a sua volta padre di Emanuele III. Altri
figli di Emanuele II furono: 1. Caterina sposa di Blacas IV de Blacas, signore di Aups e celebre poeta
occitanico, autore del poema La maniere de bien guerroyer; 2. Giovanna, moglie di Boniface l'Aîné
de Castellane cosignore di Fos; 3. Bonifacio II il quale sposò Philippine de Sabran signora di Turriers
e di Montpezat; 4. Maria, 5. Enrico, canonico di Tolone e 6. Bertrando, defunto in giovane età.
Bonifacio II de Vintimille fu padre di: 1. Emanuele III, marito di Béatrix d'Esparron capostipite del
ramo di Riez, Turriers, Saint-Laurens, Astoin e Montpezat; 2. Sibilla, moglie di Boniface le Jeune de
Castellane signore di Salernes e Villecroze; 3. Bertrando I marito di Béatrix de Sabran - sorellastra di
s. Elzéar de Sabran - e poi di Margherita d'Agoult de Pontevès, capostipite del ramo de Vintimille de
Marseille, Ollioules, Signes e Evenos; 4. Renato marito di Sybille de Castellane, capostipite dei baroni
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di Varages, Verdière e Bezaudun ( Analyse par ordre chronologique des chartes contenues dans
le cartulaire de la Chartreuse de Montrieux, aux archives du Var, a cura di Vienne, Teissier, BnF ms.
Lat. 1156, f. 151r, 161r; per i de Signes-Evenos vedi R. Boyer, La chartreuse de Montrieux aux 12. et
13. siècles, Marsiglia 1980, 1.-3.; G. Démians d'Archimbaud, Les Fouilles de Rougiers ( Var ):
contribution à l'archéologie de l'habitat rural médiéval en pays méditerranéen, Parigi, Valbonne
1980, p. 35-64, in particolare il tratto genealogico a p. 47; sugli Amic de Sabran, visconti di Avignone
discendenti dai conti di Forcalquier - contea portata in dote nel luglio 1193 da Garsenda de Sabran a
Alfonso II di Provenza - vedi F. Mazel, Noms propres, dévolution du nom et dévolution du pouvoir
dans l’aristocratie provençale (milieu 10.-fin 12. siècle), " Provence historique ", 53 ( 2003 ), p. 154
).
Les Vintimille, installés par le premier comte angevin à La Verdière, n'ont de cesse de compléter leur
domination sur les localités avoisinant cette dernière. Ainsi, en novembre 1278, Sibylle d'Évenos,
épouse d'Emmanuel de Vintimille, achète à Bertrandde Puivert son héritage obtenu en décembre 1276
et portant sur des terres et droits seigneuriaux situés à Varages. Les Vintimille coexistent alors au
moins avec un autre coseigneur, Isnard de Saint-Martin. En mai 1295, Foulques de Saint-Martin se
défait en faveur d'Emmanuel de deux terres dans la région de Bézaudun. Sibylle d'Évenos achète
un jardin à Varages pour 30 sous en 1300. En janvier 1342 René de Vintimille, seigneur de Bézaudun,
acquiert des terres de Pierre de Saint-Martin, coseigneur du lieu, et de Geoffroy Gaufridi (
Th. Pécout, Une société rurale du 12. au 14. siècle en Haute Provence. Les hommes, la terre et le
pouvoir dans le Pays de Riez, Tesi di dottorato presso l'Université de Provence, Faculté de Lettres et
Sciences humaines, Aix-en-Provence-Marseille 1998; edita parzialmente in Noblesse provençale et
pouvoir comtal: l'exemple du pays de Riez ( Alpes-de-Haute-Provence ), 12.-14. siècles, in Aspects du
pouvoir seigneurial de la Catalogne à l'Italie ( 9. – 14. siècles ), a cura di L. Verdon, "Rives
méditerranéennes", 7 ( 2001 ), p. 44 ).
9.1.3.1 I conti di Ventimiglia visconti di Marsiglia e le reliquie di s. Anna da Montrieux a Apt
Trovare ad Apt, sino al 1360, la nipote della moglie di Emanuele II di Ventimiglia, la beata Delphine
de Signes - sposa virginale di Elzéar de Sabran, conte di Ariano, per matrimonio voluto da Carlo II
d'Angiò - ovvero quando nasce in loco la leggenda della scoperta delle reliquie di s. Anna - autrice
dell'Immacolata concezione di Maria - considerata la stretta relazione dei Signes con Montrieux abbazia frequentata pure dal grande Francesco Petrarca - fa ipotizzare una translatio delle stesse
reliquie da Montrieux alla cattedrale di Apt: I Signes furono fra i maggiori benefattori della
fondazione cartusiana di Notre Dame de Montrieux, come si evince da numerosi atti del relativo
repertorio di attestati ufficiali ( G. Larghi, Per l’identificazione del trovatore Bertran de Puget,
"Cultura neolatina", 67 ( 2007 ), p. 92 ). Osserveremo ora che non si tratta solo di una ipotesi, ma
individueremo concreti documenti storici.
La promessa di nozze fra la de Signes e il de Sabran si svolge a Marsiglia nel novembre del 1295 in
presenza di Carlo II e Maria Arpad: Envoya ledict roy, aux parens de la damoiselle que lon luy
amenast, car il luy vouloit donner Aulzias de Sabran. Cy fustfait le commandement du Roy et amenée
la dicte damoiselle estant en l'aage de XII ans et ledit en l'aage de X, en la cité de Marseille et fut
faicte promesse, entre les parens d'une chascune partie, demariage, present ledict roy et reyne.
Promessa seguita dal matrimonio del 5 febbraio 1298 nel suo castello di Puymichel. Delphine,
terziaria francescana che vive ai margini del convento francescano di Apt, ha come confessore e padre
spirituale André Durand canonico primicerio della cattedrale di Apt. Translatio delle reliquie di s.
Anna in Apt, credo, avvenuta posteriormente, nell'ambito dei dispendiosi tentativi della corte
provenzale e napoletana di Luigi II d'Angiò di far canonizzare la beghina Delphine - fra gli anni 1372
e 1376 a seguito della canonizzazione del marito nel 1369, promulgata però soltanto al 5 gennaio 1371
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-. Infatti, Delphine - moglie sospettata di catarismo nella curia avignonese e dallo stesso vescovo di
Apt - sarà collegata agli ambienti francescani spirituali della regina Sancia e del fratello Filippo di
Maiorca. Il vescovo di Apt, Raymond III de Bot - nipote dell'omonimo presule che abbiamo incontrato
come iniziatore del culto di s. Anna nella sua cattedrale intorno al 1300 - presentò alla Curia una poco
entusiastica relazione sullo sposo Elzèar: vécut pendant vingt-sept ans dans la même couche avec son
épouse, tout en gardant son intégrité, à tel point que le caractère sublime de cette vertu paraît plus
étonnant qu'imitable. In altri termini, i sovrani angioini avevano tutto l'interesse a riportare nel solco
della tradizione cattolica l'esperienza spirituale di Delphine, dama di compagnia di Sancia, moglie di
re Roberto d'Angiò, presentando il singolare matrimonio con Elzéar come ispirato dal virginale
modello dell'Immacolata Concezione rappresentato da s. Anna. Nondimeno, la prima richiesta di
santificazione di Delphine fu inutilmente presentata nel 1363 a papa Urbano V.
Rapporti diretti tra Delphine e i certosini iniziali custodi delle reliquie - sino al tragico epilogo della
strage per peste dei monaci del 1348, descritto pur nelle Familiari del Petrarca - non mancarono,
anche attraverso la cugina germana di Delphine, la beata Roseline de Villeneuve che fu priora
certosina nel monastero di Celle-Roubaud - edificato su cappella dei Templari ma sottoposto
all'abbazia certosina di Montrieux - ampliato intorno al 1320 da Hélion de Villeneuve, gran maestro
degli Ospitalieri, erede della commenda templare di Rouou. Lo stesso Hélion il 5 febbraio 1322 ebbe a
pronunciare una sentenza arbitrale, dopo lungo processo, in favore di suo cognato Bertrando I de
Vintimille come erede dal 1315 del prozio Bertrand de Signes de Marseille - figlio di Beatrice de
Vintimille -, vicario regio di Marsiglia e Avignone, regio protettore della certosa di Montrieux dal
1308, per nomina di Carlo II, poi siniscalco di Piemonte e Provenza, dal 1310 al 1315, nonché fratello
della beata Delphine de Signes. Fra il 1313 e il 1324 Carlo II cede gradualmente i propri diritti
comitali su Signes prima al prozio e poi all'omonimo pronipote de Vintimille.
Nondimeno, il culto taumaturgico di Delphine, fu certamente collegato a quello di s. Anna sin dal
Trecento, e le reliquie di s. Elzéar e della beata consorte furono riposte nella cattedrale di Apt, insieme
ad altri testimoni del loro vivace culto locale: Dans la chapelle de Sainte-Anne d'Apt se trouve un
autre petit tableau du quatorzième siècle représentant les funérailles de la bienheureuse Delphine, et
les miracles de guérison opérés par l'attouchement de son corps ( A. Vauchez, Aux origines de la
fama sanctitatis d’Elzéar ( †1323 ) et de Delphine de Sabran (†1360): le mariage virginal, in
Le peuple des saints, "Mémoires de l’Académie de Vaucluse", s. 7., 6 ( 1985 ), p. 154-163; R. Forbin
d'Oppéde, La Bienheureuse Delphine de Sabran et les saints de Provence au 14. siècle, Parigi 1883,
p. 41, 94, 277, 284; P. Amargier, Chartreuses de Provence, Aix-en-Provence 1988, p. 21; R. Rao, I
siniscalchi e i grandi ufficiali in Piemonte e Lombardia, in Les grands officiers dans les territoires
angevins, Roma 2016, p. 255, 258 ).
Sull'ambiente spirituale incontrato e influenzato da Delphine alla corte napoletana vedi pur le
pregnanti considerazioni del Gaglione, a proposito della regina Sancia d'Aragona, e la centralità di
Montrieux nella costruzione liturgica del culto della Maddalena ( e del fratello s. Lazzaro ) e la sua
relazione con quello di s. Anna, centrali rispettivamente per le spiritualità di Angiò e conti di
Ventimiglia:
Sancha conoció a su futuro marido, Roberto de Anjou, quizás ya en el otoño de 1295, en el castillo de
Siurana de Prades en Barcelona, donde el príncipe, junto con sus hermanos Ramón Berenguer y Luis,
fue hecho prisionero por los aragoneses. La princesa, a partir de 1300, se instaló con sus padres en la
isla de Mallorca, donde su educación fue confiada a los tutores franciscanos, sometiéndose a
la influencia espiritual de Arnau de Vilanova y Ramon Lull. [ ... ] Otras dos cartas que fueron
dirigidas a Sancha por el papa Juan XXII, a principios de septiembre de 1316 y el 4 de abril 1317.
Probablemente eran debidas a que la soberana había solicitado la disolución de su matrimonio, tal
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vez para emitir los votos religiosos o para adaptarse a los valores de castidad franciscana, practicada
por la beata Delfina de Signe, esposa de San Eleazaro de Sabran, o bien, según otros autores, como
reacción a una traición de Roberto ( M. Gaglione, Sancha de Aragòn-Mallorca una reina
franciscana, in "Memòries de la Reial Acadèmia mallorquina d'estudis genealògics, heràldics i
històrics", 27 ( 2017 ), p. 9, 11 ).
The charterhouse Montrieux was located directly near Sainte-Baume, the place of Mary Magdalene’s
dwelling. The monastery possessed her relics ( her bones, her hair, and her rod ), together with the
relics of St Lazarus and St Anne. Mary Magdalene’s connection with Sainte-Baume was first
mentioned in a twelfth-century manuscript from Bern ( Municipal Library, Ms. 133, fol. 1r ),
containing Vita eremitica beatae Mariae Magdalenae, where her hermit’s dwelling was described as
being located “not far from Montrieux”: “Explicit vita vel transitus beate Marie Magdalene. Spelunca
ejus, in qua vixit solitaria XXX. annis dicitur esse, episcopatu Massiliensi non longe ab heremo
Montis Rivi.” Saxer further retells a legend connected to the foundation of the
charterhouse Montrieux in 1117. The founder of the charterhouse, an Italian nobleman, had made a
pilgrimage to Sainte-Baume where he had made a vow to found a charterhouse in the region if he
would get well. After that he founded Montrieux and became a monk himself. The time of the
foundation of the monastery seems probable regarding the existing documents, but the story of an
Italian nobleman might have been made up; the pilgrimages to Sainte-Baume were not yet popular in
that time. However, for Saxer the legend could be “an echo of the Carthusian tradition,” but probably
it was not only a result of the Carthusian endeavours. Because of Montrieux’s connection to
Marseilles and the saints of Marseilles, the story might have come from there, before it was exploited
by the hermits of Montrieux. But even with such important relics in possession, there seemed to be no
special liturgy for the feast of St Mary Magdalene in Montrieux [ ... ] On October 15, 1252, the main
altar of the Charterhouse Montrieux was consecrated. It was dedicated to St Lazarus, “the first bishop
of Marseilles.” His bones were inserted into the altar, along with the relics of St Mary Magdalene and
St Anne". The relics probably came from Provence and therefore had a connection with the Provençal
tradition of Mary Magdalene’s cult and with the legend of St Lazarus being the first bishop of
Marseilles. Th cult of St Anne is also of Provençal origin ( thirteenth century ).( K. Šter, Mary
Magdalene, the Apostola of the Easter Morning: changes in the late medieval Carthusian Office of st
Mary Magdalene, "Musicological Annual", 53 ( 2017 ), p. 13-14 ).
La carta di Montrieux del 15 ottobre
1252:" [...] et continentur hic reliquie de
ossibus eius [ s. Lazzaro ] et de ossibus
beate Marie Magdalene et de capillis et
baculo eiusdem et de capite sancte Anne
matris
gloriose
virginis
Marie."
Alla
consacrazione della Cappella di S. Lazzaro
nella Chiesa di Montrieux parteciparono
l'arcivescovo di Aix Philippe I ( 1251-1257
), il vescovo di Riez, Fouques de Caille (
1240-1273 ), Boniface (1248-1278 )
vescovo di Digne,, Benoît d'Alignan ( 12291268 ) vescovo di Marsiglia, che partecipò
alla Crociata dei Baroni, partita da
Marsiglia nel 1239, rientrando in patria
nel 1243, contemporaneamente a Raoul de Soissons che vedremo collegato all'arrivo in Messina di alcuni frammenti
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delle ossa di s. Anna e dei capelli della santa in Soissons ( vedi 14.4 ) ( P. de Terris, La charte de Montrieux et les
traditiones provençales. Etude historique, Apt 1897, p. 5 ).
La nostra non é una semplice ipotesi. Nel 1407, Jean Fillet, vescovo di Apt nipote del cardinale Jean
de la Grange d'Amiens, dava seguito a una disposizione testamentaria di Delphine de Signes, che
aveva legato cento fiorini per contribuire alla fattura di un busto reliquiario, pomposamente definito
repositorium capiti divae Annae, riempito poi, oltre che con quattro denti e altri frammenti del teschio
della santa, anche con le reliquie di s. Auspicio, s. Castore e s. Marziano:
L'évêque Filheti invita en 1407 ses diocésains à contribuer de leurs aumônes à la confection d'un
buste ( repositorium capitis divae Anna ) où devait être enfermé le chef de la sainte Patrone, et qui fut
fait des 100 florins légués à cette intention par Delphine de Sabran, des offrandes des fidèles et des
joyaux de quelques pieuses dames. En 1425 on ajouta quelques ornements à ce buste qui contenait, en
outre, les reliques de saint Auspice, de saint Castor et de saint Martian, et qu'on voyait dans
la thrésorerie du chapitre érigée en chapelle depuis qu'on les y avait transférées, et aujourd'hui
appelée la vieille Sainte-Anne. Une charte de 1425 mentionne une côte de sainte Anne enfermée dans
un reliquaire d'argent dont les chanoines firent présent à la comtesse de Sault. Sous l'épiscopat de
Pierre Nasondi ( 1450-1467 ), il fut fait un bras de sainte Anne, où fut déposé l'os du pouce, de
quelques pièces d'argenterie léguées à la Sainte par un chanoine ( Pierre Guichard ). En 1475, le roi
Réné confirma le chapitre d'Apt dans la jouissance de tous ses priviléges, en considération de ce qu'il
était dépositaire du corps de sainte Anne. Divers évêques obtinrent des indulgences en faveur
des fidèles qui visiteraient ces mêmes reliques. Vers 1527, sous l'évêque Jean Nicolaï, fut composé par
Jean de Rom ( voy. Roma ) l'office de l'invention du corps de l'aïeule du Christ. En 1554, César
Trivulce, évêque d'Apt, obtint un jubilé de 5 ans pour ceux qui s'approcheraient du corps de la sainte
patrone avec les dispositions requises; ce qui attira dans la ville un si grand concours d'étrangers,
que le chapitre fut obligé d'établir un receveur pour recueillir les sommes énormes qui en résultèrent (
C.-F.-H. Barjavel. Dictionnaire historique, biografique et bibliographique du Départment de
Vaucluse, Carpentras 1841, 1., p. 66 ).
Nel XVII secolo una invenzione del presunto "intero corpo" della santa gerosolimitana conservato in
Apt, certificava la presenza solo di alcuni frammenti - inclusi i quattro denti e frammenti provenienti
probabilmente da Montrieux - riavvolti in origine in un "velo di s. Anna", una presunta antica reliquia
risalente in realtà alla tessitura fatimitide degli anni 1096/1097, come testimoniato nelle iscrizioni
accluse al manufatto in lino, tapezzerie e fili d'oro, forse ascrivibile al bottino dei nobili mercanti
genovesi che, secondo la leggenda, riportata anche dal Petrarca, nei primi decenni del XII secolo
fondarono l'abbazia di Montrieux, o al più tardo soggiorno del vescovo Benoît d'Alignan in Terrasanta
fra il 1239 e il 1243:
Un os appelé sacrum, presque tout entier; Une pièce des aperficies du genou; Deux os de la cuisse ,
appelés fémur: un de la longueur d'un pied, et l'autre d'un pied et demi; Quatre dents entières; Une
pièce de l'os de la jambe, d'un pied et demi de long; Une autre pièce de l'extrémité des mêmes os; Un
troisième os de la cuisse, appelé fémur, d'un demi pied; Un os de l'omoplate, avec une partie du
jugal; Une pièce de la clavicule; Une autre partie du fémur ;Une pièce de la vertèbre, la plus
base; Deux grosses pièces de la sommité de l'os fémur; Deux petites faucilles, l'une du bras et
l'autre de la jambe; Plusieur’s ossements qui paraissent être les carpes et les métacarpes des pieds et
des mains; Une partie de l'os pubis; Six vertèbres, dont l'une est tout entière; Une extrémité d'une
partie de l'omoplate; Plusieurs pièces des côtes; Quelques pièces de l'os brachium; Quatre faucilles,
et plusieurs autres petits ossements qui ne peuvent recevoir aucune désignation particulière, non plus
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que les fragments qui sont renfermés et scellés dans une urne en cristal ( X. Mathieu, De la dèvotion a
sainte Anne mère de la vierge Marie ou de le culte que l'on rende à ses reliques dans l'ancienne
Cathédrale d'Apt en Provence, Apt 1861, p. 58-59 ).
Indubbiamente, i rami occitanici dei conti di Ventimiglia - strettamente imparentati con Delphine de
Signes - furono parte della corte provenzale dei sovrani Carlo II e Maria. E in tal ruolo forse giocarono
un'influenza non secondaria nella mediazione tra gli Angiò e i cugini siciliani e liguri, con cui
condividevano signorie nella Provenza orientale, anche per rafforzare il proprio ufficio nei confronti
dei sovrani siciliani. Ad esempio, quando Maria d'Angiò – figlia dei re di Sicilia – sposa, nel 1304,
Sancio d'Aragona, re di Maiorca – figlio di Giacomo II – tra i principali testimoni alle nozze nel
palazzo reale di Collioure, nel Rossiglione, si contano il barone Bertrando I de Vintimille – visconte di
Marsiglia figlio di Philippine de Sabran, marito di Béatrix de Sabran e cognato di Elzéar – e il
donzello Bonifacio de Vintimille. Lo stesso Bertrando, esegue in presenza di Carlo II d'Angiò l'ordine
regio di espulsione di uno scudiero da un torneo cavalleresco in Marsiglia nel 1307. L'ingresso dei
conti di Ventimiglia occitanici alla corte angioina dovrebbe risalire al trattato di pace, a seguito di una
guerra, tra Bonifacio II de Vintimille e Carlo II, del 21 aprile 1295. Nell'Archivio di Tourves, tra i
documenti superstiti dei de Vintimille, si conserva il testamento di Bonifacio II de Vintimille, padre
del premorto Bertrando I, che denota l'estendersi della signoria di questo ramo dei conti di Ventimiglia
occitanici anche alla signoria di Elzéar de Sabran, e della sorella Delphine, ossia alla cosignoria di
Ansouis: Testament d'illustre seigneur Boniface de Vintimille, seigneur de la Verdière, Brauch,
Besaudun, Varages, Ansouis, Tourves, St Martin de Pallières et autres, père dudit Bertrand de
Marseille, en date du 22 juin 1330, justifiant être descendu du seigneur Emmanuel de Vintimille ( A.
Venturini, Un compte de l'hôtel de Marie d'Anjou, reine de Majorque, retirée en Provence,
“Bibliothèque de l'École des chartes”, 146 (1988), p. 76; N. Coulet, Affaires d'argent et affaires de
famille en Haute Provence au 14. siècle. Le dossier du procès de Sybille de Cabris contre Matteo
Villani et la compagnie des Buonaccorsi, ( Archivio di Stato di Firenze, Mercanzia, 14143 ), Roma
1992, p. 77; S. du Roure, Les Maintenues de Noblesse en Provence par Belleguise ( 1667-1669 ),
Bergerac 1923, 1., p. 245 ).
Sulla relazione dei conti di Ventimiglia con il pensiero spirituale di Arnau de Vilanova - o meglio
quello che all'epoca fu considerato il suo pensiero - notisi la committenza della contessa Sibilla de
Vintimille ( ca. 1300-1360 ) - moglie di Paul de Villeneuve barone di Vence, figlia di Bertrando I de
Vintimille visconte di Marsiglia - al proprio scrivano Guglielmo de Parissa - già segretari del dich
venerable homme,mestre Arnaut de Villa Nova - concernente la traduzione in provenzale del Liber
experimentorum attribuito impropriamente al Vilanova. ( A. Calvet, Les traductions françaises et
occitanes de l'oeuvre alchimique du Pseudo-Arnaud de Villeneuve ( 14. siècle - 15. siècle ) in El saber
i les llengües vernacles a l'època de Llull i Eiximenis: estudis ICREA sobre vernacularització, a cura
di A. Alberni [ et al. ], Barcellona 2012, p. 61 ).
Paul de Villeneuve, cugino della beata Roseline de Villeneuve, fu erede del bisnonno Romeo de
Villeneuve, balio e reggente della contea di Provenza, di cui fu l'ovra grande e bella mal gradita (
Paradiso, VI,, vv. 127-142 ), ossia di colui che combinò il matrimonio tra la sua pupilla Beatrice di
Provenza e Carlo I d'Angiò, determinando l'unione della Provenza alla corona capetingia. Inoltre,
Alasia de Villeneuve, cognata di Sibilla di Ventimiglia, fu moglie di Ramon de Villeneuve des Arcs,
fratello della beata Roseline e cugino di Elzéar de Sabran e della beata Delphine de Signes. La salda
unione spirituale e politica tra questi raggruppamenti familiari - mai rilevata dalla storiografia - è
illuminata inoltre dal secondo matrimonio di Bertrando II de Vintimille, fratello di Sibilla, con
Béatrix, sorella di Paul de Villeneuve. Inoltre, la zia di Bèatrix de Sabran - moglie di Bertrando I de
Vintimille - Alayette de Sabran è sposa di Bertrando Porcelet de Fos e genitrice della beghina Felipa
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des Porcelet, priora del beghinaggio marsigliese di Roubaud e autrice nel 1297 di Li vida de la
benaurada sancta Doucelina, mayre de las donnas de Robaut. Felipa sposa in giovanissima età, prima
dell'adesione religiosa, Fouques I d'Agoult de Pontevés trisavolo di Margherita seconda moglie di
Bertrando I de Vintimille. Altro legame tra Bertrando II de Vintimille e gli ambienti degli Spirituali fu
instaurato dalla prima cugina Isabel de Sabran che sposò in Sicilia l'infante Ferran d'Aragona-Maiorca,
fratello degli spirituali Sancia e Filippo ( matrimonio combinato dalla madre di Isabel, Marguerite de
Villehardouin: P.-J. Bernard, Une source inédite pour la connaissance des élites de la Morée
franque. Le testament de Marguerite de Mategrifon ( 1314 ), in Élites chrétiennes et formes du
pouvoir en Méditerranée centrale et orientale ( 13. - 15. siècle ), a cura di M.-A. Chevalier, I. Ortega,
Parigi 2017, p. 123 - 135 ).
Douceline de Digne, la fondatrice del beghinaggio, intorno al 1250 inaugura una nuova forma di vita
laico-penitente femminile sulle orme del fratello, il francescano spirituale Hugo de Digne,
particolarmente ammirato da re Luigi IX. Santa Douceline fu inoltre saldata alla spiritualità di Benoît
d'Alignan, il vescovo di Marsiglia che negli stessi anni introduce - probabilmente dalla Terrasanta alcune reliquie del teschio di s. Anna nell'abbazia di Montrieux ( Sui singoli lignaggi vedi l'eccellente
F. Mazel, La Noblesse et l'Église en Provence, fin 10. début 14. siècle. L'exemple des familles
d'Agoult-Simiane, de Baux et de Marseille, Parigi 20082, p. 638-652. Sul primo matrimonio di
Bertrando II de Vintimille con Margherita de Grasse-Cabris vedi Coulet, Affaires d'argent et affaires
de famille, p. 64, 78, 208; su Felipa des Porcelet e i suoi rapporti con i de Signes di Ollioules e
Evenos: J. H. Albanés, La Vie de sainte Douceline fondatrice des Béguines de Marseille, composée au
Treizième siècle en langue provençale, Marsiglia 1879, p. 265-266: M. Aurell, Une famille de
la noblesse provençale au moyen âge: les Porcelet. Avignone 1986; M. Aurell, La substitution
héraldique du testament de Guilhem Porcelet (1311), "Revue française d’héraldique et de
sigillographie", 60-61 ( 1990-1991 ), p. 13-29 ).
Presso il sarcofago di s. Sidonio, contenente i capelli, un brano di pelle, parte del cranio e di un
braccio della Maddalena ( il resto del corpo sembra finito in potere del potente cardinale Gerardo da
Parma in Roma ), Carlo II di Salerno trovò, tra altre lapidi, una rappresentazione della vergine Maria
bambina - apparentemente del V-VI secolo - con l'iscrizione Maria virgo minester de Tempulo
Gerosale/La vergine Maria addetta al Tempio di Gerusalemme. La presentazione al Tempio di Maria,
secondo gli Apocrifi, è uno degli atti più rilevanti di s. Anna, citato pur nella Historia de nativitate
Mariae et de infantia Salvatoris, e questo potrebbe aver contribuito alla fondazione di una cappella
dedicata a s. Anna nella nuova basilica di S. Massimino, eretta da Carlo II, dall'anno 1295 in poi.
E' possibile che la scoperta di questa lapide, nel corso del Trecento, abbia ispirato la definizione
fantasiosa della presenza nell'Alto Medioevo delle reliquie di s. Anna in Apt, che sarebbero giunte in
Gallia trasportate da Maria Maddalena e dalle sue compagne, le presunte figlie di Anna; Maria Salomé
e Maria Cleopa. Nondimeno, al di là delle leggende del tardo Trecento - riprese dalla duecentesca
Legenda aurea - un sicuro indice del successo del culto di s. Anna nella famiglia angioina, nella
prospettiva spirituale di Carlo II e del figlio Carlo Martello, re d'Ungheria, principe di Salerno e
vicario di Sicilia, fu l'edificazione intorno al 1293, con patrocinio regio, della Cappella di S. Anna,
nella basilica francescana napoletana di S. Lorenzo Maggiore; chiesa che costituisce l'unico esempio
di gotico francese in Italia. ( M. Camera, Annali delle Due Sicilie, dall'origine e fondazione della
Monarchia..., Napoli 1860, 2., p. 182; M. Gaglione, Note su di un legame accertato: la dinastia
angioina ed il convento di S. Lorenzo Maggiore di Napoli, "Rassegna storica salernitana", 50 ( 2008 ),
n. s., p, 141-154, che riferisce, tra l'altro, della presenza nella cappella angioina di un'icona bizantina
di s. Anna Metterza. Iconografia rarissima e precorritrice, secondo gli attuali studi, poiché il primo
esempio in area bizantina, sin ad oggi conosciuto, risale agli affreschi di Famagosta della metà del
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XIV sec.: M. Bacci, Syrian, Palaiologan, and gothic murals in the “nestorian” Church of Famagosta,
«Deltion tis christianikis archaiologikis etaireias», s. 4., 26 ( 2006 ), p. 207-220. ).
10. Grassatores et capud proditionis facte contra nos
Cosi il 25 marzo 1276 Carlo I d'Angiò definiva Pietro Balbo I conte di Ventimiglia, e i suoi cugini
Ramon Rostanh Balb - sire di Val de Blore, Beuil, Ilonse etc. - e Faraud Balb - signore di St. Saveur,
St. Etienne, St. Dalmas e Rimplas - emanando l'ordine di cattura al siniscalco di Provenza, il
normanno Gualtieri V d'Aulnay, dandogli facoltà di spendere qualsiasi somma per chi li consegni, vivi
o morti.
Damus tibi potestatem expendendam et dandam pecuniam nostram illis qui Petrum Balbum et
Raymundum Rostannum et Ferrandum de Sancto Salvatore et alios proditores nostros, qui fuerunt
grassatores et capud proditionis facte cantra nos vel aliquos ex eis nobis restituent et in potestate
nostra tradiderint vìvos vel occisos, secundum quod tibi et consilio nostro Provincie videbitur
expedire.
Nella condanna angioina non è incluso esplicitamente il conte Guglielmo Pietro, fratello di Pietro
Blbo, forse perché all'epoca residente in Aragona. Per inciso, Gualtiero/Gauthier d'Aulnay, signore di
Teano, Moussy-Le-Neuf, Mesnil et di Grand Moulin, che portava uno scudo identico a quello dei
Ventimiglia di Geraci - d'oro al capo di rosso – fu padre di Filippo e Gualtieri il Giovane, ossia degli
amanti delle principesse di Francia, mogli del futuro Luigi X e del fratello Filippo. D'Aulnay che
finirono loro sulla forca...al posto dei conti di Ventimiglia...a seguito del tremendo gossip causato
dalle loro boccaccesche imprese.
Dal settembre 1278 al 1282 Carlo II, principe di Salerno, conte di Lesina e signore di Monte S.
Angelo, è nominato dal padre vicario nella contea di Provenza, ma, in visita alla corte di Parigi e nelle
contee paterne del Maine e Anjou, soltanto nel 1280 il principe prende possesso della contea
provenzale, soltanto a marzo infatti, dopo un anno di trattative, l'imperatore e re d'Arles, Rodolfo
d'Asburgo, riconosce in feudo le contee di Provenza e Forqualquier ai due angioini. Carlo II è
prescelto come mediatore nel conflitto tra Alonso X di Castiglia e Filippo III di Francia, ma le
trattative tra i due sovrani a Tolosa nel luglio 1281 non sortiscono effetti concreti. L'argomento è il
riconoscimento della successione sul trono di Castiglia di Alfonso de la Cerda, nipote di Luigi IX di
Francia - e consanguineo di Eudossia Làscaris di Ventimiglia - detenuto nel dorato palazzo reale di
Jàtiva, dal 1286 ceduto dai sovrani aragonesi in usufrutto a Eudossia, e poi, dal 1288, concesso
totalmente in signoria alla medesima infanta Làscaris di Ventimiglia.
Durante la permanenza in Provenza, il pio principe di Salerno, si dedica a compulsare libri e
documenti antichi per individuare il luogo di sepoltura di s. Maria Maddalena. Guida gli scavi
archeologici nella basilica di S. Massimino e al 3 dicembre del 1279 il principe Carlo scopre
personalmente il sacello della santa in una cripta sotterranea. L'abbazia di S. Massimino è tolta ai
Benedettini e affidata ai Domenicani nel 1295, i quali organizzeranno un grande centro di culto
attirante folle di pellegrini. Durante la sua prigionia in Cefalù, nel 1285, si era giunti al trattato che
poneva Giacomo II d'Aragona, il cugino consanguineo di Eudossia Làscaris, sul trono di Sicilia e la
rinuncia di Carlo II ai suoi diritti sull'Isola. Nella primavera del 1286 Carlo II è internato nel castello
di Siurana presso Tarragona, appartenente a Pietro II d'Ayerbe, futuro genero della contessa Eudossia
Làscaris:
Assai trista era la condizione del principe Carlo II ( che pel difetto portato in una delle sue gambe fu
soprannomato il zoppo ). Lontano dalla famiglia, dalla patria, e dal trono, e privo perfino del regio
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titolo, per chè non ancora incoronato, gemeva prigione in una bicocca di Catalogna, arx Siurana. Il re
Alfonso d'Aragona avea deputato ad alleviarne gli ozii con la loro compagnia dodici signori, in
apparenza per mitigarne la captività, ma in realtà per meglio assicurarne la custodia. (
Camera, Annali delle Due Sicilie, p. 10 ).
Dal 1283 Eudossia è vedova e succede nella contea di Ventimiglia il suo primogenito Giovanni I, che
abbiamo incontrato pochi anni appresso accanto alla regina Maria Arpad.
De nouvelles négociations menées par le roi d'Angleterre Édouard aboutissent en juillet 1287 au
traité d'Oloron-Sainte-Marie dont les dispositions principales prévoient la libération de Charles aux
conditions suivantes: livraison des trois premiers fils comme otages ainsi que de 60 Provençaux et
paiement d'importantes sommes d'argent. Mais ce traité est muet sur le règlement de la question
sicilienne: Charles était simplement tenu de rétablir la paix dans un délai de trois ans. Dans le même
temps Alphonse III d'Aragon est confronté à une révolte des nobles qui exigent une plus grande
participation aux affaires du royaume. Pour s'assurer que le roi tiendra ses promesse ils exigent que
leur soit livré Charles d'Anjou (janv. 1288) qui est interné au château de Mequinenza. La situation
gagne en confusion avec l'élection du nouveau pape Nicolas IV qui invalide en mars 88 les traités de
Cefalù et d'Oloron, invitant Jacques de Sicile à renoncer à son trône et Alphonse à libérer sans
contrepartie le prince prisonnier. De nouvelles négociations s'engagent donc à Canfranc [ Huesca 28
ottobre 1288 n.d.r. ], au cours desquelles, à la demande d'Edouard, on sollicite l'avis de Charles de
Salerne. Le traité de Canfranc ne fait que modifier et préciser certains points du traité d'Oloron; il est
muet sur le règlement de la question sicilienne. Après sa libération en octobre 1288, Charles de
Salerne se rend en Provence, puis rejoint Rome en passant par Marseille, Paris, Nice, Gênes,
Florence. Le 29 mai 1289, il est sacré roi de Sicile par le pape Nicolas IV. ( J. Gandouly, Rec. a: A.
Kiesewetter, Die Anfange der Regierung Konigs Karls II. von Anjou( 1278-1295 ): das Konigreich
Neapel, die Grafschaft Provence und der Mittelmeerraum zu Ausgang des 13. Jahrhunderts, 1999
Husum, Matthiesen, in Mémoires des princes angèvins, "Bullettin annuel" 2 ( 2001-2002 ), p.40; sulla
presenza alle trattative di Oloron del filosofo e teologo spiritualista Arnau de Vilanova vedi: T.H.M.
Falke, M.R. McVaugh, Arnau de Vilanova at the summit of Oloron (1287): a major inflection point in
the life of a medieval physician, "Journal of Medieval History", 42 ( 2016 ), 5, p. 588-602 ).
10.1 Carlo d'Angiò e il commercio del sale
Le premesse del conflitto Angioini-Ventimiglia risalgono al nuovo quadro economico, e le ampie
ripercussioni politiche determinate dalla cessione della zona orientale della contea di Ventimiglia al
conte di Provenza, da parte di Guglielmo VI di Ventimiglia - e dei cugini Bonifacio I e Giorgio come
già osservato - Guglielmo VI ricevette in cambio la baronia di Laval, consistente nelle castellanie in
val Chanan, tra i fiumi Varo e Estéron, di La Rochette-de-Chanan, Coalongue, Puy-Figette, Penne,
Chaudol, Cadenede, Toudon, Gilette e i condomini di Sainte Marguerite/Dosfraires, Saint-Antonin de
Cuebris e Saumelongue:
Il fatto era questo: il 19 gennaio 1258, in cambio di terre in Provenza dal reddito annuo di 5000
tornesi e 1000 lire una tantum, Guglielmo II conte di Ventimiglia, consigliato da Pietro vescovo di
Nizza e da altri, promise di cedere a Carlo d’Angiò tutte le terre ereditate dal padre, che già teneva in
feudo dal comune di Genova, e specialmente San Chianino, Gorbio, Tenda, Briga, Castellero, metà di
Castiglione e di Sant’Agnese, ciò che possedeva nella valle Lantosca, i propri diritti su Roccabruna,
Monaco, San Remo, Ceriana ed altri luoghi. Qual era, tuttavia, la motivazione reale della “risposta”
genovese, concretizzatasi nel contratto per la costruzione di nuove saline? Forse il timore di Genova
di perdere una parte delle proprie fonti di approvvigionamento del sale. E inoltre: ci furono, in
merito, altre iniziative economiche o fiscali da parte ligure o angioina? Per ora non sappiamo:
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sicuramente, sull’argomento, occorrerà approfondire le ricerche. Certe sono invece le conseguenze
politiche dell’alienazione di Guglielmo II, seguita il 7 aprile 1258 da quella dei conti Bonifacio e
Giorgio di Ventimiglia, che vendettero a Carlo i loro diritti su Sospello, Roccabruna, Monaco,
Saorgio, Breglio, Pigna, Dolceacqua, Rocchetta, Sanremo e Ceriana: con esse il conte di Provenza
acquistò tutta quella regione che dalle rive del Mediterraneo giungeva fino alla sommità del colle
della Cornia, oggi detto del colle di Tenda. Tale regione, per lo più montuosa, era però attraversata
da una delle strade che da Nizza conducevano a Cuneo e Cuneo, o meglio “Cunis”, per dirla con il
trovatore Bonifacio di Castellane, era la “porta” di Asti e della pianura padana. A Genova, che
soprattutto potenziò in quegli anni le proprie fortificazioni ventimigliesi, dovette balenare anche
l’idea di rivendicare per contro i propri diritti su Nizza, in cui pure sopravviveva un “partito” a lei
favorevole, ma non se ne fece nulla. ( R. Comba, Le premesse economiche e politiche della prima
espansione angioina nel Piemonte meridionale (1250-1259), in Gli Angiò nell'Italia nord-occidentale
(1259-1382), a cura di R. Comba, Milano 2006, p. 25-26. Sui conti di Ventimiglia in val de
Chanan: J.-A. Durbec, Les villages du val de Chanan et des terres environnantes dans l'ancien
Diocèse de Glandèves du 11. au 15. siècle, " Bulletin philologique et historique ( jusqu'à 1610 )", 52 (
1965 ), p. 41, 61-69, 108, 111, 138 ).
10.2 I conti di Ventimiglia, cospiratori, capi della sedizione e alleati dei Faydit provenzali
Può esser una casualità, ma accanto a Eudossia Làscaris, in Aragona, incontriamo come suo
procuratore Raimondo di Ventimiglia che potrebbe identificarsi con il Raimondo Rostagno sul cui
capo pendeva l'ordine di cattura angioino sopra accennato, o con altro cognato; Raimondo di
Ventimiglia, canonico di Embrun. Altro elemento di collegamento tra Aragona e politica provenzalligure-piemontese anti-angioina fu rappresentato dal conte Bonifacio di Ventimiglia. Si tratta
probabilmente di Bonifacio figlio di Oberto II di Ventimiglia – da non confondere con l'omonimo
figlio di Emanuele - il conte di Badalucco, ( con ampia signoria albenganese comprendente Bussana,
Triora, Carpasio, Arma, Taggia, Pietralata, Baiardo, Montalto, Campomarzio, Dho, Rezzo, Mendatica,
Villatalla, Cipressa, Ceriana etc. ). Alcuni territori, come Pietralata e Mendatica, erano in
comproprietà con Enrico II di Ventimiglia, conte d'Ischia, con il quale Bonifacio è presente il primo
luglio del 1265 in València, ospiti a pranzo della principessa Costanza di Svevia moglie dell’infante
Pietro d’Aragona e figlia di Manfredi; probabilmente al fine di perorare la causa, presso il sovrano
aragonese Giacomo I, del padre Manfredi di Svevia, in opposizione a Carlo d’Angiò, il quale, ottenuta
l’investitura papale sul Regno di Sicilia, si preparava a invaderlo. ( S. Tramontana, Gli anni del
Vespro. L’immaginario, la cronaca, la storia, Bari, 1989, p. 191 ).
La sorella di Bonifacio, Veirana, aveva sposato il marchese di Ceva e insieme, i due fratelli e i Ceva,
stavano liquidando la cospicua eredità di Oberto di Ventimiglia cedendola alla Repubblica di Genova.
Il nonno di Bonifacio, Guglielmo III di Ventimiglia, aveva sposato Guillemette de Castellane, figlia di
Bonifacio IV de Castellane, e aveva lasciato in dote a Oberto II, cugino dei potenti baroni provenzali
de Castellane, le signorie provenzali di Clermont, Opio, Chateauneuf e La Gard. Inoltre, la madre di
Bonifacio di Ventimiglia era una de Fos, altro casato di proceres provenzali, cosignori di Aix e
padrone delle ricche saline di Hyères, passate nel 1259 sotto il controllo dell'arcigna amministrazione
angioina. In sostanza Bonifacio – sposato a Giulietta de Advocatis, di un lignaggio leader della
fazione guelfa genovese - fu al centro di rilevanti relazioni e interessi economici familiari che partendo
da Genova e passando per il Piemonte raggiungevano la Provenza orientale. Lo stesso cugino
Bonifacio VI de Castellane, il celebre trovatore figlio di una des Baux e sposato a una de Fos, nel
febbraio 1265, bandito dalla Provenza, è segnalato a Huesca, ospite dei sovrani aragonesi, dopo esser
stato a capo della rivolta di Marsiglia del 1261-1262, che prefigura, come movimento occitanico, per
molti aspetti anti-francesi, le vicende dei Vespri Siciliani:
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Le seul appui de quelque fermeté aux révoltés provençaux vint d’Aragon. Jacques le Conquérant ne
faisait pas de difficulté pour promettre à Louis IX, en juillet 1262, de ne soutenir ni Marseille ni
Boniface de Castellane contre Charles d’Anjou, ni Manfred contre l’Église et ses ayants cause. Mais
il y avait là un raccourci du système d’alliances que les Capétiens redoutaient. Louis IX voulait
prévenir les conséquences du mariage de Pierre, fils aîné de Jacques Ier, avec Constance, fille de
Manfred. Or, Pierre et son frère Jacques n’observaient pas la réserve de leur père. Ils continuaient de
regarder vers la Provence. Le mariage de Pierre n’apportait pas qu’un appui potentiel à ses
agissements. Il renforçait sa position idéologique, donnant une dimension gibeline aux entreprises
catalanes. Après la mort de Manfred, Pierre apparaîtrait en héritier et en vengeur de celui-ci. En
attendant, les Catalans entretenaient durablement de dangereux foyers d’opposition. Ils recevaient
lesfaiditi («proscrits» ) de Provence. Bientôt néanmoins, le pays échappait définitivement à leur
attraction ( La Provence au Moyen Âge, a cura di M. Aurell, J.-P. Boyer, N. Coulet, Deuxième
partie: 1245-1380. L'éphémère paix du prince, Aix-en-Provence 2005, p. 226; vedi anche M.
Aurell, Chanson et propagande politique: les troubadours gibelins ( 1255-1285 ), in Le forme della
propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, 'Relazioni tenute al Convegno
internazionale di Trieste ( 2-5 marzo 1993 )', Roma 1994, p. 183 - 202; sui de Castellane vedi T.
Pècout, Une société rurale du 12. au 14. siècle en Haute Provence: les hommes, la terre et le pouvoir
dans le pays de Riez, Tesi di dottorato, Université de Provence, 1998 ).
Il 9 luglio 1279, il conte Bonifacio di Ventimiglia ottiene dunque le credenziali e la defensio di Pietro
III d'Aragona, salito al trono, nei confronti del potente comune commerciale di Asti, membro della
lega ghibellina che dal luglio dell'anno precedente aveva nominato capitano di guerra Guglielmo VII
di Monferrato – lega costituita da Milano, Genova, Alessandria, Torino, Pavia, Verona, Mantova etc. affinché il conte Bonifacio fosse difeso e protetto dal Comune. Al 13 settembre 1277 risaliva una
tregua decennale tra Asti e Cuneo, quest'ultima aderente alla lega guelfa ( G. Adriani, Indice analitico
e cronologico di alcuni documenti per servire alla storia della città di Cherasco..., Torino 1857, p. 44
). L'epistola regia del '79, non casualmente, è materialmente dettata dal regio segretario – e medico –
di antica fede sveva e grande coordinatore della diplomazia anti-angioina, Giovanni da Procida:
Iam alias scripsisse per nobilem virum Guilelmum de Banyasch, vobis recolimus, ut nobilem virum
comitem Bonifacium, dilectum affinem nostrum, precum contemplacione nostrarum, haberitis intime
comendatum nulla molestia inferentes eidem nec ab aliis permittentes inferri, et adhuc adicimus
preces nostra, attente rogantes ut comitem supradictum, nostri amoris instinctu, comendatum
habentes, eundem a molestantibus quibuslibet deffendatis ( Diplomatari de Pere el Gran. 2. Relacions
internacionals i politica exterior ( 1260-1280 ), a cura di S. M. Cingolani, Barcellona 2015, p. 241 ).
Sappiamo che anteriormente alla battaglia di Roccavione del 1275 esisteva una lega che univa Asti ai
marchesi di Monferrato, Saluzzo, Ceva e ai conti di Ventimiglia, insieme ai comuni di Genova,
Mondovì e Pavia, attorno cui confluirono altri comuni dopo la schiacciante vittoria sugli Angioini.
All'Astigiano si collegava pur la madre di Enrico II di Ventimiglia, Aldisia da Manzano/Cherasco, la
signora di Carrù, castello nel cui territorio insistevano vaste proprietà livellarie e boschive dei vescovi
astigiani. Un ramo dei conti di Ventimiglia poi sembra che tenesse in feudo dai marchesi di Ceva il
vassallaggio di Rocca Ciglié, importante castrum a guardia della valle del Tanaro, contermine al
distretto di Carrù, e con il cognome Sevenc/Sevengus fosse inserito nel ceto dei proceres del comune
di Monteregale/Mondovì sino al 1275. Nel 1279 i conti - dopo la tregua del 1278 instaurata con gli
Angiò e con l'avallo di Mondovì - ampliavano l'alleanza a elementi del partito guelfo, come il comune
di Cuneo:
Essendosi dimostrati nelle passate guerre tra Carlo I, re di Sicilia, vicario della chiesa in Toscana, e i
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Genovesi, gli abitanti di Cuneo interessati per il primo, ed alcuni dei conti di Ventimiglia per i
secondi, e, dovendosi, dopo stabilita la pace tra quelli, anche concordar questi, Pietro Balbo conte di
Ventimiglia e Filippo dei Gastaldi, agente per il Comune di Cuneo, fanno la pace coi seguenti patti:
Che dovesse dall' ora m poi esser pace e fratellanza fra detto Pietro Balbo tanto per sé che per gli
uomini del contado di Ventimiglia, abitanti nei luoghi di Tenda, Briga, Saorgio, Breglio, Pigna,
Rocchetta, Castellaro, Bussana, Limone e Vernante ed il Comune di Cuneo, in modo che una parte
fosse tenuta a dare aiuto all'altra, eccetto contro gli Astigiani, il re di Sicilia, il di lui figlio principe di
Salerno, loro successori nel contado di Provenza, e Genovesi. Che occorrendo di far guerra, detto
conte fosse in obbligo di fornire per ciascun anno in servizio dei Cuneesi 80 balestrieri, il simile
facessero i Cuneesi in riguardo di detti conti e contado di Ventimiglia, mandando 80 clienti, ossia
uomini di armi, pagati per 15 giorni, con obbligo di accrescere cotal numero ogni qualvolta fosse di
mestieri aver aiuto, etc. Presta garanzia il Comune di Mondovì. In Cuneo. (A. Ferretto, Codice
diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321),
Roma 1903, Parte seconda, dal 1275 al 1281, p. 285).
10.3 Il secondo esito della cospirazione, dopo i Vespri siciliani: la fine del sogno imperiale di
Carlo I d'Angiò
Dopo la schiacciante vittoria di Roccavione e il rafforzarsi del controllo della val Vermenagna da parte
dei conti di Ventimiglia, segue un'altra sconfitta per gli Angioini. Le premesse per Carlo d'Angiò non
furono positive neppure in Oriente. Ai primi di aprile del 1281 l'esercito angioino fu disfatto
all'assedio di Berat, città epirota che controllava la principale via di comunicazione fra i possessi
angioini dell'Adriatico orientale e Costantinopoli. ( A. Kiesewetter, L’acquisto e l'occupazione del
litorale meridionale dell’Albania da parte di re Carlo I d’Angiò (1279–1283), "Palaver", n. s., 4 (
2015 ), p. 293 ).
Tuttavia, incoraggiato dalla svolta della politica del Papa, il 3 luglio 1281 a Orvieto, allora sede della
Curia pontificia e quindi certamente d'intesa con il pontefice, Carlo definì una nuova alleanza per la
conquista di Bisanzio con Filippo di Courtenay e Venezia. Quest'ultima intendeva così procurarsi una
posizione di preminenza nel commercio con il futuro Impero latino di Costantinopoli (l'accordo di
Orvieto fu ratificato a Venezia il 2 agosto 1281). Martino IV non fece attendere a lungo il suo
appoggio ufficiale: il 18 novembre 1281 pronunciò la solenne scomunica di Michele VIII Palaiologos
protettore dello scisma e dell'eresia – peraltro già scomunicato dal patriarca ortodosso di
Costantinopoli per aver fatto accecare e monacare, il Natale del 1261, il legittimo imperatore Giovanni
IV Làscaris, fratello di Eudossia -. Carlo fece i preparativi con gran fervore e fretta: le forze alleate
avrebbero dovuto riunirsi davanti a Corfù per l'attacco il 1º maggio 1282. A questo punto non si arrivò
mai. Nel frattempo, infatti, i contatti tra Bisanzio, Aragona e l'opposizione antiangioina in Sicilia – e a
Genova dove operava il conte Guglielmo Pietro di Ventimiglia nunzio imperiale di Costantinopoli avevano portato a risultati tali da porre fine a tutti i grandiosi progetti di Carlo per crearsi un grande
impero nel Mediterraneo orientale. A sconfiggere gli Angioini in Albania fu, tra il 1284 e il 1291 il
megas konostaulos Michele Doukas Glabas Tarchaneiotes, dove recuperò Dyrrhachion, Kruja,
Valona e Kanina, ovvero il patrono della chiesa che in Costantinopoli conservava i resti di s. Anna non
trasferiti in Occidente, e che aveva sposato la zia paterna della contessa di Ventimiglia. Il poeta
bizantino Manuel Philes canta l'eroica impresa di Michele che recupera all'Impero le terre adriatiche (
D. M. Nicol, The Despotate of Epiros, 1267-1479: a contribution to the History of
Greece, Cambridge, London, New York 1984, p. 70 ).
Le campane di Pasqua di Palermo annunciarono nel 1282 non solo la fine della «bella monarchia»,
fondata di Ruggero II, ma anche l’ultima stagione della dominazione angioina
nell’Albania meridionale. I Vespri Siciliani significarono nient’altro che il crollo di tutti i sogni
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ambiziosi di Carlo I d’Angiò di trasformare il Mediterraneo in un «lago angioino». Il sovrano fu
allora costretto a rinunciare ad ogni progetto di espansione sulla penisola balcanica, visto che aveva
bisogno di ogni armato per la riconquista dell’isola di Sicilia. Durante il vicariato del principe Carlo
di Salerno, il futuro Carlo II, che gestiva gli affari di governo per il padre dal gennaio 1283 fino al
giugno 1284, i possessi angioini in Albania furono più o meno abbandonati a
se stessi ( Kiesewetter, L’acquisto e l'occupazione del litorale meridionale dell’Albania, p. 294-295 ).
11. La prigionia di Carlo II d'Angiò, nel castello "ventimigliano" di Cefalù, dal giugno 1284 al
novembre 1285 e la prigionia dei nipoti di Luigi IX
L'anno successivo, il 5 giugno 1284, poco prima del ritorno di Carlo I dalla Francia, il principe
di Salerno osò attaccare la flotta aragonese comandata da Ruggiero di Lauria che incrociava nel
golfo di Napoli; glielo aveva consigliato il conte di Acerra, ma sconsigliato il legato Gerardo di
Sabina. Nella battaglia gli Aragonesi impiegarono metodi forse poco cavallereschi, ma che ebbero
pieno successo; con sommozzatori aprirono falle nelle navi francesi facendole affondare. C. stesso
dovette arrendersi a Ruggiero di Lauria con numerosi nobili del suo seguito. Dopo aver ottenuto
la liberazione di Beatrice, cognata di Pietro d'Aragona, tenuta fino ad allora prigioniera a Napoli,
l'ammiraglio aragonese fece ritorno a Messina, dove i rappresentanti delle città siciliane chiesero la
morte di C. per vendicare la morte di Manfredi e di Corradino. Solo grazie alla mediazione
della regina Costanza, moglie di Pietro d'Aragona e figlia di Manfredi, si riuscì a sottrarlo alla furia
del popolo e a portarlo nel castello di Cefalù. Dopo la morte di Pietro d'Aragona avvenuta nel
novembre 1285 (gli successero i figli Alfonso e Giacomo, il primo in Aragona e il secondo in Sicilia),
C. fu trasferito in Catalogna, ma, prima della partenza, rinunciò ai suoi diritti sull'isola di Sicilia e sul
territorio dell'arcidiocesi di Reggio; ancora nel febbraio 1287, mentre era prigioniero in Spagna,
sollecitò personalmente papa Onorio IV a rispettare il cosiddetto trattato di Cefalù. (A.
Nitschke, Carlo II d'Angiò, re di Sicilia, in Dizionario Biografico degli Italiani, 20 (1977))
Secondo il cronista Bartolomeo di Neocastro gli Angioini temettero una vendetta per la morte di
Manfredi e Corradino, anche se Margherita di Borgogna, moglie del re Carlo, non riteneva Costanza
Staufen capace di tale delitto: Nec diffidendum est de nobili regina Constancia, quod velit fratris,
patrisve animas de sanguine principis saciare. Ipsa enim cum proba et sapiens sit, cogitatus suos a
conspectu Altissimi non declinat ( Istoria sicula, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani, a cura di
G. Del Re, Napoli 1868, 2., p. 499-500 ). La stessa Margherita manteneva un rapporto speciale con la
memoria del conte Pietro I d'Alençon, ucciso per vendicare Manfredi di Svevia, di cui conservava nel
suo salterio un edificante racconto dei suoi ultimi istanti di vita: la forme et la manière comment
monseigneur le conte de Lençon reçut le cors Jeshu Crist la derniere fois (X. Helary, La mort de
Pierre, comte d'Alençon (1283), fils de saint Louis, dans la memoire capétienne, “Revue d'histoire de
l'Eglise de France”, 94 ( 2008 ), p. 5-22).
Alla battaglia, secondo la leggenda, avrebbe assistito dalle torri del Castelnuovo la moglie del
principe, Maria d’Ungheria, confortata dal legato pontificio Gerardo da Parma, che pregava, con
poco risultato, per la vittoria angioina. La cattura di Carlo da parte dei nemici fu confermata alla
principessa da messi catalani che le recarono appunto una lettera del marito contenente la richiesta
della consegna agli aragonesi della principessa Beatrice, figlia di Manfredi, da lungo tempo tenuta
prigioniera nel castello del Salvatore. Il principe di Salerno fu quindi trasferito a Messina, dove i
rappresentanti delle città siciliane chiesero la sua condanna a morte. Solo grazieall’intervento della
regina Costanza, moglie di Pietro d’Aragona e figlia di Manfredi, si riuscì aevitare il linciaggio di
Carlo che fu rinchiuso nel castello di Cefalù, e qui costretto a rinunciare ai suoi diritti sull’isola di
Sicilia e sul territorio dell’arcivescovato di Reggio Calabria. Da Cefalù, dopo il novembre del 1285 fu
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trasferito in Catalogna. ( M. Gaglione, Converà ti que aptengas la flor. Profili di sovrani angioini da
Carlo I a Renato (1266-1442), Milano 2009, p. 66).
All’avviso funesto della morte del Re, tenutosi il gran Consiglio Reale, si fecero nella Chiesa
Maggiore di Messìna i funerali, con tutta la pompa, e magnificenza, poscia si trattò di ciò, che far
dovevasi della Persona di Carlo il Zoppo, che dalla Rocca Guelfonia si era trasportato prigioniero in
quella di Cefalù. Varie erano le sentenze, ma la pia Regina Costanza, nel giorno del Venerdì Santo,
supplicata con pietosa lettera dal Principe Prigioniero, acciò in memoria della morte del Salvadore
del mondo, non volesse pigliar vendetta del sangue di Corradino, e Manfredi, di cui egli n’ era
innocente, con eroica cristiana pietà, in memoria del Crocifisso Redentore, lo perdonò. Concorse al
suo voto quello di Gio. di Procida Gran Cancelliero, contro quello degli altri Consiglieri, onde
l’Infante Jacopo per dar gusto alla Madre, si parti per Cefalù, e di sua mano scarcerò il povero
Principe, che stava in dubbio della vita, e consegnollo a tre Signori Catalani ma pria, che
s’imbarcasse, stabilì seco la pace, per la quale Carlo rinunziava a tutte le pretenzioni, che avesse sù
della Sicilia, ed lsole adiacenti, che Bianca sua Sorella si maritasse all’Infante Jacopo, a cui per
maggior cautela fosse anche in riguardo di dote data la Sicilia; che l’Infante Federico togliesse in
isposa Leonora altra Sorella di Carlo,colla dote del Principato di Taranto, e del Monte S. Angiolo;
che tre fratelli minori del Principe Carlo restar dovessero per ostaggi, con altri Signori Francesi, ed
Inglesi ſino all’adempimento del pattuito; che si stabilisse certa somma di danaro che a Jacopo pagar
si dovesse per le spese sofferto della guerra; e che l’Infante Violante o Jolanda Sorella di Jacopo, che
allora ritrovavasi nel monastero di Santa Chiara di Messina, fosse sposata a Carlo con dote del
Ducato di Calabria , e che gli'accennati articoli fossero validati dal consenso del Re di Francia, e del
Papa , e non adempiendo Carlo alle promeſſe nello spazio di tre anni, restituir si dovesse alla
prigione. Ma era trascorso quel tempo degli Attilj Regoli; imperocché sciolto Carlo dalla Prigione
passò in Francia, ove dimorò lungo tempo senza, per allora, più rammentarsi di tali promesse. ( C. D.
Gallo,Annali della città di Messina capitale del Regno di Sicilia..., Messina 1758, 2., p. 141 ).
Nel detto anno MCCLXXXIV. partiti i Cardinali Legati, ch’erano in Cicilia, et perché non haveano
potuto trovare accordo, lasciarono molto aggravato il Reame di Cicilia di scommuniche, togliendo
ogni beneficio et gratie spirituali al Re d’Araona, et a’ Ciciliani. Per questa cagione, et per la morte
del Re Carlo quelli i Messina si mossono a furore et corsono alle prigioni dov' erano i Franceschi
per ucciderli; e' prigioni si presono a difendere, onde i Messinesi missono fuoco nella prigione; et
arsonvi dentro a gran dolore e stento i detti prigioni Franceschi. Et fu bene giudicio di Dio, che
l'orgoglio et superbia de' Franceschi usata in Cicilia fosse punita, per così disordinata et furiosa
sententia de’ Cicíliani, come fu questa, et quando si rubellò la Cicilia. Et fatto questo, tutte le terre di
Cicilia feciono Sindaco con ordine, et congregati insieme di concordia condannarono a morte il
Prence Carlo, il quale li aveano in prigione, et che li fosse tagliata la tesa, si come lo Re Carlo suo
padre havea fatto a Curradino. Ma come piacque a Dio, la Reina Costanza moglie del Re Piero
d’Araona, la quale all’hora era in Cicilia, considerando il periglio che al suo marito, et a’ suoi
figliuoli ne potea avvenire della morte del Prence Carlo, prse più savio consiglio, et disse a'
Sindachí delle dette terre, che non era convenevole, che la loro sententia procedesse senza la volontà
del Re Piero loro Signore, ma parevale, che’l Prence fosse mandato in Catalogna a lui; et egli come
Signore facesse di lui sua libera volontade, et cosi fue osservato suo consiglio. ( Villani, Historie
fiorentine, col. 304 ).
11.1 I debiti per la liberazione di Carlo II d'Angiò
Nel frattempo continuò la guerra tra Francesi e Aragonesi, e fu solo grazie alla assidua mediazione
del re inglese Edoardo I che nel 1288 fu stipulato ad Oléron un accordo con le clausole seguenti: a C.
sarebbe stata accordata la libertà se avesse dato in ostaggio i tre figli maggiori e 50.000 marchi
d'argento come garanzia. Doveva inoltre impegnarsi a indurre Carlo di Valois a rinunciare
all'Aragona, che gli era stata conferita da Martino IV, e a sollecitare il papa a revocare tutte le pene;
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gli furono concessi tre anni di tempo per negoziare una pace tra la Chiesa, la Francia e l'Aragona che
potesse soddisfare le esigenze degli Aragonesi. Se non fosse riuscito a osservare queste condizioni
egli si doveva impegnare a tornare prigioniero. Il re di Francia, Filippo il Bello, impedì subito
l'esecuzione del trattato, contro il quale protestò energicamente il 15 marzo 1288 anche papa Niccolò
IV. Ma Inglesi e Aragonesi continuarono a negoziare, e venne così concluso il 28 ottobre, a Canfranc,
un accordo non molto diverso dal primo. Questa volta anche Edoardo I s'impegnò ad adoperarsi per
l'esecuzione del trattato, al quale però Niccolò IV oppose nuovamente il suo rifiuto. Nonostante ciò C.
si dichiarò pronto ad accettare le condizioni postegli e fu così liberato dalla prigionia nel novembre
del 1288.
In un primo momento si fermò in Francia, sensibilmente disorientato dalla sventura che gli era
capitata: chiese infatti ad Alfonso d'Aragona il permesso di intitolarsi re di Sicilia nelle trattative che
si era impegnato a condurre, e Alfonso gli rispose il 26 genn. 1289 che non gli sembrava opportuno
che assumesse questo titolo, visto che doveva trattare la pace anche con suo fratello Giacomo, il
quale usava intitolarsi anch'egli re di Sicilia. Ma la corte francese e il papa spinsero C. a far valere i
suoi diritti, e alla fine egli si trasferì in Italia e fu incoronato dal pontefice la Pentecoste del 1289 (29
maggio) nella cattedrale di Rieti, re di Sicilia e di Gerusalemme, insieme alla moglie Maria. Il 12
settembre dello stesso anno Niccolò IV dichiarò illegittimi gli accordi di Oléron e di Canfranc, perché
conclusi in stato di necessità, sciogliendo C. II dal giuramento prestato. Ma questi non era affatto
d'accordo con questa decisione pontificia, e già ora lo opprimeva il pensiero, di non essere in grado
di indurre Carlo di Valois alla rinuncia all'Aragona e il papa a perdonare gli Aragonesi, visto che
Niccolò IV faceva predicare nuovamente la crociata contro l'Aragona e più tardi anche contro la
Sicilia.(A. Nitschke, Carlo II d'Angiò, re di Sicilia, in Dizionario Biografico degli Italiani, 20 (1977))
Il periodo della lunga prigionia di Carlo II in Spagna fu difficilissimo per sua moglie. La
Sovrana ricorse alle corti di Francia e d’Inghilterra chiedendo appoggio diplomatico per la
liberazione del marito. Durante i negoziati, Maria si trasferì in Provenza e governò direttamente la
contea, riuscendo anche a combinare il matrimonio del primogenito Carlo Martello con Clemenza,
figlia di Rodolfo d’Asburgo. Inoltre ottenne dal re d’Inghilterra un finanziamento per il pagamento
del riscatto di Carlo e ottenne l’assenso pontificio agli accordi per la liberazione del marito, quando
il papa non aveva inizialmente accettato le condizioni poste da Alfonso d’Aragona. Maria, per pagare
le ingenti spese sopportate in quel frangente, fu anche costretta a impegnare i gioielli personali al fine
di ottenere un prestito dai banchieri Bonaccorsi di Firenze. In seguito, comunque, la Sovrana riscattò
probabilmente solo parte dei suoi gioielli dietro il pagamento di 150 once d’oro. Finalmente, come si
è detto, riuscì a rivedere il marito nel 1289, e i figli nel 1296.
11.2 I nipoti di Luigi IX di Francia, 'affidati' a Eudossia Làscaris di Ventimiglia
Nel 1288 viene liberato Carlo II, consegnando come ostaggi i figli Luigi, Roberto e Raimondo
Berengario, oltre 60 cavalieri provenzali e venti cittadini marsigliesi. I principi reali furono
detenuti nei castelli di Montcada e Siurana, appartenenti rispettivamente ai Montcada cugini del
siniscalco Guglielmo de Montcada-Fraga, marito di Beatrice Làscaris di Ventimiglia e Pietro II
d'Aragona-Ayerbe futuro marito di Violante Làscaris di Ventimiglia, ovvero ai generi di Eudossia,
nonché agli ambienti culturali e religiosi dei francescani spirituali verso i quali la stessa Eudossia e le
figlie propendevano, e che ispireranno la loro fondazione della Mare de Deu de la Serra. Sempre nel
1288 - a seguito del trattato di Lione del 13 luglio - tra Sancio IV di Castiglia e Filippo IV di Francia sono pur liberati dal castello di Xàtiva/Jàtiva - signoria di Eudossia Làscaris dal 1286 - dopo sette anni
di ospitalità forzata, Alfonso e Fernando de la Cerda, eredi al trono di Castiglia, nipoti di Luigi IX
Capeto e di Violante d'Aragona, cugina consanguinea della contessa di Ventimiglia. Già dal 1279
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Eudossia. sul palazzo reale di Jàtiva, vantava una rendita di 14.000 soldi annui e l'usufrutto del
medesimo palazzo reale - una imponente fortezza - era stato concesso a lei e a sua figlia Beatrice
Làscaris di Ventimiglia. Eudossia e soprattutto la figlia Vatatza, raggiunta dalla madre in Castiglia nel
1304, sono al centro delle trattative tra Aragona – che difende i diritti dei La Cerda – e Castiglia.( A.
Masià De Ros, La emperatriz de Nicea, Constanza, y las princesas Lascara y Vataza. Nuevas noticias
acerca de sus relaciones con las Cortes de Aragón, Castilla y Portugal, "Boletín de la Real Academia
de Buenas Letras de Barcelona", 20 ( 1947 ) p. 145-169, 148; G. Daumet, Mémoire sur les relations
de la France et de la Castille de 1255 à 1320, Parigi 1913, p. 52, 184 ).
Catturato, ottenne la libertà solo nel 1288, a patto di consegnare in ostaggio agli Aragonesi tre dei
suoi figli. Nel corso della cattività Luigi risiedette in diversi castelli della Catalogna (Moncada,
Ciurana, Barcellona) e fu in contatto con il grande teologo francescano Pietro di Giovanni Olivi, che
il 18 maggio 1295 dal convento di Narbona indirizzò a L. e ai suoi fratelli una lunga lettera di
esortazione, in cui spiegava che aveva preferito non incontrarli per non irritare Carlo II, il quale
temeva che Olivi facesse di loro dei "beguini" ("eciam dominus pater vester timuerat vos inbeguiniri",
cfr. Ehrle, p. 538). Già in quell'epoca, infatti, L. subiva l'influenza della sua cerchia formata da
francescani provenzali, in particolare di François Brun e di Pierre Scarrier, quest'ultimo incaricato
della sua formazione culturale e spirituale, e fu allora che fece segretamente il voto di entrare
nell'Ordine dei frati minori.
Pere (II) tingué cinc filis bastards. Un segon Garci Pérez, la mare del qual fou Mari Beltran de
Lihuerre. El seu pare li deixá els llocs de Marcuello, Siurana i Riglos, aquest amb una condició: una
germana del testador tenia uns drets a Riglos...La germana segona, Beatriu, s'havia casat amb
Guillem de Montcada, senyor de Fraga, el 1282; féu testament el 1295 i morí vers el 1300, sense
descendencia ( M.-M. Costa, La Casa dels senyors d'Ayerbe, d'origin reial, "Medievalia", 8 (1989), p.
121, 124 ).
11.2.1 Il patronato dei Doukai Vatatztes sulla Theotokos Pammakaristos di Costantinopoli e gli
Zaccaria di Genova
Reliquia del braccio di s. Anna, probabilmente da ascriversi a committenza di Andronico III Palailogos - cugino
consanguineo di Eudossia Làscaris di Ventimiglia - e della basilissa Anna/Giovanna di Savoia. Oggi nel Tesoro del
Duomo di Genova. ( G. Ameri, Nuove considerazioni sul reliquiario del braccio di Sant'Anna nel tesoro del Duomo di
Genova, "Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz", 53 ( 2009-2011 ), n. 2/3, p. 169-196 ).
Il lignaggio paterno di Eudossia di Ventimiglia è quello dei Vatatzes - anche se il padre assunse il
cognome Làscaris per la dominante parentela imperiale - discendenti per via femminile dai Doukai. La
chiesa della Theotokos Pammakaristos/Madre di Dio Gaudiosa fu fondata sotto il patronato dei
Doukai nell'XI secolo da Anna Doukaina e Giovanni Komnenos. genitori dell'imperatore Alessio I
Komnenos. Intorno al 1310 vi fu annessa la cappella dedicata alla memoria del patrono Michele
Doukas Glabas Tarchaneiotes ( 1235-1308 ca. ), ovvero di uno dei più valenti generali e protostrator
di Michele VIII ( suo cognato avendo essi sposato due sorelle, cugine di Eudossia di Ventimiglia ) e
Andronico II Palaiologos. Alla destra del portale d'ingresso della basilica fu composto un mosaico
raffigurante Andronico III Palaiologos e la consorte Anna di Savoia. Questa chiesa fu il katholikon di
una fondazione monastica maschile e il principale centro di conservazione del corpo di s. Anna e del
suo culto ortodosso sino alla caduta di Costantinopoli del 1453 ( Panou, The Cult of St. Anna, note 6467 ). Michele Doukas Glabas Tarchaneiotes - che nominò abate della Theotokos il monaco Kosmas
nel 1263, divenuto poi patriarca col nome di Giovanni XII dal 1 gennaio 1294 al 21 gennaio 1303 sposò Maria Doukaina Komnena Palaeologina Branaina Vatatzaina - cugina di Eudossia contessa di
Ventimiglia, come nipote di Isacco Doukas Vatatzes fratello del nonno, l'imperatore Giovanni III
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Doukas Vatatzes il Misericordioso -. Maria fondò la cappella
mortuaria del marito facendola adornare da un ciclo di affreschi
rappresentanti le straordinarie imprese militari del protostrator contro
Bulgari, Serbi, Angioini e Despotato di Epiro. Con il nome di Marta,
la cugina della contessa di Ventimiglia, rimasta vedova, entrò in
monastero. Le cugine dei conti di Ventimiglia, figlie di Michele e di
Maria-Marta, furono Doukaina Glabaina Tarchaneiotissa, sposa di
Andronico Asen, e Anna Palaeologina Tarchaneiotina sposa del
sebastos Andronico Palaiologos. Doukaina Glabaina e Andronico
Asen furono i suoceri del genovese Centurione I Zaccaria, figlio di
Jaqueline de La Roche dei duchi di Atene, nonché barone di
Veligosti, Damalas, Chalandritza, Maniatohori, Estamira e
Mitropolis, gran connestabile e balio di Filippo II di Taranto, principe
d'Acaia e imperatore nominale di Costantinopoli.
Benedetto Zaccaria era un membro della famiglia genovese degli
Zaccaria de Castro, dal 1264 feudataria dell’imperatore Michele
VIII, avendo ricevuto Focea con le vicine cave d’allume. Benedetto
era stato emissario di Bisanzio presso le corti di Castiglia e Aragona
(1282), aveva partecipato alla battaglia della Meloria tra Genova e
Pisa (1284), al servizio del re di Castiglia aveva combattuto contro
l’emiro del Marocco (1291) e, probabilmente alla fine del 1294 (ma non dopo il 1296), era stato
chiamato da Filippo il Bello a prendere il comando della marina di Francia. Si era inoltre dimostrato
capace di difendere Focea dagli attacchi dei Turchi che in quegli anni saccheggiavano e devastavano
la parte greca dell’Asia Minore ( C. Ravera, I Genovesi a Chio ( 1346-1566 ). La formazione di una
societò plurale, Tesi di laurea presso l'Università di Pisa, Corso di laurea magistrale in Archeologia,
2014 )
Benedetto Zaccaria, immortalato dal grande Roberto Sabatino Lopez, fu anche emissario di Michele
VIII nel 1282 in Aragona e Castiglia e procuratore dell'ex imperatrice Anna-Costanza Staufen, come
risulta dal Registro 53, f. 12 della Corona d'Aragona. Suo nipote Martino Zaccaria ottiene da Filippo
di Taranto, principe d'Acaia, imperatore di Costantinopoli, la nomina, il 24 maggio 1325, a "Re e
despota dell’Asia Minore", facendolo succedere ai possedimenti dei Làscaris imperatori di Nicea, con
l'importante emporio di Focea - che esportava allume per l'industria tessile fiamminga - oltre ai
possedimenti delle isole di Chios - con il monopolio della produzione e commercio del mastice Enussa, Marmora, Tenedos, Lesbos, Samos, Nicaria, Co e i castelli di Damalas
e Chalandritza. Martino doveva fornire il servizio di trecento cavalieri latini, 200 greci e 6 galee
all’imperatore, da impiegarsi nella crociata per liberare Costantinopoli. Oltre gli importati gettiti del
possesso delle miniere di allume di Lesbos, l’aspetto più importante fu la concessione del dominio di
Tenedos e Marmara. Queste due isole erano l’accesso ai Dardanelli che assicurava il controllo su tutto
il Mar Nero e la preziosa produzione di allume di Colonea, pari a 667 tonnellate annue. Chiunque
desiderava commerciare con l’area pontica avrebbe dovuto accordarsi con Martino Zaccaria.
Ma l’iniziale favore imperiale si tramutò presto in gelosia ed antagonismo con il nuovo e più tenace
imperatore Andronico III. La rovina di Martino Zaccaria fu il tradimento del fratello Benedetto III nel
1329, che si presenta all’imperatore contro l’operato del fratello. L’imperatore greco proclama la
decadenza di Martino Zaccaria da tutti i suoi diritti in oriente e manda una flotta di 105 navigli per
riprendersi l’isola di Chios. Martino fu fatto prigioniero a Costantinopoli, i suoi figli, Bartolomeo e
Centurione I, a stento ebbero salva la vita e parte dei loro tesori. A Benedetto III, per il suo
"tradimento", fu offerto il titolo di prefetto di Chios, sotto la bandiera imperiale. Chios rimase in mano
bizantina. Successivamente anche Focea - che produceva 620 tonnellate annue di allume - fu
riconquistata dai Greci. Con Chios non finirono comunque le fortune degli Zaccaria. Martino, uscito di
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prigione sette anni dopo nel 1331, a seguito delle pressioni del papa e del re di Francia ebbe ancora
modo di giocare un ruolo di primo piano in Oriente. Nel 1343 fu messo al comando della crociata
contro Umar Pasha emiro di Aydin nella riconquista di Smirne persa dal 1328. Nonostante il papa gli
avesse posto il veto a rioccupare Chios, molto probabilmente Martino Zaccaria contava su un successo
nella crociata per rioccupare poi l’isola da vincitore, ma il destino mandò in fumo i suoi piani,
facendolo spegnere il 15 gennaio 1345 sotto le mura di Smirne ( E. Basso, Prima di Tolfa: i mercanti
genovesi e l’allume orientale, "Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge" 126 ( 2014 ), 1.,
p. 171 - 186 ).
Persi i domini dell’Egeo, gli Zaccaria si concentrarono su quelli peloponnesiaci, assumendo
definitivamente le caratteristiche e la mentalità dell’aristocrazia franco-ellenica con le quali famiglie
gli Zaccaria si erano imparentati. Dei due figli di Martino, Bartolomeo morì nel 1334. L’altro figlio
Centurione I, ereditò i possedimenti paterni in Morea, che governò fino al 1376. Fu insignito del titolo
di Barone di Damalas, già durante la prigionia del padre a Costantinopoli fin dal 1336, inserendosi
nella lotta dinastica delle baronie locali alla morte di Filippo I di Taranto. Appoggiando Roberto II
figlio di Filippo I, Centurione Zaccaria ottenne il riconoscimento della sua sovranità e la conferma dei
suoi diritti più volte violati nel passato dai principi Angioni. Anche Martino Zaccaria proseguì il
sistema di alleanze tramite i matrimoni dei propri figli. Bartolomeo sposò Guglielma Pallavicino, che
aveva portato in dote il Marchesato di Bodonitsa. Centurione sposò la figlia del governatore della
Morea bizantina, Andronico Asen, a sua volta figlio dello zar dei Bulgari Ivan III Asen e Irene
Palaeologina figlia di Michele VIII e sorella di Andronico II. Questo matrimonio "imperiale" legava
gli Zaccaria alle case imperiali di Bisanzio e di Bulgaria, consolidando le mire della famiglia come
dinastia principesca. Centurione alla morte del padre aveva anche ereditato le baronie di Chalandritza
comprendente le fortezze di Stamira e Lysaria che rafforzò ulteriormente con il matrimonio del figlio
Andronico Asen Zaccaria con l’unica figlia del potente barone di Arcadia e Saint-Sauveur, Erard III
Le Maure. Questa supremazia tra le famiglie latine nel Peloponneso è confermata anche dalla sua
nomina a Balio di Morea.
Nella seconda metà del Trecento, Marta di Ventimiglia sposa il miles e mercante genovese Tommaso
Giustiniani de Fornetto, figlio di Raffaello, condomino delle colonie greco-asiatiche dell'Isola di Chios
e della città di Focea, come membro della Maona e dell'Albergo Giustiniani. Il 14 giugno 1367
Tommaso Giustiniani ottiene da parte dell'imperatore Giovanni V Palaiologos, figlio di Andronico III
e Anna di Savoia, il crisobollo di investitura a dinasta di Chios e distretto ( Samos, Enussa, Santa
Panagia, Icaria, Cos, Lesbos e Focea ) ( C. Hopf, Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues
publiées avec notes et tables généalogiques, Berlino 1873, p. 503 ).
11.3 "Qui en Xàtiva volrà entrar sobre nós haurà de pasar”. Jaume I – Crónica. La Hermita de
Santa Ana de Jàtiva
In Aragona oltre alle figlie di Eudossia continuavano ad appoggiare la causa aragonese i figli di Enrico
II, il conte di Ischia e Geraci. Morto nel 1289 Aldoino, restavano accanto agli Aragonesi i fratelli
minori Giovanni, Nicolò, Guglielmo e lo stesso anziano Enrico II, perlopiù occupato ancora con le sue
signorie liguri. Nel 1288 era deceduto pur Giacomo di Ventimiglia, secondogenito di Eudossia e del fu
Guglielmo Pietro. Giacomo, addobbato cavaliere da pochi anni, prestava servizio militare alla corte
aragonese – per circa 235 soldi mensili - e la sua dipartita fu sofferta da re Alfonso III, sino a fargli
trasformare l'usufrutto del palazzo reale di Jàtiva in piena concessione signorile in favore della madre
Eudossia Làscaris; affinché, con le rendite di Jàtiva - importante città commerciale e artigianale oltre
che la più maestosa piazzaforte militare aragonese - essa potesse erigere un monastero in onore del
figlio: ad construendum monasterium ob remedium anime dilecti Iacobi fili dicte lnfantisse. Da una
epistola del sovrano aragonese apprendiamo che il servizio armato di Giacomo di Ventimiglia risaliva
almeno al settembre del 1284, quindi il giovane doveva esser nato intorno al 1266. Il 17/18 novembre
1284 da Saragozza il re Pietro III ordina che sia pagato a Giacomo di Ventimiglia il servizio militare
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dei mesi da settembre a novembre con 702 soldi e due denari iacensi, nonché gli venga consegnato dal
balivo di Tarragona il vestiario cavalleresco "cotum et tunicam panni coloris et calligans de preset
vermel et petinas albas et frisium et erminia item detis eidem nobili una gramasiam panni coloris"
( Diplomatari de Pere el Gran. 2., p. 241, 289, 716-717 ). Altri regi ordini di pagamento a dompno
Jacme de Vintimilla risalgono al 1285 e al 1286, quest'ultimo per 4772 soldi ( Miret y Sans, Nuevos
documentos, p. 18 ). Inoltre, il 6 ottobre 1288 era deceduto, durante i colloqui di Canfranc, Arnau
Roger I de Comenge, conte sovrano di Pallars e Bergua, genero di Eudossia, in quanto marito della
figlia Làscara. Oltre alla Hermita de Santa Anna anche la cappella castrense di Jàtiva fu dedicata alla
stessa santa ( M. P. Ostos Salcedo, Prestaciones de homenaje y fidelidad en el Contado de Pallars
(1297), “Acta historica et archaelogica mediaevalia”, 25 (2004), p. 180; per la Cappella medioevale di
S. Ana, nel castello di Jàtiva posseduto dalla contessa di Ventimiglia vedi: R. M. de Viciana, Libro
tercero de la Crónica de la ínclita y coronada ciudad de Valencia y de su reino. València 2002, p.
424 ).
La Hermita de Santa Ana, sulla Sierra de
Santa Ana, dominante Jàtiva, la splendida
città-fortezza donata dai sovrani aragonesi
a Eudossia contessa di Ventimiglia per la
morte del figlio Giacomo, dopo aver
costituito parte dell'appannaggio della
regina Costanza Staufen. Anche la
cappella del Castillo Menor di Jàtiva fu
dedicata a s. Anna. Così come la Capella
Reial de Santa Aina del Palau de
l'Almudaina, il palazzo reale di Maiorca,
fondata in stile gotico dal consanguineo di Eudossia, Giacomo II El Bon d'Aragona-Maiorca, nel 1285, insieme alla
Santa Anna di Montpelllier ( G. A. Reuss Planells, L’arquitectura religiosa en els antics territoris de la Corona de
Mallorca, segles XIII-XIV. Un estudi de paisatge monumental, Tesi di dottorato presso Universitat autònoma de
Barcelona, Barcellona 2017, 1., p. 169, 385, 432; che pone al 1295 la fondazione ecclesiastica, ma vedi il punto 6. )
Che i conti di Ischia - come i cugini di Tenda - si ponessero come mediatori tra Aragonesi e Angiò,
affiancati all'impegno delle cancellerie dal cardinale Gerardo da Parma, lo lascerebbero pensare tre
documenti, uno del 1294 gli altri del 1300 - che analizzeremo al punto 18. e che ci porteranno a una
prima parziale conclusione della ricerca -. Il primo di tali documenti risale al 12 ottobre 1294: scriveva
Carlo II a Giacomo II invitandolo a Ischia - ancora in mano siculo-aragonese - come luogo ideale per
intavolare una trattativa di pace:
quod vos pro ipso accelerando negocio apud insulam Yscle personaliter veniatis. Provisum est etenim
numquam aliter posse brevius et securius dictum negocium expediri... vobis Yscle ac domino papa et
nobis Neapoli permanentibus ex vicinitate locorum et principalium concordia personarum remissa
poterunt brevius firmius et caucius expediri.
Nel giugno 1289 giunse ad Ischia re Giacomo, diretto a
Gaeta, e vi fece sosta. Le trattative di pace che si svolsero
tra angioini e aragonesi, con lʼintervento pontificio,
prevedevano già alla fine del 1293 la restituzione
immediata al re di Napoli di Ischia e delle altre isole citra
Farum. In base agli accordi raggiunti con Carlo II dʼAngiò
e con la sede apostolica il 30 ottobre 1295 Giacomo II
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dʼAragona consegnò formalmente al papa Bonifacio VIII la
Sicilia con le isole ad essa adiacenti. Tutti gli altri territori
occupati dagli aragonesi citra Farum, tra cui Ischia,
vennero invece consegnati direttamente a Carlo. In realtà
Ischia, come la Sicilia, passò in mano a Federico
dʼAragona, fratello e luogotenente di Giacomo e prossimo
re di Sicilia. ( S. Fodale, L’appartenenza d’Ischia alla
Sicilia durante la Guerra del Vespro ( 1287-1299 ), "La
rassegna d'Ischia", 24 ( 2002 ), 2., p. 22 ).
Beatrice di Castiglia, regina di Portogallo ( 1325-1357 ) che acquistò
intorno al 1337, dagli esecutori testamentari di Vatatza Làscaris di
Ventimiglia, la corona imperiale ereditata dalla madre Eudossia. La
precedente regina Isabella la Santa d'Aragona - sua suocera - aveva
donato la corona del regno di Portogallo e Algarve al santuario di
Compostela. ( Ms. Genealogia dos Reis de Portugal (na British
Library), iluminado entre 1530 e 1534 por Simão Bening, sobre
desenhos de António de Holanda, por encomenda do Infante D.
Fernando, filho de D. Manuel I ; V. L. Lourenço Menino, A rainha D.
Beatriz e a sua casa (1293-1359), Tesi di dottorato in Storia
medioevale presso l'Università di Lisbona, 2012, p. 156 ).
Vatatza - altra figlia di Guglielmo Pietro e Eudossia - nel 1282 si recò in Portogallo al seguito di
donna Isabella la Santa d'Aragona andata sposa a Dionigi, il locale sovrano, e, giovanissima, si maritò
nel 1285 con un giovane cavaliere lusitano, Martim Anes de Soverosa, signore di Sousa e di un vasto
patrimonio ereditato dalla madre - sorella di Martim Gil I de Riba de Vizela, alfiere maggiore e
maggiordomo maggiore del Regno - ( lui intorno ai 25 anni lei intorno. ai 15, rimarrà vedova
nell'agosto del 1295, dal 6 dicembre 1290 Vatatza fu ammessa come penitente laica nel Terz'Ordine
francescano ). A Martim Gil scriveva Giacomo II d'Aragona nel 1294 definendo il nipote, marito di
Vatatza, avunculo regis Portugalie ( J. A. de Sotto Mayor Pizarro, Linhagens medievals
portuguesas. Genealogias e estratégias ( 1279-1325 ), Porto 1997, 2., p. 815 ).
Come donna di corte e amica della futura santa Isabella/Elisabetta del Portogallo, con cui era
imparentata come discendente di Andrea II d'Ungheria - padre di santa Elisabetta d'Ungheria – era
stata incaricata dell'istruzione dei suoi figli. Rimase al servizio della regina Isabella del Portogallo e
come domestica del re Alfonso IV del Portogallo. Vatatza fu creata signora dei feudi di Santiago do
Cacém, di Sines , etc. Vent'anni dopo si trasferì ancora, come dama di compagnia della giovanissima
principessa Costanza, andata dodicenne in sposa al re di Castiglia. Sarà incaricata dell'istruzione di
Costanza, figlia dei sovrani portoghesi, inviata sposa a re Ferdinando per sigillare il Trattato di
Alcañices. Dal 1302 al 1313, Vatatza vivrà nella corte castigliana come ciambellana della regina fino
alla sua morte. La fitta corrispondenza diplomatica con i re aragonesi dimostra la sua adesione alla lor
causa – e il suo ruolo di riferimento per la diplomazia aragonese in Castiglia -. Nondimeno la
Ventimiglia riesce a esser nominata nella corte castigliana curatrice del neonato erede al trono, il
futuro Alfonso XI.
Los dos autores que hasta el presente se han ocupado de las actividades de Vataza coinciden en
apreciar su influencia en las cancillerìas hispanas, su decidido apoyo a la causa aragonesa, y en
considerarla como la verdadera representante y defensora en Castilla de los intereses de Jaime
II, actuando de instructora, protectora y guía de los embajadores aragoneses en Castilla, quienes
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nunca dejan de entrevistarse con ella antes de llevar a cabo su mision oficial. ( A. Masià De Ros, La
emperatriz de Nicea, Constanza, y las princesas Lascara y Vataza, p. 151; vedi anche J. C.
Gimenez, A rainha Isabel nas estratégias polìticas da penìsula iberica: 1280-1336, Curitiba 2005. p.
123-124, 127. Però a p. 123: D. Vatação, Bataça ou Vataça, de origem Grega, era parente da rainha
Isabel por via de D. Constança, mãe da rainha. No, era consanguinea del padre della regina: uno dei
tanti esempi di come la storiografia affronti l'argomento...).
È durante questo periodo che donna Vatatza sviluppa la sua azione diplomatica sulle tracce dei
genitori. E attraverso di lei che la regina Isabella e re Dinis possono interferire nella politica iberica,
contribuendo a risolvere le controversie concernenti le dispute tra i regni di Castiglia e Aragona sui
territori conquistati ai Mori, e i conflitti insorti per la reggenza di Castiglia con i diseredati La Cerda,
durante la minorità di Ferdinando IV, e la legittimità stessa di questo monarca. La regina Isabella
lascerà alla esecutrice testamentaria Vatatza, tra i molti legati, nel suo testamento dell'anno 1327,
cento marche d'argento e porrà sotto patronato regio il Monastero di S. Anna das Cellas da Ponte,
fondato in Coimbra fra il 1174 e il 1184, sotto la regola agostiniana ( M. He. Cruz Coelho, L.
Ventura, Vatatsa – una Domina nella vita e nella morte, "Intemelion", 14 ( 2008 ), p. 52, ignorano del
tutto Giacomo di Ventimiglia e la sorella Làscara, contessa sovrana di Pallars Sobirà, che continuano a
confondere con la madre Eudossia, e per giustificare il presunto matrimonio di quest'ultima, nel 1282 [
recte 1281 n.d.r. ], con il conte di Pallars, anticipano la morte di Guglielmo Pietro I di Ventimiglia al
1280 circa. Trascurano pure il cinquecentesco attendibile Zurita come fonte per la discendenza di
Vatatza, che pare ebbe una figlia, Vatatza II, sposa di Pietro VI Jordàn de Urrìes, barone di Alquézar,
Biel, Murillo e Loarre, balio generale del Regno di Aragona: "sebbene la nostra ricerca non abbia
trovato nella documentazione portoghese, castigliana o aragonese nessun riferimento alla
discendenza di Vatatsa, esistono autori che menzionano una figlia, anche lei chiamata Vatatsa ( cfr.
A. COELHO GASCO, Conquista, antiguidade... cit.; M. MACLAGAN, A byzantine princess... cit.
)". Per una più corretta e informata impostazione degli studi vedi J. Baucells i Reig, La infanta griega
Lascara y sus hijas Beatriz y Violante, aragonesas de elección; La succesió del comtes de Pallars en
el dos-cents, in Jaime y su época, 'Actas del 10. Congreso de Historia de la Corona de Aragón',
Zaragoza 1976, Saragozza 1982, 3., 4., p. 21-36, 63-80; A. P. Bravo Garcia, Documentos grecobizantinos en España ( I ), "Erytheia. Revista de estudios bizantinos y neogriegos", 7 ( 1986
), 1., p. 94-95. Un altro esempio di confusione: l'Enciclopedia catalana sub voce Arnau Roger I de
Comeges, in https://www.enciclopedia.cat/EC-GEC-0005264.xml, afferma che il marito di Làscara
Fou un dels tres ostatges oferts per l’alliberament del príncep de Salern; una cosa priva di senso, in
quanto furono i figli del principe ad essere offerti, certo non un campione della politica aragonese
nella Guerra del Vespro come il de Pallars; probabilmente una fonte che conferma il ruolo della
Làscaris, figlie di Ventimiglia e generi, nel controllo dei prigionieri reali angioini - peraltro mai
illuminato dalla storiografia - è stata interpretata erroneamente ),
11.4 Donna Vatatza di Ventimiglia e i poteri taumaturgici delle reliquie
Vatatza di Ventimiglia fu percepita dai suoi contemporanei come una grande dama di corte, di non
volgari intelligenza e attitudini diplomatiche, doti queste utilizadas no apaziguamento dos estados,
que pelos seus serviços os reis a rodearam de mercês ( J. S. Ferreira Mata, Alguns aspectos da Ordem
de Santiago no tempo de D. Dinis, in As Ordens Militares em Portugal, 'Actas do 1. Encontro sobre
Ordens Militares', Palmela 1991, p. 210 ). Alcuni dei numerosi e ricchi doni regi portoghesi riservati a
Vatatza consistettero nelle commende - dell'Ordine militare di S. Giacomo della Spada - di Santiago
do Cacém ( 1310-1336 ) e Panòias ( 1314-1336 ). Commende concesse in cambio di quella castigliana
di Villalar ceduta – dopo cinque mesi di possesso, il 4 ottobre 1310 - all'Ordine di Santiago dalla
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nobildonna italo-greca. Il 2 novembre del 1310 l'Ordem de Santiago riconosce a donna Vatatza il
vitalizio della città e castello di Santiago do Cacém per aver ella investito nell'anno precedente
ventimila marvedi nella lotta ai Mori. Ma alcuni beni della Ventimiglia in Santiago do Cacém
risalivano al 1288, quivi la Ventimiglia fonda la chiesa matrice e l'Ospedale di Santo Spirito:
Il reliquiario del Santo legno della croce di Cristo, in argento dorato, donato da
Vatatza di Ventimiglia a Santiago do Cacém
Estamos convictos de que em 1338 a Ordem de Santiago terá posto em
causa as doações efectuadas por Castela a D. Vataça durante o
Mestrado de D. Pedro Fernandes, de Panóias e Santiago do Cacém, o
que levaria Rui Pais, testamenteiro da dona, a apresentar perante os
representantes do Mestre as ditas cartas de doação. De facto, a 10 de
Fevereiro desse ano, Pêro Gonçalves, freire da Ordem de Santiago e
comendador da Arrábida, em representação do Mestre D. Garcia
Pires, solicita a pública forma de duas cartas de doação feitas a D.
Vataça. Assim, Rui Pais, testamenteiro da dita dona, faz ler pelo
tabelião Domingos Pires a carta de doação de uns lugares de Panóias
e Santiago do Cacém, efectuada a 2 de Novembro de 1288, pelo
Mestre de Santiago de Leão, D. Pêro Fernandes e duas cartas de
emprazamento, de 2 de Novembro de 1321 e 25 de Fevereiro de 1314,
feitas por D. Vataça. É ainda lida, a 10 de Fevereiro de 1338, a carta
de doação de D. Pêro Gomes, comendador maior de Monte Molim e de
uma possível doação da Ordem de Santiago em Leão a D. Vataça, por
mandado de seu mestre D. Diego Moniz que a efectua. Este
documento, não transcreve estas cartas de doação mas que o ramo de Castela alienara
indevidamente, contribuindo para o delapidar do património. dá conta da preocupação da Ordem em
recuperar os bens que lhe pertenceram e que o ramo de Castela alienara indevidamente, contribuindo
para o delapidar do património. ( M: C: Ribeiro De Sousa Fernandes, A Ordem Militar de
Santiago no século 14., Dissertação de Mestrado no âmbito do Seminário de Ordens Militares do
Curso Integrado de Estudos Pós-graduados em História Medieval e do Renascimento, Porto 2002, 1.,
p. 87-88 ).
Jorge Cardoso, O agiologio lusitano dos sanctos e varoens illustres..., Lisbona 1652, 1., p, 197-203,
raccoglie la tradizione che donna Vatatza collocò le reliquie e le teste di s. Romano e s. Fabiano nella
cappella del castello della commenda di Panòias. In Santiago do Cacém – castello di sua principale
dimora - invece Vatatza collocò la reliquia della Vera Croce di Cristo contenuta in un reliquiariocrocifisso d'oro, inizialmente depositata in Sines, forse parte della dote materna proveniente da
Costantinopoli o Nicea. Ma è pur possibile che il crocifisso-reliquiario provenisse dal lascito
testamentario di Joana Gonçalves, altra dama della corte della regina Isabella la Santa. Joana nel suo
testamento dell'anno 1331, in cui nominò esecutrici testamentarie la regina, Vatatza e la sorella
badessa di Santa Clara de Coimbra, in particolare affida in legato alla Ventimiglia: un tapete novo,
duas carvaçaes de estrado e ainda uma arqueta das relìquias ou outra de aljoufar como ella desejar,
mentre a sua cugina Beatriz Alfonso lascia C. libras e a sua cruz de relìquias que Dona Vataça nao
quiser ( M. F. Pimentel de Carvalho Andrade, In oboedientia, sine proprio, et in castitate, sub
clausura. A Ordem de Santa Clara em Portugal ( Sécs. 13. – 14. ), Lisbona 2011, p. 408 ).
Quindi resta indeterminato se la commendatrice di Santiago do Cacém abbia accettato le due cassette e
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la croce contenenti reliquie dall'amica Joana. Se vi fu accettazione del legato, le due “arquete”
potrebbero identificarsi con le “duas arquas de tijollo” di san Romano e s. Fabiano e la “cruz de
reliquia” con la “cruz deaurada cum algunas reliqujas” delle fonti di seguito citate. Siamo nel campo
delle probabilità se non salteranno fuori altri documenti a confermare o negare la nostra ipotesi. In
ogni caso, fonti dei primi decenni del XVI secolo confermano la tradizione e il ricordo di Vatatza
come donatrice delle reliquie a distanza di due secoli dagli eventi: Es asy visitamos o lenho da Vera
Cruz que estave demtro o dito sacrarjo emcastoado em huna cruz deaurada qum algunas reliqujas de
samtos demtro, o qual lenho e reliqujas se diz segundo memorja dos homeens que hj ha que ho trouxe
ha dita jgreja dona Betaça quamdo a esta terra vejo.
Il reliquiario argenteo di s. Fabiano dono di Vatatza di Ventimiglia
all'Ordine di S. Giacomo della Spada.
Secondo la leggenda, durante una navigazione, la nave di
donna Vatatza fu colpita da un fortunale e la dama
concepì un voto, nel caso si fosse salvata dalla
tempesta: Dona Vataça salvou-se e a promessa foi
cumprida: en Sines foi erguida a primitiva Ermida de
Nossa Senhora das Salas; o castello de Santiago do
Cacèm, cujo dominio viria a ter, ficou com o fragmento
da Cruz de Cristo ( N. M. Lopes Nunes, Dona Vataça e
o culto das relìquas en Portugal, in Lors de metra en la
voie...Mobilidade e Literatura na Idade Mèdia, a cura di
C. F. Clamote Carreto, 'Actas do Colòquio internacional', Lisboa, 26-28 de outubro 2009, Lisbona, p.
71 ). Secondo lo scrittore lusitano Andrea Resendio, Vatatza di Ventimiglia superate le Colonne
d'Ercole prese terra a Sines, ancora occupata dai Mori, e quivi guidò i cavalieri di S. Giacomo della
Spada alla conquista del castello dove fondò la chiesa per ospitare la Vera Croce avuta da sua madre
Eudossia ( P. Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, Torino 1839, col. 681 ). La battaglia di Sines, con
la sconfitta dell'emiro Kassen che diede il nome al vicino castello, avvenne il 25 luglio festa di s.
Giacomo, ma pure festa di s. Anna secondo la liturgia bizantina, nonna dello stesso Giacomo
Maggiore secondo la Legenda aurea. Le reliquie furono celebrate dai fedeli per secoli nella comarca,
per il potere di guarigione che esse avrebbero generato. Nella Ermida di S. Romano di Panòias,
Vatatza depose le reliquie di Romano e Fabiano così descritte in una visita pastorale del 1511:
Hestaa hum altar de pedra e caal e dentro no dito alltar estaao fejtas duas arquas de tijollo omde se
diz que estao os osos de sam Romao e de sam Fabiam e estam tapadas com sacos de caall e soomente
dos buracos os quaees sam tapados com suas rolhas de cortiça e pollos quaees buracos se tocam a
ditas reliquias que estam demtro. ( Arquivo nacional da Torre do Tombo, Lisboa, Conventos diversos,
Ordem de Santiago, 1517, b. 50, doc. 167 ).
Per comprendere l'alone di sacralità promanato da tali reliquie e i fondamenti ideologici del potere
rappresentatato dai conti di Ventimiglia stessi - e da Vatatza in primis - occorre rilevare come essi
'giocassero' la loro partita e fossero interessati a rivendicare per sé il trono di Bisanzio. Per inciso,
inoltre, nel seguente passo, lo Zurita ci informa che Vatatza ebbe una figlia del suo stesso nome,
accasata con Pedro Jordàn Ximénez, dei signori di Arenòs ( recte Pedro VI Jordan de Urries ) anche
questa una pista di ricerca oscurata dalla storiografia:
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Casó también doña Vataza, que estuvo con la reina doña Isabel hermana del rey de Aragón mucho
tiempo en Portogal, aunque no he leído con quién: y vino a Castilla con la reina doña Costanza y tuvo
una hija de su mismo nombre. Y doña Violante de Grecia su tía trató de casarla con Pedro Jordán
hijo de don Gonzalo Ximénez señor de Arenós. Y procuraban que el rey favoreciese a ella y a su
hermana en la demanda y pretensión que tenían al Imperio de Grecia(Zurita y Castro, Anales, 5, 105).
Il castello di Santiago do Cacém dominante
il porto di Sines, sede della corte di Vatatza
di
Ventimiglia
canonichessa
e
commendatrice dell'Ordine di Santiago.
11.4.1 Les rois thaumaturges contro i conti taumaturghi
Nel 1270 Giacomo II Gorgonio di Piacenza. Indi nel 1282 Guglielmo II [ 1273-1293 n.d.r. ], ma
Gioſfredo ne anticipa il vescovato, poichè dice che nel 1276 è nominato nell'aggiustamento per la
chiesa di s. Nicolò di Sospello, fatto coll'abbate di s. Ponzio di Nizza. Al suo tempo e nel 1285 il
capitolo generale dell'ordine di s. Antonio di Vienna ammise i cittadini di Ventimiglia alla
partecipazione dell'opere buone del medesimo, in ossequio alla ventimigliese madre di s. Antonio
abbate. Particolare divozione ebbero a tal santo non solo i cittadini, ma i conti di Ventimiglia, i quali
digiunavano la vigilia di sua festa e imposero spesso il suo nome a propri figli. Alle di lui reliquie, che
si venerano in Vienna del Delfinato, quasi tutti i conti di Ventimiglia fecero frequenti pellegrinaggi.
La città d'Arles si gloria di venerare la testa di sì gran santo, e dice Gioffredo, che in memoria della
di lui madre si dava la prelazione a cittadini di Ventimiglia, se trovavansi in quella città, di portare le
aste del baldacchino, nel solennizzarsi la sua festa con processione. Il vescovo Guglielmo II nel 1287
intervenne al sinodo provinciale di Milano, e morì nel 1293. ( G. Moroni, Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni..., Venezia, 1859, 93., p. 203 ).
Cette mention du culte de saint Antoine trouve sans doute ses origines dans la dévotion lérinienne à
un saint Antoine, homonyme du fondateur du monachisme et ermite à Lérins, dont la Vie fut écrite au
début du VIe siècle par Ennode de Pavie. Plus important pour notre propos est de souligner que le
culte rendu à Antoine par les moines de Vintimille prit une nouvelle ampleur à la fin du XIIIe siècle,
lorsque, à la faveur sans doute d’une assimilation entre le saint lérinien du même nom, l’ermite
égyptien fut considéré comme originaire de la cité de Vintimille, cette tradition étant pour la première
fois attestée en 1285, lorsque le chapitre général de l’ordre de Saint-Antoine de Vienne affirma que
saint Antoine était issu ex stirpe nobilis civitatis Vintimiliensis. De fait, ce fut à cette époque que le
culte de saint Antoine entra dans la famille des comtes de Vintimille, puisque les différentes branches
de ce vaste groupe de parenté introduisirent presque simultanément l’hagionyme dans leurs stocks
anthroponymiques au cours de la première moitié du XIVe siècle ( L. Ripart, L’identité lérinienne au
miroir de l’un de ses prieurés: la pseudo-donation du marquis Guy à Saint-Michel de
Vintimille, in Lérins, une île sainte de l'Antiquité au Moyen Âge, a cura di Y. Cadou, M.
Lawers, Turnhout 2009, p. 545-559 ).
Fra il 1270, con il vescovo piacentino Giacomo II, e il 1293, con la salita all'episcopio ventimigliano
di Ottone di Ventimiglia, figlio di Eudossia Làscaris, si definisce il ruolo taumaturgico dei conti,
probabilmente in relazione a s. Antonino di Piacenza, san Antoni in occitanico, confuso con
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l'omonimo di Vienne e altro di Lèrins, come ho illustrato in passato ( C. F. Polizzi, Corrado/Cono
d'Ivrea il capostipite dei conti di Ventimiglia?, in Centro studi ventimigliani ). Riesce difficile non
rilevare in tale cronologia episcopale la corrispondenza con la fine - o il rallentamento - nel 1285,
delle ostilità con la beata stirps angioina. Del resto risulta innegabile che i momenti-chiave che
scandiscono gli avvenimenti diplomatico-militari segnano in profondità l'esperienza religiosa dei conti
di Ventimiglia e la loro stessa rappresentazione come mediatori e comunicatori del 'sacro'. In tale
accezione le reliquie acquistano significato di strumento ideologico di verifica dell'autorità di chi si
propone come interlocutore privilegiato del culto religioso. Per lungo tempo scomunicati, sin
dall'epoca di Manfredi di Svevia, i conti cercano di recuperare una dimensione di legittimità spirituale
e religiosa al loro potere, attraverso la virtus della reliquia taumaturgica. Le traslazioni di corpi santi e
reliquie, il piu` possibile prestigiose, furono uno degli strumenti di cui la politica fin dall'epoca
carolingia fece ampio uso ogni qual volta un’autorità – fosse essa imperiale, episcopale, aristocratica –
ambisse a una legittimazione e riconoscimento sociale inequivocabili. Le chiese o i monasteri che
ospitano i resti di un santo particolarmente sollecito nel dispensare miracoli ed attirare così uomini,
donazioni, e riferimenti cultuali, diventano centri di aggregazione politica, economica e sociale, la cui
rilevanza travalica la pura dimensione religiosa. Si riverberano, nel particolarismo giuridico di regni e
signorie, antiche concezioni e prassi relative alla divina maiestas e alle sublimi iussones imperiali.
Intorno al 1295 è fondata in Aragona la Mare de Deu in Montblanch, per la remissione dei peccati del
defunto Giacomo di Ventimiglia, mentre in Sicilia, matura l'esperienza dell'anacoreta-profeta s.
Guglielmo da Polizzi, nella fondazione monastico-eremitica di S. Maria del Parto, presso Castelbuono,
voluta dall'altra grande vittima della guerra agli Angiò, lo scomparso Aldoino di Ventimiglia;
fondazione portata a termine dal nipote Francesco II, con l'erezione ad abbazia.
Una traslazione di reliquie, che avvenga nella forma della inventio, della elevatio o
della translatio vera e propria, indipendentemente quindi dall’ampiezza o non ampiezza della
dislocazione spaziale comporta infatti un mutamento nello status cultuale delle reliquie, e del santo in
esse presente, e quindi una sua “ri-attualizzazione” attraverso la “riproposizione” del culto in una
nuova cornice, quanto meno architettonica. La cerimonia di insediamento delle reliquie è un evento
liturgico e pubblico in occasione del quale viene sovente sottolineato dalle fonti un grande concorso
di popolo. Un gesto, una narrazione, di pubblicistica cultuale. Il quadro nel quale ci si viene a
muovere è dunque quello della lettura di un evento liturgico specifico in un quadro di funzionalità
legittimante: è il santo, con la sua virtus presente nelle reliquie e capace di operare miracoli, ad
agire, e questa azione avviene in un contesto spaziale di elezione, in un luogo del quale il santo
assume in qualche misura la responsabilità, anche se questa responsabilità non sempre è identificata
con la terminologia del patronato.(M. Caroli, Traslazioni delle reliquie e rifondazioni della memoria
(secoli IX-X): Senesio, Teopompo e Rodolfo di Fulda, in Sant’Anselmo di Nonantola e i santi
fondatori nella tradizione monastica tra Oriente e Occidente, 'Atti della Giornata di
Studio', Nonantola, 12 aprile 2003, a cura di R. Fangarezzi, P. Golinelli e A. M. Orselli, Roma 2006,
p. 303-204).
11.4.1.1 Una guerra non-convenzionale: la potente arma dell'ideologia capetingia
Pour comprendre les mécanismes complexes qui jouèrent, il suffit de revenir sur l’affaire des reliques
de Saint-Maximin. Leur invention par le futur Charles II donnait un éclat encore inégalé à la
principale des légendes pieuses du pays, à savoir l’apostolat provençal de la Madeleine et de ses
compagnons, dont Marthe et Lazare. Tout le merveilleux sacré de la Provence se trouvait, de surcroît,
conforté dans sa vraisemblance par la réalité d’un fait aussi extraordinaire. En même temps, Charles
II recevait un profit d’autant plus facile de son invention qu’elle coïncidait avec une croyance déjà
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populaire. Il apparaissait comme celui choisi pour lui apporter la confirmation espérée. Il n’en tirait
pas qu’un prestige personnel. Une convenance se révélait entre une famille et un pays également élus
de Dieu. François de Meyronnes suggérait cette harmonie, dans son sermon sur Louis d’Anjou. Ce
prince était saint grâce à ses ancêtres, mais aussi par son lieu de naissance: «Car il est né sur la terre
que Dieu a sanctifiée devant les autres. En effet, dans cette patrie il y a sept saints qui ont vu le Christ
de leurs yeux corporels.»
De façon générale, la Provence se persuadait d’autant mieux de sa vocation à la sainteté que la
nouvelle dynastie la ramenait vers ce destin providentiel. Le thème du redditus se lit en filigrane dans
laVie de saint Honorat [spacciato per antenato di Maria Arpad come s. Antonio per i conti di
Ventimiglia n.d.r.], tant latine que provençale. Elle montrait la lutte conjointe, en Provence, de
Charlemagne et d’Honorat contre les Sarrasins. Honorat affrontait encore les hérétiques d’Arles,
encouragés par la corruption du paganisme. Il se retrouvait, en fait, à la tête de tout le pays, puisque
l’empereur le lui remettait. Les limites de cette prétendue libéralité coïncidaient avec les frontières
mêmes du comté de Provence, selon la convention de 1125 entre Alphonse de Toulouse et Raimond
Bérenger III de Barcelone. Bien entendu, cette sorte de «donation de Constantin» servait les
prétentions du monastère de Lérins, présenté comme l’abbaye qui avait restauré le christianisme dans
la région. Mais le récit indiquait, concurremment, qu’avec les Angevins la Provence retrouvait ses
protecteurs et ses maîtres légitimes. Comprenons, avant tout, les Carolingiens et l’Église. Sous leur
conduite, le pays récupérait son intégrité religieuse, menacée par la grande subversion anticléricale
qu’il avait naguère connue, dans la première moitié du xiiie siècle, sous l’influence des Toulousains et
du parti impérial. En faisant d’Honorat un Arpade, Raimond Féraut allait cependant plus loin que
son modèle latin. La reine Marie de Hongrie avait également une prédisposition à veiller sur le pays,
comme sa descendance. Cette espèce de retour vers une antique perfection se parachevait donc avec
le règne de Charles II. Devant cet accomplissement, l’humiliation de sa longue détention s’effaçait. (
J.-P. Boyer, De force ou de gré. La Provence et ses rois de Sicile ( milieu 13. siècle-milieu 14. siècle
), in Les princes angèvines du 13. ou 15. siècle). Un destin européen, a cura di N.-Y. Tonnerre, E.
Verry, Rennes 2003, p, 23-59 ).
Il Feraut tradusse in provenzale dal latino, secondo quanto riferisce Jean de Nostredame ne Les Vies
des plus celebres et anciennes poetes (1575), una Vita di Andronico Árpád, figlio del re d’Ungheria,
che poi sarebbe stato canonizzato con il nome di sant’Onorato di Lèrins (Vida de Sant Honorat),
proprio su incarico di Maria d’Ungheria. A lei, infatti, l’Autore dedicò l’opera nel 1300, ottenendone
in ricompensa la concessione del priorato di Roquestéron dipendente dall’abbazia di Lèrins. In
realtà, l’originario testo latino della Vita non contiene alcun riferimento alle origini ungheresi e
arpadiane di sant’Onorato, sicché questa notizia deve attribuirsi a un’interpolazione escogitata dal
Feraut per compiacere la Regina (Gaglione, Converà ti que aptengas la flor, p.161).
Au vrai, Charles Ier n'était pas parvenu dans la Ville quand, vers 1264-1265, le troubadour génois
Luchetto Gattilusi établissait un parallèle entre lui et Charlemagne qui conques Puilla. La réputation
de la maison de France, accompagnée d'une «aura» de surnaturel, était implantée en Italie. Elle se
reporta sur Charles Ier. Un courant prophétique se détourna vers lui, en Italie comme en Allemagne :
le monarque de la fin des temps ne serait-il pas de sa race? En Italie, ce furent des poncifs que les
thèmes convergents de la nature exceptionnelle de la dynastie française, de son caractère carolingien,
de l'appartenance des Angevins à cette lignée. Les preuves sont nombreuses dans les milieux
guelfes florentins, jusqu'au XVe siècle, alors que la maison d'Ajou s'était effacée de l'histoire. Le
sentiment de l'extraordinaire contamina parfois même la propagande adverse [...]
La mort de Louis IX donna l'impulsion principale à l'exploitation du thème de la sainteté par les
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Angevins. Salimbene, Geoffroy de Beaulieu évoquent le transport des ossements depuis la Sicile, par
la Calabre, jusqu'en Lombardie, les «processions solennelles et dévotes», les miracles. Dans cette
«canonisation» anticipée, Charles Ier joua un rôle décisif. Il prit les initiatives devant Tunis,
enparticulier pour le démembrement du corps. Il obtint les chairs, les entrailles, même le coeur. Il
envoya les «saintes reliques» à la cathédrale - abbatiale de Monreale. Elles furent reçues avec
«grande joie», «avec une très solennelle procession de tout le clergé et de tout le peuple» : un mois
après le décès, Thibaud de Navarre écrivait que «nostre sire a ja commencé a fere moult de
miracles». Le choix du lieu, une abbaye royale - au nom évocateur - édifiée par le dernier roi
normand pleinement «légitime» et d'heureuse mémoire Guillaume II, dans une île indocile, ne semble
pas fortuit. Charles s'appuya sur le prestige de Louis IX pour esquisser même un modèle de sainteté
familiale, lors de sa déposition au procès de canonisation: «La racine sainte a produit de saints
rameaux». Il associait aux mérites du frère aîné ceux d'Alphonse et de Robert. Le propos, parfois trop
sollicité, demeurait lié au contexte de la croisade, et la «racine sainte» ne désignait pas la souche
capétienne, mais Blanche de Castille. Pourtant, une semence était jetée ( J.-P. Boyer, La «foi
monarchique»: royaume de Sicile et Provence ( mi-13.-mi-14. siècle ), in Le forme della propaganda
politica nel Due e nel Trecento, 'Relazioni tenute al convegno internazionale di Trieste ( 2-5 marzo
1993 )', Rome 1994. p. 94, 96 ).
12. L'avvicinamento dei conti di Ventimiglia ai Capetingi e il loro ruolo diplomatico nella
Guerra del Vespro
Abbiamo osservato alcuni dati di fatto, sino ad oggi ignorati - o sottovalutati - dalla storiografia: la
parentela e consanguineità di Eudossia e della stirpe ventimigliana con i maggiori sovrani dell'epoca,
dall'impero dei Palaiologoi, ai reali di Francia, Napoli, Ungheria, Maiorca, Castiglia, Portogallo e
Aragona e in particolare con i Capetingi, come riconosciuto anche in una lettera di Bianca d'Angiò
citata al punto 5. Nondimeno, si è osservata la sensibilità dei Capeti al culto di s. Anna e la loro
relazione stretta con i conti di Ventimiglia, in ragione della prigionia prima di Carlo II e poi dei suoi
figli e cugini castigliani. La storia ha lasciato incisi due momenti e episodi di questa relazione tra
Maria Arpad e Giovanni I Làscaris di Ventimiglia; nell'incontro a Arles, nel palazzo comitale, del 7
gennaio 1287 e in quello del gennaio 1290, nello scenario del palazzo arcivescovile di Sanremo.
Ovvero il palazzo che sarà occupato dal 1292 dall'arcivesvovo domenicano di Genova, Giacomo da
Varazze, autore della Legenda aurea, l'opera che, tra l'altro, potenzia e promuove il culto di s. Anna,
esponendone coram populo la relativa narrazione dei Vangeli apocrifi. Ad Arles il conte Giovanni
ottenne la restituzione del castello di Gorbio dalla principessa di Salerno e contessa di Provenza
(Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, col. 651). In Sanremo, all'epoca il palazzo-fortezza
arcivescovile, costruito su un antico monastero benedettino, era sotto il controllo dell'amministratore
apostolico di Genova e patriarca di Antiochia, Opizzo Fieschi - di lignaggio leader dei Guelfi
genovesi, cugino di Ottobuono Fieschi arcidiacono di Reims, e figlio di Giacomo conte di Lavagna -.
Maria regina di Sicilia e reggente la contea di Provenza è in intimità con il primogenito di sua cugina
Eudossia; il 15 gennaio del 1290, Giovanni Làscaris di Ventimiglia accompagna la regina da Genova
al palazzo episcopale di Sanremo, ma scoppiano dei tumulti: infatti i partigiani ghibellini dei conti di
Ventimiglia non gradiscono l'avvicinamento dei regoli locali alla beata stirps:
La Riviera era già da tempo in preda a lotte di partiti e litigi di singole famiglie si aggiungevano ai
generali contrasti. I frequenti passaggi di membri della casa d’Angio offrivano occasione ai Guelfi
per dimostrare la loro fedeltà alla causa del partito clerico-francese, mentre i Ghibellini se ne
stavano astiosi da parte. I seri torbidi avvenuti a S. Remo il 15 gennaio 1290, quando la regina di
Napoli, proveniente da Genova, vi arrivò, non furono certo effetto del puro caso. Gli abitanti
locali avevano appoggiato i conti di Ventimiglia nella loro guerra con i Provenzali e ora il conte
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Giovanni accompagnava la regina. Un certo numero di persone, del partito degli Axentii, andò loro
incontro, senz’armi, nel manifesto intendimento di rendere più fastoso il ricevimento. Ma il partito dei
Bruscaporchi era intenzionato a turbare la festa. I suoi aderenti si posero davanti al palazzo
dell'arcivescovo di Genova e quando il corteo fu vicino, si gridò: « di qui non si passa »; vennero
lanciate pietre contro il corteo stesso ed al grido di « morte ai traditori » le spade furono tratte dal
fodero. Nel tumulto che ne nacque Lercario Axentio perse la vita, suo fratello Ardizzone riportò una
ferita mortale, il conte potè sottrarsi ad analoga sorte soltanto per la velocità del suo cavallo. Risulta
però che la regina avesse preso stanza al palazzo arcivescovile senza impedimenti, giacché non era
lei che nell’attacco era stata presa di mira, ma bensì il conte, il traditore della causa ghibellina. Gli
Axentii pensarono subito alla vendetta e contornati dai loro amici diedero inizio alla battaglia per le
vie, a cui pose argine l’intromissione del vicario generale genovese della riviera occidentale. Un
figlio dell’ucciso sporse querela dinanzi a lui per l’assassinio del proprio padre e dello zio; nei giorni
successivi vennero interrogati parecchi testimoni e il vicario fece citare i colpevoli; non abbiamo
notizia di come sia finita la cosa. Soltanto un atto casualmente conservatosi dà notizia dell’accaduto;
per quanto di poco rilievo esso possa essere relativamente alle condizioni del territorio genovese,
tuttavia offre qualche luce. Se nella capitale il governo fosse stato diretto da una mano forte, tali
incidenti sarebbero rimasti senza conseguenze; ma anche in Genova i partiti stavano l’uno di fronte
all’altro con un’astiosità non minore che a S. Remo: era quindi possibile che potesse ripetervisi
quello che era accaduto qui. ( G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257 1311), Genova 1975, p. 113-114. Sulla ribellione dei cittadini sanremesi contro il patriarca Opizzo
Fieschi – che porterà alla creazione della signoria sanremese dei Doria - vedi D. Calcagno, Il patriarca
di Antiochia Opizzo Fieschi, diplomatico di spicco per la Santa Sede fra Polonia, Oriente latino e
Italia del 13. secolo in I Fieschi tra Papato e Impero, Atti del convegno di Lavagna, ( 18 dicembre
1994 ), a cura di D. Calcagno, Lavagna 1997, p. 228 ).
Si stava preparando la tregua di Tarascona del febbraio 1291 che avrebbe dovuto porre fine alla
Guerra del Vespro fra Carlo II d'Angiò e Giacomo II d'Aragona, e per cercare di convincere Sancio IV
re di Castiglia ad accettarne le clausole fu inviata la stessa Eudossia Làscaris di Ventimiglia - la madre
del conte Giovanni consanguinea di Sancio - non estranea al lavorio diplomatico necessario al difficile
compromesso:
No quiere el de Castilla ratificar la paz tratada con el rey. Después de las vistas envió el rey sus
embajadores al papa como estaba acordado. Y vuelto para Barcelona casi en fin de abril se tornó a
tratar con el rey de Castilla que se asentase entre ellos la tregua conforme a lo que fue mandado y
concluido por los legados en Tarascón. Y esto le envió a requerir el rey con un caballero castellano
llamado Martín Alvarez de Herrera. Pero ni éste ni otros que sobre ello fueron a Castilla pudieron
alcanzarla del rey don Sancho, aunque intervino también en ello doña Láscara infanta de Grecia, hija
del emperador Theodoro Láscaro, de quien arriba se ha hecho mención. Puesto que la reina doña
María movió tal concierto que daba esperanza que se otorgaría la tregua por tiempo de un año, con
tal condición: que el rey de Aragón en aquel término no saliese de sus reinos. Pero no se quiso por él
aceptar, porque con aquello se contravenía a lo capitulado con los legados y parecía que el rey de
Castilla deseaba quebrantase aquella concordia, porque le pesaba de la paz que se había firmado con
la Iglesia y con el rey de Francia ( J. Zurita y Castro, Anales, 4., 121 ).
13. Il Trattato di Tarascona e il cardinale-vescovo di Sabina, Gerardo Bianchi da Parma,
reggente di Napoli e legato apostolico a Reims
Au cours de l'été 1289 s'engagent des négociations en vue de l'application des accords de Canfranc.
Charles II fait des promesses aux Siciliens, mais, en fait, son objectif comme celui de la curie est de
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gagner du temps. Cependant Jacques d'Aragon débarque en Calabre, menace Salerne, et se replie
finalement sur Gaète (juillet 1289) dont il entreprend le siège. En août, les troupes de Charles II,
venues de Naples pour dégager la place, atteignent Gaete. Sur intervention de la curie, une trêve est
signée [ 29 agosto 1289; il 5 settembre muore Aldoino di Ventimiglia, conte d'Ischia, in un naufragio,
di ritorno, al comando di tre galee sulle cinquanta della flotta, dall'assedio di Gaeta, presso Capo
Palinuro n.d.r ] et Charles II propose un projet de traité de paix. Les historiens modernes, mais aussi
Robert d'Artois, ont critiqué le comportement de Charles II, l'accusant de faiblesse, c'est-à-dire de ne
pas avoir attaqué afin de reprendre l'initiative sur le plan militaire et politique. A. Kiesewetter
invoque la situation de l'armée napolitaine, mais insiste surtout sur le caractère scrupuleux de
Charles II, qui s'estime lié par le traité de Canfranc et qui n'est pas insensible aux remontrances de
l'émissaire anglais (O. von Grandson) lui rappelant la situation critique des Lieux saints. L'armistice
(tregua) de Gaète met un terme aux actions militaires d'envergure jusqu'en 1298: Robert d'Artois
mène seulement des opérations ponctuelles pour reconquérir la "terra ferma"; dans ce but on décide
d'engager des troupes almugavares qui jusqu'alors se livraient au pillage. Après la levée du siège de
Gaète, Charles II retourne à Naples, où il réunit un parlement général, donne en fief à son successeur
Charles Martel la principauté de Salerne, le Honor Montis Sancti Angeli, et le nomme vicaire général
(sept. 1289) avant de rejoindre Rome.
Les négociations menées avec la curie portent sur le traité de paix avec Jacques d'Aragon et sur le
dédommagement devant être accordé à Charles de Valois pour la renonciation éventuelle à la
couronne d'Aragon. Concernant le premier point, A. Kiesewetter établit un lien avec le projet de
croisade de Jacques d'Aragon. Il avance l'hypothèse que Charles II et le pape proposèrent au roi
d'Aragon de renoncer à la Sicile, lui offrant en compensation le royaume de Jérusalem. Pour régler le
second point Charles II se rend en France, se présente en application des accords de Canfranc à la
frontière espagnole (nov. 1289) et fait constater l'absence de Jacques d'Aragon (retenu ailleurs),
accusé aussitôt de non respect du traité. La réussite de cette intrigue redonne confiance au roi. Il
propose à Jacques d'Aragon un traité de paix (mai 1290), convoque un parlement en Provence et
signe en décembre 1289 le traité de Corbeil-Essonnes. Ce traité prévoit que Charles de Valois épouse
la fille aînée de Charles II, Marguerite, qui apporte en dot les comtés d'Anjou et de Maine ( en
contrepartie Philippe IV s'engage à fournir une aide financière de 150.000 onces d'or pour la
poursuite de la guerre ). Le 23 avril 1290 a lieu à Figuères entre Charles II et Alphonse d'Aragon (
frère de Jacques ) la rencontre, qui prépare le traité de Brignoles, mais, avant la signature de ce
traité, Charles II cède officiellement aux Capétiens, par le traité de Senlis ( 18 août 1290 ), les comtés
d'Anjou et de Maine. Le traité règle également la question du financement de la guerre de reconquête
de la Sicile (prélèvement d'une décime au nom de la France de juin 1292 à juin 1294). Du traité de
Brignoles ( 19 fév.1291 ) on retiendra qu'il écarte le danger d'une paix séparée avec le roi d'Aragon et
de plus qu'il isole Jacques de Sicile: Alphonse III d'Aragon s'engage en effet à respecter une stricte
neutralité en cas de conflit. Alors que Charles II peut s'attribuer un succès diplomatique qui le place
dans un rapport de forces favorable dans le conflit sicilien, la mort d'Alphonse d'Aragon en juin 1291
remet tout en cause. ( J. Gandouly, Rec. a: A. Kiesewetter, Die Anfange der Regierung Konigs Karts
Il. von Anjou ( 1278- 1295 ), p. 34-52 ).
L'incontro tra il conte Giovanni Làscaris di Ventimiglia e la regina Maria si pone dunque un mese
dopo il trattato di Corbeil-Essonnes che vede la nomina di Carlo I di Valois a conte di Anjou e Maine
e prossimo marito di Margherita, figlia di Carlo II e Maria. Carlo di Valois è l'erede della reliquia del
teschio di s. Anna, come conte di Chartres. Al gennaio 1291 risale la morte di Giovanna di Chatillon
vedova di Pietro I d'Alençon ma questa aveva fin dal primo luglio 1286 venduto Chartres a re Filippo
IV il Bello, fratello del Valois. Carlo di Valois è inoltre investito del regno di Aragona fin dal 1280 da
parte della Chiesa e sarà posto successivamente a capo di una crociata contro gli Aragonesi. Il
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reggente di Napoli, insieme alla regina Maria e a Roberto II d'Artois - sino al novembre 1288 - fu il
cardinale di Sabina, Gerardo da Parma, che intorno al 1290 fu inviato in Francia in missione
diplomatica e dovette giudicare come delegato apostolico la grave vertenza insorta a Reims, fra il
1288 e il 1290, tra i canonici e l'arcivescovo Pietro Barbet, interdetto dai suoi canonici che avevano
bloccato gli uffici divini per violazione dei loro diritti da parte del presule. Lo stesso Gerardo da
Parma partecipò alla stesura del trattato di Brignoles-Tarascona del 19 febbraio 1291 e fu sempre
vicino come consigliere politico-militare prima a Maria e, dopo la liberazione, a Carlo II. Dalla
Sabina, ricordiamolo, sede episcopale di Gerardo da Parma, provenivano le suore agostiniane insediate
in S. Anna di Nocera, ed alle suore domenicane lo stesso cardinale Gerardo nel 1288 aveva affidato S.
Anna. A Reims si conservava parte principale del teschio di s. Anna proveniente da Chartres, teschio
successivamente e oscuramente scomparso dalla cattedrale di Reims, sede dell'arcidiacono Ottobuono
Fieschi, cugino di Opizzo che ospita il Ventimiglia e la Arpad nel proprio palazzo di Sanremo ( G.
Marlot, Histoire de la ville, cité et université de Reims metropolitaine de la Gaule Belgique, Reims
1846, 3., p. 654 ).
Peraltro, un possibile passaggio dalla contea di Ventimiglia del teschio di s. Anna potrebbe esser
segnalato dalla presenza dei conti di Ventimiglia sul territorio della contea ceduto agli Angiò,
attraverso l'autorità espiscopale su quelle zone. Ad esempio sulla chiesa di S. Maria de Virgis/NotreDame de Verx, priorato leriniano. Infatti, si trattava di istituto religioso di patronato comitale, nato
dalle donazioni dei conti di Ventimiglia. Il 19 dicembre del 1304, Ottone Làscaris – figlio di Eudossia
– come vescovo di Ventimiglia restituiva all'abate di Sant'Onorato di Lèrins la collazione della nomina
dei priori della basilica di S. Maria di Verx e S. Martino di Carnolès che gli stessi monaci lerinensi
avevano ceduto intorno al 1260 al conte Manuele di Guglielmino di Ventimiglia:
considérantes fervorem devote religionis et karitatis perfecte que viget sinceriter in sancto monasterio
Lirinensi, et gratiam liberalem quam venerabilis pater dominus Ganselmus [Gaucelme de Mayereris
professo a Saint-Chaffre n.d.r.], Dei gratia abbas, et fratres conventus monasterii memorati, fecerunt
Manuello, filio quondam illustris viri domini Guillelmini, comitis Vigintimiliensis, ex collatione
ecclesie Sancti Martini de Carnolesio, nostre diocesis, que per priores eorum monachos
regebatur […] promittimus et concedimus in presenti ut, quocienscumque ecclesias Sancti Martini de
Carnolesio et Beate Marie de Verx, nostre diocesis, ad ipsum monasterium pertinentes, vaccare
contigerit, dictum monasterium possit in dictis ecclesiis in priores suos monachos ordinare, et
episcopus et canonici qui in Vigintimîliensi ecclesia pro tempore fuerint teneantur per dictum
monasterium in ipsis ecclesiis monachos institutos et ordinatos ac presentatos eisdem, absque
contradictione aliqua, recipere et admittere in priores. (Cartulaire de l'Abbaye de Lèrins, a cura di
He. Moris, E. Blanc, Parigi 1883, 2., p. 195-196; vedi anche Histoire de l'abbaye de Lérins, a cura di
M. Labrousse [et al.], p. 189, 195, 209).
Il cardinale Gerardo Bianchi rappresentato nel 1302 nel Battistero di Parma – la cui collegiata canonicale è fondata
dal medesimo presule -. In basso a destra s. Anna, s. Gioacchino/Heliachin e s. Maria nello stesso Battistero, secondo
l'iconografia già espressa nella cappa duecentesca di s. Luigi d'Angiò vescovo di Tolosa.
Il cardinale Gerardo, affiancato dal suo collega Benedetto Caetani – il futuro Bonifacio VIII condannò beffardamente canonici e arcivescovo di Reims a porre due statue d'argento, effigianti gli
stessi delegati apostolici, sull'altare maggiore nelle solennità liturgiche, per il valore di cinquecento
lire ciascuna, senza possibilità di porle in vendita...Non sarei meravigliato dal pensare che per evitare
l'esborso di mille lire i prelati di Reims abbiano potuto chiedere commutazione della pena cedendo la
sacra reliquia della testa di s. Anna – trattenendone qualche frammento - anche in considerazione che
dopo la vendita di Chartres a re Filippo il Bello del 1286 - probabile causa della traslazione della
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reliquia in Reims, sede dell'unzione con la Sacra Ampolla e
incoronazione reale - nel 1290 tornava in Chartres un conte titolare
nella persona del fratello del re, Carlo I di Valois, e quindi la preziosa
reliquia probabilmente sarebbe comunque ritornata nella sede
primigenia.
Gerardo da Parma è profondamente saldato al tessuto ecclesiastico di
Reims. In prima istanza, Gerardo dunque possiede il movente per
appropriarsi della reliquia di s. Anna - la sua devozione dimostrata
nella fondazione domenicana di S. Anna di Nocera e S. Anna di
Viterbo - detiene i mezzi - come delegato e giudice apostolico
condannante le locali autorità ecclesiastiche nonché esso stesso locale
prelato - e dispone delll'opportunità - fornita dai suoi titoli di legato
apostolico, già reggente delRegnum di Sicilia, e di mediatore
diplomatico tra Angioini, Aragonesi e poteri aritocratici incarnati dai
Ventimiglia nella Guerra del Vespro. Sui mezzi notisi quanto accertato
dalla storiografia, in relazione alle infule prelatizie di Gerardo;
arcidiacono di Beauvais dal 1255 - sede del priore Vincenzo di
Beauvais altro domenicano propagatore con lo Speculum historiale del
culto di s. Anna - ma anche canonico di Liegi, Arras e Laon, oltre alle
prebende di suo nipote Ilario da Parma, canonico di Reims come il
camerario del cardinale parmense, Uberto de Advocatis. Nondimeno, l'intervento di Gerardo a Reims
non appare episodico, ma denota un profondo potere esplicato nelle più rilevanti vicende
dell'arcidiocesi francese:
Tre sono le aree che interessano le investiture beneficiali del curialista parmense: la diocesi di
Parma, alcune diocesi francesi al tempo suffraganee della diocesi di Reims e alcune diocesi
ungheresi. Le prime due aree sono un chiaro indizio della diretta influenza fliscana mentre
l’ultima area geografica può essere ricondotta, invece, allo stretto vincolo instaurato tra il cugino di
Gerardo, Alberto, e il cardinale prenestrino Stefano da Vancsa di cui quest’ultimo fu cappellano.
Altre due lettere del pontefice indirizzate al Bianchi sono state registrate nelle fonti cancelleresche del
pontificato di Giovanni XXI. Si tratta ancora del conferimento di due benefici ecclesiastici a un certo
magister Ruggero de Marlomonte, precisamente di un canonicato della Chiesa di Laon nella diocesi
di Reims e di un canonicato con relativa prebenda nella Chiesa di Verdun.
Tra il maggio e il luglio del 1278,
infatti, fu coinvolto insieme ad altri
due cardinali in una commissione
che valutasse diverse vertenze circa
alcune nomine vescovili: il 15
maggio esaminò la contestata
elezione di Guglielmo in qualità di
vescovo di Laon, diocesi suffraganea
di quella di Reims, in seguito
confermata dal papa. Il 31 agosto
del 1283 Gerardo si trovava
certamente a Napoli. Qui confermò
la nomina di tre procuratori presso
il capitolo della chiesa di Reims
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fatta dal celebre scienziato di Curia,
Campano da Novara, che a quel tempo doveva aver iniziato a godere della protezione del Bianchi.
Nel 1301, per esempio, Ilario da Parma, nipote del cardinale e canonico di Parma e di Reims, ottenne
dei privilegi dal pontefice (P. Silanos, Gerardo Bianchi da Parma. La biografia di un cardinale
duecentesco, Tesi di Dottorato di ricerca in Storia, 21. Ciclo, Università degli studi di Parma, a.a.
2007- 2008, p. 110-111, 135, 151, 195, 273)
Nel suo testamento il grande scienziato Campano da Novara, nel 1296, legò a Gerardo da Parma la
costruzione della cappella di S. Anna dove fu sepolto, nella chiesa della SS. Trinità di Viterbo,
Campano fu canonico di Reims, grazie all'arcidiacono maggiore e cancelliere di Reims, il cardinale
genovese Ottobuono Fieschi, protettore in Curia di entrambi. A Ottobuono succedette
nell'arcidiaconato maggiore di Reims il nipote, figlio del conte di Lavagna, Alberto Fieschi, dal 29
dicembre 1280 al gennaio 1307, cappellano papale (O. Grandmottet, Les officialités de Reims.
"Bulletin d'information de l'Institut de recherche et d'histoire des textes”, 4 (1955), p. 89).
13.1 Il compromesso tra i conti di Ventimiglia e Carlo II d'Angiò, 1285-1290
Nella primavera del 1289 Carlo II, nel suo viaggio alla corte papale, si fermò a Genova. Non
abbiamo dati per conoscere se egli vi avesse avuto trattative mentre il papa non lo aveva ancora
sciolto dal giuramento prestato ad Alfonso; egli si diede comunque subito da fare per suscitare nella
cittadinanza - del cui appoggio egli intendeva valersi in appresso - disposizione favorevole
all’accoglimento di eventuali sue richieste. Il 23 aprile egli entrò in città. Per suo desiderio il giorno
dopo si radunò il Consiglio nella chiesa di San Siro, dove aveva posto quartiere. Uno dei suoi
consiglieri tenne un discorso, nel quale diede ampio risalto alle particolari cure del suo signore volte
a rendersi gradito al Comune concludendo con la dichiarazione che Carlo II era pronto a restituire a
Genova il castello di Roccabruna con tutte le sue dipendenze. Certo Carlo II era ben lungi dall’idea
di adempiere a siffatta promessa. La pace del 1276 lo autorizzava allo scambio di Roccabruna per
ottenere la restituzione dei castelli occupati dai conti di Ventimiglia, che Carlo I non era riuscito a
togliere loro. L’armistizio, al quale quest’ultimo aveva finalmente aderito, doveva porre un argine
alla guerra di soli pochi anni e allorché essa scoppiò nuovamente, i sudditi genovesi della riviera
occidentale fino ad Albenga si tennero dalla parte dei conti; ma la fortuna fu loro tanto poco propizia
che, probabilmente, perdettero allora Saorgio; il 18 dicembre 1285 condiscesero ad una pace
definitiva col Siniscalco di Provenza. Pietro Balbo, Giovanni e Jacopo, figli di Guglielmo Peire,
morto nel frattempo, insieme con altri delegati, si obbligarono di fronte al re di Napoli a prestare il
giuramento di vassallaggio per i loro possedimenti nella contea di Ventimiglia e nel Piemonte, però i
loro paesi non dovevano essere soggetti alla piena sovranità del re; in particolare essi non dovevano
sottostare alle imposte da cui erano gravati gli altri vassalli.
Una tale sovranità puramente nominale non poteva costituire idonea contropartita alla mancata
consegna dei castelli e il passo del Colle di Tenda era rimasto nelle mani dei conti. Se dunque Carlo
II rinunziava senza riserva alcuna alla preziosa località di Roccabruna sulla costa, l’apparente
generosità nascondeva certamente ben ponderati segreti disegni. La politica elastica del figlio era
destinata a diventare un giorno più pericolosa di quella dura e aggressiva del padre. In quel momento
Carlo II non poteva pensare ad agire da solo e tanto meno ad attentare all’indipendenza di Genova.
Egli si affrettò a ricevere dalle mani del papa la corona del suo regno ereditario. Poi, di ritorno dalla
spedizione intrapresa contro Giacomo di Sicilia, conclusa con un armistizio, al suo ritorno in
Francia, il re toccò nuovamente Genova, senza peraltro soffermarvisi.
La via più diretta da Napoli per la Provenza passava del resto lungo la costa ligure. Gioffredo, 649;
cfr. 644. Non è chiaro quando la guerra fosse nuovamente scoppiata, in ogni caso prima del 12
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ottobre 1283: v. Rossi, Statuti, App., p. 36. Si può ammettere che vi avessero giocato intrighi di Pietro
d'Aragona: cfr. Gioffredo, 645. Probabilmente i conti avevano mantenuto le loro antiche relazioni con
gli avversari della casa d'Angiò: un Aldoynus de Vingtimilliis, comes Yscle maioris, apparteneva ai 40
cavalieri che giurarono che Pietro avrebbe mantenuto le condizioni per il duello con Carlo: De rebus
Regni Siciliae. Tanto si dovrebbe dedurre con Gioffredo, 644, dal documento da lui estratto; inoltre i
conti perdettero i castelli di Castellar e Gorbio (presso Roccabruna): ibid., 649. Il documento in
Rossi, Statuti, App., p. 31 e sgg., del 12 ottobre 1283, deve essere inteso nel senso che il Siniscalco
della Provenza, uno dei partigiani del re che erano stati banditi dal territorio della contea di
Ventimiglia appartenente ai conti, dimorava nel castello di Castellaro or ora preso; che in esso vi
fossero dei banditi, cfr. Gioffredo, 648. I castelli di Castellare e Gorbio furono restituiti ai conti. (
Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo ).
14. I conti d'Ischia e il culto di s. Anna sin dall'XI secolo
Addì 12 maggio [1036], indizione quarta, Insula maior...noi l’illustre conte Marino e la
regalissima consorte contessa Teodora: figlio e nuora del defunto inclito signor conte Gregorio
Mellusi di buona memoria e di eminente nostra rinomanza, avemmo in animo di eseguire un dipinto in
onore di Gesù Cristo, nostro signore e salvatore, e dell’intemerata sua genitrice, la sempre vergine
Maria, di Benedetto, beatissimo confessore di Cristo, di Santa Restituta, vergine e martire, e di
sant’Anna; dipinto nel quale far ritrarre le sacre immagini dei medesimi, dotarlo dei nostri beni e
sostanze, e collocarlo nella chiesa del nostro monastero e della Madre del Signore sito sul monte
Cementara, per la redenzione delle anime nostre, dei nostri genitori,figli e nipoti tutti...Da questo
giorno con fermissima volontà confermiamo ed offriamo a voi signor...
La festa di s. Anna che da tempo
immemorabile si rinnova in Ischia
14.1 San Guglielmo da Polizzi, i
Ventimiglia e la teofania dei
Nebrodi
La xeniteia/peregrinatio del beato
Gugliemo, santo eremita e profeta,
riuscì, nella seconda metà del XIII
secolo, a delimitare e determinare
spiritualmente la grande signoria
nebrodense di Enrico II di
Ventimiglia, con una vivacità di
novelle fondazioni eremitico-cenobitiche che sono caratterizzanti la spiritualità basiliana italo-greca.
Normalmente si avvicina la figura di Guglielmo da Polizzi al monachesimo benedettino, ma
osserveremo che l'eremita fu persino priore per alcuni anni del monastero basiliano di Santa Maria del
Rogato presso Castel Turio e Alcara Li Fusi. Non per questo si può pur etichettare semplicisticamente
l'esperienza di Guglielmo - frate mendicante - nell'ambito del monachesimo basiliano.
Intorno al 1271, a qundici anni circa, Guglielmo lascia la famiglia e la terra di Polizzi abbracciando la
vita eremitica. Si ritira presso il santuario della Madonna dell'Alto sulla catena montuosa delle
Madonie/Nebrodi, vi restaura la chiesa trascorrendovi quattro anni in penitenza e vita
contemplativa: parvulam aediculam de Alto appellatam Virginique dicatam, laetus adivit ( presso
Petralia Sottana ). Normalmente si pone in relazione la Madonna dell'Alto di Petralia con la omonima
chiesa ispirata alle presunte apparizioni della Vergine a Messina - nella Guerra del Vespro, la "Dama
Bianca" che difende le mura cittadine assediate dagli Angioini - e all'omonimo santuario cistercense di
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monte Caperrina - S. Maria di Monte Alto - fondato da Costanza d'Aragona e Federico III tra il 1286
e il 1298
( Bartholamaeus de Neocastro, Historia Sicula ab anno MCCL. usque ad
MCCXCIV, in Ris, Milano 1728, 13., col. 1047 ). Ma quella fondata o rifondata dal beato Guglielmo
anticipa di almeno 11 anni le apparizioni di Messina e non ne può esser quindi un riflesso. Semmai il
contrario, visto pure che S. Maria di Monte Alto di Messina conserva - tra le altre - le reliquie di due
denti provenienti dal teschio di s. Anna ed il 28 settembre 1298 ottenne le indulgenze di papa
Bonifacio VIII per il costruendo santuario e monastero cistercense femminile ( P. Samperi, Iconologia
della gloriosa vergine madre di Dio, Maria protettrice di Messina, Messina 1644, p. 380, 397 ).
La seconda tappa della xeniteia mariana di Guglielmo, che qui preme maggiormente sottolineare, è
quella relativa a Galati Mamertino - all'estrema propaggine orientale dell'ampia foresta di Caronia
dominata dai conti di Geraci - dove insistevano due istituti basiliani: S. Basilio del Tormento, San
Pietro di Mueli e un terzo monastero, appartenente all'ordine gerosolimitano di S. Maria di Valle
Giosaphat, dedicato sin dal 1118 a s. Anna. L'eremo di Guglielmo fu dedicato chiaramente al culto di
Maria e la Vergine fu la patrona dell'Ordine di Valle Giosaphat, originato dalla sede tombale di Maria;
dalla Vita di Guglielmo apprendiamo: eremi Galeati ingreditur...Mariam virginem devotione
praegrandi vindicavit, suum inquam profugium, suam unicam matrem. Sant'Anna di Galati fu una
diretta emanazione di illustri pellegrini di Terrasanta, provenienti dall'omonimo monastero di S. Anna
di Gerusalemme, edificato sulla casa di Anna e Maria; a Galati l'eremita ritrovava dunque eco
dell'Immacolata Concezione e della Dormitio di Maria. Eléazar Maulévrier – probabilmente vassallo
di Adelasia del Vasto - fonda, dopo il 1118, S. Anna di Galati - donata poi nel 1123 all'ordine
benedettino ospedaliero di S. Maria di Valle Giosafat - per esaudire un voto della regina e grancontessa Adelasia del Vasto, - ritornata con lui dalla Terrasanta, dopo il matrimonio con re Baldovino
II - cugino di Baldovino I, fondatore della Confraternita di S. Anna come sopra accennato -, dove,
ripudiata, era brevemente entrata nel locale monastero di S. Anna di Gerusalemme:
in honore sancte Anne, auctoritate atque iussu comitisse Adalasie, edificavi in territorio meo Galat –
antequam in mare intrasset, si cum prosperitate remearet, duas ecclesias, unam ad honorem sancte
Anne, aliam vero ad honorem eius filie Dei scilicet genitricis Marie semper virginis edificare Deo
vovit. Et predictam ecclesiam Sancte Anne, precepto ipsius comitisse Adalasie dedi ecclesie de Valle
Josaphat...( donazione confermata da Innocenzo II con lettera del maggio 1140: He.-F.
Delaborde, Chartes de Terre Sainte provenant de l'Abbaye de Notre Dame de Josaphat, Parigi 1890,
p. 38-40; He. Bresc, Parallelismi e relazioni fra la Sicilia normanna e sveva e la Terrasanta,
“Incontri. La Sicilia e l'altrove”, 3 (2013), 5., p. 4-6 ).
Federico II di Svevia aveva costituito la Camera reginale della moglie Costanza d'Aragona in Caronia,
S. Filadelfo, Olivieri, più i suffeudi di Galati, S. Pietro di Ficarra e Ficarra, Montalbano, S. Maria,
Militello etc. ( R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai
presenti, Palermo 1833, 2., p. 435 ). La camera reginale passò poi presumibilmente a Bianca Lancia che in effetti ereditò almeno parte di essa costituita dall' honor di Monte S. Angelo in Puglia - e da
questa ai suoi fratelli zii di Manfredi di Svevia, privati intorno al 1270 dei beni feudali al pari di
Enrico di Ventimiglia dai nuovi padroni; gli Angioini.
Altra tappa, la terza, fu S. Maria del Rogato: decrevit Tragudum accedere, ubi observantiae rigorem
vigeret perceberat, ibique sub obedentiae vexillo Domino militare ( monaci basiliani pochi Km a ovest
di Galati ). Siamo ad Alcara Li Fusi (Rocca Troara, Castel Turio, Tauriano); dove ammiriamo i coevi
affreschi della Kimesis o Dormizione della Vergine. ( Per l'identificazione di Tragudum vedi Codex
diplomaticus Regni Siciliae. 1. Diplomata regum et principum e gente Normannorum. 2., 1., Rogerii
II. regis diplomata Latina, a cura di C. Brühl, Böhlau, 1987, p. 165, 355 ). Sulla contermine Rocca
Kalanna ( nome greco derivato da Anna ) fu posto l'Eremo di S. Nicolao Politi, eremita del XII secolo
confratello del vicino monastero di Santa Maria del Rogato, al cui esempio si ispirò probabilmente
Guglielmo da Polizzi, eletto priore, appena ventenne, dai confratelli basiliani.
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Nel 1277 circa l'eremita si trasferisce nel feudo di Gonato nel territorio di Ypsigro, già possesso dei
conti di Ventimiglia, occupato dagli Angioini. A Gonato costruisce una chiesetta in onore della
Vergine Maria presso il monastero basiliano dei SS. Cosma e Damiano, già visitato mezzo secolo
prima, secondo la leggenda, da s. Antonio da Lisbona. Siamo al tempo della morte nell'isola di
Gerardo da Borgo San Donnino, lo spirituale gioachimita formatosi in Sicilia e a Parigi. Lo stile di vita
di Guglielmo e la sua sequela di Cristo nella vita eremitica affascinano e coinvolgono; la scelta di
assoluta povertà, che si traduceva in rifiuto di qualsivoglia gerarchia, e lo spiritualismo, intriso di
misticismo e nomadismo, erano visti dal “popolo” come tratti salienti di una comunità libera e aperta,
rinnovatrice del messaggio cristiano, così comincia a radunarsi attorno a lui una piccola comunità di
compagni desiderosi di seguire il Signore nell'austera vita ascetica condotta da Guglielmo. Da eremita
Guglielmo diviene animatore di tale piccola comunità di uomini dediti alla contemplazione attraverso
la meditazione, l'ascesi, la mendicità e le opere a favore degli ultimi.
Tragudum deserere, quod annis quatuor incoluerat; & a Gonatum, sibi cælitus præparatum, adire
studet. Quod ubi effecit: perpulcrum ibi sacellum erexit, ac patronæ suæ Virgini dedicavit;
nonnullisque cellulis quantocius instructis, plurimos fratres domi aggregavit, cum quibus tam
lætissime crucem Domini baiulabat, quam clarissime noverat impune sibi insidiari inimicum.
Affresco della fine del Duecento in S. Maria del Rogato
presso Castel Turio/Alcara - il Tragudum/Rocca Troara
della "Vita" di san Guglielmo - dove il santo dei Nebrodi
entra nell'Ordine basiliano, ne diviene priore, e vi permane
per quattro anni, prima di uscirne e spostarsi a Gonato e
fondare una nuovo istituto dedicato a s. Maria. La
pregevolissima opera, raffigura il transito della beata
vergine Maria e, l’ignoto artista, probabilmente uno degli
stessi monaci del cenobio, si attiene fedelmente a precisi
canoni iconografici bizantini provenienti dall’area
macedone e balcanica. La Vergine, abbigliata con una veste
color porpora ed avvolta da un manto scuro, ha le mani
incrociate sul ventre, ed il suo corpo è rigidamente
composto su di un catafalco color amaranto decorato da
volute semplici ed essenziali. Attorno alla Vergine, figurano
gli Apostoli e i Dottori della Chiesa orientale che indossano il tipico pallio liturgico - una donna aureolata si asciuga le
lacrime e tiene in mano un volumen - . In alto, due angeli schiudono un portale nel quale appare il Redentore che tiene
tra le braccia la beata Vergine bambina - o la sua anima - avvolta in fasce, simbolo dell'Immacolata Concezione e
dell'assenza del Peccato Originale che rende immortale pur il corpo di Maria. Lo sfondo presenta edifici con bifore ed in
alto, è riportata l’iscrizione greca “Dormitio della santissima Madre di Dio” e ai lati del Cristo, troviamo
rispettivamente, alla sua destra “IC” e dal lato opposto “XC”.
La Dormitio della Vergine nel Salterio ( circa 1280 ) di Iolanda da Soissons - contessa di Loreto nel Regno di Sicilia nipote dei conti di Chateau-Porcéan che fondarono la cappella di S. Anna in Reims ( 1239 ), come si può notare dallo
scudo burellato oro e rosso di dieci pezze ripetuto sulla destra della cornice, stemma dei Chateau-Porcéan. Iolanda fu
figlia di Raoul de Soissons, visconte di Coeuvres, e reggente del Regno di Gerusalemme come marito di Alice regina di
Cipro ( I. Hardy, Les chansons attribuées au trouvère picard Raoul de Soissons. Edition critique électronique, Thèse
électronique soumise a la Faculté des études supérieures et postdoctorales, Département de français, Faculté des
arts, Université d'Ottawa, 2009, p. 11 ).
Dopo undici anni di permanenza a S. Maria di Gonato, intorno al 1288, l'eremita è testimone di una
apparizione che l'invita alla quinta tappa della peregrinatio.
Commorato per undecim fere annos servo Dei Guilelmo in Gonati monasterio, apparuit matrona
quædam omni venustate venustior, & fulgore fulgentior; eique oranti talia exorsa est: Guilelme, surge
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, & eum locum adito, qui a Mydoniæ montis radicem
complectitur, quique vulgo ab omnibus accolis Fabaria
appellatur. Hic autem appulsus, templum mihi, ad exemplar quod
videtis ædificato. Surgit e vestigio assecla Virginis, Gonatoque
alacer egressus circumspectare coepit ubi ex postulatam
ædiculam fundet. En haud procul, mirabile visu! Perpulcrum
& ingens atrium contuetur; quo verus innumeram puerorum
aciem cernit ab Oriente effervescere, quos candentibus stolis
amictos gemmatisque socalibus distinctos, per aera glomerare,
illucque tandem ovantes ingredi conspectat. Tali ingredientium
pompa exhilaratus, quam devote decantare coepit, Salve Regina.
Illi autem candidati parvuli, aliquanter ibi gloriati, ad superas
auras evaserunt. Hymno deinde dicto, peritus beatæ Virginis
architectus ad locum properat: eumque fore præsagiens ubi
intemeratæ Matri sacellum erigat, flexis humi genibus supinisque
ad sidera manibus, gratias Deo agit [...] Postremo vox ex
alto hæc ipsa sibi edita est. Hic habitabis Mydonem. Quo
compertum habuit, quod illic gratam Virgini aedem fundaturus
esset: quam quidem continuo, suppeditante illi partem sumptus
illustri & pio Alduino Hieracii comite, ex amussi & mirifice
cum nonnullis cellulis construxit: ibique non paucos fratres brevi colligens, vitam suam, velut
lucernam super montem positam, componebat [...]
Dum autem in Gonato moratur Guilelmus, apparuit oranti mulier habitu regali; quæ illi, perge, inquit,
ad scaturiginem fontis sub radicibus montis Nebrodis. Ibi, sicut tibi monstrabitur, aedem extrue.
parere cupidus, ad locum properat, præstolatur indicium. Hoc illuc non cogitatione solum, sed oculis
abeunti, visum ibidem est ubi nunc aedicula Virginis sita, ingens palatium, & pueri de ortu solis ad se
maximo numero accedentes, stolis induti niveis, vario decore ac gemmis ornati. Coepit Guilelmus
Virginem alacer salutare, recitantemque Salve Regina, pueri illi, paulisper in Palatio commorati, in
caelum abeuntes, deservere. Ergo ad locum accessit, gaudio cumulatus incredibili vir Dei, quo in loco
Palatium ceteraque providerat: & ecce, secum ipse inquit, locus, ubi Virgini aedificetur ecclefia.
Cumquę tam de visis quam de commonstrata area grates Deo referret, sublatis in altum oculis, vidit
Dominum maiestate mirabili; mulierem vero, quæ antea sibi apparuerat, eodem regio ornatu, &
senem canitie venerabilem, qui magno Antonio similis videbatur, Domini latera protegentes. Vox vero
ad eum missa eft: Hic, inquiens, manebis. Ac si diceret: Hæc est toties tibi nuntiata sedes, in qua
quoad vives, in Dei obsequio, famulatuque perseverabis. Sed cum fundandæ, struendæque fabricae
nequaquam suppeterent opes; adfuit liberalitas Aldoini Vigintimilii, comitis Hieracii, cuius elemosynis
adjutus aedem perficit, & in honorem divæ Virginis a Partu dicat.
Et ecce ex insperato sublimis arbor suis obtutibus offertur, in cuius comato vertice tres præfulgidas
sedes conspexit: in medio autem duas, unam vero radici affixam conspicatus est. Cuius arboris
mysterium perscrutanti, vox ex arbore emissa concrepuit: Medius inter duas medias requiesces. Quo
audito omnis illa visio ab oculis statim elapsa. Quidam aliquando anachoreta Petrus, ex Provincia
veniens, viro Dei ramum salviae, quinque virentibus foliis vernantem, detulit: quem sibi
oranti matronam quamdam, spectabili vultu & cultu regio redimitam, dedisse; ac eumdem illo suo
nomine donatum ire iussisse, fatebatur.
quo etiam, ut anni ratio ferebat, Virginis Annuntiatæ memoria
celebrabatur. Guilelmus tantum diem orando intra ædem transigebat, accidit, ut eodem quoque die, a
Fridericus Aragonius in Siciliae Regem coronaretur [ 25 marzo 1296 n.d,r, ]. Itaque oranti servo Dei
voces de eo cælitus sunt auditæ: ad has Guilelmus cohorruit, & fratribus postea suis enarravit. Adjecit
etiam tamquam prophetiae spiritu multa de Italiae, præcipueque Siciliæ vastatione, locorumque
aliorum eversione. ( Acta sanctorum aprilis, a cura di G. Henschen, D. Papebroch, Venezia 1738, 2.,
p. 469, 470, 472 ).
Dies erat Paschatis celeberrimus,
Dopo S. Maria del Parto, Guglielmo fonderà S. Maria della Misericordia sul monte S. Angelo presso
Cefalù e S. Felice sul monte Pizzo Cane, nell'attuale comune di Caccamo, nell'entroterra del porto di
Termini. Come si può osservare, per S. Maria del Parto, non siamo a fronte di una semplice
fondaziane ecclesiastica. una delle numerose ascrivibili a s. Guglielmo. Ma a una vera e propria
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'rappresentazione sacra', una teofania incentrata sull'apparizione della Vergine, del Figlio e s. Antonio
Abate - il patrono dei conti liguri -. Il santo patrono della famiglia, nella nuova dimensione siciliana,
diventa Guglielmo, epigono di Antonio. La sacra fondazione di S. Maria del Parto è poi espressa nella
ierofania del Palazzo celeste - axis Mundi - a cui il monastero-romitaggio ispira la propria immagine e
significato. Il luogo si trasforma così in una fonte inesauribile di forze e di sacralità, concesse
all’uomo, all’unica condizione di penetrarvi per condividere quella forza e la comunione con quella
sacralità. I sette palazzi celesti - nella mistica ebraica della Merkabah ripresa da Gioacchino da Fiore
nella figura del Carro di Ezechiele - sono ancora rivelazioni eterne della volontà divina. Le sette chiese
fondate o riformate da s. Guglielmo nel suo viaggio nebrodense sembrano incarnare il mistico viaggio
spirituale del santo polizzano. Si pensi pur alla teofania del Polizzano e al parallelo Liber
Figurarum gioachimita delle Sette Età e al gioachimita 'Albero dei due Avventi: "Vedrete il Figlio
dell'Uomo venire nelle nubi con grande potenza e maestà".
Non sembra inoltre casuale la centralità della quinta fondazione - S. Maria del Parto - in rapporto alle
sette fondazioni guglielmite, anzi sembra un preciso contrappunto alla teologia gioachimita: il
passaggio dal cinque al sette, molto frequente nel simbolismo numerico gioachimita, rappresenta
l'evoluzione verso una fase più avanzata della storia della salvezza. Di più: nell'organizzazione
dell'abbazia gioachimita di S. Giovanni in Fiore - come preconizzato dall'abate Gioacchino - fu
prevista precisamente la fondazione di sette priorati florensi in uno schema di vita religiosa per il
tempo dello Spirito, riassunto nella tavola XII del Liber Figurarum. Questa descrive una
congregazione religiosa, organizzata nei sette priorati, raggruppata in un insediamento
denominato Monasterium, articolato in persone di diverse categorie con distinte attitudini sociali e
spiritualità, includente i laici e realizzante la Nuova Nazareth ( V. De Fraja, Dai Cistercensi ai
Florensi, in Il Ricordo del Futuro. Gioacchino da Fiore e il Gioachimismo attraverso la storia, a cura
di F. Troncarelli, Bari 2006, p. 33 - 39 ). Naturalmente, queste osservazioni generali necessitano di
una più approfondita indagine della vicenda del beato Guglielmo.
Per iniziarla, se leggiamo la vicenda di Guglielmo con il filtro della lezione magistrale di Alphonse
Dupront, ovvero della sua classificazione del sacro, identifichiamo il transfert del sacro nella
riproduzione del locus ad immagine di quelli visitati e riconosciuti da Guglielmo: Hic autem appulsus,
templum mihi, ad exemplar quod videtis ædificato...la sacralità deriva al luogo, in prima istanza, da un
avvenimento straordinario, una particolare epifania del divino. In seconda istanza sono luoghi sacri
quelli dove è accaduta una ierofania, una manifestazione impersonale del divino: tale un miracolo
collegato a un’immagine sacra, a un “corpo santo”, o a reliquie più o meno insigni ( il teschio di s.
Anna? ). Non meno significative le sacralizzazioni, come “ricordo collettivo”: tale la memoria del
monastero dei SS. Cosma e Damiano, già frequentato da Antonio da Lisbona, o di altri luoghi
anticamente consacrati, ma la cui storia è ormai scomparsa per sempre. La sacralizzazione primaria
può essere partecipata – o derivata – mediante un vero e proprio transfert di sacralità da uno ad altro
luogo il quale, a sua volta, diviene partecipe della virtù particolare legata alla primaria ierofania.
Il transfert si verifica mediante la fedele riproduzione di un’immagine o la costruzione di un edificio
sul modello del prototipo, ma anche tramite la concessione da parte della suprema autorità della
Chiesa delle stesse indulgenze legate alla fonte primaria. Entrambi i luoghi – quello primario e quello
derivato – risultano, di fatto, equivalenti rispetto alle funzioni e ai poteri sacrali e, a loro volta,
provocano pellegrinaggi, dando luogo a un santuario vero e proprio. In particolare, la visione
dell'albero di Guglielmo da Polizzi ( Et ecce ex insperato sublimis arbor suis obtutibus offertur, in
cuius comato vertice tres præfulgidas sedes conspexit: in medio autem duas, unam vero radici affixam
conspicatus est. Cuius arboris mysterium perscrutanti, vox ex arbore emissa concrepuit:Medius inter
duas medias requiesces ) sembra tratta dalla figura gioachimita dell'Albero dei due Avventi,
significativa poi la sua relazione con la profezia di sventura connessa all'incoronazione del re
gioachimita Federico III d'Aragona, il giorno stesso della visione guglielmita; il 25 marzo 1296, festa
dell'Annunziata.
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Non trascurabile neppure il riferimento guglielmita all'anachoreta Petrus, ex Provincia
veniens, identificabile forse con il raffinato patriarca del gioachimismo contemporaneo: il
provenzale Peire de Joan Oliu/Pietro di Giovanni Olivi, massimo teologo tra i fautori dell'
anacoretismo, ovvero dell'imitazione dell'assoluta povertà di Cristo e dei primi apostoli. Ma non si può
escludere neppure Peire Scarrier, allievo del precedente, istitutore dei figli di Carlo II prigionieri in
Catalogna e poi confessore di Sancia d'Aragona-Maiorca, seconda moglie di Roberto d'Angiò,
vescovo di Rapolla dal 1308. Richiamo qui l'intima relazione dei conti di Ventimiglia e visconti di
Marsiglia con gli ambienti e gli esponenti del gioachimismo provenzale, e il culto del teschio di s.
Anna, messi in luce al punto 9.1.3.1. Relazione politica e culturale con i rami liguri e siciliani del
lignaggio che si mantenne almeno sino al trattato di pace tra Bonifacio II de Vintimille e Carlo II
d'Angiò del 21 aprile 1295. Ma lo stesso Bonifacio di Ventimiglia-Badalucco - cognato dei ghibellini
marchesi di Ceva -, in Aragona accanto al cugino Enrico II di Ventimiglia, abbiamo osservato
provenire dagli ambienti occitanici dei consanguinei de Castellane e de Fos. Ambienti gioachimiti
occitanici che mantenevano rapporti con il maestro generale Enrico da Ceva rifugiato in Sicilia ( R.
Orioli, Enrico da Ceva, in Dizionario biografico degli italiani, 42 ( 1993 ), p. 726-730 ).
Siamo all'epoca in cui Dolcino da Novara aveva indicato in Federico III d'Aragona il futuro
imperatore che avrebbe sterminato il clero corrotto, la cui figura politico-religiosa alimentava talune
speranze dei beghini provenzali. Siamo pur al tempo, ad esempio, di s. Angela da Foligno - del locale
convento di S. Anna culla del Terz'ordine laico femminile - la beghina francescana dei trenta passi secondo il suo Liber ispiratore del gioachimita Ubertino da Casale - ovvero del percorso che l'anima
compie raggiungendo l'intima comunione con Dio, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo,
sull'Eucaristia, e intorno alle tentazioni e alle penitenze. ( Sul contemporaneo francescano Ramon
Llull e lo spiritualismo alla corte di Federico III d'Aragona vedi A. Oliver Montserrat, Filosofia y
heterodòxia en la Mallorca de los siglos 13.-15., " Bolletí de la Societat Arqueològica Lul·liana" 79 (
1963 ), p. 157-175; J. M. Pou y Martí, Visionarios, beguinos y fraticelos catalanes ( siglos 13.-15.
), Madrid, 1991; Gioachimismo e profetismo in Sicilia ( secoli 13.-16. ), a cura di C. D.
Fonseca, Roma 2007; Il Mediterraneo del '300: Raimondo Lullo e Federico III d'Aragona, re di
Sicilia. Omaggio a Fernando Dominguez Reboiras, 'Atti del Seminario internazionale di Palermo,
Castelvetrano - Selinunte (TP)', 17-19 novembre 2005, a cura di A. Musco, M. Romano, Turnhout
2008 ).
In tale ricco contesto spirituale, collegato alla tradizione bizantina e occidentale, il luogo dove si andò
a conservare la sacra reliquia del teschio di s. Anna poté esser proprio identificato nella fondazione di
S. Maria del Parto promossa dai conti di Ventimiglia, o, ancora, nel castello di Cefalù, dove furono
imprigionati i reali angioini, tra il 1284 e il 1302, e dove i conti di Ventimiglia - come già osservato eressero la cappella dedicata a s. Anna. Peraltro, dal 1290 il vescovo di Cefalù fu scomunicato, morì
nel 1300 e sino all'elezione del successore, nel 1304 la diocesi nebrodense rimase orfana. Giovanni
Colonna, arcivescovo di Messina e metropolita di Cefalù, esautorato dagli Svevi, fu incaricato
dell'amministrazione apostolica della diocesi di Osimo negli anni in cui nelle Marche fu Enrico II di
Ventimiglia, vicario generale di Manfredi. Pur l'arcidiocesi di Messina dal 1296 al 1304 fu vacante.
L'unica autorità cittadina in Cefalù - in particolare dal 1296 al 1304 - fu dunque personificata proprio
da Enrico II di Ventimiglia; questi portò a termine il duomo cefalutano, consacrato nel 1267,
sbrigativamente definito come "usurpatore" dell'episcopio dalla locale storiografia, dimentica del
processo canonico che aveva affidato il castrum di Cefalù all'autorità civile in epoca federiciana.
Possiamo spingerci oltre e identificare nella visione del Palazzo celeste di fra' Guglielmo una precisa
immagine liturgica nel linguaggio del mito. Fin dal XII secolo la liturgia del culto di s. Anna
identificava la santa con il Palazzo celeste accogliente Maria:
In columnis vero summorum patriarcharum Abrahae et David soliditas principalis ostenditur, ad quos
de Christo facta promissio specialiter declaratur. Ezechias et Iosias gloriosi reges et incomparabili
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sanctitate fulgentes, quasi preciosi lapides immensos vibrant radios: et in regiae genitricis Dei domus
artificio, fulgore mirabiliter preminent copioso. Salomonis aurum quod insignis Annae vestit
aedificium, ita preciosos lapides circundat in opere: ut dulcis eius eloquii vernet sublimiter eximia
claritate. Colores preterea diversi resplendentes in hac aula regia genitricis Dei, sacra nimirum
prophetarum series apparet: quae de mysterio incarnationis Christi una eademque fide diversa
vaticinia preconari solet. Duodecim autem filii Iacob huius fundamenti supportant materiam, et in
sublime regiam insigniter erigunt structuram. In illis Iuda et Levi potissimum preminent, ex quibus
regnum et sacerdotium eiusdem gentis prodiit: eosque quasi duos parietes lapis Christus angularis in
beatae matris Annae celebri formatione colligavit. Ceterum pro marmore quod aream pavimenti
condecorat in aedificatione huius regalis Palacii, omnium pene regum Iuda in sacra genealogia series
est conputata. Quorum quidam quamvis essent in perversis operationibus coram domino reprobi:
extiterunt tamen insignes praecelsa maiestate sanguinis generosi. Et haec est preclara et sublimis
structurae tantae materia, ex quorum propagine Deus pater gloriosae genitricis unigeniti
sui singulare et novum fabricavit Palacium. Quod quidem iure beatam Annam dixerim, in cuius
thalamo ornaretur sancta et perpetua virgo: ut prima caelestium idonea fieret copulae nuptiarum. ( K.
Ihnat, Early evidence for the cult of Anne in Twelfth-century England, "Traditio", 69 ( 2014 ), p. 18-19
).
Guglielmo moriva il 16 aprile 1317, quando da pochi mesi Francesco I di Ventimiglia - il figlio di
Aldoino - ebbe a iniziare i lavori di edificazione del Castrum Belvidiri de Ypsigro, ovvero nasceva la
futura Castelbuono che assunse s. Anna e s. Guglielmo quali compatroni. Del resto, nella Montalbano
non lontana da S. Anna di Galati, Federico III, nei primi anni del Trecento ospitava i Fraticelli toscani
- guidati dal maestro generale Enrico da Ceva - insieme ai beghini catalani e provenzali, come l'illustre
francescano Arnau de Vilanova, rettore dell'Università di Montpellier, che proprio a Montalbano
Elicona sembrerebbe sepolto, e del quale abbiamo già individuato una relazione, personale e testuale,
con la contessa Sibilla di Ventimiglia; mi domando dunque se tali prossimità al gioachimismo
millenarista potrebbero aver influenzato le profezie di s. Guglielmo ( F. Costa, Eleonora d'Angiò (
1289-43 ), regina francescana di Sicilia ( 1303-43 ), in I francescani e la politica, 'Atti del Convegno
internazionale di studio, Palermo, 3-7 dicembre 2002, a cura di A. Musco, Palermo 2007, 2., p. 199201 ). Del resto, anche attraverso le credenze intorno alla figura di Federico III re di Sicilia,
protagonista delle profezie di s. Guglielmo, e discendente per parte di madre dalla casata sveva,
vediamo come la tradizione gioachimita fosse mutata col mutare della situazione politica. Federico III
combatterà così il potere secolare della Chiesa, sconfiggendolo, e non sarà più identificato, come il
bisnonno Federico II, nell'Anticristo. ( M. Russo, I Fraticelli in Sicilia nella prima metà del secolo
14., in Francescanesimo e cultura in Sicilia ( secoli 13.- 16. ), 'Atti del convegno internazionale di
studio nell'ottavo centenario della nascita di san Francesco d'Assisi', Palermo 7-12 marzo 1982,
Palermo 2002, p. 88 - 92;R. Backman, Declino e caduta della Sicilia medievale. Politica, religione ed
economia nel regno di Federico III d'Aragona rex Siciliae (1296-1337), a cura di A. Musco, Palermo
2007; G. Messina, G. Scammacca, 1. Convegno Internazionale di studio su Arnaldo da
Villanova. Giornate di studio in memoria di Alessandro Musco, Montalbano Elicona [ Messina ], 7-9
maggio 2015, "Mediaeval Sophia. Studi e ricerche sui saperi medievali", 17 ( 2015 ), p.245-269 )
Sul mantenersi della presenza dei conti di Ventimiglia e Geraci nelle profezie del gioachimismo
catalano del secondo Trecento vedi ad esempio:
Il faut cependant peut-être comprendre « Vintimilla » comme un patronyme. Ce terme désignerait
alors la faction sicilienne des Ventimiglia, qui alterna entre la fidélité à la dynastie catalane issue des
Vêpres et l’alliance avec les Angevins de Naples. Dans ce cas, la « gran illa » serait effectivement la
Sicile et les vers 206-211 seraient des vers de transition, qui assureraient le passage d’un univers
référenciel catalan (« sera tempesta / en Cataluinnia ») à un univers référenciel sicilien. L’évocation
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des désordres politiques du royaume de Trinacrie s’étendrait des vers 211 à 271 et rejetterait la
responsabilité politique des conflits qui ensanglantèrent l’île entre le milieu du XIVe siècle et 1412 sur
les magnats siciliens. ( I. Rousseau-Jacob, Anselm Turmeda (1352/53-v.1423), in L’eschatologie
royale de tradition joachimite dans la Couronne d’Aragon ( 13.- 15. siècle ). Étude et édition de
textes prophétiques, Parigi 2016, 2., Deuxième partie: Éditions et commentaires, in
http://journals.openedition.org/e-spanialivres/932 ).
Se per i Capitoli di Giacomo II per il regno di Sicilia non è rintracciabile, al contrario, alcun
intervento diretto della curia romana, non va trascurato il fatto che già da tempo gli ambienti della
corte catalano-aragonese erano il luogo di un’imponente elaborazione di pensiero teologico e politico
di ispirazione mendicante, che ha fra i suoi esponenti maggiori Arnau de Vilanova e Ramon Llull,
entrambi profondamente implicati nelle vicende politiche della ‘questione siciliana’ e
entrambi profondamente influenti presso il re di Sicilia e poi d’Aragona Giacomo II e il suo
successore nell’isola Federico III ( P. Corrao, Crisi e ricostruzione del consenso nel regno di Sicilia
fra dinastia angioina e aragonese, in Autorità e consenso. Regno e monarchia nell'Europa medievale,
a cura di M. P. Alberzoni, R. Lambertini, Milano 2017, p. 313 ).
Ruderi del mastio federiciano e della Rocca
di Cefalù, nei pressi dei quali fu costruita secondo la tradizione dai conti di
Ventimiglia - la cappella di S. Anna, e dove
furono ospitati i prigionieri Carlo II d'Angiò
e Filippo I di Taranto. La cappella del mastio
fu dedicata a S. Michele, mentre nel borgo
bizantino che occupava la cima del monte,
attorno al mastio, fu edificata pur la chiesa
di S. Venera. ( V. Auria, Dell'origine ed
antichità di Cefalù, città piacentissima di
Sicilia. Notitie historiche, Palermo 1656, p.
63: "Evvi la Chiesa di S.Anna, che si crede
essere stata edificata dai Conti Ventimiglia,
devotissimi di quella Santa, il di cui Capo si conserva nella Città di Castelbuono loro principato. Vedesi ancora vn'altra
Chiesa di Santa Venera Verg. e Martire Siciliana, la quale pure si stima essere stata fondata dai su detti Conti
Ventimiglia. In questo Castello vi son grotte sotterranee, dentro di cui dalle stille dell'acque si fanno alcune pietre
degne di lavoro." )
14.2 Eudossia Làscaris contessa di Ventimiglia, gli Spinola di San Luca e Ramon LLull
Ramon Llull, nella sua frenetica attività di scrittore ( 257 libri ), filosofo, teologo, predicatore,
insegnante, eremita e diplomatico, fra gli anni 1306-1307 tornò in patria a Montpellier e la sua
Maiorca. Ma nell'estate del 1307 era già in Genova, pronto per imbarcarsi per una ennesima missione,
a Bijayah/Bugia, nell'attuale Algeria ma all'epoca sultanato indipendente, nel tentativo di convertire i
locali musulmani. A Genova lo aspettava l'amico Cristiano Spinola, fratello o cugino di Perceval
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Spinola fraterno amico di Ramon, questi ricorderà Perceval nel suo testamento come depositario e
fidato propagatore della sua imponente biblioteca autografa. Lo stesso Cristiano è conosciuto per aver
fornito a Federico III di Sicilia un manoscritto lulliano A Genova il LLull ovviamente non si perse in
convenevoli: incontrò Cristiano, consigliere dei Capitani del Popolo e leader dei ghibellini Spinola di
San Luca, e gli fece una proposta impegnativa. Lo Spinola, insieme ai maggiorenti genovesi, avrebbe
dovuto perorare presso Clemente V - dimorante in Avignone - la causa della Crociata per la
liberazione del Sultanato di Gharnāṭa/Granada. Giacomo II d'Aragona perora anch'egli la causa di
Granada, ma il suo amico e familiare Cristiano Spinola non se la sente di impegnare nell'impresa le
forze navali genovesi, la sua patria ha altre priorità, e Ramon allora raggiunge a Marsiglia l'amico
Arnau de Vilanova, affinché sia appoggiata la sua proposta di crociata presso la curia papale. ( A.
Fidora, Ramon Llull, la familia Spinola de Génova y Federico III de Sicilia», in Il Mediterraneo del
‘300, pp. 327-343 ).
Il 5 dicembre del 1306, Giacomo II d'Aragona aveva scritto una lettera a Cristiano Spinola, al suo
fidatissimo e autorevole ambasciatore Miguel Perez de Arbe, al podestà Antonio Gualdini da Parma e
al Comune di Genova, retto dai Capitani del Popolo, ovvero Opizzino Spinola e Bernabò Doria. Nella
missiva il sovrano aragonese non accennava alla programmata e segretissima campagna militare
contro Granada, ma chiedeva a Miguel di accompagnare Eudossia Làscaris nel suo prossimo viaggio a
Montpellier e Genova, ed ai rettori genovesi affinché accogliessero e favorissero la dama che doveva
incontrarsi con il figlio Giovanni per riscuotere rendite dovutegli dalla contea e dai suoi beni cittadini
in Genova. Eudossia, attendeva da molti anni, da quando era rimasta vedova venticinque anni innanzi,
la corresponsione delle rendite dovutole sugli investimenti compiuti in Genova dal marito con la sua
dote di ventimila iperperi; perché decide di viaggiare personalmente per recuperare il dovuto soltanto
a quella data? Non sarebbe stato sufficiente l'intervento regio dell'abile Perez de Arbe, il cavaliere
braccio destro diplomatico del re che aveva curato le più delicate missioni in Castiglia sotto l'egida
della figlia Vatatza di Ventimiglia? Certo è comprensibile che la madre oramai ultra-sessantenne
voglia rivedere il suo Giovanni, ma non si muove solo per questo; lo scenario economico-politico
dello scacchiere mediterraneo sta mutando rapidamente proprio in quegli anni. e questo indurrebbe a
pensare che un personaggio del calibro diplomatico di Eudossia - cugina di tutti i regnanti - non si
scomodasse esclusivamente per motivi personali.
Muhammad III di Granada nel 1303 aveva concluso un trattato triennale con Ferdinando IV di
Castiglia, che ora veniva meno rimescolando le carte della politica mediterranea. In particolare, dopo
la conquista di Ceuta, del 12 maggio 1306 - e le successive azioni militari nel Magreb contro il sultano
di Fez - il sultano di Granada fu posto nel pieno controllo dello Stretto di Gibilterra, dopo aver
occupato Algeciras, Ronda, Tarifa e Gibilterra - la prima tolta al dominio del Marocco -. Muhammed
III pose in Ceuta come vassallo suo cugino l'emiro‘Utman ben Abi l-‘Ulà1, šayj al-guzat ( capo dei
Volontari per la Fede ), che si proclamò Sultano del Magreb. L'importanza strategica di Ceuta portò i
Castigliani, gli Aragonesi e i Merinidi del Marocco a stipulare un triplice alleanza contro Granada logico seguito del trattato fra Aragona e Castiglia del 1304 -; secondo questo ulteriore trattato, quando
i tre alleati avrebbero sconfitto i Nasridi di Granada, l'Aragona avrebbe annesso Almería, alla Castiglia
sarebbe toccato Granada, Algeciras e Gibilterra, mentre i Merinidi avrebbero recuperato Ceuta. ( Sulle
trattative per attuare la pace tra Castiglia e Aragona, e in particolare alla rinuncia al trono castigliano
dei de La Cerda, nel 1305, ispirate da donna Vatatza di Ventimiglia, vedi la corrispondenza tra questa
e Giacomo II d'Aragona: A. Gimenéz Soler, Don Juan Manuel. Biografía y estudio crítico, Saragozza
1932, p.255-261; A. Pelàez Rovira, Un año crítico de la historia nazarí: Nasr (1309-1310).
Precisiones y rectificaciones, "Miscelánea de estudios arabes y hebraicos", 54 ( 2005 ), p. 119-120 ).
Vatatza proveniva da un ambiente molto legato agli ordini monastico-militari di Santiago e San
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Giovanni. Maria Anes Redondo, la zia paterna di Joana Gonçalves Redondo, che il 15 marzo 1331
nomina Vatatza esecutrice testamentaria insieme alla regina s. Isabella d'Aragona, fu la cognata di
Paio Peres Correia, l'eroe della reconquista lusitana dell'Algarve, gran maestro dell'Ordine di Santiago.
Anche attraverso il marito Vatatza fu imperantata con i Correia, attraverso il matrimonio di Maria
Anes Redondo con Gomes Pires Correia. Inoltre, Gonçalo Pires de Pereira, dopo essere stato grande
comendador nos cinco reinos de Espanha dell'Ordine monastico-militare di S. Giovanni di
Gerusalemme, fino almeno al 1271 - quando in Castiglia e Algarve operava il cavaliere ospedaliero
Oberto di Ventimiglia zio di Vatatza - fu pur commendatore ospedaliero di Panòias, signoria della
dama ligure ( de Sotto Mayor Pizarro, Linhagens medievals portuguesas, 1., p. 350-355; 2., p. 894895, 1000 ).
Il ruolo dello zio di Vatatza tra gli Ospitalieri fu di un certo peso. Fra' Oberto di Ventimiglia
intervenne dando il proprio assenso alla permuta tra re Alfonso X di Castiglia e Leon e Gonçalo Pires;
gli Ospitalieri cedettero al sovrano la signoria sulle ville e castelli di Serpa, Moura e Mourao, nella
diocesi portoghese di Evora, ricevendo in cambio chiese e proprietà negli stessi luoghi, oltre alla villa
e castello di Cubillas de Duero – già commenda templare -, la chiesa e distretto di Santa Maria del
Castiel da Veiga, la villa di Ellas, redditi ed esenzioni varie per oltre 1300 marvedì di rendita annua (
I. G. Tato, Las encomiendas gallegas de la orden militar de San Juan de Jerusalén: estudio y ediccion
documental, Madrid 2004, p. 182-183 ). Serpa, Moura, Mourao e gli altri luoghi nell'Alentejo al 20
ottobre 1295 sono restituiti dai Castigliani ai Portoghesi e fortificati da Dionigi I, nella regione del
Baxo Alentejo poco a nord dell'Algarve, mentre l'intervento militare di Vatatza, sopra descritto ( 14.1
), al porto di Sines e Santiago do Cacém, si svolse nell'Alentejo Litoral poco ad ovest dei luoghi
vigilati dallo zio Oberto nel secolo XIII. Serpa, Moura e altri castelli della provincia furono beni
concessi al primo cugino del marito di Vatatza, il conte Martim Gil II de Riba de Vizela, il quale nel
1295 era succeduto all'omonimo padre come maggiordomo maggiore della regina s. Isabella, e quindi
fu uno stretto collaboratore della medesima Vatatza cameriera maggiore della regina ( de Sotto Mayor
Pizarro, Linhages medievais, 1., p.547-553 ). Anche se non ho potuto scandagliare gli archivi
portoghesi - che molto probabilmente ci fornirebbero più precisi riscontri alla relazione dei conti di
Ventimiglia con la regione dell'Alentejo - la presenza nel territorio del cavaliere ospedaliero fratello di
Guglielmo Pietro - erroneamente indicato come templaro nelle genealogie liguri - prima, e degli stretti
parenti e collaboratori di Vatatza di Ventimiglia poi, a mio modo di osservare, giustifica la spedizione
di quest'ultima alla conquista del porto atlantico di Sines - divenuto di strategica importanza dopo
l'accordo commerciale del 1308 con il Regno d'Inghilterra - in occasione della crociata di Granada che
vide la partecipazione attiva, accanto a Castiglia e Aragona, anche di re Dionigi, nel 1309. Potrebbe
sembrare una contraddizione, porre l'afflato mistico della beghina Vatatza sul piano militare e politicocommerciale dell'impresa, ma queste categorie esprimerebbero una ottusa visione anacronica del XXI
secolo: Et cette conscience de la vie qu’entre tout ce qui est donné ensemble, il n’y a pas
d’opposition. Ainsi vit un monde plein ( A. Dupront, Le mythe de croisade, Parigi 1997, 1., p. 160 ).
14.2.1 La Crociata di Granada e i finanziamenti delle vedove benefiche
All'11 febbraio 1306 risale la prima corrispondenza tra Arnau de Vilanova e Giacomo II d'Aragona sul
progetto di crociata contro Granada, quindi i movimenti di Eudossia del successivo dicembre, quando
la caduta di Ceuta fece precipitare gli eventi, rientrano nella temperie del progetto di crociata
sostenuto a Avignone da Arnau e dall'amico Ramon Llull ( Arnau de Vilanova, Opera Medica Omnia,
vol. X.2., Rústica. Regimen Almarie ( Regimen castra sequentium ), a cura di L. C. Ballester [ et al. ],
Barcellona 1998, p. 55-59 ). In realtà, il piano d'azione e le giustificazioni politico-teologiche furono
pronte già nel 1305, con il Libro del Fin, opera lulliana escatologica ma pur estremamente
significativa per la lucidità politico-militare, che giustificava la crociata di Granada come necessaria
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premessa alla conquista di Gerusalemme - poi ribadita nel 1309 con il suo Libro de la adquisición de
la Tierra Santa, che incluse una diplomatica apertura alle ragioni di Carlo de Valois e alla conquista di
Costantinopoli -:
El quinto lugar es la España, es decir, la Andalucía, donde hay Almería, Málaga y Granada. Es un
lugar agradabilísimo y aconsejable arriba de cualquier otro. La ruta es por mar y por los reinos de
Aragón y Castilla. Así se impediría que los otros sarracenos pudiesen ayudarlos. La España es muy
fértil, crea muchos caballos, es una tierra saludable y sobretodo próspero. El rey guerrero podría
iniciar la guerra con un pequeño ejército, mantendría la frontera e iría conquistando una fortaleza
después de otra, progresivamente, una villa y después otra, y así iría multiplicando su ejército. Ese
lugar es aconsejable por ser bueno de conquistar. Después de conquistada Andalucía, el rey guerrero,
con su ejército aumentado, podría pasar a la Berbería Mayor, primero al reino de Ceuta, que se
encuentra sólo a tres millas por mar. En este momento, tal como fue dicho, él conquistaría una villa
después de otra, hasta la frontera, y así avanzaría hasta Túnez; fortificaría y defendería las fortalezas
y entonces podría hacer la guerra contra los sarracenos en tierra plana. Así, el rey guerrero podría
llegar hasta la Tierra Santa de Jerusalén y conquistar todo el reino de Egipto, tal como ordenaremos
a seguir.
( Ramon Llull, Darrer Llibre sobre la conquesta de Terra Santa ( Libe de fine ), a cura J. Gayà, P.
Llabrés. Barcellona 2002, p. 99 ).
Altorilievo trecentesco rappresentante
l'Ordine di San Giacomo della Spada che
sconfigge i Mori, nella Chiesa Matrice di
Santiago do Cacèm. fondata da Vatatza di
Ventimiglia intorno al 1310.
Con la lucidità politica che
contraddistingue l'immensa opera
lulliana - tra l'altro alla base del
pensiero di Leibniz e del Logicismo
moderno - il grande riformatore
'consigliava' la Chiesa - ma quasi la
minacciava di condanna infernale - di fondere in un unico Ordine di S. Spirito le diverse religioni
monastico-militari, sotto la guida del Gran maestro degli Ospedalieri. Suggerimento che come noto fu
presto raccolto da Filippo il Bello con l'eliminazione dei Templari. Vatatza, come accennato, fondò a
Santiago do Cacém l'Ospedale di S. Spirito, credo senza ignorare i suggerimenti, lei beghina e poi
canonichessa di Santiago, del grande Maestro. Infatti, questi intellettuali si muovono in quel periodo
tra Genova, Montpellier e Marsiglia, in contatto con Cristiano Spinola e Giacomo II, esattamente
come sua madre Eudossia Làscaris. Nondimeno, il viaggio di Eudossia potrebbe esserci giustificato
dallo stesso Ramon LLull: questi afferma, nella sua autobiografia, che, intorno al 1308, ebbe a
raccogliere, "devotae matronae atque viduae plurimae", 25.000 fiorini per finanziare il Passagium - e
sappiamo cosa intendesse: per prima tappa il Regno di Granada che andava bloccato per la sua politica
espansionistica in Iberia e Maghreb -. La medesima Vatatza, vedova come sua madre, nel 1310
ricevette la signoria di Santiago do Cacèm dai Cavalieri di Santiago, per aver finanziato nell'anno
precedente, ovvero nel 1309, la guerra di Reconquista con 20.000 marvedi. A nostra
conoscenza l'obiettivo del viaggio della madre a Genova e Montpellier, negli anni precedenti, fu
quello proprio di recuperare la propria dote di ventimila iperperi, o i frutti derivateni. Tutte queste
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potrebbero esser coincidenze casuali, tuttavia, la contemporaneità di questi avvenimenti all'azione di
Vatatza nell'Alentejo, e dei suoi parenti portoghesi e aragonesi nella Crociata di Granada, non è
dubitabile ( L. Friedlein, El diàleg en Ramon Llull: l'expressió literària com a estratègia apologètica,
Barcellona, Palma di Maiorca, p. 208; Sulle informazioni diplomatico-militari che Vatatza passava al
cugino Giacomo II d'Aragona, vedi ad esempio la missiva del 27 ottobre 1309 riguardante il Sultanato
di Granada: A. Masià i de Ros, Jaume II--Aragó, Granada i Marroc: aportació documental,
Barcellona 1989, p. 374-375; sull'attività 'sovranazionale' di Vatatza come mediatrice - insieme a re
Dionigi I di Portogallo e al conte di Barcelos - tra Castiglia e Aragona, è informato Maometto II di
Granada sin dal 13 ottobre 1300: p. 309-311; sulla partecipazione all'impresa di Granada e Almeria di
Bernat de Sarrià, amante della sorella Làscara, al comando della flotta, con un contingente di 114
cavalieri e del cognato Guillen de Montcada, con 32 cavalieri di apporto personale, al comando della
cavalleria, vedi V. Baydal Sala, «Tan grans messions». La financiacion de la Cruzada de Jaime II de
Aragòn contra Almeria en 1309, "Medievalismo", 19 ( 2009 ), p. 70, 105, 117, ).
Il 19 dicembre del 1308, ad Alcalà de Henares, l'amante di Làscara di Ventimiglia, Bernat de Sarrià,
grande ammiraglio d'Aragona in rappresentanza di Giacomo II, stipulava segretamente un trattato con
Ferdinando IV di Castiglia per la reconquista di Granada, Almeria, Algeciras, Ceuta e Gibilterra, con
la formazione di una comune armada di venti galee e otto navi più altre quindici galee destinate al
blocco di Almeria - che gli Aragonesi avevano iniziato a costruire almeno dal 1307 stando a una
lettera del sultano di Granada che ne chiese ragioni a febbraio 1308 - flotta destinata al blocco navale,
dal successivo 24 giugno 1309, delle fortificazioni attaccate da terra. Dionigi I invia settecento lance a
supporto delle operazioni di terra al comando del cugino di Vatatza di Ventimiglia, il conte di
Barcelos, Martim Gil II de Riba de Vizela. Il 24 e 29 aprile 1309 arrivano le tanto attese lettere papali
di Clemente V, Indesinentis cure e Prioribus decanis, che bandiscono la Crociata di Granada e
destinano tre anni di decime ecclesiastiche ai Castigliani e 4 anni agli Aragonesi, in supporto
finanziario ai Crociati. Le decime per Giacomo II, costituiscono un importante sostegno quantificato a
960.000 soldi barcellonesi, ma poca cosa a fronte del consuntivo dell'operazione, intorno ai 5.800.000
soldi, bruciati in poco più di sette mesi di belligeranza ( Baydal Sala, «Tan grans messions», p. 82-88,
106 ). Dal 15 ottobre 1309 migliaia di cavalieri usciti da Granada di portarono su Almeria, spalleggiati
dal Sultano del Marocco passato al loro fianco, facendo pendere la bilancia della guerra contro i
Cristiani, peraltro tra loro litigiosi. Il 29 gennaio del 1310 Giacomo si ritirava dall'assedio di Almeria
con un debito di circa di 2.000.000 di soldi, senza aver ottenuto altre tre annate di decime dal papa, ma
soltanto un'annata dai vescovi del Regno. Ceuta e Gibilterra furono conquistate dai Castigliani, ma i
principali obiettivi della crociata, Algeciras e Granada, rimasero in potere musulmano.
14.3 Dalle Marche a Palermo: Ugo da Talacchio e la fondazione di S. Anna delle Scale
Come appresso osserveremo, nel 1294 giunsero nelle Marche alcune reliquie della casa natale di
Maria e della madre Anna, che saranno al centro del famoso Santuario di Loreto. All'epoca vicario di
Roma fu il domenicano Salvo, vescovo di Recanati nelle Marche, che contribuì a porre le sacre
reliquie nella sua diocesi, nel periodo della drammatica rinuncia al pontificato di Celestino V, a 13
dicembre 1294 - pochi giorni dopo l'arrivo delle reliquie in Loreto - e la successione al 24 dicembre di
Benedetto Caetani, il nuovo pontefice Bonifacio VIII. Siamo nell'ottava indizione cioé negli anni
1294-1295. Lo stesso giorno dell'arrivo delle reliquie in Recanati, guarda caso, Gerardo da Parma e
Benedetto Caetani - i due colleghi della sentenza di Reims appunto...anche questo puramente
incidentale - inducevano Celestino V all'emissione del decreto Constitutionem che poneva tempi
strettissimi per l'elezione del successore di Pietro, anche in caso di abdicazione del pontefice, non solo
di morte come già previsto dalla precedente costituzione Ubi periculum. L'ottuagenario Celestino fu
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quindi consigliato dai due cardinali al gran rifiuto, poi catturato a Vieste nel giugno 1295 da Carlo
Martello d'Angiò - figlio di Carlo II e Maria Arpad - mentre tentava di raggiungere l’eremo di
Sant’Onofrio, fu consegnato a Bonifacio VIII e imprigionato nel castello di Fumone, presso
Frosinone, dove rimase fino alla morte, nel 1296. Carlo Martello, re d'Ungheria, nello stesso torno di
tempo, fondava la Cappella di S. Anna nella francescana S. Lorenzo Maggiore di Napoli, e al primo
gennaio del 1295 - sempre in ottava indizione - sorgeva presso Palermo l'eremo-convento dei penitenti
laici francescani di S. Anna delle Scale. Forse è il caso di soffermarsi rapidamente sull'autore della
fondazione siciliana, per afferrare il senso profondo - sul piano culturale, spirituale e politico - del
culto alla madre di Maria.
Ugo da Talach, o Talacchio, l'autore della fondazione palermitana, come giustamente osservato in
passato, sembra provenire dall'Urbinate, nelle Marche. Talacchio è una terra del comitato di Urbino,
dominato dalla famiglia castellana dei Montefabbri, signori pur di Colbordolo, Casarotonda, Coldazzo,
Ferrocotto, Corte Pila, Castel Buzone, Palino, Mondi Porzi, Lanza Molino, Falconino, Monte
Santamaria, Pittiano, Ripe, Copaldo, Fundro, Corgnale, Coldelce etc. ( C. Clementini, Raccolto
istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti..., Rimini 1627, p. 441 ). Da
Talacchio distava una ventina di chilometri Fano, una sede della 'camera' del vicario generale delle
Marche, il conte Enrico II di Ventimiglia, che teneva sua principale curia in Macerata, nel palazzo di
Muluccio di Mulo, ricco castellano guelfo in esilio. Il signore di Urbino all'epoca è Guido da
Montefeltro, già capitano dell'esercito svevo agli assedi di Faenza e Parma e leader dei Ghibellini, poi
podestà di Iesi e vicario di Manfredi all'epoca in cui il regio vicariato generale di Marche, Romagna e
Ducato di Spoleto, negli anni 1260-1261 fu retto da Enrico II di Ventimiglia. I Ghibellini di Romagna
colli usciti di Bologna feciono loro capitano di guerra Guido conte di Montefeltro, savio e sottile
d’ingegno di guerra più che niuno che fosse al suo tempo ( Villani, Nuova cronica, 1990-91, VIII, 44
).
Enrico, peraltro, fu sicuramente in contatto con gli spirituali francescani. Fra il luglio 1260 e l'agosto
1261 si pongono le investiture del vicario Enrico di Ventimiglia in favore di Rinaldo il Grande di
Brunforte, degli Offoni, che ricevette il castello di Montalto - nel contado di Camerino - e quelli di
Castelfidardo, Montefiore e l'intera curia regia del comitato di Fermo. Il Brunforte, leader marchigiano
dei Ghibellini fin dai tempi di Federico II, fu titolare di una quarantina di fortilizi intorno a Brunforte,
( Loro, Sarnano, Gualdo, Amandola, Terro, Cardine, S. Angiolo, Malvicino, Poggio S.Michele,
Castelvecchio, Ischito, Piobbico, Podalle, Castelgismondo, Castelleone, Collonalto, Monteragnolo,
Isola etc. ) e già podestà di Perugia nel 1258-1259. Rinaldo è alleato di Guido da Montefeltro, podestà
di Urbino quando egli lo è di Perugia nel 1259, e nel 1260 riesce a portare Ascoli alla lega ghibellina.
Inoltre, Rinaldo è padre del francescano spirituale Ugolino di Brunforte autore o compilatore
degli Actus beati Francisci et sociorum eius da cui sono tratti i Fioretti di s. Francesco. Ugolino fu
eletto vescovo di Teramo da Celestino V, ma dovette rinunciare per l'opposizione di Bonifacio VIII.
Durante il vicariato marchigiano di Enrico II di Ventimiglia i Brunforte fondarono il convento e
trasportarono i resti di s. Liberato di Loro, presso l'eremo di Monte Santa Maria. Liberato, gia
castellano di Loro, congiunto dei Brunforte, fu convertito da s. Francesco e fu ispiratore dei poveri
eremiti spirituali. Altri figli di Rinaldo - deceduto nel 1282 come podestà di Pisa rifiutando l'appoggio
a Carlo d'Angiò contro i Siciliani - furono Corrado, cappellano di Niccolò IV, Ottaviano tra il 1289 e il
1292-94 rettore pontificio di Campagna e Marittima e podestà di Terracina, milite familiare di Nicolò
IV e vicario di Bonifacio VIII in Todi, sposo di Beatrice d'Antiochia, pronipote di Federico II di
Svevia, cognata dei Della Scala di Verona; Rinaldo il Giovane nel 1290 fu podestà di Viterbo, nel
1296-97 di Todi, nel 1301 di Mantova, e Gualtieri tra il dicembre del 1288 e il maggio del 1289
podestà di Pisa, carica che doveva cedere a Guido di Montefeltro ( I. Walter, Brunforte, Rainaldo da,
in Dizionario biografico degli Italiani, 14., 1972; A. Sancricca, I «fratres» di Angelo Clareno. Da
Poveri eremiti di papa Celestino a Frati Minori della provincia di s. Girolamo «de Urbe» attraverso
la genesi del Terz’ordine regolare di s. Francesco in Italia, Macerata 2015, p. XV-XVI; vedi anche F.
Allevi, Tra Piceni devoti dell'aquila sveva: Fildesmido da Mogliano e Rinaldo da
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Brunforte, in Federico II e le Marche, a cura di C. D. Fonseca, 'Atti del convegno di studi'; Jesi,
Palazzo della Signoria, 2-4 dicembre 1994, Roma 2000, p. 263-314 ).
Durante l'esplosione del movimento dei disciplinati perugini, ispirati al pensiero gioachimita, fra il
giugno e il luglio del 1261, a seguito della morte di Alessandro IV, Enrico di Ventimiglia aveva
lasciato le Marche e iniziata l'invasione del ducato di Spoleto. Enrico minacciava Perugia come risulta
dalla lettera ai Perugini, dotata di otto sigilli cardinalizi del 4 luglio, ovvero del collegio cardinalizio in
sede pontificia vacante, in cui si richiede di non accettare trattative con gli Svevi e di prendere le armi
contro il re di Sicilia:
Nunc vero, cum de novo ad eorum pervenisset auditum, quod Manfridus, quondam princeps
Tarentinus, Henrigeto, dicto comiti, in Anconitana Marchia executori sue pessime voluntatis per
suas nuper iniunxerat litteras, ut ducatus Spoletani fines invaderet, ad ejus occupationem totis viribus
intendendo, dignum fore providerant animorum eorum promptitudinem ad resistendum dicto
Manfrido. suisque officialibus iteratis exhortationibus excitare. Quapropter universitatem eorum
rogant attente, et districte precipiendo mandant, quatenus pravis cuiusdem Manfridi conatibus
resistendo, et confidelibus eorum de ipso ducatu opportunum tribuendo auxilium et favorem, a dicti
Manfridi verbis fallacibus aures suas penitus avertentes nequaquam deinceps ejus reciperent litteras
vel nuntios, et prefate Ecclesie matri eorum fideliter et constanter assistere studerent.
Manfredi, secondo il testamento federiciano amministratore d'Italia, nomina suo vicario generale per
il ducato, la Marca e la Romagna Percivalle Doria. Nell'agosto 1259 questi riceve l'omaggio di
Fermo e di Gubbio e riesce a entrare per tradimento a Spoleto, che viene posta a ferro e a fuoco. Non
ha successo un tentativo di Alessandro IV di organizzare un forte esercito con un'alleanza militare dei
propri sudditi del Patrimonio e del ducato per contrapporlo alla lega ghibellina che s'era formata
nello stesso 1259. Successo avrà invece il trattato che il suo successore Urbano IV conclude con
Carlo d'Angiò. Non trovando infatti l'appoggio necessario nelle proprie terre, aumenta l'inclinazione
per la Francia. Come risposta, un esercito di tedeschi e di saraceni condotto da Percivalle Doria
provenendo dagli Abruzzi entra nel ducato e opera in Valnerina. ( Ha. Zug Tucci, Spoleto, Ducato
di, in Federiciana, ( 2005 ) )
Scomunicato una seconda volta il 26 marzo 1282, Guido da Montefeltro sconfisse angioini e papali a
Cesena e Faenza fra aprile e maggio, ma non riuscì a creare un collegamento militare con Pietro III
d'Aragona che nel frattempo aveva occupato Sicilia e Calabria. L'apparire di Guido da Talacchio in
Sicilia, e proprio nella contea di Geraci accanto a Enrico II di Ventimiglia, in qualità di giustiziere,
potrebbe esser legato a tali tentativi di coordinamento tra Montefeltro e Sicilia aragonese. All'epoca,
Aldoino di Ventimiglia, assieme a Ugo da Talacchio, conduce le operazioni militari contro gli
Angioini. Sembrerebbe, dall'aprile 1282, come capitano di una delle otto circoscrizioni giudiziarie e
militari in cui fu suddivisa l'isola; probabilmente quella di Cefalù, Termini e Geraci.
Dal Zurita, Annali d'Aragona, lib. 4, cap. 18: Escribe Bartholomé de Nicastro de Mecina que compuso una obra en verso de aquella conspiración y de las hazañas en que se señalaron los
Mecineses en aquel cerco, en que este autor se halló presente - que se juntó parlamento general de
toda la isla en Mecina; y que allí se juramentaron todos de obedecer a la Sede apostólica y no admitir
ningún rey extranjero; y que nombraron ocho capitanes y gobernadores para su defensa.
Oltre di ciò il Regno per comun consenso s'eresse anche quattro Governatori cioé ad Aldoino
Ventimiglia Conte di Girace ed Ischia, Abbo Barresio, Alaimo Leontino, e Palmerio Abbate, i quali
haveano per un anno il reggimento assoluto a guisa di Rè, ed havevano agregati con loro altri
sessanta Consiglieri de' Principali del Regno, e senza i quali non poteano far deliberation veruna
nelle cose graui del Regno, e'l suo Patrimonio. Ma nella giustitia haveano suprema autorità, e per
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questa via il Rè Carlo d'Angio perdé il Regno di Sicilia ( F. Mugnos, I raguagli historici del Vespro
Siciliano..., Palermo 1645, p. 70 ).
Guido da Talacchio e il figlio Ugo, sono tra i principali collaboratori di Pietro III d'Aragona in Sicilia,
rivestono dal 1285 al 1289 l'ufficio di giustizieri del Vallo di Agrigento e del contado di Geraci, sono
investiti delle baronie di Bivona e Arcudaci. Ugo già al 17 setttembre del 1282 è nominato giustiziare
del Val di Mazara e dal febbraio 1284 risulta maestro secreto del Regno e nel 1286/1287 maestro
portolano, mentre il padre Guido ha seguito Pietro III in Aragona e nel 1292 è nominato maestro
giustiziere di Sicilia e dal 1298 stratigoto di Messina, quando il figlio Ugo è premorto.
Ugo da Talacchio, fondò nel 1295 il romitorio e la chiesa di Sant'Anna delle Scale, vicino al
monastero di San Martino delle Scale, alle porte di Palermo, per soccorrere i viandanti: ma i due
monasteri furono alle dipendenze dell'arcidiocesi di Monreale, sin dal 1267 almeno dedicata al titolo
della Natività immacolata di Maria, ossia al culto di s. Anna, come meglio osserveremo in
conclusione. Il suddetto romitorio fu donato ai Frati Continenti. Conosciamo anche l'atto di
fondazione, per il notaio Lorenzo Menna di Palermo, del 1 gennaio, ottava indizione, 1295. Continenti
erano i frati del Terzo Ordine di san Francesco. Il culto di sant’Anna presso i Francescani è
documentato almeno dal XIII secolo: il Caerimoniale vetustissimum attestava la festività già nel 1254.
Il capitolo generale francescano quell'anno in Genova impone all'Ordine un ufficio in nove
lezioni: Item novem lectiones fiant... de beata Anna matre Virginis, prescrizione rinnovata nel
1263. La predilezione per sant’Anna da parte dell’Ordine dei Minori, e in special modo dagli
Osservanti, era motivata dall’esaltazione del ruolo di Maria e di sua madre Anna nel processo di
Redenzione: il grembo di sant’Anna era tempio e tabernacolo di Maria Vergine e quindi, per proprietà
transitiva, indirettamente strumento dell’Incarnazione ( L. Stagno, Sant’Anna nell’arte per i
Francescani: iconografie e significati. Il caso genovese, in I Francescani in Liguria. Insediamenti,
committenze, iconografie, a cura di L. Magnani e L. Stagno, 'Atti del convegno' (Genova,
2009), Genova, 2012, p. 195 ). I frati palermitani del Terz'Ordine non solo esercitarono l'ospitalità a
beneficio di coloro che passavano da quelle parti, ma promossero la devozione verso la Madre
sant'Anna, divenuta poi, insieme a san Gioacchino, patrona della provincia di Sicilia del Terzo Ordine
Regolare. Il Wadding parla di questo romitorio abitato dai francescani del Terzo Ordine e della Chiesa
dedicata a sant'Anna: «(Pio II) diede ai Frati del Terzo Ordine di Palermo la Chiesa di sant'Anna,
fuori le mura della città, fondata e dotata per essi situata sopra il monastero di S. Martino delle Scale,
nella quale abitarono per molti anni. Ma poiché avevano necessità di una casa nella città di Palermo,
lasciarono quel luogo. . . ». La notizia è riferita anche dallo storico Francesco Bordoni: «Esiste ancora
una Chiesa, ma poiché era troppo lontana dalla città e priva di fedeli, quindi di nessuna utilità per
l'istituzione e per il pubblico, fu abbandonata dai nostri». Infatti, dal suddetto romitorio di sant'Anna
delle Scale, i religiosi si trasferirono in città e presero in cura una modesta chiesetta dedicata a
sant'Anna o sant'Annuzza nei pressi del castello della Zisa.
L'ambiente marchigiano frequentato dal regio vicario Enrico di Ventimiglia e dal giustiziere da
Talacchio si distingue per il passaggio delle reliquie provenienti dal teschio di s. Anna, alle origini
della spiritualità francescana: un dente della santa è conservato a S. Anna di Camerino, un altro alle
clarisse di S. Maria di Vallegloria Vecchio di Spello - sotto la protezione di Federico II dal 1240 -,
altro ancora, di terziarie francescane, in S. Chiara di Città di Castello, già di Citerna. Gli stessi
ambienti sono i "due epicentri italiani della dissidenza religiosa trecentesca, nella Sicilia degli
Spirituali toscani transfughi e nelle Marche dei fraticelli" ( L. Jacobilli, Vite de' santi e beati
dell'Umbria..., Foligno 1661, 3., p. 74; P. Vian, L’interpretazione della storia nella Lectura super
Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi e i contesti della sua ricezione, in Pietro di Giovanni Olivi
frate minore, 'Atti del 43. Convegno internazionale, Assisi, 16-18 ottobre 2015, Spoleto 2016, p. 307361; Sulla relazione tra spirituali umbro-marchigiani, ghibellinismo e Arnau de Vilanova vedi M.
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Sensi, Cenacoli spirituali femminili nei secoli 13.-14.. Gli esempi di Montefalco, Foligno, Cortona,
in Santa Chiara da Montefalco monaca agostiniana ( 1268 - 1308 ). Nel contesto socio-religioso
femminile dei secoli 13.-14., 'Atti del Congresso internazionale in occasione del 7. centenario della
morte di Chiara da Montefalco ( 1308 - 2008 )', Montefalco - Spoleto 25-27 settermbre 2008, a cura di
E. Menestò, Spoleto 2009, p. 58 - 64 ).
14.4 S. Maria del Parto di Messina: la confraternita dei terziari francescani e lo spiritualismo
siciliano
Furono questi Prencipi sepolti, con l'habito del Terz'Ordine di San Francesco, anche non
disdegnarono di portare in vita, imperoche erano scritti nel Catalogo antico della divota
Confraternita di Nostra Signora del Parto, famosissima in quei tempi, nella quale molti Signori, e
persone Titolate di questo Regno ambivano di essere ammessi, famosa, per le molte indulgenze, e
gratie spirituali, che i Sommi Pontefici largamente, concedute l'haveano. Onde sin à tempi nostri si
trovavano scritti in vna tavoletta molto antica i nomi di quei fratelli, nel cui principio era posto il Re
Federico, tra nobilissime famiglie, e persone principali di Sicilia.
Il convento dei terziari francescani in Messina fu intitolato alle loro patrone S. Maria della
Misericordia e s. Anna, ma Santa Maria del Parto è pur il titolo attribuito da Francesco II di
Ventimiglia alla fondazione abbaziale di Guglielmo da Polizzi presso Castelbuono; un richiamo, a mio
modo di osservare, del legame dell'eremita polizzano con l'esperienza dei pauperes
heremitae francescani. Ovvero all'Ordo fondato da Celestino V nel 1294, di ispirazione gioachimita e
spiritualista. La contraddizione apparente fra tradizione bizantina - accolta dal polizzano priore
basiliano - e il pauperismo francescano nasconde in realtà una profonda relazione culturale e teologica,
come osservato, in generale, da L. Parisoli, L'attesa escatologica in Pietro di Giovanni Olivi, in
Francescanesimo e cultura nella Provincia di Messina, 'Atti del convegno di studio', Messina, 6-8
novembre 2008, Palermo 2009, p. 252-253. Del resto, ancora in pieno Trecento, i sovrani siciliani
furono ancora considerati protagonisti del millenarismo apocalittico, leader dell'anti-chiesa spirituale,
come nel caso - peraltro poco studiato - di re Ludovico d'Aragona ( 1342 - 1355 ), come ci ricorda
Giovanni da Rupescissa, nel Liber secretorum eventuum:
Ipsi sunt de affectione populi gibelini, supra modum viros ecclesiasticos detestantes. Isti non
adherebunt nec falso pape nec vero sed adherebunt generali monarche Siculo Ludovico. Isti sunt ex
duplici heretico semine procreati, scilicet ex semine heretici Ludovici de Bavaria et solemnium
hereticorum adhrentium sibi, dicentium quod dominus Iohannes papa XXIIus perdidit ecclesiasticam
potestatem et quod cardinales suarum decretalium sententiis adhrentes perdiderunt ecclesiasticam
potestatem. Ex hoc enim heretico fundamento, per predictos pseudo fratres hereticos inficietur
proximus generalis Augustus, proximus scilicet Antichristus, ut dicat tempore scismatis memorati
totam Christi Ecclesiam defecisse et nullum esse verum papam in Ecclesia Dei ( Iohannes de
Rupescissa, Liber secretorum eventuum. Édition critique, traduction et introduction historique, a cura
di C. Morerod-Fattebert, R. E. Lerner, Friburgo1994, p. 152-153 ).
Fra Perugia e la Sicilia continuavano pur i rapporti epistolari tra Fraticelli - eredi degli Spirituali - in
pieno Trecento, come nel caso di Francesco di Nicolò da Perugia, priore generale dei fraticelli di S.
Maria del Sasso di Montemalbe:
Franciscus…frequenter habuit dicere…quod suus ordo erat pauperior et strictior quocumque alio
ordine mendicantium…portant unam tunicam de panno albo, scapulare de biscio cum parvo capucio
et mantellum de biscio in modum fraticellorum, cum naticchia sicut portant fratres de tertio ordine
beati Francisci…Franciscus dixit se recepisse ab illa pessima septa fraticellorum per ecclesiam
dampnata que est in Sicilia,…quasdam cartas de papiro bictumine iunctas, in quibus cartis
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continebatur vita et doctrina et perversum dogma supradictorum hereticorum. Insuper ab eisdem
recepit litteras secretas continentes predicta, quas cartas et licteras sepedictus frater Franciscus
ostendit ipso qui loquitur. ( L. Oliger, Documenta inedita ad historiam Fraticellorum spectantia,
"Archivum franciscanum historicum", 3 ( 1910 ), p. 79 ).
Secondo il cronista trecentesco Paolino da Venezia, dopo l'abrogazione dell'Ordo dei Poveri eremiti di
Papa Celestino, l'8 aprile 1295, da parte di Bonifacio VIII, gli Spirituali recesserunt de nocte in
Siciliam. Benedetto XI comunicava il 27 agosto 1304 a Federico III d'Aragona di aver inviato in
Sicilia Tommaso d'Aversa e altri domenicani per "estirpare le pullulanti eresie". Ma gli Spirituali
furono perseguiti dagli Angiò in Sicilia fin dal 1269 ( F. Rotolo, La prigionia di fra Angelo Clareno in
Sicilia nel 1305. Vicende degli Spitrituali, in
Francescanesimo e cultura negli Iblei, 'Atti del Convegno di studio', Ragusa, Modica, Comiso, 10 13 ottobre 2004, a cura di C. Miceli, D. Ciccarelli, Palermo 2006, p. 237 - 240 ). Alla potente
ideologia ecclesiatico-capetingia si contrappone, nella guerra non-convenzionale, l'ideologia pseudogioachimita del blocco di potere aragonese che giustifica, favorisce e prefigura l'egemonia nello
scacchiere mediterraneo:
L'utilisation politique de la prophétie est une pratique largement répandue dans la Couronne Aragon
à la fin du Moyen Age Elle coïncide avec l'accroissement du pouvoir et des moyens d'action du roi
capable de diffuser une propagande contribuant à sa victoire dans les guerres qu'il engagées à
l'intérieur et à l'extérieur de son domaine. Elle place le monarque interprète attitré des paroles des
prophètes et des observations des astrologues dans un monde supérieur éloigné de ses sujets. Là sont
prises bon escient des décisions vitales conditionnant le futur du royaume. Récupéré par le prince le
prophétisme appartient à ces catégories qui permettent de gouverner sans tenir compte des
assemblées représentatives des organes intermédiaires ou des privilèges corporatifs; sa
politisation accompagne l'accroissement du pouvoir royal. Dans la confédération catalanoaragonaise ces vaticinations au service du prince dépassent ailleurs le cadre étroit des luttes
partisanes pour se situer dans un vaste contexte eschatologique inspiré des tendances extrêmes du
franciscanisme.
Plus que sur Jacques II l'influence de Arnaud de Villeneuve et de sa doctrine se fait sentir sur
Frédéric III dont il devient le mentor dans la
mise en ouvre de un vaste programme de réforme de la société sicilienne. Protecteur de Ubertin de
Casale et des autres rescapés spirituels des persé cutions de Jean XXII le roi de Trinacrie travaille au
renouveau religieux de la Sicile dans un contexte millénariste. Il proclame un code législatif compilé
par Arnaud imposant les exigences de la pauvreté stricte dans tout son royaume. Il demande à ses
courtisans une vie austère il prêche par exemple de sa propre pénitence: sa femme vend sous le
conseil d'Arnaud de Villeneuve ses bijoux. L'équité et la justice surtout égard des pauvres deviennent
les valeurs suprêmes de l'Etat. Les nécessiteux et les forains sont protégés par les autorités; des
hôpitaux sont construits pour les Grecs razziés par les mercenaires catalans; la manumission des
esclaves est encouragée, la pratique de la conversion forcée des musulmans siciliens est proscrite.
L'évangélisme militant d'Arnaud de Villeneuve quitte ainsi le domaine des élucubrations théoriques; il
se concrétise dans l'île par la poursuite de la politique volontariste de Frédéric II ( M. Aurell i
Cardona, Messianisme royal de la Couronne d'Aragon, "Annales. Histoire, Sciences sociales", 52 (
1997 ), p. 124, 128-129; Vedi anche dello stesso Aurell, Eschatologie, spiritualité et politique dans la
confédération catalano-aragonaise ( 1282-1412 ),in 'Fin du monde et signes des temps. Visionnaires
et prophètes en France méridionale ( fin 13.-début 15. s. ), 'Actes du 27. colloque de Fanjeaux', Jul.
1991, Fanjeaux, 1992, p.190-235; Prophétie et messianisme politique. La péninsule Ibérique au miroir
du Liber Ostensor de Jean de Roquetaillade, " Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen Age,
Temps modernes", 102 ( 1990 ), p.317-361 ).
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14.5 Le ossa di s. Anna a Messina e l'Ordine delle sorores penitentes di S. Maria e Tutti i Santi di
Acri
Il corposo saggio di Cristina Andenna ( Da moniales novarum penitentium a sorores ordinis Sancte
Marie de Valle Viridi. Una forma di vita religiosa femminile fra Oriente e Occidente [ secoli XIII-XV
], pp. 59-130 ), dedicato a tratteggiare la storia di questa forma di vita religiosa femminile nei primi
secoli del suo sviluppo, nel tentativo di coglierne i tratti particolari permette appunto di chiarire le
concause che spiegano l’approdo delle moniales nel Sud della penisola italiana. Attenta ad ogni
elemento offertole dalle fonti coeve, la studiosa prova a far luce sulla dimensione istituzionale
di questa piccola rete monastica che si sviluppò tra Oriente ed Occidente, anche attraverso una
comparazione con altre esperienze penitenziali femminili sorte sullo scorcio del XII secolo
nell’Europa centro-settentrionale. Innanzitutto, a partire dall’analisi della documentazione pontificia
– due litterae gratiose di Gregorio IX del 1237 e un privilegio di Alessandro IV del 1255 – l’Andenna
ricostruisce la rete di monasteri facenti parte la famiglia di sorores penitentes di Santa Maria e di
Tutti i Santi di San Giovanni d’Acri: le domus dipendenti in Oriente sparse tra l’isola di Cipro, la
Palestina e l’odierno Libano e quelle in Occidente, nel Regno di Sicilia, a Brindisi, Matera, Messina,
Taranto e Barletta. Nei documenti pontifici, accanto ai monasteri dipendenti, si fa cenno anche alle
numerose proprietà terriere – la maggior parte delle quali situate nell’isola cipriota – di cui furono
messe in possesso le monache. Tale dotazione, eccezionale per quantità e qualità, fu il risultato di
diverse donazioni da parte della corona di Cipro, in particolare nella figura di Alice di Champagne, e
di due figure di spicco dell’entourage di Federico II, Werner di Egisheim e Baliano, signore di
Sidone, entrambi nominati balivi del Regno di Gerusalemme dopo il ritorno dello Svevo
dalla spedizione d’Oltremare. Proprio i rapporti – ricostruiti con precisione dall’Andenna –
instaurati con l’alta nobiltà, appartenente alle famiglie dei Brienne e degli Ibelin, connessa agli
ambienti federiciani e legata ai luoghi occidentali di provenienza ma allo stesso tempo proiettata
nelle regioni crociate, permise la circolazione di questa esperienza di vita religiosa dalla Terra Santa,
attraverso le sedi cipriote, alla Puglia e alla Basilicata fino alla Sicilia e il suo radicamento nelle
diocesi dell’Italia meridionale. ( P. Silanos, Da Accon a Matera: Santa Maria la Nova, un monastero
femminile tra dimensione mediterranea e identità urbana ( 13.-16. secolo ), a cura di
Francesco PANARELLI, Berlin, Lit, 2012 ( Vita regularis. Ordnungen und Deutungen
religiosen Lebens im Mittelalter, 50 ), XI-283 p., ill.. p. 3 ).
La presenza a Messina delle penitenti agostiniane risale alla prima metà del XIII secolo, sotto il regno
di Federico II di Svevia. Raoul de Soissons, il marito della regina Alice de Champagne che dota la
casa di Messina, lascia Gerusalemme nel 1243, dopo essere stato esautorato dalla reggenza del regno
palestinese, in favore dei rappresentanti di Corrado IV Staufen, per far ritorno in Europa. Alice
stessa resse dal 1243 il Regno di Gerusalemme per Corrado IV, suo parente per parte della madre,
Iolanda di Brienne, figlia di Maria, sorellastra di Alice. A noi interessa questo monastero, in relazioni
con l'Oltremare, per la presenza delle ossa di s. Anna tra le reliquie di tale fondazione. Altre chiese
tuttavia in Messina conservavano reliquie della madre di Maria: come S. Salvatore - presso la torre
portuale di S. Anna e sede dell'archimandrita basiliano - e S. Agostino degli Eremitani.
Fù assai celebre, e famoso negli andati secoli il Monasterio di S. Anna, era molto ricco, per essere
stato accresciuto di molte entrate dalla pijssima Signora Regina di Cipri, come ne fà honorata
mentione il Sommo Pontefice Alessandro IV in una Bolla dell'anno 1255, regnando in Sicilia
Manfredi, ove conferma i Priuilegi del Monasterio, e fà un lungo catalogo delle possessioni, e feudi
così in Cipri, come in Terra Santa al Monasterio di S. Anna donati, e da esso, per lunga serie di anni
posseduti; ma poi per la lontananza, e per la inondatione dei Saraceni in quei santi luoghi della
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Palestina affatto perduti...vengo alle Reliquie di questo così antico Monasterio, dove si conservano,
un buon fragmento del Legno della Santa Croce, Ossa di s. Anna... ( Samperi, Iconologia, p. 420 - 421
).
Raoul de Soissons, il marito della donatrice e patrona di S. Anna di Messina è personaggio di spicco
del suo tempo, celebre troviere, in rapporti d'amicizia con i sovrani capetingi e navarresi e con
l'aristocrazia del suo tempo. In lui iniziano a riannodarsi molti fils rouges della ricerca sulle reliquie di
s. Anna. Vale la pena soffermarsi a conoscerlo rapidamente, per comprendere come poté nascere la
leggenda dell'arrivo in Sicilia del capo della madre di Maria nell'anno 1242, dalla Lorena.
En ce point que li pelerin estoient a Acre, Aelis, la mere dou roi de Chypre, esposa un haut home de
France, qui avoit nom Raol de Soissons, et estoit frere dou conte de Soissons. Et aprés ce que il l’ot
esposee, il vint avant par l’assent de partie des gens dou païs 4et requist por sa feme la roïne la garde
de la seignorie dou roiaume de Jerusalem. Et si le requereit, porce que ele estoit le plus dreit heir qui
aparant fust a la terre des heirs dou roi Amauri, son aÿol, ne qui eust esté puis la mort de sa
niece l’empereris Ysabel [...] Raoul de Soissons, qui riens n’ot seu de cele emprise, quant il sot que
Balian d’Ybelin et Phelipe de Monfort avoient et tenoient Sur, il mut d’Acre, lui et sa feme Aeliz, et
vint a Sur. Quant il furent la venus, Raol requist a Balian et a Phelipe por lui et por la roïne la cité de
Sur, que il voloient avoir en la maniere que il avoient les autres choses dou roiaume. Cil li
respondirent que il ne li en livreroient point ne bailleroient, ains la garderoient tant que il seussent a
cui il la devroient rendre, et fu l’une des achaisons porquoi Raol de Saissons s’en ala, si come vos
avez oï ( Continuazione di Acri della Historia di Guglielmo di Tiro, 38., 41., in A. M. Di
Fabrizio, Saggio per una definizione del francese di Oltremare: edizione critica della Continuazione
di Acri dell’Historia di Guglielmo di Tiro, con uno studio linguistico e storico, Tesi di Dottorato di
ricerca in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie. Indirizzo Romanistica (24. ciclo), Università
degli studi di Padova, Ecole pratique des hautes études, p. 377, 383 ).
Il reliquiario cinquecentesco di Soissons
che accoglie - fra le altre reliquie - i capelli
di s. Anna, il cui culto risale al XIII secolo.
Dal XIII secolo la cappella del palazzo
episcopale di Soissons, diocesi suffraganea
di Reims, fu dedicata alla madre di Maria.
Ossa, capelli e abiti di s. Anna furono
conservati nell'abbazia benedettina di
Notre-Dame de Soissons ( M.
Germain, Histoire de l'abbaye royale de
Notre-Dame de Soissons de l'ordre de Saint
Benoit: divisee en quatre livres, avec les
preuves et plusieurs titres, tirez des archives
de cette abbaye, Parigi 1675, p. 402 ).
Filippo I de Montfort, nonno di
Giovanni de Montfort conte di
Geraci, propose - nel 1241 - il
matrimonio di Alice de Champagne,
regina di Cipro e reggente di
Gerusalemme, con Raoul de
Soissons, discendente dai Château-Porcéan fondatori - nel 1239 - della cappella di S. Anna di Reims,
dove fu trasferito il teschio della madre di Maria ( I. Hardy, Les chansons attribuées au trouvère
picard Raoul de Soissons. Edition critique électronique, Thèse électronique soumise a la Faculté des
études supérieures et postdoctorales, Département de français, Faculté des arts, Université d'Ottawa,
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2009, p. 16 ). Alcuni frammenti di ossa di s. Anna raggiunsero una fondazione ecclesiastica della
regina Alice de Champagne in Messina, come accennato. Pochi anni prima della morte, avvenuta nel
1273, Raoul de Soissons dovette operare nel Regno di Sicilia, e forse morirvi sessantenne, poiché nel
1270-71 ricevette dall'amico Carlo I d'Angiò la terra di Scafati e poi la contea di Loreto, già
appartenuta a Corrado I d'Antiochia, figlio dell'imperatore Federico II, per circa 400 onze d'oro di
reddito annuo. Sono questi i filoni di ricerca che attendono uno sviluppo auspicabile attraverso
un'attenta ricerca d'archivio ( S. Pollastri, Le Liber donationum et la conquête angevine du royaume de
Sicile (1268-1281), " Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age ", 116 ( 2004 ), p. 705,
725; J.-M.Martin, L'ancienne et la nouvelle aristocratie féodale, in Le eredità normanno-sveve nell'età
angioina: persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno, 'Atti delle Quindicesime Giornate NormannoSveve', Bari, 22 - 25 ottobre 2002, a cura di G. Musca, Bari 2004. p. 120 ).
Raoul di Soissons, nipote dei conti di Porcéan per la madre, è sicuramente in contatto con i fondatori
della cappella di Reims accogliente il teschio proveniente da Chartres. Soissons, del resto, vede negli
stessi anni la fondazione della cappella di S. Anna nell'episcopio e l'arrivo delle reliquie della madre di
Maria, fra le quali si incontrano i capelli della santa, sicuramente tratti dal teschio trasmigrato da
Chartres a Reims, inrorno al 1239, già sede dell'unzione di Luigi IX, che proprio nel 1239 riceveva da
Venezia le Sacre Spine e altre reliquie della Passione che avrebbero portato fra il 1241 e il 1246 alla
fondazione della Sainte-Chapelle di Parigi. Anche il culto di s. Anna - generata secondo la leggenda e
i cantari trobadorici dall'Albero di Jesse, il cui legno servirà per la Santa Croce - è collegato alla
Passione e naturalmente al culto della Santa Famiglia. Concetto, come sopra osservato, incontrato e
elaborato nei sermoni del cardinale-ideologo filo-angioino Eudes de Châteauroux. La tematica
messianica medioevale dell'Albero di Jesse diviene funzionale alla sacralizzazione dei sovrani, che
trovano legittimità nella genealogia di Cristo. Gli stretti rapporti di Raoul con Luigi IX e Alice di
Champagne giustificano dunque l'arrivo di alcune reliquie di s. Anna sia a Soissons sia a Messina, in
quest'ultima città attraverso le sorores penitentes di S. Maria e Tutti i Santi di Acri, intorno agli anni
1238-1243. In conclusione, osserveremo il probabile mantenimento del nesso tra le reliquie della
Passione della Sainte-Chapelle - consacrata dal cardinale Eudes - e il teschio di s. Anna, con l'arrivo di
parte delle reliquie parigine nella basilica siciliana di Monreale, intorno al 1300.
Nondimeno, la cappella di S. Anna in Soissons fu del vescovo Gui de Château-Porcéan, morto alla
crociata d'Egitto del 1250, figlio del conte Raoul de Grandpré, consanguineo di Guichard de ChâteauPorcéan, canonico di Reims e fondatore della omonima cappella di Reims. Jean de Joinville,
connestabile di Champagne - amico intimo di re Luigi IX di Francia e cugino di Raoul di Soissons,
autore della biografia di san Luigi Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs
- sposò in prime nozze Alix de Grandpré del lignaggio dei Château-Porcéan. Il nipote ex fratre Jean II
de Joinville - gran connestabile del Regno di Sicilia - lo ritroveremo, prigioniero in Sicilia, nel 1300,
nelle tratttive tra la Repubblica di Genova ed Enrico II di Ventimiglia, ambasciatore di Federico III
d'Aragona. Il medesimo Jean II accompagnò i figli di Carlo II ostaggi in Aragona dal 1288 ( H.-F.
Delaborde, Jean de Joinville et les seigneurs de Joinville, suivi d'un catalogue de leurs actes, Parigi
1894, p. 258; Per il gran connestabile Jean II, figlio di Geoffroy sire di Trim ( Irlanda ), Ludlow (
Galles ) e Vaucouleurs ( Chamapagne ), vedi B. Hartland, Vaucouleurs, Ludlow and Trim: the role of
Ireland in the career of Geoffrey de Geneville ( c. 1226-1314 ), "Irish historical studies", 32 ( 2001 ),
n. 128, p. 457-477; A. Bonnefoy, The Cosmopolitan children of sir Geoffrey de Geneville ( c.12251314 ), Dissertation for M Phil. in Medieval History, Trinity College Dublin, August 2015 ).
15. I Filangeri di Candida, la contea di Geraci e le reliquie di s. Caterina d'Alessandria
Dal 1231 Riccardo I Filangeri fu legato imperiale e vicario di Federico II nel Vicino Oriente, tra Cipro
e Palestina, ma il 1243 è richiamato anch'esso in Europa, in concomitanza della sconfitta politica di
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Raoul di Soissons. Riccardo è il cognato di Aldoino I ( Hauteville-Gesualdo ? ) conte di Geraci e
Ischia attraverso il fratello Giordano III Filangeri, maresciallo imperiale e capitano di Calabria e
Sicilia, sino al 1240. Da Riccardo I e Caramanna nacque altro Riccardo Filangeri, barone, nei Nebrodi,
di San Marco, Mirto, Mazzacallar, Cabuca e Chillaro.
Giordano Filangeri, secondo il testamento del cognato Aldoino del 1234, ricevette per la dote della
moglie la baronia irpina di Candida e Lapio, che, secondo il Catalogus baronum del XII secolo,
appartenne agli Hauteville conti di Gesualdo, subinfeudata ai Capece; quindi il conte di Geraci che ne
dispone nel 1234, dovrebbe appartenere a uno di questi due lignaggi, probabilmente il primo visto che
i discendenti di Enrico II di Venimiglia, suo genero, furono sempre considerati discendenti dagli
Hauteville. Nella cappella castrense di Lapio i Filangeri conservarono per secoli un molare di s.
Caterina d'Alessandria, proveniente dal celebre santuario del monte Horeb nel Sinai, e un frammento
della santa Croce della Passione, trasportati in Irpinia, secondo la tradizione, da Riccardo I, balio di
Gerusalemme, fratello maggiore di Giordano III Filangeri.
Arazzo di copertura della tomba di s. Caterina
d'Alessandria nel santuario del monte Horeb, IV secolo,
da cui provenne la reliquia conservata a Lapio dai
Filangeri consanguinei dei conti di Geraci
Altri dissero, che discendi questa famiglia da un
Caualliere nominato Angerio, da cui nacque
Goglielmo; da costui Giordano, e da questo
Goglielmo iuniore, ( il quale nelli 1187. nel
racquisto di Terra Santa offerì quattro cavalli. Adoino della medesiта famiglia, come
Soffeudatario d’Elia Gesualdo, Signor di Gesualdo, per la Candida Lapia, Atripalda, Sorbo,
Arianello offerì similmente le sue genti ) е che Filangíero fù detto, cioé figlio d’Angerio. Contrasse
Riccardo gran amicitia con Boemondo, e Tancredo Normanni, e altri Signori del Regno, che
furono nel primo conquisto; da’ quali invitato vi fé passaggio; ed essendo diviso in Principati, nella
Prouincia di Principato Ultra con titolo di Conte vi fù honorato, col dono de molte
Castella, Giordano dall'Imperador Federico Il. per la sua molta prudenza fu mandato Viceré nella
Sicilia, e Prouincia di Calabria: un'altro Riccardo, fratello di Giordano, dal medesimo
Imperadore creato Maresciallo, е mandato Vicerè nel Regno di Gerusalem a finché grati e benevoli
quei popoli al Re et lmperador rendessе; dal qual si stima: fosse portata la Reliquia di S.
Catarina Vergine, е Martire, che nella maggior Chiesa della Terra di Lapia si conserva. ( S.
Bellabona, Raguagli della città d'Avellino..., Trani 1656, ( = Bologna 1967 ) p. 213-214 ).
A noi l'argomento interessa in funzione di Giovanni di Riccardo III Filangeri, tutore del nipote
minorenne Riccardo IV, conte di S. Marco nei Nebrodi orientali, vissuto tra XIV e XV secolo,
discendente da Riccardo II Filangeri figlio del balio di Gerusalemme - il suocero di Aldoino di
Ventimiglia marito di Giacoma Filangeri - e compagno d'armi e di avventure nel Mediterraneo
orientale di Giovanni di Ventimiglia marchese di Geraci. Giovanni Filangeri, fu il più apprezzato
poeta in volgare nella Sicilia del tempo, come rammenta pur il Ranzano, e vice-ammiraglio di
Siracusa, quando Grande ammiraglio fu il Ventimiglia dal 1423. Il Filangeri fu senatore di Roma dal 9
dicembre 1446 al 31 agosto 1447, sotto Eugenio IV e Nicolò V, governatore e ammiraglio per conto di
Giano de Lusignan re di Cipro, Gerusalemme e Armenia che lo investì della baronia di Strovolos
presso Nicosia, dando vita a importanti imprese militari, particolarmente contro i Turchi in Armenia. Il
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barone di Strovolos e il marchese di Geraci fondarono congiuntamente la Cappella dell'Immacolata
Concezione di Maria in S. Francesco d'Assisi di Palermo intorno al 1441, sottolineando il comune
culto per la nascita di Maria da s. Anna, cappella eretta in stile neo-corinzio, dotandola di preziosi
sarcofagi classici per le sepolture delle due famiglie, con il gusto umanistico che ispirava entrambe i
fondatori. ( B. Figliuolo, La Terrasanta nel quadro della politica orientale di Alfonso V d'Aragona, "
Nuova rivista storica ", 100 ( 2016 ), p. 502-514; G. Palermo, Guida istrutttiva per Palermo e suoi
dintorni, a cura di G. Di Marzo-Ferro, Palermo 1858, p. 240 ). La cappella, oltre che mausoleo delle
due famiglie, fu eletta quale tempio del Senato palermitano, sepoltura dei capitani, pretori, senatori e
mastri notai cittadini. Nel 1441 il marchese Giovanni di Ventimiglia - già viceré di Sicilia nel 1430 e
Governatore del conquistando Regno di Napoli nel 1435 - è il luogotenente regio di Alfonso il
Magnanimo in Calabria e Puglia. Nel 1444 lo stesso marchese fu viceré del Ducato di Atene e, nel
1445, Capitano generale dell'intero Regno delle Due Sicilie e Marca d'Ancona nonché della Lega
Santa. per conto di Eugenio IV, Filippo Maria Visconti e Alfonso V il Magnanimo, mettendo fine alla
signoria sforzesca nelle Marche ( I Registri Privilegiorum di Alfonso il Magnanimo della serie
Neapolis dell'Archivio della Corona d'Aragona, a cura di C. Lòpez Rodriìguez, S. Palmieri, Napoli
2018, p. 28, 178, 193, 279 ).
16. Gerardo da Parma e le reliquie di s. Maria Maddalena trasportate da S. Massimino in S.
Giovanni in Laterano
Il codice pergamenaceo A. 70 dell’Archivio del Laterano, databile intorno al XII secolo con aggiunte
del XIII e contenente il Liber de Ecclesia Lateranensi del canonico Giovanni Diacono, attesta
l’avvenuta consacrazione dell’altare di Santa Maria Maddalena nel febbraio del 1297. Questo altare
oltre ad essere l’ultima opera artistica commissionata dal cardinale Gerardo per il neonato capitolo
fu anche il luogo dove egli scelse di farsi seppellire...Inizialmente, l’altare della Maddalena – come
descrive un altro codice pubblicato dal Lauer – si trovava in una posizione molto importante
all’interno della basilica e doveva essere secondo per bellezza e imponenza solamente all’altare
maggiore, che era quello pontificio. Era posto davanti al coro dei canonici nella navata centrale e
racchiudeva al suo interno una cassa argentea piena di reliquie della santa a cui era dedicato. Sopra
l’altare «alto almeno sei piedi», secondo la descrizione riportata da Cesare Rasponi, vi era un
elegante tabernacolo con otto colonnine di un marmo simile a granito con le insegne delle famiglie
Colonna e Annibaldi ed era rinchiuso in una cancellata di ferro. Il tabernacolo, poi, era circondato
da un basamento ligneo dove si soleva esporre in ostensione le reliquie dei santi contenute
nell’altare...In nomine Domini amen. Anno Incarnationis MCCXCVII die...mensis Februarii
consecratum fuit altare Capituli ad honorem Dei et beatae Mariae Magdalenae de mandato domini
Bonifacii papae VIII per dominum Gerardum de Parma episcopum Sabinensem: in quo altari
recondidit corpus ipsius beatae Mariae Magdalenae sine capite...(Silanos, Gerardo Bianchi da
Parma, p. 304-305).
Nel 1283 Carlo II d ’Angiò – allora ancora principe di Salerno e vicario del Regno – mosso dal
desiderio di abbellire Napoli e far cosa grata ai Domenicani, dei quali aveva illimitata stima, volle
ingrandire la chiesa di S. Domenico Maggiore, senza però distruggere l’antica, nella misura almeno in
cui poteva essere incorporata nella nuova. La prima pietra, benedetta dal cardinale Gerardo Bianchi di
Parma, legato apostolico nel Regno, fu posta dallo stesso principe il 6 gennaio 1283. Ma il 5 giugno
dell’anno seguente Carlo fu catturato dagli Aragonesi nel golfo di Napoli e i lavori o furono sospesi o
andarono molto a rilento. Provato dalle sofferenze, l’Angiò, secondo alcuni, avrebbe fatto voto a S.
Maria Maddalena, la santa della Provenza, di dedicarle la nuova chiesa, se fosse scampato ai pericoli.
Morto il padre e riconosciuto re mentre era ancora in cattività, Carlo II, dopo la liberazione e il ritorno
a Napoli nel 1289, rimise mano alla costruzione chiamandovi a lavorare i maestri francesi Pierre de
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Chaul e Pierre d’Angicourt. La chiesa, i cui lavori si protrarranno fino al 1324, fu dedicata a S. Maria
Maddalena, ma i napoletani continuarono a denominarla con l’appellativo primitivo.
17. La seconda legazione di Gerardo da Parma in Sicilia
Così raccontava l’arrivo a Milazzo in Sicilia del cardinale Gerardo da Parma - scortato da
quattro galee genovesi - il cronista minorita Nicolò Speciale, ambasciatore siciliano ad Avignone nel
1334:
…Dum haec autem fierent, vir magnae auctoritatis Gerardus de Parma Sabinensis Episcopus
Cardinalis Cataniam ab Apostolica Sede Legatus advenit, ut Siculos converti ad dominum Regis
Caroli admoneret, ipsosque conversos ab excommunicationis et interdicti vinculo, quibus tun erat
innodata Sicilia, liberaret. Sed neque te Reverendum Patrem veritatis amatorem indictum praeteream.
Hunc autem Gerardum eo tempore quo Siculi dominatum Regis Caroli furioso impetu abjecerunt.
Legatum ad Siculos Pastor Ecclesiae Romanus Pontifex destinavit, quem in majori Messanensi
Ecclesia cum reverentia susceperunt. Et cum vellent claves Regni sui manibus tamquam Ecclesiae
Nuntio assignare, dummodo Regi Karolo non sibessent, ipse vir publicae veritatis assertor respondens
ait: Non sum missus nisi ut vos Carolo Regi domino vestro conciliem. Si hoc residet menti vestrae,
libenti animo adimplebo commissum. Quod verbum Siculi audientes, neque immemores commissorum,
illum absque disceptatione consilii tantae Legatonis vacuum remiserunt. Quo casu Gerardus ipse vir
sanctus a Siculis reputatus est..
Il vescovo di Sabina partì da Anagni nell’estate del 1299 e fece tappa a Napoli dove vi rimase per
qualche mese. Nell’ottobre dello stesso anno, infatti, inviava dalla capitale del Regno a Parma gli
statuti del Capitolo dei canonici del Battistero da lui fondato. Poco dopo, ripartì da Napoli e sbarcò a
Milazzo, grazie all’appoggio di tre galee genovesi, il 19 ottobre del 1299....Il cardinale, poi, affrontò
gli interlocutori più problematici: i Siciliani stessi. Tuttavia, egli aveva qualcosa in più da offrire loro
rispetto alla legazione del 1282. Il papa aveva, infatti, compreso che uno dei nodi che avevano reso
ostinati i siciliani nel rifiutare qualsiasi compromesso con gli angioini, tra il 1282 sino alla fine del
Duecento, era stata la gestione dell’amministrazione del Regno da parte dei francesi dalla quale essi
erano stati sempre e quasi totalmente estromessi. Bonifacio offrì loro un appiglio per tornare
all’obbedienza della Sede apostolica assicurando che coloro che avessero seguito le direttive del
legato apostolico sarebbero stati governati «per regnicolas citra Farum seu alios Italicos vel etiam de
ipsa insula oriundos et non per Gallicos sive Provinciales sive Ultramontanos». Un atteggiamento
benevolo dimostrò anche verso gli esuli siciliani ai quali promise, all’unica condizione di ritornare
all’obbedienza della Chiesa, la restituzione «omnium honorum suorum immobilium, que tempore
hujusmodi exilii pacifice tenebant et possidebant». Uguale predisposizione il cardinale mostrò anche
verso quegli ufficiali siciliani che avevano seguito la rivolta del Vespro i quali potevano essere accolti
senza rendere conto «nec de officiis neque de ablatis seu subtractis ad curiam pertinentibus, neque de
offensis et culpis contra personas Francorum vel aliorum commissis».
L’altra strada che il papa e il cardinale percorsero per giungere a un compromesso tra le parti in
lotta fu quella della politica matrimoniale. Bonifacio autorizzò il proprio legato a trattare il
matrimonio tra Federico III e Eleonora, ultimogenita di Carlo II. La dote che la figlia del re di Napoli
avrebbe portato al suo promesso sposo comprendeva il regno di Gerusalemme, che apparteneva al
padre, e l’isola di Rodi che era, invece, un feudo pontificio. In questo modo tutte le parti in causa
avrebbero raggiunto un risultato conveniente: Federico avrebbe conseguito una compensazione per la
rinuncia alla Sicilia, Carlo II avrebbe riottenuto quello che gli spettava per diritto d’eredità e il papa
avrebbe ottenuto la definitiva soluzione della “questione siciliana”. Per far sì che i risultati sperati
fossero raggiunti al più presto fu inviato il 7 agosto del 1299, in appoggio a Gerardo, un altro legato
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pontificio: il cardinale diacono di Sant’Angelo in Pescheria, Landolfo. Quando l’opera dei due
cardinali legati sembrava giungere ai risultati sperati, tuttavia, l’imprudenza del principe di Taranto
che fu catturato e il ritiro delle truppe aragonesi dal conflitto sconvolse nuovamente i piani della
guerra. Il papa fu così costretto a cercare nuovi appoggi economici e militari alla parte angioina e un
capitano più valido che guidasse la guerra contro Federico. Fu scelto Carlo di Valois al quale venne
offerta anche la mano di Caterina di Courtenay, titolare dei diritti ereditari dell’Impero Latino
d’Oriente.
....In Sicilia, intanto, il duca di Calabria, Roberto d’Angiò, era intenzionato a continuare la sua
azione militare. Diversamente Gerardo pensava di poter ottenere risultati maggiori perseguendo la
strada del dialogo e del compromesso e temeva possibili esiti negativi delle strategie militari
angioine. In effetti, dell’agosto del 1300 la controffensiva angioina era riuscita solo a eliminare i
punti di penetrazione nemica in Calabria e a distruggere la colonia saracena di Lucera in
Puglia, [Ischia torna angioina dal luglio 1299 n.d.r.] ma nell’isola siciliana non aveva ottenuto
successi significativi. Ruggero di Lauria si decise ugualmente per la via militare ma i suoi tentativi
raggiunsero l’unico risultato di essere pesantemente ammonito dal papa per aver disobbedito alle
direttive del cardinale legato. Il periodo di carestia che trascinò l’isola in una crisi profonda costrinse
entrambe le parti a cercare un accordo che fu stipulato tra Federico III e Roberto d’Angiò il 19
agosto 1301.
L’armistizio di sei mesi firmato a Catania al quale partecipò anche Gerardo Bianchi segnò la fine
della legazione del legato e in fondo il suo fallimento. Il vescovo di Sabina lasciò la Sicilia il 20
dicembre del 1301 e arrivò a Napoli da dove ripartì subito per la corte pontificia, come riporta una
relazione di un inviato aragonese, Bondo de Campo, a Giacomo II. Ancora una volta l’incapacità
militare degli angioini e la disobbedienza rispetto alle direttive pontificie aveva reso impossibile una
soluzione definitiva della “questione siciliana”. Secondo il resoconto del delegato aragonese il
cardinale parmense avrebbe raccomandato al papa e al collegio cardinalizio Federico III d’Aragona
affermando che se questi fosse tornato in seno alla Chiesa di Roma sarebbe stato un figlio del papa
più fedele di quanto non lo fosse stato Carlo II. Aveva già espresso in precedenza anche un giudizio
negativo sul duca di Calabria il quale, secondo il cardinale legato, non era adatto a fare il
condottiero. Questo giudizio di Gerardo Bianchi acquista un sapore quasi profetico se si pensa che la
politica pontificia che dalla seconda metà del Duecento aveva esaltato il legame con la Francia
avrebbe condotto inesorabilmente il papato romano al lungo esilio avignonese mentre più di un
secolo dopo il vincolo con i reyes católicos castigliani e aragonesi avrebbe costituito il vero supporto
temporale della Chiesa romana. (Silanos, Gerardo Bianchi da Parma, p. 276-280).
18. Enrico II di Ventimiglia richiede a Carlo II d'Angiò l'investitura delle contee di Ischia e
Geraci.
Il trattato di Anagni del 1295, voluto da papa Bonifacio VIII, con il quale Giacomo II rinunziava
al trono di Sicilia a favore di Carlo II d’Angiò, aveva portato all’acclamazione a re di Sicilia di
Federico (III), fratello di Giacomo, e alla ripresa delle ostilità con gli Angioini, appoggiati adesso
dallo stesso Giacomo contro Federico. L’aristocrazia siculo-aragonese non fu unanime nell’appoggio
a re Federico e non mancarono significative defezioni verso gli Angioini. Non è sicuro, commenta
Bresc, che Enrico non abbia… fatto [allora] un doppio gioco tra Federico III e il fratello Giacomo
d’Aragona(50). È molto probabile però: lo dimostrerebbero due documenti della Cancelleria
angioina del 28 luglio 1300, a un mese cioè dalla pesantissima sconfitta navale presso Ischia della
flotta di Federico, che faceva seguito alla disfatta di Capo d’Orlando dell’anno precedente, nella
quale il re siciliano, ferito, rischiò di cadere prigioniero. La vittoria finale degli Angiò appariva
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inevitabile ed Enrico sembra si affrettasse a chiedere legittimazione a Carlo II d’Angiò. In risposta a
una precedente supplica, re Carlo, dopo avere accennato a passate colpe di Enrico sulle quali
stendeva il suo perdono, lo autorizzava così a dividere tutti i beni feudali che egli allora possedeva e
che avrebbe posseduto in futuro nel ‘nostro’ regno di Sicilia fra tutti i suoi figli, nati tanto dalla prima
quanto dalla seconda moglie, diversamente dalle consuetudini del regno che privilegiavano il
primogenito. Re Carlo considerava infatti suo, ‘nostro’, il regno di Sicilia, e Federico III una sorta di
usurpatore. Con l’atto successivo, in pari data, Carlo confermava al pentito Enrico e ai suoi eredi la
contea di Geraci e tutti i possedimenti che erano stati della defunta moglie Isabella e ancora i castelli
di Petralia Soprana, Petralia Sottana, Caronia e Gratteri con le loro pertinenze. Rimaneva esclusa la
contea di Ischia Maggiore, che il sovrano aveva promesso ai suoi abitanti di mantenere nel demanio
regio, ma era disposto a compensarne la perdita a Enrico con altre concessioni equivalenti se egli
fosse tornato in fedeltà entro il Natale successivo. Il conte non lo fece. ( O. Cancila, I Ventimiglia
conti di Geraci tra Liguria e Sicilia, in Liguri e Siciliani. Incontri nella Storia. Studi in onore di
Sergio Mattarella, Savona 2017, p. 30-31 ).
Con tutta probabilità, però, i timori di Ruggero [ di Lauria n.d.r. ] dovevano ancora crescere, se
appena tre giorni dopo – il 9 maggio – l’Ammiraglio inviava una nuova lettera a Giacomo,
informandolo che in quella stessa data era partito da Napoli alla volta della Sicilia per offrire
supporto al duca Roberto d’Angiò con 35 galee ben armate e 1400 cavalli ben equipaggiati tradotti
nelle galee, oltre a 100 cavalli, presumibilmente non equipaggiati: «Sàpia la vostra altea que diluns
IX dies anats del mes de maig partí’m de Nàpols per anar en Ceçília al duch ab XXXV galees
ben armades et MCCCC cavals armats que portam en les galees, et C cavals que portam al duch»
La decisione di Giacomo II di iniziare una nuova campagna, convinto in principio di ottenere il Regno
di Múrcia senza troppa fatica in cambio del sostegno che egli poteva offrire al candidato
usurpatore Alfonso de la Cerda, portò la Corona catalano-aragonese a un duro e lungo confronto con
la Castiglia. Nell’impresa vennero mobilitate tutte le forze della Corona d’Aragona, mediante il
consueto reclutamento di uomini e mezzi, sino almeno al trattato di Torrellas, che avrebbe posto fine
alle ostilità. La tensione, dunque, persisteva all’interno della Penisola iberica, sebbene anche
l’impresa murciana avesse conosciuto varie interruzioni dovute all’andamento stagionale tipico delle
guerre di quell’epoca, ma anche a questioni di più stringente diplomazia: dal principio del conflitto,
infatti, Giacomo era venuto a Roma e in Sicilia due volte, nel 1298 e nel 1299.
Tuttavia, la ripresa dell’offensiva doveva essere imminente, se Giacomo, subito dopo
l’assedio fallimentare di Siracusa del 1299, fece immediatamente ritorno in Catalogna, lasciando la
questione siciliana in mano agli alleati continentali. Dal canto suo, Carlo II aveva più volte
impegnato la corona per la conduzione della guerra in Sicilia ed era tornato ad impegnarla
nuovamente nel giugno del 1299. E allo stesso modo Bonifacio si era parimenti esposto
economicamente sia con Carlo che con Giacomo, sebbene ora nei riguardi di costoro tenesse sempre
più stretti i cordoni della borsa e ricordasse sempre che – come ha ben rilevato Mario Del Treppo –
con la bolla del 1297 aveva ottenuto da Giacomo II, «dietro giuramento di fedeltà, pagamento del
censo e servizio militare […], pegno di una politica a sostegno della Curia e contro i suoi nemici, alla
quale l’Aragonese s’era vincolato l’anno prima, accettando la carica di ammiraglio e capitano
generale della Chiesa e la guida di una crociata “pro subsidio Terre Sancte, vel contra quoslibet
hostes dicte Ecclesie seu rebelles”». In forza di ciò, Bonifacio si sentiva pertanto legittimato a
richiamare Giacomo al proprio dovere anche nel gennaio del 1300 ( R. Lamboglia, Aspetti della
guerra del Vespro: la svolta del 1300 nella prospettiva di Giacomo II d’Aragona e di Ruggero di
Lauria, "Bullettino dell'Istituto storico italiano per il Medioevo", 115 ( 2013 ), p. 333, 336-337 ).
19. I conti di Ventimiglia de excelso et magno genere...de alta sanch et de grand linatge
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Abbiamo notato che il passaggio di consegne del teschio di s. Anna si pone al centro di un complesso
gioco diplomatico-militare che vede nel baricentro della politica mediterranea i conti di Ventimiglia, i
quali, attraverso il matrimonio di Guglielmo Pietro I - nunzio a Genova dell'imperatore Michele VIII
Palaiologos - con Eudossia Làscaris, entrano in un vortice di trattative e contrapposizioni diplomatiche
e militari, con i consanguinei imperatori di Bisanzio, sovrani d'Aragona e Sicilia, regnanti di Catiglia,
Napoli, Ungheria, Maiorca e Francia. Il Palaiologos scrive ai Genovesi nel 1262:
mandat vobis nobilissimum comitem G[uilielmum] de Vintimilia karissimum generum imperii mei, qui
cum dictis nunciis nostris venit ad illas partes. Vos quidem bene cognoscitis et certe sicut imperium
meum dictum nobilissimum comitem cepit in tempore guerre et pugne et eum in quamdam civitatem
imperii tenuit in carceribus. Ex quo autem imperium meum intellexit predictum comitem nobilem esse
de excelso et magno genere vestro, et eciam, deprecacione et intercessione intermediante, liberavit
eum de carceribus imperium meum et accepit eum generum imperium meum cum karissima nepte filia
beate memorie imperatoris consanguinei imperii mei domini Theodoris Duce Lascaris, et dedit
imperium meum prefato comiti yperperos vigintimilia ut ipse emeret intratum in vestro comuni. Quare
imperium meum noluit ipsum in aliam terram transmittere et habitare facere eum alicuibi, nisi ad
comune vestrum, dilectam fraternitatem imperii mei. Et propter hoc ad vos transmissimus habitare.
Nam sperat imperium meum, propter amorem quem habetis circa imperium meum, sicut imperium
meum habet amorem ad karissimam neptem imperii mei, ita vos habebitis ad eam honorem dignum et
dilectionem convenientem similiter et ad karissimum generum imperii mei nobilissimum comitem
G[uilielmum] de Vintimilia. Commisit autem imperium meum predictis nunciis nostris ut de facto sepe
dicti comitis loquerentur vobiscum, ut disponeretis eisdem similiter iuxta leges habere ius proprium;
similiter et de aliis capitulis vobis largius loquentur. ( L. T. Belgrano, Cinque documenti genovesiorientali, “Atti della Società ligure di storia patria”, 17 (1885), p. 228 ).
Michele Palaiologos si avvicinò ai Genovesi, che dal 1253 avevano rotto ogni alleanza con
i Veneziani, e si giunse a un importantissimo trattato, importante soprattutto per il futuro di Genova
e assolutamente ininfluente per la ripresa di Costantinopoli, come ben vedremo. Nel marzo del 1261
si stipulò un accordo tra Genovesi e Niceni in base al quale tutti i privilegi che erano stati dei
Veneziani, dentro l'antica basileia greca, e cioè una totale esenzione dei dazi e delle imposte per i loro
mercanti, furono riservati ai Genovesi e abrogati per i Veneziani; fu un colpo di spugna e i privilegi
concessi nel lontano 1082 da Alessio I alla città lagunare cambiarono di segno e si voltarono a favore
dei mercanti liguri e in cambio i Genovesi si impegnarono a fornire la flotta per la lotta contro i
Veneziani e l'Impero latino d'Oriente.
I Genovesi accettarono ben volentieri anche perché avevano perso notevoli posizioni in Terra Santa e
nel regno di Gerusalemme a favore di Pisani e Veneziani. In tal maniera Genova gettava
le fondamenta per l'organizzazione del suo 'impero commerciale' in oriente e diveniva, in
prospettiva, una stabile alleata e punto di riferimento per il rinato impero bizantino. I Genovesi,
inoltre, ottennero il permesso di navigare nel mar Nero e di commerciare in quello, cosa che era stata
ottenuta dai Pisani ma sempre negata ai Veneziani, e i Genovesi avevano già avviato interessanti
iniziative imprenditoriali lunghe le coste di quel mare. Nasceva una nuova stella, all'ombra dei
desideri di riconquista di Costantinopoli, o, per meglio dire si consolidava: il trattato fu ratificato in
Genova il 10 luglio dello stesso anno e in quello i Genovesi si impegnarono a fornire cinquanta navi ai
Niceni, che sarebbero state equipaggiate a spese dell'imperatore, ad assumere tutti i privilegi dei
Veneziani e i loro fondaci e, nell'eventualità di una riconquista della capitale alla quale avessero
partecipato, al diritto di prendere possesso di una gran parte dei beni dei Veneziani in
quella. L'accordo era così favorevole che già nel luglio del 1261, sedici galee genovesi fecero vela
verso il Bosforo.
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Somewhat more satisfactory, though still not conclusive, evidence with reference to a Greco-Castilian
connection is the fact that one of the two envoys dispatched by Alfonso in 1271 to negotiate with the
north Italian Ghibellines was William, Count of Ventimiglia. This is the same person to whom Michael
had previously given in marriage a daughter of the Emperor Theodore II Lascaris, and whom Michael
sent to Genoa in 1273 or 1274 as his personal envoy ( D. J. Geanakoplos, Emperor Michael
Palaeologus and the West, 1258-1282. A Study in byzantine-latin relations, Cambridge 1959, p. 253
).
Altro matrimonio di spessore internazionale fu quello del cugino Enrico II di Ventimiglia con Isabella
(del lignaggio Hauteville di Gesualdo?) contessa di Geraci, Collesano e Ischia, che fece ereditare al
ramo albenganese della famiglia gli interessi rappresentati dall'antica dinastia comitale normannosveva consanguinea della casa reale e imperiale Staufen – sia tramite gli Hauteville sia per gli
Aleramici accasati con i sovrani normanni - dislocata territorialmente nel centro strategico e
economico del Mediterrraneo – con Geraci e Cefalù - e del Tirreno – con Ischia -. In Ischia, tra l'altro,
arrivavano i finanziamenti dell'imperatore Michele Palaiologos, che commissionava ai locali arsenali
la costruzione delle taride - piccole galee a due alberi e due timoni - per la flotta bizantina.
Situata approssitivamente al centro del Mediterraneo, la Sicilia costituisce un tratto d'unione e un
ponte fra Italia e Africa musulmana, ma pur fra Oriente e Occidente. La contea di Geraci è attraversata
dalle principali vie di comunicazione isolane che in essa si incrociano, dominando strategicamente e
commercialmente l'interno siciliano. Infatti, 'segreto', ragion d'essere e spinta dinamica di 'lunga
durata' storica della contea di Geraci sono i fattori saldati all'incontrarsi sul suo territorio dei due
principali assi viari, commerciali e strategico-militari, che attraversavano la Sicilia di ancien régime.
Uno fu la 'via del grano' – già descritta da Cicerone - afferente alla zona compresa tra la fiumara di
Tusa – limes fra Sicilia ultra Salsum e citra Salsum – e il fiume Salso medesimo. Via maestra che
consentiva alle grandi produzioni granarie dell'interno dell'isola di accedere ai porti tirrenici
d'esportazione. L'altro fu la via Messina-Montagna. La vitalità del fondamentale asse viario PalermoMessina, attraversante lo scenario dei Nebrodi, e di conseguenza il suo ruolo nevralgico, è
documentato dalla sua definizione di Magna Via Francigena, che da Castronovo a Termini si spingeva
a Polizzi e alle Petralie – luoghi occupati dai conti di Ventimiglia a partire dal 1258 -. Questa direttrice
fu un altro fondamentale itinerarium peregrinorum della Sicilia centro-occidentale risalente al XII
secolo. Alla fine del Duecento, questo ambiente fu teatro dell'esperienza religiosa della comunità
eremitico-mendicante di s. Guglielmo da Polizzi e dell'istituzione monastica di S. Maria del Parto,
sotto il patronato del conte Aldoino I di Ventimiglia, nonché del primitivo culto di s. Anna, peraltro
testimoniato – nelle propaggini delle zone orientali - sin dal XII secolo - nel monastero messinese di S.
Anna, di rito greco e in quello di S. Anna di Galati. ( He. Bresc, Un mond mediterranéen, Economie et
société en Sicile, 1300 – 1450, Roma 1986, p. 356: M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia
medievale: rinascita e decadenza, Roma 1947, p. 153 ).
La confisca dei beni di Enrico ci dà le dimensioni enormi del suo potere e l’incertezza assoluta della
burocrazia angioina tra usurpazioni e legittime possessioni: nel 1271 il castrum ( terra e castello ) di
Gratteri, recuperato sul proditor Enrico, viene dato a Guillaume de Moustiers e la contea viene divisa
tra i Montfort: Geraci, Gangi e Castelluccio dati a Jean, e San Mauro, Ipsigro ( oggi Castelbuono ),
Fisauli, Bilici e Montemaggiore a Simon. L’ultimo documento precisa anche che le terre di Polizzi,
Isnello e Collesano facevano parte della contea, ma non vengono infeudate ai Montfort, prova che la
contea di Geraci era un vasto comando militare e amministrativo, più esteso che non l’antico demanio
feudale dei Craon e degli Ischia. ( He. Bresc, I primi Ventimiglia in Sicilia, "Intemelion", 1 (1995), p.
12 ).
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Non meno cardinale appare - come ampiamente osservato - pur la contea di Ventimiglia, Tenda e
Vermenagna, per il commercio tra i mercati franco-provenzali, Genova e la pianura Padana. Per
comprendere attriti e scintille scatenate da tali posizionamenti dinastico-territoriali dei conti di
Ventimiglia – e il senso da attribuire all'arrivo da Reims della sacra reliquia di s. Anna – occorre
ricostruire a grandi linee alcuni avvenimenti che costituiscono il retroterra storico e le premesse
logiche.
La route de Tende, en Ligurie occidentale, n’avait pas moins de valeur. Par ailleurs, la Rivière du
Ponant, singulièrement troublée, appelait à intervenir. En 1258, les traités conclus par Charles Ier,
avec des membres de la famille des comtes de Vintimille, lui avaient reconnu de vastes droits sur le
comté homonyme. Un comté de Vintimille provençal prenait forme. Il s’étendait, dans la montagne,
jusqu’au bassin supérieur de la Nervia. Il englobait tout le haut du val de Roya. Il assurait une ferme
maîtrise de Tende et de son col.
Le succès demeurait partiel. Le comté de Vintimille angevin n’incluait pas la cité de ce nom. Par le
traité de 1262, Gênes bornait les terres provençales, sur la bande côtière, à La Turbie. Elle se
réservait le littoral de Monaco à Vintimille. À terme, un affrontement sérieux était inévitable. De
longues querelles opposaient, à partir de 1272, Charles Ier aux Génois, bientôt rejoints par les
Vintimille. Une paix se concluait en 1276, mais le différend ne s’achevait vraiment qu’en 1289. Le
comté de Vintimille provençal en sortait amoindri. Une branche des Vintimille s’était retranchée dans
la haute Roya et la haute Vermenagna, soustraite au Piémont angevin. Elle avait définitivement saisi
le col de Tende. Son alliance matrimoniale avec les Lascaris haussait sa gloire au rang des plus
grandes familles. Elle constituait, désormais, une difficile interlocutrice pour les Provençaux.
La suite des Vêpres confirmait le repli provençal. Gênes devenait une alliée potentielle de grand prix
pour les Angevins, face aux Catalans et aux Siciliens. Charles II poursuivit obstinément son amitié, au
prix de larges concessions. Sur les confins de la Ligurie occidentale, il renonçait à l’expansion, pour
adopter une attitude des plus conciliantes envers la Commune. Dès 1289, il lui rendait Roquebrune,
prise lors de la précédente guerre. En 1301, il lui restituait Monaco. Pour y parvenir, il récupérait la
localité sur ses propres amis. Des exilés guelfes génois, les Grimaldi, l’occupaient depuis 1297. Il les
indemnisait à grands frais. ( La Provence au Moyen Âge, a cura di Aurell, Boyer, Coulet, p. 208).
Nell’anno 1262 il Comune di Genova, era impegnato con la guerra contro Venezia, mentre Marsiglia
si era sollevata contro Carlo d'Angiò; motivi, questi, sufficienti perché sia Carlo sia Genova cercassero
un accordo. Il 21 luglio 1262 fu stipulato il trattato tra le due parti. Così sono determinati i confini
territorioli e le aeree di influenza. Genova tiene Ventimiglia, Monaco e Roccabruna, come pure
Podium Pini (Pigna), con Mentone, possesso di Guglielmo Vento, vassallo guelfo dei conti di
Ventimiglia; essa si obbliga a non impadronirsi in nessun caso dei territori posseduti da Carlo nella
contea di Ventimiglia, a partire dal confine di Monaco e dal territorio di Turbia fino al Rodano. Il
Comune rinunzia inoltre a tutti i diritti spettantigli sulla parte della contea ventimigliana detenuta da
Carlo, come pure su Briga e Castellar, ancora occupati dai conti di Ventimiglia, nonostante la vendita
effettuata nel 1258 dal conte Guglielmino di Ventimiglia all'Angiò. A sua volta Carlo rinunzia a
intromettersi nei possessi del Comune sulla riviera di Ponente, dalla cresta dei monti fino al mare.
Carlo concederà ai Genovesi protezione nella Provenza, salvo il caso, appena ipotizzabile, che
volessero entrarvi in armi per assalire i re di Francia o d’Aragona.
La politica siciliana non è estranea a tale patto, infatti consegueza necessaria della pace fu che ai
Genovesi fu concesso libero commercio nel Regno di Sicilia. Fu inoltre esplicitamente stabilito che in
caso di future dichiarazioni di guerra sarebbero stati accordati due mesi di tempo per l’allontanamento
delle rispettive parti interessate. Non furono tuttavia rinnovati gli antichi privilegi siciliani dei
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Genovesi, che nei domini di Carlo avrebbero avuto il medesimo trattamento degli altri mercanti
stranieri. Dal punto di vista del re ciò si comprende facilmente. Egli fa solamente pace col Comune
senza pero entrare con esso in rapporti di alleanza e amicizia. Nondimeno, secondo un documento del
25 giugno 1269, Ansaldo Fallamonica, capitano genovese della Riviera ponentina, immette il
Siniscalco angioino di Lombardia, nel possesso di alcuni castelli, ob reverentiam et gratiam illustri
Karoli regis Sicilie, con salvezza dei diritti del Comune e del trattato con Carlo del 1262. Una cessione
temporanea per ragioni tattico-strategiche sembrerebbe dunque, senza rinunzia ai diritti sui castelli
nell'area di influenza genovese. I nomi delle localita sono: Castrum Macri, Cunei, Lexinaschi, Lavinie,
locus Aurigi, Cenova, Caravonice, tutti a nord di Oneglia, nei monti della Val Arroscia, di diritto
appartenenti a Enrico II di Ventimiglia e fratelli, cittadini genovesi già seguaci di Manfredi e
Corradino di Svevia e assediati al tempo nei castelli di Cefalù e Geraci in Sicilia. Negli Annali, 265
[IV, 118], Enrichetto di Ventimiglia combatte in Sicilia nel 1269 contro i Francesi assedianti. I suoi
beni furono confiscati da Carlo, al quale Genova dava una mano per garantirsi il lucroso commercio
siciliano. Gli unici castelli di Enrico non occupati in Liguria dai Francesi sembrano pertanto essere
quelli di Pietralata, Pornassio, Cosio e Chiusanico.
Ancora, nel dicembre 1272 gli esiliati guelfi - scacciati da Genova dai Ghibellini – tentarono
nuovamente di stabilirsi nel territorio di Genova. Ianella de Advocatis – affine dei conti di Ventimiglia
- con dei partigiani dei Grimaldi prese il castello ventimigliano di Apricale, a nord-est di Ventimiglia,
d’accordo con alcuni abitanti del medesimo. Per impedire ulteriori progressi ai ribelli, fu mandato in
quelle contrade Oberto Sardena in qualita di vicario. Egli non poté impedire che Guglielmo Vento
consegnasse al Siniscalco della Provenza il suo castello di Mentone situato sulla costa. Ciò costituiva
una decisa violazione del trattato del 1262, cosi anche i Capitani del Popolo genovesi non si peritarono
di agire a lor volta manu militari. Archerio Vacca – di altro lignaggio genovese consanguineo dei conti
di Ventimiglia - come loro inviato, prese cinque castelli del conte Enrico II di Ventimiglia e dei suoi
fratelli nella valle di Oneglia, sui quali Carlo aveva posto il sequestro; probabilmente però vi furono
accordi preventivi coi proprietari, che in cambio dell'aiuto dovettero riconoscere a Genova il
vassallaggio per i castelli restituiti. Rimase così precluso agli assalitori angioini l’accesso alla Riviera
dalla parte del nord dei monti. Annali, 275 [IV, 152]: quibus rex Karolus dictos comites spoliatos
tenebat; soltanto che Genova nel 1269 aveva contribuito a quella spoliazione, sottoscrivendo pure – in
agosto - un accordo con la parte angioina e papale che gli garantiva alcuni privilegi in Sicilia e
prevedeva esplicitamente che Carlo continuasse a detenere i castelli dei ribelli conti di Ventimiglia,
pur se ricadenti sotto la teorica giurisdizione genovese.
.Nel maggio 1274, Genova riprese la guerra sulla riviera occidentale, da principio con molto successo.
Ansaldo Lusio vi venne mandato come vicario. Egli raccolse un numeroso esercito, penetrò nei monti
a nord di Ventimiglia e riconquistò i castelli che Carlo aveva in passato comperato da alcuni conti di
Ventimiglia. Non invano il conte Guglielmo di Ventimiglia si era adoperato per l’unione dei
Ghibellini con Alfonso X di Castiglia; ora vennero restituiti a lui e ai suoi fratelli i possedimenti aviti,
fra cui sembra fosse stato compreso anche Penna. Guglielmo Pietro e il cugino Enrico, rientrato in
Liguria, diventano i più stretti collaboratori di Guglielmo VII del Monferrato, vicario - e genero - di
Alfonso di Castiglia nelle terre lombarde e capo dei Ghibellini che appoggiano l'elezione del
castigliano all'Impero. Infatti, Alfonso si presenta quale erede dell'ideologia del tradizionale partito
svevo. Enrico, tra l'altro, è presente come primo testimone in diversi atti notarili e pergamene del
marchese di Monferrato, risalenti al 1272, evidenziando le sue funzioni di principale collaboratore del
monferrino - che nel 1271 ebbe a sposare Beatrice di Castiglia, consanguinea di Eudossia contessa di
Ventimiglia, come figlia di Violante d'Aragona -.
Il 19 gennaio 1274 ( I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a cura di E. Madia, Roma 1999, 1.5.,
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p. 206-214 ), il conte Enrico II di Ventimiglia e alcuni signori di Garessio cedono al Comune i loro
diritti sui castelli e giurisdizioni di Cosio e Pornassio. E’ detto che ciò avrebbe corrisposto ad un
impegno anteriore, in quanto, spogliatine da Roberto de Laveno, avevano potuto esserne reintegrati
con l’aiuto del Comune. Come dimostrano i tre documenti successivi, con la stessa data cronica, un
conferimento feudale ebbe luogo, sia a Pornassio sia a Cosio per Guglielmo ed altri signori di Garessio
e per il conte Enrico, quale comproprietario per 1/8 della signoria.
Il castello di Jàtiva in una incisione del
marchese Alexandre de Laborde dell'inizio
del XIX secolo. Sotto i ruderi del Castello di
Moixent, venticinque chilometri a sud-ovest
di Jàtiva, tenuto in signoria da Eudossa
Làscaris contessa di Ventimiglia dal 1283 alla morte del marito - sino alla vendita nel
1301.
Guglielmo Pietro e Enrico di
Ventimiglia visitano nel 1273 Alfonso
X a Requeňa, a capo di una delegazione di nobili lombardi, consegnando a Alfonso le missive dei suoi
sostenitori e elettori alla candidatura imperiale. Il conte di Ventimiglia, nell'occasione, chiede l'invio di
500 'lance' a supporto di “coloro che lo hanno eletto imperatore”, contro Carlo d'Angiò. A seguito di
questa richiesta le Cortes a Burgos finanziano l'impresa richiesta dai Ventimiglia, e a Genova, nel
1274 in due riprese, sbarcano circa 1100 cavalieri e
armigeri castigliani che volgeranno a favore dei ghibellini liguri-piemontesi la guerra contro gli
Angiò. Infatti, dopo la vittoriosa battaglia di Roccavione del 1275, una lega di Asti, Genova, Pavia, i
marchesi di Monferrato e Saluzzo e i conti di Ventimiglia costringe gli Angioini a lasciare
il Piemonte-Liguria. Guglielmo Pietro di Ventimiglia - rappresentante diplomatico sia di Alfonso X di
Castiglia sia di Michele VIII Palaiologos – ed il figlio Giovanni I negli atti della cancelleria aragonese
sono d'ora in avanti denominati conti di Ventimiglia e della val Vermenagna ( la valle piemontese di
Roccavione, Robilante, Vernante e Limone ) come in una missiva di Giacomo II d'Aragona del
1296: nobili et dilecto Iohanni comiti Vigintimilie ac domino vallis de Vermenalla carissimo
consanguineo suo salutem et graciam (Miret y Sans, Nuevos documentos, p. 16).
Era di grande importanza per il comune di Genova la restituzione di Roccabruna. Tanto di persona
quanto mediante lettere e messaggi, i due conti di Ventimiglia furono invitati a consegnare i castelli da
essi occupati nell'area di influenza angioina della contea di Ventimiglia, ossia Saorgio, Briga e
Castiglione - condizione posta dagli Angiò per restituire Roccabruna -. Non avendo essi accondisceso
alla esortazione del Comune, i genovesi Capitani del Popolo, in esecuzione della convenzione,
ordinarono che dal 29 settembre 1276 in poi nessuno piu prestasse loro aiuto. Genova non era
obbligata a fare di piu e la diffida veniva concepita nella forma piu stringata possibile. Tuttavia Carlo
ebbe piu tardi a lagnarsi perché, contrariamente ai patti della convenzione, fu dato ricetto agli abitanti
della contea, esortando il Comune ad attenersi in seguito piu strettamente agli accordi. Non è chiaro
fino a qual punto fossero giustificate le lagnanze di Carlo. Forse furono originate dalla stizza per non
esser riuscito a sottomettere i conti. Carlo non era riuscito a ritornare nel reale possesso dei luoghi a
suo tempo acquistati. Guglielmo Pietro e Pietro Balbo dominavano sul passo di Tenda e quindi era
loro possibile ottenere dal Piemonte quell’appoggio di cui disponevano meno nella Riviera. Alla fine
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sembra che un armistizio abbia precariamente posto fine alle ostilità. Ad ogni modo Roccabruna non
fu restituita a Genova, senza però turbare la pace.
Pietro Balbo di Ventimiglia conclude
una lega con Cuneo (
Gioffredo, Storia delle Alpi
Marittime col. 635 ), nella quale è
fatta riserva che nessuna delle parti
debba prestare aiuto all’altra contro
Genova, Asti ed il re di Sicilia. In quel
tempo dovevano essere in possesso
dei conti: Tenda, Briga, Saorgio,
Breglio, Pigna, Rocchetta, Castellar,
Bussana, Limone e Vernante. Alcuni
autori pongono l'armistizio tra conti di
Ventimiglia e Angiò al 17 marzo
1278, secondo un documento che dicono di aver consultato nell'Archivio dipartimentale di Aix. Vi
intervenne Guglielmo Pietro, con i figli - i due ragazzini Giovanni e Giacomo - il fratello Pietro Balbo
e il nipote Guglielmo:
Nel trattato di tregua de’ 17 marzo l278. tra il Senescallo della Provenza e Forcalquier e li signori di
Ventimiglia sopra le guerre, che erano tra essi e il re di Gerusalemme e di Sicilia, agiva Pietro Balbo
conte di Ventimiglia a nome suo e di Guglielmo Pietro suo fratello e Guglielmo suo nipote, onde
leggesi nella enunciativa: « et nobilis vir Petrus Balbus, comes Vintimilii, nomine suo et nomine
domini Gulielmi Petri fratris sui et nomine domini Gulielmi nepotis sui etc.“ e nella dispositiva
«eidem domino Petro Balbo et domino Gulielmo fratri suo etc.» ( V. Angius, Sulle famiglie nobili
della monarchia di Savoia, Torino 1837, 4., p. 231; F.-A. A. de La Chenaye-Desbois, Dictionnaire de
la noblesse, Parigi 17742, 8., p. 731 ).
Il temporaneo avvicinamento del conte di Ventimiglia agli Angioini veniva subito registrato in un
crisobollo dell'imperatore Michele VIII Palaiologos, - datato al 3 maggio 1278 a meno di due mesi
dall'accordo angioino-ventimigliano - che evidentemente vedeva posta in discussione la fiducia nel
conte, già suo emissario per le relazioni con Genova. Carlo d'Angiò, negli stessi mesi, entrava in
possesso del Principato di Acaia, minacciando l'impero bizantino. Nel 1277 era deceduto Filippo
d’Angiò, figlio di Carlo e genero ed erede di Guglielmo d’Acaia, al quale sarebbe dovuto andare il
principato alla morte del principe; dopo la dipartita di Filippo il piccolo regno latino e crociato fu
destinato direttamente a Carlo. Quasi a semplificare la situazione e far ulteriormente quadrare il
cerchio, nel maggio 1278 morì anche Guglielmo e, nel rispetto del Trattato di Viterbo, il principato
d’Acaia passò alla diretta dipendenza di Carlo e degli Angioini. In conseguenza anche l’Eubea
veneziana, che nei fatti era controllata dai Bizantini, passò sotto la tutela feudale angioina:
Come si è visto, il crisobollo del 1278 ebbe immediati riflessi sulla situazione mercantile producendo
il ristabilimento dei viaggi genovesi nella Romània, ma la materia trattata ha un carattere
squisitamente politico, anzi possiamo dire che questo testo si colloca al centro di un turn-over delle
relazioni bizantino-genovesi. Nel 1278 dall’Italia provenivano segnali di distensione: l’anno
precedente era stato stipulato un trattato fra Venezia e l’Impero ed era in vigore un accordo fra
Venezia e Genova, tuttavia l’ostilità del pontefice Nicolò III nei confronti di Carlo d’Angiò si era
notevolmente attenuata. L’approssimarsi di una nuova minaccia angioina, considerate le difficoltà a
realizzare l’unione religiosa, richiedeva l’impegno saldo e coerente dei Genovesi con la rinuncia a
proteggere antichi e recenti nemici dell’Impero. Qui si apre la parte più circostanziata del documento
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che fa riferimento ai settori in cui i cittadini genovesi avevano operato e tuttora operavano a
detrimento dello stato bizantino: videlicet factum domini Guillelmi comitis de Vintimilio, factum
Guillelmini Guercii qui est inimicus nostri imperii in Moreis, factum Lucheti de Tiba qui est inimicus
noster in Zagora, factum Percivallis de Varagine qui est inimicus noster in Trapesonda, factum Oberti
Migardi, factum Iacobi Lombardi, factum Nicolai Storbaioci et factum Marabottorum Lanfrankini et
Iacobi quod potestati Ianuen(sium) committimus cognoscendum... Il primo riferimento riguarda
l’affare assai lontano del conte di Ventimiglia, Guglielmo Pietro, e suona a conferma della sua
adesione, un tempo, al partito antibizantino. L’informazione di Giorgio Pachimere indica che allora a
Guglielmo Pietro Michele VIII aveva dato in moglie una delle figlie del suo predecessore Teodoro II
Lascaris, senza alcun chiarimento della situazione che trova soltanto qualche laconica spiegazione
nel testo della lettera del 1262 quando l’imperatore, considerandolo karissimum generum Imperii, lo
rimandò a Genova con la sposa, dopo averlo liberato e avergli consegnato ventimila iperperi per
investimenti. Sulla scorta di queste notizie Guglielmo Caro ha postulato la partecipazione del Conte,
che nel 1258 aveva dovuto cedere i possessi e i diritti nella contea avita a Carlo d’Angiò, all’alleanza
di Manfredi con il Villehardouin e il despota di Epiro sconfitta a Pelagonia ( 1259 ), mentre la sua
appartenenza allo schieramento antiangioino non può essere messa in dubbio anche in seguito.
Sappiamo infatti che nel 1271 aveva ricoperto l’incarico di ambasciatore di Alfonso X di Castiglia
presso i ghibellini lombardi e che al fianco di Genova aveva combattuto contro l’offensiva di Carlo
d’Angiò degli anni 1273-1276, ottenendo nel 1274 la restituzione dei possessi liguri. Dunque la sua
presenza in questo elenco di nemici dell’Impero presuppone una nuova colpa, di cui, forse coinvolto
nell’opposizione dei Lascaris, egli si sarebbe reso responsabile, piuttosto che un semplice riferimento
alla sua passata militanza con Manfredi ( S. Origone, Questioni tra Bizanzio e Genova intorno
all’anno 1278, in Chemins d'Outre-Mer, a cura di D. Coulon [ et al. ], Parigi 2004, p. 627 ).
Nella primavera del 1289 Carlo II, nel suo viaggio alla corte papale, si fermò a Genova. Non abbiamo
dati per conoscere se egli vi avesse avuto trattative mentre il papa non lo aveva ancora sciolto dal
giuramento prestato ad Alfonso; egli si diede comunque subito da fare per suscitare nella cittadinanza
- del cui appoggio egli intendeva valersi in appresso - disposizione favorevole all’accoglimento di
eventuali sue richieste. Il 23 aprile egli entrò in città dichiarandodi voler restituire a Genova il castello
di Roccabruna con tutte le sue dipendenze Certo Carlo II era ben lungi dall’idea di adempiere a siffatta
promessa. La pace del 1276 lo autorizzava allo scambio di Roccabruna per ottenere la restituzione dei
castelli occupati dai conti di Ventimiglia, che Carlo I non era riuscito a toglier loro. L’armistizio, al
quale quest’ultimo aveva finalmente aderito, doveva porre un argine alla guerra di soli pochi anni e
allorché essa scoppiò nuovamente, i sudditi genovesi della riviera occidentale fino ad Albenga si
tennero dalla parte dei conti.
Non è chiaro quando la guerra fosse nuovamente scoppiata, in ogni caso prima del 12 ottobre 1283
quando Castellar è conquistata dal siniscalco angioino di Provenza - Si può ammettere che vi avessero
giocato intrighi sia Pietro III d'Aragona sia Alfonso X di Castiglia. I conti avevano mantenuto le loro
antiche relazioni con gli avversari della casa d'Angiò; Aldoynus de Vingtimilliis, comes Yscle maioris,
figlio primogenito di Enrico II di Geraci, insieme a 39 conti e cavalieri - tra i quali Arnau Roger conte
di Pallars Sobirà, marito della cugina Làscara di Ventimiglia, Pietro Ferrandi fratello del re aragonese
e Giacomo II infante – giura di revocare omaggio e fedeltà a re Pietro III d'Aragona se non si
presenterà alla disfida di Bordeaux contro Carlo I d'Angiò, il prossimo primo giugno (Défi (ou
provocation) à un combat en champ clos, à Bordeaux, entre le roi d’Aragon et le roi de Sicile.(1282 v.
st.), BnF, Fonds Périgord, t. 10, cahier 7, p. 36). Prestò servizio militare in Sicilia immediatamente
dopo il Vespro del 1282 come miles e familiare regio e fu presente come testimone nei più importanti
atti della corona aragonese riguardanti la Sicilia. In una lettera del sovrano aragonese al suo segretario
e cancelliere Giovanni da Procida del 29 luglio 1283 si accenna a una petizione presentata dal conte
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Aldoino – probabilmente per ottenere l'investitura della contea di Geraci – a cui re Pietro risponde
prendendo tempo in vista di una transazione: placeret nobis quod inde tractaretur aliqua ydonea
composicio quam nobis significare debeatis ( A. de Saint-Priest, Histoire de la conquete de Naples
par Charles d'Anjou frére de saint Louis, Parigi 1849, 3 , p. 435, 656 ).Vedi ad esempio l'omaggio di
Giacomo II al fratello Alfonso del 12 febbraio 1285 in Palermo ( de Saint-Priest, Histoire de la
conquete de Naples, 3., p. 293 ). Oppure, il 2 ottobre 1286, Aldoino presenzia alla cessione dei diritti
sul trono di Sicilia operata da Beatrice, figlia del fu re Manfredi - col consenso del marito, Manfredi di
Saluzzo - al nipote Giacomo d'Aragona.
Non da meno fu il ruolo di altro leader del ghibellinismo - anche se andava lentamente avvicinandosi
alle posizioni francesi e papali - ovvero di Alfonso X re di Castiglia e dei Romani, che nel 1281 non
aveva fatto mancare lo sbarco a Genova di un piccolo contingente di trecento cavalieri e cento
balestrieri sotto la guida del genero e consuocero Guglielmo VII di Monferrato.
Nel 1271 il predetto conte di Ventimiglia [ Guglielmo Pietro ] viveva ancora del suo soggiorno di
Spagna e interveniva come testimonio a’ patti del matrimonio, conchiuso addì 18 ottobre di detto
anno in Murcia tra l’infante Giovanni, figlio d’Alfonso re di Castiglia, e Margarita figlia di
Guglielmo marchese di Monferrato ( Angius, Sulle famiglie nobili, p. 117 ).
All'epoca Guglielmo Pietro di Ventimiglia è un affine di Alfonso X, attraverso la nipote della moglie,
Caterina Angelina Doukagina, sposa nel 1274 di Federico infante di Castiglia, fratello del re, oltre alla
consanguinità della moglie Eudossia con i regnanti castigliani. Ma la fortuna dei conti di Ventimiglia
fu loro tanto poco propizia che, probabilmente, perdettero allora Saorgio e il 18 dicembre 1285
condiscesero ad una pace definitiva col Siniscalco di Provenza. Pietro Balbo, con i figli di Guglielmo
Pietro I - nel frattempo deceduto - Giovanni I e Giacomo, reduci dal servizio armato presso Pietro III
d'Aragona, insieme a Enrico II conte d'Ischia e Geraci, e altri delegati, si obbligarono di fronte al re di
Napoli a prestare il giuramento di vassallaggio per i loro possedimenti nella contea di Ventimiglia e
nel Piemonte, però la loro contea non doveva essere soggetta alla piena sovranità del re; in particolare
essi non dovevano sottostare alle imposte da cui erano gravati gli altri vassalli. Una tale sovranità
puramente nominale non poteva costituire idonea contropartita alla mancata consegna dei castelli e il
passo del Colle di Tenda era rimasto nelle mani dei conti. I castelli di Castellar e Gorbio – insieme a
quelli di Val Lantosca a nord di Nizza - furono materialmente restituiti ai conti il 7 gennaio 1287. Così
come la contea del Maro/Valle di Oneglia fu riconosciuta a Enrico II come vassallo di Genova. Agli
Angiò furono riconosciuti i manieri di S. Agnese, Codolis (tra Sospello e Lucerame), Lamenone (
presso Sospello ) e Castiglione, nell'entroterra di Monaco. ( Angius, Sulle famiglie nobili, p. 118 ).
Nel dicembre diel 1289 l'Angiò sottoscrive il trattato di Corbeil-Essonnes con il re dei Francesi, che
gli assicura 150.000 onze d'oro per la Guerra del Vespro, mentre Carlo rinuncia all'Angiò e al Maine
per il futuro genero Carlo I di Valois ( in cambio ottiene Avignone ). Nel gennaio 1290 abbiamo
incontrato Giovanni I Làscaris di Ventimiglia accanto alla regina Maria Arpad nel palazzo sanremese
di Opizzo Fieschi, cugino dell'arcidiacono di Reims, quando il cardinale Gerardo da Parma è di ritorno
dalla sua legazione proprio a Reims, e si appresta a contribuire al trattato di pace con l'Aragona. Infatti
il 23 aprile 1290 Carlo II d'Angiò si incontra a Figuéres con re Alfonso III d'Aragona in preparazione
del trattato di Brignoles-Tarascona del 19 febbraio 1291, presente il cardinale Gerardo, ottenendo la
neutralità del sovrano aragonese e l'isolamento di Giacomo II d'Aragona re di Sicilia. Ma la morte di
Alfonso nel seguente giugno e la salita del fratello Giacomo sul trono aragonese rimette tutto in
discussione.
I cartulari notarili genovesi pervenutici, contenenti un consistente numero di atti rogati in Gaeta e in
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Napoli (questi ultimi recanti la significativa data topica in logia Communis Ianue) risalgono
rispettivamente al 1294 e al 1297-98. Ciò costituisce indice del ristabilimento di relazioni
commerciali, probabilmente comprendenti anche la restituzione di antiche proprietà, già prima che le
relazioni politiche fossero definitivamente ripristinate dal trattato di pace angioino-genovese stipulato
il 2 giugno 1300 e rinnovato il 9 maggio 1301, dopo una breve crisi nella quale Federico III di Sicilia
– fratello di Giacomo, a sua volta isolato nella guerra contro gli Angiò - aveva tentato di inserirsi
offrendo – con la missione diplomatica guidata da Enrico II di Ventimiglia – gli antichi privilegi.
Sono questi gli anni dove i nodi vengono al pettine, ad una decina d'anni dai Vespri i conti di
Ventimiglia, sia pure tra le mille difficoltà incarnate dal tremendo blocco di potere franco-papale,
hanno iniziato a vedere i frutti dell'adesione al progetto imperialistico aragonese che sta assumendo
gradualmente l'egemonia politico-economica nello scacchiere mediterraneo. Nel marzo 1293,
Giacomo II d'Aragona, ad esempio, propone a Mariano II de Bas - giudice d'Arborea, parte di Cagliari
e Torres e vicario pontificio in Logudoro - tramite un suo nuncio, il matrimonio suo o del figlio con
una figlia di Eudossia Làscaris, probabilmente si tratta di Làscara, vedova dal 1288 del conte di Pallars
Sobirà ( dal quale ebbe le figlie Sibilia, Gerarda, Violante e Beatriz de Comenge ). Mariano secondo il
cronista Villani fu “uno de' più grandi e possenti cittadini d'Italia, tenente in Pisa numerosa corte e
codazzo di cavalieri, che seco lui rumoreggiavano per quelle vie”:
Item diga lo dit Berenguer Dezmas al dit en Maria que con lo dit senyor Rey aia entes elle essere sens
muller que ha entes et te per bo si ell o vol, que ell faça matrimoni entre ell et la filla de la Infanta de
Grecia que es de alta sanch et de grand linatge, et si ell no volia pendre muller on volia dar a son fill,
que tendria el senyor Rey per bo quel dit matrimoni se fahés et complis entrel dit fill seu et la filla de
la dita infanta de Grecia ( J. Miret y Sans. Nuevos documentos de las tres princesas griegas, “Revue
hispanique”, 19 ( 1908 ), p. 135 ).
La proposta di unire Pallars e Bas, probabilmente, aveva come prospettiva rafforzare la parte
aragonese nella guerra con la Francia-Navarra che aveva occupato la valle pirenaica di Aran e parte
della contea di Pallars, nonché allontanare una possibile alleanza dei Bas con un lignaggio pisano, in
vista della conquista della corona di Sardegna, che giungerà per Giacomo II nel 1297, in cambio della
rinuncia alla Sicilia e dell'isolamento del fratello Federico. Negli stessi anni delle trattative siciliane
Giacomo II intavola colloqui per risolvere la guerra pirenaica, ma senza soluzioni:
Durant quinze anys, nombroses ambaixades al rei de França, al Papa i a altres personalitats
intentaren pressionar per obtenir la resolució del cas de la Vall d’Aran. Una d’aquestes ambaixades,
portada a terme pel famós metge i filòsof Arnau de Vilanova, el 1299, conduí a la celebració d’una
reunió a Montpeller entre delegats dels dos regnes, entre 1300 i 1301, en la qual es tractaren tant la
devolució de la Vall d’Aran com les invasions del comtat de Pallars per un noble occità, Arnau
d’Espanya, com les vexacions als mercaders catalans que comerciaven a Occitània; Jaume II
comptava que la reunió acabaria amb la devolució de la Vall d’Aran, però no s’hi resolgué res ( M.
T. Ferrer i Mallol, L’ocupació francesa de la Vall d’Aran el 1283 i la devolució de 1313 al Tractat de
Poissy, in La reintegraciò de la Vall d'Aran a Catalunya, a cura di P. Benito Moncluis [ et al.],
Barcellona 2015, p. 32 ).
In ogni caso, la contessa di Pallars resta tra i maggiori esponenti dell'aristocrazia aragonese. Làscara di
Ventimiglia, «dona altiva i batallera», aliada de Ramon d'Urtx [ il tutore delle figlie n.d.r. ] i que
sovint plantava cara als oficials reials i al mateix Jaume II ( I. M. Puig i Ferreté, La casa comtal del
Pallars, senyora de Berga i de la baronia de Mataplana als segles 13.-14., in 23. Assemblea
intercomarcal d'estudiosos, Berga 1982, p. 123 ). Ad esempio, nel novembre del 1295 Làscara
Làscaris di Ventimiglia – nella sua qualità di contessa di Pallars – è invitata, con i proceres del regno,
alla vista di Jonquera-Vilabertrán con Carlo II d'Angiò, per ratificare e applicare il trattato di Anagni
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tra Giacomo II e papa, re di Francia e di Sicilia. La Ventimiglia riceve dal tesoro reale, nel successivo
dicembre, un rimborso di quattromila soldi barcellonesi per la trasferta sua e dei cinque cavalieri della
scorta. Nondimeno, Giacomo II le fece pagare il suo caratterino, una volta devoluti i suoi poteri alla
figlia e al genero: finirà prima, nel 1296, ai temporanei arresti domiciliari a Lleida, poi rinchiusa nel
1309 nel Convento di S. Maria de Jonqueres a Barcellona, come canonichessa di S. Giacomo della
Spada, per lo scandalo destato dal suo amore con l'ammiraglio Bernat de Sarrià, grande condottiero e
diplomatico, procuratore generale dei regni di Murcia e València ( S. Pèquignot, Au nom du roi.
Pratique diplomatique et pouvoir durant le règne de Jacques II d'Aragon, Madrid 2009, p. 339; P. M.
Orts i Bosch, La carta de poblament de Benidorm i l'almirall Bernat de Sarrià, València 19983;
M- Garcia i Asensi, A. Richaud López, El monasterio de Sant Pere de la Portella en su territorio (
siglos 13.-14. ), in Landa eta hiria: tentsioan dauden munduak ( 12.-15. mendeak ), '44. Erdi Aroko
Ikerlanen Nazioarteko Astea', Estella-Lizarra 2017ko uztailaren 18/2, Iruña 2017. p. 263-266 ).
Arnau Roger I va succeir el seu pare l’any 1256 i fou un dels protagonistes de les rebel·lions nobiliàries esdevingudes
entre 1275 i 1280. El rei Jaume I el nomenà l’any 1275 tutor d’Ermengol i d’Àlvar d’Urgell. Concedí als seus germans
Bernat Roger i Bernat de Comenge diversos territoris en feu. Fou un fidel col·laborador del rei Jaume I, el qual el féu
casar, en segones núpcies, amb Làscara de Ventimiglia, filla de la princesa bizantina Eudòxia Làscaris. Acompanyà al
rei Pere II en les seves campanyes a Tunis i Sicília. Aprofitant la seva llunyania del soli pallarès, els Comenge envaïren
el Pallars per primera vegada. Arnau Roger I va morir quan tenia uns cinquanta-quatre anys sense descendència, de
manera que el comtat passà a mans del seu germà Ramon Roger I, però els Comenge intentaren obtenir el tron
pallarès envaint el comtat per segona vegada [ ... ] A la mort de Ramon Roger I, els Comenge intentaren de nou envair el
Pallars, per la qual cosa el rei Jaume II, va retenir el comtat l’any 1296, ja que encara no havia estat lliurat a Sibil·la.
Sibil·la ( 1295-1330 ) va haver de vendre’s el domini directe del Pallars Sobirà, a canvi de la defensa i protecció per
part del rei Jaume. Així, el monarca obtenia el control de tota la frontera superior i el contacte amb Occitània i
incorporava a la corona aquest comtat independent. ( J. M. Palau i Baduell, La moralitat dels clergues i laics
als Comtats de Pallars através de les visites pastorals de 1314 i 1315, Màster de Cultures Medievals, Universitat de
Barcelona, Gener 2009, p. 14 - 15 ).
Fra il 19 ottobre 1299 e il dicembre 1301, con in mezzo il trattato di Catania del 19 agosto 1301, si
pone la seconda legazione in Sicilia del cardinale di Parma, il quale, in oltre due anni di permanenza in
Sicilia, avrà avuto modo di conoscere e apprezzare Enrico II di Ventimiglia. Questi, sulla scia delle
proposte di pace del legato apostolico, richiese la restitutio in integrum dei beni – compresa
l'importante contea di Ischia – a Carlo II d'Angiò, ottenendone due privilegi del 28 luglio 1300, uno
che garantiva la successione ai figli dell'anziano conte di Ischia e Geraci, l'altro la restituzione dei beni
feudali, che fu concessa, eccettuata Ischia, importante centro marinaro di commercio e produzione
dell'allume, caduta nel luglio 1299 in potere angioino.
Per inciso, rammentiamo che la cognata di Enrico II di Ventimiglia – moglie del fratello Filippino – fu
Iliana, appartenente alla nobile schiatta dei Della Volta, visconti di Genova e monopolisti del
commercio dell'allume nel Mediterraneo insieme con gli Zaccaria – e Benedetto Zaccaria fu
procuratore di Anna-Costanza Staufen in Aragona - possedendo, tra l'altro, l'importante emporio
asiatico di Nuova Focea. E nel 1281 Filippo della Volta riacquista dal nipote Filippino di Ventimiglia
quota dotale dei pedaggi di Voltaggio ( R. Pavoni, E. Podestà, La valle dell'Orba dalle origini alla
nascita degli stati regionali, Ovada 2008, p. 214 ). Giovanni Della Volta in València sin dal 1277
detenne licenza di esportare grano. Dipendenti del colarium di Nuova Focea, dove si produceva
l'allume, provenivano intorno al 1360 dalle terre dei conti di Ventimiglia, come Antonio di Gorbio da
Ventimiglia e Nicolò da Conio ( Ph. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their
administration of the island, 1346-1566, Londra, New York 1958, 3. Notarial deeds, p. 544; R.
PAVONI, I de Volta nell’età consolare: una vicenda esemplare, in I Cattaneo Della Volta. Vicende e
protagonisti di una millenaria famiglia genovese, a cura di E.Chiavari Cattaneo Della Volta, A.
Lercari, Genova 2017; B. Bernabò, I legami dei de Volta con i Fieschi, conti di Lavagna, e il
loro insediamento nella Diocesi di Brugnato, in I Cattaneo Della Volta. p. 55-59 ).
Un protocollo notarile del 1264 ci informa che Guglielmo Pietro di Ventimiglia, in Genova,
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raccoglieva finanziamenti e si poneva come garante per la restituzione dei prestiti dei banchieri
genovesi al sovrano castigliano, in particolare per 589 dobloni ( 2344 genovini d'oro ). Ugo Vento - di
famiglia vassalla dei Conti di Ventimiglia per i castelli di Mentone e Roccabruna - era
contestualmente nominato Grande Ammiraglio del Regno di Castiglia. Al 31 marzo 1268 risale un
contratto di cambio tra il conte Guglielmo Pietro - affiancato dal socio Borgognone Embriaci - e i soci
Israele di Giacomo Vento e Bartolino Silvagno, in cui il conte di Ventimiglia dichiara di aver ricevuto
600 lire genovesi e si impegna a pagare in Murcia 3600 bisanti, con la clausola di corrispondere
ulteriori soldi 5 e denari 6 di Genova per ogni bisante eventualmente non restituito in Spagna. L'atto è
interessante poiché prova il legame dei Conti di Ventimiglia con il casato patrizio degli Embriaci mercanti di pannilana e signori feudali in Terrasanta -. Nonché con i Vento, come gli Embriaci, Doria,
Zaccaria e Spinola, appartenenti al clan-albergo dei Della Volta, formato da famiglie discendenti dai
Visconti di Genova, dominanti, per larga parte dei secoli XII-XIII, la Compagna genovese e l'attività
commerciale e bancaria di questa repubblica ( A. Busson, Die Doppelwahl des Jahres 1257 und das
römische Königtum Alfons X. von Castilie, Münster 1866, p. 89; M. G. Canale, Storia politica,
commerciale e letteraria della Repubblica di Genova, dall'origine fino al 1340, Capolago 1851, 3., p.
24 ).
Scorcio della fortezza di Jàtiva, città famosa
per la produzione ed esportazione di carta,
tessuti di porpora e seta, “lo pus reial castell
que nult hom haja, ço es, negun rei”, .
secondo il cronista Muntaner, in possesso di
Eudossia, contessa di Ventimiglia, dal 1286
al 1311. Il Castillo Menor con otto torri era
unito al Castillo Major, con venti torri, dalla
Plaza de armas su cui sorgeva la Capilla de
Santa Ana. Fu considerato strategicamente
importante come porta d'accesso naturale al
Regno di Castiglia.
20. Conclusioni
L'accordo di Catania del 1301, come
quello di Brignoles-Tarascona del
1291, costituiscono i termini del
contributo del cardinale Gerardo - legato a Reims e poi in Sicilia e già disponente delle reliquie di s.
Maria Maddalena, trasferite a Roma dalla Provenza, pur risultando estremamente preziose per il loro
scopritore Carlo II d'Angiò – termini cronologici entro cui la reliquia di s. Anna e la miracolosa statua
della Mare de Deu – in pretto stile gotico francese – poterono entrare nella trattativa con i Ventimiglia
di Geraci e i Làscaris di Ventimiglia in Catalogna, sia per il loro ruolo diplomatico nella composizione
della Guerra del Vespro, sia per la loro stretta relazione con gli Angiò, prigionieri nei castelli di Cefalù
e Siurana, e con i nipoti di Luigi IX Capeto ospitati per sette anni nel castello ventimigliano di
Jàtiva/Xàtiva.
Il principe di Taranto poco esperto nelle cose strategiche si risolse di sbarcare a Trapani nel Val di
Mazzara. Federico trincerato in Castrogiovanni spiava tutti gli andamenti del nemico per quindi
coglierlo alla sprovvista. Affrontatisi i due eserciti nella pianura di Falconara ( fra Marsala e
Mazzara ) ne seguì vivissima battaglia addì I dicembre, che riuscì fatale agli angioini. Da due ferite
rimase offeso il re Federico nella faccia e nella destra. Filippo di Taranto sconfitto e ferito
mortalmente, vi sarebbe stato ucciso dal catalano Martino Perisderos se non accorreva a tempo il re
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Federico che gli salvò la vita. Nulla di meno, quel principe divenne prigioniero del re Siciliano,
assiem con dugento cavalieri scampati dalla morte, che menati furono nella fortezza di Cefalù.
All'annunzio della rotta di Falconara, papa Bonifacio ne sentì il più vivo cordoglio, riguardando egli i
Francesi come naturali protettori de Guelfi. Ma non fu questo il solo rovescio provato dagli Angioini
in quella spedizione: perciocché avendo il Loria stimato opportuno condursi in Napoli, sì per
rinfrancarsi della rotta, che per trovare i mezzi come proseguire la guerra con vigore, scongiurò il
duca di Calabria e gli altri capitani di nulla intraprendere, se pria non fossegli ritornato con qualche
rinforzo. Ma questo consiglio del Loria non fu adempiuto; poichè il duca Roberto sopraffatto da uno
stratagemma del castellano di Gallerano [ Gagliano n.d.r. ], che con false cifre l'offriva la resa di quel
castello, vi spedì delle milizie sotto gli ordini di Ugo da Brenna [ recte Gautier V de Brienne n.d.r.
] conte di Lecce a prenderne il possesso. Fu fortuna pel duca di Calabria il non andarvi, perché
trattenuto dalle preghiere di Violante sua moglie. Il conte da Brenna fu a tempo avvertito da guida
fedele a dover declinare il cammino; ma ei con temerità e disprezzo dirittamente marciando cadde in
agguato tesogli dal capitano Blasco d'Alagona. Si combattè alla disperata, e le genti del duca di
Calabria non potendo serbar ordinanze per lo disuguaglio del luogo, urtarono a corpo perduto,
restando quasi tutte trucidate o prigioni collo stesso conte da Brenna. ( Camera, Annali delle Due
Sicilie, p. 63 ).
Nel frattempo Filippo di Taranto si scontrò con Martino Peres de Ros, per caso. Martino, ignaro
di chi fosse il suo avversario, colpiva il principe con la mazza nel tentativo di abbatterlo. Quest’ultimo
riuscì a ferire il suo avversario, con ripetuti colpi di pugnale, tra il mento e le labbra. L’altro ferì
leggermente al volto Filippo. I due, azzuffatisi, precipitarono a terra. Il principe, temendo di essere
assassinato da una mano ignobile, invocando la Madonna, svelò la sua identità. L’aragonese, che era
sul punto di tagliargli la gola, arrestò il colpo e chiamò Blasco, che combatteva lì vicino. Questi,
riconoscendo il principe, ordinò agli almogavars Domenico Gilio e Arnaldo Fusterio di ucciderlo,
così da vendicare la morte di Corradino ( Mancuso, La battaglia della Falconaria, p. 20 ).
Negli stessi anni della legazione di Gerardo da Parma, dopo le battaglie di Falconaria e Gagliano del
1299, nella Cefalù abbellita dal sontuoso palazzo di Enrico II di Ventimiglia - detto Osterio magno - e
dai suoi lavori al duomo normanno, era tenuto prigioniero altro figlio di Maria Arpad e Carlo II
d'Angiò, ovvero Filippo, principe di Taranto, principe d'Acaia e duca d'Atene, vicario generale dei
regni di Sicilia e Albania, marito di Thamar Doukagina Angelina - matrimonio da porre tra l'11
ottobre e il 17 novembre 1294 -. Thamar è la figlia di secondo letto di Niceforo despota di Epiro, già
marito di Maria Làscaris, sorella della contessa di Ventimiglia. Maria II Angelina Doukagina, la figlia
di Maria Làscaris - ossia la nipote della contessa di Ventimiglia - sposa, intorno al 1292/93, Giovanni I
Orsini, conte palatino di Cefalonia, dai quali nasceranno Nicola e Giovanni II Orsini, despoti di Epiro
e Margherita Orsini. Quest'ultima sposerà Guglielmo di Tocco, governatore dell'isola di Corfù e
ciambellano di Filippo I d'Angiò principe di Taranto. Dalla coppia Orsini - di Tocco discenderanno i
futuri despoti di Epiro. A fine Trecento, Enrico III di Ventimiglia, conte di Geraci, sposerà Giovanna
di Tocco - figlia di Leonardo I conte di Cefalonia - mentre Carlo II di Tocco, despota di Epiro, intorno
al 1430, sposa Raimondina di Ventimiglia - nipote abiatica di Enrico III -. Come si può osservare la
relazione tra i conti di Ventimiglia e i despoti di Epiro costituisce una struttura parentale e politica di
lunga durata che non è possibile relegare e catalogare in un rapporto episodico. Con i conti di
Ventimiglia i di Tocco condividevano il culto familiare per s. Anna e nel loro palazzo napoletano,
detto 'del Santo Piede', conservarono la reliquia del piede destro della santa ( Acta sanctorum..., a cura
di G. Carnandet, Iulii, 6., Parigi, Roma 1868, p. 258; ô pere ‘e Sant’Anna secondo l'espressione
vernacolare; W. Miller, The Latins in the Levant. A History of Frankish Greece (1204-1566), Londra
1908, p. 485 ). Da notare, infine, il matrimonio di Caterina Angelina Doukagina - altra nipote di
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Eudossia e sorella di Maria - con Federico infante di Castiglia, fratello di Alfonso X ( B.
Osswald, S'assimiler pour régner? Le cas des souverains italiens de l’Épire ( 14.- 15. siècles ),
in Élites chrétiennes et formes du pouvoir en Méditerranée, p. 313 - 352 ).
Il ciclo di s. Anna presso S. Maria del Casale in
Brindisi, della fine del XIII sec. In Brindisi
l'arcidiocesi di Monreale - che osserveremo
collegata all'arrivo in Sicilia delle reliquie di s.
Anna - deteneva nello spirituale e temporale le
chiese di Santo Spirito e S. Angelo de' Campi.
Per il culto di s. Anna, interpretabile quale
legame religioso e culturale fra stirpi
consanguinee, si possono considerare i cicli
pittorici di fine Duecento della chiesa di S. Maria
del Casale di Brindisi, e della stessa S. Anna di
Brindisi, correlati alla temperie culturale e al culto stesso dell' Immacolata Concezione lauretana,
inserito nell'ambiente cortigiano principesco tarantino di Filippo I d'Angiò ( G. Curzi, Santa Maria del
Casale a Brindisi. Arte, politica e culto nel Salento angioino, Roma 2015 ).
Il sacro luogo fu edificato attorno una miracolosa icona bizantina della Madonna. L'alone di sacralità
inerente al matrimonio tra Filippo e Thamar è ben espresso dal Chartularium Culisanense - un
documento frettolosamente da taluni indicato come spurio, ma che contiene sicuri elementi di
autenticità storica - . Uno dei documenti raccolti nel Chartularium di Collesano è l'elenco dei beni
portati in dote da Thamar allo sposo, tra i quali compaiono alcune pietre della casa di Maria, che
avranno ricetto come reliquie nel famoso santuario di Loreto, partite tra il 9 e il 10 dicembre 1294,
dopo essere state depositate a Tersatto dal 10 maggio 1291, e giunte a Loreto nel 1294/1295, secondo
un documento trecentesco. Il documento dotale del settembre 1294 cita dunque Sanctas petras ex
domo dominae nostrae deiparae Virginis ablatas e una icona bizantina Ligneam tabulam appictam
ubi domina deipara Virgo puerum Iesu dominum ac servatorem nostrum in gremio tenet. Nessun
riferimento alla casa dell'Annunciazione di Nazareth, come invece nella leggenda tradizionale
lauretana. Una chiesa crociata del XII secolo dedicata a s. Anna è invece costruita a Sepphoris, sei
chilometri a nord di Nazareth, su una delle abitazioni attribuite a Gioacchino e Anna. La chiesa di
Sepphoris appartenne sino al 1263-1266 all'arcivescovo di Nazareth, ma successivamente fu occupata
dai musulmani del sultano cumano Baybars - insieme alla vicina area di Nazareth - quindi l'eventuale
trasporto della casa di Anna e Maria non poté avvenire nel 1291 come sostenuto dalla storiografia
lauretana, ma molto probabilmente fu antecedente. ( D. Pringle, The churches of the Crusader
Kingdom of Jerusalem: a corpus, 2., l-z ( excluding Tyre ), Cambridge, New York 1998, p. 210; C.
Murphy, The Word According to Eve: Women and the Bible in Ancient Times and Our Own, Boston
2015, p. 152 - 153 ).
La primitiva tomba della Vergine - due-trecento metri a occidente della Valle Giosafat - nella cripta di S. Anna di
Gerusalemme, la vera casa di Maria da cui deriva probabilmente la Casa di Loreto: Incipit tractatus alius de locis
Terræ Sanctæ per me Franciscum Pipinum visitatis ( 1320 ): Et primum igitur visitavi loca ubi fuit domus S. Ioachim, ubi
nata est beata virgo Maria, et ibi vidi et tetigi sepulcrum in quo corpus est beatæ Annæ (matris) Mariae ipsius. Otto de
Nyenhusen, Liber de quibusdam ultra Marinis partibus et de praecipue Terra Sancta ( 1332 ): Ibi enim ecclesia Beatæ
Annæ, aviæ Christi;'satis pulchra est, contigua Probaticæ Piscinæ, ubi beata Virgo concepta et nata fuisse dicitur (
H. Vincent, La crypte de Sainte-Anne a Jérusalem." Revue Biblique ", 1., 2, ( 1904 ), p. 228–241 ).
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La chiesa di S. Anna di Sepphoris o
quella di Gerusalemme, edificate sui
rispettivi luoghi di nascita di Anna e
Maria, secondo il Protovangelo di s.
Giacomo, in realtà possono
identificarsi con la casa dove nacque
la figlia Maria; infatti, Loreto fu sede
cultuale della Concezione di Maria no
dell'Annunciazione ( G. Santarelli, La
santa Casa di Loreto, Loreto 2006, p,
240-241; sulla plausibile autenticità
dei documenti di Collesano, copie
ottocentesche, vedi Y. M.
Bercé, Loreto nel 16. e 17.
secolo, Loreto 2012: "le donazioni che
nel chartularium riguardano eventualmente le origini della devozione lauretana, sono dei fatti
storicamente verificabili"; B. Frale, "Redeat nobis quod sacrum est". Una lettera sulla presenza della
Sindone in Atene all'indomani della Quarta Crociata, "Aevum", 86 ( 2012 ), pp. 589-641 ). Nella
notte della vigilia, tra il 9 e il 10 dicembre, dopo la solenne celebrazione dell’Immacolata Concezione,
in tutte le Marche e nelle regioni circonvicine è ancora viva la tradizione popolare di accendere grandi
falò ( chiamati “focaracci” ) per “rischiarare idealmente il cammino della Santa Casa”; si tratta dei
fuochi della notte della Venuta, intendendo per “Venuta” l’arrivo della Santa Casa di Gerusalemme (
Nazareth nella vulgata ) nel territorio marchigiano, ricordata come avvenuta storicamente tra il 9-10
dicembre 1294.
La chiesa di S. Anna di Gerusalemme,
ricostruita intorno al 1131-38 su una
precedente basilica bizantina chiamata S.
Maria in Probatica -. Nella navata di
destra, una scala conduce alla cripta ove i
crociati localizzavano l'abitazione di s.
Anna e s. Gioacchino. La cripta è formata
da antiche grotte; quella centrale è
dedicata a Maria Bambina. L'annesso
monastero ospitò Arda d'Armenia e poi
Adelaide del Vasto, mogli di re Baldovino II
de Bourcq. Adelaide, gran-contessa di
Sicilia, ripudiata, prima di imbarcarsi per
il ritorno, fece voto di fondare due chiese;
il voto realizzato dal suo vassallo Eléazar
de Boulèvrier - signore di San Filippo
d'Argirò e Galati - portò alla fondazione del priorato di S. Anna di Galati, presso cui a fine Duecento si insediò l'eremita
s. Guglielmo da Polizzi, compatrono di Castelbuono insieme a s.Anna. Dopo il 1187 le monache da Gerusalemme
passarono ad Acri.
Se la chiesa di Sant’Anna sorge nel sito stesso, in cui era la casa di Gioachino, e dove nacque Maria,
conviene credere inoltre, che ivi sia pure dove la Vergine benedetta fu concepita senza macchia di
colpa. Infatti dal tempo, in cui l’opinione di quel concepimento immacolato si stabilì e diffuse per
tutta la Cristianità, per opera massimamente della scuola francescana, la più parte degli scrittori di
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Terrasanta, presero a designare la chiesa di Sant’Anna, non più solo quale luogo della nascita, ma sì
ancora quale luogo della concezione di Maria. Il primo a farlo pare sia stato sul principio del secolo
quattordicesimo Guglielmo Baldensel, le cui parole già furono da noi trascritte. Ma se sino ai giorni
nostri i cattolici venerarono quel luogo anche per questo titolo, che ivi era stata concetta
l’immacolata madre di Dio, in quanto maggiore venerazione debbono tenerlo adesso, che
quell’opinione così gloriosa alla dignità della Vergine Madre è stata dichiarata dogma di nostra
fede! ( A. Bassi, L’antica chiesa di S. Anna di Gerusalemme proprietà della Francia sotto Napoleone
III, Gesusalemme 1863, p. 89-90 ).
La problematica della liberazione del principe Filippo - sembrerebbe molto sensibile al culto di s.
Anna stando al Carthularium Culisanense - fu affrontata al primo maggio del 1301 dall'ambasciatore
Enrico II di Ventimiglia, conte d'Ischia e Geraci, insieme a Arnau de Reixac/Rexac tesoriere del
Regno di Sicilia e arcidiacono di Jàtiva - probabilmente in contatto con Eudossia Làscaris, signora di
Jàtiva ed esponente del lignaggio Doukas patrono del Theotokos Pammakaristos, come sopra
osservato il santuario che conservava le reliquie di s. Anna in Costantinopoli -. Questo avvenne nelle
trattative di Federico III d'Aragona con il Comune di Genova, proponendo appoggio diplomatico per
la restituzione a Genova del porto, castello e distretto di Monaco - frazione dell'antico Contado di
Ventimiglia - da parte di Carlo II d'Angiò. Nondimeno, Genova trattava contemporaneamente con gli
ambasciatori angioini, che pochi giorni dopo, il 4 maggio 1301, consegnavano Monaco ai Genovesi,
svuotando così di efficacia la carta giocata dal conte Enrico. Già nel dicembre 1300, Cristiano Spinola
- il protettore degli interessi di Eudossia Làscaris in Genova - scriveva a Giacomo II della vitale
importanza di Monaco per i Genovesi e del concreto rischio per Federico III di perdere il loro
appoggio militare e mercantile, se questi fossero stati indotti dal re di Francia ad accordarsi con gli
Angiò: facta domini regis Federici fratris excellentie vestre essent in maxima adventura ( Petti Balbi,
Governare la città, p. 175 ).
Item quod dictus dominus rex [ Federico III d'Aragona-Sicilia n.d.r. ] dabit seu tenebit et custodiet ad
voluntatem dicti comunis in sua fortia et virtute, sicut nunc tenet et custodit infrascriptos incarceratos
qui sunt in fortia et posse ipsius domini regis, nec ipsos vel aliquem ipsorum relaxabit vel relaxari
faciet vel liberabit seu liberare faciet nisi prius recuperatis per dictum comunem Ianue castro
Monachi et aliis castris pertinentibus ad comune predictum, et liberato domino Conrado Aurie et eius
fratre et consanguineis et aliis Ianuensibus qui detinentur per dictum regem Karolum seu per
Grimaldos vel per eorum sequaces et fautores. Nomina incarceratorum sunt hec: Philuppus, filius
dicti regis Karoli, qui dicitur princeps Tarentinus, comes Brende [ Gautier V de Brienne, futuro duca
d'Atene n.d.r. ], Rogerius de Sancto Severino, filius comitis Thomasii de Sancto Severino, Iohannes de
Iamvilla [ Jean II de Joinville cugino dei conti di Porcéan che dispongono del cranio di s. Anna in
Reims e Soissons n.d.r. ] et alii usque ad quindecim. ( I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a
cura di E. Pallavicino, Roma 2001, 1.7., p. 377 ).
Ad Arnau de Rexac, arcivescovo di Monreale dal 1302 - fratello di Guillem console dei mercanti
catalani in Sicilia - il suo amico Ramon Llull dedicava l'opera LLibre sobre la manera nova de
demonstrar:
Praeterea supplicat Raimundus illustrissimo domino Frederico magnifico, discreto, liberali pariter et
fideli Dei gratia regi Siciliae, et etiam discreto domino, provido et maturo, virtutibus insignito domino
Arnaldo de Rexac, Dei gratia archiepiscopo Montis Regalis, quod istum librum sua auctoritate
promoveant et publicent, in tantum, quod Iudaei coacti intelligant istum librum, et respondeant
rationibus supra dictorum argumentorum ( E. Pistolesi, Alla ricerca dell'autore: un percorso fra
dediche. Filologia e tradizione, in Ramon Llull, pensador i escriptor, 'Barcelona, 17-18 de novembre
de 2016', a cura di L. Badia, J. Santanach i Suñol, A. Soler i Llopart, Barcellona, Palma 2018, p. 118,
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125 ).
Ed Arnau fu l'uomo incaricato dei rapporti con gli Spirituali - che assolse in un processo
certificandone la ortodossia - e il Papato da parte di Federico III. Filippo di Taranto fu prigioniero
nella Rocca di Cefalù, accanto alla cappella di S. Anna, ovvero in una città dove si realizzava
il transfert con i luoghi sacri di Terrasanta. Il sottostante sagrato del Duomo di Cefalù - ristrutturato
per intervento di Enrico II di Ventimiglia sin dagli anni Sessanta del Duecento - e antico cimitero
pubblico, secondo la tradizione, fu costituito con la Terra Santa di Gerusalemme fatta venire, per
volontà di Ruggero II, da quella località, chiamata Aceldama, che accolse il cadavere di Giuda in una
fossa pagata con i trenta denari, prezzo del suo tradimento. Insieme all'arena di Terrasanta gli
Hauteville, secondo la tradizione, ebbero a importare da Gerusalemme e inserire nella cattedrale
cefaludana reliquie del Santo Legno della Croce, delle Sacre Spine - in parte trasferite dai conti di
Ventimiglia in Gratteri, anche se sospetto che queste giunsero soltanto intorno al 1302, insieme al
teschio di s. Anna - e una serie di altre reliquie: il pane dell'Ultima cena, frammenti della colonna della
flagellazione, reliquie dei patriarchi Abramo e Isacco, ss. Pietro e Paolo, s. Matteo, s. Maria
Maddalena e nel vicino Santuario di Gibilmanna - dipendente dal XIII al XVI secolo dai canonici
agostiniani della cattedrale - si aggiunse un frammento del cranio di s. Anna dono dei conti di
Ventimiglia ( D. Ciccarelli, Domino Frederico…domino Arnaldo de Rexac archiepiscopo Montis
Regalis, in Il Mediterraneo del '300: Raimondo Lullo e Federico III d'Aragona, 'Atti del Seminario
internazionale di Palermo', Castelvetrano - Selinunte (TP), 17-19 novembre 2005, a cura di A. Musco,
M. Romano, Turnhout 2008, p. 85-98.)
Filippo rimase prigioniero in Sicilia dal dicembre 1299 sino all'autunno del 1303 ( A.
Kiesewetter, Filippo I d’Angiò, imperatore nominale di Costantinopoli, in Dizionario biografico degli
Italiani, 47, Roma 1997, p. 717-723: 718 ). Carlo II d'Angiò tentò di parare ulteriormente il colpo di
Enrico II di Ventimiglia, il giorno dopo la restituzione di Monaco ai Genovesi. Infatti, il 5 maggio il re
di Napoli rilevò tutti i crediti, per somme prestate dai Genovesi, nei confronti di un Guglielmo di
Ventimiglia, che potrebbe identificarsi con uno dei figli di Enrico II, in vista forse di offrire un riscatto
per il figlio prigioniero, o comunque di far pressioni sull'ambasciatore 'siciliano' ( Gioffredo, Storia
delle Alpi Marittime, col. 681-682 ). Se Pietro I d'Alençon aveva sostituito Carlo II d'Angiò nella
"vendetta" per l'uccisione di Manfredi di Svevia, il principe di Taranto fu salvato dalla "vendetta" per
l'uccisione di Corradino di Svevia. Non è questa una motivazione irrilevante per considerare la
reliquia di s. Anna, un prezioso dono ai conti di Ventimiglia; feriti dalla pardita di Giacomo e Aldoino,
privati della contea di Ischia da Carlo II, ma con la promessa - esplicitata nel privilegio del 1300 - di
una compensazione nel caso rientrassero nei ranghi angioini. Il rilievo dei debiti del Ventimiglia
potrebbe non essere estraneo al passaggio delle reliquie di s. Anna dai Capetingi ai conti di
Ventimiglia, se ricordiamo, ad esempio, l'arrivo delle reliquie della Passione e della Sacrosanta
Corona di Cristo alla Sainte-Chapelle di Parigi, in circostanze paragonabili, anche se di segno
opposto. Verso il 1063 la Corona fu portata a Costantinopoli e là rimase certamente fino al 1237,
quando l’imperatore latino Baldovino II de Courtenay la consegnò in pegno ad alcuni mercanti
veneziani, ottenendo un considerevole prestito ( una fonte parla di 13.134 monete d’oro ). Alla
scadenza del prestito, il re Luigi IX di Francia, sollecitato da Baldovino, acquistò la Corona e la portò
a Parigi, ospitandola nel proprio palazzo finché non fu terminata la Sainte-Chapelle, inaugurata
solennemente nel 1248 ( C. Mercuri, Corona di Cristo corona di re. La monarchia francese e la
Corona di Spine nel Medioevo, Roma 2004, p. 106 ).
Gaucher V de Chatillon sfida a duello Pietro III d'Aragona e lo ferisce, durante l'assedio di Girona, intorno al 15 agosto
del 1285 ( Biblioteca apostolica vaticana, Nuova cronica. ms. Chigiano L.VIII.296, f.137v ).
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Altro legame con Reims dei conti di
Ventimiglia, oltre quello del cardinale
Gerardo, è costituito dal più abile e
autorevole dei diplomatici capetingi,
già protagonista della liberazione di
Carlo II. Infatti, all'epoca il patronato
della Cappella di S. Anna di Reims è
possesso di Gaucher V de ChatillonPorcéan. Lo Chatillon fu presente da
donzello alla Battaglia di Tagliacozzo
nel 1268 e poi, armato cavaliere,
all'invasione angioina della Sicilia.
Gaucher è nipote di Ugo I de
Chatillon - conte di Blois e Saint-Pol,
quindi erede in partibus del ducato di Nicea - e marito dal 1276 della capetingia Isabelle de Dreux,
nipote dell'arcivescovo fondatore della Cappella di S. Anna di Reims. Gaucher fu conte di Porcéan,
signore di Chatillon, Crécy - con patronato sulla locale Cappella di S. Anna - Crèvecouer, Croissy,
Gandelu - con Cappella di S. Anna - Marigny, Pontarcy, quest'ultima signoria ottenuta nel 1280 da
Pietro I d'Alençon - marito della cugina figlia dello zio Giovanni I, Giovanna de Chatillon contessa di
Blois, Chartres e Dunois - in cambio di Bohain e Sains. Queste ultime signorie furono ottenute da
Gaucher come parte dell'eredità del nonno Ugo I, della cugina del padre Mahaut d'Amboise
contessa di Chartres e dello zio Ugo
II de Chatillon. Dopo il 1292
Gaucher ereditò pur dalla cugina
Giovanna contessa di Blois e
Chartres. Gaucher fu connestabile di
Champagne, nominato da Filippo il
Bello governatore di Navarra e dal
1302 connestabile di Francia,
divenne poi il potente reggente del
Regno di Francia. Lo Chatillon fu
pur l'abile diplomatico dei trattati
con l'Aragona.
L'incipit del poeta dei cicli arturiani e
carolingi Girart de Amiens, Meliacin ou le
Cheval de fust; poema - ambientato nella
Grande Armenia - composto intorno
all'anno 1286 e dedicato a Gaucher V de
Chatillon, conte di Porcien ( primo a
sinistra ) e Giovanna de Chatillon contessa di Alençon, Blois e Chartres ( sesta da sinistra ), ovvero i cugini patroni,
rispettivamente, delle cappelle di s. Anna di Reims e Chartres. La scena rappresenta al centro re Filippo IV il Bello,
consolato dai familiari, a seguito della morte del padre nella recente crociata anti-aragonese. Nella realtà storica, gli
Armeni li abbiamo incontrati come alleati del conte di Blois nella conquista del Ducato di Nicea ( BnF, ms Fr 1589, f.
1r ).
Inoltre, rammentiamo che Gaucher - insieme alla cugina Giovanna contessa di Alençon - furono i
consanguinei della contessa Eudossia Làscaris di Ventimiglia, come comuni discendenti da Gaucher I
de Chatillon. La traccia del passaggio della reliquia da Reims a Cefalù fu segnata. Gaucher fu padre di
sette figli, tra i quali: la figlia Giovanna sposò Gautier V de Brienne, duca d'Atene, nipote e successore
del duca Guido II de la Roche, vassallo di Filippo I di Taranto ( le monete tornesi di Gui Dux
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Atenes furono scoperte nella Santa Casa di Loreto negli scavi degli anni 1962-65 ); Elisabetta, fu
badessa di Notre-Dame de Soissons, dove furono conservati i capelli e altre reliquie di s.
Anna; Giovanni II de Chatillon fu Ciambellano e Souverain-Maître d'hôtel del re di Francia e, inoltre,
cavaliere dell'Ordine della Stella, signore di La Ferté e della relativa Cappella di S. Anna.
All'epoca di Arnau de Rexac, arcivescovo di Monreale proveniente dalla Jàtiva di Eudossia Làscaris e
compagno d'ambasceria di Enrico II di Ventimiglia, si pone lo scambio di reliquie da Monreale a Saint
Denis relativamente a parte delle spoglie mortali di Luigi IX di Francia, deceduto per scorbuto in
Tunisia il 25 agosto 1270: Monreale, cedendo le reliquie di Luigi, ricevette in cambio le Sacre Spine
di Cristo e altre sacre reliquie - del Santo Sangue di Cristo, del Latte e dei Capelli della Madonna,
della Manna del deserto - provenienti dalla Sainte-Chapelle. Quindi nulla ci vieta di ipotizzare, in
considerazione dei rapporti dei conti di Ventimiglia con i Capetingi, evidenziati in Aragona, Provenza,
Liguria e Sicilia, che pur il medesimo teschio di s. Anna, nelle circostanze che abbiamo potuto
illuminare, fu innestato nel patto di permuta e transazione politica con re Filippo il Bello e Carlo II
d'Angiò. Ad nos Trinachiae, Carolus rex ille Secundus transtuliit ex Paridiis, qua Urbs regia Galliae
habetur recitava una antica iscrizione in un reliquiario della Santa Spina conservato nei tempi
successivi in Andria, insieme a frammenti della Croce, del Latte e Capelli della Madonna ( E. Merra,
Monografie andriesi, Roma 1906, 1.,p, 126-182 )
I reliquiari di fine Duecento del Santo Sangue di Cristo, Latte e
Capelli della Madonna e della Manna, giunti insieme alle Sacre
Spine in Monreale all'epoca di Filippo IV il Bello (1285-1314),
in cambio di parte del corpo di Luigi IX di Francia, padre di
Pietro I d'Alençon ( foto G. Travagliato ).
( A. Duchesne, Histoire de la Maison de Chastillon sur
Marne..., Parigi 1621, p. 330-351, Preuves du livre
premier, p. 193-215; T. Duplessis, Histoire del l'église
de Meaux, Parigi 1733, 1., p. 266-267; M.
D'Auvigny, Les vies des hommes illustres de la
France, Amsterdam 1760, p. 202; A. Mazas, Vies des grands capitaines français du Moyen Age,
Parigi 18453, 1., Mathieu de Montmorency, Gaucher de Chatillon, p. 154-156; A. Legoy, Gaucher de
Châtillon, comte de Porcien et connétable de France ( 1250-1329 ), Thèse de l'École nationale des
chartes, Parigi 1928; R. C. Famiglietti, Chatillon, in Medieval France: an encyclopedia, a cura di W.
W. Kibler [ et al. ], New York, Londra 1995, p. 403; G. Travagliato, San Luigi: reliquie e
reliquiari tra Terrasanta, Francia e Sicilia, in San Luigi dei Francesi. Storia, spiritualità, memoria
nelle arti e in letteratura, a cura di P. Sardina, Roma 2017, p. 101-102 ).
In questa ottica complessiva della transazione, che coinvolse il teschio e il culto di s. Anna, come
espressione del connesso culto della Sacra Famiglia e della legittimazione cristologica del potere
monarchico, si situa il fondamento dell'ideologia capetingia e della monarchia francese. La
restituzione delle spoglie di s. Luigi, la liberazione di Carlo II e Filippo I di Taranto, nell'ambito della
diplomazia e dei contrasti militari, politici ed economici in atto, costituiscono il quadro di riferimento
dell'arrivo in Sicilia e Puglia delle reliquie della Sainte-Chapelle, strettamente associate al culto della
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Passione, della Sacra Famiglia e di s. Anna: oserei dire un affare di Stato prima che una espressione
devozionale; in verità i due piani interpretativi si sovrappongono:
Da quel momento le sue spoglie mortali [ di Luigi IX ] non si limitarono a rappresentare quanto
sulla terra restava di un re molto potente e molto amato, non ebbero l'unica finalità di rinvigorire la
memoria di quel re e del suo governo, e i preziosi contenitori destinati a custodirle non servirono
soltanto a materializzare quella memoria davanti agli occhi degli spettatori, ma entrambi, reliquie e
reliquiari, promossero visivamente un collegamento ormai inscindibile tra santità e monarchia,
proiettando l'idea che la Francia aveva della sua istituzione più alta, facendo del re divenuto santo
uno dei protagonisti del processo di definizione dell'identità francese ( V. Lucherini, Smembrare il
corpo del re e moltiplicare le reliquie del santo: il caso di Luigi IX di Francia, "Convivium", 1 ( 2014
), p. 90 )
La sorte del cadavere reale divenne allora una posta del gioco di potere fra Carlo d’Angiò, investito
del Regno di Sicilia da papa Clemente IV nel 1265 e incoronato dai suoi cardinali a Roma nel
gennaio 1266 (Léonard, 1967, pp. 59-62), e Filippo III, giovane e meno autorevole re in cerca
di affermazione. Ognuno con una soluzione e un’ottica diversa: Filippo, secondo figlio di Luigi, dal
1260 erede al trono di Francia dopo la morte del fratello maggiore Luigi, propose di portare i resti di
suo padre a Saint-Denis, il cimitero dei re di Francia. Carlo invece, facendo leva sulla facilità e
rapidità dell’operazione e sulla vicinanza geografica, suggerì che i resti del fratello riposassero in
Sicilia, nel suo regno. Dietro c’era un calcolo politico: sconfitto Corradino ed eliminati gli oppositori
interni, Carlo viveva un momento positivo, «ricco di possibilità e futuro» (Capo, 1977 , p.
812); portare nell’isola parte dei resti di Luigi – che avevano grande probabilità
di divenire reliquie e dunque «sorgente di prestigio e vantaggi materiali per la dinastia angioina» da
poco instaurata in Sicilia (Le Goff, 1999, p. 240) – poteva servire ad aumentare la sua popolarità e ad
avvicinare all’isola la dinastia. Dettata da causa pratiche, la ridistribuzione del corpo del sovrano
contribuisce infatti a moltiplicare e rinsaldare i legami spirituali, familiari e politici del defunto
(Bande, 2009, pp. 59 ss.) [...] In base agli accordi tra zio e nipote dunque, una parte del corpo
di Luigi – le interiora – giunse a Monreale subito dopo la morte del re, probabilmente nel settembre
1270 (Primat, 1894, p. 68, nota 4) ( D. Santoro, Il corpo di san Luigi a Monreale, in San Luigi dei
Francesi, p. 82.83 ).
Ceulz à qui il fu commandé le cuirent et l’appalreillierent si comme l’en devoit faire. Quant il fu cuit
et conroié, le roy Charles demanda les entrailles à monseigneur Phelippe son neveu ; si les fist porter
comme saintes reliques en Cecile, et les fist metre en une abbaïe de l’ordre saint Benoit assez près de
Palerne, qui est appellée Mont-roial. Les ossemens furent mis en i escrin moult bien enbasmé, en
riches draps de soie, avec grant foison d’espices souef flairans, et furent gardez bien et chierement
tant qu’il furent aportez à Saint Denis en France, là où le bon roy avoit esleu sa sepulture avec les
anciens roys de France qui y reposent ( Primat de Saint-Denis, Le Roman des Roys, in Chronique, a
cura di J. du Vignay, in Recueil des historiens des Gaules et de la France, a cura di J. N. de Wailly, L.
V. Delisle, C. M. G. B. Jourdain, 23., Parigi 1894, pp. 1-106 ).
Passando da Nicosia, nel percorso da Palermo a Messina, quindi sulla Via Francigena che attraversava
la Contea di Geraci, in quelle circostanze abbandonata da Enrico II di Ventimiglia dopo due anni di
assedio, Filippo III di Francia, insieme al fratello Pietro d'Alençon e a Gaucher V de Chatillon,
accompagnarono lo scheletro scarnificato di Luigi IX sino al monastero di Saint-Denis in Francia,
mentre i resti del corpo permasero a Monreale, consacrata il 25 aprile 1267 alla Natività della vergine
Maria, cioé pur al connesso culto di s. Anna. Nel tragitto verso la Francia, re Filippo è accolto da
Guglielmo VII di Monferrato, da poco passato alla lega ghibellina e raggiunto da Enrico II di
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Ventimiglia, che ne favorirà probabilmente l'accordo nel 1280 con Pietro II d'Aragona: L’endemain se
parti le roy de Melan avec grant convoi des greigneurs de la ville. Si n’ot pas moult alé avant que le
marchis de Monferrat vint à l’encontre de lui, qui a grant joie et a grant honneur le reçut et si offri et
ses biens d’estre tout prest à son commandement.
Filippo IV ottenne da Bonifacio VIII, dopo la canonizzazione del nonno, il permesso di trasferirlo alla
Sainte-Chapelle. Nel 1299 Filippo il Bello ordinò all'orafo Guillaume Julien un reliquiario d'oro
destinato a contenere il cranio del santo, ma nonostante le ulteriori indulgenze papali a chi avesse
favorito il trasferimento delle ossa del santo alla Sainte-Chapelle, soltanto il 17 maggio 1306 il re
ottenne da Saint-Denis la parte superiore del cranio di san Luigi, priva della mandibola, similmente
alla reliquia di s. Anna ottenuta dai conti di Ventimiglia. Dal gennaio 1302 le restanti reliquie di san
Luigi furono nel possesso dell'arcivescovo di Monreale, Arnau de Rexac - riconosciuto dal papa
soltanto il 16 febbraio 1306 - che aveva trattato la liberazione del principe Filippo I di Taranto fin dal
1301 insieme al conte di Geraci, liberazione verificatasi a ottobre del 1302, ossia all'epoca più
probabile in cui possiamo supporre l'arrivo in Sicilia del teschio di s. Anna insieme alle reliquie della
Sainte-Chapelle.
Il de Rexac aveva spesso frequentato le corti reali dell'epoca. Arnau aveva iniziato come sacrista di S.
Pedro de Cereto a Elna, nel Rossiglione, come suddito di Giacomo II d'Aragona-Maiorca - e ad Elna
poté conoscerne il figlio Filippo futuro terziario francescano spirituale salito al trono come reggente
nel 1324. già canonico in Elna - poi nel 1274 ricevette un canonicato a Cartagena in Murcia. Gli
Anales, 4., 42. di Zurita ci informano delle funzioni di ambasciatore al papa ricoperte dal de Rexac, fin
dai tempi di Pietro III d'Aragona nel 1284, per scongiurare la crociata capetingia contro il regno
catalano;
Y envió postreramente por este mismo tiempo por especiales procuradores a Arnaldo de Rexach y
Bernaldo de Orle para que en su nombre pidiesen al sumo pontífice y al colegio de cardenales que, de
voluntad del consistorio o sin ella, se le diese y asignase lugar idóneo y seguro así a él como a sus
embajadores y procuradores, a donde pudiese ir libremente o inviar sin algún impedimento; y para
decir y proponer todo aquello que le conviniese cerca de la nulidad y revocación de los procesos y
sentencias que se habían contra él declarado, y pudiese alegar y mostrar todo lo que conviniese a la
defensa de su causa y de sus reinos y señoríos, para que más se declarase el inicuo y malicioso
fundamento que se había tomado para fundar aquellos injustos y desordenados procesos y
sentencias. A estos procuradores dio el rey poder y facultad para que en caso que alguna cosa de
nuevo se atentase contra su preeminencia y dignidad real y de sus reinos y señoríos por el pontífice o
por otro cualquiere juez, pudiesen contra ello en su nombre oponerse y apelar de cualquiere
declaración o sentencia y proseguir la apelación.
Almeno dall'8 aprile 1286 è documentata l'attività di Arnau come arcidiacono di Xàtiva accanto al
vescovo di València. Del resto, già il 30 giugno 1286 Alfonso III d'Aragona emetteva un'ordine di
pagamento per 730 lire tornesi in favore del de Rexac per servizi resi alla Corona presso il sovrano
d'Inghilterra. In una lettera di Giacomo II d'Aragona - databile dal 1292 al 1295 - il re d'Aragona e
Sicilia, chiede al de Rexac, arcidiacono di Jàtiva, di farsi vendere a suo nome una preziosa Bibbia
illuminata e una ars dictaminis di Pier della Vigna - probabilmente il primo volume della
monumentale opera epistolare del protonotario svevo, baricentro della vita culturale alla corte
dell'antenato Federico II di Svevia, un testo forse relativo alle querimonie per la deposizione
dell'imperatore da parte di Gregorio IX, poiché conteneva anche un processus relativo allo svevo;
opera richiesta a Giacomo II da Sancio IV di Castiglia -.Nell'epistola sovrana, Arnau è qualificato,
oltre che arcidiacono di Jàtiva, cancellario domine Isabelis regine Aragonum et Sicilie, ossia della
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sposa-bambina di Giacomo II d'Aragona, figlia di re Sancio IV di Castiglia e Leòn, ripudiata dopo la
morte del padre del 25 aprile 1295, per accedere al matrimonio con Bianca d'Angiò. Evidentemente
ancora a quell'epoca il chierico Arnau operava ai massimi livelli degli ambienti curiali della corona
aragonese. Nondimeno, sin dal 1290 abbiamo incontrato Eudossia Làscaris, la signora di Jàtiva, nelle
trattative aragonesi con Sancio IV e trovare il de Rexac, maggiore autorità religiosa di Jàtiva, alla
corte della principessa figlia del sovrano castigliano non appare quindi casuale,pur in considerazione
dell'attività diplomatica in Castiglia di Vatatza di Ventimiglia. L'autorevolezza dell'arcivescovo di
Monreale presso la curia papale è testimoniata da una lettera a lui rivolta dallo stesso papa Clemente V
in data 11 agosto 1307, da Poitiers dove si erano incontrati Carlo II d'Angiò, Filippo IV di Francia e
gli ambasciatori inglesi, al fine di sostenere la crociata, che avrebbe dovuto portare Carlo di Valois,
conte di Chartres e Alençon, sul trono di Costantinopoli. Arnau, oltre che tesoriere del Regno di
Sicilia, fu collettore delle decime ecclesiastiche in Acaia, nel Ducato di Atene, nelle isole di Sicilia,
Sardegna, Corsica e Candia ( El Cartulari de Xestalgar: memòria escrita d'un sennyoriu valencià, a
cura di M. Pastor y Madalena, Barcellona 2004, p.109; A. Rubio y Lluc, Documents per l'historia de
la cultura catalana mig-eval, Barcellona 1921, 2., p. 4; Archivo de la Corona de Aragon, Cancillería,
registros, n. 71, f. 142; F. Delle Donne, Le parole del potere: l'epistolario di Pier della Vigna, in Pier
delle Vigne in catene da Borgo San Donnino alla Lunigiana medievale Itinerario alla ricerca
dell’identità storica, economica e culturale di un territorio, a cura di G. Tonelli, 'Atti del Convegno
Itinerante 28 maggio 2005 – 13 maggio 2006', Sarzana 2006, p. 113; P. Linehan, The spanish church
and the Papacy in the Thirtenth century, Cambridge 1971, p. 144-145 ).
Abbiamo già osservato - al punto 14.4 - il legame delle reliquie di s. Anna, giunte in Sicilia nella
prima metà del XIII secolo, con la Sainte-Chapelle, dunque gli avvenimenti successivi di circa mezzo
secolo sembrano determinati e prefigurati da una circostanziata lunga tradizione. La cronologia che ho
ipotizzato per il secondo accesso delle reliquie di s. Anna in Sicilia - quindi a Monreale e Cefalù sembra confermata dall'arrivo delle Sante Spine anche nei monasteri di S. Nicola l'Arena e S.
Francesco di Catania, diocesi suffreganea di Monreale, per dono di Eleonora d'Angiò - figlia di Carlo
II - sposa di Federico III d'Aragona a seguito della pace di Castronovo-Caltebellotta del 29 agosto
1302. Eleonora - anch'essa collegata a Arnau de Vilanova e agli Spirituali - sposò il re di Sicilia, in
Messina, il 26 maggio 1303:
Tiene una chiesa con la porta magiore all’occidente et una piccola al mezo giorno, vi è un cappellone
di stucco magiore con suo choro di noce dove è sepolta in alto la regina Aleonora. Vi è un quadro nel
mezo all’anticha dorato tutto con bellissime e diverse imagini, et una custodia grande. Vi sono
quattro pezzette della Santissima Croce di Cristo con una Spina delli quali alli 3 di maggio si fa festa
solennissima e processione per la città ( P. Vitolo, Conventus iste fundatricis reginae tumulo non
parum illustratur. Il sepolcro di Eleonora d’Angiò nella chiesa di San Francesco a Catania, in Les
princesses angevines. Femmes, identité et patrimoine dynastiques ( Anjou, Hongrie, Italie
méridionale, Provence, 13.- 15. siècle ), a cura di M.-M. de Cevins, G. Kiss, J.-M. Matz, "Mélanges
de l'École française de Rome. Moyen Âge", 129/2 ( 2017 ), p. 283-300; sul fondamento cristologico
dell'ideologia della beata stirps angioina, la saldatura con le reliquie della Passione e la teologia degli
Spirituali aragonesi, vedi anche P. Vitolo, Royauté et modèles culturels entre Naples et Europe. Les
années de Robert et de Jeanne Ire d’Anjou (1309-1382), in Identités angevines entre Provence et
Naples ( 13.-15. siècle ), a cura di J.-P. Boyer, A. Mailloux, L. Verdon, Aix, Marsiglia 2016, p. 247266 ).
La seconda ondata di reliquie pervenne alla Basilica [ S. Nicola di Bari n.d.r. ] per il tramite
delle donazioni di Carlo II d’Angiò, affluite dopo la sua liberazione dalla prigionia siciliana. Essendo
stato infatti catturato in battaglia (1284) dagli Aragonesi, fu condotto in Sicilia e condannato a morte.
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La notte prima dell’esecuzione, come già gli antichi ufficiali bizantini di cui narra la Vita di S. Nicola,
egli pregò con fervore i due santi di cui era più devoto, Maria Maddalena e Nicola. Al mattino la pena
capitale gli fu commutata in prigionia. Allorché, tre anni dopo, tornò libero a Napoli, volle sdebitarsi
col suo “liberatore” inviando ricchi doni alla Basilica. Anzi, la scelse come sua “cappella regia”
sull’esempio della Sainte Chapelle dei re di Francia a Parigi. Dalla Sainte Chapelle ottenne preziose
reliquie, sacra suppellettile e magnifici libri liturgici in pergamena, riportando così la Basilica ad uno
splendore mai raggiunto né prima né dopo ( G. Cioffari, Le reliquie conservate nel tesoro della
Basilica di S. Nicola, in http://www.centrostudinicolaiani.it/articoli/allegato/reliquie-tesoro.pdf ).
Il 17 giugno 1307, nella cappella del palazzo regio di Messina, l'arcivescovo Arnau de Rexac, dopo
solenne funzione in presenza dei reali, benediva il nuovo abate di S. Maria Assunta di Altofonte,
recente fondazione regia cistercense nella diocesi di Monreale, per solennizzare la conclusione della
guerra e la Pace di Caltabellotta. Sui poco noti possedimenti monrealesi che l'arcivescovo Arnau cercò
di recuperare dopo la pace di Caltabellotta - come la potente abbazia di S. Maria di Maniace e S.
Martino delle Scale, riedificata - vedi ad esempio il privilegio dell'imperatrice Costanza d'Hauteville
del 1196:
Disponendo finalmente, che tutto il predetto territorio di Visciglia, come si contiene nelle divisioni del
detto instromento [ del 1161 ], fosse dell'Arcivescovato di Monreale con tutti gli altri territorij
& pertinentie della sua Città di Bitetto & che non potessero Corrado predetto, né altro alcuno fosse
chi si volesse, che havesse Grumo, pretendere nel detto territorio niuna ragione, o molestare i Prelati
di Monreale o i Priori posti da loro in Bitteto, o gli huomini della stessa città sotto pena della
disgratia imperiale & perdita delle persone & delle robbe.
Altro privilegio dell'imperatrice, nello stesso anno, confermava l'appartenenza all'arcidiocesi di
Monreale dell'archimandrita basiliano di S. Elia di Carbone, che esercitava la sua giurisdizione su tutti
i monasteri greci della Lucania, della Calabria settentrionale fino a Belvedere, del Cilento, della Valle
di Diano e di una parte dell’Irpinia fino a Salerno. La diocesi monrealese si estendeva pur sui
monasteri basiliani di S. Salvatore di Martello, S. Giovanni di Essocalive - presso Reggio Calabria - S.
Mauro di Rossano etc. A 17 dicembre 1304 Carlo II di Napoli commise ai suoi giustizieri la
restituzione di Bitetto all'abbazia di Monreale e il 7 marzo 1370 papa Urbano V rinnova l'ordine a
Filippo II di Taranto di restituire Bitetto all'abbazia siciliana ( G. L. Lello, Historia dell'Abbazia di
Monreale, Roma 1596, p. 62-78; al de Rexac si deve pure il Liber privilegiorum sancte Montisregalis
Ecclesie ).
Del resto, l'alto valore simbolico e culturale del culto di s, Anna, come osservato strettamente saldato
al monastero e arcidiocesi di Monreale, dedicata alla Natività di Maria e dove si conservava come
reliquia - similmente a Chartres - una costola di s. Anna, lo ritroviamo in altre propaggini diocesane:
in Puglia la diocesi siciliana della Natività di Maria possiede un'ampia signoria territoriale e spirituale
estesa dalla diocesi di Bitetto a quella di Bisceglie. Bisceglie finirà nel possesso di Filippo I d'Angiò,
imperatore nominale di Costantinopoli, mentre Bitetto - insieme al dipendente monastero di
benedettine di S. Maria di Giovinazzo - finisce sotto il dominio degli Angiò di Taranto e dei contiduchi d'Andria, che riconoscono la signoria feudale degli arcivescovi di Monreale. Ad Andria oggi
troviamo altra spina della Sacrosanta Corona di Cristo, così come in Ariano Irpino, ovvero nella patria
del conte Elzéar de Sabran e della moglie Delphine de Signes - cognati e cugini di Bertrando I de
Vintimille visconte di Marsiglia - così pur nella Cefalù capitale della signoria ventimigliana e nel
castello ventimigliano e nebrodense di Gratteri. L'arcivescovo di Monreale, Arnau de Rexac proveniva
dalla Jàtiva dominata dalla Hermita de S. Ana e dalla omonima cappella del castello posseduto da
Eudossia Làscaris di Ventimiglia. Personaggi e scenari di una 'Sacra Rappresentazione' e di un fil
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rouge storico e mitico, una recharge sacrale, per usare una espressione del Dupront, che ho cercato di
restaurare.
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