Imparare Architettura
I laboratori di progettazione e le pratiche di
insegnamento
Atti del VII Forum di ProArch, Società Scientifica nazionale
dei docenti di Progettazione Architettonica, SSD ICAR 14,
15 e 16 | Politecnico di Milano, 16-17 novembre 2018
A cura di Jacopo Leveratto
Documento a stampa di pubblicazione on line
ISBN 978-88-909054-7-6
Copyright © 2019 ProArch
Società Scientifica nazionale dei docenti di Progettazione
Architettonica, SSD ICAR 14, 15 e 16
www.progettazionearchitettonica.eu
Tutti i diritti riservati, è vietata la riproduzione
Comitato Scientifico
Benno Albrecht, Università IUAV di Venezia
Marino Borrelli, Università degli Studi della Campania Luigi
Vanvitelli
Renato Capozzi, Università degli Studi di Napoli Federico II
Emilio Corsaro, Università di Camerino
Francesco Costanzo, Università degli Studi della Campania
Luigi Vanvitelli
Adalberto Del Bo, Politecnico di Milano
Adriano Dessì, Università di Cagliari
Andrea Di Franco, Politecnico di Milano
Giovanni Durbiano, Politecnico di Torino
Massimo Ferrari, Politecnico di Milano
Andrea Gritti, Politecnico di Milano
Filippo Lambertucci, Sapienza Università di Roma
Angelo Lorenzi, Politecnico di Milano
Alessandro Massarente, Università degli Studi di Ferrara
Pasquale Mei, Politecnico di Milano
Pasquale Miano, Università degli Studi di Napoli Federico II
Carlo Moccia, Politecnico di Bari
Manuela Raitano, Sapienza Università di Roma
Alessandro Rocca, Politecnico di Milano
Giovanni Francesco Tuzzolino, Università degli Studi di
Palermo
Alberto Ulisse, Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti
Pescara
Ettore Vadini, Università degli Studi della Basilicata
Ilaria Valente, Politecnico di Milano
IMPARARE ARCHITETTURA
I LABORATORI DI PROGETTAZIONE E LE PRATICHE DI INSEGNAMENTO
Atti del VII Forum di ProArch, Società Scientifica nazionale dei docenti ICAR 14, 15 e 16
Politecnico di Milano, 16-17 novembre 2018
A cura di
Jacopo Leveratto
Indice
0.1. Presentazione
6
3. Calendario
8
Barbara Bogoni - Giovanni Marco Chiri - Paolo De Marco Martino Doimo - Massimo Ferrari, Luigi Spinelli - Veronica
Ferrari - Mariateresa Giammetti - Carlo Pozzi - Carlo Quintelli Paola Scala - Federica Visconti
Adalberto Del Bo, Ilaria Valente
0.2. Introduzione
Giovanni Durbiano - Massimo Ferrari Alessandro Rocca
4.1. Modelli alternativi: Ricerca e didattica
0.3. La call
18
1. Il laboratorio integrato
30
Carlo Atzeni, Adriano Dessì - Gianluca Burgio - Alessandra
Capanna - Giovanni Battista Cocco - Annalisa de Curtis Francesco Defilippis - Anna Irene Del Monaco - Carlo
Deregibus, Andrea Alberto Dutto, Veronica Cavedagna,
Alberto Giustignano, Giovanni Leghissa, Riccardo Palma Tiziano De Venuto, Giuseppe Tupputi - Bruna Di Palma Antonello Fino, Rachele Lomurno - Esther Giani - Matteo
Ieva - Gennaro Postiglione, Alessandro Rocca - Riccardo
Renzi - Antonio Riondino - Roberto Rizzi - Francesco
Spanedda, Antonello Marotta - Marco Trisciuoglio, Matteo
D’Ambros, Simone Devoti - Ettore Vadini
2. Lavoro individuale e di gruppo
Matteo Bonazzi - Antonio Capestro - Paola Dell’Aira Adriano Dessì - Roberta Esposito - Martina Landsberger Angelo Lorenzi - Federica Marchetti - Anna Bruna Menghini,
Marson Korbi, Francesco Paolo Protomastro - Salvatore
Rugino - Valter Scelsi - Luigi Siviero, Stefanos Antoniadis
196
Lamberto Amistadi - Fabrizia Berlingieri - Federico Bilò, Paola
Misino, Lorenzo Pignatti, Domenico Potenza, Carlo Pozzi,
Alberto Ulisse - Marino Borrelli - Renato Capozzi - Anna Irene
Del Monaco - Amanzio Farris - Roberta Ingaramo - Laura Anna
Pezzetti - Enrico Prandi - Manuela Raitano - Marina Tornatora,
Ottavio Amaro
4.2. Modelli alternativi: Internazionalizzazione
e innovazione
108
154
246
Mauro Berta, Alberto Bologna - Sebastiano D’urso - Massimo
Faiferri, Samanta Bartocci, Fabrizio Pusceddu - Fabrizio Foti Cristina Imbroglini, Guendalina Salimei - Guido Incerti, Elena
Guidetti - Roberto Podda - Ida Recchia - Claudia Sansò,
Gennaro Di Costanzo - Adriana Sarro - Giulia Setti - Luisa
Smeragliuolo Perrotta, Carlo Vece
5.1. Temi e scale del progetto: Metodi
Adriana Bernieri - Agata Bonenberg - Michele Caja, Orsina
Simona Pierini - Daniele Campobenedetto, Valerio Della Scala Simona Canepa, Marco Vaudetti - Ildebrando Clemente Francesco Costanzo - Vincenzo D’Abramo, Rachele Lomurno,
Nicola Davide Selvaggio - Manfredo Di Robilant, Davide Rolfo -
290
Anna Giovannelli - Andrea Grimaldi - Marco
Lucchini - Beatrice Moretti, Davide Servente - Giulia
Annalinda Neglia - Gaspare Oliva - Camillo Orfeo - Giorgio
Peghin - Francesco Sorrentino
5.2. Temi e scale del progetto: Esperienze
Anna Pezzetti - Maria Paola Repellino, Michele Bonino Luigi Stendardo, Luigi Siviero - Andrea Innocenzo Volpe
8. Il radicamento nel territorio
360
Gioconda Cafiero - Alessandra Como - Carlo Deregibus Felice De Silva, Manuela Antoniciello - Massimo Ferrari,
Claudia Tinazzi, Annalucia D’Erchia - Imma Forino,
Francesca Rapisarda - Gianluigi Freda - Giancarlo
Gianfriddo - Filippo Lambertucci - Francesco Lenzini Sandra Maglio, Elena Scattolini, Alisia Tognon - Giuseppe
Mangiafico - Claudio Marchese - Federica Piemontese Carlo Ravagnati - Massimo Zammerini
6. Progetto accademico e azione sociale
422
Conclusioni
Marco Borrelli - Valeria Bruni - Barbara Coppetti - Carlo
Coppola - Massimo Crotti, Santiago Gomes - Zaira Dato Andrea Di Franco, Michele Moreno, Gianfranco Orsenigo Edoardo Fregonese, Caterina Quaglio, Elena Todella Alessandro Gaiani, Alessandro Massarente - Paola Gregory Fabrizia Ippolito - Nicola Marzot, Francesco Pasquale Francesca Mugnai, Francesca Privitera - Nicola Parisi - Laura
Parrivecchio - Marella Santangelo - Fabrizio Toppetti - Paolo
Verducci, Angela Fiorelli
7. Il laboratorio è internazionale
Marta Averna - Michela Barosio - Emma Buondonno Roberto Cherubini - Christiano Lepratti - Jacopo Leveratto Sasha Londono - Edoardo Marchese - Cristina Pallini - Laura
546
Stefano Antoniadis, Luigi Stendardo - Mariella Brenna,
Barbara Coppetti, Emilia Corradi, Ettore Vadini - Riccardo
Butini, Fabio Fabbrizzi - Federico Cesareo - Pier Francesco
Cherchi, Marco Lecis - Francesca Coppolino - Emilio
Corsaro - Dario Costi - Angela D’Agostino - Roberto Dini Lavinia Dondi - Elena Fontanella - Gaetano Fusco - Paola
Guarini - Roberta Lucente - Calogero Marzullo - Umberto
Minuta - Enrico Moncalvo - Guido Morpurgo - Antonio
Nitti - Adele Picone - Massimiliano Rendina, Francesco
Iodice - Roberto Sanna - Valerio Tolve - Roberto
Vanacore - Stefania Varvaro - Elena Vigliocco
662
Andrea Gritti
Ringraziamenti
In ricordo di Salvatore Bisogni e Marco Dezzi Bardeschi
496
680
Il laboratorio
è internazionale
Coordinamento scientifico
Fabio Capanni, Cassandra Cozza, Giancarlo Floridi,
Maurizio Meriggi
Testi di
Marta Averna | Politecnico di Milano
Michela Barosio | Politecnico di Torino
Emma Buondonno | Università degli Studi di Napoli Federico II
Roberto Cherubini | Sapienza Università di Roma
Christiano Lepratti | Università degli Studi di Genova
Jacopo Leveratto | Politecnico di Milano
Sasha Londono | Politecnico di Torino
Edoardo Marchese | Sapienza Università di Roma
Cristina Pallini | Politecnico di Milano
Laura Anna Pezzetti | Politecnico di Milano
Maria Paola Repellino, Michele Bonino | Politecnico di Torino
Luigi Stendardo, Luigi Siviero | Università degli Studi di Padova
Andrea Innocenzo Volpe | Università degli Studi di Firenze
7.
Tra le aspettative
Marta Averna
Politecnico di Milano
Dipartimento di Architettura e Studi Urbani
498
Il modo in cui s’impara non è dato, stabile o predeterminato;
cambia, in funzione dell’oggetto di studio, del grado e della
tipologia della scuola, o ancora del senso che si attribuisce
all’atto di insegnare (in-signare, da signum, imprimere un segno, nella mente) o d’imparare (in-parare, procacciarsi una
nozione). Pur nell’idea dell’insegnamento come scambio
di competenze e di conoscenze, in un gruppo articolato di
persone desiderose di condividere, apprendere, approfondire, il modo in cui questo scambio si attua, cambia anche in
modo sostanziale.
Il cambiamento nel modo di intendere e organizzare il processo di apprendimento può coincidere con quello del grado scolastico: alla maggiore maturità e autonomia dello studente può corrispondere una minore rigidità della struttura
didattica. Se all’interno di uno stesso sistema scolastico il
percorso mantiene una certa logica consequenziale, il movimento degli studenti attraverso le sedi rischia di metterlo
in crisi, in modo controllabile se avviene a scala nazionale e
ben più forte, invece, se a scala sovranazionale.
Nello specifico delle discipline progettuali per l’architettura,
in cui l’insegnamento non è una semplice trasmissione di conoscenze, ma piuttosto l’attivazione di un processo di lettura, interpretazione e scrittura di un contesto dato, la provenienza da scuole analoghe per materia d’insegnamento, ma
differenti nel modo di intendere la didattica, di organizzare
corsi e laboratori, di gestire il numero degli studenti e il rapporto con i docenti, rappresenta una variabile incontrollata
e decisiva. Questa considerazione si fa ancora più pressante
nelle Lauree Magistrali, quando lo studente che frequenta i
laboratori ha un’idea chiara e consolidata del modo in cui
dovrebbero essere intesi e organizzati.
Un primo, prevedibile, momento d’imperfetta comprensione, coinvolge l’aspetto linguistico: la provenienza da paesi
diversi e lontani determina la scelta di avvalersi di una lingua
franca, nello specifico del Politecnico di Milano1 l’inglese, la
lingua attualmente più diffusa nella comunicazione scientifica.2
La sua conoscenza imperfetta, dovuta al fatto che quasi nessuno è madrelingua, e il riferimento a molte lingue madri,
determinano incomprensioni più o meno sottili, e talvolta sostanziali. Se nella comunicazione scientifica in senso
stretto un solo significato viene associato ad un termine,
inglese o italiano che sia, nel discorso sull’architettura si intrecciano differenti livelli di comunicazione, che usano non
solo le parole tecniche, facilmente condivisibili, ma quelle
del quotidiano, delle emozioni, delle percezioni personali e
della lettura interpretativa del reale. E queste cambiano la
propria accezione nella traduzione, da parte di chi parla,
da una lingua madre, intrisa dell’esperienza quotidiana che
in ogni paese del mondo è associata all’idea di città, casa o
spazio pubblico, all’inglese e nella complementare interpretazione da parte di chi ascolta, che la associa a una tradizione spesso completamente differente.
Le aspettative divergono sui modi e sulle declinazioni di significato che ogni parola assume attraverso le culture, e sulla sua corrispettiva traduzione in forme.
A queste incertezze, si associano quelle che derivano da
modi diversi di intendere la scuola e il processo di trasmissione della conoscenza: le aspettative dei due grandi gruppi
coinvolti nel processo, studenti e docenti, sono spesso contrapposte, e si basano su convinzioni ben radicate, e fondamentali nella formazione del singolo.
1. L’istituzione di corsi di laurea magistrale in lingua inglese, avviene
a Milano a partire dal 2012, accompagnata da grandi polemiche e
dibattiti.
2. La storia dell’inglese come lingua sovranazionale per la comunità
scientifica fin dai primi anni del XX secolo, è analizzata da Gordin,
Micheal D. Scientific Babel. How science was done before and after
global english. Chicago: The University of Chicago Press, 2015.
Oggetto di opposte interpretazioni può essere innanzitutto la disciplina: cosa intende per progettazione architettonica chi la insegna, o piuttosto chi prova a comprenderne
le leggi? O ancora, cosa significano le specificazioni che
accompagnano la parola architettura (degli interni, del paesaggio, nel rapporto con la conservazione, o con la tecnologia)? L’esperienza diretta come titolare dell’Architecture of
Interiors Design Studio, nelle Laurea Magistrale della Scuola AUIC del Politecnico di Milano, con integrazioni, in anni
successivi, di Preservation o di Building Physics mi ha permesso di monitorare incertezze sia sulla disciplina oggetto
dell’insegnamento principale, l’Architettura degli Interni, immaginata con un carattere decorativo e “superficiale”, ben
differente da quello proposto, sia sulla natura di quelle che
la integrano, non tanto come astratta materia di studio, ma
come contributo sostanziale alla definizione della forma utile dell’Architettura.3
Cambiano, attraverso le scuole e i luoghi, le leggi con cui
si disegna la forma di un edificio, con cui s’interpretano il
rapporto con la tradizione, con l’innovazione tecnologica, e
col patrimonio storico e con le sue forme? Esiste un modo
giusto, di progettare l’architettura? E come s’insegna l’architettura? In un modo più dogmatico, in cui chi guida una
classe conosce a priori la soluzione del problema, o in uno
più aperto, che cerca di ascoltare la voce del singolo, e sviluppare differenti interpretazioni progettuali?
Spesso lo studente chiede certezze, sul processo, sulla forma, sul risultato di scelte non ancora disegnate, e altrettanto
spesso rimane disorientato dalle possibilità di scelta, dall’as3. I laboratori in lingua inglese, nella laurea magistrale, di cui sono
titolare sono: Interior Design and Preservation Studio 1 e 2, 8 crediti
di Interior Design e 4 crediti di Preservation, con Nora Lombardini,
2015/2017 e Architecture of Interiors Design Studio, 6 crediti di Interior Design e 4 crediti di Building Physics, con Luana Filogamo,
2017/in corso.
499
senza di un’unica via chiara, e predeterminata, o meglio dalla
presenza di un’unica via chiara che prevede il dubbio, l’incertezza iniziale e la necessità di leggere l’esistente, interpretarlo e scegliere una soluzione fra le molte.
Come ricorda Francesco dal Co a presentazione delle riflessioni di grandi maestri sul tema dell’insegnamento dell’Architettura: “Ambedue, Mies e Le Corbusier, usarono la medesima parola «if» - «se» è la misura dei dubbi che accompagnano le loro raccomandazioni, la parola che toglie alle
loro frasi ogni tono apodittico e prescrittivo. Se è la parola
che ogni insegnante dovrebbe privilegiare, poiché insegnare
implica la continua messa in gioco delle certezze nelle quali
può accadere di essere tentati di riporre fiducia.”4 Chi insegna, specialmente a progettare l’architettura, non conosce
già le risposte, deve piuttosto far imparare a chi apprende
quali sono le domande giuste, quelle consentono di trovare
ogni volta la propria, personalissima e universale, risposta.
“Fare architettura significa porre delle domande a sé stessi;
significa avvicinare, accerchiare, trovare la propria risposta
con l’aiuto del docente. E sempre di nuovo.”5
La tensione fra le due aspettative opposte, autonomia e accompagnamento, può inasprirsi se gli studenti arrivano da
scuole che insegnano con modi più guidati, e faticano ad
accettare di riferirsi non solo al docente titolare, ma anche ai
suoi collaboratori, portatori di un pensiero autonomo, differente anche se affine nei punti fondamentali, da interpretare
e mediare col proprio e con quello del docente. Allo stesso
modo, anche i docenti possono faticare a comprendere un
modo diverso di interpretare il progetto e la scuola e il processo di apprendimento, soprattutto quando le competenze
dello studente che si affaccia alla laurea magistrale non sono
4. Dal Co, Francesco. «Insegnare architettura.» Casabella, n. 766
(2008): 6/8.
5. Zumthor, Peter. «Insegnare l’Architettura. Imparare l’Architettura.» In Pensare Architettura, di Peter Zumthor. Baden: Lars Muller,
1998.
500
dello stesso tipo e livello di quelle maturate dagli studenti
che in Italia, o ancor più nella stessa sede, hanno frequentato anche la laurea triennale.
Manca, a chi si trova a insegnare in un laboratorio internazionale, una formazione specifica su come affrontare una classe
così diversa da quella, sostanzialmente omogenea, che fino
a una decina di anni fa era tipica, cui era preparato da anni di
collaborazioni e di assistenza a laboratori già avviati. L’unica competenza espressamente richiesta è quella linguistica,
mentre i problemi più strettamente legati all’insegnamento
vanno affrontati autonomamente, con la propria capacità di
comprensione, approfondimento e adattamento.
Certamente anche la durata dei corsi influisce sulla capacità
di trasmettere non tanto una competenza, quanto un modo
di affrontare il progetto,6 così come il numero degli iscritti,
a volte fuori controllo per problemi di natura burocratica.
Credo però che sia soprattutto la disponibilità di entrambe
le parti ad accettare la novità, da un lato di uno studente
diverso, in parte da alfabetizzare su contenuti ritenuti imprescindibili, in parte da apprezzare nelle sue competenze diverse da quelle autoctone, da un altro di un docente atipico,
per il modo di trasmettere competenze e per la volontà di
riconoscere, apprezzare e sviluppare la capacità progettuale
autonoma del singolo studente. Questa si riverbera in un laboratorio progettuale che non mira a erogare soluzioni precostituite, ma a insegnare, tirando fuori dall’intimo profondo
di ognuno di noi quella capacità di lettura e interpretazione
del reale che è il progetto di architettura.
6. I laboratori progettuali si sviluppano al Politecnico di Milano per
un semestre, pari a 13 o 14 lezioni di lunghissima durata, fino a 10
ore consecutive: un tempo breve per definire e a sperimentare un
alfabeto comune, che invece trovava uno spazio più consono nel
tempo lento delle annualità, che consentivano un doppio approccio
tra ricerca teorica preliminare e sperimentazione progettuale.