Pasquale Gravina
Scritti di botanica
(1811-1812)
a cura di
Pasquale Orsini e Aurelio Manzi
Comune di Pettorano sul Gizio
Associazione Culturale “Pietro De Stephanis”
Pettorano sul Gizio 2012
Pasquale Gravina
Scritti di botanica
(1811-1812)
a cura di
Pasquale Orsini e Aurelio Manzi
Comune di Pettorano sul Gizio
Associazione Culturale “Pietro De Stephanis”
Pettorano sul Gizio 2012
© copyright 2012, Pettorano sul Gizio
Comune di Pettorano sul Gizio
www.comune.pettorano.aq.it
Associazione Culturale “Pietro De Stephanis”
www.pettorano.com
Progetto graico ed impaginazione: Pasquale Orsini
Si ringraziano le seguenti persone per l’aiuto fornito: Maria Rosa Agozzino (Bibl.
Universitaria di Napoli); Antonio Borrelli (Bibl. Universitaria di Napoli); Marcello
Cerrona (Bibl. Universitaria di Napoli); Eva D’Alberto; Raffaele De Magistris (Bibl.
Universitaria di Napoli); Massimiliano Foresta; Panilo Ilario (Coop. Ardea); Antonio Monaco; Cristina Orsini; Ciro Pagliara (Bibl. Universitaria di Napoli).
In prima di copertina: Brassica Gravinae, dipinto di Paolo Ricciotti (© 2011).
In quarta di copertina: riproduzione della Brassica Gravinae dall’opera Flora Napolitana di Michele Tenore.
ISBN 978-88-906796-0-5
Senza regolare autorizzazione
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico
Indice
Giuseppe Berarducci
Presentazione
vii
Marcello Bonitatibus
Presentazione
ix
Pasquale Orsini
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xi
Aurelio Manzi
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xxv
Riferimenti bibliograici degli articoli qui pubblicati
xlix
Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle
montagne che chiudono al sud
la Vallata di Solmona
1
Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle
montagne del circondario di Scanno
13
Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della
semina, prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza
per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano
nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento
alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real
Giardino delle piante
45
Appendice:
Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila
57
Presentazione
Questa pubblicazione ha una duplice importanza. Da una parte rimette al centro dell’attenzione una igura come quella del
medico e botanico pettoranese Pasquale Gravina (1779-1828),
spesso dimenticata e sottovalutata dagli storici, dall’altra rende disponibili per la lettura scritti che sono di dificile reperimento anche nelle biblioteche specializzate di settore.
A circa duecento anni di distanza, quindi, è di nuovo possibile leggere i risultati delle indagini botaniche che Gravina
ha fatto nell’Abruzzo interno, in modo particolare nei territori
di Pettorano, Scanno e Piano delle Cinquemiglia. Si tratta di
notizie di grande rilievo per la storia di una regione che già
all’epoca mostrava i segni di un’area economicamente depressa e culturalmente isolata. Infatti, solo pochi individui, come
per esempio Pietro De Stephanis (1807-1894) e lo stesso Pasquale Gravina, riuscirono a formarsi altrove ed a tornare nel
territorio di origine per dare un contributo “professionale” alla
crescita ed allo svilippo.
Nel nostro mandato amministrativo ci siamo posti come
obiettivo il recupero e la pubblicazione degli scritti di insigni
cittadini pettoranesi, che nei secoli scorsi hanno signiicativamente lasciato una traccia nei vari campi della cultura e della scienza. Pasquale Gravina rientra a pieno titolo fra questi
personaggi e bisogna ringraziare Pasquale Orsini (storico ed
inoltre assessore ai Beni Culturali del Comune di Pettorano sul
Gizio) ed Aurelio Manzi (esperto botanico), per il lavoro che
hanno svolto, approntando una nuova edizione di questi scritti
e ricostruendone il background storico.
Un ringraziamento va, inoltre, all’Associazione culturale
“Pietro De Stephanis”, che ha partecipato alla edizione di questo volume con la competenza storica che la contraddistingue
e con l’interesse che anche in questa occasione ha dimostrato
per la diffusione della cultura.
viii
Inine, bisogna affermare che questa edizione costituisce,
a nostro avviso, una speciale “opera pubblica”, di importanza
pari ad un ponte, ad una strada, ad un muro etc. Ed in quanto
tale – monumentum aere perennius – la consegniamo ai cittadini.
Giuseppe Berarducci
Sindaco del Comune
di Pettorano sul Gizio
Presentazione
Pasquale Gravina è stato uno dei pettoranesi più illustri del
secolo scorso. Fu medico e sindaco del paese, ma deve la sua
fama soprattutto all’attività di botanico. In questa veste collaborò con Michele Tenore nella redazione della monumentale opera Flora napolitana, pubblicata in fascicoli nel periodo
compreso tra il 1810 e il 1836, una delle prime ricognizioni
loristiche realizzate nell’Italia meridionale che, ancora oggi,
costituisce una risorsa importante per gli studiosi di botanica.
A seguito di questa collaborazione, il Tenore attribuì il nome
del medico pettoranese ad una delle piante studiate e che lo
stesso Gravina gli aveva trasmesso: la Brassica Gravinae o
Cavolo di Gravina.
Purtroppo Gravina, come tanti intellettuali abruzzesi dell’epoca, è quasi sconosciuto a molti di coloro che si sono occupati e si
occupano della storia della nostra regione.
Con la pubblicazione di questo volume l’Associazione culturale “Pietro De Stephanis” vuole contribuire a superare questa ignoranza, aggiungendo un ulteriore tassello all’opera di
ricerca e documentazione storica che ha avviato da qualche
decennio.
Fino ad oggi il nostro interesse è stato focalizzato soprattutto sulle tradizioni popolari, in particolare quelle di Pettorano; con questo libro allarghiamo il campo ad un tema che
solo apparentemente si discosta dai nostri interessi abituali.
Infatti, gli scritti di Pasquale Gravina che pubblichiamo, pur
essendo stati prodotti dal medico pettoranese per documentare
il patrimonio botanico il cui valore scientiico è illustrato da
Aurelio Manzi, rappresentano una ricca miniera di informazioni anche sugli usi e costumi della popolazione, sulle attività
produttive e sull’ambiente, in particolare di Pettorano, Scanno,
e del Piano delle Cinquemiglia all’inizio dell’Ottocento. Lo
evidenzia Pasquale Orsini nella introduzione quando afferma
x
che Gravina «ha voluto registrare puntualmente le diverse fasi
dei suoi viaggi, i disagi dovuti alla conformazione del terreno
e alla mutabilità del clima, le sue osservazioni sui vari aspetti dell’ambiente frequentato. Insomma, queste peregrinazioni,
programmate al solo scopo di “erborizzare” (vale a dire per
raccogliere piante), costituiscono una preziosa occasione per
registrare tutta una serie di dati relativi agli usi che le persone
facevano delle diverse specie di piante, ai luoghi visitati, alle
vocazioni agricole dei vari territori».
Gravina, insomma, non si limita a redigere aridi elenchi
delle piante rinvenute, ma “racconta” i suoi “viaggi” e “peregrinazioni” botaniche sui monti circostanti il paese, coinvolgendo emotivamente anche il lettore digiuno di nozioni
scientiiche. E questi “racconti” ci parlano, ad esempio, degli
orapi, lo spinacio selvatico che cresce presso gli stazzi, oggi
diventato uno degli ingredienti più ricercati della gastronomia
tradizionale di eccellenza; del grano di solina, l’antica varietà
di grano tenero la cui coltivazione caratterizzava le campagne
della Valle Peligna, che sta riconquistando un posto di primo
piano nell’alimentazione di qualità; dell’orzo mondato, coltivato nella nostra area soprattutto per essere somministrato ai
malati; delle varietà di mais prodotte e di come questo cereale
abbia cambiato le abitudini alimentari della popolazione; e poi
di altre produzioni agricole, in particolare legumi, molte delle
quali oggi scomparse. Proprio queste ultime, se fossero riprese, è presumibile possano avere facilmente un posto di onore
nel panorama gastronomico regionale, integrando gli elementi
sui quali innescare un nuovo processo di sviluppo del nostro
territorio.
Questo volume può dunque essere letto anche in questo
senso: una testimonianza storica – sicuramente da approfondire ed integrare – dalla quale partire per progettare il futuro.
Marcello Bonitatibus
Presidente dell’Associazione Culturale
“Pietro De Stephanis”
Pasquale Orsini
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
In questo libro si pubblicano tre scritti di Pasquale Gravina,
editi per la prima volta nella rivista Giornale enciclopedico di
Napoli negli anni 1811-18121. Di Pasquale Gravina non si hanno molte notizie biograiche. Pietro De Stephanis (1807-1894)
ha scritto di lui queste poche righe:
«riputato medico, e che forse contendea il primato a Giuseppe Liberatore, coltivò con intelligenza non comune la
botanica. Scelto a Socio corrispondente dal R. Giardino
delle piante per la provincia di Aquila, ne fece d’ogni
maniera doviziosa raccolta, precipuamente delle piante
che vegetano nelle nostre contrade. Egli ha perpetuato
il suo nome nella Flora napoletana mediante la pianta
da lui rinvenuta, la Brassica Gravinae del Tenore; il cui
giornale enciclopedico conserva diverse dotte memorie
scritte dal Gravina, ricche di cognizioni geologiche e botaniche. Nato il 17 settembre 1779, morì la notte precedente al 9 gennaio 1828»2.
Si tratta dei seguenti articoli: Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle
montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 188-205; Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del Circondario di Scanno,
«Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 2 (1812), pp. 3-49; Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina, prezzo medio, uso,
quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec.
che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla
collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante,
«Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 9 (1812), pp. 309-324. Su
questi due ultimi articoli cfr. le segnalazioni bibliograiche in C. Minieri
Riccio, Biblioteca storico-topograica degli Abruzzi, Napoli 1862, pp. 138
nr. 281, 466 nr. 1091.
2
P. De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento. Le mono1
xii
Pasquale Orsini
La famiglia Gravina è documentata a Pettorano nel corso
del Settecento. Lo stesso De Stephanis, infatti, ricorda un certo Sigismondo Gravina, parroco – insieme a Nicolò Cicone
– della chiesa di S. Nicola, fuori le mura del paese3: entrambi contribuirono alla ristrutturazione di questa chiesa dopo il
terremoto del 1706. Inoltre, nel Catasto onciario di Pettorano
sul Gizio, databile intorno alla metà del XVIII secolo, tra gli
ecclesiastici secolari è registrato un certo Domenico Antonio
Gravina, la cui abitazione è così descritta:
«porzione di casa palaziata ove presentemente abita in
contrada della porta di S. Nicola, conina Filippo Lancia
consistente in quattro camere superiori, una cantina, e
dispensa»4.
Si tratta della casa che a lungo la famiglia Gravina ha abitato a Pettorano, attualmente al n. 30 di Via S. Antonio.
Di Pasquale Gravina sappiamo che divenne medico condotto di Pettorano negli anni 1803-1806, come si ricava da
una serie di delibere del Consiglio Comunale dell’epoca5, con
uno stipendio di 160 ducati annui, anche se le ristrettezze economiche dell’Università non permettevano di coprire sempre
l’intera cifra. L’ultima notizia relativa a questo incarico si ha il
9 giugno 1805, quando diversi cittadini di Pettorano presentarono al pubblico parlamento dell’Università una istanza afinchè il medico condotto non avesse un incarico di soli tre mesi
(come era stato inizialmente stabilito) ma per l’intero anno. Il
pubblico parlamento decise di prolungare la sua carica da setttembre 1805 ad agosto 1806, con la conferma dello stipendio
graie di Pettorano, Roccavallescura, Campo di Giove, Pacentro, Cansano, Pentima, Raiano, Prezza, Vittorito pubblicate nel “Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato” di Filippo Cirelli, a cura di P. Orsini, Sulmona
2008, p. 46 (Pettorano sul Gizio).
3
Cfr. De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento cit., p.
32 (Pettorano sul Gizio).
4
Archivio di Stato dell’Aquila, Catasti onciari, Pettorano sul Gizio, vol.
261, pp. 1238-1239.
5
Cfr. Pettorano sul Gizio, Archivio storico comunale, Registro delle risoluzione del Consiglio Comunale 1801-1806.
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xiii
a 160 ducati. Tuttavia, questa decisione doveva essere sottoposta all’approvazione della Regia Camera della Sommaria, in
quanto non era assicurata la copertura economica.
Negli anni 1810-1813 Gravina divenne sindaco di Pettorano. Per i soli anni 1812-1813 si sono conservati anche i registri
delle deliberazioni del Consiglio Comunale da lui presieduto6.
Oltre a queste notizie, non si conosce altro dettaglio della
vita di Pasquale Gravina, che condivide con molti esponenti
del mondo scientiico dell’Ottocentro abruzzese il quasi totale
disinterresse da parte di storici e studiosi della cultura.
La presente pubblicazione, pertanto, vuole riportare all’attenzione la sua attività scientiica nel settore della botanica,
che lo condusse a collaborare all’imponente opera di Michele Tenore (1780-1861), Flora napolitana, edita dal 1811 al
18367. Lo stesso Tenore, infatti, nell’introduzione al primo volume scrive:
«fortunatamente le peregrinazioni di molti miei allievi, e
le mie proprie mi faceano ricco di una ampia collezione
delle piante del Regno, quando incoraggiato dal Governo, ed assistito da una società di corrispondenti al Real
Giardino Botanico, stabiliti, nelle provincie, mi sono trovato a portata di effettuire il mio progetto».
E nella nota a piè di pagina precisa:
Cfr. Pettorano sul Gizio, Archivio storico comunale, Registro delle deliberazioni Decurionali 1812-1816.
7
M. Tenore, Flora napolitana ossia descrizione delle piante indigene del
Regno di Napoli, e delle più rare specie di piante esotiche coltivate ne’
giardini, I.1, Napoli 1811-1815; I.2 (tomo 2), Napoli 1811-1815; II.1 (tomo
3), Napoli [1824-1829]; II.2 (tomo 4), Napoli 1830; tomo 5, Napoli 18351836. La copia consultata è conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, segnatura 214.Banc. 12.D.3-7 (tavole: 214.Banc. 5.D.2024]; al seguente indirizzo internet si trova una edizione digitalizzata: http://
ortobotanico.unina.it/Libroonline/FloraNapolitana.htm [link veriicato il
29 ottobre 2011]. Quest’opera monumentale è stata pubblicata in fascicoli e
costituisce una delle prime ricognizioni loristiche in Italia meridionale. La
Flora Napolitana costituisce, tuttora, una risorsa importante per studiosi di
botanica ed in particolare per coloro che si occupano della lora dell’Italia
meridionale.
6
xiv
Pasquale Orsini
«sono stati nominati socii di questa corrispondenza i
Signori Basilice, Casale, de Tommasi, Gravina, Gussone, Marinosci, Morcaldi, Notarianni, Petrolini, Rosano,
Scarano»8.
La collaborazione a questa importante impresa scientiica è
documentata nei diversi volumi del Tenore. Il nome di Gravina
è, infatti, esplicitamente citato per aver fornito notizie per le
seguenti piante: Campanula aggomitolata9, Dripide spinosa10,
Cavolo di Gravina, Campanola di Cavolini11, Coridalide a iori addensati12, Jeracio prenante13.
Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., p. III e n. 10.
Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., pp. 70-71: Campanula aggomitolata
(nr. 69), lat. Campanula glomerata; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «trovasi nelle praterie aride e montuose delle provincie settentrionali
del Regno, come alla Majella, al Matese, a Cerealto ec. La varietà A [foliis
oblongis, loribus majoribus] è stata raccolta dal Sig. Gravina sulla montagna di Pacile presso Solmona; iorisce in luglio; è perenne» (p. 71).
10
Tenore, Flora napolitana I.1 cit., pp. 138-139: Dripide spinosa (nr. 149),
lat. Drypis spinosa; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «nasce in
Apruzzo, lungo le falde delle alte montagne, tra i cumuli di minute pietre
calcaree, ne’ siti aprichi e meridionali. Nel mio viaggio del 1807 la raccolsi
copiosamente presso Caramanico sulle falde di Monte Amaro; i Signori
Gravina e De Angelis l’hanno raccolta presso Solmona ed in varj punti della Majella. Fiorisce in Luglio; vive due anni, rigermogliando nel secondo
anno da i vecchi e secchi rami dell’anno precedente» (p. 139).
11
Tenore, Flora Napolitana, II.1 cit., pp. 201-202: Campanola di Cavolini
(nr. 1336), lat. Campanula Cavolini; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «ambedue le varietà [A. Glabra; B. Hirta] nascono ne’ monti di Abruzzo, al Morrone, alla Majella, al piano di cinque miglia. La var. B. è stata
raccolta dal sig. Gravina fra i macigni presso le foci di Scanno, iorisce in
luglio. Perenne» (p. 202).
12
Tenore, Flora Napolitana, tomo 5 cit., p. 90: Coridalide a iori addensati (nr. 2438), lat. Corydalis densilora; nella sezione “Luogo natale” è
riportato: «fu raccolta la prima volta dal sig. Thomas al Monte Pecoraro
sopra la Mongiana in Calabria; e quasi contemporaneamente mi fu inviata dall’Abruzzo ulteriore dal sig. Gravina, che dovette averla raccolta
ne’ monti tra Pettorano e Scanno ed al piano di 5 miglia. Io la raccolsi al
Pollino nel 1827; iorisce in luglio. Perenne».
13
Tenore, Flora Napolitana, tomo 5 cit., p. 197: Jeracio prenante (nr.
2814), lat. Hieracium prenanthoides; nella sezione “Osservazione” è riportato: «per non pronunziare su di un solo esemplare, ho riferito alla varietà
8
9
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xv
Per quanto riguarda in maniera particolare il Cavolo di
Gravina, fu Tenore stesso a dargli questo nome in onore del
suo allievo. È utile, pertanto, riportare per intero la descrizione
di questa pianta14:
«490. Cavolo di Gravina. Ital. Brassica Gravinae. Lat.
Chou de Gravina. Franc. Foliis oblongis lyrato-runcinatis, lobis lateralibus integerrimis, extimo dentato, hispidis, petiolis trinervatis, caule hispido, calyce patulo,
loribus luteis. Nobis. Fl. Nap. Prodr. pag. XXXIX. Tav.
LXII.
Descrizione. Dalla stessa radice spunta una gran quantità di foglie, che incestiscono, e compongono un denso
gruppo; esse sono bislunghe lirato-runcinate asperse di
peli rari con i lobi triangolari acuti intierissimi, ad eccezione del terminale ch’è il più grande ed è dentato;
dalla stessa radice si elevano molti fusti deboli erbacei
ascendenti ispidetti poco ramosi vestiti di foglie nella parte inferiore, e queste più strette delle radicali, più
ispide e quasi pinnatiide; i iori sono disposti in cima
de’ rami, in grappoli radicali; i calici prima di aprirsi
sono turgidi, quasi globosi villosi, e simili a quelli delle
altre specie; ne’ iori dichiusi essi restano colle foglioline mezzo aperte e prendono una tinta giallognola; le
corolle sono di color giallo carico con i petali patenti
ed alquanto smarginati; nell’interno del iore si osservano le 4 glandole lesiniformi descritte nel carattere del
genere; i peduncoli sono ispidi; le silique sono lunghe
circa un pollice, cilindriche tramezzate da rigoniamenti
tondeggianti, e terminante da un corto stilo collo stimma
semplice globoso.
Luogo natale, ec. Fu raccolta la prima volta al Morrone
in Abruzzo Ulteriore secondo, dal mio bravo allievo D.
Pasquale Gravina; di poi l’ho trovata al Matese, ed in
altri monti del Regno; iorisce in marzo; è perenne».
di questa specie la pianta che ne ricevei dal mio compianto amico Pasquale
Gravina, e da lui raccolta nelle montagne di Scanno».
14
Tenore, Flora Napolitana, I.2 cit., pp. 88-89.
xvi
Pasquale Orsini
Anche per quanto riguarda altre piante è ipotizzabile – sulla
base dei toponimi citati nella Flora napolitana – che Gravina
avesse fornito a Tenore una serie di informazioni, pur non essendo citato esplicitamente il suo nome. Si tratta delle seguenti
piante: Eliantemo a foglie di salcio15, Siderite siriaca16, Piantaggine vittoriale17.
Degli articoli qui pubblicati, Rapporto de’ viaggi botanici
(1811) e Giornale della peregrinazione botanica (1812) costituiscono i risultati delle ricerche botaniche previste per i
primi due anni (1810-1811) dal Quadro isico botanico della
Provincia dell’Aquila18, articolo apparso nel 1811 nel Giornale enciclopedico di Napoli e contenente una succinta descrizione del territorio della provincia dell’Aquila, con un relativo programma decennale di esplorazioni botaniche. Bisogna
precisare che questo Quadro isico botanico è stato attribuito
alla penna di Pasquale Gravina dalla critica storica19, ma nella
pubblicazione originale manca qualsiasi riferimento certo al
suo autore, motivo che ci ha spinto a pubblicarlo (al ine di una
maggiore comprensione dei lavori dello stesso Gravina) ma in
appendice. Il terzo articolo, la Memoria del 1812, invece, è un
Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., pp. 297-298: Eliantemo a foglie di salcio (nr. 333), lat. Helianthemum salicifolium; nella sezione “Luogo natale”
è riportato: «nasce in Calabria nelle colline e ne’ campi sterili; in Abruzzo
presso Pettorano ec. Fiorisce in Maggio; è annuo» (p. 298).
16
Tenore, Flora napolitana, I.2 ct., p. 15: Siderite siriaca (nr. 376), lat.
Sideritis syriaca; nella sezione “Luogo natale” si riporta: «nasce sulle rupi
de’ nostri monti in Abruzzo, insieme colla Stipa pinnata, adorna le falde
delle montagne, che costeggiano la strada che dal Piano di cinquemiglia
conduce a Pettorano, ed a Solmona; iorisce in giugno».
17
Tenore, Flora Napolitana, II.1 cit., pp. 150-151: Piantaggine vittoriale
(nr. 1247), lat. Plantago victorialis; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «nasce sulle falde de’ monti soleggiati e aridi; al monte Solaro, nell’isola di Capri, in Abruzzo al monte Rotella, al piano di cinque miglia, al luogo
detto fontana dell’acero ed a Monte Corno; iorisce in luglio. Perenne» (p.
151).
18
Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 184-188.
19
Cfr. V. Giacomini, Ricognizione dell’opera scientiica di Michele Tenore
nel primo centenario della morte (1861-1862), «Delpinoa», 3 (1962), pp.
1-75: 59.
15
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xvii
lavoro prodotto al di fuori di questo programma provinciale di
indagini.
Sulla rilevanza scientiica di questi testi e la loro collocazione nel contesto delle ricerche botaniche di inzio Ottocento si rinvia all’interessante contributo di Aurelio Manzi. Qui,
invece, si vuole richiamare l’attenzione su alcuni aspetti, che
possono sembrare “marginali” nell’economia di questi lavori,
ma che in realtà si rivelano di un certo interesse.
Colpisce, innanzitutto, in questi scritti l’esigenza narrativa
e documentaria che ne fa qualcosa di più di un elenco di piante. In essi l’autore ha voluto registrare puntualmente le diverse fasi dei suoi viaggi, i disagi dovuti alla conformazione del
terreno e alla mutabilità del clima, le sue osservazioni sui vari
aspetti dell’ambiente frequentato. Insomma, queste peregrinazioni, programmate al solo scopo di “erborizzare” (vale a dire
per raccogliere piante), costituiscono una preziosa occasione
per registrare tutta una serie di dati relativi agli usi che le persone facevano delle diverse specie di piante, ai luoghi visitati,
alle vocazioni agricole dei vari territori.
Per comprendere meglio questo aspetto narrativo e documentario di Gravina, facciamo qualche esempio.
Egli si inserisce nel dibattito relativo alla viabilità nell’altopiano delle Cinquemiglia. Infatti, quando scrive il primo articolo (1810-1811) si era da poco aperta la “Via Regia degli
Abruzzi”, che collegava Napoli all’Aquila. Questa strada fu
progettata da Andrea Pigonati (1734-1790), il quale dovette
giustiicare con un libretto20 le ragioni di ammodernare un percorso (quello del Piano delle Cinquemiglia) invece di altri due
esistenti (Quarto di S. Antonio e Quarto di S. Chiara), tagliando fuori Pescocostanzo dal collegamento diretto con Sulmona.
Contro questa scelta del Pigonati furono fatte considerazioni
tecniche e storiche di un certo interesse da parte di Giuseppe Liberatore (1756-1842)21, il quale metteva in discussione
A. Pigonati, La parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona, Napoli 1783.
21
G. Liberatore, Ragionamento topograico-istorico-isico-ietro sul Piano
Cinque Miglia: breve disamina..., Napoli 1789.
20
xviii
Pasquale Orsini
il percorso delle Cinquemiglia per il fatto che era considerato pericoloso soprattutto nei mesi invernali. Tuttavia, quando
Liberatore pubblicò la sua opera erano già iniziati i lavori tra
Pettorano e Rocca Pia. Gravina, quindi, approittando delle sue
escursioni botaniche, torna sulla questione del tracciato del
Piano delle Cinquemiglia e propone un percorso alternativo:
«allorquando si apre la grande strada da Napoli negli
Abruzzi, si tentò di farvi delle piantaggioni lungo la strada; ma nessuno albero di quanto ne furono sperimentati
vi potè vegetare, e il più che sorpende si è che il solo che
presenta una suficiente polpa di terreno, dove si fanno
più o meno delle abbondanti ricolte di grano. L’uniformità e regolarità del Piano presentandoci per lo più le
medesime piante ci lasciava il tempo di rilettere ad un
progetto, che nell’atto istesso che dovea dare una strada
propria e durevole, dovesse in tempo d’inverno rimanere
scoverta in maniera, che le vetture dopo qualche intervallo
della caduta della neve grossa, potessero avere il loro libero corso, e che i viandanti non la perdessero mai di vista.
Il progetto è questo. Bisognerebbe deviare la strada nella
metà del Piano e portarla dentro la Valle di Pantaniello
nella seguente maniera.
Partendo da Roccaraso invece di attraversare il guado di
Portella si prenderebbe alla mano dritta andando dietro
alla Catena delle Colline calcaree che separano il Piano
da Pantaniello, coll’avvertenza di non aprire la strada nel
fondo della valle, dove in tempo d’inverno vi si riuniscono degli immensi cumuli di neve, ma bensì tagliarla
sul dorso delle Colline sudette, non allontanandosi dal
fondo della valle che tre in quattro canne, e colla stessa proporzione si dovrebbe prolungare ino alla sommità che domina il luogo detto Taverna rotta. Da questo
punto si entrerebbe nel Piano scendendo dolcemente e
non lasciando mai la stessa direzione e gli stessi principj,
cioè di tagliare la strada alla parte occidentale delle Colline sudette e non distante dal Piano sottoposto che tre
in quattro canne, dove più, dove meno, terminando così
sino alla Fontanella.
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xix
In questa sola maniera si avrebbero i vantaggi di una
strada solida, perchè tagliata sul masso vivo; riparata da’
venti perchè coverta dalle cime delle colline, e non potrebbe esser occupata da cumuli di neve, tagliata essendo
sul pendio e non nella valle».
Gravina contesta il tracciato della strada appena aperto per
gli stessi motivi climatici chiamati in causa da Liberatore,
e propone un nuovo percorso per aggirare lo spazio aperto
del Piano delle Cinquemiglia, facendo afidamento, con ogni
probabilità, sulla sua esperienza di frequentatore di quei luoghi.
A proposito di Scanno e dintorni, Gravina riporta una serie
di osservazioni interessanti, che costituiscono una specie di fotograia di quei luoghi:
«Scanno ha un bel fabbricato, ha le strade larghe, e ben
selciate ed una superba chiesa. È capoluogo del suo Circondario ed uno de’ più ricchi Comuni della Provincia.
Esso contiene 2700 abitanti, tra i quali 30 preti sotto la
direzione di un arciprete. Le donne vi sono estremamente belle, e coprono la testa con un arnese, che molto somiglia al turbante de’ Turchi.
L’industria de’ Scannesi è la pastorizia nel suo vero signiicato. Essi oltre molte razze di cavalli, posseggono
più di cento-venti-mila pecore tutte nere. Il cacio nero
di Scanno è ricercatissimo e igura non solo nelle tavole
de’ ricchi della Provincia, ma è in gran pregio nelle altre
Provincie del Regno, e nella Capitale.
Al Nord un mezzo miglio distante dall’abitato vi è il
Lago di Scanno (che ha la supericie di un miglio quadrato) in cui si scarica il iume dello stesso nome, dopo
aver conluito col torrente il Pisciarello. Vi si pescano
in abbondanza delle trote, delle tinche, de’ gamberi, e
un’immensa quantità di un piccolo pesce che chiamano
volgarmente pisci.
Il Lago è rinchiuso in mezzo alle due alte montagne di
Terratta, e di Frattura, che formano le sue naturali ripe.
All’est del medesimo giace il villaggio di Frattura, ed
xx
Pasquale Orsini
al nord est quello di Villalago. Entrambi fanno parte del
Circondario di Scanno, ed i loro abitanti hanno gli stessi
costumi, la stessa industria de’ Scannesi, e partecipano
de’ prodotti del Lago, che è così pescoso.
Un mezzo miglio sotto Villalago dirimpetto al Romitorio
di S. Domenico si veggono le scaturiggini del Sagittario,
chiamato volgarmente la foce di Scanno, che si credono
comunemente altrettante emanazioni del Lago suddetto.
Il iume appena gonio da una immensità di rivoli, che
scappano, e sgorgano dalle fessure de’ macigni, rapido
s’imbocca per la Foce di una lunga valle, nella quale precipitando replicate volte con una profusione di vortici e
di scherzi, inalmente dopo un corso di sette miglia sotto al Comune di Anversa communica un terzo delle sue
acque al celebre Canale di Corinio, in grazia del quale
s’inafiano le ora mai fertili campagne di Bugnara, di
Prezza, di Solmona e di Pratola».
Non si tratta, ovviamente, di notizie di prima mano, ma
così riassunte disegnano una immagine d’insieme di quei
luoghi. Ci sono i principali elementi distintivi di Scanno (il
costume delle donne, l’attività armentizia, il formaggio nero,
il Lago con i suoi pesci etc.) quasi a costituire una mini-guida
turistica.
A proposito di Pettorano sul Gizio, Gravina segnala due notizie interessanti, una sconsciuta e l’altra nota da altre fonti. La
prima riguarda la presenza di alcune cave di pietra nel territorio del Comune:
«vicino la Fonte dell’Acera vi è una bella cava di pietre
selci, di cui se ne servono a far macine. Nella stessa direzione verso Vallelarga e Colasurdo ve se ne osservano
delle altre e sono annunciate dall’aridezza del suolo che
le copre e dal colore rossiccio del terreno; ed in questi
luoghi spesso si trovano delle pietre globose al di fuori
con una strato di sostanza calcarea dura e nel centro la
selce di variato colore».
Di queste cave di pietre, utilizzate per fabbricare le macine dei mulini, non si avevano altre notizie nelle fonti storiche
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xxi
superstiti. L’altra notizia, che trova, invece, conferma in testi
posteriori, è riportata a proposito dell’Acer campestris:
«quest’albero ordinariamente serve per appoggiare la
vite degli arbusti in Pettorano ed in pochi altri luoghi
della Provincia».
Si tratta di una modalità di coltivazione della vite, detta
“alberata”22, attestata a Pettorano almeno ino alla prima metà
dell’Ottocento, come conferma, circa 40 anni dopo, anche Pietro De Stephanis nella sua monograia su Pettorano23.
Per quanto riguarda la fauna – che Gravina dovette abbondantemente incontrare nelle sue “peregrinazioni” – i suoi scritti editi sono poveri di informazioni. Tuttavia, secondo quanto
riporta Silvio Bruno24, egli ebbe interessi faunistici, anche se
le sue osservazioni in merito, ritenute di «meno e non largo
interesse», rimasero «non sbrigate sulla carta» e inirono – non
si sa per quale tramite – nella biblioteca di Giuseppe Tanturri
(1823-1881) di Scanno25. Negli articoli qui pubblicati, tra le
rare osservazioni sulla fauna, si può ricordare quella relativa
all’orso durante un suo pernottamento alla Posta di Vallecorta:
«la notte piovve dirottamente, e lo scricchiolare dell’acqua sopra il tetto della capanna mi deviò il sonno, che
Sistema di coltivazione della vite, in uso nelle zone di pianura dell’Italia
settentrionale (valle del Po) e di collina dell’Italia centrale: la vite viene
maritata al tronco di un albero vivo (acero, frassino, olmo, pioppo ecc.);
gli alberi sono piantati in ilari e le viti, una o più, nell’intervallo tra albero
e albero. Sul sistema dell’ “alberata” cfr. E. Sereni, Storia del paesaggio
agrario italiano, Bari-Roma 19999 (prima ed. Roma-Bari 1961), pp. 270273, 396-403.
23
De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento cit., p. 72
n. 116 (Pettorano sul Gizio): «chiamasi albereti le ile di oppi cui si fanno
inerpicare e attaccare le viti; e questi albereti sono piantati ne’ terreni irrigui, mentre la vigna bassa si coltiva in quelli di secca».
24
S. Bruno, Rettili, anibi e pesci del Parco Nazionale d’Abruzzo e dintorni.
Reptilia, amphibia, pisces, numero 4, agosto 1995, Roma, p. 9.
25
La biblioteca di Giuseppe Tanturri è andata dispersa tra i vari eredi e,
a seguito di una mia richiesta informativa presso gli attuali discendenti,
non risultano manoscritti superstiti di Gravina. Per Tanturri cfr. G. Morelli, Giuseppe Tanturri (1823-1881). Medico, naturalista, storico di Scanno,
Scanno 2007.
22
xxii
Pasquale Orsini
io tanto desiderava. Sull’albar del giorno si aggiunse un
generale latrato de’ cani annunziando a’ pastori, che l’orso, come era il suo solito veniva a visitare le mandre».
Dove, invece, Gravina risulta molto ricco di informazioni è,
ovviamente, sui vari utilizzi delle piante. Per esempio, a proposito di una pianta tintoria, la Isatis tinctoria, detta volgarmente
“Ammacca fauciglia”, Gravina riporta e discute un antico metodo di fabbricazione della materia – detta “guado” – usata per
tingere in azzurro ilati e tessuti, facendo anche riferimento ad
nuovo metodo messo a punto da Giuseppe Morina verso la ine
del XVIII secolo e pubblicato a stampa nel 181126. Morina era
stato premiato dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino
già nel 1791 proprio per il suo nuovo metodo di estrazione del
colore azzurro dal guado27.
Di grande interesse risultano alcune osservazioni sull’alimentazione delle classi popolari. Nell’articolo Memoria
(1812) si susseguono alcune registrazioni nelle quali l’alimentazione dei contadini è accomunata a quella dei maiali e dei
polli. Per esempio, a proposito della Segala scrive «farebbe
un pane pesante, nero e colloso se non fosse combinato colla
farina del frumentone, che lo rende in tal guisa mangiabile alla
classe più numerosa del popolo»; e a proposito dei Fagioli neri
grandi scritti afferma che «sono meno stimati de’ cannellini,
e per lo più si consumano da’ contadini»; mentre per le Fave
piccole ricorda che «i contadini la stimano una delle loro buone minestre, e quando la ricolta è ubertosa si dà a mangiare a’
porci per ingrassarli»; a proposito del Soroco rosso afferma:
«li semi servono per ingrassare li majali ed il pollame, e
qualche volta li contadini poveri ne fanno minestre, specialmente della rossa: usano altresì di macinarla o per combinarla col pane di granone o per farinata agli animali».
Cfr. G. Morina, Del guado e modo da estrarne l’indaco, Napoli 1811; vd.
pure la voce “guado” nel Nuovo dizionario universale tecnologico o di arti
e mestieri e della economia industriale e commerciante, XXVI, Venezia
1840, pp. 528-335.
27
Cfr. G. Fumi, Fonti per la storia dell’agricoltura italiana (1800-1849).
Saggio bibliograico, Milano 2003, pp. 47-48.
26
Pasquale Gravina: tra scienza e storia
xxiii
Importante per la storia sia alimentare sia economica
dell’Abruzzo interno è quanto afferma a più riprese a proposito del Granodindia:
«il granodindia oggi si è reso necesario quanto il grano,
dove che trent’anni addietro era riserbato a solo oggetto
d’ingrassare li majali. L’anno scorso si è osservato che li
contadini avvezzi al pane duro e pesante di questa specie, erano contenti di comprarlo a car. 18 e 20 il tomolo,
e rinunziare al prezzo del grano bianco non maggiore di
carl. 24, perché il pane del grano non resisteva nè avrebbe potuto riempire il loro stomaco».
Ed ancora, sotto la voce Grano bianco, aggunge:
«ne’ paesi dove si coltiva il granodindia come Pettorano,
Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e così
si vicenda».
Il granodindia, o mais, per il suo rendimento più ricco e più
stabile rispetto ai cereali inferiori costituiva un mezzo importante per far fronte alle ricorrenti carestie. Dalla metà del Settecento il mais venne sostituendosi nell’alimentazione popolare
ai cereali inferiori, frumento compreso, ino a divenire la base
alimentare fondamentale sia dei più miseri sia dei contadini.
Questo costituisce l’avvio di una fase avanzata dello sviluppo
capitalistico nelle campagne: soprattutto con la sostituzione
del mais al frumento come alimento base delle masse lavoratrici agricole si realizza la riduzione del costo di produzione,
e pertanto quell’accorciamento del tempo di lavoro necessario
alla riproduzione della forza lavoro stessa. Tutto ciò è ottenuto
a costo di un peggioramento delle condizioni di alimentazione
e di vita dei lavoratori28.
Proprio questa surrogazione del granturco al frumento
come base alimentare fondamentale per le masse contadine
costituisce in Italia, a partire dal XVIII secolo, uno degli indici
Cfr. E. Sereni, Agricoltura e mondo rurale, in Storia d’Italia, I, Torino
1972, pp. 135-252: 234-236.
28
xxiv
Pasquale Orsini
signiicativi dell’allargarsi dei rapporti di produzione capitalistici nelle campagne. Il fatto che nel Mezzogiorno tale surrogazione sia stata relativamente più lenta e più limitata, come
anche il testo di Gravina documenta, va considerato come
indice supplementare di un certo ritardo che in questa parte
d’Italia, rispetto al nord del paese, si può constatare nei progressi della subordinazione complessiva dell’agricoltura alle
leggi del nuovo modo di produzione capitalistico.
Rimanendo nell’ambito alimentare, è interessante segnalare un particolare metodo di cottura ricordato a proposito dei
Ceci bianchi:
«l’uso è lo stesso degli altri legumi, cioè di mangiarli fatti a minestra. Tante volte però o per la natura del terreno
o della stagione i ceci bianchi divengono insuscettibili di
cottura, ed in questo caso si sospende nella pignatta una
piccola dose di cenere ligata a una pezza, in grazia della quale in pochissimo tempo si spappano, acquistando
molto miglior sapore».
Insomma, come si può constatare, questi lavori di Pasquale
Gravina offrono una ricca documentazione, oltre che sulla diffusione storica delle piante, anche sulla storia economica, alimentare, agricola ed ambientale del territorio abruzzese all’inzio dell’Ottocento. Ed il recupero di questi testi vuole essere
un contributo alla conscenza di uno studioso che ha dedicato
molte energie alla ricerca botanica ed alla documentazione storica di questo territorio.
Aurelio Manzi
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
Gli ambiziosi progetti del Real Giardino delle Piante
e della Flora Napolitana
Nell’anno 1809, a Napoli, viene uficialmente inaugurato l’orto botanico (Real Giardino delle Piante) in via Foria. La nuova istituzione scientiica è pensata ed organizzata in grande,
degna espressione di una capitale e delle sue alte tradizioni
scientiiche. Ben presto si impone tra le istituzioni accademiche di riferimento per i botanici e gli appassionati “dell’amabil
scienza” di tutta Europa e si inserisce tra le mete più ambite del
“gran tour” che i rampolli dell’aristocrazia continentale compiono in Italia. L’orto partenopeo è voluto, fondato e diretto
dal grande botanico napoletano di origine abruzzese, Michele
Tenore (1780-1861), grazie al sostegno del governo francese,
in particolare di un ministro sensibile al progresso della scienza, il molisano Giuseppe Zurlo. L’organizzazione del nuovo
orto botanico è pensata, anche e soprattutto, in funzione della
ricerca, in particolare dello studio delle piante del Regno. Tenore, infatti, progetta e organizza, in maniera meticolosa ed
esemplare, lo studio e l’inventario dei vegetali del Regno di
Napoli in funzione della pubblicazione di un’opera monumentale e di grande valenza scientiica la Flora Napolitana, data
alle stampe nell’intervallo temporale 1811-1838. Questo lavoro consacra deinitivamente lo scienziato napoletano tra i padri
nobili della botanica italiana ed europea. Il Regno di Napoli è
il primo stato italiano a disporre di un “inventario scientiico”
delle piante che crescono nel suo territorio. Rinasce con forza,
proprio a Napoli, la moderna scuola di botanica italiana, grazie
al Tenore e al suo allievo Giovanni Gussone (1787-1866) che
dà alle stampe la Flora Sicula. La tradizione botanica napole-
xxvi
Aurelio Manzi
tana non si origina dal nulla, affonda le sue radici su tradizioni solide e su personaggi di primo piano tra i quali Vincenzo
Petagna e, soprattutto, Domenico Cirillo maestro dello stesso
Tenore. Cirillo è una bella igura di scienziato e patriota che
sceglie di abbracciare gli ideali della repubblica partenopea
nel 1799, pagando con la morte il proprio impegno civico e le
idee di giustizia e libertà.
Michele Tenore avvia l’esplorazione sistematica delle province del Regno di Napoli per studiarne la lora e per raccogliere materiale al ine di arricchire le collezioni di vegetali
dell’orto botanico. Lo studio delle risorse vegetali è inalizzato
anche all’individuazione di piante selvatiche con potenzialità
agronomiche, farmacologiche o industriali inespresse, utili per
lo sviluppo economico della nazione. Per la sperimentazione
e diffusione di alcune di queste essenze vegetali, anche quelle
introdotte di recente da altri continenti, Tenore fa leva sulle società economiche, anch’esse istituite nelle province del Regno
durante il periodo francese. In ogni capoluogo di provincia, le
società economiche organizzano un “orto agrario” per favorire
le ricerche e le sperimentazioni sulle piante nonché diffonderne le conoscenze sul territorio. I “soci” di questi benemeriti sodalizi si occupano di rilevare dati scientiici (climatici, fenologici, faunistici, loristici, geologici, ecc), nonché di perseguire
innovazioni e sperimentazioni in diversi settori, in particolare
in quello agronomico.
Per la redazione della Flora Napolitana, Tenore individua
un manipolo di collaboratori per portare avanti l’opera sistematica di esplorazione loristica del Regno, i cosiddetti “soci
corrispondenti al Real Giardino delle Piante”. I collaboratori,
cui spetta un compenso almeno in un primo momento, vengono scelti tra gli appassionati di botanica, spesso si tratta di medici, farmacisti, oppure agronomi e religiosi che Tenore conosce direttamente a Napoli all’Università. Lui stesso è medico,
anche se ben presto abbandona l’attività clinica per dedicarsi,
anima e corpo, alle scienze naturali. Compito dei corrispondenti è quello di raccogliere piante e semi, nelle province del
Regno loro assegnate, da inviare a Napoli all’orto botanico.
I corrispondenti studiano e relazionano anche sulla lora dei
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xxvii
territori di pertinenza, inviando campioni d’erbario al loro maestro e coordinatore. Partecipano in questo modo alla redazione del grande ed ambizioso progetto della Flora Napolitana.
Tenore accende nel Regno, anche nelle località più sperdute e
periferiche, quasi un sacro furore per la ricerca botanica. I suoi
collaboratori girano le contrade del Regno segnalando e raccogliendo piante; annotando e registrando anche informazioni
di carattere sociale, economico, agricolo ed antropologico. Alcuni di questi collaboratori, come nel caso di Gussone, diventeranno a loro volta botanici illustri, raggiungendo i livelli del
maestro. Un progetto di ricerca ampio, moderno nella concezione ed organizzazione, che coinvolge decine di ricercatori ed
appassionati, proprio nell’arretrato Mezzogiorno d’Italia.
Lo stesso Tenore, infaticabile, viaggia nei territori del Regno. Visita i grandi gruppi montuosi e concentra le sue esplorazioni sull’Abruzzo, la terra posta più a settentrione, con le
montagne più elevate dello stato napoletano. L’Appennino
centrale di cui così scrive Filippo Parlatore, altro insigne botanico italiano, in un suo resoconto di viaggio del 1856:
«[...] per essere quegli Appennini, a parer mio, il punto
più importante per la lora italiana, congiungendosi in
essi tante lore distinte. Ed in vero in essi hanno l’estremo conine meridionale alcune piante delle regioni polari, in essi sono altre proprie delle Alpi Centrali di Europa, in essi sono alcune specie che si possono considerare
come distintive degli Appennini e da essi principiano i
primi segni di una lora orientale» (Visconti, 1992).
Tenore intensiica le sue esplorazioni con particolare enfasi
per la Maiella, massiccio ricco di piante endemiche e relitti
glaciali; scopre e descrive molte di queste specie tanto che la
montagna, unitamente al Monte Baldo che sovrasta il lago di
Garda, risulta il locus classicus, ossia la località di reperimento dei campioni loristici su cui le specie sono state descritte,
maggiormente citato in Italia. Lo scienziato partenopeo organizza, almeno, tre spedizioni in Abruzzo inalizzate alle esplorazioni loristiche, negli anni 1829, 1831, 1834. Il suo arrivo
nei piccoli centri costituisce un evento. I notabili del paese se
Aurelio Manzi
xxviii
lo contendono, lo ospitano e lo ricoprono di mille attenzioni
e gentilezze. Medici e farmacisti lo cercano per avere lumi su
piante e loro proprietà farmacologiche. I contatti epistolari con
Tenore continuano anche dopo, incoraggiati dalla sua disponibilità e socievolezza. È il caso del medico di Gessopalena,
Nicola Pellicciotti che fu uno dei primi in Italia a diagnosticare casi di latirismo tra la popolazione dovuti ad un’alimentazione basata sulla cicerchia porporina (Lathyrus clymenum),
un legume solitamente destinato ad usi zootecnici. Il Pellicciotti chiese al collega napoletano una conferma autorevole
alle sue intuizioni che puntualmente arrivarono, unitamente
ai complimenti per l’importante scoperta (Del Giudice, 1857;
Pellicciotti, 1869; Manzi, 2006). Tenore invita e sprona sistematicamente i suoi collaboratori ed interlocutori a pubblicare
le proprie scoperte, i resoconti di viaggio e le idee afinché
possano essere divulgate, conosciute e discusse. Li favorisce
in questo inviando e sostenendo lui stesso i manoscritti presso
le redazioni delle riviste in Napoli. Non di rado, si registra
anche qualche polemica tra i professionisti locali e il sommo
botanico, come quella suscitata dal medico di Casoli Giuseppe
Denobili il quale rivendicava la scoperta del giacimento di carbon fossile nel territorio di Roccascalegna, lungo la valle del
torrente Rio Secco (Denobili, 1837; Gussone, Tenore, 1835).
I corrispondenti per l’Abruzzo
Tenore, per l’esplorazione loristica dell’Abruzzo, conida
molto nella collaborazione di alcuni corrispondenti locali. I
primi furono Francesco Antonio De Angelis, medico di Roccamorice, e Pasquale Gravina medico di Pettorano sul Gizio,
come si evince anche da un articolo del 1836 apparso sulla
rivista Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, di cui ignoriamo l’autore che si irma solo con le iniziali V.D.R:
«e qui restar non possiamo del fare onorata memoria
de’corrispondenti pensionati al Real Orto Botanico che
nella Flora Napolitana sin dalla prima istituzione con tanto zelo collaborarono. Sono essi i signori Baselice, Casale,
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xxix
Cassitti, de Angelis, de Tommasi di Tarsia, Gravina, Gussone, Marinosci, Morcaldi, Notarjanni, Petrolini, Rosano,
Scarano i cui nomi rimangono nella Flora Napolitana immortali per le denominazioni delle novelle piante».
Successivamente, si aggiungono altri collaboratori e corrispondenti locali. Tra questi il farmacista Cecchetti (dal 1829)
di Pizzoli che ospita ed accompagna Tenore, unitamente a Ernesto Mauri e Antonio Orsini, nei dintorni di Pizzoli nell’anno
1829. Di lui Tenore scrive: «[…] con gran zelo si applica allo
studio della botanica» (Tenore, 1929). Cecchetti raccoglie piante essenzialmente nei dintorni di Pizzoli e sul versante nordoccidentale del Gran Sasso. Dal 1840, Ferdinando Mozzetti si
propone come corrispondente volontario per la redazione della
Flora Napolitana (Giacomini, 1962). Mozzetti era nato a Pagliara di Petrella Salto (Rieti). Grande giurista, ricopre importanti incarichi: magistrato ad Antrodoco, Manoppello, Penne,
Nereto; procuratore generale all’Aquila e a Teramo, nonché
presidente della Gran Corte Criminale dell’Aquila. Mozzetti,
in odore di carboneria, è un sincero appassionato e cultore delle scienze botaniche, agronomiche e metereologiche; ricopre
anche il ruolo di presidente della Società Economica di Teramo. È autore di diverse pubblicazioni scientiiche di carattere
agronomico, meteorologico, inanche archeologico; descrive
una nuova specie di zucca: Cucurbita farinae, introdotta in
Abruzzo dalle Americhe da un certo sig. Farina di Sulmona.
Tenore (1845) di lui scrive: «distinto cultore di botanica e di
orticoltura». Lo stesso Antonio Orsini, famoso e poliedrico
farmacista e naturalista di Ascoli Piceno, collabora alla Flora napolitana fornendo generosi dati e indicazioni al Tenore
sulle piante dei monti abruzzesi, in particolare i Monti della
Laga, i Monti Gemelli e il Gran Sasso (Cardarelli, 1971). Fece
anche una lunga escursione loristica con Tenore e Mauri dal
lago Fucino ai Monti della Laga (Tenore, 1829). A lui Tenore
dedica diverse specie vegetali, alcune delle quali oggi cadute
in sinonimia: Veronica orsiniana, Malcolmia orsiniana, Malva
orsiniana, Carex orsinia.
Tra i due collaboratori della prima ora, Francesco De Angelis, contribuisce alla Flora Napolitana dal 1810 ino, almeno,
xxx
Aurelio Manzi
al 1834 quando il medico di Roccamorice accompagna sulla
Maiella e nella Val Pescara Tenore insieme allo stesso Gussone ed Ernesto Capocci, quest’ultimo con il compito di misurare l’altitudine di alcuni complessi montuosi tra cui la Meta e
il Morrone (Tenore, Gussone 1842; Capocci, 1834). Tenore ha
grande stima del De Angelis a cui dedica due specie Polygala
angelisia, oggi inclusa in Polygala alpestris, e Juncus angelisii, entità ricondotta nell’ambito di Juncus inlexus. Nella Flora Napolitana, nel descrivere quest’ultima specie, sull’amico
di Roccamorice annota «l’incomparabile Francesco De Angelis, che mi accompagnava in quella peregrinazione, mio dilettissimo amico, e grandemente benemerito della nostra Flora»
(Giacomini, 1961). Successivamente, in un viaggio in Abruzzo nel 1829, Tenore scrive:
«in quel capoluogo dell’Abruzzo Citeriore (Chieti n.d.A.), ebbi il contento di abbracciare il mio antico
allievo ed ottimo amico Signor Francesco Antonio De
Angelis, che vi si era espressamente trasferito da Roccamorice, per recarci insieme in sua casa, e quindi alla
Majella».
Più avanti, nello stesso articolo (Tenore, 1829) continua:
«allo scafone di S. Valentino presso il miglio 115 passano la Pescara le vetture che battono la strada di Chieti,
ed io in quel medesimo luogo raggiunsi quella che vi
si era espressamente recata per condurmi in Napoli. Ivi
separar mi dovei dall’impareggiabile coppia de’ fratelli
De Angelis, i quali, dopo avermi colmato di gentilezze
di ogni maniera, avevano voluto tenermi compagnia ino
a quel punto».
Il maestro non dimentica il De Angelis anche nel resoconto del
suo viaggio nel 1831: «eruditissimo D. Francesco de Angelis esimio collaboratore della Flora napoletana». Il medico di
Roccamorice accompagna Tenore in diverse escursioni, almeno in quelle del 1829 e del 1834 sulla Maiella e nella vallata
del Pescara. Nell’Archivio di Stato di Chieti, è conservato un
interessante carteggio datato 1854 tra le intendenze di Aquila,
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xxxi
Chieti, il comune di Tocco da Casauria e il governo napoletano. Il governo, attraverso le sue intendenze abruzzesi, cerca di
approvvigionarsi di una pianta che cresce sulla Maiella il “sillari o Seseli montanum” (nei documenti d’epoca), indispensabile per la produzione di un farmaco idoneo per combattere un
morbo che imperversa nella capitale. In questo carteggio c’è
anche una lettera di Francesco De Angelis indirizzata al sig.
intendente di Chieti, datata 18 agosto 1854. Nella missiva il
De Angelis risponde all’intendente che lo aveva interpellato
sulla reale identità di una pianta spacciata per il “sillari”. Il De
Angelis invia all’intendente un campione d’erbario della pianta richiesta con l’indicazione del luogo in cui Tenore l’aveva
raccolta sulla montagna. Il campione d’erbario potrebbe essere
quello conservato nel relativo fascicolo presso l’Archivio di
Chieti, anche se ormai rovinato e dificilmente identiicabile.
Peraltro, nella Sylloge della Flora Napoletana (Tenore, 1831),
in tutto il Regno di Napoli Seseli montanum viene solo riportato per la Maiella e per il “Picco di Pietra Majura presso Pettorano”, il secondo dato, con molta probabilità, si riferisce a
qualche raccolta effettuata dal Gravina.
Il De Angelis pubblica l’articolo Statistica agronomica del
circondario di Caramanico. Memoria del sig. Francesco Antonio de Angelis, membro della Società economica di Abruzzo Citeriore, sulla rivista Annali di Agricoltura, 5 (1820), pp.
193-233.
L’opera di Pasquale Gravina
L’altro antico corrispondente abruzzese del Tenore è Pasquale
Gravina che collabora al progetto della Flora Napolitana già
dal 1810. Tenore lo deinisce: «il mio bravo allievo» e a lui
dedica la Brassica gravinae (Giacomini, 1961), specie erbacea di ambienti montani rupestri, endemica dell’Italia centromeridionale. È il Gravina per primo a raccogliere questa crucifera, ino ad allora sconosciuta, sul Morrone e nella Difesa di
Pettorano, inviandola al maestro che la descrive dedicandola
al suo scopritore. Gravina, purtroppo muore nel 1828, inter-
xxxii
Aurelio Manzi
rompendo le sue ricerche sul territorio e la collaborazione con
l’ambiente accademico napoletano. Tenore lo ricorda nei suoi
scritti in diverse occasioni. In un volume sui crochi, scrivendo
sullo zafferano (Crocus sativus), annota:
«[…] mi son convinto che il vero C. sativo non è stato
inora trovato spontaneo in verun luogo del regno. Per
meglio accertarmene, ne ho richiesto i miei antichi allievi e collaboratori della Flora Napolitana Signori de
Angelis e Gravina, che sulla pianta in Abruzzo hanno
particolarmente lavorato» (Tenore, 1826).
In un suo resoconto di viaggio in Abruzzo Citeriore (1832)
riporta: «[…] ed i più dotti ed instancabili collaboratori della
Flora napoletana, Sig. Gussone, de Angelis e Gravina» (Tenore, 1832).
Uno dei quattro articoli qui pubblicati (attribuito al Gravina e forse concordato con il Tenore come i successivi), è
la nota Quadro Fisico Botanico (1811), apparsa sul Giornale
Enciclopedico di Napoli. Tenore, sin dal 1807, è redattore di
questa rivista fondata l’anno precedente. Proprio sul Giornale
Enciclopedico sia il Tenore che i suoi collaboratori pubblicano i contributi loristici in funzione della preparazione e stampa della Flora Napolitana. L’articolo del Gravina consiste in
una breve descrizione della provincia dell’Aquila, l’Abruzzo
Ulteriore II, l’area a lui assegnata per le indagini loristiche.
Segue l’esposizione di un programma decennale di esplorazioni loristiche nei diversi comprensori montuosi dell’aquilano.
Il Nostro non riesce a mantenere fede al suo programma e le
uniche esplorazioni loristiche effettuate, le prime indicate nel
programma, sono proprio quelle che interessano le montagne
intorno a Pettorano e Scanno, nonché il Piano delle Cinquemiglia. Pasquale Gravina muore nel 1828 all’età di 49 anni.
Forse la morte prematura o un’eventuale malattia invalidante,
nell’ultimo periodo della vita, gli hanno impedito di portare a
termine il programma di esplorazione loristica dell’Abruzzo
Ultra II e di accompagnare nella regione lo stesso Tenore che,
a partire dal 1829, attraversa diverse volte il Piano delle Cinquemiglia, lambendo l’abitato di Pettorano.
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xxxiii
Gli altri due articoli, Rapporto (1811) e Giornale (1812),
contengono le relazioni relative ai viaggi di esplorazione loristica, proprio nelle aree sopra accennate, inalizzate alla raccolta di piante vive da inviare al giardino botanico di Napoli,
attraverso il “procaccio”, una specie di corriere del tempo,
nonché di campioni loristici da essiccare per agevolare lo studio delle piante del Regno.
Il Gravina, tra giugno ed agosto del 1810, esplora i prati falciabili del Piano delle Cinquemiglia, i rilievi che lo circondano
e le montagne che si frappongono tra Pettorano e Scanno, oggi
parzialmente incluse nella Riserva Naturale Regionale “Monte
Genzana Alto Gizio”. L’anno successivo, nell’agosto del 1811,
compie un’altra escursione sulle montagne che sovrastano il
Piano delle Cinquemiglia e quelle sopra Scanno, attualmente
localizzate entro i conini del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Questa escursione, una vera e propria spedizione
con guida e animali al seguito, inizia il 2 agosto e termina l’8
agosto. Il giorno 4, Gravina fa sosta a Scanno per l’intera giornata per riposare e conoscere meglio la bella cittadina peligna
e il suo circondario. Nelle sue peregrinazioni trova rifugio e
pernotta presso gli stazzi e le capanne dei pastori, le cosiddette
poste dove i mandriani si stabiliscono con le gregge. Il racconto del Gravina evidenzia le fatiche e le privazioni isiche che
i botanici e, in generale, i cultori di scienze naturali devono
sostenere in nome della ricerca nelle aree montane abruzzesi. Ci si sposta a piedi o a dorso di cavallo o mulo, si dorme
all’addiaccio o nelle capanne dei pastori, si è in balia del cattivo tempo, nonché dei grossi cani da pastore di guardia alle
greggi, inanche di orsi e lupi che si aggirano nel comprensorio, qualche volta anche di briganti e malfattori. In entrambi i
contributi, Gravina elenca le specie loristiche raccolte sia per
l’orto partenopeo, sia come campioni d’erbario da studiare e
confrontare. Molte di queste piante raccolte o segnalate verranno incluse nella Flora Napolitana dal Tenore che cita i luoghi di campionatura del Gravina, come nel caso di Dictamus
albus, Geranium macrorrhyzum, Geranium tuberosum, Seseli
montanum, Astrantia paucilora, Physalis alkekengi, Asphodelus albus. Alcune di queste risultano entità rare come nel caso
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Aurelio Manzi
di Dictamus albus o Geranium macrorrhyzum. Il Gravina segnala anche la presenza di una popolazione selvatica di Salvia
oficinalis sul Monte Mattone di Pettorano. La segnalazione è
interessante, in considerazione della rarità delle popolazioni
selvatiche di questa specie in Italia. In Abruzzo, nuclei naturali
di salvia sono noti solo per il Monte Salviano, presso Avezzano, e i rilievi che sovrastano Civita d’Antino, sempre nella Marsica. La stazione citata dal Gravina sul Monte Mattone
è stata da noi indagata di recente, seppure parzialmente, con
risultati negativi. È probabile che la popolazione di salvia si
sia contratta oppure scomparsa a seguito dell’espansione del
bosco sulle pendici meridionali del rilievo, idonee per questa
labiata elioila. Il Gravina segnala, per il circondario di Scanno e Sulmona, anche piante oggi ritenute estinte nel territorio
abruzzese, poiché non più segnalate in tempi recenti, oppure
rarissime, in particolare Osmunda regalis, Hippuris vulgaris,
Utricularia vulgaris, Poa palustris, tutte specie legate ad ambienti umidi, sistematicamente distrutti o manomessi nell’ultimo secolo a seguito di opere di captazione, regimazione dei
corpi idrici e boniica delle aree impaludate. Riporta anche la
presenza della mandragora (Atropa mandragora), probabilmente Mandragora autumnalis. La specie è divenuta rarissima, ino ad estinguersi in diversi contesti nazionali, a causa
delle raccolte che in passato ne facevano erboristi, più spesso
stregoni e guaritori, per le proprietà reali e presunte attribuite
a questa pianta dalle forti caratterizzazioni magiche ed esoteriche. A queste se ne possono aggiungere tante altre tra cui Genista candicans (Teline monspessulana), un arbusto legato ai
margini delle leccete e alle garighe, Ribes petraeum, Ornithopus perpusillus, Lepidium ruderale, Prunella grandilora, ecc.
Il medico e botanico pettoranese guarda con attenzione le
piante che hanno un interesse farmacologico o che risultano
velenose, come le specie dei generi Aconitum, Veratrum, Digitalis, riporta gli usi nella medicina popolare di Salvia ethiopis
(Salvia argentea), nonché l’uso fraudolento, da parte di qualche speziale, di Convallaria multilorum (Polygonatum multilorum) al posto dell’esotica e più costosa ipecacuana. Segnala
la presenza di Gentiana lutea sul Genzana, rilievo montuoso
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
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che trae il nome proprio dall’abbondanza della pianta. Gravina
su questa montagna trova pochi esemplari, perlopiù danneggiati dall’attività di pascolo, si preoccupa di riportare a valle
una certa quantità delle preziose radici. Un secolo più tardi, la
genziana maggiore, sarà considerata pianta non più presente
sulla montagna, probabilmente per l’eccessiva raccolta delle
parti sotterranee da parte di pastori, erboristi o semplici raccoglitori che ne fanno incetta con inalità commerciali (Rovesti, Rovesti 1934). Le radici risultano sempre più richieste dal
mercato per uso farmacologico e per la preparazioni di vini e
altre bevande alcoliche aromatizzate.
I due articoli sono ricchi di annotazioni di carattere etnobotanico. Nelle note, l’autore riporta gli usi eduli di tante piante,
molte delle quali ancora oggi raccolte per inalità alimentari dalla popolazione abruzzese (Manzi, 1999). Dagli scritti si
evince l’importanza di alcune specie per la tavola delle classi
meno abbienti. Tra queste, il Gravina annota la rilevanza degli
orapi, ossia Chenopodium bonus-henricus, lo spinacio selvatico raccolto dai pastori presso gli stazzi, inoltre Chenopodium
album, Amaranthus blitum (Amaranthus lividus), Lactuca
scariola (Lactuca serriola), Bunias erucago, Clematis vitalba,
Papaver rhoeas, Sisymbrium nasturtium (Nasturtium oficinale), Sonchus oleraceus, Veronica beccabunga. Riporta anche
l’esperienza di utilizzare i semi del pungitopo (Ruscus aculeatus), quale succedaneo del caffè, per la preparazione della
bevanda omonima. Nella nota qui indicata con l’asterisco a p.
38, all’interno dell’articolo Giornale della peregrinazione botanica (1812), trascrive l’uso della minestra di cardilli e l’utilizzo nell’alimentazione anche della radice di questa pianta. La
nota nell’articolo presenta una inesattezza nella numerazione,
probabilmente per un refuso di stampa o dimenticanza dell’autore. Non sappiamo a quale specie possa essere attribuita, probabilmente a Sonchus oleraceus, seppure con qualche dubbio
(Manzi, 1999).
Gravina annota anche l’uso tintorio di alcune essenze vegetali. Riporta l’impiego delle foglie del mandorlo per tingere
la seta, dei iori dell’Anthemis tinctoria per colorare di giallo
lana e seta; inoltre scrive che dalle foglie dell’orniello si ricava
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Aurelio Manzi
una tinta gialla, dalla corteccia delle radici del noce «un bel
color tabacco» per la lana, mentre dalla corteccia del melo selvatico si ottiene una colorazione gialla. Per quanto riguarda il
guado o pastello (Isatis tinctoria), registra una prassi semplice
e antiquata per l’estrazione dei principi coloranti, in seguito
sostituita con metodiche più eficaci e produttive, individuate
e divulgate anche dalle società economiche abruzzesi, in particolare quella di Chieti (AA. VV., 2009):
«dopo li decisivi esperimenti del Sig. Morina evvi lungo a sperare, che si rigetti una volta quel metodo lungo e spesso adottato in molti luoghi della Provincia per
preparare ed usare il guado. Niente meno, che dovea
cogliersi l’erba della pianta, e unirla in grandi mucchi;
guardare con attenzione il momento in cui i vermiciattoli
che si sviluppano dietro la putrefazione fossero di colore
rosso; quindi battere, ed impastare la massa putrefatta in
grandi pile di legno per mezzo di grossi magli, riducendola e dividendola in grossi pani; che prosciugati al Sole
entravano in commercio sotto questa forma. Tutto ciò
non bastava, bisognava aver la sorte d’indovinare, qual
grado di bollitura, quanto liscivio era necessario per ottenere il bleu da un pane di pastello, che non si sapeva se
era della prima della terza o della sesta raccolta».
L’attento medico pettoranese, riporta anche una interessante annotazione su Serratula tinctoria, pianta erbacea selvatica
con grosse potenzialità tintorie:
«la decozione della fronnicella (nome dialettale della
pianta n.d.A.), somministra il più bello color giallo che
io giammai abbia osservato. In Roccaraso, ed a Scanno formano delle belle tinte verdi usando il pastello con
questa decozione».
Anche un altro medico, Vincenzo Giuliani di Roccaraso,
riporta la stessa “ricetta” per ottenere il colore verde nel corso
del Settecento, ricorrendo all’Isatis e alla Serratula (De Panilis, 1991). Inoltre, riferisce dell’importanza di questa pianta
per l’area degli Altopiani Maggiori, ove in giugno le donne si
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
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dedicavano alla raccolta della specie, in virtù delle ricercate
qualità coloranti. Serratula tinctoria, in Abruzzo, risulta specie alquanto rara, localizzata solo nei Quarti e nel Piano delle
Cinquemiglia nella zona degli Altopiani Maggiori, inoltre si
rinviene sul Monte Pallano a ridosso di Atessa e in qualche
altra stazione puntiforme (Conti, 1998). Giuliani riferisce anche dell’introduzione della coltivazione del guado a Roccaraso, nella prima metà del Settecento, per opera di immigrati da
San Donato, probabilmente la cittadina laziale di San Donato
Val Comino. Possiamo presumere che Gravina abbia raccolto le informazioni sull’uso tintorio di alcune specie vegetali
a Roccaraso e, soprattutto, a Scanno, cittadina in cui l’arte di
lavorare e tingere la lana con essenze vegetali ha costituito
una tradizione fortemente radicata, praticata ino alla metà del
XX secolo. Ferdinando IV di Borbone volle che, ad insegnare
i segreti dell’arte di tingere le stoffe nelle seterie reali di San
Leucio, fosse proprio una donna di Scanno, una certa Colomba
Mancinelli (Rovesti, Rovesti, 1934).
Nei due articoli sopra menzionati, si trovano importanti informazioni anche di carattere agronomico. Viene riportata la
notizia dell’uso dell’acero campestre quale sostegno vivente
per la vite nell’area di Pettorano e «in pochi altri luoghi della
provincia». Una conferma della diffusione dell’alberata e della
tradizione di “maritare” la vite agli aceri anche in contesti territoriali più a sud delle Marche e della provincia di Teramo. Nel
primo decennio dell’Ottocento, risultano in coltura nella Valle
Peligna il peperone e il girasole (Helianthus annuus); si tratta,
in entrambi i casi, di specie di origine americana di cui inora
risultano poco note le dinamiche di coltivazione e diffusione.
Per quanto riguarda il peperone, la pianta è coltivata in Abruzzo
già nell’anno 1752 in provincia di Chieti (Manzi, 2006), mentre per il girasole il dato riportato dal Gravina sembra essere il
primo, in ordine temporale, per la regione. L’autore accenna
anche alla presenza nel suo territorio della sulla (Hedysarum
coronarium) quale foraggera coltivata. La pianta fu introdotta
in Abruzzo proprio nei primi anni dell’Ottocento, forse dalla
Calabria o da Malta. Il dato conferma la presenza di prati stabili
a sulla, nel primo decennio del secolo XIX, anche nella Val-
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Aurelio Manzi
le Peligna e non solo sulle colline argillose della provincia di
Chieti che costituiscono un ambiente decisamente migliore per
questa leguminosa localmente nota come grampalupine.
Un’altra nota interessante sotto l’aspetto agronomico è quella relativa alla barbabietola, nello speciico ad una varietà con
radice rossa coltivata a Sulmona e in altre zone della provincia.
In ambito europeo, le prime notizie relative alla coltivazione
di una varietà a radice rossa di barbabietola risalgono al XVI
secolo e fanno riferimento al Trentino e alla Germania. Nelle
Marche, nelle stesso periodo, risultano coltivate barbabietole
con foglie rosse (Manzi, 2006). Ecco la nota del Gravina:
«in Solmona, ed in altri luoghi della Provincia si coltiva una varietà di Bietola di nome rapa-rossa. L’uso più
comune è della radice che si mangia in insalata, o facendola cuocere nell’acqua, o sotto la brace. La forma esteriore della radice medesima è piuttosto globosa, e dividendola presenta o il colore rosso-bianchiccio, o il bianco-rossiccio. Presentemente di questa varietà mediante i
semi inviati da Solmona se ne fa un’estesa coltivazione
nel Real Giardino delle Piante di Napoli per comodo di
coloro, che volessero istituire de’ saggi per l’estrazione
dello zucchero di barbabietole. Difatti il sapore dolce e
zuccheroso che nella radice si sviluppa per mezzo della
bollitura, ed il suo peso, tante volte perviene a 30, e 40
libbre fanno con fondamento presumere, che il risultato
in zucchero non debb’essere, che abbondante».
Nel Regno di Napoli la coltivazione delle barbabietole per
la produzione dello zucchero fu incentivata proprio negli anni
in cui il Nostro scriveva i suoi contributi loristici ed agronomici, durante il regno di Gioacchino Murat.
L’ultimo articolo, in ordine di tempo, pubblicato dal Gravina interessa proprio l’agricoltura in provincia dell’Aquila,
Memoria (1812), apparso sempre sul Giornale Enciclopedico
di Napoli.
Le notizie riportate dal Gravina su questo lavoro, nonostante le aspettative prodotte nel titolo, riguardano essenzialmente
il circondario di Sulmona. Si tratta di uno spaccato interes-
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
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sante sulle coltivazioni in uso, sulla diversità agronomica e le
tradizioni agricole delle campagne peligne. Colpisce la diversità delle piante in coltura, almeno tra i cereali e legumi. Una
varietà oggi decisamente ridotta ed appiattita su poche specie
e cultivar imposte dal mercato ormai globalizzato. Il primo dei
cereali nell’elenco è la solina, un’antica varietà di grano tenero, forse in uso già dai Romani e radicata nelle regioni Abruzzo e Molise. Gravina riporta «l’uso di farne pane di eccellente
qualità, del quale, esclusa la classe povera, si nutre tutto il resto degli abitanti». Un pane peraltro che si prestava per essere
conservato a lungo, confermando in questo modo la tradizione
orale contadina abruzzese che reputa la solina, tuttora, il frumento migliore per la paniicazione (Manzi, 2006) e le impressioni raccolte dal Torcia (1793) nel suo viaggio nel territorio
dei Peligni sul inire del Settecento. Seguono gli altri grani teneri aristati o mutici, oggi completamente dimenticati, inoltre
la segale, i farri e gli orzi tra cui un inedito orzo marzuolo distico e mutico, ossia privo di ariste, quest’ultima caratteristica
non più riscontrabile negli orzi distichi ancora coltivati nella
regione. Tra le righe si proilano abitudini alimentari ormai desuete come quella di fare il pane mischiando la farina di segale
con quella di mais, il cosiddetto parrozzo diffuso, ino al secolo
scorso, in molti contesti montani abruzzesi. L’autore conferma
la pratica di seminare la segale nei terreni da poco disboscati (grano della cesinazione), prassi ampiamente documentata nelle montagne teramane sin dal XVIII secolo. Dal grano
carosella, una vecchia varietà di grano tenero privo di reste,
invece, si otteneva un pane bianco e leggero. Ben altro era
il pane ottenuto dalla spelta (Triticum aestivum spelta), oggi
non più coltivata. Da questo farro, proprio dei climi freddi ed
umidi, si otteneva un «pane di pessima qualità, non potendosi
giammai collo staccio separare le glume che racchiudono il
seme e che passa insieme colla farina». L’orzo mondato veniva
coltivato, essenzialmente, per essere somministrato ai malati,
una consuetudine che nella regione è documentata sin dalla
preistoria. Tra i cereali minori, nei primi anni dell’Ottocento,
erano ancora diffusi sia il panico (Setaria italica) che il sorgo
(Sorghum bicolor). Entrambi destinati all’alimentazione del
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Aurelio Manzi
bestiame, anche se con il sorgo (Gravina speciica la varietà
a seme rosso) i ceti meno abbienti preparavano minestre e farinate per l’alimentazione umana, come nel medioevo quando
questi cibi costituivano una componente sostanziale nella dieta della popolazione. Nella Valle Peligna, la coltivazione del
mais (granodindia) risulta ben radicata e diffusa già nel primo
decennio dell’Ottocento. Da prodotto di prevalente uso zootecnico, come annota il Gravina, diviene una derrata strategica
per l’alimentazione degli uomini. La piana di Sulmona, grazie
alla disponibilità di acque ad uso irriguo, viene considerata «il
magazzino della Provincia» per quanto riguarda la produzione
del nuovo cereale di origine americana. Risultano in coltura tre
diverse varietà di mais: bianco, ordinario, della quarantina,
quest’ultima cultivar tuttora in uso in alcune aree della provincia. La disponibilità a costi decisamente inferiori del granturco, rispetto al frumento, cambia le abitudini alimentari della
popolazione. La pizza di mais e inanche il pane di farina di
mais, mista ad altre farine tra cui quella di segale, grano e persino di sorgo, ben presto si impongono quale cibo quotidiano
delle classi povere, unitamente alla polenta. Verranno diagnosticati anche in Abruzzo, qualche decennio più tardi, i primi
casi di pellagra, una grave avitaminosi collegata ad un’alimentazione costituita esclusivamente o prevalentemente di granone (Manzi, 2006). La diffusione del mais nelle campagne
cambia anche la millenaria rotazione agraria grano-maggese
adottata dal mondo greco-romano. Al mais si avvicenda il grano e, solo il terzo anno, si sceglie o meno di lasciare il campo
a riposo (maggese), aumentando sensibilmente la produttività
dei terreni. Interessante, a tale proposito, è la testimonianza del
Gravina:
«ne’ paesi dove si coltiva il granodindia come Pettorano,
Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e così
si vicenda».
Nell’articolo incuriosisce la grande diversità dei legumi in
coltura. Tra i fagioli vengono descritte 12 diverse varietà appartenenti alle due specie Phaseolus vulgaris e Phaseolus coc-
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
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cineus, entrambe di origine americana, il cui radicamento nelle
campagne abruzzesi sembra abbia preceduto di molto tempo la
diffusione di altre colture provenienti dal Nuovo Mondo. Ad
esse si somma il fagiolo gentile con l’occhio nero, ossia l’unico fagiolo presente in Italia prima della scoperta dell’America
Vigna unguiculata, specie di origine indiana già in uso presso
i Romani. In Abruzzo, la coltivazione di questa specie oggi
sembra del tutto abbandonata, eccetto proprio la Valle Peligna
ove il fagiolo dall’occhio viene ancora seminato e consumato;
tuttora conosciuto con il vecchio nome di fagiolo gentile, oppure minutillo o monachella (Di Santo, Silveri, 2004).
Tra i legumi vengono enumerate e descritte anche specie
di cui oggi si è persa la memoria, nonostante rivestissero in
passato un grosso interesse alimentare, zootecnico ed economico, almeno per le aree montane. È il caso della lenticchia
(conosciuta come miccola nella zona degli Altopiani Maggiori
e nell’Alto Molise), in particolare la “lenticchia di Valloscura”,
una varietà di lenticchia a seme piccolo (microsperma) coltivata nei decenni addietro, essenzialmente, sulle pendici dei rilievi che sovrastano il Piano delle Cinquemiglia, nel territorio
di Valloscura, l’attuale Roccapia. Gravina, non nascondendo il
suo entusiasmo, di questa lenticchia scrive:
«questa specie è la più stimata di tutti i legumi, non solo
per la squisitezza del sapore, ma per la sua piccolezza.
Ciò che fa meraviglia è la sua particolare coltura. Si semina ne’ terreni sterili e boreali delle montagne, arando
il terreno per metà di quello che meriterebbe seminandosi il grano […]. Le lenticchie di Valloscura sono le più
ricercate e si vendono a ducati 8 il tomolo. Nelle colline
che sovrastano al Piano delle Cinquemiglia, e che sono
reputate le più sterili, allignano così bene che non può
desiderarsi di meglio».
Le lenticchie coltivate più in basso si caratterizzavano per
le maggiori dimensioni del seme (macrosperma). A quote inferiori, le lenticchie venivano attaccate dai parassiti e i semi, per
essere conservati per periodi lunghi, venivano preventivamente lessati «per evitare il tarlo cui vanno soggettissime».
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Aurelio Manzi
Un altro legume, proprio delle aree montane, di cui scrive il
Gravina è il pisello robiglio (Pisum sativum arvense), riportato
sotto la voce riveglie. Essenza oggi non più coltivata, ma in
passato frequente nelle aree montane del Gran Sasso meridionale, Maiella e Altopiani Maggiori. I semi, conservati secchi,
venivano consumati dai montanari nel periodo invernale: un
piatto della tradizione culinaria di Pescocostanzo era rappresentato proprio da sagne e revejje. Gli stessi trovavano un impiego frequente per l’alimentazione del bestiame. Il Gravina
annota:
«[…] può dirsi che questa specie sia il solo legume
de’montagnoli. In Valloscura, Rivisondoli, Roccaraso
ec. usano coltivarle comunemente: sono intanto poco
stimate».
Tra gli altri legumi destinati all’alimentazione umana, Gravina enumera tre varietà di ceci: bianchi, rossi e neri; inoltre la
cicerchia (Lathyrus sativus), che lui individua con il vecchio
nome di ghieglie, di cui cita le varietà bianche e nere fratesche. Tra le fave, quelle piccole erano le più diffuse. I semi,
dalle dimensioni ridotte, venivano conservati secchi per farne
minestre. Le fave pugliesi, caratterizzate dai semi più grandi,
risultavano meno consuete delle precedenti e questo ci lascia
propendere per una diffusione più recente:
«la coltura però ne è ristrettissima, non facendosene uso
ordinariamente che come ortaggio mangiandosi prima
della loro maturità. Chi le conserva per la provvista le
impiega per lo più a farne il macco».
Molti sono i legumi coltivati ad uso zootecnico, anche se
spesso la fame e la carestia ne facevano cibo d’emergenza per
gli stessi uomini. È il caso della veccia (Vicia sativa), della
farchia, probabilmente la cicerchiola (Lathyrus cicera), degli
orobi o ervi (Vicia ervilia). Quest’ultima specie, conosciuta in
ambito nazionale sotto la voce mochi, costituiva una importante specie foraggera e da granella per l’ingrasso del bestiame,
cibo energetico per gli animali da lavoro e per quelli malati
o deboli. I mochi venivano diffusamente coltivati nelle aree
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
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montane d’Abruzzo; oggi, però, la specie è da ritenere quasi
scomparsa. Le ultime coltivazioni nel Piano delle Cinquemiglia si sono protratte ino ai primi anni del XXI secolo, qualche
sparuta coltivazione residuale sopravvive ancora sulle falde del
Gran Sasso meridionale (Manzi, 2008). Nell’articolo si riporta
anche un altro legume sotto la denominazione di ova di trotte.
Risulta dificile capire a quale specie l’autore si riferisca. Tenore (1831) attribuisce questa espressione dialettale abruzzese
a Vicia cordata (Vicia sativa cordata). In altri contesti regionali la stessa denominazione individua Lathyrus cicera oppure
Pisum elatius, pianta selvatica considerata il progenitore del
pisello coltivato (Manzi, 2006).
Corposa è la trattazione della voce canapa. Questa pianta
tessile era ampiamente coltivata nella piana peligna caratterizzata da suoli profondi, abbondanza idrica e buona disponibilità
di letame, requisiti essenziali per la sua coltura alquanto esigente. Gravina ci informa che nella Conca Peligna, la cittadina
di Raiano costituiva il mercato principale della canapa, mentre
per la Conca del Fucino il primato spettava a Pescina. Spiega
anche il signiicato del toponimo cannapine che, oltre ad individuare i campi assoggettati alla coltura della canapa, indica in
maniera più generale i terreni fertili, pianeggianti e ben concimati. Si dilunga sulle pratiche agronomiche e sulle metodiche
di macerazione per l’estrazione della ibra. D’altronde, anche
la sua Pettorano vanta un’antica tradizione nella lavorazione
di questa importante ibra la cui coltivazione fu sostenuta dai
Cantelmo, l’importante famiglia feudale che fece realizzare
anche le strutture adibite alla macerazione della pianta per
l’estrazione delle ibre indispensabili alla produzione di corde
(Monaco, 1980).
Interessanti sono anche le notizie relative alla diffusione
di alcune specie foraggere che si afiancano alla sulla, di cui
aveva dato notizia nel contributo precedente, nello speciico
una specie di trifoglio (Trifolium incarnatum) e il ieno greco
Trigonella foenum-graecum, quest’ultima pianta coltivata in
passato anche per uso medicinale. Ormai già nei primi anni
dell’Ottocento, almeno, nella Valle Peligna, i prati artiiciali
seminati a leguminose costituiscono una realtà di tutto rilievo,
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Aurelio Manzi
un’innovazione agraria dalle notevoli ricadute economiche e
sociali.
Nei suoi contributi, Gravina trascrive i nomi volgari e dialettali delle piante, sia selvatiche che coltivate, precedendo
di diversi decenni le intuizioni di un altro medico poliedrico
che riponeva grande iducia nella scienza, Gennaro Finamore,
padre dell’etnograia ed antropologia culturale in Abruzzo. Il
primo ad iniziare una raccolta sistematica dei itonimi popolari in Abruzzo per la redazione di una “Botanica popolare”
(Manzi, 2001). Gravina si premura di annotare nei sui scritti
anche tante altre osservazioni e rilessioni, rivelando uno spirito curioso ed aperto. Riporta interessanti notizie su Scanno:
la tradizione pastorale di allevare pecore dal vello nero, le famose pecore carfagne la cui lana era destinata, essenzialmente, alla confezione degli abiti del clero. Ci informa del “cacio
nero di Scanno” che è «ricercatissimo e igura non solo nelle
tavole de’ ricchi della Provincia, ma è in gran pregio nelle altre
Provincie del Regno e nella Capitale». È il primo a fornire notizie sull’ittiofauna del lago: trote, tinche, gamberi e «un pesce
che chiamano volgarmente pisci», forse la specie ittica oggi
conosciuta come rovella. Gravina propone anche un tracciato
alternativo alla strada che taglia il Piano delle Cinquemiglia,
per evitare il suo attraversamento proprio nel fondovalle, onde
scongiurare pericolose disavventure, con esiti anche fatali, ai
viaggiatori che d’inverno attraversavano l’altopiano in balia
delle proverbiali bufere.
Gravina, medico condotto, botanico, sindaco del suo paese,
si rivela un uomo nuovo, moderno che ripone grande iducia
nella scienza, pensa ed opera per il progresso civile della società. Fa parte di quel manipolo di uomini di provincia, quasi
sempre laureati in medicina, che indagano e descrivono il proprio territorio, spesso in silenzio e in ombra, lontani dai fasti e
dagli onori delle università ed accademie. Costituiscono, il più
delle volte, la “manovalanza”, i raccoglitori dei dati, i cosiddetti “corrispondenti locali” di cui si servono gli accademici
e gli scienziati uficiali del tempo. Spesso, però, hanno intuizioni geniali capaci di incidere sul corso della ricerca, di indirizzare il dibattito intellettuale e inluenzare il pensiero scien-
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xlv
tiico. Guardano speranzosi al futuro, ritengono il progresso
delle conoscenze scientiiche lo strumento indispensabile per
il miglioramento delle condizioni umane, anticipano di alcuni
decenni il Positivismo. A questi uomini, troppo spesso sconosciuti o negletti, dobbiamo tanto non solo per il progresso delle
conoscenze scientiiche, ma anche per lo sviluppo e la crescita
della società umana, anche nelle aree più depresse o e nelle
valli più nascoste del Paese.
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Tenore M., 1826 – Memoria sulle specie e varietà di crochi
della Flora Napolitana, Tipograia Marotta e Vanspandoch, Napoli.
Tenore M., 1829 – Succinta relazione del viaggio fatto in
Abruzzo ed in alcune parti dello Stato Pontiicio dal Cavalier Tenore nell’està del 1829. Letta all’Accademia
Pontaniana nella tornata de’6 settembre dello stesso
anno, Stamperia Società Filomatica, Napoli.
Tenore M., 1831 – Sylloge plantarum vascularium Florae Neapolitane hucusque detectarum, Tipograia Fibreni, Napoli.
Tenore M., 1832 – Relazione del viaggio fatto in alcuni luoghi
di Abruzzo Citeriore nella state del 1831, Dalla Tipograia di Pasquale Tizzano, Napoli.
Tenore M., 1845 – Catalogo delle piante che si coltivano nel R.
Orto Botanico di Napoli corredato dalla pianta del medesimo e di annotazioni, Tipograia dell’Aquila, Napoli.
Il contributo scientiico di Pasquale Gravina
xlvii
Tenore M., Gussone G., 1842 – Memorie sulle peregrinazioni
eseguite dai soci ordinari signori M. Tenore e G. Gussone lette alla Reale Accademia delle Scienze nel 18341838, Stamperia Reale, Napoli.
Torcia M., 1793 – Saggio itinerario nazionale nel paese de’
Peligni fatto nel 1792, Napoli (ristampa anastatica a cura
di Polla Editore, Cerchio, 1986).
V. D. M., 1836 – Il Real Orto Botanico, «Annali Civili del
Regno delle Due Sicilie», fasc. 22.
Visconti A., 1992 – Filippo Parlatore. Mie memorie, Sellerio
Editore, Palermo.
Riferimenti bibliograici
degli articoli qui pubblicati
Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne che
chiudono al sud la Vallata di Solmona, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 188-205.
Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del Circondario di Scanno, «Giornale enciclopedico di
Napoli», an. VI, nr. 2 (1812), pp. 3-49.
Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina,
prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla collezione di
semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante,
«Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 9 (1812), pp.
309-324.
Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 184-188.
Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne
che chiudono al sud la Vallata di Solmona
del corrispondente Pasquale Gravina
Il di 14. giugno usciti da Pettorano alle sei ci dirigemmo sul
Piano di Cinque Miglia. L’oggetto del viaggio non era già di
erborizzare sulle montagne che chiudono il Piano suddetto,
rimanendo in parte ancora coverte dalla neve; ma bensì di visitare e scorrere le belle praterie site nel mezzo del medesimo
e le altre, altrettanto belle, site sotto la Comune di Rivisondoli.
Ci determinammo ad eseguire il viaggio in tale epoca attesa
la stagione che favoriva la perfetta inlorescenza delle piante,
ed atteso il pochissimo tempo rimasto per falciarsi, né in seguito avressimo avuto miglior occasione di percorrere praterie
più elevate di queste.
Dopo tre ore di cammino entrammo nel Piano di Cinque
Miglia. Questo giace al sud della Provincia dell’Aquila in un
punto de’ più alti degli Appennini, avente un estensione di cinque miglia in lunghezza sopra quattro di larghezza in una supericie perfettamente piana.
Dalla parte del nord vi si entra per un solo guado chiamato
la Fontanella, e dalla parte del sud si esce per una simile apertura detta La Portella, al ovest è chiuso dalla gran montagna di
Chiarano, ed al’est da una catena di colline calcaree, che lo separano dalla Valle di Pantaniello, che egualmente è circoscritta
dalla montagna di Rivisondoli.
L’ammasso loro è tutto calcareo e di seconda formazione
essendo tutto stratiicato. È degno di rimarcarsi però che la
sola montagna di Chiarano è coverta da’ boschi, le altre montagne cioè quella di Rivisondoli e tutto il gruppo delle colline
che separano il Piano da Pantaniello sono nude affatto e non
vi alligna nemmeno una Cespuglio, come in tutto il resto del
Piano di Cinque Miglia.
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Pasquale Gravina
Il piano suddetto è celebre per l’orridezza dell’inverno, per
la gran quantità di neve che vi cade e per i turbini ed uragani che sovente si prende giuoco de’ poveri viandanti: anzi la
sua massima celebrità pare che derivi dal numero immenso de’
viaggiatori che vi hanno perso la vita.
L’infelice circostanza della morte non dipende dall’intensità del freddo che per due o tre ore di cammino non potrebe affatto inluire sulla vita dell’uomo, lo smarrimento della strada
è la sola cagione di simili sciagure. Difatti coloro che si sono
introdotti nel piano suddetto colti essendo da nebbia densa o
dallo spolverio della neve è impossibile che possano battare
la strada che viene cancellata dalla neve che incessantemente
cade, o dalla medesima trasportata dal terribile contrasto de’
venti: ne basta evitare il passaggio del piano nel tempo che vi
è burrasca, per lo più avviene che in mezzo al miglior tempo di
una serenità perfetta si suscitano i turbini, la nebbia, la neve;
ed il passaggiero ingannato si rattrova nel rischio evidente di
perdere la vita: imperocchè essendo il piano suddetto aperto in
due soli punti cioè nella Fontanella e nella Portella è dificile,
anzi impossibile, di rinvenire le aperture suddette, e costantemente si va ad urtare rincontro la montagna di Chiarano, donde
non potendo facilmente retrocedere o per la notte che sopravviene o per i grandi nevazzj che non possono sormontarsi, si va
a perdere la vita irremisibilmente.
Or siccome coloro che debbono penetrare ne tre Abruzzi,
debbono attraversare questo Piano, in tutti i tempi si è pensato
dal Governo di riparare a simili inconvenienti. Allorquando si
apre la grande strada da Napoli negli Abruzzi, si tentò di farvi
delle piantaggioni lungo la strada; ma nessuno albero di quanto ne furono sperimentati vi potè vegetare, e il più che sorpende si è che il solo che presenta una suficiente polpa di terreno,
dove si fanno più o meno delle abbondanti ricolte di grano.
L’uniformità e regolarità del Piano presentandoci per lo più
le medesime piante ci lasciava il tempo di rilettere ad un progetto, che nell’atto istesso che dovea dare una strada propria
e durevole, dovesse in tempo d’inverno rimanere scoverta in
maniera, che le vetture dopo qualche intervallo della caduta
della neve grossa, potessero avere il loro libero corso, e che i
Rapporto de’ viaggi botanici (1811)
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viandanti non la perdessero mai di vista. Il progetto è questo.
Bisognerebbe deviare la strada nella metà del Piano e portarla
dentro la Valle di Pantaniello nella seguente maniera.
Partendo da Roccaraso invece di attraversare il guado di
Portella si prenderebbe alla mano dritta andando dietro alla
Catena delle Colline calcaree che separano il Piano da Pantaniello, coll’avvertenza di non aprire la strada nel fondo della
valle, dove in tempo d’inverno vi si riuniscono degli immensi
cumuli di neve, ma bensì tagliarla sul dorso delle Colline sudette, non allontanandosi dal fondo della valle che tre in quattro canne, e colla stessa proporzione si dovrebbe prolungare
ino alla sommità che domina il luogo detto Taverna rotta. Da
questo punto si entrerebbe nel Piano scendendo dolcemente e
non lasciando mai la stessa direzione e gli stessi principj, cioè
di tagliare la strada alla parte occidentale delle Colline sudette
e non distante dal Piano sottoposto che tre in quattro canne,
dove più, dove meno, terminando così sino alla Fontanella.
In questa sola maniera si avrebbero i vantaggi di una strada
solida, perchè tagliata sul masso vivo; riparata da’ venti perchè
coverta dalle cime delle colline, e non potrebbe esser occupata da cumuli di neve, tagliata essendo sul pendio e non nella
valle.
Via facendo raccogliemmo le piante seguenti:
Veronica prostrata
Tordylium Apulum
Saxifraga bulbifera
Citisus bilorus
Centaurea nov. sp.
Alyssum campestre
Calendula stellata
Rhinanhus villosus
Polygonum bistorta
Anthyllis vulneraria
Gypsophyla saxifraga
Trattanto si approssimò la notte ed entrammo a Rivisondoli
verso le 7. pomeridiane. Dopo aver quivi dormito la mattina
ben presto scendessimo alla praterie di Roccaraso e vi raccogliessimo:
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Pasquale Gravina
Thlapsi alliaceum
Lathyrus palustris ?
Thlapsi perfoliatum
Hyacinthus romanus
Quindi retrocedendo verso Pettorano fra i seminati raccogliemmo:
Cheiranthus Bocconi
Xeranthemum annuum
Cistus obscurus
–– punctatus ?
Convolvulus cantabrica
Astragalus depressus
Edipnois n. sp.
Campanula speculum var. villosa
Cynoglossum columnae
Medicago minima
Lungo la strada inalmente ed in qualche luogo incolto:
Thlapsi saxatile
Ballotta nigra
Campanula mollis, var. dichotoma
Isatis tinctoria
Tutte le suddette piante descritte, per quanto mi fossi informato non hanno nome conosciuto triviale all’infuori del
Rhynanthus villosus, che chiamano iamma, perchè quando è
abbondante in un terreno distrugge e non fa vegetare il grano,
e dell’Isatis tinctoria, la quale è chiamata ammacca fauciglia.
Le piante raccolte furono trapiantate nel giardino di deposito
per raccoglierne con più commodo le semenze.
Non molto dopo si avanzò la stagione e ci andavamo disponendo per salire alla montagna per fare una spedizione di
piante al Real Giardino.
Uscimmo da Pettorano il dì 4. Luglio alle ore quattro e
prendemmo l’imboccatura della Valle di Freano, dove sorge
il iume Gizzo che fertilizza le belle campagne di Pettorano
d’Introdacqua e di Solmona. Questa Valle lunga e profonda
è rivolta al nord ed è sormontata da scogli calcarei tagliati a
perpendicolo e da rupi inaccessibili. Nella parte laterale e superiore è coverta da boschi che si vanno a perdere alla cima
della montagna detta della Fascia.
Rapporto de’ viaggi botanici (1811)
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La formazione di tali montagne essendo a strati e questi inclinati costantemente al nord, le varie sorgenti del Gizzo, e de’
ruscelli di Freano, della Pennina e dell’Acera sono parimenti
dalla parte nord.
Lungo la strada raccogliemmo:
Prunella grandilora
Saxifraga rotundifolia
Scutellaria columnae
Osservando che il fondo della Valle non ci sodisfaceva per
il poco numero delle piante, pensammo d’internarci nel bosco
colla iducia di appagare la nostra avidità a trovare delle belle
piante. Penetrassimo addentro urtando incontro a’ faggi, piegando la testa per evitare gli urti de’ rami, ma tutti questi sforzi
non erano ancora corrisposti. Vicino ad una scaturigine detta
Pennina ci rallegrassimo nel trovare il Lilium Martagon ed il
polyp. ilix mas, e non fu possibile di vedere piante migliori di
queste; forse per la foltezza del bosco.
Stanchi da questo tentativo riguadagnammo la Valle e ci riunimmo con vetturino a Valle Fredda, dove ci dovea attendere.
Proseguimmo il nostro cammino per inoltrarci alla vetta della
montagna e deviando continuamente raccolsimo:
Statice pseudarmeria
Coronilla valentina1
Rumex scutatus2
Atractylis gummifera
Aconitum licoctonum3
Laserpitium siler4
Lamium garganicum
Chenopodium bonus henricus5
Volgarmente sferra cavallo.
Salfari piccoli e nasce sotto le fessure di macigni, ed è impossibile
svellerlo con le radici intiere.
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Volgarmente creduto il Napello.
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Volgarmente Sellero montano.
5
Volgarmente detto Orobo ed è comunissimo vicino i letamai nelle
montagne dove pascolano le pecore. Ne’ paesi di montagne se ne servono
per le minestre e per l’insalate.
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Pasquale Gravina
Poco dopo mezzodì che il sole era divenuto insoffribile cominciò a sofiare un caldo venticello ed in un batter di occhi
si oscurò il cielo giusto dove noi eravamo, nel tempo istesso
che in tutto il resto era sereno. Immediatamente ci venne sopra
una grandinata così veemente ed impetuosa che per evitarla
ciascuno di noi si smarrì dentro del bosco, e non ci venne fatto
di riunirci che dopo qualche ora.
Ripigliammo il nostro cammino verso la Fonte dell’Acera,
dove in alcuni luoghi si conservava intatta la neve. Ci lasciammo dietro il bosco e vi raccogliemmo la sola Inula montana.
Vicino la Fonte dell’Acera vi è una bella cava di pietre selci, di cui se ne servono a far macine. Nella stessa direzione
verso Vallelarga e Colasurdo ve se ne osservano delle altre e
sono annunciate dall’aridezza del suolo che le copre e dal colore rossiccio del terreno; ed in questi luoghi spesso si trovano
delle pietre globose al di fuori con una strato di sostanza calcarea dura e nel centro la selce di variato colore.
Erano le 4. pomeridiane, e sebbene ci eravamo proposto di
dormire a Frattura, Villaggio che restava immediatamente sotto alla cima della montagna che poco mancava a raggiungersi,
pure il timore di incontrare de’ ladri ed il maltrattamento della
grandine ci fece retrocedere e rientrammo a Pettorano sul far
della notte: così ebbe luogo la prima spedizione.
Nel dì 17. luglio 1810 andammo ad erborizzare sulla montagna di Pietra Majura che giace all’est di Pettorano. Essa è
vestita di boschi e di macchie ed è fertilissima di piante medicinali.
Le dificoltà di questa peregrinazione non consistevano a
far delle lunghe corse, dovea farsi attenzione a dirigersi bene
dentro del basso ed evitare i profondi burroni che lo dividono;
perchè altrimenti dovevamo sempre tornar indietro, e perdere
del tempo ogni volta che il vetturino che recava la cassa, la
creta, il mosco ec. non potea intersecargli.
Ad onta delle precauzioni di cui sempre premuravamo la
nostra guida, quelle non servivano che ad accrescere il nostro
imbarazzo, e ci trovavamo sovente arrestati da precipizj e dalla
strettezza degli alberi che ci chiudevano il cammino. Concertammo più volte col vetturino a poterci riunire col ischio con
Rapporto de’ viaggi botanici (1811)
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un grido ma questo mezzo si limitava a poca distanza. Vero
però che i nostri travagli erano a ciascun intervallo compensati
nel rinvenire delle utili piante; raccolsimo:
Saxifraga cotyledon
Polypodium aculeatum
Geranium aconitifolium
Centaurea cuprina
Linum strictum
Anemone hepatica
Melampyrum sylvaticum
Convallaria multilora6
Dictamnus albus
Asperula cynanchica
Sideritis romana
–– montana
Stachys decumbens
Trifolium pratense, var. alpestre
–– arvense
Dopo aver errato nel bosco suddetto per otto ore continue,
inalmente ne uscimmo dalla parte superiore e cercammo di
ristorarci al gran picco propriamente di Pietra Majura nel quale vi è scavata una superba Grotta. L’eminenza del sito, l’aria
fresca che vi si respirava e la serenità del cielo ci fecero ben
presto dimenticare i travagli sofferti, e fummo in istato di rassettare le piante nell’erbario e disporre meglio le piante vegetanti, che per mancanza di tempo e per la iacchezza si erano
poste alla rinfusa dentro la cassa.
Frattanto si avanzò la sera ed andassimo a dormire a Canzano. La mattina seguente uscimmo di buon ora e pigliammo la
direzione delle Coppe. Questo luogo quasi piano resta dietro
la montagna di Pacile ed è addetto esclusivamente al pascolo
delle pecore. Tuttochè cambiavamo spesso la direzione pure
raccolsimo poche piante:
Verbascum pulverulentum7
Volgarmente detta Cordone di S. Francesco: ha la radice carnosa e qualche
speziale fraudolentemente l’ha sostituita all’ipecuacana: ma i suoi effetti
sono terribili: eccita vomito, diarrea, dolori, e sinimenti.
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Volgarmente detto Tasso barbasso.
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Pasquale Gravina
Stachis germanica
Aconitum Napellus
Alyssum lunarioides
Salvia ethiopis8
Digitalis ferruginea
Allium sphaerocephalum
–– pallens
Aethusa meum. Vol. Meo barbuto
Piegammo in seguito verso Pacile e ci affrettammo di guadagnare la parte occidentale e prendere al di sotto la strada di
Solmona. Raccolsimo:
Artemisia abrotanum
Campanula glomerata
Gnaphalium arenarium
Scabiosa ochroleuca
Ed ebbe luogo la seconda spedizione di piante vegetanti al
Real Giradino.
Nel dì 31 luglio dovea salirsi alla montagna di Macchia longa che è la più alta di quelle che chiudono al sud la Vallata di
Solmona. Essa è sita all’est di Valloscura e dalla sua parte del
sud domina il Piano di Cinque Miglia. Nelle sue falde vi sono
de’ boschi e de’ pascoli per le pecore.
Siccome il tempo era caldissimo lasciammo Pettorano prima delle quattro per trovarci a mezzo cammino allora quando
usciva il sole. Pigliammo la strada di Sondico tagliata sopra un
vallone scosceso e profondo e via facendo ci imbattemmo più
volte con de’ mietitori, che facilmente credeano che andassimo
a cavar tesori.
Dopo cinque ore di salita arrivammo al bosco della montagna suddetta. Per buona sorte non incontrammo tante dificoltà
nel penetrarvi come nel bosco di Pietra Majura: pochi erano i
burroni, e gli alberi lasciavamo fra loro sempre dello spazio,
che offriva molto commodo al vetturino, che ci seguiva, ne si
diede il caso di smarrirci.
Raccolsimo le più belle piante in piccolo spazio di terreno:
Gentiana cruciata
Volgarmente chiamata bambagiuola pilosella e se ne servono comunemente
per essiccare la piaghe delle gambe.
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Betonica alopecurus
Dentaria pentaphylla
Doronicum althaicum
Cacalia alpina9
Malva moschata
Scorzonera ?
Pedicularis comosa
Senecio saracenicus
Epilobium montanum
Senecio sylvaticus
Carduus carlinoides
Crepis dioscoridis
Aconitum Napellus, in moltissima quantità ec.
Verbascum sp. n.
Alle quattro pomeridiane eravamo usciti dal bosco e non
vi restava che l’ultima parte della montagna fatta da picchi e
rocce calcaree senza ombra di vegetabili. Fra alcune fessure
di esse trovammo il Semperviruum aracnoideum ed il globiferum. Dovea pertanto salirsi la montagna sudetta per iscendere
e pernottare a Pescocostanzo. Cosa che fu eseguita fra poche
ore contrastando con uno de’ più terribili venti del nord che ci
obbligava a volgergli le spalle e torcere il cammino.
Il giorno seguente eravamo determinati di erborizzare sulla
montagna del Quarto di S. Chiara che conina colla Provincia di Chieti e procurammo di avere una guida. Il vetturino
incominciò a protestare che era impossibile ricondurre sulla
Montagna i suoi animali, giacchè, ed era purtroppo vero, le
frequenti cadute, inevitabili ne’ viaggi botanici, gli avevano
di molto indeboliti. Noi pure eravamo malconci e riiniti da
un cammino di 17 ore continue fatto nel giorno antecedente; e
sebbene il sonno ci avesse ristorati risolvemmo di restituirci in
casa per la volta del Piano di Cinque Miglia. Ed ebbe luogo le
terza spedizione.
Per porre ine al lavoro di quest’anno secondo il quadro isico botanico della Provincia vi rimaneva di salire alla Montagna del Pilosello, che separa Valloscura da Scanno e Scanno
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Volgarmente cococcioni.
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Pasquale Gravina
da Pettorano. Questa è una montagna boscosa ed elevata forse
quanto Macchialonga e contiene degli ottimi pascoli. Animati
dal desiderio di fare una bella cassa di piante pel Real Giardino
uscimmo da Pettorano il dì 28. agosto 1810 un ora avanti giorno, traversammo il bosco di Pratocupo senza raccogliere una
pianta. Arrivammo alla strada delle Trassere e nella Posta Vecchia della Fascia trovammo un bosco di Aconitum licoctum.
Erano le undici e vi volea un’altra ora di cammino per recarci alla sommità della montagna: aflitti per non trovar piante proseguivamo a salire, ma ognuno si può immaginar come.
Raccogliemmo: la Centaurea nigra, l’Athamantha Oreofelinum ?, l’Heracleum sibiricum, l’Arabis alpina, la Biscutella laevigata ma nessuna di esse si potè spedire a Napoli verdeggiante.
L’Athamantha nasce fra le fessure de’ macigni ne si può svellere
colle radici intiere. L’Heracleum sibiricum è una pianta alta otto
palmi circa ed ha una radice corrispondente, ed ama la foltezza
del bosco. L’Arabis alpina e la Biscutella laevigata erano tutte
siorite ed appena ne ricuperammo un saggio per l’erbario.
Saliti che fummo piegammo dalla parte di Scanno dove
sono i migliori pascoli della montagna, e dove il terreno è coverto da una zolla ina che sembra la lanugine della terra. Andammo alla Posta della Genzana, detta così per la gran quantità di Gentiana lutea che vi alligna: ma non vi trovammo che
le punte delle costole delle foglie rosicate dagli animali. Per
non perdere l’occasione fecimo svellere alla nostra guida una
quantità di radici per conservarle a qualche bisogno.
Erano le 4. pomeridiane e fummo involti da una densa e
fredda nebbia, ne più si dubitò che il viaggio era de’ più infelici. Proseguire il cammino era lo stesso che perdere il tempo
attesa l’oscurità della nebbia; tornare in casa non era convenevole a cagione della distanza, e siccome aveamo provvisione
per un altro giorno risolvemmo di passar la notte nella Posta
delle Cruci di Frattura. Qui si tralasciano i patimenti, gli inconvenienti di quella nottata; deve soltanto avvertirsi che la
nebbia fu costante ino alle 6. del giorno seguente.
Fatto giorno ci rimettemmo in moto risoluti di non tornare
se non si fosse empita di piante la cassa di spedizione. Costeggiammo all’ovest del Pilosello e trovammo molta quantità di
Rapporto de’ viaggi botanici (1811)
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Paeonia oficinalis e l’Anthyllis barbaiovis. Ripiegammo dalla
parte di Scanno ino a Costa di Secina e non si rinvenne che
l’Echynops sphaerocefalus, ed una specie di cardo. Ci astenemmo di raccogliere simili piante per non aggravarci di un
peso inutile giacchè erano coltivate nel Real Giardino. Frattanto vennero le 10 ed il tempo ricominciò ad intorbidarsi e cominciò a cadere una pioggia minuta accompagnata da nebbia.
Vedendonsi chiaramente che la sorte ci perseguitava e che non
potea farsi capitale di un simile viaggio, rimontammo dalla
parte detta de Colli verso Valloscura e ci ricoverammo alla meglio. Per riprendere la strada di Pettorano dovemmo attraversare le macchie di Valiaduna ed il Vallone dell’Orsolina, dove
strada facendo raccogliemmo il Viburnum Lantana, il Ribes
rubrum var., Daphne laureola ec. ec.
Con un viaggio di due giorni nemmeno si potè empire la
cassa di spedizione il dì 30. agosto procurammo di raccogliere
qualche altra pianta intorno al iume e precisamente il Senecio
baldensis ? ma era siorito. Pigliammo l’Inula dissenterica, la
Genista tinctoria e così si rimediò per l’ultima cassa consegnata al Procaccio il dì seguente.
Giornale della peregrinazione botanica eseguita
nelle montagne del circondario di Scanno
dal Sig. Pasquale Gravina
Secondo l’ordine de’ lavori botanici stabilito nel quadro isico della Provincia, la peregrinazione di quest’anno dovea
eseguirsi nella montagna di Chiarano, e sue adiacenze, ed io
ne aveva issato la mossa alla metà di luglio. Pur nondimeno
alcune circostanze riguardanti la sicurezza del mio viaggio, e
li temporali che a tale epoca inierivano ne’ diversi luoghi del
Distretto, mi diedero forte motivo non solo di posporre la gita
suddetta, ma mi obbligarono dell’intutto a cambiare disegno.
Trattanto per non perdere il momento il più favorevole della
stazione deliberai di percorrere le montagne del Circondario di
Scanno, dove sperava delle agevolazioni alla mia intrapresa.
Lasciai Pettorano alle 4 della mattina de’ 2 agosto 1811.
Coll’idea di rendermi sulla montagna di Rotella situata al nordest del Piano di Cinquemiglia, ed occuparmi in questa prima
giornata a raccogliere molti saggi della Gentiana cruciata, della Malva Moschata dell’Aconitum napellus, della Pedicularis
comosa, e di altre piante, che in dall’anno scorso avea rimesse
vegetanti al Real Giardino, e che la loro bellezza dal Direttore
del Giardino suddetto in quest’anno avea ricevuto l’incarico di
raddoppiarne la spedizione.
M’incamminai a tale oggetto per la strada di Sondico, e
dopo 4 ore di salita già era alla Posta di Macchialonga, che
rimane all’est, e sopra Valloscura1. Non vi volle molto a riconoscere la Gentiana cruciata di cui raccolsi una quantità,
che era in iore. Dovea non molto distante incontrarsi la malva
moschata? ma non fu possibile. Si attraversò il bosco colla iPosta nel linguaggio de’ pastori vuolsi intendere il luogo centrale del
pascolo, dove sono isse le mandre, che chiamano stazzi, ed una capanna.
La capanna ordinariamente è fatta da larghi e bassi muri di pietre senza
calce e da un tetto di legno coverto anche di pietre.
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Pasquale Gravina
ducia di trovare ne’ luoghi visitati altra volta, alla stessa epoca,
l’Aconitum nappellus, il Doronicum althaicum, ed altre belle
piante, ma dopo aver errato alcune ore uscii di speranza, giacché tutto si scorgeva consumato dagli animali, che vi avevano
incessantemente pascolato a cagione della siccità precorsa.
Non pertanto il Cynoglossum appenninum di cui raccolsi
i semi li hyeracium molle, et grandilorum, e la plantago argentea trovate in certe balze, mi convinsero, che il tempo non
era impiegato in vano. Il cielo in seguito divenuto torbido, e
piovoso mi costrinse a prender ricovero nella Posta di Rotella,
sita all’estremità della montagna, dove mi convenne a restare
sino alla mattina seguente. Le piante trovate nel corso della
giornata non comprese le più communi, e quelle che erano state inviate nell’anno scorso al Real Giardino furono:
Euphorbia myrsinites
–– cypariassias
Cardus corymbosus Ten.
Thymus acinoides Ten.
Campanula linifolia
Dentaria bulbifera
Silene nutas
Plantago argentea
Doronicum Columnae Ten.
Per adempiere all’oggetto della peregrinazione la sera de’
3 agosto dovea dormire a Scanno. Di buon’ora perciò presi la
strada di S. Iri, che mena al Piano di Cinquemiglia, ed arrivai
in quest’ultimo luogo alle otto della mattina. Cammin facendo raccolsi molti saggi della Drypis Spinosa. Attraversato il
piano suddetto, che non mi diede niente da osservar di nuovo,
m’introdussi per le Bocche di Chiarano dove trovai a dovizia l’Arbutus uva ursi, il ribes grossularia, ed il ribes rubrum.
Proseguii il cammino per la via del Titolo, oltrepassai Juvano,
ed entrai a Scanno alle 5 pomeridiane.
Le piante trovate, e scelte nel resto della giornata prima di
entrare a Scanno furono:
Cardus Carlinaefolius
Thesium linophyllum
Geranium sanguineum
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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Orobus vernus
Asphodelus albus
Cnicus afer
Il giorno di domenica 4 di agosto fu di riposo, e per quanto mi permisero le circostanze, presi conto di alcuni oggetti
relativi alla situazione politica e naturale di Scanno, e del suo
Circondario.
Il Comune di Scanno è situato al sud-ovest della Provincia
dell’Aquila nel centro del ramo della catena degli Appennini,
che divide la Vallata di Solmona da quella di Celano. Esso
giace nel fondo di una valle, sopra una collina calcarea, che
deve considerarsi come una prolungazione della montagna di
Preccia, che gli sovrasta al mezzo giorno. All’est vien separato
dalla Montagna della Piaja per mezzo del vallone dove scorre
il iume detto di Scanno. All’ovest è separato egualmente, e
chiuso dalla montagna del Monte per mezzo del torrente, chiamato Pisciarello.
La piccola distanza delle riferite montagne, la loro parallela
direzione dal nord al sud, non che la posizione quasi perpendicolare all’orizzonte, sono le vere ragioni, che il soggiorno di
Scanno sia opaco, e senza ventilazione.
Nel rimanente Scanno ha un bel fabbricato, ha le strade larghe, e ben selciate ed una superba chiesa. È capoluogo del
suo Circondario ed uno de’ più ricchi Comuni della Provincia.
Esso contiene 2700 abitanti, tra i quali 30 preti sotto la direzione di un arciprete. Le donne vi sono estremamente belle, e
coprono la testa con un arnese, che molto somiglia al turbante
de’ Turchi.
L’industria de’ Scannesi è la pastorizia nel suo vero signiicato. Essi oltre molte razze di cavalli, posseggono più di
cento-venti-mila pecore tutte nere. Il cacio nero di Scanno è
ricercatissimo e igura non solo nelle tavole de’ ricchi della
Provincia, ma è in gran pregio nelle altre Provincie del Regno,
e nella Capitale.
Al Nord un mezzo miglio distante dall’abitato vi è il Lago
di Scanno (che ha la supericie di un miglio quadrato) in cui
si scarica il iume dello stesso nome, dopo aver conluito col
torrente il Pisciarello. Vi si pescano in abbondanza delle trote,
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Pasquale Gravina
delle tinche, de’ gamberi, e un’immensa quantità di un piccolo
pesce che chiamano volgarmente pisci.
Il Lago è rinchiuso in mezzo alle due alte montagne di Terratta, e di Frattura, che formano le sue naturali ripe. All’est del medesimo giace il villaggio di Frattura, ed al nord est quello di Villalago. Entrambi fanno parte del Circondario di Scanno, ed i loro
abitanti hanno gli stessi costumi, la stessa industria de’ Scannesi,
e partecipano de’ prodotti del Lago, che è così pescoso.
Un mezzo miglio sotto Villalago dirimpetto al Romitorio di
S. Domenico si veggono le scaturiggini del Sagittario, chiamato volgarmente la foce di Scanno, che si credono comunemente altrettante emanazioni del Lago suddetto. Il iume appena
gonio da una immensità di rivoli, che scappano, e sgorgano
dalle fessure de’ macigni, rapido s’imbocca per la Foce di una
lunga valle, nella quale precipitando replicate volte con una
profusione di vortici e di scherzi, inalmente dopo un corso di
sette miglia sotto al Comune di Anversa communica un terzo delle sue acque al celebre Canale di Corinio, in grazia del
quale s’inafiano le ora mai fertili campagne di Bugnara, di
Prezza, di Solmona e di Pratola.
Procurata a stenti una guida, che mi si disse ottima, la mattina de’ 5 agosto uscii di Scanno per la via delle Prata, e dopo
2 ore di cammino il giorno mi spuntò a Costa Scannese. Per
valicare questa montagna, che era tutta scoscesa mi convenne
smontar di cavallo, e camminare per altre 3 ore sulle proprie
gambe sino a Pantano. Il suolo che io batteva, ingrato alle mie
ricerche, non presentava altre piante che li verbaschi, i roveti, e
molte altre delle più comuni. La guida mi faceva sperare intanto, che a Pantano avrei soddisfatta la propria curiosità.
Pantano è un luogo piano di notabile estenzione chiuso e
circondato dalle montagne di Chiarano, di Juvano, e di Zimassa. La sua supericie ordinariamente verde, bagnata di tratto in
tratto da piccoli rigagnoli, che vi formano de’ vaghi ristagni di
acqua, abbellita da frequenti boschi2 del Veratrum Nigrum et
album, e della bella Digitalis ferrugginea, ricrea l’occhio del
naturalista, che immezzo all’orridezza de’ boschi e de’ burroni
2
Il primo è chiamato volgarmente vesàtro, ed il secondo elleboro bianco.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
17
trova questo luogo di frescura. Quivi raccolsi in abbondanza
le suddette tre piante, ed arrivato al canale della Villetta che è
l’estremità di Pantano, ripiegai per la strada delle Impietrature,
e mi diressi a Ferrueglio, dove mi ristorai per la seconda volta.
Una colonna di grossa pioggia proveniente da un temporale, che si scaricava sopra la vicina montagna di sette-Frati mi
obbligò a rimaner sotto la capanna de’ pastori sino alle 3 pomeridiane. Dopo una corsa simile il solo geranium machrorhizum meritò di esser posto nella cassa, e nell’erbario.
Per andare a dormire alla posta di valle Corta si dovè prendere la strada di campitello attraversando in un angolo il bosco di questo nome. Richiamando l’attenzione, e poco curando
l’acqua, che mi bagnava ad ogni urto di albero raccolsi l’alchemilla hybrida in faccia ad un macigno incrostato dell’Hipnum
praelongum, o sia lana di pietra volgare.
Trovai in seguito la Lunaria rediviva, Geranium varium,
Scrophularia vernalis, Daphne mezereum, Seleli montanum.
Giunto alla estremità della montagna nell’atto, che scendea
alla volta di Vallecorta mi vennero a salutare più di venti cani,
che non mi avrebbero fatto passar oltre, se al rumore o non
fossero sopravvenuti alcuni pastori, i quali ebbero la bontà
di scortarmi per un altro miglio sino alla Posta di Valle Corta.
Quivi dormii insieme con sedici pastori, non compresa la
guida, e due altri individui che mi seguivano.
La notte piovve dirottamente, e lo scricchiolare dell’acqua
sopra il tetto della capanna mi deviò il sonno, che io tanto desiderava. Sull’albar del giorno si aggiunse un generale latrato
de’ cani annunziando a’ pastori, che l’orso, come era il suo
solito veniva a visitare le mandre. Dietro quest’ultimo strepito mi determinai a partire per erborizzare di buon ora sulle
adiacenze di Valle Corta. Mi convenne attraversare il bosco
dello Schiappitto per salire sulle dirupate cime della montagna, che lo coronavano, contrastando coll’umidità del suolo, e
coll’acqua, che il vento faceva cadere da’ faggi. Uscito al largo raccolsi Gentiana aculis volgarmente genzianella; raccolsi
altresì:
Astrantia minor
Dianthus superbus
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Pasquale Gravina
Orchis variegata
Serapias latifolia
Soddisfatto di aver incontrato dopo tante ricerche la genzianella, ripiegai dentro del bosco prendendo la strada della
Fonte dello Schiappito senza trovare più alcuna pianta che per
me fosse riuscita nuova. Alle 9 mi restituii a Valle Corta per
riprendere gli animali ivi lasciati cogli attrezzi della peregrinazione.
Intanto la nebbia che strisciava sul dorso delle montagne, e
le nuvole, che spesso oscuravano il sole predicevano la pioggia che non tardò a venire. Da una parte era annojato vedermi
ogni dì bagnato dall’acqua, ma dall’altra mi riputava felice di
non esser a portata de’ temporali, che ordinariamente si limitavano a qualche prossima montagna.
Per salire al Caraparo si dovè prendere la strada del bosco
di Terraegna appartenente in buona parte alla Comune di Peschiaseroli. Questo bosco estesissimo vien formato di altissimi
faggi, di olmi, e di aceri. Esso poggia sulle falde di due alte
montagne che terminano in una gran valle nella direzione del
sud al nord, e sopra un suolo rossiccio carico di ocra di ferro.
Per la mia guida che millantava una consumata pratica di
peregrinazioni e di montagne, tutto era facile. Essa decise che
dovevamo introdurci pel fondo della valle, a mezzo cammino
piegare a dritta, e prender una piccola strada che a dirittura
menava al Caraparo. Così fu in seguito. Allora quando ci credavamo vicini di uscire dalla foresta, noi ci trovammo così imbarazzati, che i disagi sofferti ne’ giorni antecedenti ci parvero
veri divertimenti. Smarriti per non veder più traccia di strada;
in un luogo in cui non si scovriva nemmeno il cielo per la
foltezza del bosco; in un luogo il più scosceso che si possa immaginare; dove gli alberi caduti, e fradici accrescevano la dificoltà di uscirne, e con una minuta pioggia che ci aveva bene
inzuppati, ognuno può indovinare di che si trattasse. Io era certo di trarmi fuori del bosco, ma la situazione degli animali, che
venivan carichi, era molto critica; tanto più che non vi restava
altro mezzo che guadagnar l’altura. Le mie cure dunque, e di
chi mi seguiva, furono tutte rivolte a quest’oggetto. A forza di
replicate giravolte, tagliando spesso de’ rami, che si oppone-
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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vano al passaggio, e coll’intrepidezza ed ostinazione, che si
richiede in tali circostanze, si venne allo scoverto senz’altro
inconveniente, che quello della stanchezza.
Preso appena ristoro m’ingegnai di salire a piccole riprese
alla punta del Caraparo, che è uno de’ più alti e alpestri gioghi
degli Appennini, che ingombrano la Provincia. Quivi giunto è
che si scopre a colpo di occhio uno dè più belli e pittoreschi orizzonti. Si osserva all’occidente il Fucino, che è il più grande lago
del Regno; all’oriente si scorge la Majella, che è la più grande
Montagna nell’appennino Abbruzzese. Le numerose montagne
che per tutte le direzioni si aggruppano, e si frappongono in così
fatto spazio, non presentano ordinariamente, che valli, e boscaglie, e foreste; e scogli, e burroni e rupi e precipizii. In ordine
alla geologia e se debbono considerarsi tutte come calcaree di
seconda formazione, altre non essendo la roccia che le compone, che la pietra calce compatta, la pietra di calce semplice, la
roccia a base di calce, con qualche vena di marmo.
Mettendo in rassegna le piante vive raccolte nella giornata,
mi avvidi, che da Valle Corta sino a Caraparo non si era rinvenuta una sola pianta, che avesse attirata la mia attenzione. Mi
diedi dunque la premura di erborizzare ponderatamente sulle
alture della Cisterna, e della Cateratta così alte, e non senza
sorpresa raccolsi:
Gnaphalium sylvaticum
Lychnis quadridentata
Solidago Virgaurea
Crysanthemum ceratophylloides
Veronica aphylla
Il veratrum album il nigrum, e la gentiana lutea trovate in
migliore stato d’iniorescenza servono per raddoppiarne i saggi nell’Erbario.
Approssimandosi la notte mi ritirai alla piccola Posta del
Caraparo.
La mattina de’ 7 agosto mi disposi a tornare a Scanno, per
riposare il resto della giornata. Presi la direzione del vallone,
o per dir meglio di un viottolo straripevole, e intersecato da’
macigni e da’ burroni. Strada facendo raccolsi l’angelica archangelica, Orchis fragrans Ten., Viburnum lantana.
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Pasquale Gravina
Alle dieci della mattina rientrai a Scanno. L’indomani 8 di
agosto salii alla montagna di Frattura sita all’est del Lago di
Scanno. Non ebbi niente da osservarvi di nuovo per riguardo
alla natura della montagna, che era simile alle altre percorse
ne’ giorni antecedenti, ma vi raccolsi delle belle, e rare piante.
Esse furono:
Anthemis pyretrum
Geranium pheum
Illecibrum capitatum
Euphrasia off. var. alpina
Campanula fragilis var. alpina
Gentiana campestris
La peregrinazione ebbe termine in questo stesso giorno.
Nella mattina de’ 9 agosto dopo aver spedito al Procaccio
in Solmona la cassa delle piante vive pel Real Giardino, abbandonai Scanno, e la sera medesima mi restituii in Pettorano.
Saggio della lora del Distretto di Solmona
Acer campestre3. Volgarmente Nocchia.
–– platanoides. Volg. Acero. Cresce in tutte le montagne del
Distretto.
Achillea millefolium. Millefoglio. Off.
–– nobilis
Aconitum lycoctonum. Strozzalupo. Cresce in abbondanza
alla Fonte dello Schiappito ed alla Posta vecchia di Pratocupo.
Fiorisce di luglio. Off.
–– napellus. Napello. Fiorisce di luglio, e trovasi sopra il
bosco di Macchialonga. Off.
Adianthum capillus Veneris. Capelvenere.
Aegylops ovata.
Aegopodium podagraria. Bracalà. Off.
Aethusa meum. Meo Barbuto. Fiorisce di agosto, e trovasi
alla difesa di Pettorano. Off.
Quest’albero ordinariamente serve per appoggiare la vite degli arbusti in
Pettorano ed in pochi altri luoghi della Provincia.
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Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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Agrimonia eupatorium. Agrimonia. Fiorisce di giugno. In
tutte le colline. Off.
Agrostemma githago. Ruesela. Fiorisce di maggio fra i seminati.
Aira caryophyllea.
Ajuga reptans.
Alchemilla hybrida. Fiorisce di agosto nel bosco di Campitello.
Alsine media.
Alyssum campestre.
–– lunarioides.
Fioriscono amendue di maggio, e crescono ne’ ciglioni de’
terreni aridi.
Althea cannabina.
–– Oficinalis. Altra oficinale.
Amaranthus blitum4. Abbietone, Vritili grandi. Cresce a dovizia in tutti i terreni grassi vicini all’abitato.
Ammi majns.
Amygdalus communis5. Mandorlo.
–– persica. Pesco. Si coltivano entrambi.
Anagallis arvensis. Cecagalline.
Anchusa Barrelieri. Fiorisce in giugno nel Lago detto di
Pettorano.
–– Oficinalis. Buglossa.
–– undulata
–– italica. Fioriscono tutte e tre nel mese di maggio lungo
le strade, e ne’ terreni incolti.
Andryala lanata.
Anemone hepatica. Erba della Trinità. Fiorisce a giugno
nella Valle di Frevano.
Anethum graveolens. Aneto. Fiorisce di luglio nella Difesa
di Pettorano.
–– foenicolum. Finocchio. Si coltiva.
Il volgo mangia le punte degli abbietoni o uritili tanto a minestra che ad
insalata.
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Col decotto delle frondi del mandorlo communemente si tinge la seta in
un bel color di pappagallo.
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Pasquale Gravina
Angelica archangelica. Angelica odorata. Fiorisce di luglio
nella montagna del Caraparo. Off.
Anthemis tinctoria6. Fiorisce di maggio a settembre in tutte
le strade, e ne’ terreni incolti.
–– cotula.
–– altissima. Fiorisce di giugno all’Orto del Diavolo.
–– pyrethrum. Piretro. Fiorisce di luglio nella montagna di
Frattura. Off.
Allium sphaerocephalon ?
–– pallens. Fioriscono entrambi di luglio nella Difesa di
Pettorano.
Alopecurus paniceus.
Anthillis vulneraria. Fiorisce di giugno nelle colline e boscaglie.
Antirrihinum Linaria. Linaria. Off.
–– Cymbalaria. Cimbalaria. Off.
–– purpureum.
–– Orontium.
–– minus.
–– spurium. Fioriscono tutti in giugno.
Apium graveolens. Sellero.
–– petroselinum. Prezzemolo. Si coltivano entrambi.
Anthoxanthum odoratum.
Aquilengia vulgaris.
Arabis alpina. Fiorisce di giugno nella Fonte della Fascia.
–– turrita.
–– thaliana.
Arbutus uva ursi. Uva ursina. Fiorisce di agosto e trovasi in
abbondanza nel Piano di Cinque Miglia alle Bocche di Chiarano. Off.
Arctium lappa. Bardana. Fiorisce di luglio ne’ bordi delle
strade. Off.
Arenaria haeteromalla. Fiorisce di maggio nelle fessure de’
macigni alla Difesa di Pettorano.
–– trilora.
–– bilora: entrambe ioriscono di giugno.
–– rubra.
Col decotto di iori secchi dell’anthemis tinctoria si ottiene una color
giallo da tingere la lana, e la tela.
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Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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–– sasciculata.
–– Serpyllifolia.
Aristolochia rotunda. Aristologia. Abbonda nelle montagne
ne’ terreni cesinati. Off.
Arnica doronicum. Fiorisce di giugno nell’Orto del Diavolo.
Artemisia abrotanum. Abrotano. Fiorisce di settembre nella
montagna di Pacile. Off.
–– absynthium. Si coltiva.
–– vulgaris. Fiorisce di settembre specialmente negli argini
de’ formali che innafiano gli terreni. Volg. Artemisia.
Arum maculatum. Arone. Fiorisce di agosto. Off.
Arundo donax. Canna ordinaria. Si coltiva.
Asarum Europaeum. Asaro. Fiorisce di agosto.
Asclepias vincatoxicum. Vincetossico.
Asparagus acutifolius. Asparago ordinario. Fiorisce di
agosto frà i roveti.
Asperula cynanchica. Fiorisce di giugno.
–– arvensis.
Asphodelus albus. Volg. Porrazzo. Fiorisce di giugno ne’
prati di Pettorano.
Asplenium ruta muraria. Ruta muraria.
–– Scolopendrium. Lingua cervina. Scolopendrio. Off.
Astrantia minor. Fiorisce di agosto fra le macchie de’ ginepri a Valledicorta.
Astragalus depressus.
Atractylis gummifera. Fiorisce di luglio nel Piano di Cinque
Miglia.
Atopa Mandragora. Mandragora. Fiorisce di aprile. Off.
Avena fatua.
–– fragilis. Fiorisce di luglio.
Bellis perennis. Bellide ordinaria.
Beta vulgaris7. Bietola, foglia molla: abbonda ne’ terreni
In Solmona, ed in altri luoghi della Provincia si coltiva una varietà della
bietola col nome di rapa-rossa. L’uso più comune è della radice che si
mangia in insalata, o facendola cuocere nell’acqua, o sotto la brace. La
forma esteriore della radice medesima è piuttosto globosa, e dividendola
presenta o il color rosso-bianchiccio, o il bianco-rossiccio.
Presentemente di questa varietà mediante i semi inviati da Solmona se ne fa
un’estesa coltivazione nel Real Giardino delle piante di Napoli per comodo
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Pasquale Gravina
ingrassati dal concime.
Betonica oficinalis. Betonica. Fiorisce di giugno nel Mattone di Pettorano.
–– alopecurus.
Bidens tripartita.
Biscutella apula.
–– laevigata. Fiorisce di luglio sopra la strada delle Trazzere.
Borago oficinalis. Boragine. Si coltiva.
Brassica Austriaca. Fiorisce di maggio nella valle di Frevano.
–– Gravinae. Ten. Fiorisce di aprile nella Difesa di Pettorano.
–– minor.
Bromus secalinus. Segala di Orto.
–– pinnatus.
–– arvensis.
–– sterilis.
Bryonia alba. Brionia. Fiorisce di luglio ed è frequente nelle siepi vive.
Bryum murale.
Bunias erucago8. Matrone. Fiorisce di maggio a settembre
ne’ terreni maggesati.
Buphthalmum asteroides.
Buxus sempervirens. Bosso. off.
Bupleurum. sp. nova. Fiorisce di giugno nella Difesa di Pettorano.
–– rotundifolium. Idem.
Balsamita vulgaris. Menta romana. Si coltiva ne’ giardini.
Cacalia alpina. Cococcioni. Fiorisce di luglio ed abbonda
ne’ boschi di Macchialonga e dello Schiapparo.
di coloro, che volessero istituire de’ saggi per l’estrazione dello zucchero di
barbabietole. Difatti il sapor dolce e zuccheroso che nella radice si sviluppa,
per mezzo della bollitura, ed il suo peso, che tante volte perviene a 30, e
40 libbre fanno con fondamento presumere, che il risultato in zucchero non
debb’essere, che abbondante.
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Il matrone forma in tutti i mesi dell’anno una delle minestre più ricercate
dei nostri campagnuoli.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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Calendula oficinalis. Calendula.
–– stellata. Fiori di giugno ne’ terreni aridi ed incolti.
Campanula linifolia. Fiorisce di luglio ne’ roveti dell’estremità delle montagne.
–– fragilis. Var. Alpina. Fiorisce di agosto fra gli scogli della Foce di Scanno.
–– speculum.
–– hybrida.
–– graminifolia.
–– rapunculus.
–– glomerata.
Cannabis Sativa. Canapa. Si coltiva.
Capsicum annuum. Piparuoli volgarmente detti, siano tondi siano lunghi. Si coltivano generalmente negli orti.
–– baccatum.
–– grossum
Cardamine hirsuta. Fiorisce di aprile sopra delle muraglie.
–– chelidonia
–– pratensis.
Carduus pycnocephalus. Fiorisce di maggio, e di giugno.
Carduus carlinoides.
–– carlinaefolius.
–– corymbosus. Ten. Fioriscono tutti nel mese di luglio alla
Difesa di Pettorano.
–– lanceolatus.
–– crispus.
–– leucographus. Fiorisce di luglio a Macchialonga.
Carlina acaulis. Rapagnuola volg.
–– vulgaris. Carlina.
Carpinus betulus. Carpino. Cresce in tutte le selve del Distretto.
Caucalis grandilora. I semi sono chiamati pulci delle vigne. Fiorisce di maggio.
–– heptaphylla
–– arvensis.
Centraurea nigra. Fiorisce di maggio frà li seminati.
–– galactites.
–– calcitrapa.
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Pasquale Gravina
–– alba.
–– cuprina.
–– Centaurium.
–– solstitialis.
–– phrygia.
–– cyanus. Fiorisce di maggio tra li seminati.
–– splendens.
–– montana. Fiorisce di giugno.
–– coriacea. Fiorisce a maggio tra li seminati.
Cerastium tomentosum.
–– Columnae. Ten.
–– vulgatum.
–– latifolium.
–– anomalum. Fioriscono tutti di giugno e si trovano nelle
colline apriche.
Cerinthe major.
–– minor.
Chaerophyllum sylvestre. Fiorisce di agosto ne’ boschi di
Pratocupo e Macchialonga.
–– temulum.
Cheyranthus cheiri. Viola gialla. Fiorisce a maggio sopra
le muraglie.
–– incanus. Viola rossa. Si coltiva.
–– Bocconi. Fiorisce di luglio lungo le strade.
Chelidonium majus. Celidonia.
–– glaucium. Piante communi.
Chenopodium Bonus Enricus9. Orabo. Fiorisce di maggio
ne’ letamai delle Poste.
–– Album10. Vritili Volg. Fiorisce di maggio a settembre ne’
terreni grassi vicini all’abitato.
–– bothrys.
Chlora perfoliata.
Chrysanthemum coronarium. Occhio di Bue.
–– Segetum.
Degli orapi sono ghiottissimi tutti montagnuoli sì ad uso di minestra, che
d’insalata.
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Il volgo ne fa lo stesso uso come si è detto n. 4.
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Giornale della peregrinazione botanica (1812)
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–– leucanthemum.
–– Achilleae.
–– ceratophylloides. Fiorisce di luglio alla Fonte dell’Acera.
Cicer arietinum. Cece bianco volg. Si coltiva.
Cichorium intybus. Cicoria campestre.
Circaea lutetiana.
Cistus punctatus.
–– obscurus.
–– guttatus.
–– salvifolius.
–– canus.
–– lavandulifolius. Tutti ioriscono di giugno nelle colline
aride.
Clematis viticella. Vitella Volg.
–– vitalba. Entrambi nelle siepi vive.
Clinopodium vulgare.
Clypeola jonthlaspi.
Colchicum Autumnale. Colchico, Inganna Pastore. Fiorisce di settembre nella Difesa di Pettorano.
Colutea arborescens.
Conium maculatum. Cicuta volg.
Convallaria polygonatum. Cordone di S. Francesco. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano.
Convolvulus cantabrica var. Allion. Fiorisce di giugno ne’
terreni aridi, ed incolti.
–– Sepium. Campanello.
–– arvensis.
Coniza saxatilis.
–– squarrosa.
Coriandrum testiculatum. Fiorisce di giugno in mezzo alle
vigne.
Cornus mascula. Grugnale volg.
–– Sanguinea. Sanguariello.
Coronilla valentina. Sferra cavallo. Fiorisce di giugno.
Corylus Avellana. Avellana volg.
Cotyledon umbilicus. Concanella, ombelico di Venere. Abita nelle muraglie.
Crataegus monogyna.
–– aria. Salvastriello. Fiorisce di maggio frà le siepi vive.
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Crepis Dioscoridis.
–– barbata.
–– rigida.
Croton tinctorium. Fiorisce di agosto nelle vigne sotto Pacile.
Cucubalus Behen.
–– bacciferus. Fiorisce di luglio nelle siepi.
Cucumis melo. Mellone a pane volg. Si coltiva.
–– Sativus. Cedriuolo melangola volg. Si coltiva.
Cucurbita lagenaria. Cucuzza a iaschette. Si coltiva.
–– pepo. Cucuzza, cocuzzillo volg.
–– Citrullus. Mellone ad acqua volg. Anche si coltivano
tutte due le ultime specie.
Cyclamen Europaeum. Scoccia piattelle volg. Panporcino.
Per tutte le strade.
Cynara scolymus. Carcioffo. Si coltiva.
Cynoglossum oficinale. Lingua di cane.
–– lanatum. Fiorisce di maggio lungo le strade di campagna.
–– appenninum. Fiorisce di giugno nella Difesa di Rivisondoli.
Cynosurus aureus.
Cytisus nigricans.
–– bilorus. Entrambi volg. Catrinelle.
–– laburnum. Majo volg. Nelle siepi.
Cuscuta Europaea. Cuscuta. Off.
Dactylis glomerata. Falasca volgare.
Daphne laureola. Trovasi ne’ luoghi ombrosi de’ boschi, e
la chiamano olivella volg.
–– mezereon. Fiorisce di maggio e matura i semi di settembre ed ottobre. Trovasi da Campitello andando a Valledecorta,
ed al Pratillo.
Daucus mauritanicus11. Pastinaca volg.
Delphinium consolida.
–– Ajacis.
Appena questa pianta spunta a marzo, si coglie per far parte dell’insalate
dette communemente di iume.
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Dentaria bulbifera. Fiorisce di giugno e cresce ne’ boschi
di Macchialonga e nel Pratillo.
Dianthus caryophyllus.
–– superbus.
–– barbutus.
–– prolifer. Son chiamati volg. tutti Garofani di Montagna.
Dictamnus albus. Dittamo bianco volg. Fiorisce di maggio
nella Difesa di Pettorano, e nella montagna di Roccacasale.
Digitalis ferruginea. Fiorisce di luglio lungo le strade. Se
ne servono ordinariamente a cardare i panni.
Doronicum althaicum. Fiorisce di giugno alle Croci di Frattura.
–– Columnae. Fiorisce di giugno a Macchialonga.
Draba verna.
–– muralis.
Drypis spinosa. Fiorisce di giugno a Barbatosa prima di entrare al Piano di Cinque Miglia.
Echinops sphaerocephalon. Fiorisce a luglio a Costa di Secina.
Echinum vulgare.
–– violaceum.
–– Italicum. Fioriscono di agosto in tutte le strade.
Epilobium montanum. Fiorisce di giugno a Macchialonga.
–– vulgare.
–– hirsutum.
Equisetum arvense. Coda di cavallo volg.
–– palustre.
Erigeron acre.
Ervum hirsutum.
–– lens. Lenticchia volg. Si coltiva.
–– hervilia. Oroba Gliervi volg. Si colt.
Erysimum oficinale. Erisamo ordin.
–– Barbarea.
–– Alliaria. Fiorisce di maggio vicino le siepi.
–– praecox. Fiorisce di maggio nel bosco di Pratocupo.
Evonymus Europaeus. Berretta di cardinale, Fusaino. È
frequente nelle siepi.
Eupatorium cannabinum. Fiorisce di giugno vicino i ruscelli e ne’ luoghi palustri. Volg. Eupatorio, cannavara.
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Pasquale Gravina
Eryngium Amethystinum. Eringio. Nelle vigne e nelle colline è frequentissimo.
Euphrasia oficinalis var. alpina. Fiorisce di agosto a Valle
Cardosa.
–– latifolia.
–– viscosa.
–– odontites.
Euphorbia myrsinites.
–– Cyparissias.
–– helyoscopia.
–– Sylvatica.
–– paralias.
–– lathyris.
–– pilosa.
–– Esula.
–– spinosa.
–– nova.
–– segetalis.
Tutte le sudette specie si trovano frequentemente nel basso,
e nelle montagne; e volgarmente si chiamano, Titimaglio.
Fagus sylvatica. Faggio. Tutti i boschi del Distretto sono
formati dal faggio.
Ferula communis.
Festuca luitans.
–– elatior.
Ficus carica. Fico. Fico pazzo volg.
Fragraria vesca. Fragola. Nelle boscaglie.
Fraxinus ornus12. Ornello volg.
Fumaria oficinalis. Fumaria.
Galeopsis ladanum.
Galium aparine. Lappa volg.
–– verum.
–– palustre.
–– purpureum.
–– aristatum.
Col decotto delle foglie dell’ornello communemente si tinge in giallo la
lana, e le tele.
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Genista candicans.
–– tinctoria. Fioriscono amendue di giugno.
Gentiana cruciata. Fioriscono di agosto vicino la Posta di
Macchialonga.
–– lutea. Fiorisce di luglio alla Posta della Genziana volg.
Genziana Maggiore.
–– utriculosa. Fiorisce di maggio alla Difesa di Rivisondoli.
–– campestris. Fiorisce di agosto a Valle Cardosa.
–– acaulis. Volg. genzianella. Fiorisce di giugno fuori il bosco dello Schiappito.
–– centaurium. Gentaurio ofic.
Geranium macrorrhizum. Fiorisce di agosto alla via
dell’Impietrature.
–– cicutarium.
–– moschatum.
–– robertianum.
–– columbinum.
–– triste.
–– rotundifolium.
–– molle. Tutte le suddette specie sono frequentissime vicino le siepi e ne’ ciglioni de’ terreni.
–– tuberosum. Fiorisce di maggio fra i seminati.
–– aconitifolium. Fiorisce di luglio alla Difesa di Pettorano.
–– Phaeum. Fiorisce di giugno al bosco del Pratillo.
Geum urbanum. Carioillata. Fiorisce di giugno a Pacile,
ed alle Coppe.
Gladiolus communis. Fiorisce di maggio fra i seminati.
Glecoma hederacea. Edera terrestre.
Globularia Alypum. Fiorisce di luglio alla Grotta di Pietra
Majura.
–– vulgaris.
Gnaphalium stoechas. Perpetuino. Si coltiva.
–– arenarium. Tumarella volg. Fiorisce di luglio in tutte le
colline aride.
–– Sylvaticum. Fiorisce di agosto alla Cateratta del Caraparo.
Gypsophyla saxifraga. Fiorisce di luglio nelle muraglie dirute.
32
Pasquale Gravina
Hedypnois tubaeformis. Ten. Fiorisce di maggio alla Croce
del Carmine di Pettorano.
Hedera helix. Edera.
Hedysarum coronarium. Volg. Sulla. Si coltiva per uso di
prati.
Helianthus tuberosus.
–– annuus. Girasole volg. Si coltivano.
Heliotropium Europaeum.
Helleborus hymalis. Palmaddessa volg. Fiorisce nel corso
dell’inverno lungo le strade.
Heraclaeum Sybiricum. Fiorisce di luglio alla via delle
Trazzere dentro del bosco.
Herniaria glabra. Erba turca.
–– hirsuta. Crescono entrambe nelle vigne e lungo le strade
di campagna.
Hesperis tristis ? Fiorisce di aprile fra li seminati di Fonte
Varuscio in Pettorano.
Hieracium sylvaticum ?
–– molle.
–– grandilorum. Tutti e tre ioriscono di luglio a Macchialonga.
Hordeum vulgare.
Humulus lupus. Fiorisce di settembre nelle sponde del iume di Pettorano.
Hyacynthus romanus. Fiorisce di maggio nelle praterie di
Rivisondoli.
–– botryoides.
–– comosus. Vampagiuoli. Fioriscono di maggio fra li seminati.
Hyoscyamus albus.
–– niger. Giusquiamo.
Hyoseris radiata.
Hypericum perforatum. Perforata.
Hypnum praelongum. Lana di Pietra volg.
Hyppocrepis comosa.
Hyppuris vulgaris.
Hypoachaeris radicata.
Hyssopus oficinalis. Issopo. Fiorisce di settembre alle coste di Fascia, e Pietracantagallo.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
33
Illecebrum capitatum. Fiorisce di luglio fra li macigni del
primo vallone del Lago di Scanno che porta alle Croci di Frattura.
Ilex aquifolium. Agrifoglio volg.
Imperatoria ostruthium. Imperatoria.
Inula dysenterica. Fiorisce di agosto lungo i ruscelli.
–– montana. Fiorisce di giugno a Fossa Liborio.
Iris germanica.
–– pseudoacorus. Fiorisce di aprile sopra le mura dirute.
Isatis tinctoria13. Ammacca fauciglia volg.
Guado pastello. Fiorisce di maggio fra i seminati, ed in
ogni altro luogo.
Juglans regia14. Noce.
Juncus campestris.
–– aculeatus. Giungo.
Juniperus cummunis. Ginepro. Cresce in tutte le montagne.
Lactuca scariola15. Pizzuchera volg. Fiorisce di maggio
nelle maggesi e ne’ seminati.
–– saligna.
Lamium purpureum.
–– amplexicaule.
–– communis. Urtica morta volg.
–– biidum Cyr.
Dopo li decisivi esperimenti del Sig. <Giuseppe> Morina evvi lungo
a sperare, che si rigetti una volta quel metodo lungo e spesoso adottato
in molti luoghi della Provincia per preparare ed usare il guado. Niente
meno, che dovea cogliersi l’erba della pianta, e unirla in grandi mucchi;
guardare con attenzione il momento in cui i vermiciattoli che si sviluppano
dietro la putrefazione fossero di color rosso; quindi battere, ed impastare
la massa putrefatta in grandi pile di legno per mezzo di grossi magli,
riducendola e dividendola in grossi pani; che prosciugati al Sole entravano
in commercio sotto questa forma. Tutto ciò non bastava, bisognava aver
la sorte d’indovinare, qual grado di bollitura, quanto liscivio era necessario
per ottenere il bleu da un pane di pastello, che non si sapeva se era della
prima, della terza o della sesta raccolta.
14
Col decotto della corteccia delle radici della noce si tinge la lana in
un bel color di tabacco. Del medesimo colore sono tinti gli abiti di tutti
gl’Indrodacquesi, che formano una popolazione di 5000 anime.
15
Prima che la pianta iorisca si coglie dal volgo per uso di minestra.
13
34
Pasquale Gravina
–– garganicum. Fiorisce di giugno frà li roveti nella Valle
di Frevano.
–– lexuosum. Ten.
Lapsana stellata.
Laserpitium siler. Sellero montano.
Lathyrus palustris. Fiorisce di maggio nelle praterie di Rivisondoli.
–– haeterophyllus. Fiorisce di giugno vicino le siepi de’ vigneti.
Lavandula spica. Spiconardo volg. Ora cresce spontanea
sopra le vigne del Mattone di Pettorano.
Laurus nobilis. Lauro. Si coltiva.
Leontodon taraxacum. Dente di Leone.
–– bulbosum.
Lepidium ruderale. Fiorisce di maggio sino a settembre
lungo la strada Consolare dirimpetto al Canale di Pettorano.
Ligustrum vulgare. Ligustro.
Lilium bulbiferum. Fiorisce di giugno nel bosco della Pennina.
–– Martagon. Idem.
Linum strictum.
–– tenuifolium. Entrambi ioriscono di aprile nella Difesa
di Pettorano.
Lythospermum arvense.
–– purpureo-caeruleum. Fiorisce di aprile fra li seminati.
Lolium temulentum. Luglio.
Lonicera caprifolium. Sugamele. Fiorisce di aprile nelle
siepi vive.
Lotus corniculatus.
Lychnis dioica.
–– quadridentata. Fiorisce di agosto vicino la cisterna del
Caraparo.
–– los cuculi. Si coltiva.
Lunaria rediviva. Fiorisce di luglio al bosco di Campitello.
Lycopodium denticulatum.
Lycopus hyssopifolium.
Malva moschata. Fiorisce di luglio vicino la Posta di Macchialonga.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
35
–– rotundifolia.
Marrubium album.
–– nigrum. Entrambi volg. marrueglio. Trovansi da per tutto.
Matricaria parthenium. Fiorisce di giugno alla Fonte della
Fascia.
Medicago minima. Fiorisce di maggio.
–– polymorpha.
Melampyrum cristatum.
Melissa oficinalis. Cidronella volg. Fiorisce di maggio.
–– calamintha.
Mentha pulegium. Pulegio.
–– sylvestris. Mentastro.
–– viridis.
Mercurialis perennis. Mercorella.
–– annua.
Mnium hygrometricum.
–– serpyllifolium. Nelle grotte, e ne’ muri vecchi rivolti al
nord.
Melittis melissophyllum. Fiorisce di maggio alla Difesa di
Pettorano.
Momordica Elaterium. Cocomero Asinino. È frequente nella Difesa di Canzano.
Morus niger. Moro. Si coltiva.
Myosotis scorpiodes.
Myrtus communis. Mortella volg.
Narcissus poeticus. Fiorisce di maggio ne’ prati di Pesco
Costanzo, e Rivisondoli.
Nepeta cataria.
Nigella arvensis. Nigella.
Orobus vernus.
–– niger. Fioriscono di maggio.
Ophrys arachnitis. Fiorisce di aprile alla Difesa di Pettorano.
Oenanthe istulosa.
–– crocata.
Oenothera biennis.
Olea Europaea. Olivo. Si coltiva.
Ononis Spinosa. Resta bue. Fiorisce di giugno alla Pinciara
di Pettorano.
36
Pasquale Gravina
Onosma echioides. Fiorisce di giugno.
Origanum vulgare. Origano.
Orchis latifolia. Fiorisce di giugno alla Difesa di Rivisondoli.
–– fragrans nob.
–– mascula.
–– variegata. Fioriscono queste due ultime di giugno al
Pratello.
Ornithogalum nutans.
Ornithopus perpusillus.
–– compressus.
Orobanche major. Neva volg.
Osmunda regalis. Osmunda.
Paeonia oficinalis. Peonia. Fiorisce di luglio alla Fonte
della Fascia.
Papaver rhoeas16. Papavero erratico; Zitella volg.
–– somniferum. Si coltiva.
Parietaria off. Erba murale.
Pedicularis comosa. Fiorisce di giugno a Macchialonga.
Phalaris utriculata.
Physalis alkekengi. Fiorisce di settembre nel Campo di Pettorano.
Phytolacca decandra. Lacca volg.
Pistacia therebinthus. Verro putino volg. Cresce ne’ boschi.
Pimpinella saxifraga. Fiorisce di maggio a Pietra Majura.
–– tragus. Idem.
Plantago major. Cinque nervi. Volg.
–– altissima.
–– argentea. Fiorisce di giugno vicino la Fonte dell’Acera.
Plumbago Europaea.
Poa trivialis.
–– alpina.
–– vivipara.
–– pratensis.
–– palustris.
Polycarpon tetraphyllum.
16
Prima, che la pianta iorisce se ne fa lo stesso uso enunciato n. 15.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
37
Polygala vulgaris.
–– major. Fioriscono di maggio nella Difesa di Pettorano.
Polygonum aviculare. Communissimo.
–– bistorta. Bistorta. Fiorisce di maggio nel Piano di Cinque Miglia.
Polypodium aculeatum.
–– ilix mas. Crescono nel fondo de’ burroni opachi della
Pennina.
Populus tremula. Pioppo.
Portulaca oleracea. Porchiacca volg.
Potentilla reptans. Cinquefolio volg.
–– argentea. Fioriscono di luglio nel folto della Difesa di
Pettorano.
Poterium sanguisorba. Pimpinella volgare.
Prunella vulgaris.
–– grandilora. Fiorisce di giugno nella Valle di Frevano.
Primula veris. Fiorisce di maggio nella Difesa di Rivisondoli.
Prunus spinosa. Prugnolo. Volg. Pugno. Commune nelle
siepi.
Psoralea bituminosa.
Pteris aquilina. Felce.
Pyrus communis. Perazzo selv.
–– malus17. Melazzo, melo selvaggio.
Quercus robus. Quercia.
–– cerris. Cerro.
–– helix. Licina.
Ranunculus sceleratus. Visciola volg.
–– icaria.
–– muricatus.
–– lanuginosus.
–– bulbosus.
–– arvensis.
Reseda lutea. Fiorisce di giugno sopra le mura.
–– undulata.
Col decotto della corteccia interna del melo selvaggio si tinge in giallo
la lana, e la tela.
17
38
Pasquale Gravina
Rhamnus paliurus. Vicaca volg. Forma parte delle siepi
vive.
–– ziziphus. Giuggiola. Si coltiva.
Rhynanthus cristagalli. Fiamma volg. Fiorisce di maggio
frà li seminati delle montagne, ed allorchè predomina gli aduggia intieramente.
Ribes grossularia. Uva spina volg. Fiorisce di maggio nel
Piano di Cinque Miglia.
–– nigrum.
–– rubrum.
–– petraeum. Tutte e tre vegetano nella Valle dell’Orsolina,
e chiamansi volg. Uva di Orso.
Rosa canina. Cinosbato, Rattaculo volg.
Rosmarinus oficinalis. Cresce al Mattone di Pettorano .
Rubia tinctorum. Rubia volg.
Rubus fruticosus. Mirica difratta volg.
–– caesius. Fiorisce di giugno.
Rumex acutus. Lampazzaro volg.
–– bucephalophatus.
–– aquaticus.
–– scutatus. Fiorisce di maggio frà li macigni della Fonte
dell’Acera.
–– Acetosa major. Fiorisce alla stess’epoca ne’ prati del
Lago di Pettorano.
Ruscus aculeatus18. Pungitopo volg.
Il decotto de’ semi del pungitopo, preparasi come il caffè di America, ad
alcuni miei amici è riuscito ottimo a questo uso.
* Tra Febraro, e Marzo, che appena si vede spuntare dal terreno questa
pianta, se ne scava la radice, che riviensi carnosa, e succulenta, se ne separa
la parte legnosa, e si fa cuocere nell’acqua. Così preparata o si ricuoce
nel brodo, e forma una delle più squisite minestre; o s’impasta col iori di
farina, e si frigge o nell’olio, e nella sugna e forma una delle vivande più
ricercate nella Vallata Solmontina.
Nel mese di Aprile quando l’erba di questa pianta comincia ad armarsi di
aculei, e prima, che iorisce si coglie per farne le minestre dette di cardilli,
che non lasciono di essere delle più delicate tra noi e saluberrime.
Nell’autunno inalmente questa istessa pianta cessa di veggetare, e ciò non
ostante dal torso superiore della radice fradiciato dalle piogge spuntano de’
piccoli funghi chiamati volgarmente cardarelle, ricelle, i quali non solo
18
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
39
Ruta graveolens. Ruta. Abbonda nella Difesa di Pettorano.
Salix alba. Salcio.
–– viminea. Vetica volg.
Salvia oficinalis. Abbonda nel Mattone di Pettorano.
–– sclarea. Erba puciara volg.
–– Aethyopis. Pilosella. Cresce a Pacile.
–– verbenaca.
Sambucus ebulus. Eboli.
–– nigra. Sambuco grande.
Samulus valerandi.
Sanicula Europaea.
Saponaria oficinalis. Saponaria.
–– bellidifolia. Fiorisce di Maggio nelle Praterie del Lago
di Pettorano.
Satureia graeca.
–– montana.
Saxifraga tridactylites. Fiorisce di aprile sopra le mura.
–– cotyledon. Fiorisce di luglio a Pietra Majura, e fuori il
bosco dello Schiappito.
–– rotundifolia. Fiorisce di giugno nella Valle di Frevano.
Scutellaria Columnae. Fiorisce di maggio nella Valle di
Frevano.
Secale villosum. Ordinario ne’ muri diruti.
Sedum album.
–– relexum.
Selinum Monnieri.
Sempervirivum globiferum.
–– aracnoideum. Trovansi sulla vetta di Macchialonga fra
li macigni.
Senecio vulgaris.
–– jacobaea.
–– sylvaticus. Fiorisce di giugno a Macchialonga, e dentro
Valloscura.
Serratula arvensis.
riescono ottimi a mangiarsi secchi, ma secchi si conservano benissimo
per molti usi di cucina (nell’elenco a ine articolo, questa nota occupa il
numero 17, ma non ha corrispondenza nel testo. N.d.A).
40
Pasquale Gravina
–– tinctoria19 abbonda ne’ prati di Roccaraso, e la chiamano
Fronnicella. Fiorisce di maggio.
Sideritis romana.
–– montana. Fioriscono di aprile.
Silene baccifera Wild.
–– nutans. Fiorisce di giugno a Macchialonga.
Synapis erucoides. Fiorisce di settembre alla vigne delle
Pietre Reggie.
Seseli montanum. Fiorisce di luglio al picco di Pietra Majura.
Sisymbrium nasturtium20. Nasturzio Crescione. Commune
in tutti i rigagnoli.
–– Columnae. Fiorisce di maggio alla Croce del Carmine
di Pettorano.
Sium latifolium.
Smilax aspera. Salsa paesana.
Smyrnium olusatrum.
Solanum dulcamara. Dulcamara.
–– Lycopersicum. Pomadori volg. Si coltiva.
–– melongena. – molognana. Si coltiva.
–– nigrum. Solatro volg. Communissimo.
Sonchus oleraceus21. Cascigno volg. Communissimo.
–– palustris.
Sorbus domestica.
Solidago virga aurea. Fiorisce di agosto a Valle Cardosa.
Stachys germanica. Fiorisce di luglio alle Coppe.
–– decumbens.
–– palustris.
–– arvensis.
Statice pseudomeria. Fiorisce di giugno nel Piano di Cinque Miglia a Taverna Rotta.
Stellaria holostea. Fiorisce di aprile fra li Roveti.
La decorazione della fronnicella somministra il più bello color giallo che
io giammai abbia osservato. In Roccaraso, ed a Scanno formano delle belle
tinte verdi usando il pastello con questa decozione.
20
Si mangia communemente nell’insalate di iume come si è detto n. 11.
21
Dal volgo si mangia, come si è detto nn. 15, 16.
19
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
41
–– dichotoma.
–– nemorum.
Stipa pinnata. Fiorisce di maggio sulle balze di Pietra Majura.
Symphytum tuberosum.
Syringa vulgaris.
Tanacetum vulgare. Tanaceto.
Taxus baccata. Tasso. Abbonda nel bosco della Pennina.
Teucrium scordium. Scordio.
–– chamaedrys. Camedrio.
–– chamaepitis. Camepizio
–– Polium. Poliere, Polio. Abbondano in tutte le colline.
Thalictrum aquilegifolium. Fiorisce di giugno alla ine della
Valle di Frevano.
Thlaspi bursapastoris. Borsapastore volg.
–– perfoliatum.
–– saxatile. Fioriscono di aprile.
–– alliaceum. Fiorisce di maggio ed abbonda nell’argine
della forma delle Fratte di Roccaraso.
Thymus serpyllus.
–– acinoides Ten. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano.
Tordylium apulum.
Tragopogon pratense. Barba di capra.
–– Dalechampii. Fiorisce di aprile alla Difesa di Pettorano.
Tribulus terrestris.
Trifolium alpestre. Fiorisce di giugno alla Difesa di Pettorano.
–– repens.
–– melilotus.
–– arvense.
–– resupinatum.
–– stellatum.
Trigonella corniculata.
Triticum repens. Gramigna.
Tussilago Petasites.
Typha Latifolia. Paglia per le sedie.
Ulmus campestris. Olmo.
42
Pasquale Gravina
Urtica urens. Urtica, Ardica volg.
–– pilulifera.
Valantia cruciata.
Utricularia vulgaris.
Valeriana oficinalis. Valeriana Silvestre. Fiorisce di maggio ne’ prati, e ne’ margini de’ fossi di aqua.
–– rubra. Fiorisce di luglio in molti luoghi di Pietranzieri.
–– locusta. Fiorisce di maggio sopra le colline di Pantoniello.
–– calcitrapa. Idem.
–– coronata.
Veratrum album. Ellebero bianco. Fiorisce di luglio, ed è
in abbondanza al canale della Villetta, a Campitello, ed alla
Cisterna del Carparo.
–– nigrum. Vesatro. Volg. Fiorisce e va sempre unito col
precedente.
Verbascum nigrum. Tasso barbasso. Communissimo in tutte le strade.
–– tapsus. Idem.
–– pulverulentum. N. sp. Fiorisce di maggio sino a settembre in tutte le montagne in tutti i Pascoli.
–– n. sp. Idem
Verbena Oficinalis. Verbena Off.
Veronica beccabunga22. Beccabunga off. Erba grassa volgare. Fiorisce di aprile ne’ margini de’ ruscelli, e de’ iumi.
–– acinifolia. Fiorisce di maggio nel Piano di Cinque Miglia, ne’ bordi della strada di Pantaniello e nelle praterie di
Rivisondoli, e Roccaraso.
–– Chamaedrys. Fiorisce di aprile negli argini de’ formali di
acqua frà Pontederci e la forma di Pettorano.
–– aphylla. Fiorisce di luglio su li macigni del Caraparo
nella Cisterna.
–– anagallis. Va sempre unita colla beccabunga.
–– prostrata.
–– haederifolia.
–– arvensis.
–– acinifolia.
22
L’uso di questa pianta è lo stesso enunciato n. 11.
Giornale della peregrinazione botanica (1812)
43
–– agrestis.
Tutte le suddette specie sono communissime, e ioriscono
tra marzo, ed aprile.
Vicia onobrychioides. Fiorisce di maggio nella Difesa di
Pettorano.
–– lutea.
–– Cracca.
–– ornithopodioides.
Vinca major.
–– minor. Vinca per vinca Off.
Viola canina. Viola Off.
–– lutea.
–– calcarata. Fioriscono entrambe di maggio, e si trovano
unite nel principio della salita che da Taverna Rotta conduce a
Pantaniello.
Viburnum Lantana. In mezzo alle boscaglie del Distretto.
Xanthium spinosum. Per tutte le strade.
Xeranthemum annuum. In tutte le colline apriche.
Memoria sulle qualità del suolo, coltura,
tempo della semina, prezzo medio, uso,
quantità necessaria di semenza per ciascuna specie
di cereali, legumi ec. che si coltivano
nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento
alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del
Real Giardino delle piante;
del signor Pasquale Gravina
corrispondente al medesimo per la detta Provincia
1. Grano bianco, solia. Triticum hybernum ?
Ordinariamente si semina di novembre e dicembre nelle vallate e nelle radici delle montagne ne’ terreni di buon fondo, che
siano stati maggesati. Ne’ paesi dove si coltiva il granodindia
come Pettorano, Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e
così a vicenda ec.
Per un’opera di terreno si richiede un tomolo di semenza.
L’opera qui è valutata per 34340 palmi quadrati napoletani.
L’uso è di farne pane di eccellente qualità, del quale, esclusa la
classe povera, si nutre tutto il resto degli abitanti.
Il suo prezzo medio è di carlini 24 il tomolo.
2. Grano Rosciola.
Si distingue dal bianco per la sua spica di color rossastro.
Alligna benissimo ne’ terreni di montagne dove affatto vegeterebbe il grano bianco. Nel Piano di Cinquemiglia, Scanno,
Roccaraso, Canzano ec. si semina di agosto per mietersi nello
stesso mese dell’anno seguente. L’uso è il medesimo che del
grano bianco, ma se ne fa un pane inferiore e di minor proitto.
Il suo prezzo vale 2 o 3 carlini meno del bianco.
Questa specie non deve confondersi colla Rosciola che si
coltiva nella Provincia di Chieti, la quale è superiore di molto
46
Pasquale Gravina
al nostro grano bianco per le sue buone qualità e frutto maggiore.
3. Grano Carosella.
Si distingue dagli altri grani per la spica che è sfornita di
arista e dalla bianchezza e lucidezza dell’acino. Ama li terreni
ingrassati e ben coltivati. Oggi intanto pochissimi la seminano
per non essere corrisposti dalle tante spese di coltura necessaria, quantunque potessero facilmente ottenerne un prodotto
doppio del grano bianco. Se ne forma un pane inapprezzabile
per la sua bianchezza e leggerezza: tenutolo per qualche giorno s’indurisce ed acquista un gusto molto inferiore a quello del
grano bianco conservato in egual tempo. Generalmente un tomolo di carosella pesa un quinto circa meno del grano bianco.
Per lo addietro si coltiva ne’ terreni di montagna come era
Valloscura, Castro ec. Le brinate però che tanto lo maltrattano
ne han fatta dimenticare la coltura.
4. Grano nero baffone. Triticum turgidum ?
Si distingue dagli altri grani per la sua spica lunga, quadrangolata colle glume ed ariste di color nero. Si semina ordinatamente a fossi, come si dice, ne’ terreni grassi e meglio
coltivati, nel tempo medesimo che si semina il bianco, e per lo
più una tal semina ha luogo tra le vigne un anno, o due anni
dopo la loro piantaggione: in simili casi il prodotto tante volte
sorpassa il venti ed il trenta per uno. Il pane può paragonarsi
a quello della carosella, col quale conviene per tutto il resto.
5. Grano a raspi, a raciappo. Triticum compostum.
Si distingue questa specie dalla spica fatta a racemi o sia a
grappoli. In tutto il rimanente si può applicare il num. 4.
È da sapersi inoltre, che le tre specie suddette di carosella,
baffone ed a raspi sono preferibili alle altre per la fabbricazione dell’amido.
6. Segala
Le segala può dirsi il grano della cesinazione e di tutti li terreni dove non alligna il grano bianco, come sono tutte le cime
Memoria sulle qualità del suolo (1812)
47
delle nostre montagne. Si semina nel mese di Agosto e si raccoglie nello stesso mese dell’anno vegnente. Il terreno ha dovuto riposare almeno un anno. Farebbe un pane pesante, nero
e colloso se non fosse combinato colla farina del frumentone,
che lo rende in tal guisa mangiabile alla classe più numerosa
del popolo. La quantità della semina è di un tomolo per opera.
Il suo prezzo medio è di carl. 16.
7. Orzo vestito, majatico volg.
Si semina, si raccoglie, si coltiva come il grano bianco, colla differenza che l’uso n’è limitato a’ soli animali. Il suo prezzo
medio è di carlini 16 il tomolo.
8. Orzo mondato
La coltura di questa specie di orzo è molto ristretta, facendosene uso più per malattie, che per gli animali. È vendibile a
minuto.
Per tutt’altro si può applicare il num. 7.
9. Farro oridinario. Triticum spelta.
L’uso del farro si riduce a farne minestre dopo averlo sminuzzato sotto la macina e spogliato delle sue glume. Il suo
prezzo è di carl. 15.
Per tutt’altro conviene col num. 1.
10. Farro mondo
È meno richiesto dell’antecedente, perché più duro a cuocersi e meno sapido: il suo prezzo è minore di qualche carlino
del farro ordinario.
Per tutt’altro conviene col num. 1.
11. Orzo marzuolo
Si distingue dall’orzo num. 7 dalla spica bilaterale, e sfornita di arista. Si semina dalla ine di dicembre sino alla ine di
febbrajo, e si raccoglie a giugno. Si coltiva a preferenza nella
Vallata di Celano.
In tutto il resto conviene col num. 7.
48
Pasquale Gravina
12. Lenticchie piccole, Miccole.
Questa specie è la più stimata di tutti li legumi, non solo per
la squisitezza del sapore, ma per la sua picciolezza. Ciò che
fa meraviglia è la sua particolar coltura. Si semina ne’ terreni
sterili e boreali delle montagne, arando il terreno per metà di
quello che meriterebbe seminandosi il grano; e ciò ha luogo
ordinariamente alla ine di agosto: senz’altro dippiù si raccolgono le lenticchie in agosto dell’anno seguente. La quantità
della semenza per ciascun’opera è di un quarto di tomolo: il
suo prodotto ordinario è il cinque, il sei per uno. Le lenticchie
di Valloscura sono le più ricercate e si vendono a ducati 8 il tomolo. Nelle colline che sovrastano al Piano di Cinquemiglia, e
che sono riputate le più sterili, allignano così bene che non può
desiderarsi di meglio. Queste medesime lenticchie poi seminate dal basso e ne’ terreni migliori tralignano sensibilmente,
s’ingrossano, divengono di cattivo sapore e facilmente incrudeliscono colla bollitura.
13. Lenticchie grandi
Sono più comuni delle antecedenti, ma meno stimate. Si
coltivano nel basso nella stessa maniera. Si seminano di dicembre e gennaro, e si raccolgono di luglio. Qualora vogliono
serbarsi per provvista, debbono lessarsi per evitare il tarlo cui
vanno soggettissime. Il loro prezzo ordinariamente è la metà
delle piccole.
14. Fagiuoli bianchi piccoli napoletani
Questa specie è la più adottata nella Provincia. Si coltivano
in abbondanza nelle Vallate di Solmona, dell’Aquila e di Celano. Si seminano di maggio, giugno, luglio ne’ terreni rigatorj
concimati e ben zappati; dopo un mese che si sono innalzati
sul terreno si sarchiano e si rincalzano.
Nel corso dell’està s’innafiano sette, a dieci volte secondo
il bisogno, e si raccolgono a Ottobre. Il loro prezzo è di carl.
25 il tomolo: e per un’opera di terreno vi si richiede un tomolo
di semenza.
Memoria sulle qualità del suolo (1812)
49
15. Fagiuoli bianchi cannellini
Si coltivano come i precedenti: si seminano a preferenza
nelle stoppie appena mietuto il grano. Il territorio di Solmona ne somministra a dovizia per l’aumento dell’irrigazione del
Canale di Corinio. Sono stimati meno degli antecedenti, e si
vendono qualche carlino meno.
16. Fagiuoli piccoli gentili. Fascioletta volg.
Sono più stimati de’ bianchi napoletani per la loro bianchezza, picciolezza e sapore, ma la coltura ne è ristretta a pochi: il loro prezzo è di carl. 30 il tomolo.
In tutto il resto convergono col num. 14.
17. Fagiuoli gentili coll’occhio nero
Si può applicare in tutta l’estensione il num. 16.
18. Fagiuoli neri grandi scritti
Sono meno stimati de’ cannellini, e per lo più si consumano
da’ contadini. Il prezzo è di carl. 20 il tomolo. Veggasi pel resto
il num. 14.
19. Fagiuoli neri piccoli, detti Zecchetelle volg.
Si seminano insieme co’ bianchi napoletani, con neri ed
altri, e dificilmente se ne hanno scelti.
20. Fagiuoli a pagnotta rossi
Prima d’indurirsi il seme di questa specie, si mangia fresca
con tutti li baccelli senza l’inconveniente de’ ili che accompagnano le altre specie allorchè son cotte. Sono poco comuni: il
loro prezzo è lo stesso de’ cannellini.
21. Fagiuoli del Re volg.
Da poco tempo in quà si sono resi comuni. Sono stimati
meno de’ fagiuoli neri grandi, ed il oro prezzo è qualche carlino meno de’ medesimi.
22. Fagiuoli della Regina
Del tutto simili a’ precedenti, colla differenza che in uno
anno se ne possono fare due ricolte abbondantissime senza
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Pasquale Gravina
nessun pericolo di cattivo esito. Seminandosi di aprile e maggio si raccolgono a luglio, e riseminandoli a luglio si raccolgono a ottobre. Simigliante coltura però sfrutta il terreno. Per
resto veggasi il num. 14.
23. Fagiuoli Tedeschi
Del tutto simili al num. 21.
24. Fagiuoli turcheschi bianchi
Si seminano a maggio lungo i fossi ed i canali di acqua,
piantandoli nel terreno a qualche distanza l’uno dall’altro: crescono e si alzano in maniera che per sostenerli hanno bisogno
di frasche. I iori sono grandi e di una bellezza sorprendente.
Somministrano un abbondante ricolto, e si mangiano freschi
come i fagiuoli a pagnotta num. 20.
25. Fagiuoli turcheschi neri
Del tutto simili a’ precedenti num. 24.
26. Fagiuoli ad occhi di pernice
Somigliano in tutto a’ num. 24 e 25. È da rimarcarsi intanto
che la circostanza di coltivarli ne’ margini de’ fossi e de’ canali
di acqua, di cui non ne possono mancare nemmeno di un giorno, li rende poco comuni e dificilmente se ne vendono; e ciò
sia detto per le specie n. 24, 25 e 26.
27. Ceci bianchi
28. Ceci rossi
29. Ceci neri
I più comuni e stimati sono i bianchi; li rossi lo sono
meno, e poco e niente li neri. Tutti si coltivano frammezzo
alle vigne seminandoli da Dicembre sino a tutto febbrajo per
raccoglierli a giugno. Il prezzo de’ ceci bianchi è di carl. 30
il tomolo.
L’uso è lo stesso degli altri legumi, cioè di mangiarli fatti
a minestra. Tante volte però o per la natura del terreno o della
stagione i ceci bianchi divengono insuscettibili di cottura, ed
in questo caso si sospende nella pignatta una piccola dose di
Memoria sulle qualità del suolo (1812)
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cenere ligata a una pezza, in grazia della quale in pochissimo
tempo si spappano, acquistando molto miglior sapore.
30. Ghieglie bianche o sia Cicerchie
31. Ghieglie nere fratesche
Queste due specie si coltivano nella stessa maniera che i
ceci. Il loro prezzo è di carl. 15 il tomolo.
32. Riveglie o Piselli pugliesi
Si seminano di aprile ne’ terreni di montagna come si fa del
grano, e si raccolgono di agosto: può dirsi che questa specie
sia il solo legume de’ montagnoli. In Valloscura, Rivisondoli,
Roccaraso ec. usano di coltivarle comunemente: sono intanto
poco stimate. La quantità della semenza è di mezzo tomolo per
ciascun’opera. Il prezzo è di carl. 15.
33. Ova di trotte.
È una specie di legumi li più vistosi. Si coltiva come li ceci
fra le vigne. Non è tanto comune per altro, ed il suo prezzo è
di carl. 15.
34. Fave piccole
Questa specie di fave si coltova generalmente in tutta la
Provincia ne’ terreni sativi di secca o di riga. Si semina da dicembre a febbrajo o per solchi o per fossi, si sarchia ad aprile
e si raccoglie a giugno. La quantità di semenza è di mezzo tomolo per opera. Il suo prezzo è di carl. 16 il tomolo. I contadini
la stimano una delle loro buone minestre, e quando la ricolta è
ubertosa si dà a mangiare a’ porci per ingrassarli.
35. Fave pugliesi
Si seminano come le antecedenti e sono stimate molto di
più di esse. La coltura però ne è ristrettissima, non facendosene uso ordinariamente che come un ortaggio mangiandosi
prima della loro maturità. Chi le conserva per la provvista le
impiega per lo più a farne il macco.
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Pasquale Gravina
36. Veccia
Non è che si faccia coltura particolare di questa specie, ma
si sostiene per mezzo del grano fra mezzo al quale si semina
e si propaga. Siccome poi dal medesimo facilmente si separa
per la sua igura, così si ha anche distintamente e serve per
ingrassare li colombi.
37. Loglio
Il num. antecedente si può applicare al loglio, ma colla differenza, che si trova vendibile e serve per nutrire il pollame. Il
suo prezzo ordinario è la metà del grano bianco.
38. Orobi, Ervi volg.
Si seminano di dicembre a febbrajo ne’ terreni leggieri
come si fa del grano. La quantità di semenza è mezzo tomolo
per opera. Pochi giorni prima che maturi il seme si falciano, si
seccano, si conservano ne’ fenili e serve di squisito foraggio a’
buoi ed altri animali in tempo d’inverno, ed allorchè soffrono
delle malattie di debolezza. I paesi che mancano di prati naturali come è la Vallata dell’Aquila, ne fanno una particolare
industria. I semi secchi e maturi servono precisamente per nutrire li piccioni. Il prezzo è di carl. 15 il tomolo.
39. Farchia
Si coltiva come gli oribi, ed è un’altra specie di prato artiiziale, facendone lo stesso uso come si è detto num. 38.
40. Granodindia bianco
41. Granodindia ordinario
Queste due specie si coltivano alle volte distintamente, altre volte confuse l’una coll’altra. Il granodindia oggi si è reso
necesario quanto il grano, dove che trent’anni addietro era riserbato a solo oggetto d’ingrassare li majali. L’anno scorso si
è osservato che li contadini avvezzi al pane duro e pesante
di questa specie, erano contenti di comprarlo a car. 18 e 20 il
tomolo, e rinunziare al prezzo del grano bianco non maggiore
di carl. 24, perché il pane del grano non resisteva nè avrebbe
potuto riempire il loro stomaco.
Memoria sulle qualità del suolo (1812)
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La Vallata di Solmona in preferenza delle altre può dirsene
il magazzino della Provincia. I campi bagnati dal Gizzo, dal
Sagittario e dall’Aterno sono tutti addetti alla coltura del granone. Si semina o col sarchio o coll’aratro in distanza di qualche palmo l’uno acino all’altro nel mese di aprile. Di maggio
si sarchia e si rincalza col terreno: a ottobbre si raccoglie. Si
procura d’innafiarlo secondo il bisogno dove il terreno è rigabile; dove è di secca rimane in balia della stagione, la quale
rare volte è piovosa di luglio ed agosto. La quantità di semenza
è di un ottavo di tomolo per opera. Il suo prezzo è carl. 12. Il
bianco è meno stimato dell’ordinario.
42. Granodindia, detto quarantino
Differisce dal precedente per la sua precoce maturità e dalla
spica che produce alquanto più sottile dell’altra specie che nella sua estremità porta sempre un pennacchietto. Se si semina
di aprile si raccoglie a luglio, e se si semina di giugno dopo
mietuto l’orzo si raccoglie a settembre. Questa specie è costante, ma non possono riguardarsi per tali le due specie 40, 41 ed
un’altra specie di rosso scuro, le quali dipendono dalla varietà
del terreno, coltura, stagione, ec. osservandosi continuamente
che il rosso diviene bianco, il bianco rosso, e così degli altri.
43. Canapa. Canabis sativa
Generalmente la canapa si coltiva nella Vallata di Solmona
e di Celano, ma nella prima Rajano può chiamarsene l’emporio, e nell’altra Piscina. La canapa si semina ne’ terreni piani, soggetti all’irrigazione, e che siano stati concimati o dalle
mandre portate sul terreno istesso, che è il più desiderabile, o
pure da una tal quantità di letame di stalla, che non sia di bue,
che copra tutta la supericie del terreno in un’altezza non minore di due dita trasverse. In tutta la Provincia i migliori terreni
sono chiamati cannapine anche allora, che non vi si coltiva la
canapa. Dentro di maggio si semina la canapa, arando due o
tre volte il terreno nel tempo istesso ed in direzione opposta:
dopo di ciò si sparge il seme come si fa del grano, ma in una
quantità quadrupla, cioè tomola quattro per opera; quindi si
va eguagliando il terreno con bidente o col sarchio, ma più
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Pasquale Gravina
sovente si usa un gran rastrello tirato da’ buoi, che riesce il
più adatto strumento a coprire il seme, e a rendere la supericie del terreno egualissima e piana. Immediatamente lo spazio
seminato si divide in porche per mezzo de’ solchi, dentro de’
quali deve incanalarsi l’acqua per l’irrigazione, che ha luogo
appena terminata l’apertura de’ solchi suddetti. Nel caso che
non piova, la canapa deve innafiarsi in ogni otto giorni, e così
continuare sino alla sua maturità, che per lo più avviene nella
ine di agosto e principi di settembre. Sorprende chicchessia la
rapida vegetazione di questa pianta dovuta alla forza del concime, dell’umido e del caldo combinato insieme. Essa ordinariamente si eleva all’altezza di palmi sette alla ine di Luglio.
Circa questo tempo si cava lo spadone, che è la pianta che ha
i soli iori maschi, e quindici o venti giorni dopo si cava la
canapa che contiene i semi già maturi, i quali si separano dalla
pianta per mezzo di un grosso palo battendoli contro il terreno.
Per la macerazione vi si richiedono più di giorni quindici,
segnatamente quando il tempo non è caldo. Questa per lo più si
esegue ne’ fossi scavati dappresso al podere, dove si fa entrare
ed uscire un rigagnolo di acqua. Finalmente si maciulla, se ne
formano delle matasse di rotola quattro l’una, e sotto questa
forma entra in commercio. Il prezzo della canapa è di carl. 10
la decina, e quello de’ semi di carl. 18 il tomolo.
44. Lino. Linum usitatissimum
La coltura del lino nelle Province è più ristretta della canapa, tuttavolta però deve dirsi che vada acquistando maggior
credito, che per lo addietro. Si semina di settembre ne’ terreni
sativi di secca ed in quelli di riga, e si raccoglie alla ine di
maggio: poco importa se il terreno sia sterile, sia o no concimato, poiché ordinariamente si osserva che la stagione più o
meno decide della bontà e quantità del prodotto. Si prepara
ed entra in commercio come la canapa: a differenza che il suo
prezzo è di carl. 16 la decina e la semenza di carl. 14 il tomolo. Per un’opera di terreno inalmente si richiede un quarto di
tomolo di semenza.
Memoria sulle qualità del suolo (1812)
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45. Piselli
Si coltivano li piselli più per uso di ortaggi, che per conservarli secchi, e per questa ragione non sono vendibili per
provviste.
46. Panico
Questa è un’altra specie di prato artiiziale. Si semina e si
raccoglie per lo più due volte l’anno, di maniera che se si semina di aprile o maggio, si raccoglie a luglio ed agosto, e seminata di agosto si matura a settembre o ottobre. La quantità
della semenza necessaria per ciascun’opera è di un tomolo,
spargendosi sul terreno come si fa del grano. Serve per ingrassare li buoi, li cavalli ec. qualora si mangi fresca, e secca serve
di foraggio nell’inverno come la farchia n. 39.
47. Soroco nero, Melica
48. Soroco rosso, Melica
Si coltivano entrambe come il granodindia n. 40 e 41 tanto
ne’ terreni sativi che di riga; si seminano alla stessa epoca, si
sarchiano ec. Se ne fanno delle granate per ispazzare, allorchè
si sono tolti li semi. Li semi servono per ingrassare li majali
ed il pollame, e qualche volta li contadini poveri ne fanno minestre, specialmente della rossa: usano altresì di macinarla o
per combinarla col pane di granone o per farinata agli animali.
Non è facile comprarla ne’ mercati, poiché si coltiva generalmente per uso proprio.
49. Speltra sbeuza volg.
Questa specie di farro si coltiva ne’ terreni di montagne,
come Castel di Sangro, Roccacinquemiglia, Montenero, Toroli
ec. Si semina di marzo ed aprile come si fa del grano, e si raccoglie a luglio. Se ne fa un pane di pessima qualità, non potendosi giammai collo staccio separare le glume che rinchiudono
il seme e che passano insieme colla farina. Il prezzo è lo stesso
della segala.
50. Erba prata. Trifolium incarnatum.
Si semina di febbrajo, marzo ed aprile; si coltiva come il
panico, e se ne fa lo stesso uso num. 46.
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Pasquale Gravina
51. Fieno greco. Trigonella foenum graecum
Propriamente il ieno greco si coltiva più per uso di medicina, che per altro, ma siccome l’erba di questa pianta tanto
fresca che secca s’impiega per foraggio agli animali, pare che
abbia un doppio uso e debba prender luogo fra le altre specie
di prati artiiziali. Si semina ad aprile come si fa del panico
num. 46 ne’ terreni arati e concimati, e si raccoglie di agosto. I
semi hanno un particolar uso dandoli agli animali che soffrono
debolezza, e che meritano di esser riscaldati. Essi perciò sono
vendibili a minuto.
Appendice
Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila
La seconda Provincia di Abruzzo 2. Ulteriore è situata al NordOvest del Regno, e propriamente nel centro degli Appennini
che la separano dalle altre Provincie del Regno. Essa al nordest ha per limiti le montagne dell’Amatrice, di M.S. Francesco,
di M. Corno, di Castel del Monte, di Ofena, di Forca di Penne,
che coninano colla Provincia di Teramo: gli altri limiti poi
nella stessa direzione sono il Morrone, la Majella che coninano colla Provincia di Chieti.
Al nord est ha le montagne di Pesco Costanzo, di Rocca
Cinque Miglia e di Caste di Sangro che coninano col Contado
di Molise.
Al sud vi è la montagna di Chiarano, di Villetta, di Peschiasseroli, di Gioja le quali coninano con Terra di Lavoro.
All’ovest inalmente le montagne della Valle di Roveto,
Capistrello, Cappadocia di Tagliacozzo, Colle Vecchio, Ponte
Rocchiano, di Cicoli le quali coninano collo Stato Romano in
Sabina.
1. I monti sudetti e tutti gli altri che sono dentro la Provincia
sono calcari e di seconda formazione, la loro composizione
non essendo che a strati. Le specie di pierte sono, la pietra di
calce compatta, la pietra di calce semplice, la pietra di calce
macchiata di giallo, brecce a base di calce con qualche vena
di marmo ec.
2. I iumi principali sono l’Aterno, il Sagittario e il Gisso,
che conluiscono nella Vallata di Solmona e formano a Popoli
la Pescara. Vi è il Sangro che passa sotto Castello di Sangro e
quindi attraversa la Provincia di Chieti.
3. I laghi sono quello di Fucino e di Scanno.
4. Può inoltre considerarsi la Provincia divisa in tre Vallate,
cioè di Solmona, di Celano e dell’Aquila.
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Pasquale Gravina
1. La Vallata di Solmona detta ancora contado di Valva è
situata al sud est della Provincia e rinchiude buona parte del
Distretto di Solmona. Sebbene sia la più piccola delle altre due
Vallate, nondimeno il buon uso che si fa delle acque del iume
Gisso, del Sagittario e del iume Aterno, la rende superiore alle
altre per la grande estensione de’ vigneti, di pioppeti e per l’abbondanza di ogni sorte di frutta e di vettovaglie.
L’irrigazione che forma la sorgente delle sue ricchezze, è
quella stessa che forma l’abbellimento della campagna e lo
stato di verdura che vi domina in quasi tutte le stagioni, specialmente dopo la riapertura del Canale di Corinio fatta per
ordine dell’attuale provvido Governo.
I viaggi botanici in questa parte sarebbero di pochissimo
frutto essendo tutto messo a coltura.
2. La Vallata di Celano che è al sud-ovest della Provincia
ha nel suo centro il lago di Fucino il più grande del Regno,
avendo un estenzione di 12. miglia di lunghezza sopra nove di
larghezza. Esso è celebre per l’Emissario di Claudio che mettea freno alle sue grandi inondazioni che tuttavia prosieguono. Ortucchio è stato sommerso; Avezzano, Lugo, Trasacco,
S. Benedetto, sono minacciati dalla medesima sorte. Ne anche
quì il botanico trarrebbe gran partito da’ suoi viaggi essendo
tutto coltivato o inondato.
3. La più grande dell’altre è la Vallata dell’Aquila che rimane nel centro quasi della Provincia: essa però è la più sterile, e
sarebbe quasi inutile il percorrerla.
5. I luoghi dunque ove dovrebbonsi con vantaggio eseguire
delle botaniche peregrinazioni pel corso di anni dieci sono i
seguenti.
A. Nel primo anno dovrebbero scorrersi le montagne che
chiudono al sud la Vallata di Solmona, e sono le montagne
di Canzano, di Pesco Costanzo, di Pettorano, di Valloscura,
di Scanno e di Frattura, dette anche di Pacile, Pietra Maiura,
Macchialonga, Piano di Cinque Miglia, Pilosello, Fonte della
Fascia, Valle Cardosa ed Orto del Diavolo.
2. Nel secondo anno la gran montagna di Chiarano, che
incomincia all’ovest del Piano di Cinque Miglia, conina con
Roccaraso, Barrea, Villetta, Scanno sino a Picinisco in Terra
di Lavoro.
Quadro Fisico Botanico (1811)
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3. Nel 3. anno le montagne di Campodigiove e la parte Occidentale della Majella.
4. Nel quarto la parte occidentale del Morrone, che abbraccia il Vellanito di Solmona e le montagne di Pratola, Pentima
a Roccacasale.
5. Nel quinto le alte montagne che sono al ponente di Scanno, cioè di Villalago, Anversa, S. Sabastiano, Aschi, Ortona e
Cocullo.
6. Nel sesto le montagne di Peschiaseroli, Picinisco, Gioja
ec.
7. Nel settimo la montagna di Gagliano, Forca Caruso e
Baulli.
8. Nell’ottavo le montagne di Ofena, Forca di Penne e Castel del Monte.
9. Nel nono Monte Corno o sia il Gran Sasso d’Italia.
10. Nel decimo le montagne dell’Amatrice Leonessa, Monte Reale ec.
Pasquale Gravina (1779-1828) è stato un medico e botanico di Pettorano sul Gizio.
È stato socio corrispondente del Reale Orto Botanico di Napoli e collaboratore
dell’opera di Michele Tenore, Flora Napolitana (edita a Napoli in 10 volumi negli
anni 1811-1836). Ha pubblicato articoli scientifici nella rivista Giornale enciclopedico
di Napoli negli anni 1811-1812, nei quali ha raccolto i risultati delle sue esplorazioni
floristiche nei territori montani di Pettorano, Rocca Pia, Scanno e Piano delle
Cinquemiglia, attualmente compresi entro i confini del Parco Nazionale
d’Abruzzo, Lazio e Molise, del Parco Nazionale della Majella e della Riserva
Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio. A lui Tenore dedicò
una pianta con il nome di Brassica Gravinae.
ISBN 978-88-906796-0-5