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Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 2019, n. 1, p. 43-67 Jacopo Paganelli* L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA: UN ESEMPIO DI FISCALITÀ DIOCESANA DELLA FINE DEL DUECENTO** © 2019 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore THE ASSESSMENT OF THE CHURCHES OF VALDERA: AN EXAMPLE OF DIOCESAN TAXATION AT THE END OF THE THIRTEENTH CENTURY Abstract This essay investigates the development of new instruments of taxation by the bishops during the thirteenth century. Like the urban Communes, the bishops were more inclined towards datium, a tax based on a fairer distribution of fiscal burdens. It was requested starting from a taxable income (libra). The first libra of the diocese of Volterra, published in the Appendix, dates to 1273, and contains not only the amount due but also the preliminary operations prior to its implementation, namely the depositions of boni homines and a list of churches’ incomes. Studying such a document allows us to shed light on different aspects and characteristics of diocesan taxation, a little-investigated historiographical area. Keywords: Taxation – Assessment – Bishops – XIIIth century DOI: 10.26350/001783_000057 ISSN: 00356557 (print) - 1827790X (digital) 1. Introduzione Nel corso del Novecento, gli studi di Elio Conti, Enrico Fiumi, David Herlihy e Cinzio Violante hanno lumeggiato i meccanismi dell’imposizione diretta in ambito urbano. Fu durante il XIII secolo che i Comuni dell’Italia centro-settentrionale si orientarono a modulare la pressione fiscale secondo equità, adeguando «le impo- * Università di Pisa (paganelli.jacopo@yahoo.it). ** Per le fonti inedite ho fatto uso delle seguenti abbreviazioni: ACMF: Archivio del Capitolo metropolitano di Firenze; ASDPi: Archivio storico diocesano di Pisa; ASDV: Archivio storico diocesano di Volterra; ASFi: Archivio di Stato di Firenze; ASSi: Archivio di Stato di Siena; BGV: Biblioteca Guarnacci di Volterra. Sull’identificazione dei luoghi del distretto diocesano di Volterra fondamentale è S. Mori, Pievi della diocesi volterrana antica, «Rassegna Volterrana» 93-94 (19871988), 163-88; 97 (1991), 3-123; 98 (1992), 3-107. 44 JACOPO PAGANELLI sizioni al reddito dei singoli». La libra, «a direct tax imposed not on the basis of hearths but on the basis of assessed wealth», fornì la via maestra, giacché ogni civis fu tassato sulla base delle sue sostanze, puntualmente descritte e successivamente stimate: nella congerie delle soluzioni adottate dalle singole città, il denominatore comune rimaneva quello di individuare la «base reale per la determinazione dell’imponibile e per l’applicazione proporzionale dell’imposta»1. I mutamenti nel campo del prelievo scaturirono dal crescente fabbisogno di denaro, essendo le città chiamate, nel corso del XIII secolo, a «soddisfare l’incremento e lo sviluppo eccezionali nei settori correnti d’interesse e responsabilità pubblica»2. È bene, però, porre mente che le innovazioni in ambito fiscale non riguardarono soltanto i regimi cittadini, ma anche la Chiesa e le sue articolazioni locali. Per quanto riguarda il clero regolare, grazie agli studi di Cécile Caby è noto che Camaldoli, a partire almeno dal 1278, suddivideva le collette secondo le disposizioni dei Capitoli generali: allorché l’eremo deliberava una colletta generale, ogni monastero sottoposto doveva contribuire versando una quota proporzionale alle proprie sostanze, individuata, appunto, dai Capitoli. Lo stesso criterio guidò la corresponsione della decima papale al canonico fiorentino Alcampo: fra il 1274 e il 1282 fu compilato un estimo per censire i redditi dei cenobi della congregazione e distribuire fra di essi il carico fiscale3. 1 E. Conti, L’imposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma 1984; E. Fiumi, L’imposta diretta nei comuni medioevali della Toscana, in Studi in onore di Armando Sapori, Milano 1957, I, 327-53 (in particolare p. 332, 333); D. Herlihy, Direct and Indirect Taxation in Tuscan Urban Finance, in Finances et comptabilité urbaines du XIIIe au XVIe siècle. Atti del convegno (Blankenberge, 6-9 settembre 1962), Bruxelles 1964, 384-405 (in particolare p. 395); C. Violante, Imposte dirette e debito pubblico nel basso medioevo, in Id., Economia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo. Saggi e ricerche, Bari 1980, 101-69, in particolare p. 108. Più in generale, sul tema della fiscalità cittadina nella Tuscia bassomedievale si veda, almeno, M. Ginatempo, Prima del debito. Finanziamento della spesa pubblica e gestione del deficit nelle grandi città toscane (1200-1350 ca), Firenze 2000, in particolare p. 37 e 57-65; e P. Cammarosano, Il sistema fiscale delle città toscane, in Id., Studi di storia medievale. Economia, territorio, società, Trieste 2009, 243-54. Per un esempio fuori Toscana si veda G. P. Nobili, Alle origini della fiscalità comunale. Fodro, estimo e prestiti a Bergamo tra fine XII e metà XIII secolo, «Reti Medievali» 11/1 (2010), 45-78. Per l’edizione di una libra duecentesca si veda A. Grohmann, L’imposizione diretta nei comuni dell’Italia centrale nel XIII secolo. La Libra di Perugia del 1285, Rome 1986. A Volterra, la prima libra disposta dal Comune urbano relativamente al contado risale al 1288 (edizione in L. A. Cecina, Notizie istoriche della città di Volterra, a cura di F. Dal Borgo, Pisa 1758, 73); cenni su questa fonte in R. Castiglione, La tassazione del contado volterrano dal 1288 al 1415, «Rassegna Volterrana» 86 (2009), 116-38. 2 W. M. Bowsky, Le finanze del Comune di Siena (1287-1355), Firenze 1976, 21 e passim. 3 Cf. C. Caby, Per una storia camaldolese di Badia a Elmi, in Badia a Elmi. Storia e arte di un monastero valdelsano tra Medioevo ed Età moderna, a cura di F. Salvestrini, San Gimignano (Si) 2013, 111-21, in particolare p. 113-14. Se si guarda alla discrepanza fra le cifre riportate dalle Rationes decimarum (Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932) e quelle individuate dall’estimo approntato dalla congregazione, si può ritenere che Alcampo operasse con criteri suoi propri: nel caso di Badia a Elmi, ad esempio, all’esenzione disposta dall’estimo camaldolese non si accordava il contributo domandato dal riscossore delegato dalla Sede Apostolica, ammontante a 22 lire per il 1275-1276 e a poco più di 30 lire per il 1276-1277 (ci torneremo fra poco). L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 45 Volgendo lo sguardo al clero secolare, la pressione della Sede Apostolica sui vescovati toscani nella seconda metà del Duecento crebbe a ritmi quasi vertiginosi. Oltre che versare la decima papale, agli ordinari fu imposto di mantenere i legati in partibus e di partecipare a dispendiose imprese belliche: come quella contro Manfredi in Apulia, cui presero parte, fra gli altri, Giovanni Mangiadori di Firenze (12511274), Guglielmino di Arezzo (1248-1289) e Ranieri I di Volterra (1245-1260)4. Per rispondere alle crescenti sollecitazioni del Papato, i vescovi moltiplicarono le richieste di contributi al clero sottoposto: così come i Comuni, anche le Chiese diocesane elaborarono dei sistemi che contemperassero l’efficienza del drenaggio a un’equa ripartizione dei carichi fiscali. Un esempio di outil di questo tipo è costituito dalla libra delle chiese lucchesi del 1260, approntata allo scopo di suddividere equanimemente la provisio da corrispondere al legato d’Innocenzo IV5. Altrove, gli estimi delle chiese furono allestiti non dall’ordinario, ma dai Comuni urbani, allorché questi ultimi richiesero alle istituzioni ecclesiastiche di concorrere al bilancio cittadino. A Firenze, con l’affermazione del regime del Primo Popolo durante gli anni Cinquanta del Duecento, «direct communal taxation on ecclesiastical institutions by way of the libra was widespread»6. Presso la città gigliata, nonostante alcune, piuttosto timide, proteste da parte dei pontefici, i «collectores libre ecclesiarum» continuarono a riscuotere i proventi della tassazione diretta sulle chiese almeno fino al 1315, quando l’esazione della libra fu confinata al contado7. Il caso fiorentino è quindi utile a richiamare l’attenzione sulle reciproche interferenze, nel corso del 4 Su queste vicende fondamentale R. Davidsohn, Storia di Firenze, II: Guelfi e Ghibellini, I: Lotte sveve, Firenze 1956, 605-12. Riguardo alle somme mutuate dagli ecclesiastici toscani per la partecipazione alla campagna in Italia meridionale, si consideri il caso del vescovo fiorentino Giovanni dei Mangiadori: i suoi debiti per andare in Apulia su mandato pontificio ammontavano, ancora nel giugno 1267, ad almeno 100 lire (ACMF, Dipl., nr. 462: «pro stipendiis militum in servitium Romane Curie in Apuliam»). Sulla crescita dell’importanza della Sede Apostolica nel dialogo intrattenuto con le Chiese locali cf. l’ancora utile K. Pennington, Popes and Bishops: the Papal Monarchy in the Twelfth and Thirteenth Centuries, Philadelphia 1984. 5 L’estimo lucchese del 1260 in Rationes decimarum Italiae, 243-75; su questo documento si veda G. Barbieri, Notizie sulle rendite degli enti ecclesiastici lucchesi secondo l’estimo del 1260, «Economia e storia» 2 (1955), 407-11. Altri esempi di estimi duecenteschi editi sono quelli, fra gli altri, di Vercelli, allestito nel 1298 (cf. Acta Reginae Montis Oropae. Cartario di Oropa, a cura di G. Ferraris - E. Sella, Bugellae 1945, doc. nr. 18); e il frammento monzese del 1278 (edito in A. F. Frisi, Memorie storiche di Monza e sua corte, Milano 1794, III, 200-201). Al secolo successivo, invece, risalgono l’estimo delle chiese di Novara (per cui cf. G. Balosso, Il Liber extimi cleri civitatis Novarie et Episcopatus della metà del Trecento nell’Archivio Storico Diocesano di Novara, «Novarien.» 24 [1994], 157-77); ma sugli estimi di XIV secolo, per l’Italia settentrionale, ha fatto il punto F. Pagnoni, L’episcopato di Brescia nel basso medioevo. Governo, scritture, patrimonio, Roma 2018, soprattutto p. 278-82. 6 La citazione in G. Dameron, Florence and Its Church in the Age of Dante, Philadelphia 2005, 148 e nota 177. Sul tema delle frizioni per la tassazione del patrimonio delle chiese da parte delle magistrature cittadine cf. G. Forzatti Golia, Estimi e tassazione del clero nel secolo XIII. Alcune precisazioni su Milano e Pavia, «Bollettino della società pavese di storia patria» 95 (1995), 143-55; e il più recente, anche se di ambito cronologico più tardo, E. Orlando, Fiscalità pubblica e chiesa locale: l’estimo del clero di Padova del 1488-1492, «Rivista di storia della Chiesa in Italia» 55 (2001), 439-69. 7 Dameron, Florence and Its Church, 147-53. 46 JACOPO PAGANELLI XIII secolo, fra le soluzioni elaborate dalle Chiese e quelle escogitate dai reggitori cittadini8. A Volterra, dove il corso dei rapporti fra l’episcopato e le magistrature urbane fu improntato più alla contrapposizione che alla collaborazione, non ci sono tracce di estimi comunali sulle chiese, né di prestiti volontari assicurati al Comune dai rettori dei luoghi pii, come invece accadeva a Firenze9. Le prime tracce di un estimo diocesano a Volterra risalgono agli anni di episcopato dell’eletto Ranieri I: l’8 settembre 1255 l’abate di S. Maria di Morrona in Valdera ordinò al rettore della chiesa di S. Niccolò (considerata manualis del cenobio) «quod non daret nec dari faciat aliquam collectam sive datium domino episcopo Vulterrano aut suo vicario vel nuntio»; mentre, il 16 marzo di quello stesso anno, il vicario vescovile confessò di ricevere dalla pieve di Pomarance 4 delle 15 lire «datii» dovuto dal pievano al Vescovato. Il sostantivo datium si riferiva certamente alla quota di prelievo su un imponibile individuato da un estimo: il presule volterrano aveva dunque perfezionato un meccanismo di adeguamento della fiscalità vescovile ai patrimoni degli enti che costituivano il reticolo diocesano. Visto che ciò accadde negli stessi anni in cui anche il vescovo Guglielmino di Arezzo – che di Ranieri I era fratello – si orientava verso una fiscalità impostata sul datium, è logico ritenere che fra gli entourage dei due ordinari, entrambi figli di Ranieri di Guido Ubertini, ci fossero, oltre che frequenti contatti, anche travasi di competenze e contaminazioni di sistemi gestionali e di governo delle rispettive diocesi10. Dopo gli anni di Ranieri I, riferimenti a un estimo diocesano si trovano durante l’episcopato del fiorentino Alberto Scolari (1261-1269). Il 12 maggio 1261, i canonici Enrico e Barone, «in subsidium expensarum» del legato apostolico Guala, indissero una contribuzione straordinaria «ecclesiis civitatis et diocesis Vulterrane», 8 Ibi, 149. A Siena invece, mentre le magistrature cittadine «generally observed the Church’s prohibition against the taxation of ecclesiastical persons and corporations», «for their patrimonial possessions, though, the commune openly taxed clerics, and it denied civil rights and legal protection to those who did not comply» (W. Bowsky, A Medieval Commune. Siena under the Nine, 1287-1355, Berkeley-Los Angeles-London 1981, 190-91). 9 Sui rapporti fra i vescovi e il Comune di Volterra nella seconda metà del Duecento mi permetto di rimandare a J. Paganelli, Il forziere del vescovo. Vicende e basi materiali della signoria dei presuli volterrani nella seconda metà del Duecento, tesi di dottorato in Storia Medievale presso l’Università di Pisa, XXXI ciclo, discussa nel 2019, tutore S. M. Collavini. 10 L’ordine dell’abate di Morrona in ASDV, Dipl., nr. 430; la confessione del vicario di Ranieri I in BGV, ms. 8494, I, c. 67r. Sul valore del sostantivo datium si veda Fiumi, L’imposta diretta, 333. Del datium indetto da Ranieri I di Volterra si è a conoscenza, anche, da BGV, ms. 8494, I, c. 57r: intimazione espressa dal vicario dell’eletto volterrano a una nutrita schiera di rettori della diocesi di versare entro gli 8 giorni successivi all’Epifania 1255 «impositam eorum quemlibet contingentem pro domino electo». Ma cf. anche ASSi, Dipl. Città di Massa, 1257 agosto 1: l’abate di Monteverdi contrae un mutuo per far fronte all’imposta indetta da Ranieri I in occasione della spedizione pugliese. Del datium imposto da Guglielmino si ha notizia da ASFi, Dipl. S. Salvatore di Camaldoli, 1255 aprile 16 (mutuo contratto da Guido pievano di Partena «ad datium sibi impositum ad solvendum domino Gulielmo Aretino electo pro susidio domini pape in Apulia eundo contra Saracenos»). Sulla parentela fra Ranieri I e Guglielmino e sulle contaminazioni fra i rispettivi entourage cf. Paganelli, Il forziere del vescovo, 80-82 e passim. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 47 «secundum facultates ecclesiarum proportionaliter dividendo»11: l’avverbio «proporzionalmente» richiama immediatamente l’idea alla base dell’estimo, ossia «una più equa ripartizione dei carichi tributari». Il 4 dicembre 1265 furono stilate, alla presenza di Bertoldo vicario di Alberto, le norme per l’elaborazione delle nuove libre, il cui approntamento fu affidato a 8 «priores sive sindici» del clero, uno per gli ecclesiastici esenti, due per la città e 5 per il contado12. Il primo estimo della Chiesa di Volterra arrivato fino a oggi è, però, quello disposto da Ranieri II (1273-1301) nel novembre 1273, vergato da Lando notaio di Morrona e compilato da Ranieri pievano di Rivalto (cf. Appendice documentaria)13. Pur riguardando unicamente la Valdera, il documento assume invero una certa importanza: esso, infatti, non contiene soltanto la libra, ossia il ruolo fiscale delle chiese, ma anche il procedimento preliminare alla stesura dell’imponibile, le cui cifre scaturirono sia dai dati raccolti tramite inquisitio nei confronti dei titolari dei benefici, sia dalle stime fornite da alcuni boni homines chiamati a testimoniare sotto giuramento14. 11 BGV, ms. 8494, III, c. 38r. La citazione nel testo da Violante, Imposte dirette, 110. Le norme per l’elezione dei priori del clero e i loro compiti per l’elaborazione della libra in ASDV, Curia, Notarile Nera nr. 34, I, c. 2r-8r, alle c. 6r-7r, soprattutto: «item statuerunt quod libra ecclesiarum facta auctoritate domini episcopi prelibati per viros discretos dominos Iacobum et Bertoldum canonicos Vulterranos reactetur et adequetur per suprascriptos sindicos vel priores electos, habito super mutatione libre consilio viii° clericorum de civitate et diocesi Vulterrana»; e «quod viii° eligantur priores sive sindici, scilicet unus ex exemptis, duo de civitate Vulterrana et appenditiis civitatis et residui ve de diocesi, officium quorum duret hinc ad kalendas iunii proximas et ab inde ad unum annum proximum completum; et teneantur dicti sindici de mense maii sustituere sibi alios viii° priores sive sindicos aut procuratores aut plures vel pauciores, de consilio tamen et consensu domini episcopi Vulterrani vel sui vicarii et totius vel maioris partis cleri civitatis et diocesis Vulterrane convocati ab eiusdem prioribus sive procuratoribus aut sindicis; quorum sustituendorum officium duret per unum annum, ita quod semper de mense maii sustituantur sindici sive priores aut procuratores predicti, et teneatur clerus predictus ad petitionem sive vocationem priorum sive procuratorum aut sindicorum convenire vel mictere subficienter ad locum quem eis duxerint assignandum, et tunc priores sive sindici aut procuratores quorum precesserit offitium teneantur toti clero congregato vel maiori parti ipsorum sive illis quos idem clerus eligeret tam de intratibus quam de expensis receptis et factis ab eis nomine cleri puram et veram reddere rationem et integram». Si trattava dunque di una congregazione del clero: per il Volterrano cf. M. Cavallini, L’organizzazione del clero nel medioevo, Milano 1918; ma si veda senz’altro il più recente C. Bianchini, La congregazione del clero intrinseco di Verona dalle origini alla stesura degli statuti del 1323, tesi di Dottorato in Storia del Cristianesimo e delle Chiese, Università degli Studi di Padova, tutore Antonio Rigon, discussa nel 2011. Su Alberto Scolari si veda J. Paganelli, «Et fuit de Scolaribus de Florentia». Un profilo di Alberto vescovo di Volterra (1261-69), «Rassegna Volterrana» 93 (2016), 105-56; e Id., Il forziere del vescovo, 108-10 e passim. 13 Anche Ranieri II era un Ubertini, nipote ex fratre di Guglielmino e Ranieri I; al momento di diventare vescovo di Volterra, era proposto di Arezzo: su di lui cf. Paganelli, Il forziere, 133-36 e passim; ma anche Id., «Pretiosum pannum cum Dei et beate Marie Virginis adiutorio Vulterras deferret». Un furto sacro nella Volterra dei guelfi e dei ghibellini, «Archivio Storico Italiano» 177/2 (2019), 353-67. 14 Sulle inquisitiones si veda L. Feller, Les enquêtes seigneuriales de Bernard Ier Ayglier, abbé du Mont-Cassin (1267-1270), in Un Moyen Âge pour aujourd’hui: mélanges offerts à Claude Gauvard, a cura di J. Claustre - O. Mattéoni - N. Offenstadt, Paris 2010, 325-38. Per le de12 48 JACOPO PAGANELLI Il documento consente di gettare uno sguardo a una realtà rurale che, pur trovandosi in larga parte nella diocesi di Volterra, ricadeva sotto l’amministrazione del Comune di Pisa: l’appartenenza della Valdera al distretto della città tirrenica ha fatto sì che a questo territorio si sia sempre guardato quasi soltanto dalla prospettiva pisana15. Infine l’estimo di Ranieri II, oltre a permettere di approfondire le modalità con le quali erano elaborati i ruoli vescovili nel XIII secolo, diventa ancor più prezioso se si considera che la prima visita pastorale del Volterrano, effettuata dal presule Rainuccio Allegretti (1321-1348) fra il 1325 e il 1328, non comprende questa regione della diocesi, presumibilmente in conseguenza degli scontri che, in alla metà degli anni Venti, opponevano il fronte filo-fiorentino alle schiere di Castruccio Castracani16. Si proverà adesso a ragionare sulle caratteristiche dell’estimo di Ranieri II e sulla sua redazione. 2. L’estimo e la sua inventio Prima di tutto, occorre descrivere con occhio attento il documento. Nonostante l’assenza di sottoscrizioni notarili, la scrittura può essere senz’altro attribuita a ser Lando di Morrona, di cui fra poco si dirà. L’estimo bombicino qui ricomposto in unum si presenta invero smembrato: una parte è rimasta in appendice al censier Beni della Mensa, vergato da ser Lando e contenente l’elenco delle proprietà vescovili in Valdera, mentre l’altra è confluita nel fondo Curia, in un registro miscellaneo della serie Notarile Nera17. Il nostro estimo doveva, in origine, essere un quaderno autonomo rispetto al censier, visto che non solo ha le carte più piccole rispetto al registro fondiario (27 cm contro 29), ma, soprattutto, presenta una cronologia anteriore (1273 contro 1281). Né è inverosimile che l’estimo si sia salvato dalla distruzione, assai probabile all’indomani del suo aggiornamento, perché si trovava in appendice al libro fondiario, di cui divenne la parte terminale. Benché non sia possibile precisare quando l’estimo fu scorporato nei lacerti dianzi detti, la numerazione in numeri arabi posizioni testimoniali fondamentale L. Provero, Dai testimoni al documento: la società rurale di fronte alle inchieste giudiziarie (Italia del nord, secoli XII-XIII), in L’enquête au Moyen Age, études réunis par Cl. Gauvard, Rome 2008, 75-188. Per l’importanza degli «uomini degni di fede» (ossia i boni homines, l’élite di villaggio) nello strutturarsi del governo vescovile bassomedievale v. ora I. Forrest, Trustworthy Men. How Inequality and Faith Made the Medieval Church, Princeton 2018. 15 I lavori più recenti sul contado pisano sono A. Poloni, Comune cittadino e comunità rurali nelle campagne pisane (seconda metà XII - inizio XIV), «Archivio Storico Italiano» 166 (2009), 3-51; A. Giglioli, La Valdera tra XII e inizi XV secolo. Dalla frammentazione signorile a ‘contado’ di Pisa: evoluzione degli assetti politici, istituzionali, sociali ed economici, Università degli Studi di Pisa, Scuola di Dottorato in Storia, discussa nel 2010, tutore Gabriella Rossetti; Medioevo in Valdera, a cura di A. Alberti, San Miniato 2012 (il saggio di A. Puglia, Aspetti politici e sociali della signoria vescovile a Volterra tra X e XII secolo, 87-114, interseca la Valdera volterrana non addentrandosi nel basso Medioevo). 16 Si veda J. Paganelli, Dentro la Visita, in Il vescovo Rainuccio Allegretti e la sua Visita pastorale (1325-1328). Chiesa, istituzioni e società nella diocesi di Volterra agli inizi del XIV secolo, a cura di J. Paganelli, Volterra (Pi) 2019, 63-88. 17 Il censier in ASDV, Mensa nr. 1; la seconda parte ibi, Curia, Notarile Nera nr. 34. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 49 fu certamente apposta quando lo smembramento era già avvenuto18. È lecito pensare che quella vergata da Lando fosse solo una parte della libra disposta da Ranieri II per tutta la diocesi, salvatasi grazie al fatto di essere confluita nel censier specificamente dedicato alla Valdera. Concentriamoci ora sull’estensore, il notaio Lando del fu Bonaccorso da Morrona. Egli doveva essere fidelizzato al cenobio del castello natio, per il quale rogò numerosi contratti19. Poi, in virtù di circostanze che, allo stato delle ricerche, rimangono ignote, fu insignito da Ranieri II Ubertini del ruolo di vicecomes della Valdera, con il compito precipuo di accertare tutte le possessiones vescovili nella zona, rinnovando i giuramenti di fidelitas rustica da parte dei conduttori20. L’opera di Lando fu, pour ainsi dire, inaugurata dalla lettera che il podestà di Pisa inviò, il 26 marzo 1274, «universis et singulis capitaneis vel eorum vicariis, consilibus, offitialibus et universitatibus terrarum et locorum Pisani districtus necnon tenitoribus et colonis terrarum Vulterrane Ecclesie»: il magistrato della città tirrenica ingiunse a tutti i destinatari della missiva di mostrare a Lando «vicecomiti» ogni terreno del Vescovato volterrano, disponendo, nel contempo, che tutti i «tenitores et coloni» versassero i censi dovuti all’ente ecclesiastico21. Si è così informati del fatto che l’estimo delle chiese della Valdera fu approntato prima dell’inquisitio patrimoniale di Lando cominciata nella primavera ’74, la quale, come s’inferisce dall’intestazione sulla prima carta del registro Beni della Mensa, si chiuse solo nel 1281: la raccolta dei dati e l’allestimento del manoscritto si risolsero 18 Poiché un lacerto del quaderno Beni della Mensa si trova in BGV, ms. 5706, filza nr. 36, doc. nr. 37 (Iuramenta prestita domino Rainerio episcopo Vulterrano, 1275-95), è assai probabile che lo smembramento dell’estimo, come anche quello del censier, sia da collocare nelle turbolente fasi seicentesche della storia dell’Archivio diocesano, quando, con l’acquisto delle stanze sovrastanti la gabella del grano e il conseguente rifacimento dell’episcopio a opera del vescovo Bernardo Inghirami, le carte vescovili furono temporaneamente affidate agli ufficiali del Comune cittadino (M. Battistini, L’abitazione del vescovo dopo il sacco del 1472, in Id., Ricerche storiche volterrane, a cura di A. Marrucci, Volterra 1998, 114). La prima parte del frammento guarnacciano – due carte in tutto, originariamente non contigue – contiene le assoluzioni impartite da Gerardo abate di Morrona, su mandato di Ranieri II, nei confronti di una manciata di rettori di chiese che non avevano versato le somme dovute «occasione itineris concilii generalis summi pontificis», presumibilmente quello di Lione, dal 1274 al 1276; segue il giuramento (apposto sul verso dell’ultima carta) di Berto del fu Artimanno, gastaldo vescovile «in Peccioli et eius confinibus pro venerabile (sic) patre domino Rainerio divina gratia Vulterrano episcopo». Mentre per ASDV, Curia, Notarile Nera, nr. 34 è stata usata la cartulazione, su Mensa, nr. 1 i numeri sono stati apposti secondo una ratio improntata alla paginazione. 19 L’archivio della badia di Morrona è confluito in quello Storico Diocesano di Volterra. Gli atti vergati da Lando per il cenobio sono in ASDV, Dipl., almeno i nr. 400, 475, 583, 502, 505, 509, 513, 519, 521, 524, 525, 530; ASFi, Dipl. S. Salvatore di Camaldoli, rispettivamente 1257 ottobre 13; e 1271 gennaio 13. 20 Sui censier di ambito fondiario fondamentali Terriers et plans-terriers du XIIIe au XVIIIe siècle. Atti del convegno (23-25 settembre 1998), édités par G. Brunel - O. Guyotjeannin J.-M. Moriceau, Paris 2002; e Décrire, inventorier, enregistrer entre Seine et Rhin au Moyen Âge: formes, fonctions et usages des écrits de gestion. Actes du colloque international (Namur, 8-9 mai 2008), réunis par X. Hermand - J.-F. Nieus - E. Renard, Paris 2012. 21 ASDV, Mensa nr. 13, fasc. Valdera, c. 15r. Le termifinationes cominciarono almeno a partire dal 26 aprile, presso il castello di Legoli (ibi, c. 24v). 50 JACOPO PAGANELLI in un impegno quasi decennale, portato quasi certamente avanti nell’ambito di lunghe contrattazioni, che qualche volta richiesero che il concessionario si recasse personalmente a Volterra a giurare la fidelitas, specie se egli era stato inadempiente nei confronti del vescovo22. Sia nel censier sia nell’estimo emerge l’apporto dei membri della società di villaggio chiamati a testimoniare: se nel primo documento costoro dovettero termifinare i terreni, ossia individuarne i confini e la titolarità, nel secondo fornirono agli allibratori una stima dei redditi delle chiese, come vedremo meglio fra poco23. L’estimo della Valdera si compone di due parti: la prima, l’inquisitio del pievano di Rivalto, molto più estesa, è chiamata «memoria inventionis extimi»; la seconda, la «libra», di una sola pagina, contiene il ruolo fiscale dei luoghi pii. Si capisce, quindi, che queste due sezioni non erano collocate su un livello di parità: la prima, infatti, fu in certo modo propedeutica all’elaborazione della seconda, visto che i proventi delle chiese vi sono elencati in funzione dell’inventio dell’imponibile, sul quale, successivamente, fu modulato e ripartito il datium. Non di tutti gli enti ecclesiastici, però, fu trovato quest’imponibile, visto che, mentre la prima parte individua 33 chiese, la seconda ne caratterizza 10 di meno, cioè 23. È ben possibile, tuttavia, che questa sezione sia mutila: che la libra, cioè, oggi collocata sull’ultima carta del registro Beni della Mensa, proseguisse nella carta accanto, staccatasi e smarritasi in un momento successivo24. Come accennato, il pievano di Rivalto chiese ai rettori di presentargli l’elenco di tutti i redditi del beneficio. Così, dalle terre date in concessione alle offerte in occasione delle festività, dalle libbre di cera raccolte nei favi delle api ai ricavi dell’allevamento degli animali da cortile, ogni voce d’entrata – anche la più minuta – fu accuratamente computata. Non è possibile precisare se il pievano Ranieri e il notaio Lando incasellarono i dati raccolti in una griglia di riferimento, oppure se si servirono ex ante di una sorta di questionario, visto che si ha l’impressione che le deposizioni seguano tutte un andamento abbastanza definito, che lascia per ultime le entrate ricavate dalle decime e le somme monetate. All’inizio, invece, vi sono i cereali: era il grano a rivestire un ruolo senz’altro notabilior, non solo perché occupa la posizione di testa nelle relazioni presentate dai rettori, ma anche perché i testi chiamati a deporre ragionavano per staia di grano25. Se si guarda alle valutazioni fornite dai testi, si nota che dalla loro expertise 22 Così avvenne il 6 giugno 1278, quando fu rogata la «carta de le possessioni che ‘l Veschovado à in Valdera in luogho detto Casanova contado di Pisa», come si legge sulla nota dorsale: Ranuccio del fu Galgano di Casanova, presso il palazzo vescovile e presente anche il notaio Lando da Morrona, confessò di tenere indebitamente una serie di beni dall’episcopato; dopo aver pregato Ranieri II di riassegnargliele, costui le riottenne in concessione (ASDV, Dipl., nr. 598). 23 Forrest, Trustworthy Men, 294-99. 24 Gli enti ecclesiastici del quinto della Valdera basso-medievale sono riportati anche da una cedola del Tribunale diocesano del 1373, evidentemente indirizzata al nunzio giurato (ASDV, Curia, Processi civili, nr. 9, c. 21bis). 25 Lo stesso schema si ritrova anche nel già rammentato estimo camaldolese segnalato da Caby (Per una storia camaldolese): in prima posizione figura il grano, poi gli altri cereali. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 51 scaturivano stime, alle volte, anche molto divergenti fra loro26: per la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, ad esempio, mentre Iacopo di Bonaiuto di Fabbrica ricondusse i beni pievani a 24 staia annuali, Giovannetto di Saraceno dello stesso luogo si riportò a un ammontare di 40 staia; per S. Pietro di Guilica, mentre Bonaccorso di Alberto dichiarò 5 staia di grano, Bonaccorso di Lamo ne indicò 4, mentre Bonaguida di Aiuto 10. Altre volte il computo dei testi era elaborato e dichiarato «unanimiter», ovvero concordemente. In altri casi, la stima dei testimoni divergeva sensibilmente da quella espressa dal rettore: mentre prete Ranuccio di S. Germano di Ghizzano stimò i redditi della sua chiesa in 30 staia di grano all’anno, Giovanni notaio e Guido di Sighiero parlarono, invece, di 18 staia. Neanche per S. Pietro di Libbiano vi fu accordo fra i testimoni e prete Michele: mentre i primi (Ugolino del fu Bergo e Sinibaldo suo figlio) si riferirono a 18 staia di grano, il secondo calcolò i proventi in circa 25 staia. Il formulario, del resto, è abbastanza stringato, e sono davvero pochi gli indizi che trapelano dal sintetico dettato di Lando. Non sappiamo di preciso su che base gli interpellati ricostruivano le sostanze di un beneficio ecclesiastico, anche se, di certo, gli inquisiti avevano tutto l’interesse a tenere più bassa possibile la stima delle rendite della loro chiesa, sì da mitigare il peso della pressione fiscale: in questo senso, stime particolarmente basse nei deposti potrebbero essere spia di una spiccata solidarietà fra rettori e parrocchiani. Quel che emerge con sufficiente chiarezza è che, come avveniva per molte libre comunali, le cifre d’estimo si riferiscono alla «rendita che si potrebbe ritrarre affittando la possessione». Ecco il senso delle espressioni «adfictavit» / «adfictaverunt»: gli interpellati riportavano idealmente i redditi della chiesa a un ipotetico affitto in grano del patrimonio facente capo al beneficio ecclesiastico (pratica che doveva essere, del resto, tutt’altro che inusuale)27. La stessa ratio si ritrova ad Arezzo, nell’«allibramento di pievi» edito da Silvano Pieri insieme alla visita pastorale del 1257-1258, nonostante si sia conservata solo l’inquisitio preliminare all’accertamento degli imponibili. Anche qui i redditi erano ricondotti al grano: come nell’icastica stima del pievano di Pava, il quale dichiarò che «percepit annuatim de proventibus sue plebis et potest percipere viginti modios frumenti»28. Si tratta di una stima molto alta, che nessuna delle pievi scandagliate dall’estimo della Valdera poteva neanche lontanamente raggiungere: quella di Fabbrica, la più ricca, riscuoteva, fra le decime e gli affitti, compreso quello del mulino, poco più di 5 moggia grano; seguiva la pieve di Peccioli, con quasi 5 moggia, oltre a 4 lire e 4 soldi 26 Forrest, Trustworthy Men, 293. La citazione da Fiumi, L’imposta diretta, 344. Sulla stessa linea anche Grohmann, L’imposta diretta, 48: si tendeva «a colpire solo quei beni impiegati in attività atte a produrre un reddito». Riguardo alla pratica dell’affitto dei redditi di una chiesa, si veda l’esempio fornito da ASDPi, Arch. Arcivescovile, Mensa, Contratti nr. 8, c. 516r: Gerardo di Benvenuto pievano di Lajatico della diocesi volterrana affittò a prete Betto, nel 1319, «omnes terras, domos et possessiones et bona ipsius plebis ad habendum et conducendum et usufructandum ex inde ad unum annum proxime futurum pro affictu et nomine affictus quinquaginta stariorum grani». 28 S. Pieri, La visita pastorale di Guglielmino degli Ubertini (1257-1258), «Annali aretini» 10 (2002), 61-108, in particolare p. 106. È verosimile che i redditi delle chiese volterrane, benché ciò non sia esplicitamente affermato, fossero computati deductis expensis, come avveniva nell’Aretino. 27 52 JACOPO PAGANELLI dalle pensiones (ossia la locazione di immobili in alzato) e 20 lire dalle oblationes e dai testamenti. Tenevano dietro al frumento, seppur di molto, il miglio e l’orzo: come ha puntualizzato Giuliano Pinto, mentre l’orzo si adattava meglio del grano ai suoli poveri e aridi, il miglio richiedeva (al pari del panico, cui, nel nostro estimo, compare a volte unito) terreni umidi e grassi, come quelli propri delle pianure alluvionali. Esigua sembrerebbe essere stata la diffusione della segale (testimoniata a Orciatico, S. Pietro in Corte, Giulica e S. Romano di Montefoscoli), cereale, poco impiegato in Tuscia, che prediligeva terreni freddi e poco assolati. Il sostantivo «miliata», attestato per 13 chiese, potrebbe fare riferimento a un grano mescolo, ossia a un cereale nato dalla semina, sullo stesso terreno, di grano e di orzo29. In più, l’estimo attesta – oltre alla discreta presenza, com’è naturale aspettarsi in Valdera, di viti e olivi – la coltivazione del farro, della spelta, delle fave, dei mochi, della saggina, della fariola (forse una varietà minore del farro, presente fra i redditi della pieve di S. Giovanni di Paterno), del croco (cioè il fiore dello zafferano, attestato solo a S. Pietro in Corte), dei ceci, dei fagioli, delle castagne, dei fichi e delle noci. Eppure, nonostante la quantità di dati a disposizione, la ratio delle valutazioni del pievano di Rivalto e di ser Lando da Morrona non può che rimanere oscura. Vediamo di delineare meglio il problema. Come in parte si è detto dianzi, l’elenco dei redditus delle chiese serviva a individuare l’imponibile su cui applicare il datium. Ebbene, è a questo punto che la comprensione del meccanismo s’inceppa, in quanto non è possibile trovare una corrispondenza fra i dati tratteggiati nella fase dell’inventio e le cifre esposte dalla libra. Già da un primo sguardo si capisce, infatti, che non v’è consonanza fra le valutazioni scaturite dai deposti e il successivo allibramento: per il monastero di S. Casciano di Carigi, l’ente ecclesiastico più tassato di tutta la Valdera volterrana con i suoi 3610 soldi d’imponibile, i testimoni elaborarono una stima di ‘sole’ 30 staia di grano. È probabile che, come avveniva per la decima papale, anche la libra diocesana tenesse conto di variabili locali e contingenti, mitigandosi forse in corrispondenza di zone depresse o esposte alla guerra: nel 1278, ad esempio, i collettori apostolici cassarono dai propri registri il ruolo del rettore di S. Prospero di Ghizzano «propter generalem guerram Pisanorum»30. È, però, da scartare un’influenza diretta fra le due fonti fiscali, giacché alcune chiese allibrate dal vescovo per cifre maggiori rispetto ad altre pagavano al papa un tributo inferiore di queste ultime, e viceversa, come mostrano la pieve di Peccioli e il monastero di Carigi: mentre la prima, che fu allibrata per 3560 soldi, versò 199 e 240 soldi di decima, il secondo, che fu invece allibrato per 3610 soldi, pagò al papa una decima di 96 e 120 soldi. Si prenda in aggiunta il caso della pieve di Pino: essa corrispose tre lire e 17 soldi di decima, a fronte di un 29 Il riferimento riguardo a queste tematiche è ancora G. Pinto, Il libro del biadaiolo. Carestie e annona a Firenze dalla metà del ’200 al 1348, Firenze 1978, 34 s.; ma si veda anche G. Cherubini, La proprietà fondiaria di un mercante toscano del Trecento (Simo d’Ubertino di Arezzo), in Id., Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso medioevo, Firenze 1974, 313-92, soprattutto p. 364 s. 30 Rationes decimarum, 170. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 53 allibramento per 95 lire; mentre la chiesa di S. Donato di Terricciola, allibrata per 40 lire e 10 soldi, pagò ben 5 lire e 10 soldi. Allo stesso modo, mentre la pieve di Pava, allibrata per 114 lire e 10 soldi, pagò tre lire e tre soldi di decima, la chiesa di S. Martino di Scandiccio, allibrata per 55 lire e 10 soldi, pagò tre lire, 9 soldi e 6 denari di decima. Né, del resto, si scopre nulla di nuovo: già Pietro Guidi aveva messo in luce la non sovrapponibilità fra l’estimo diocesano lucchese e le Rationes31. Tabella nr. 1: scheda riassuntiva della tassazione vescovile e apostolica in Valdera alla fine del Duecento (dalle Rationes decimarum e dall’estimo della Valdera) La tabella nr. 1 mette confronto le stime fornite dai testimoni e dai rettori dei benefici ecclesiastici agli allibratori, la cifra dell’imponibile e il denaro dovuto alla Sede Apostolica. Nonostante che, come si è già rilevato, non sia possibile individuare una ratio che leghi strettamente le diverse cifre (si considerino le chiese di S. Michele di Monterotto e di S. Lucia di Montecchio, le quali, benché separate da ben 1000 soldi d’imponibile, versarono una decima abbastanza simile), si riesce a scorgere una qualche, rudimentale, progressività: abbastanza spesso, infatti, le chiese allibrate più pesantemente erano anche quelle che pagavano le decime più onerose (a parte, ovviamente, S. Donato di Terricciola, che versò una decima di poco inferiore a quella della pieve di Fabbrica, pur avendo un imponibile di quasi 4 volte più basso)32. 31 Rationes decimarum, 159 e 245, nr. 4: «bisogna tuttavia notare che la tassa della decima non fu basata sull’Estimo del 1260, perché sono troppi i casi, in cui si riscontra una sproporzione – ora in più, ora in meno – fra quella e questo». 32 Inoltre, è interessante notare che uno dei due dei recollectores apostolici era Rustico pievano di Castelfalfi, centro della Valdera volterrana collocato sulla sponda opposta dell’Era rispetto a Rivalto, di cui l’allibratore era pievano. A curare la redazione del «liber» – poi confluito nelle 54 JACOPO PAGANELLI Tornando ai parametri che guidarono l’allibramento, è evidente che è impossibile determinare la stima per ogni singolo cespite d’entrata, ossia disporre del valore attribuito alle granaglie, al miele e via seguitando33. Qualcosa di approssimativo è possibile inferire per la pieve di Peccioli, le entrate della quale, a parte tre brocche d’olio provenienti dal frantoio, sono computate tutte in grano (118 staia in totale) e in redditi monetati (in tutto, 24 lire e 4 soldi). Ora, se si toglie alla cifra d’estimo l’ammontare dei proventi in denaro, si troverà un imponibile “netto” di 3076 soldi; dividendo quest’ammontare per le staia di grano, s’individua il valore di un singolo staio, ossia 46 soldi: evidentemente troppo alto rispetto al prezzo indicato da Elio Conti per la fine del Duecento, ossia 6 soldi lo staio34. Come se non bastasse, il caso pecciolese è più unico che raro: tutti gli altri luoghi pii, infatti, dichiarano redditi “compositi”, non derivanti solo dal grano, o, comunque, non commisurati unicamente sulla scala del frumento. Diventa, così, pressoché impossibile scindere la massa dell’estimo nel valore dei suoi singoli componenti. Si prendano S. Maria di Montefoscoli e S. Pietro in Corte: entrambe le chiese riscuotevano 10 staia di miglio, uno staio d’olio, cifre monetate per 21 lire e 12 soldi e 10 libbre di cera. Tuttavia, mentre la prima aveva a disposizione 40 barili di vino, la seconda ne percepiva 25; allo stesso modo, mentre la prima incamerava 8 staia di grano, la seconda arrivava a 12. Sicché, il divario d’estimo di 10 lire fra l’una e l’altra (75 lire a fronte di 85) diventa un décalage di 15 barili di vino e 4 staia di grano. Questa considerazione indurrebbe a credere che, tolti circa 6 soldi ogni staio del grano (ossia 24 soldi), 15 barili di vino valessero circa 9 lire: un prezzo raggiunto circa 50 anni dopo in una realtà urbanizzata come quella pratese, dove il prezzo del vino si attestava su poco meno di 200 denari al barile35. Rationes decimarum – per i recollectores fu lo scriba vescovile Ildebrandino del fu Gerardo, già al seguito di Ranieri I Ubertini e Alberto Scolari, clef de voûte della Curia volterrana nella seconda metà del Duecento. Il primo atto vergato da Ildebrandino in ASFi, Dipl. Comune di Volterra, 1248 dicembre 9; l’ultimo (datato al 28 aprile 1279) in ASDV, Curia, Notarile Rossa nr. 2, c. 110v. 33 L’esempio più recente di ricostruzione dell’andamento dei prezzi del grano e del vino (a Prato, a partire dal 1328) è stato elaborato da P. Pinelli, I prezzi del grano e del vino a Prato fra XIV e XV secolo, in I prezzi delle cose nell’età preindustriale, Firenze 2017, 215-34; ma cf. l’ancora l’ottimo Ch.-M. de La Roncière, Prix et salaires à Florence au XIVe siècle (1280-1380), Rome 1982. 34 Per il valore del grano si veda E. Conti, Le proprietà fondiarie del Vescovado di Firenze nel Dugento, in R. Nelli, Signoria ecclesiastica e proprietà cittadina. Monte di Croce tra XIII e XIV secolo, Pontassieve (Fi) 1985, xi-xliii, in particolare p. xxxix. Vi è, inoltre, il problema del divario fra la misura pisana, da una parte, presumibilmente assai diffusa in Valdera, e quella fiorentina e volterrana, dall’altra: uno staio pisano valeva circa 2,75 volte quello fiorentino (cfr. M. Luzzati, Note di metrologia pisana, «Bollettino Storico Pisano», 31-32 (1962-1963), pp. 191-220). Tuttavia, la dichiarazione di aver computato i beni alla ratio pisana riguarda soltanto i barili di vino a Montecchio, Pino, Ghizzano, Montefoscoli e Scandiccio. Poiché, inoltre, l’estimo riguardava tutta la diocesi, è assai probabile che i valori fossero indicati in misura standard, quella volterrana. Più di recente, è stato Paolo Malanima a raccogliere i dati relativi ai prezzi del grano a Firenze fra medioevo ed età moderna: i calcoli dello studioso indicano il valore di uno staio di grano fra i 6 soldi e mezzo per staio del 1272-1273, e i quasi 6 del biennio successivo, ai poco più di 7 del 12771278 (Wheat prices in Tuscany, 1260-1860, in rete all’indirizzo <http://www.paolomalanima.it/ default_file/default_file/Italian%20Economy/Wheat_Prices_Tuscany.pdf>). 35 Pinelli, I prezzi del grano. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 55 Ci si muove su un terreno assai sdrucciolevole, attraverso ordini di grandezza vaghi, dettati dall’approssimazione e dall’impressione. Guardiamo alla pieve di Pava, il cui estimo ammontava a 114 lire: essa incamerava poco più di 48 staia di grano, 32 staia di altre granaglie (il tutto sarà corrisposto a un valore di circa 20 lire) e tre lire di proventi monetati. Vi erano poi 6 staia di fave, 38 barili di vino, tre staia d’olio e tre capi di bestiame (un paio di buoi del valore di 30 lire e un porco del valore di 50 soldi). È quindi naturale che, togliendo le 23 lire della somma dei cereali e dei cespiti in moneta dall’imponibile individuato dall’estimo (derivanti dalle oblationes, dalle penitentie e dai iudicia), e scomputando anche le 33 lire del bestiame, le 58 lire restanti (o 54, se si vuole assegnare alle granaglie come la segale, l’orzo e la spelta un valore medio uguale a quello del frumento) dovevano essere quelle scaturite dalla valutazione degli altri prodotti in natura. Per quanto ci si sforzi di individuare la corrispondenza fra estimo e libra, affrontare la materia in termini ragionieristici è come cadere nelle sabbie mobili, in quanto l’estimo non possedeva le «procedure chiare ed uniformi» del catasto del 1427, né gli allibratori si prefiggevano di valutare le entrate di un ente con stime sistematiche36; semmai, costoro miravano a costruire un ordine di grandezza relativo su cui tarare il prelievo (la libra, appunto): di modo che «la cifra assegnata al contribuente non rappresentava né la sua fortuna complessiva né la sua reale tassazione; semplicemente misurava la sua capacità di pagare l’imposta in rapporto a tutte le famiglie vicine»37. È probabile, inoltre, che la cifra dell’iscrizione a ruolo scaturisse da serrate negoziazioni fra i delegati del presule e i tassati: che, in altre parole, quella della libra fosse una tassazione contrattata, e che un ruolo di minore entità significasse semplicemente, alle volte, un maggior potere negoziale dell’allibrato. Per converso, è possibile che l’arbitrarietà abbia giocato un ruolo non secondario in quei casi in cui il margine contrattuale del rettore era pressoché nullo. Pur con queste avvertenze, l’estimo della Valdera induce a focalizzarsi su alcuni aspetti essenziali. Innanzitutto, emerge il ruolo non trascurabile giocato dai patrimoni fondiari e immobiliari delle chiese nell’economia della Valdera alla fine del Duecento: se in almeno 4 di esse (pieve di Paterno, pieve di Lajatico, pieve di Fabbrica, pieve di Peccioli) è attestato un mulino, almeno 5 chiese (S. Donato di Chianni, pieve di Lajatico, pieve di Fabbrica, S. Donato di Terricciola, pieve di Peccioli) riscuotevano pensiones da immobili in alzato, mentre almeno 6 luoghi pii (pieve di Peccioli, S. Donato di Terricciola, pieve di Strido, pieve di Lajatico, pieve di Fabbrica, S. Martino di Monteloppio) avevano a disposizione un frantoio per le olive. Si ha, insomma, la stessa sensazione di sostanziale tenuta degli asset immobiliari che si ricava anche dalle visitationes del vescovo Rainuccio Allegretti, benché effettuate a distanza di circa mezzo secolo e in altre regioni della diocesi di Volterra38. Ma bastavano i redditi mobili descritti dall’estimo (grano, miglio, saggina, ecc.) 36 La citazione da D. Herlihy - Ch. Klapisch-Zuber, I toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 1427, Bologna 1988, 41. 37 Ibi, 69. 38 Su questo tema si veda Paganelli, Dentro la Visita; più in generale, sul patrimonio degli enti ecclesiastici in età medievale, ha fatto il punto F. Salvestrini, La proprietà fondiaria dei gran- 56 JACOPO PAGANELLI ad assicurare il sostentamento dei rettori? Siamo adesso nel solco dei ragionamenti sulle condizioni clero rurale in Tuscia di Charles Marie de La Roncière, prima, e George Dameron, dopo39. Lo studioso americano ha preso a metro di paragone il salario medio di un lavoratore fiorentino specializzato fra il 1289 e il 1293, che guadagnava, all’incirca, 60 lire all’anno; questa valutazione è in linea con i dati a disposizione per la Volterra degli anni Venti del Trecento, dove un operaio della lana intascava circa 6 lire al mese. Guardando al ruolo allestito da Ranieri II si vede che non tutte le chiese oltrepassavano questa soglia critica, e che la libra del monastero di Carigi (circa 180 lire), la più alta della Valdera, equivaleva allo stipendio annuale di tre cardatori volterrani. Ma più che alla libra – una rappresentazione a fini fiscali, del tutto relativa – per verificare se, come ritiene Dameron, «most churchmen in the countryside were apparently either living on the margins of subsistence or significantly below it», bisogna guardare ai singoli cespiti censiti dagli allibratori, tenendo a mente che il costo della vita si aggirava, sempre per l’operaio fiorentino specializzato di prima, sulle circa 26 lire annue40. L’impressione che si ricava non è certamente delle più rosee: le 127 staia di grano della pieve di Fabbrica equivalevano, alla ratio di 6 soldi lo staio, a circa 38 lire (ammesso e non concesso che il frumento fosse tutto venduto); a queste, però, si aggiungevano più di 8 lire che venivano dalle oblazioni, 40 soldi dai lasciti testamentari (iudicia) e 10 soldi dalle penitentie, ossia dal denaro raccolto dal rettore al momento d’impartire la confessione. Anche relativamente alla pieve di Peccioli, alle 118 staia di grano (poco più di 35 lire) sono da sommare 20 lire dalle oblazioni e dai lasciti. Se si scende al livello delle semplici parrocchie, troviamo un quadro a tinte decisamente più fosche: il rettore di S. Germano di Ghizzano, ad esempio, incamerava nemmeno 10 staia di grano e 4 staia di miglio, cui si sommavano poco meno di 4 lire fra offerte e penitenze; a S. Tomeo di Vallecchio, i redditi del beneficio ammontavano a due staia di grano, due di miglio e uno d’orzo, oltre a un porco e a una lira dalle oblazioni. Se la stima di Dameron appare, forse, eccessivamente pessimistica, ponderando sia i margini di evasione che avranno contraddistinto il processo di allibramento, sia i casi di chiese moderatamente floride, come quella di Montelopio, sembra condivisibile l’idea secondo cui «the local population must have cared for the welfare of its poorest clergy»41. L’apporto dei parrocchiani garantiva ai loro curati cifre di denaro tutt’altro che disprezzabili: a S. Lucia di Montecchio, ad esempio, le oblazioni raggiungevano le 5 lire, così come a S. Donato di Chianni e alla pieve di Paterno, la quale incamerava anche tre lire dai legati e un’altra lira dalle penitenze. A S. Maria di di enti ecclesiastici nella Tuscia dei secoli XI-XV. Spunti di riflessione, tentativi di interpretazione, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 62 (2008), 377-412. 39 Ch. M. De La Roncière, Condizioni economiche del clero parrocchiale, rurale, e urbano dell’Europa meridionale, XII-XV secoli (osservazioni da lavori recenti), in Gli spazi economici della Chiesa nell’occidente mediterraneo. Atti del convegno (Pistoia, 16-19 maggio 1997), Pistoia 1999, 329-61; Dameron, Florence and Its Church, tabella nr. 5, p. 130. 40 Ibidem. 41 La citazione da Dameron, Florence and Its Church, 130. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 57 Montefoscoli, addirittura, dalle sole oblazioni arrivavano più di 11 lire, cui sono da sommare poco più di due lire dai testamenti e dalle penitenze. Si potrebbe anche supporre che il poco grano incamerato dal rettore di S. Maria di Montefoscoli – appena 8 staia, ragionevolmente insufficienti al suo sostentamento – inducesse i parrocchiani a essere piuttosto generosi con i donativi. È un quadro, questo, che per il clero rurale e i cenobi del ceppo benedettino (come Carigi e Morrona) diventa ancor più favorevole se si considera che non si avvertiva, in Valdera, la concorrenza dei mendicanti: la zona era infatti sgombra dai nuovi Ordini duecenteschi, giacché (se si escludono gli eremiti di Larniano di Gabbreto di Valdicecina, poi inquadrati nell’obbedienza agostiniana42) i conventi principali erano dislocati a Pisa e a Volterra. Quella relazione «usually symbiotic and cooperative» che vigeva «between members of the secular clergy and their local communities» poteva, quindi, dispiegarsi senza ostacoli43. Né fu certo a caso che gli allibratori si affidarono anche all’opinione, ossia alla «fama di ricchezza», formata dai boni homines di villaggio: costoro furono chiamati a deporre non solo in ragione della loro conoscenza, almeno a grandi linee, della situazione patrimoniale degli enti, ma anche in virtù della loro prossimità ai rettori, che magari coadiuvavano nella gestione delle chiese44. In tal senso, l’estimo tardo-duecentesco conferma appieno l’idea – espressa da La Roncière – che la chiesa fosse «le pivot» del villaggio, posta al centro della trama di relazioni economiche e sociali che in esso si sdipanava45. Anche dalla visita del presule Allegretti trapela l’importanza delle comunità locali, i cui membri erano alle volte riuniti in opere, ossia in organizzazioni collettive cui era demandata la cura del luogo pio e dei suoi arredi sacri46. 3. Conclusioni L’analisi condotta sull’estimo della Valdera allestito nel 1273 ha messo in luce che esso s’innestò su una pratica – quella della ripartizione del carico fiscale «divitibus secundum divitias, pauperibus secundum paupertatem» – invalsa nella Chiesa volterrana almeno fin dall’episcopato di Ranieri I. Almeno dal pontificato di Alberto, si affermò il principio della suddivisione del clero in aree fiscali facenti capo a un prior, che sarebbero diventati “quinti” con Ranieri III Belforti (1301-1320) e “sesti” con Rainuccio Allegretti47. Si è appurato che la facies attuale della libra è la risultante di uno smembramento, e che il documento si è salvato perché fu inserito come 42 Si veda Mori, Pievi della diocesi, nr. 55.15. La citazione da Dameron, Florence and Its Church, 162. 44 La citazione nel testo da Herlihy - Klapisch-Zuber, I toscani, 67. Ma v. anche Forrest, Trustworthy Men, 331. 45 La citazione da Ch.-M. de La Roncière, Dans la campagne florentine au XIV siècle: les communautés chrétiennes et leurs curés, in Histoire vécue de peuple chrétien, sous la direction de J. Delumueau, Toulouse 1979, 281-314. 46 Cf. Paganelli, Dentro la Visita. 47 I quinti erano costituiti almeno fin dal 1312 (ASDV, Curia, Notarile Rossa nr. 6, c. 55v), i sesti dal 1321 (ASDV, Curia, Notarile Rossa nr. 10, c. 2r). 43 58 JACOPO PAGANELLI appendice del registro Beni della Mensa. Si è ragionato sull’estensore, ser Lando da Morrona, vicecomes in Valdera a nome di Ranieri II, e si è provato a mettere in relazione l’estimo con le quasi contemporanee liste della decima papale, senza che sia emersa, nonostante la prossimità geografica dei rispettivi compilatori (i pievani di Castelfalfi e Rivalto), una qualche interferenza fra le due fonti Si è riflettuto sulle modalità che guidarono il pievano di Rivalto e ser Lando da Morrona nella compilazione dell’estimo: dal ricorso alle deposizioni dei boni homines, spesso e volentieri dissonanti fra loro, alla capillare elencazione dei cespiti d’entrata di ogni luogo pio, presumibilmente riportati alla misura volterrana, perché l’estimo riguardava tutta la diocesi. Molte delle deduzioni suscitate dalla lettura dell’estimo rimangono empiriche e grossolane, ma si è appurato che fra l’estimo e la libra non vigeva un rapporto deterministico, essendo il censimento dei redditi propedeutico soltanto alla costruzione di un ordine di grandezza, in base al quale suddividere le contribuzioni fra i vari enti (al netto dell’evasione durante l’allibramento, degli sgravi concessi a una chiesa colpita da particolari traversie, e del potere contrattuale del titolare del beneficio). Si è cercato, infine, di collocare l’estimo della Valdera sul binario delle riflessioni di Dameron e La Roncière per l’area fiorentina. Il documento sembrerebbe confermare l’intuizione dello storico americano, secondo il quale il clero rurale trovava nelle comunità di villaggio un puntello imprescindibile. Anche se le stime di Dameron – per il quale «two of three churches» garantivano un reddito a malapena pari a quello di un lavoratore specializzato48 – non possono essere applicate al Volterrano senz’essere prima attentamente vagliate, si potrebbe ritenere che, a fronte di una sostanziale tenuta del patrimonio immobiliare dei luoghi pii, per i rettori, specie per quelli più condizionati dal contesto locale, non fosse facile riorientare la gestione patrimoniale su modalità e criteri improntati alla redditività, che prevedessero affitti in frumento e termini di locazione piuttosto brevi. Ma è evidente che, per disporre di un quadro più completo e attendibile, si dovrebbero far interagire i dati desumibili dall’estimo duecentesco con le informazioni relative ai singoli castelli: per capire ad esempio se, e in che termini, l’esiguità dei redditi di un beneficio stesse in relazione con le dinamiche insediative proprie del luogo, o con il fatto che la chiesa era collocata lontano dal villaggio, magari in un luogo difficilmente raggiungibile. La generosità dimostrata dai parrocchiani nei confronti di S. Maria di Montefoscoli scaturiva certamente, almeno in parte, dal fatto che quella chiesa era prossima all’abitato, sì da intercettare – meglio della ‘lontana’ pieve di Pino – le istanze della popolazione: non a caso, S. Maria sarebbe stata dotata dai vescovi di Volterra, almeno dal 1314, del fonte battesimale e delle prerogative pievane49. Queste considerazioni, tuttavia, vogliono essere soltanto un affondo preliminare in una materia, quella della fiscalità vescovile, i cui contorni, per il Volterrano, sono ancora da definire: si trattava, per così dire, di rompere il ghiaccio. Del resto, questa 48 49 La citazione da Dameron, Florence and Its Church, 128. ASDV, Curia, Notarile Rossa nr. 7, c. 74v. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 59 pista di ricerca si prospetta invitante, e potrà senz’altro giovarsi del materiale reperibile nei ricchi fondi archivistici cittadini: un primo carotaggio, ancorché parziale, ha permesso d’individuare un elenco di decime, presumibilmente tardo-trecentesco e successivo al noto Sinodo Belforti, contenente la libra cleri già edita da Antonio Giachi nel Settecento50. 50 Si veda A. F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, Volterra 1887, 583-94. L’elenco delle decime tardo-trecentesco in ASDV, Curia, Notarile Nera nr. 35, VI fascicolo. 60 JACOPO PAGANELLI APPENDICE 1. Valdera, novembre 1273. Ranieri pievano di Rivalto e priore di Valdera, coadiuvato da prete Iacopo rettore della chiesa di S. Lorenzo di Gello, censisce i redditi delle chiese della Valdera su mandato del vescovo volterrano Ranieri II. ASDV, Curia, Notarile Nera nr. 34, c. 12r-15v. In nomine Domini amen. Hec est memoria inventionis exstimi infrascriptarum ecclesiarum faciendi positarum in Vulterrano diocesano51, videlicet in Valle Here, facta et inventa a domino Rainerio plebano plebis S. Iohannis de Rivalto de consilio et voluntate presbiteri Iacobi rectoris ecclesie S. Laurentii de Gello Vallis Here, eodem suprascripto domino plebano priore circa suprascripta et infrascripta electo a venerabile52 domino Rainerio permissione divina episcopo Vulterrano, incepta anno Domini millesimo ducentesimo septuagesimo quarto, secunda indictione currente, sextodecimo kalendas decembris. In primis plebes S. Iohannis de Paterno prioratus Vallis Here. Bartholomeus plebanus suprascripte plebis suo iuramento ab eo corporaliter prestito introitum et proventum suprascripte sue plebis annualem diligenter atque aperte dixit et manifestavit ut inferius plenarie continetur, xvi kalendas decembris. In primis staria viginti grani ex suo laborerio. Item staria xv spelte et staria vi saggine. Item quarras vi farris et quaras duas fabarum. Item quarras ii fariole et bariles xxv vini et staria x olei. Item staria xi grani ex afficto et quarras xviiito grani ex reito. Item quarras iii ordei et quarras xii spelte et quarras viii saggine ex reito. Item quarras xii grani et quarras xxiiiior spelte et quarras iiii ordei et quarras ii milii ex decima53. Item libras v denariorum ex oblactionibus et libras iii ex iudiciis. Item libras xx cere et soldos xx ex penitentiis et soldos xx ex missis. Item quarras xxx grani ex molendino et quarras xv miliate et quarras xxx saggine. Item duos boves valentes libras xxviii denariorum. Petrus quondam item Petri de villa Cerbarie suo iuramento affictavit omnia bona suprascripte plebis stariis xxxvi grani. Montanino quondam Pieri et Guarinus quondam Grilli de dicta villa affictaverunt eorum iuramento bona suprascripte plebis stariis xviii [grani]54. || Ecclesia S. Donati castri de Chianni. Presbiter Ferrante suprascripte ecclesie suo iuramento dixit introitum annualem supra51 Così nel testo. Così nel testo. 53 Ex decima in interlinea superiore. 54 Circa mm 10 del bordo esterno della pagina sono stati coperti dalla carta apposta in età moderna. 52 L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 61 scripte sue ecclesie. In primis quarras xii grani, quarras viii ordei, quarras vi spelte de suo labore et quarras iiiior fabarum et staria xii castanearum. Item bariles xxx vini et broccas vi olei. Item soldos xx denariorum ex pensione domus sue ecclesie. Item libras x cere et libras v ex oblatione annuali. Item soldos xl denariorum ex iudiciis et solidos x ex ficubus. Item unam mediam asinam valentem solidos l. Item unum porcum valentem solidos xl denariorum. Item decem capras valentes libras v denariorum. Item staria xii grani ex afficto et quarras ii grani ex reito. Item starium i spelte et staria vi grani ex decima. Item staria vi spelte et quarras iiiior ordei ex decima. Item quarras ii milii et quarras ii saggine ex decima. Diotisalvi quondam Iohannis, Andreas et Iacobus quondam Bonacurssi de Chianni eorum iuramento unanimiter adfictaverunt bona dicte ecclesie stariis xviii grani. Ecclesia S. Marie de Chianni. Bonaccurssus reitor suprascripte ecclesie suo iuramento dixit introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis staria xii grani et staria vi ordei et staria vi spelte. Item staria iii saggine et quarras iiiior fabarum et quarras ii cicerorum. Item staria iii castanearum et staria iii olei et bariles xxv vini ex suo laborerio. Item quarras xviii grani ex afficto et quarras ii grani et quarras ii spelte ex decima. Item libras iii ex oblactione et solidos x ex iudiciis annuatim. Item unum bovem valentem libras x et unam asinam valentem libras vii. Item unum porcum valentem solidos l et solidos xx ex ficubus. Diotisalvi et Andrias germani quondam Iohannis et Iacobus quondam Bonacurssi de Chianni unanimiter eorum iuramento extimaverunt in summa omnia bona suprascripte ecclesie inducendo in affictum stariorum xviii grani. || Plebes S. Iohannis de Strido. Bernardinus plebanus suprascripte plebis suo iuramento ab eo corporaliter prestito diligenter dixit et manifestavit introitum et proventum annualem suprascripte plebis. In primis bariles xl vini de suo et de decima annuatim. Item broccas ii olei et libras xii cere ex festivitatibus. Item quarras viiii grani et quarram i ordei ex afficto. Item quarras xii grani ex reito et soldos x ex feno. Item quarras xxxvi grani et quarras xvi ordei et quarras xxiiiior spelte et quarras x saggine ex decima. Item soldos xl ex oblactionibus et soldos xii ex iudiciis. Item unum porcum valentem soldos xxxvi et quarras iiii olei ex frantorio. Henricus quondam Bernardi et Casectus quondam Bonaccurssi de Strido eorum iuramento quasi omnia suprascripta adfirmarunt. Plebes S. Iohannis de Orciatico. Bonifatius plebanus suprascripte plebis suo iuramento dixit infrascriptum introitum et proventum annualem suprascripte plebis. In primis staria lxii grani et staria xxx spelte et staria vi milii faciendo laborare expensis plebis55. In primis staria xviii grani et staria vi ordei et quarras vi spelte et quarras ii segalis et quarras iiiior milii. Item quarras iiiior saggine et quarram i farris et quarras viii fabarum et [baril]es56 xii vini ex laborerio suprascripte plebis. Item quarras xv olei ex medio et quarras xii mellis apium et libras x cere apium et quarras ii grani ex afficto. Item staria vi grani et staria vi ordei et milii ex decima. Item soldos xl ex oblactione et soldos xl ex iudiciis. Item unum bovem valentem libras vi et soldos xx ex una porca. Item mannas xxx lini ex decima. Bindus quondam Ildebrandini et Ormannuccius quondam Ormanni de Orciatico eorum iuramento reduxerunt in affictum bona singula suprascripte plebis stariorum xii grani annuatim. || 55 Da Bonifatius plebanus a expensis plebis il testo è stato barrato; di mano dell’estensore, vergato a fianco: vacat. 56 Lacerazione sulla carta. 62 JACOPO PAGANELLI Ecclesia S. Bartholomei de rocca Petra Cassa. Ecclesia S. Niccolay de Rocchepta. Ecclesia S. Octaviani de Monteçano. Plebes S. Iohannis de Laiatico. Dominus Petrus dictus Rubeus plebanus suprascripte plebis suo iuramento dixit diligenter introitum et proventum annualem suprascripte sue plebis ut inferius continetur. In primis staria lxxii grani et staria xxx spelte et staria vi milii et bariles xxviii vini ex laborerio suprascripte plebis. Item soldos xii ex pensione domus et broccas vi olei ex olivis et broccam i ex frantorio et soldos iiii ex uno bungno apium. Item libras xx cere ex oblactione et quarram i ordei ex afficto. Item staria vii grani et quarras xxi ordei et quarras xxi spelte ex decima. Item libras v soldos xv ex oblatione totius anni. Item soldos xx ex iudiciis et soldos xiiii ex festivitatibus. Item unum bovem valentem libras x et unam mulam valentem libras xiiiior. Item libras iii soldos xvi ex porcis et soldos xxxvi ex uno asino. Item soldos v ex penitentiis et mannas xx lini ex decima. Bonaccurssus quondam Ugolini et Ubaldinus quondam Manaselli de Laiatico eorum iuramento unanimiter affictaverunt omnia bona suprascripte plebis stariis vi grani tantum. || Plebes S. Iohannis de Fabrica. Dominus Filippus plebanus suprascripte plebis suo iuramento dixit et diligenter manifestavit introitum et proventum annualem suprascripte plebis. In primis staria lxxxxiiiior grani et staria vi ordei et staria xii milii et panici et staria iii fabarum ex laborerio suprascripte plebis. Item bariles xvii vini de suo et de decima. Item staria duo olei et staria xii et quarram i grani ex afficto. Item staria iii spelte et saggine ex reito. Item staria xii grani et staria xii miliate ex decima. Item staria xviii grani ex afficto sue sortis molendini. Item soldos xxxviiii ex pensione domus annuatim. Item libras viiito ex oblactione et libras viii cere. Item soldos xl ex iudiciis et duos boves valentes libras xx et libras v ex una asina. Item starium unum olei ex frantorio et factoio et soldos x ex penitentiis de sanis et libras iiiior ex porcis et mannas xl lini. Iacobus Bonaiuti de Fabrica suo iuramento adfictavit introitum suprascripte plebis stariis xxiiiior grani annuatim. Iovannectus Saraceni de suprascripto loco suo iuramento adfictavit stariis lx grani. Ecclesia S. Martini de Montelopio. Presbiter Barthalus suprascripte ecclesie suo iuramento dixit introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis staria lx grani et staria xviii ordei et staria viiii milii et staria vi saggine et staria iiii fabarum et bariles viiii vini et staria ii olei ex suo laborerio. Item solidos v ex uno bungno apium et quarram i grani et quarras iiiior miliate de decima et soldos xv ex oblactionibus et iudiciis. Item libras quattuor super uno pario bovum et libras vi super porcis et quarras viiii olei ex frantorio. Vitali quondam Consilii et Cardinale quondam Dati de Montelopio eorum iuramento adfictaverunt introitum suprascripte ecclesie stariis vi grani. Ecclesia S. Micchaelis de Celle. Presbiter Orlandus suo iuramento dixit: in primis staria xxx grani et staria vi ordei et staria vi spelte et quarras xxx milii et quarras xii saggine et quarras xii57 fabarum et quarras ii mucorum et quarram i fascioli et bariles x vini et broccas ii olei ex suo labore. Item quarras xviii mellis et libras viiii cere et quarras ii grani et quarras iiii alterius blade ex decima et 57 Segue spelte espunto con segno orizzontale. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 63 soldos v ex oblactionibus et libras iiiior ex duobus porcis et soldos x ex uno stario ficuum et mannas xx lini. Adsummavit in afficto stariorum xii grani. || Ecclesia S. Lucie de Montecchio. Presbiter Bonaccurssus suprascripte ecclesie suo iuramento ab eo corporaliter prestito diligenter dixit et hostensit introitum et proventum suprascripte ecclesie annualem. In primis staria xii grani et staria xii ordei et milii ex suo laborerio et bariles lx vini ad Pisanum. Item staria iii olei et libras iii cere. Item quarras xxxi grani ex afficto et quarras iii ordei suprascripta occasione. Item staria iiiior grani et staria vii miliate ex [d]ecima58. Item libras v ex oblactione et solidos x ex iudiciis. Item solidos v ex duobus porciis et solidos xl ex una asina. Item staria ii ficuum et staria iiiior nucaium et soldos x ex penitentiis et soldos v ex piris vendendis. Item mannas xxx lini ex decima. Bonaccurssus quondam Alberti, Diotavviva quondam Uliverii de Montecchio eorum iuramento adsummarunt omnia bona suprascripte ecclesie in afficto stariorum xxiiiior annuatim. Plebes S. Iohannis de Pino. Dominus Ildebrandinus plebanus suo iuramento diligenter dixit introitum et proventum suprascripte plebis. In primis staria xxxvi grani et staria xii ordei. Item quarras iiiior cicerorum et quarras iiiior cicerchiarum et bariles xviii vini ex suo laborerio annuatim. Item staria xxx59 grani ex afficto et staria xviii grani ex reito. Item staria vi grani et staria xii miliate et aliarum bladarum ex decima. Item libras iii ex pensione domorum et soldos xx ex oblactione. Item soldos xl denariorum ex iudiciis annualibus et soldos xl ex festivitatibus. Item mannas xx lini ex decima annuatim. Item unum equm valentem libras xxv denariorum Pisanorum. Item soldos xl ex melle apium et cera. Adsummavit in affictum omnia suprascripta annuatim stariorum lxxxx grani. || Ecclesia S. Germani de Gheçano. Presbiter Ranuccius suprascripte ecclesie suo iuramento dixit et manifestavit annualem introitum et proventum suprascripte sue ecclesie. In primis staria iii grani et quarras viii fabarum. Item quarram unam cicerum et bariles xv vini ad Pisanum. Item starium i olei ex suo laborerio. Item staria vi grani ex reito et quarras iii grani et quarras viiii milii ex decima. Item soldos xxv ex oblactione et soldos xl ex uno porco. Item soldos x ex penitentiis et mannas xx lini ex decima. Adsummavit omnia suprascripta in affictum stariorum xxx grani annuatim. Iohannes notarius et Guido Sigerii de Gheçano eorum iuramento adsummarunt omnia suprascripta in affictum annuatim stariorum xviii grani. Ecclesia S. Prosperi de Gheçano. Tegrimus Fulci rector suprascripte ecclesie. Ecclesia S. Petri de Libiano. Presbiter Micchael suprascripte ecclesie suo iuramento dixit introitum et proventum suprascripte ecclesie annualem. In primis staria x grani et quarras vi fabarum et item bariles lx vini et staria ii olei ex suo labore. Item quarras xviii grani ex reito et staria ii milii et staria ii saggine. Item quarras xviii grani et quarras xviii miliate ex decima. Item soldos xxxv ex oblactione et soldos x ex iudiciis. Item libras iii ex capriis et soldos xl ex uno porco. Item soldos v ex groco et mannas xxx lini ex decima et suo. Adsummavit omnia suprascripta in 58 59 Lacerazione sulla carta. L’ultima cifra del numerale che segue xxx è stata espunta. 64 JACOPO PAGANELLI affictum stariorum xxv grani. Ugolinus quondam Bergi et Sinibaldus eius filius de Libiano eorum iuramento affictaverunt omnia suprascripta annuatim stariis xviii grani. || Ecclesia S. Fridiani de Pratello. Presbiter Saracenus suprascripte ecclesie suo iuramento dixit diligenter introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis quarras xx grani et quarras xx ordei et quarras vi saggine et bariles xxv vini et starium unum olei ex suo laborerio. Item quarras xx grani et quarras xviii milii ex reito. Item quarras vi grani et quarras viii miliate ex decima. Item solidos xx ex oblactionibus et solidos vi ex feno et solidos vi ex ficubus et mannas xii lini ex decima. Adsummavit affictum suprascripte ecclesie stariorum xviii grani. Gerardus quondam Diotaiuti, Bongiaccha quondam Vitalis de Pratello eorum iuramento adsummarunt totum affictum annualem suprascipte ecclesie stariorum vi grani. Ecclesia S. Petri in Curte. Presbiter Bartholomeus prior suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter dixit et manifestavit annualem introitum et proventum suprascripte ecclesie. In primis staria x grani et bariles xxv vini. Item starium i olei ex suo laborerio. Item quarras v mellis et libras ii cere. Item quarram i grani ex livello et quarras xl grani ex reito. Item staria vi ordei et staria ii segalis et staria xii milii. Et quarras xii saggine ex reito. Item staria vi grani et quarras xii ordei ex decima. Item libras v ex iudiciis et mortuariis et pecudes xviiii. Item libras v ex una asina et libras iii ex uno porco60. Item pecudes viii in soccio tenentur ab eo. Item soldos x ex duabus unciis croci et mannas xxx lini. Adsummavit omnia suprascripta stariis xlii grani. 2. Valdera, novembre 1273. Ranieri pievano di Rivalto, coadiuvato da prete Iacopo rettore della chiesa di S. Lorenzo di Gello, continua a censire i redditi delle chiese della Valdera su mandato del vescovo volterrano Ranieri II. ASDV, Mensa nr. 1, f. 77-83. Ecclesia S. Marie de Montefosscoly. Presbiter Henricus suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter dixit et manifestavit introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis staria iii grani et bariles lx vini ad Pisanum ex suo labore61. Item starium i olei, et quarras iiiior grani ex afficto et libras x cere ex festivitate et quarras xiiii milii ex reito. Item quarras xii grani ex reito et quarras iiii grani et quarras ii milii et staria vi milii ex decima. Item libras xi et soldos iii ex oblactionibus totius anni. Item soldos xx ex iudiciis et soldos xxv ex penitentiis. Item soldos xliiii ex ficubus et libras iiii ex uno iumento. Item soldos xl ex uno porco et mannas xxx lini ex decima. Rusticus quondam Ranuccini et Rustichellus quondam Cursi de Montefossculi eorum iuramento in summa adfictaverunt omnia bona suprascripte ecclesie annuatim stariis xviiito grani. Ecclesia S. Romani de Montefosscoly. Presbiter Pierus suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter dixit introitum et proventum 60 61 Porco in interlinea superiore, a sostituire un precedente asina espunto. Ex suo labore in interlinea inferiore. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 65 suprascripte ecclesie annualem. In primis staria xii grani et staria xii ordei et quarras viii segalis et staria xii milii et panici et quarras viii saggine et quarram i fabarum et quarras iiii fasciolorum et bariles xv vini et starium i olei ex suo laborerio. Item quarras iiii grani et quarras iiii milii ex decima. Item soldos x ex oblactionibus et iudiciis et soldos xx ex uno pulledro et soldos xxx ex porcis et soldos x ex pullis. Item soldos x ex groco et soldos xxx ex ficubus. Item mannas xxx lini ex decima. Reduxit in affictum omnia suprascripta annuatim stariorum xxiiiior grani. || Ecclesia S. Laurenthi de Gello. Presbiter Iacobus suprscripte ecclesie. Abbatia monasterii S. Cassciani in Carisio. Gerardus quondam Salceti de Pianello et Rainerius quondam Talenti de Montefosscoly eorum iuramento ab eis corporaliter prestito reduxerunt in affictum omnia bona suprascripti monasterii annuatim stariorum xxxvi grani. || Plebes S. Verani de Peccioli. Dominus Ventrilius prepositus suprascripte plebis suo iuramento ab eo corporaliter prestito diligenter dixit et hostensit introitum et proventum annualem suprascripte plebis ut inferius continetur. In primis libras iiiior et soldos iiii denariorum ex pensione domorum. Item staria xviii grani ex afficto et staria xviiii grani ex afficto. Item staria xii grani ex afficto. Item staria xii grani in alia parte ex afficto computatis arboribus. Item staria xxi in alia parte ex afficto. Item staria vi grani ex sorte sui molendini. Item staria xviii grani ex decimis computando omnes alias bladas. Item libras xx ex oblactionibus et iudiciis et cera. Item broccas iii olei ex frantorio. Henricus notarius, Iuncta Saraceni, Diotisalvi quondam Rainerii de Peccioly eorum iuramento reduxerunt in afficto omnia bona suprascripte plebis62 annuatim stariorum lxxii grani. Ecclesia S. Micchaelis de Monte Ropto. Presbiter Albiçus suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter63 dixit introitum et proventum suprascripte ecclesie. In primis soldos xvi ex pensione domus et bariles x vini et broccas ii olei et quarras viiito grani ex afficto. Item quarras64 xl grani et quarras xlviiii milii et panici et ordei ex reito et quarras xvi grani et quarras xvi miliate ex decima. Item soldos xlvi ex oblactionibus totius anni. Item soldos x ex iudiciis et libras ii cere. Item soldos xx ex porcis et soldos xl ex una asina. Item mannas xxxvi lini ex decima. || Plebes S. Iohannis de Pava. Dominus Riccardus plebanus suprascripte plebis suo iuramento ab eo corporaliter prestito dixit introitum et proventum suprascripte plebis ut infeiurs continetur. In primis staria xxxvi grani et staria viii ordei et staria viiii spelte et staria xxiiii milii et panici et staria vi fabarum et bariles xxxviii vini computando dec[….]65 ex suo labore. Item quarras xl grani et staria xv miliate ex decima. Item staria iii olei et quarras x grani et quarras xiiii milii ex reito et libras iii ex oblactionibus et iudiciis et penitentiis. Item duos boves valentes libras xxx. Item unum porcum valentem soldos l. Alioctus quondam Vitalis, Bernardinus quondam Cortenove de Pava eorum iuramento adsummarunt affictum totum suprascripte plebis stariorum xii grani annuatim. 62 Segue rede espunto. Segue dil espunto. 64 Segue iiii espunto. 65 [decimam]? 63 66 JACOPO PAGANELLI Ecclesia S. Martini de Scandiccio. Presbiter Cambius suprascripte ecclesie suo iuramento dixit diligenter introitum et proventum suprascripte ecclesie annualem. In primis staria xii grani et staria xii ordei et quarras xii spelte et staria xii milii et panici et staria xii saggine et quarras ii fabarum et quarras ii fasciolorum et bariles xv vini ad Pisanum et broccas vi olei dandum ad laborandum ad medium bovem et semera, ut convenit. Item soldos xv ex melle et cera apium. Item staria iii grani ex afficto et staria iii grani et staria vi milii ex decima annuatim. item soldos xv denariorum ex oblactionibus et iudiciis. Item duos boves valentes libras xx denariorum. Item soldos xxv denariorum ex una media asina. Item libras iii, soldos vi ex uno porco et una porcella. Adsummavit dictus presbiter omnia suprascripta in affictum stariorum xxx grani. || Ecclesia S. Donati de Turicciola. Presbiter Bonaccursus suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter dixit et manifestavit introitum et proventum suprascripte sue ecclesie quod annuatim haberi potest. In primis staria quinque grani et quarras tres fabarum et bariles centum decem vini computando decimam. Item staria quattuor olei computando frantorium et factoium ex suo laborerio. Item soldos xxti ex pensione domorum et soldos viginti ex melle et cera apium suarum et starium unum grani ex afficto. Item staria quatuor grani et staria quatuor miliate ex reito et quarras duodecim ordei66 ex reito et staria tria grani et staria vi miliate ex decima. Item libras quinque ex oblactionibus et iudiciis et unam asinam valentem libras sex et unum porcum valentem soldos viginti. Item soldos quinquaginta ex groco et libras tres ex ficubus et soldos quindecim ex piris et mannas vigintiquinque lini ex decima. Iohannes Henrici et Bonasaltus Bonesingne de Terricciola eorum iuramento reduxerunt in afficto omnia suprascripta stariorum xxiiiior grani. Ecclesia S. Petri de Guilica. Vallaccha rector suprascripte ecclesie suo iuramento diligenter dixit et manifestavit annualem introitum et proventum suprascripte ecclesie presente presbitero Riccardo plebano plebis de Pava. In primis staria xviii grani et staria vi ordei et staria vi spelte et staria ii segalis et staria vi milii et quarras xii saggine et quarras ii fabarum de medio dando bovem. Item bariles xxx vini et broccas iiiior olei ex suo et broccas iii olei ex factoio et frantorio. Item soldos xx ex ficubus et soldos xx ex melle et cera. Item quarras xii grani et quarras xii miliate ex decima. Item soldos xl ex oblactione et iudiciis et libras iii ex una asina et unum bovem valentem libras v, et soldos xl ex uno porco. Bonaccursus Alberti suo iuramento adfictavit staria v grani, Bonaccursus Lamis suo iuramento adfictavit staria iiiior grani, Bonaguida Aiuti suo iuramento adfictavit staria x grani et omnes sunt de Guilica. || Ecclesia S. Laurenti. Presbiter Fortiore suprascripte ecclesie suo iuramento dixit et manifestavit introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis quarras xviii grani et quarras viii ordei et quarras vi spelte et quarras x milii et panici et quarras iiii saggine et quarram i fasciolorum et bariles xviiii viniet broccas iiiior olei de suo laborerio. Item soldos ii ex melle apium et quarras vi grani et [quar]r[as] vi milii ex reito. Item quarras ii grani et quarras ii miliate ex decima. Item mannas viii lini, libras [d]ecem et soldos xviii ex oblactionibus et iudiciis et soldos iiiior ex ficubus. Item soldos xx ex uno porco. Adsummavit in afficto omnia suprascripta stariorum vi grani annuatim. 66 Ordei in interlinea superiore. L’ESTIMO DELLE CHIESE DELLA VALDERA 67 Ecclesia S. Tomei de Vallecchio. Presbiter Bongradus suprascripte ecclesie suo iuramento dixit et manifestavit introitum et proventum annualem suprascripte ecclesie. In primis starium i grani et staria i ordei et starium i milii. Item starium i grani et starium i milii ex decima. Item soldos xx ex oblactione et iudiciis. Item soldos xxiiii ex uno porco. Item broccam i olei et quarras ii ficuum. || Plebes S. Iohannis de Rivalto. Dominus Rainerius plebanus suprascripte ecclesie. Ecclesia S. Marie de Castello Vecchio. Presbiter Ugolinus suprascripte ecclesie suo iuramento dixit introitum et proventum suprascripte ecclesie annualem. In primis staria vi grani et staria iiiior ordei ex suo labore. Item starium i castanearum et bariles vi vini ex suo et ex decima. Item staria iii olei et staria vi miliate et staria i grani et staria (ii)67 ordei ex decima. Item soldos xxx ex oblactione et iudiciis. Item soldos v ex feno et soldos l ex uno porco. Item soldos xl ex porcis. Pillius Bartholomei et Bonagratia Fortis de Castello Vecchio eorum iuramento adfictaverunt omnia bona suprascripte ecclesie stariis x grani annuatim. || In nomine Domini amen. Ex hoc publico instrumento sit omnibus audientibus manifestum quod hec est libra infrascriptarum ecclesiarum prioratus Vallis Here Vulterrane diocesis diligenter facta et completa per dominum Rainerium plebanum plebis de Rivalto priorem suprascripti prioratus Vallis Here de consensu presbiteri Iacobi de Gello eius consiliarii electum etiam priorem a venerabile68 patre atque domino Rainerio episcopo Vulterrano et a clericiis etiam eiusdem prioratus. In primis: 67 68 Lacerazione sulla carta, che impedisce la lettura corretta del numerale. Così nel testo.