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Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 L’UTILIZZABILITÀ DELLA PROVA SCOPERTA IN SEGUITO A PERQUISIZIONE O ISPEZIONE DI POLIZIA COMPIUTA FUORI DEI CASI DI LEGGE È COSTITUZIONALMENTE LEGITTIMA? Nota a Trib. Lecce, uff. GIP, Ord. n. 1322 del 3 ottobre 2017, n. 14/2018 Reg. ord. corte cost., pubbl. in Gazz. Uff. – serie speciale Corte costituzionale, n. 6 del 2018 JACOPO EPIFANI 1. I termini della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente. 2. Problemi di ammissibilità della questione; possibilità di un’interpretazione adeguatrice dell’art. 191, co. 1, c.p.p. e tipo di sentenza chiesta alla Corte in caso di accoglimento 3. Impossibilità di interpretare l’art. 13 Cost., co. 3 secondo i canoni interpretativi della legge ordinaria e di ricavare dal testo della disposizione un esplicito divieto di utilizzo della prova. 4. La possibilità di ricavare per analogia dall’art. 13 Cost., co. 3 un divieto di utilizzo della prova. La portata lesiva dell’utilizzo della prova sulla libertà personale e di domicilio e l’art. 8 CEDU. 5. L’inutilizzabilità come deterrente da perquisizioni e ispezioni contra legem: il bilanciamento tra ottimizzazione della tutela delle libertà personali e di domicilio e l’interesse pubblico alla repressione dei reati. Spunti comparatistici. 6. Sulla violazione del principio di eguaglianza 1. I termini della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente Con l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale che qui si commenta, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 191, co. 1 c.p.p., «per contrasto con gli artt. 3, 13, 14 e 117 Cost. (quanto a quest’ultima norma, con riferimento ai principi di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), nella parte in cui non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla p.g. fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall'A.G. con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività». L’atto di promovimento trae l’abbrivo dall’udienza preliminare celebrata nei confronti di N.Y., accusato di detenzione, «al fine di cederli a terzi», di cinque stecche di hashish da cinque grammi l’una e quattro grammi di marijuana. L’hashish è stato rinvenuto all’esito di ispezione del bagaglio dell’imputato, operata di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria in forza del disposto di cui all’art. 103, co. 2 del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309. Il ritrovamento della marijuana è seguito a perquisizione personale, compiuta ai sensi del co. 3 dello stesso articolo 103. Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Il legislatore subordina il potere della polizia giudiziaria di compiere le ispezioni e le perquisizioni di cui all’art. 103 a un presupposto indefettibile: l’esistenza del ‘fondato motivo di ritenere che’ sull’oggetto investito della ricerca si trovino sostanze stupefacenti o psicotrope (co. 2), cui si aggiunge, solo per le perquisizioni, il ricorrere di una situazione di necessità e urgenza che impedisca di ottenere in tempo utile l’autorizzazione, anche telefonica, del magistrato competente (co. 3). La polizia giudiziaria, completate le operazioni, deve dar conto degli elementi di fatto dai quali ha desunto l’esistenza di tali presupposti in appositi verbali, da consegnare entro le quarantotto ore successive al procuratore della Repubblica affinché questi possa verificare la legittimità delle operazioni e, se del caso, convalidarle (art. 103 co. 2 e 3). Esattamente ciò che non è accaduto nel caso di specie. La polizia giudiziaria ha addotto, a giustificazione dell’ispezione e della perquisizione compiute, esclusivamente l’«atteggiamento sospetto» del perquisito e il pubblico ministero ha poi convalidato le operazioni, senza motivare, con una meccanica formula di stile: «visto che…si convalida». Dato che il mero sospetto (privo, per giunta, di riscontro fattuale1) non integra il ‘fondato motivo’2 (che si basa, invece, su elementi di fatto: su indizi, pur se non gravi 3) indicato dall’art. 103, i militi hanno compiuto le operazioni fuori dei casi in cui la legge le consente. La libertà personale del perquisito è stata violata trasgredendo sia la legge, sia la Costituzione, che all’art. 13 co. 3 (e all’art. 14 Cost., co. 2 per il rinvio alle ‘garanzie prescritte per la tutela della libertà personale’ in esso contenuto) concede all’autorità di pubblica sicurezza di eseguire perquisizioni e ispezioni «in casi eccezionali di necessità e urgenza tassativamente indicati dalla legge». Eppure, l’ispezione e la perquisizione hanno condotto al ritrovamento del corpo del reato, di una prova penale a carico del perquisito, e il diritto vivente, formatosi sulle S. U. Sala,4 permette al giudice di fondare su tale prova il giudizio di colpevolezza. 1 “[…] non è in nessun modo indicato quali atti, atteggiamenti o condotte [dell’imputato] possano aver dato luogo al sospetto che detenesse sostanze stupefacenti[; imputato] che, verso le ore 14,00 (ora in cui peraltro è tutt’altro che rara, in quella stagione, la presenza di persone che si portino in quei luoghi per le attività balneari) si aggirava nei pressi del litorale gallipolino.” 2 In giurisprudenza, Cass. pen., sez. V, 13 marzo 1992, Casini, n. 899 , in Cass. Pen., 1993, p. 393 ss., con motivazione, ivi, 1994, p. 117, con nota di T. BENE, L’art. 191 c.p.p. e i vizi del procedimento probatorio e in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 1127, con nota di F. M. MOLINARI, Invalidità del decreto di perquisizione, illegittimità del sequestro; Cass. pen, sez. III, 29 ottobre 1993, Lenzi, n. 4556, in Cass. pen., 1994, p. 136, con nota di D. POTETTI, Attività del p.m. diretta all’acquisizione della notizia di reato e ricerca della prova; Cass. pen., sez. V, 15 dicembre 1994, Paticchio, n. 5153, in Cass. pen., 1996, p. 1539, con nota adesiva di L. IANNONE, Sulle condizioni legittimanti la perquisizione domiciliare; in dottrina, P. BALDUCCI, Perquisizione (dir. proc. pen.) agg., in Enc. dir., IV, 2000 p. 979-980; M. BARGIS, Perquisizione, in Dig. disc. pen., 1995, IX, p. 490 ; E. BASSO, sub art. 247, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. da M. CHIAVARIO, Torino, UTET, 1990, II, p. 701; P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, pp. 193-194 e, con specifico riferimento alle perquisizioni di polizia, pp. 337-340; A. P. MAIORE, Provvedimento di perquisizione e motivazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 50-52 3 Questa la convinzione (a parere di chi scrive, corretta poiché gli indizi ‘gravi’ sono richiesti da altre disposizioni del codice e quale presupposto di altri atti, come le intercettazioni di comunicazioni e l’adozione di misure cautelari) del giudice leccese, in giurisprudenza invece sembra richiedere la gravità degli indizi Cass. pen., sez. V, 13 maggio 1992, Casini, n. 899 , cit., p. 394, laddove esige che gli indizi siano «di un certo rilievo» e non ritiene sufficiente a integrare il fondato motivo di una perquisizione nella sua dimora il fatto che un soggetto abbia svolto il ruolo di intermediatore mobiliare in un’operazione di vendita di un immobile, in occasione della quale si riteneva potessero essere stati compiuti dei reati tributari. Del pari, per Cass. pen., sez. III, 29 ottobre 1993, Lenzi, n. 4556, cit., p. 135, non è sufficiente la conoscenza del fatto che un soggetto sia al vertice di un’associazione massonica, nelle fila della quale si sospettava fosse compiuto il reato di cui all’art. 416 c.p., per disporre perquisizione domiciliare nella sua abitazione. Contra, U. NANNUCCI, L’oggetto della perquisizione domiciliare: generico o specifico?, in Dir. pen. proc., 1995, p. 119 ss; per F. CORDERO, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 828 «il fondato motivo di ritenere» è «un plausibile sospetto» 4 Cass. pen., Sez. un., 16 maggio 1996, Sala, n. 5021, in Cass. pen., 1996, p. 3268 ss., con nota di M. VESSICHELLI e in Dir. pen. proc., 1996, p. 1122 ss., con nota di O. LUPACCHINI, Se e come utilizzare una prova illecitamente ritrovata; Cass. pen., sez. I, 27 gennaio 1998, Beltrami, n. 2791, in CED, n. 210002; Cass. pen., sez. V, 7 dicembre 1998, 16 febbraio 1999, Bartoli, n. 6712, in CED n. 212896; Cass. pen., sez. IV, 2 giugno 2000, Griggio n. 8052, in CED n. 216865; Cass. pen., sez. I, 2 ottobre 2001, Mini, n. 41449, in CED n. 220082; Cass. pen., sez. I, 5 dicembre 2002, Dammagio, n. 497, in CED n. 222799; Cass. pen., sez. II, 14 maggio 2003, Ciccarone, n. 26683, in CED n. 225175; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2006, Proietti, n. 18438, in CED n. 234672; Cass. pen., sez. II, Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Di qui gli interrogativi che il g.i.p. del Tribunale di Lecce muove alla Consulta. Il rimettente li presenta come questione di legittimità costituzionale dell’art. 191, co. 1, c.p.p. A suo avviso, l’art. 191, co. 1, c.p.p., che vieta l’utilizzo di prove «acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge», secondo l’interpretazione delle S. U. Sala,5 non vieterebbe, invece, l’utilizzo delle prove scoperte in seguito alla violazione dei divieti di perquisizione e ispezione. A parere di chi scrive, per le ragioni di cui si dirà infra sub 1), tali interrogativi andrebbero più correttamente inquadrati come dubbi sulla legittimità costituzionale degli artt. 253, co. 1 e 354, co. 2, c.p.p., nelle parti in cui consentono il sequestro (che è presupposto fondamentale dell’acquisizione e quindi dell’utilizzo della prova)6 di fonti di prova rinvenute tramite perquisizioni, domiciliari o personali, eseguite fuori dei casi di legge, e dell’art. 431, co. 1, lett. b), c.p.p. nella parte in cui consente l’acquisizione dei verbali di ispezioni, personali o domiciliari, eseguite fuori dei casi di legge. La sostanza cambia poco. Ciò che il giudice denuncia è, essenzialmente, un’omissione del legislatore: l’assenza di un divieto di utilizzo della prova quando questa sia scoperta tramite perquisizioni e ispezioni di polizia indebitamente lesive dei diritti costituzionalmente garantiti all’individuo. Potrebbe essere la volta buona, per la Corte, per fare finalmente chiarezza su una questione mai sufficientemente meditata dalla giurisprudenza7 nazionale: tale omissione esiste o è semplicemente frutto di un’errata interpretazione degli artt. 191, co.1 253, co. 1 e 354, co. 2, c.p.p. formata dal diritto vivente? Se esiste, è incostituzionale? Ad avviso del rimettente, l’assenza di un divieto di utilizzo della prova presenta i seguenti profili di potenziale incostituzionalità: 1) contrasto con gli artt. 13 Cost., co. 3 e 14 Cost., co. 2, i quali prevedono che i provvedimenti di cui all’art. 13 co. 2 possono essere adottati d’urgenza anche dalle autorità di pubblica sicurezza ma stabiliscono che essi «si intendono revocati e restano privi di ogni effetto, se non convalidati dall’autorità giudiziaria». Le disposizioni costituzionali imporrebbero, allora, che gli atti di «ispezione, perquisizione e sequestro abusivamente compiuti dalla p.g. o non motivatamente convalidati dall’A.G. rimangano senza effetto anche sul piano probatorio»; 2) contrasto con l’art. 117 Cost., co. 1 (con riferimento all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), perché non si attuerebbe un «efficace disincentivo dagli abusi delle forze di polizia» quando «si risolvono in indebite interferenze nella vita privata o nel domicilio»; 3) contrasto con l’art. 3 Cost., co. 1: la “non inutilizzabilità” dei risultati di perquisizioni e ispezioni contra legem violerebbe il principio di eguaglianza. Identificando la ratio dell’art. 191, co. 1, c.p.p. nell’intento di approntare «un valido presidio ai diritti costituzionalmente garantiti, disincentivandone le violazioni finalizzate all'acquisizione della prova, rendendone inutilizzabili gli esiti probatori», sarebbe «del tutto irragionevol[e], a fronte di una palese identità di ratio, nega[re] la conseguenza 10 ottobre 2007, Lonoce, n. 40833, in CED n. 238114; Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2010, M’Nasri, in CED n. 248685; Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 2010, Raso n. 42010, in CED n. 249021; Cass. pen., sez. II, 25 giugno 2014, Mykhailo, n. 31225, in CED n. 260033; Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2016, n. 19365, in CED n. 266580 5 Cass. pen., Sez. un., 16 maggio 1996, n. 5021, Sala, cit. 6 Trova inscindibile il potere di sequestro dal potere di ammissione, e quindi di utilizzo, della prova, F. CORDERO, Il procedimento probatorio, in Tre studi sulle prove penali, Milano, Giuffrè, 1963, p. 121 e nota 349 7 In giurisprudenza, oltre alle sentenze che negano l’inutilizzabilità della prova sequestrata in seguito a perquisizione contra legem, citate in nota 4, si segnalano, per l’orientamento opposto, Cass. pen., 10 dicembre 1990, Rocchi, n. 6823, in questa rivista, 1992, p. 243 ss., con nota di F. TAFI, Considerazioni sulle interazioni tra perquisizione e sequestro alla luce di una recente pronuncia di legittimità, e in Cass. pen., 1991, p. 749; Cass. pen., sez. V, 13 marzo 1992, Casini, n. 899, cit.; Cass. pen., sez. I, 29 ottobre 1993, Lenzi, n. 4556, cit..; Cass. pen., sez. V, 22 settembre 1995, Caravero, in Cass. pen., 1996, p. 1545, con nota di L. P. COMOGLIO, Perquisizione illegittima e inutilizzabilità delle prove acquisite con il susseguente sequestro; Cass. pen., sez. III, 18 giugno 1997, Sirica, n. 2450, in Cass. pen., 1998, p. 2081, con nota di A. ZAPPULLA, Anonimo, perquisizione, sequestro; sull’argomento è intervenuta anche la Consulta, Corte cost., 4 luglio – 27 settembre 2001, ord. n. 332, in Giur. cost., 2001, p. 2821 , con nota di G. SPANGHER, «E pur si muove»: dal male captum bene retentum alle exclusionary rules Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 dell'inutilizzabilità di cui all'art. 191 del codice di procedura penale a casi del tutto sovrapponibili ad altri (per certi versi addirittura meno gravi) per i quali la legge espressamente la prevede: […] le intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g. e quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. e l’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico eseguito senza provvedimento motivato del pubblico ministero». 2. Problemi di ammissibilità della questione; possibilità di un’interpretazione adeguatrice dell’art. 191, co. 1, c.p.p. e tipo di sentenza chiesta alla Corte in caso di accoglimento Come anticipato, la disposizione codicistica censurata dal giudice rimettente è l’art. 191, co. 1, c.p.p. perché, come interpretato dalle S.U. Sala, consentirebbe l’utilizzo di prove sequestrate in seguito a perquisizione e ispezione compiute fuori dei casi di legge. Inoltre, sempre secondo il rimettente, qualora la Corte ritenesse che gli artt. 13 e 14 Cost. impongano un divieto di utilizzo della prova, sarebbe possibile recuperare un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, tenendo in debita considerazione la ratio dell’art. 191, travisata dalle Sezioni Unite, e comprendendo tra i «divieti stabiliti dalla legge» anche il divieto di eseguire la perquisizione in assenza di determinati presupposti. Entrambe le affermazioni meritano delle osservazioni. Innanzitutto, se si guarda all’incoerente motivazione8 delle S. U. Sala, ciò che esclude l’inutilizzabilità della prova sequestrata in seguito a perquisizione contra legem non è l’art. 191, co. 1, c.p.p., tutt’altro. Se ci si fermasse all’interpretazione che la sentenza offre dell’art. 191, la prova sarebbe inutilizzabile: tra perquisizione e sequestro, infatti, esisterebbe un «rapporto funzionale» (riconosciuto dagli artt. 252 e 103, co. 7, c.p.p.) 9 tale da renderli parte di un unico «procedimento 8 L’incoerenza tra motivazione e conclusioni della sentenza Sala è denunciata da F. CORDERO, Procedura penale, cit., pp. 647-650; P. FERRUA, La prova nel processo penale, I, Struttura e procedimento, Torino, Giappichelli, 2015, pp. 225-226; O. LUPACCHINI, Se e come utilizzare una prova illecitamente ritrovata, cit., p. 1128 ss.; M. PANZAVOLTA, Contributo allo studio dell’invalidità derivata nel processo penale, Fano, Aras, 2012, p. 166-167 nota 153. In effetti, se si segue lo svolgimento della sentenza (v. righe immediatamente successive, citate nel testo), non si capisce che senso avrebbe il riconoscimento di un «rapporto funzionale» tra perquisizione e sequestro se poi l’invalidità della prima non potesse mai inficiare la validità del secondo, posto che il sequestro può avere a oggetto solo corpo del reato e cose a esso pertinenti e che, per espressa ammissione delle S.U. Sala, in tal caso è sempre valido. L’unica alternativa sarebbe di immaginare che le S. U. Sala individuino la possibilità di sequestrare, in seguito a perquisizione, cose diverse da quelle pertinenti al reato. Si tratterebbe, però, di una conclusione inaccettabile, o per esigenze di «coerenza del sistema» (F. TAFI, Considerazioni sulle interazioni tra perquisizione e sequestro, cit., p. 243) o per la tenuta costituzionale della disposizione, posto che si autorizzerebbe un’invasione nella sfera delle libertà personali e di domicilio, o comunque della proprietà privata, non giustificata dalla soddisfazione di un interesse pubblico primario, quale quello all’accertamento dei reati, come esatto, per la legittimità costituzionale dei mezzi di ricerca della prova invasivi delle libertà fondamentali, da Corte cost., 5 giugno – 23 luglio 1991, n. 366, in Foro it., 1992, c. 3257, con nota di G. DE GREGORIO, Diritti inviolabili dell’uomo e limiti probatori nel processo penale 9 Cass. pen., Sez. un., 16 maggio 1996, Sala, n. 5021, cit., pp. 3272-3273; per un argomento analogo, v. L. P. COMOGLIO, Perquisizione illegittima e inutilizzabilità delle prove, cit., p. 1558. Non persuade il richiamo alle due disposizioni per trarne il «riconoscimento di un nesso funzionale» giuridicamente rilevante tra perquisizione e sequestro delineato dalla Cassazione. Da un lato, il legislatore sembra negare rilevanza generale al rapporto funzionale tra perquisizione e sequestro (tale che il divieto di compiere la prima sia sussumibile nei divieti d’acquisizione ex art. 191, co. 1, c.p.p.) proprio perché sente l’esigenza, agli artt. 103, co. 7 e 343, co. 4, c.p.p di specificare che, in quei casi particolari, l’esecuzione di una perquisizione contra legem comporta l’inutilizzabilità delle prove sequestrate. L’art. 252 c.p.p., al contempo, è disposizione dal significato normativo oscuro. Appare quantomeno bizzarro che, anche nel caso in cui instaurasse un rapporto di dipendenza funzionale tra perquisizione e sequestro, il legislatore affidi a tale indecifrabile disposizione la funzione di affermare l’inutilizzabilità della prova sequestrata, in luogo di una previsione espressa, in una materia – v. infra – governata dal principio di tassatività. L’interpretazione più plausibile della disposizione è che essa riconosca alla polizia giudiziaria, quando esegue perquisizione su delega del pubblico ministero che non indichi con precisione le cose da sequestrare, il potere di disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose a esso pertinenti senza attendere che tale sequestro sia disposto dall’autorità giudiziaria, v. Cass. pen., sez. V, 27 novembre 1995, Melillo, n. 2793, in Cass. pen., 1996, p. 1934 s., con nota di R. MENDOZA, Perquisizione illegittima e i suoi riflessi sul sequestro operato d’iniziativa dalla polizia giudiziaria. L’utilità pratica di una tale interpretazione, sembrerebbe comunque vanificata dall’interpretazione dell’art. 354 c.p.p. offerta, sulla scorta di opinioni espresse da autorevole dottrina sotto il vecchio codice, da altra giurisprudenza, per la quale quest’ultima disposizione attribuirebbe alla polizia giudiziaria un potere di «fermo reale» delle cose pertinenti al reato rinvenute, che Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 acquisitivo»10 e, pertanto, violare un divieto di perquisizione equivarrebbe a violare uno dei divieti di acquisizione stabiliti dall’art. 191, co. 1, c.p.p. Ciò che per le sezioni unite rende utilizzabile la prova sequestrata è l’obbligo indiscriminato di sequestro del corpo del reato e delle cose a esso pertinenti, stabilito dall’art. 253, co. 1, c.p.p. (e, si può aggiungere, dall’art. 354, co. 2, c.p.p. per la polizia giudiziaria), che, a guisa di un’eccezione rispetto alla regola generale dell’art. 191, co. 1, c.p.p. rende «del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti […] in questa specifica ipotesi».11 Come si vedrà infra, non è detto che tale errore nell’identificazione della disposizione potenzialmente incostituzionale (l’art. 191, co. 1 in luogo degli artt. 253, co. 1 e 354, co. 2, c.p.p.) determini l’inammissibilità della questione. Quanto si può constatare con relativa sicurezza, invece, è che non è possibile interpretare né l’art. 191, co. 1 né gli artt. 253 co. 1 e 354 co. 2, c.p.p. di modo da ricavare da essi un divieto di utilizzo della prova sequestrata in seguito a perquisizioni o ispezioni contra legem. Come si è visto, paradossalmente, ciò sarebbe possibile, quantomeno con riferimento all’art. 191, proprio se si accedesse all’interpretazione della disposizione fornita dalle S. U. Sala. Tale interpretazione, tuttavia, non è corretta: come si spiegherà immediatamente, quello dell’art. 191, co. 1, c.p.p. è un testo «mono-senso»12 la cui unica interpretazione possibile e giuridicamente ammissibile13 porta a escludere che la disposizione si applichi a perquisizione (o ispezione) e sequestro. L’art. 191, co. 1, c.p.p. vieta l’utilizzo delle prove «acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge». In dottrina, esistono due diverse interpretazioni dell’aggettivo «acquisite». La prima è quella per la quale «acquisite» andrebbe considerato, almeno per comodità, alla stregua di un sinonimo di «ammesse» e quindi i divieti la cui violazione comporta l’inutilizzabilità della prova sarebbero divieti di ammissione.14 L’orientamento si spiega così: quando il giudice ‘ammette’ una prova, autorizza le parti a introdurla nel dibattimento,15 in quanto utile, non manifestamente irrilevante (ex art. 190 c.p.p.) o non vietata dalla legge. “Acquisire” una prova significa «allegarla al fascicolo del dibattimento» ex art. 431, co. 1, c.p.p.16 così che il giudice possa validamente valutarla. permetterebbe di asportarle e condurle all’attenzione del magistrato affinché decida cosa farne, v. Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 1991, Lionetti, n. 1557, in Cass. pen., 1992, p. 1879 e F. CORDERO, Il procedimento probatorio, cit., p. 115-116. Le intenzioni del legislatore appaiono, invero, molto più banali: sembrerebbe che, stabilendo che «le cose […] sono sottoposte a sequestro con l’osservanza delle prescrizioni di cui agli artt. 259 e 260» voglia semplicemente assicurare che le cose sequestrate in occasione della perquisizione siano immediatamente messe sotto custodia ex artt. 259 e 260 c.p.p., v. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G. U. serie gen., n.250, suppl. ord, n. 93, 1988, p. 88.Ovviamente, si tratta di un eccesso di premura privo di senso, visto che sarebbero bastate le disposizioni richiamate a garantire il risultato avuto di mira 10 Cass. pen., Sez. un., 16 maggio 1996, Sala, n. 5021, cit., pp. 3272-3273 11 Ivi 12 Il che esclude la possibilità di un’interpretazione adeguatrice, anche se questa è quella avallata dal diritto vivente, v. A. RUGGERI – A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2014, p. 158 13 Intendendo come «possibile» l’interpretazione che si attenga a uno dei significati attribuibili alle parole del testo legislativo secondo le regole di funzionamento della lingua, mentre come «giuridicamente ammissibili» «l’insieme dei significati giustificabili per mezzo di uno o più argomenti dell’interpretazione ammessi nella comunità giuridica», v. V. VELLUZZI, Sulla nozione di «interpretazione giuridica corretta» (e sui suoi rapporti con l’interpretazione estensiva), in Cass. pen., 2004, p. 2588 s. 14 F. CORDERO, Procedura penale, cit., pp. 613-615; P. FERRUA, op. cit., pp. 222-223; O. LUPACCHINI, op cit., passim; A. SCELLA, Inutilizzabilità della prova (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali II-1, 2008, p. 485; si può avvicinare a quest’orientamento C. CONTI, Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enc. giur., Roma, XVII, 2005, pp. 7-8, la quale individua un «utile criterio di verifica circa l’esistenza di un divieto probatorio [che dia luogo a inutilizzabilità]» nella «non rinnovabilità dell’atto». Un divieto di ammissione, infatti, vale «ora e per sempre» (ID., p. 5) 15 F. CORDERO , op. ult. cit., pp. 611-612; A. SCELLA, loc. ult. cit. 16 F. CORDERO , op. ult. cit., p. 618 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 È facile distinguere, anche sul piano fenomenologico, ammissione e acquisizione delle prove costituende, che si formano in dibattimento. Una parte chiede che sia ammessa la testimonianza (il mezzo di prova), il giudice la dichiara ammissibile. Poi, la prova va formata, tramite esame del testimone, e infine, una volta formato l’elemento di prova (la dichiarazione), questo è acquisito, tramite allegazione del verbale al fascicolo del dibattimento.17 È più complicato distinguere ammissione e acquisizione quando hanno a oggetto prove precostituite (ovverosia già formate fuori dal dibattimento) ma i due atti giuridici rimangono sempre formalmente distinti. Semplicemente, per la prova precostituita (ad esempio, il corpo del reato) non è necessario un distinto e precedente provvedimento di ammissione, perché non c’è bisogno di formarla prima che sia acquisita.18 Tuttavia, quando il giudice dispone l’acquisizione della prova precostituita, ne dispone anche l’ammissione, valutandone utilità, non manifesta irrilevanza e liceità: un singolo atto storico che concreta due distinti atti giuridici. Se è vero quanto appena detto, non avrebbe senso che il legislatore vietasse soltanto l’allegazione al fascicolo del dibattimento di prove che ritiene ammissibili, che possono entrare nel processo o che, nel caso di prove costituende, oltre a essere ammissibili siano anche state formate nel rispetto della legge. Ecco perché, per questo primo orientamento, i divieti di cui all’art. 191, co. 1, c.p.p. altro non sono che divieti di ammissione: posto che l’ammissione, sostanzialmente, è l’atto con il quale il giudice autorizza che una prova sia acquisita,19 vietare l’ammissione di una prova significa vietarne l’acquisizione. Il legislatore ha preferito impiegare il termine «acquisite» semplicemente per evitare le confusioni che sarebbero potute derivare dal fatto che le prove precostituite non sono oggetto di un distinto provvedimento di ammissione ma sono direttamente acquisite, così da chiarire che inutilizzabili possono essere anche le prove precostituite (ad esempio, i documenti anonimi di cui all’art. 234, co. 3, c.p.p. per i quali vige un divieto di acquisizione ma non è espressamente prevista l’inutilizzabilità). Lo si evince dalla Relazione al progetto definitivo del codice, quando si afferma che «la sostituzione del concetto di "acquisizione" a quello di "ammissione", nell'art. 191, è importante perché evidenzia come la disciplina della prova contenuta nel presente titolo sia, almeno tendenzialmente, rivolta a regolare anche l'attività della fase investigativa e non solo quella della fase della decisione».20 Appare chiaro che, se si promuove questa prima interpretazione dell’art. 191, co. 1, c.p.p., il compimento di una perquisizione o di un’ispezione fuori dei casi di legge non comporterebbe l’inutilizzabilità della prova scoperta. L’ammissibilità del sequestro e dell’acquisizione di un oggetto, infatti, è subordinata, esclusivamente, al fatto che si tratti di corpo del reato o di cosa a esso 17 Ibidem Ibidem 19 Idem, p. 618-619 20 Relazione al progetto definitivo del codice di procedura penale, in G. U. serie gen., n.250, suppl. ord, n. 93, 1988, p. 181. Questo, invero, è uno degli argomenti più utilizzati dalla dottrina che sostiene la seconda tesi che sarà esposta (quella per cui l’inutilizzabilità colpirebbe anche divieti diversi da quelli di ammissione) proprio in ragione della sostituzione operata dal legislatore tra testo preliminare e definitivo, v. M. NOBILI, sub art. 191, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. da M. CHIAVARIO, II, Torino, 1990, p. 412 e N. LA ROCCA, Inutilizzabilità (I agg.), in Dig. disc. pen., Agg. IV, 2008, p. 619. Non si capirebbe, tuttavia, perché il legislatore abbia sostituito, a tal fine, il concetto d’ammissione con quello riferito a un atto semplicemente successivo, quello dell’acquisizione, per riferirsi anche ai divieti, ad esempio, di perquisizione. 18 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 pertinente (artt. 253, co. 1; 354, co. 2; 431, co. 1, lett. h), c.p.p.) e che non vi sia alcun esplicito divieto di ammissione dipendente dalle modalità di ritrovamento della stessa.21 Stando a un secondo, e forse maggioritario, orientamento dottrinale, invece, al vocabolo «acquisite» andrebbe attribuito il significato, molto più lato, di «ottenute» in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Ciò implicherebbe che i divieti la cui violazione causa l’inutilizzabilità potrebbero essere non soltanto divieti di ammissione/acquisizione, ma anche divieti che proibiscono certe modalità di ricerca o di formazione della prova.22 Con questa interpretazione dell’art. 191, co. 1, c.p.p., ovviamente, la disposizione si applicherebbe alla prova sequestrata (o acquisita, nel caso dell’ispezione) in seguito a perquisizione o ispezione compiuta fuori dei casi di legge, perché reperita tramite modalità di ricerca della prova compiute in circostanze in cui erano vietate.23 V’è da dubitare, tuttavia, che si tratti di una soluzione interpretativa percorribile, anche a titolo di interpretazione costituzionalmente conforme, laddove la Corte rilevasse che un divieto di utilizzo della prova sequestrata sia imposto dalla Costituzione. Persino in sede di interpretazione adeguatrice, infatti, è stato autorevolmente osservato che «il tenore letterale [della disposizione legislativa] segna il limite esterno delle variabili di senso ascrivibili al testo».24Il vocabolo «acquisite» non è tanto equivoco come lo presenta questo secondo indirizzo dottrinale. Quando è riferito alla prova, il legislatore processuale penale impiega il concetto di ‘acquisizione’ (come verbo, aggettivo o sostantivo) quasi sempre per indicare l’allegazione al fascicolo del dibattimento (da disporre o già avvenuta)25. A ogni modo, con l’eccezione dell’art. 274, co. 1, lett. a), c.p.p., il legislatore non lascia mai a intendere di riferirsi anche alla ricerca della prova. L’ostacolo principale che incontra tale soluzione interpretativa è, tuttavia, un altro. La maggior parte dei divieti rinvenibili nel Libro III del codice non è formulata in termini espliciti dal legislatore ma si ricava a contrario: ogniqualvolta il valido compimento di un atto è subordinato a determinate condizioni (o presupposti), è vietato compiere un atto che non soddisfi quelle condizioni (o in assenza di quei presupposti).26 Tanto vale anche per le perquisizioni, sia per quelle disciplinate dal codice sia per quelle disciplinate da leggi speciali: gli art. 247, co. 1 e 352, co. 1, 2 e 3, c.p.p. e l’art. 41, co. 2 e 3, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, quando subordinano il valido compimento di perquisizioni e ispezioni alla sussistenza di un fondato motivo e, per gli atti di polizia, di una situazione d’urgenza, vietano di eseguire tali operazioni in assenza del fondato motivo o dei presupposti di urgenza. Così come implicitamente l’art. 251 c.p.p. vieta di eseguire perquisizioni nel domicilio in tempo notte, sempre che non si versi in casi urgenti. Com’è stato evidenziato in dottrina, se la violazione di qualunque disposizione concernente le prove ne comportasse l’inutilizzabilità, anche in assenza di divieti di utilizzo espliciti, non si potrebbe più 21 F. CORDERO , op. ult. cit., p. 833; P. FERRUA, op. cit., p. 223; O. LUPACCHINI, op cit., passim; A. SCELLA, op. cit., p. 491 La sintesi è di P. FERRUA, op. cit., p. 222. È possibile ricondurre a tale orientamento, tra gli altri, M. NOBILI, op. cit., p. 411; ID., Divieti probatori e sanzioni, in Giust. pen., pp. 646 s.; F. M. GRIFANTINI, Inutilizzabilità, in Dig. disc. pen., VII, 1993, p. 248; N. LA ROCCA, op. cit., p. 619; per N.GALANTINI, Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enc. dir., agg. I, 1997, pp. 693-695, non tutti i divieti probatori darebbero luogo, se infranti, a inutilizzabilità, ma soltanto quelli che, per la ratio cui obbediscono, sono posti a protezione di interessi processuali fondamentali (diritto di difesa e attendibilità processuale) o di rango costituzionale; su una linea simile, G. PIERRO, Inutilizzabilità degli atti (proc. pen.), in Diz. dir. pubb., a cura di S. CASSESE, IV, 2006, p. 3253-3254 23 N.GALANTINI, op. cit., p. 703-705 e, più in generale, P. FERRUA, op. cit., pp. 222-223 24 L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, Giuffrè, 1996, p. 103 25 Non è possibile, in questa sede, elencare tutte le circa 70 disposizioni nelle quali il legislatore impiega il termine con riferimento alla prova. A titolo esemplificativo, si possono indicare, come i più eloquenti, gli artt. 207, co. 1; 235; 236; 237; 238; 240; 353; 431, co. 1 lett. d) e co. 2; 500, co. 4,5, 6, 7 e 501, co. 2 c.p.p. 26 M. NOBILI, ult. op. cit., p. 647 22 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 distinguere in via predeterminata le inutilizzabilità, causa di inefficacia della prova, dalle mere irregolarità, processualmente irrilevanti27: risulterebbe così violato il principio di tassatività delle invalidità e delle sanzioni processuali imposto dalla legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 28 e l’art. 191, co. 1, c.p.p. risulterebbe incostituzionale per contrasto con l’art. 76 Cost. Nessun problema pone, all’opposto, la costruzione a contrario di divieti di ammissione: posto che l’ammissione è l’atto con il quale il giudice attribuisce alle parti il potere di assumere la prova o si autoattribuisce quello di acquisirla, la prova che sia oggetto di un divieto implicito di ammissione, anche se non fosse inutilizzabile, non produrrebbe comunque il suo effetto (l’obbligo per il giudice di tenerne conto in motivazione29), perché assunta in assenza di potere.30La violazione di un divieto di ammissione non può mai essere una mera irregolarità. Com’è stato accennato supra, per le perquisizioni, le Sezioni Unite Sala sembrerebbero ovviare all’inconveniente di una possibile violazione del principio di tassatività quando stabiliscono che tra perquisizione e sequestro, e successiva acquisizione della prova, vi sarebbe uno stretto rapporto di «connessione funzionale», che le renderebbe parte di un unico procedimento probatorio.31 La «connessione funzionale» affiancherebbe e pareggerebbe la dipendenza giuridica32 che unisce divieti di ammissione e di acquisizione e un divieto di perquisizione potrebbe equivalere a un divieto di ammissione. Bisogna considerare, tuttavia, che quella di «connessione funzionale» sarebbe una costruzione dogmatica di nuovo conio. Se è vero che l’interpretazione deve essere aperta all’ingresso di nuove categorie dogmatiche, per soddisfare valori metapositivi o costituzionali,33 è anche vero che il requisito imprescindibile per l’adozione di una nuova categoria dogmatica è che essa sia «universalizzabile»34, cioè che possa essere astratta dalla singola fattispecie alla quale la si vorrebbe applicare ed estesa a tutte le situazioni a essa analoghe. Così come può essere preordinata al sequestro, la perquisizione può essere preordinata anche all’arresto dell’imputato o dell’evaso, ex art. 247, co. 1, c.p.p. Posto che l’obiettivo sarebbe quello di 27 A. SCELLA, op. cit., p. 485 Che all’art. 2, n. 7 esige la «previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali» 29 F. CORDERO, Le situazioni soggettive nel processo penale, Torino, Giappichelli, 1956, p. 253; M. NOBILI, ult. op. cit., p. 650; M. PANZAVOLTA, Contributo allo studio dell’invalidità derivata, cit., p. 63 30 Sugli atti compiuti in assenza di potere, in generale, e sulla differenza con gli atti viziati ma compiuti dal soggetto che ha il potere di compierli, v. F. CORDERO, op. ult. cit., pp. 75-76 e 200 31 V. supra, note 10 e 11; in dottrina, quest’orientamento è molto diffuso, v. P. BALDUCCI, Perquisizioni, cit., p. 992; E. BASSO, sub art. 252, in Commento al nuovo codice di procedure penale, cit., II, p. 730 s.; L. P. COMOGLIO, Perquisizione illegittima ed inutilizzabilità derivata delle prove acquisite con il susseguente sequestro, cit., p. 1556-1557: R. GAMBINI, Perquisizioni, sequestri, esclusione probatoria: interpretazioni attuali e prospettive de iure condendo, Perquisizioni, sequestri, esclusione probatoria: interpretazioni attuali e prospettive de iure condendo, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1291.; F. M. MOLINARI, Invalidità del decreto di perquisizione, illegittimità del sequestro, cit., p. 1140 32 In Corte cost., 4 luglio – 27 settembre 2001, ord. n. 332, cit., p. 2826, tra le varie ragioni di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente, compare che «il rimettente [mira] a trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità». Tale affermazione, perfettamente condivisibile se riferita all’impossibilità di configurare l’istituto della cd. inutilizzabilità derivata (la trasmissione dell’inutilizzabilità di una prova a un'altra scoperta grazie alla prima prova inutilizzabile), richiede una precisazione se si riferisce all’inutilizzabilità originaria descritta dall’art. 191, co. 1, c.p.p. Infatti, se, come si è appena visto, il divieto di ammissione si traduce de jure in un divieto di acquisizione, è proprio perché l’ammissione conferisce il potere dell’acquisizione (id est: ne è il presupposto giuridico, perché ha come effetto giuridico la costituzione del potere di acquisizione), secondo una schema identico a quello della trasmissione della nullità ex art. 185, co. 1, c.p.p. D’altronde, F. CORDERO, Il procedimento probatorio, cit., p. 55 costruiva su questo schema l’invalidità dell’acquisizione per invalidità dell’ammissione della prova ben prima dell’entrata in vigore del nuovo codice e dell’art. 191, co. 1, c.p.p. Per una sintesi efficace della derivazione delle invalidità, in generale, e della nullità derivata, v. M. PANZAVOLTA, Contributo allo studio dell’invalidità derivata, cit., pp. 80-130. Per una sintesi sull’inutilizzabilità derivata, v. A. CABIALE, L’inutilizzabilità “derivata”: un mito a mezza via tra nullità ed esigenze sostanziali, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2013, p. 112 33 L. MENGONI, op. cit., pp. 58-65 34 Idem, pp. 53-58 28 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 proteggere la libertà personale e di domicilio del perquisito da perquisizioni e ispezioni fuori dei casi di legge, sarebbe inspiegabile che la nuova categoria dogmatica della dipendenza funzionale trovasse applicazione solo per gli atti probatori e non anche per l’arresto, la cui validità dovrebbe pertanto essere inficiata dall’invalidità della perquisizione, considerando che tale arresto (termine usato con accezione atecnica) può consistere nell’esecuzione di una misura di custodia cautelare per esigenze probatorie, ai sensi del già menzionato art. 274, co. 1, lett. a), c.p.p.35 Dunque, sviluppando «a fil di logica» la categoria della connessione funzionale, si perverrebbe a conclusioni che, com’è già stato autorevolmente segnalato, sarebbero necessitate ma quantomeno, «eccentriche»36, anche se si guarda a valori di giustizia materiale. Si aggiunga che manca quel presupposto dell’interpretazione estensiva consistente nel ricongiungimento della disposizione alla ratio che l’ha ispirata37: come si vedrà infra (sub 5)), la ratio dell’art. 191 c.p.p. è principalmente di natura tecnica e non consta di una funzione preventiva dagli abusi di polizia. Infine, se il proposito fosse quello di proteggere le libertà personale e di domicilio, inutilizzabili, a rigore, dovrebbero essere soltanto le cose sequestrate in seguito a perquisizioni e ispezioni personali e domiciliari, non anche quelle scoperte in seguito a perquisizioni e ispezioni locali. Per tutte queste ragioni, se ritenesse che gli artt. 13 e 14 Cost. impongono un divieto di utilizzo della prova, la Consulta sarebbe inevitabilmente chiamata a pronunciare una sentenza additiva,38 che statuisca una previsione di inutilizzabilità speciale delle prove scoperte in seguito a ispezioni e perquisizioni di polizia, domiciliari e personali, compiute fuori dei casi di legge. Certo, sarebbe un’addizione normativa che si sposerebbe meglio con gli artt. 253 e 354 c.p.p., piuttosto che con l’art. 191, co. 1, c.p.p. censurato dal rimettente, che descrive una norma generale. Se la ratio del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, cui la Corte deve attenersi in forza dell’art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87, è di limitare l’attivismo giudiziario e garantire il contraddittorio, 39 tuttavia, ci si può augurare che la Corte non rinunci a valutare comunque la fondatezza della questione sollevata, che interessa un problema su cui tanto si è disputato in dottrina e in giurisprudenza. D’altronde, l’errore di individuazione della disposizione cui andrebbe apportata l’addizione (cd. errore di individuazione nella sedes materiae) è scusabile, dato che l’ordinanza prende le mosse da un diritto vivente estremamente anfibologico, e non sembra sicuramente grossolano come altri cui la Corte ha risposto con pronunce di inammissibilità. 40 Peraltro, l’errore non sembra porre problemi di garanzia del contraddittorio, posto che il giudice indica chiaramente il «verso dell’addizione»41 richiesta e che, soprattutto, si può comprendere agevolmente dalla 35 F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 828 F. CORDERO, Prove illecite, in Tre studi sulle prove penali, cit., p. 163 37 V. F. MODUGNO, Metodi ermeneutici e diritto costituzionale, in Scritti sull’interpretazione costituzionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, p. 75 s. 38 Sulle sentenze additive, v. A. RUGGERI – A. SPADARO, op. cit., p. 170; R. BIN – G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, Giappichelli, 2017, p. 498 39 Questo è quanto riportano A. RUGGERI – A. SPADARO, op. cit., p. 242, i quali però segnalano che spesso la Corte si discosta dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato 40 V., ad esempio, Corte cost., 27 novembre 1990 – 10 febbraio 1991, n. 15, nella quale il rimettente chiedeva che una norma che avrebbe trovato miglior applicazione nella disciplina dei contratti di lavoro agrari fosse inserita in una legge sulla lottizzazione. Nel caso che si commenta, invece, il rimettente confonde due norme che appartengono addirittura al medesimo libro del codice (il III, dedicato alle prove), salvo collocarsi una, l’art. 191, nel Titolo I, sulle disposizioni generali, l’altra, l’art. 253, nel titolo II sui mezzi di ricerca della prova 41 S. M. CICCONETTI, Lezioni di giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2014, p. 97 descrive il «verso dell’addizione» che il giudice rimettente deve indicare come l’indicazione della norma, già implicita nel sistema e non scelta liberamente dal rimettente o dalla Corte, che quest’ultima dovrebbe aggiungere alla disciplina positiva. Si tratta in sostanza dell’indicazione della «rima 36 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 motivazione dell’ordinanza che l’aggiunta andrebbe, in realtà, apportata agli artt. 253 e 354. Nei casi in cui dalla motivazione dell’ordinanza si è evinto chiaramente a quale disposizione appartenesse la norma effettivamente impugnata, alle volte, la Corte si è dimostrata tollerante e, corretto l’errore del giudice, si è poi espressa sul merito della questione. 42 Se così fosse, resterebbe da vedere se la questione sia fondata nel merito. 3. Impossibilità di interpretare l’art. 13 Cost., co. 3 secondo i canoni interpretativi della legge ordinaria e di ricavare dal testo della disposizione un esplicito divieto di utilizzo della prova Per rispondere consapevolmente al primo quesito posto dal rimettente (se, all’art. 13 Cost., co. 3, il legislatore costituente, prescrivendo che i provvedimenti di cui al co. 2, se non convalidati, ‘restano privi di ogni effetto’ intendesse vietare l’utilizzo della prova scoperta in seguito a perquisizione o ispezione non convalidata, in quanto effetto di tali atti processuali), è necessario distinguere, in premessa, gli effetti giuridici dagli effetti materiali dell’atto, per poter capire a quali effetti si riferisca l’art. 13 Cost., co. 3.43 Solitamente, quando nel linguaggio giuridico si parla di ‘effetto’ di un atto o di un fatto preso in considerazione dalla legge,44 ci si riferisce all’effetto giuridico dell’atto o del fatto. L’effetto giuridico di un atto (in quanto realizza una fattispecie45) è la costituzione, modificazione o estinzione di una situazione giuridica soggettiva, primaria (di dovere, facoltà, permesso) o secondaria (di potere, di soggezione) in capo a uno o più soggetti. 46 La situazione soggettiva ha a oggetto una condotta umana, vero (dovere di pagare, potere di ordinare la custodia cautelare e così via) ma l’effetto giuridico è esclusivamente una modificazione della realtà giuridica47: al verificarsi concreto della fattispecie astratta, Tizio diventa titolare, ad esempio, di un obbligo giuridico. obbligata», che già V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, CEDAM, 1984, II, pp. 404-408 descriveva in termini analoghi: «La dichiarazione di incostituzionalità dell’omissione ha, allora, l’effetto di introdurre indirettamente quella disciplina che faceva difetto: traendola, ovviamente, non dalla fantasia della Corte ma, per analogia, da altre norme e principi contenuti nel sistema (o addirittura dalla stessa norma costituzionale alla stregua della quale è introdotto il giudizio) […] così conferendo alla pronuncia una capacità autoapplicativa. Una legislazione, se proprio così vuol dirsi (ma descrittivamente) “a rime obbligate”».Cfr. R. BIN – G. PITRUZZELLA, op. cit., p. 498. Sembra chiaro che il rimettente, chiedendo che sia dichiarato incostituzionale l’art. 191 «nella parte in cui non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori […] degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla p.g. fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall'A.G. con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività», indichi il verso dell’addizione, sebbene questa sia da apportare agli artt. 253 e 354 c.p.p. e non all’art. 191 c.p.p., e che questa sia un’addizione obbligato laddove si ritenesse che gli artt. 13 e 14 Cost. impongano un divieto di utilizzo della prova 42 A. BONOMI, Il vizio di aberratio ictus nel giudizio in via incidentale: punti fermi e aspetti controversi, in Consulta online, 2014, p. 9, con riferimento a Corte cost. 14 dicembre 1993 – 19 maggio 1994, n. 188. È da precisare, tuttavia, che non si trattava di un errore di individuazione della sedes materiae, bensì di cd. aberratio ictus, ma non si vede perché ciò dovrebbe costituire una discriminante per la possibilità di una correzione 43 La distinzione è ottimamente descritta ed esemplificata da A. FALZEA, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, 1965, pp. 433-434 44 E che, in quanto tale, se vi sono ricollegati degli effetti, è un atto o un fatto giuridico, v. G. CONSO, I fatti giuridici processuali. Perfezione ed efficacia, Milano, Giuffrè, 1955, p. 38 45 La fattispecie si distingue dal fatto giuridico meramente rilevante perché mentre alla prima sono connessi immediatamente gli effetti giuridici previsti dall’ordinamento, il secondo è soltanto idoneo a produrli, in quanto, affinché si produca l’effetto giuridico collegato a esso, è necessario il verificarsi di un altro fatto giuridico che fa parte della fattispecie. Ovviamente, ben può essere la fattispecie composta da un solo fatto giuridico ed essere una fattispecie semplice, v. Idem, pp. 42-43 e 45 46 F. CORDERO, Le situazioni soggettive nel processo penale, cit., p.89; R. GUASTINI, La sintassi del diritto, Torino, Giappichelli, 2014, p. 77 ss. 47 A. FALZEA, loc. ult. cit. Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Altra cosa è l’effetto materiale della fattispecie: poiché la fattispecie consta della descrizione, in via astratta, di classi di atti o fatti concreti,48 il verificarsi della fattispecie, e quindi il realizzarsi nel mondo fenomenico degli atti o dei fatti in essa descritti, sortisce anche degli effetti materiali, una modificazione del mondo reale.49 Per intendersi, se Tizio e Caio sottoscrivono un contratto d’opera che obbliga Tizio a costruire un camino a legna in casa di Caio e quest’ultimo a pagare il corrispettivo al primo una volta ultimati i lavori, l’adempimento dell’obbligazione da parte di Tizio (fattispecie), comporta l’obbligo per Caio di pagare il corrispettivo (effetto giuridico). L’effetto materiale della fattispecie ‘adempimento dell’obbligazione da parte di Tizio’ è, però, banalmente che ora in casa di Caio vi è un camino a legna che prima non c’era. Esaurita la premessa, secondo il parere di autorevole dottrina la perquisizione non ha effetti giuridici capaci di durare fino alla convalida e quindi di essere revocati.50 Se la perquisizione è prevista quale atto processuale dal legislatore è perché questi (come per ogni altro atto processuale, specie se probatorio: si pensi alla testimonianza, all’esperimento giudiziale o, anche, agli avvisi e alle notificazioni) ne ha a cuore l’effetto materiale, il risultato fisico cui mira: il rinvenimento del corpo del reato o di cose a esso pertinenti, che possono quindi essere sequestrati (ex artt. 253, co. 1 o 354, co. 2, c.p.p.: come si vedrà infra, il potere di effettuare il sequestro non è l’effetto giuridico della perquisizione), acquisiti al fascicolo del dibattimento (art. 431, co. 1, lett. h), c.p.p.) e valutati dal giudice. Secondo il g.i.p. di Lecce, quest’ultimo è l’effetto – quello materiale della scoperta e dell’utilizzo della prova, appunto – che l’art. 13 Cost., co. 3 vorrebbe rimosso se la perquisizione di polizia non fosse convalidata o comunque non meritasse la convalida, 51 perché eseguita fuori dei casi di legge, dato che «l’unico effetto perdurante nel tempo che può ipotizzarsi rispetto ad atti di perquisizione o ispezione che siano già stati compiuti e terminati nella loro esecuzione […] è solo quello che attiene alla loro capacità probatoria». In effetti, a favore dell’interpretazione offerta dal rimettente, militano alcune considerazioni. Anzitutto, la constatazione che l’art. 13 Cost., co. 3 impone che i provvedimenti provvisori di polizia, se non convalidati, restino privi di ogni effetto, il che suggerirebbe che si tratti indistintamente di effetti giuridici e non giuridici.52 Per giunta, l’Assemblea costituente preferì deliberatamente questa formula, più ampia, all’alternativa ‘privi di effetti giuridici’.53 In secondo luogo, un A.A., Pace, ha osservato quanto segue. L’art. 13 Cost., co. 3 stabilisce che la polizia giudiziaria può adottare ‘provvedimenti provvisori che devono essere convalidati dall’autorità giudiziaria, altrimenti si intendono revocati e restano privi di ogni effetto’. Se la disposizione contemplasse esclusivamente effetti giuridici capaci di durare fino alla convalida (per 48 G. CONSO, op. cit., p. 14 A. FALZEA, loc. ult. cit. 50 F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 640. Gli unici effetti giuridici che l’ordinamento processuale collega alla perquisizione sono sostanzialmente autoreferenziali: si tratta di obblighi e poteri che o cessano esaurita la perquisizione (obbligo di consegnare all’interessato copia del decreto, se la perquisizione è stata disposto dal pubblico ministero e di avvisarlo della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, ex art. 249, co. 1, c.p.p., o potere dell’autorità giudiziaria di ordinare che siano perquisite persone presenti o sopraggiunti durante una perquisizione domiciliare, ex art. 250, co. 3, c.p.p.) o sono finalizzati a che ne sia valutata la legittimità, e quindi la validità, come l’obbligo per la polizia giudiziaria, che abbia proceduto a perquisizione di propria iniziativa, di trasmettere entro quarantottore il verbale delle operazioni compiute al pubblico ministero affinché decida se convalidarla o meno (ad es., art. 352, co. 4, c.p.p.) 51 Il giudice motiva diffusamente, e correttamente, sulla necessità di equiparare, a fini di garanzia, la mancata convalida alla convalida immotivata o comunque mal motivata e illegittima, posto che in entrambi i casi la perquisizione e l’ispezione sono avvenute fuori dei casi di legge 52 A. PACE, Libertà personale (dir. cost.), in Enc. dir., XXIV, 1974, pp. 313-314 53 Atti dell’Assemblea costituente, Discussioni, seduta del 10 aprile 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, Camera dei deputati – Segretariato generale, Roma, 1970, I, p. 777 49 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 poi essere eventualmente revocati), essa si riferirebbe ai soli provvedimenti in grado di produrre siffatti effetti giuridici duraturi: l’arresto e il fermo.54 Ciò significherebbe, però, che il co. 3 riconoscerebbe alla polizia giudiziaria il potere di adottare solo quel tipo di provvedimenti, l’arresto e il fermo, e non anche di disporre perquisizioni e ispezioni, che non producono effetti giuridici duraturi.55 Questa sarebbe una conclusione interpretativa assurda e, in ogni caso, contraria alle intenzioni dei costituenti, i quali volevano, indubitabilmente, non solo riconoscere alla polizia il potere di compiere perquisizioni e ispezioni motu proprio ma anche che esse dovessero essere sottoposte a convalida, come arresto e fermo.56 L’argomento, però, ad avviso di chi scrive, prova troppo. È vero che il legislatore costituente ha preteso che anche perquisizioni e ispezioni fossero sottoposte a convalida. Ciò che non è altrettanto certo, invece, è che intendesse attribuire alla convalida la funzione di ‘salvarne’ o ‘revocarne’ l’efficacia probatoria (che, si ricorda, ne è solo l’effetto materiale) così come avrebbe dovuto essere per gli effetti giuridici del fermo e dell’arresto. Sono le stesse parole del Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini, a suggerire il contrario, quando annuncia che «per le limitazioni della libertà personale e del domicilio […]gli indilazionabili interventi della pubblica sicurezza debbono essere senza eccezione sottoposti alla magistratura, anche se ai fermi è già succeduto il rilascio, ed anche per le perquisizioni e le ispezioni, e per ogni altra misura restrittiva della libertà.»57. Il Presidente Ruini equipara ispezioni e perquisizioni al fermo cui sia già seguito il rilascio e ciò che sembra accomunare le tre ipotesi è che si tratta di atti sui cui effetti la convalida (o la mancata convalida) non può incidere, in quanto già esauriti al momento della decisione dell’autorità giudiziaria. Sembrerebbe che la sottoposizione a convalida di perquisizione, ispezione o arresto cui sia seguito il rilascio sia ritenuta comunque necessaria dal legislatore costituente ma, ovviamente soltanto per garantire che sia esercitato un controllo giurisdizionale sulla legittimità delle operazioni compiute, che funga da base per l’accertamento della responsabilità disciplinare, civile o penale di chi ha adottato il provvedimento contra legem.58 In definitiva, la conclusione che appare più ragionevole è che la locuzione ‘restano privi di ogni effetto’, nella sua genericità, altro non sia che il residuato di una certa confusione in sede di lavori preparatori. Durante i lavori per la predisposizione della disposizione costituzionale che avrebbe dovuto proteggere la libertà personale, la Prima sottocommissione si concentrò esclusivamente su arresti e fermi, senza mai considerare perquisizioni e ispezioni59 e, infatti, l’omologo, nel progetto, dell’attuale dell’art. 13 Cost., co. 3 recitava: ««Il fermo o l'arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di quarantotto ore. Decorso tale termine la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà».60 Perquisizioni e ispezioni 54 A. PACE, loc. cit. Ibidem. 56 Ibidem 57 M. RUINI, Relazione del Presidente della Commissione al Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, cit., I, p. LXXVIII 58 Così C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, II, 1969, p. 954 e F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 637 59 V. Atti della Commissione per la Costituzione, Discussioni, Prima sottocommissione, sedute 12 e 17 settembre e 10 dicembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, cit., VI, pp. 343-360 e 769, nelle quali, quando si discute dell’art. 7 (sulla libertà personale), non vi è alcun riferimento alle perquisizioni e alle ispezioni 60 Atti della Commissione per la Costituzione, Discussioni, Prima sottocommissione, seduta 17 dicembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, cit., VI, pp. 356 e 360, si noti che l’espressione ‘rimessi in libertà’ è equipollente alla privazione di effetti giuridici ex tunc di arresto e fermo: l’effetto giuridico, la modificazione della realtà giuridica, dell’arresto o del fermo di polizia è di costituire una situazione soggettiva di divieto in capo all’arrestato, il divieto di disporre liberamente della propria persona. Se, per mancata convalida, l’effetto giuridico si estingue e cade il divieto, il soggetto 55 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 erano menzionate esclusivamente dall’art. 6 del progetto sottoposto al Comitato, posto a protezione della libertà di domicilio, e non vi era alcuna prescrizione circa la caducazione degli effetti delle stesse in caso di mancata convalida.61 Il Comitato di redazione decise di accorpare art. 6 e art. 8 del progetto in un’unica disposizione ed è qui che compaiono, per la prima volta, perquisizioni e ispezioni come forme tipizzate di restrizione della libertà personale e, al co. 3, la controversa locuzione ‘restano privi di ogni effetto’, in caso di mancata convalida. 62 Vero è che, poi, in sede di Assemblea, si optò per scindere nuovamente, in due disposizioni distinte, la protezione della libertà di domicilio dalla protezione della libertà personale63 e che, nella stesura definitiva dell’art. 13 rimane la menzione alle perquisizioni e alle ispezioni e la formula ‘privi di ogni effetto’. Altrettanto vero che la Commissione propose di sostituire l’espressione con ‘privi di effetti giuridici’ e che ritirò la proposta per l’opposizione dell’on. Costantini.64 Ma è anche vero che si volgeva al termine dei lavori: la Costituzione non è “I promessi sposi” e i padri costituenti non ebbero vent’anni di tempo per perfezionarla. A prescindere da qualsiasi analisi originalista, a escludere che l’art. 13 Cost., co. 3 si riferisca anche agli effetti materiali di perquisizioni, ispezioni, arresti e fermi (compreso l’utilizzo della prova) è la necessità di trarre dalla disposizione una norma il cui adempimento sia ‘possibile’ per i suoi destinatari. Pace afferma che, se si escludesse l’utilizzo della prova dagli effetti di cui l’art. 13 Cost., co. 3 priva i provvedimenti provvisori, il brocardo “quod factum est, fieri infectum nequit” (ossia: “il fatto compiuto non può considerarsi come non avvenuto”) si applicherebbe soltanto a perquisizioni e ispezioni e non anche ad arresti e fermi, i quali invece sarebbero, ingiustificatamente, gli unici provvedimenti a essere “privati dei loro effetti”.65 La considerazione si impernia su un’inopportuna commistione degli effetti, giuridici e materiali. Se si guarda ai soli effetti materiali di perquisizione e ispezione, da un lato, e di arresto e fermo, dall’altro, l’impossibilità di cancellare le conseguenze prodotte riguarda tanto gli uni quanto gli altri provvedimenti. L’effetto materiale di un arresto compiuto dalla polizia giudiziaria – poniamo – il 3 dicembre e non convalidato il 5 dicembre è che l’arrestato è stato rinchiuso in un penitenziario per due giorni. La mancata convalida revoca gli effetti giuridici dell’arresto e il soggetto cessa di essere destinatario di un divieto, riacquistando una situazione soggettiva di libertà (intesa come la situazione soggettiva in cui nessuna norma impone al soggetto un determinato comportamento,66 non come libertà fisica). Nessuno potrà revocare, però, l’effetto materiale dell’arresto e restituire all’arrestato, nella loro concretezza, i due giorni di libertà persi. Se il 4 dicembre fosse nato un nipote dell’arrestato, quest’ultimo non avrebbe potuto assistere al parto perché sotto arresto e nessuno potrebbe restituirgli l’occasione di farlo. Lo stesso vale per le perquisizioni: effetto materiale di una perquisizione domiciliare può essere che la dimora del perquisito sia messa a soqquadro. Al più si potrà riordinarla, ma mai elidere l’effetto materiale che la perquisizione ha portato. torna a poter disporre liberamente della propria persona, il che, sul piano materiale, significa che, banalmente, «deve essere rimesso in libertà» 61 Atti della Commissione per la Costituzione, Discussioni, Prima sottocommissione, seduta 19 settembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, cit., VI, p. 383 62 Progetto di Costituzione presentato dalla Commissione all’Assemblea costituente, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, cit., I, p. LVIII 63 Atti dell’Assemblea costituente, Assemblea, seduta 10 aprile 1947 64 V. supra, nota 53 65 A. PACE, loc. cit. 66 R. GUASTINI, op. cit., p. 79 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Sono discorsi ai limiti dell’assurdo,67 ma servono a chiarire perché è impossibile attribuire, almeno testualmente, alla locuzione ‘restano privi di ogni effetto’ il significato di ‘restano privi degli effetti giuridici e materiali’. Gli unici effetti di un atto che l’ordinamento può revocare sono gli effetti giuridici da questo prodotti: arresto e fermo ne producono uno capace di durare fino all’udienza di convalida, pertanto se questa non ha esito positivo, esso è revocato; perquisizioni e ispezioni no, pertanto la convalida assolve solo una funzione di verifica della legittimità delle operazioni. Se il sequestro del corpo del reato o delle cose a esso pertinenti fosse l’effetto giuridico di perquisizioni e ispezioni, allora andrebbe revocato e le cose sequestrate sarebbero prove inutilizzabili, per nullità derivata o per l’inutilizzabilità di cui all’art. 191, co. 1, c.p.p. (non derivata ma originaria). Allo stato attuale, della giurisprudenza e della legislazione, le cose non stanno così e il sequestro non è revocabile (utilizziamo il termine in accezione atecnica, come sinonimo di annullabile) se la perquisizione di polizia è stata eseguita fuori dei casi di legge. Detto per inciso, poiché si ragiona, in sostanza, d’invalidità del sequestro, la scelta non appare contestabile, quantomeno nell’ottica degli interessi processuali. L’invalidità è, infatti, un presidio di protezione delle forme processuali, le quali sono scelte dal legislatore ordinario perché l’atto sia idoneo a perseguire certi interessi 68: l’interesse che persegue il sequestro, in quanto atto probatorio, è quello di fornire prove attendibili al giudice. A differenza di ciò che si verifica per il vizio in fase di formazione della prova dichiarativa, ad esempio per mancata integrazione del contraddittorio,69 il vizio in fase di ricerca della prova reale (perché la polizia non ha rispettato i presupposti di urgenza, ad esempio) non pregiudica l’attendibilità della prova: sotto questo profilo, non avrebbe senso predicarne l’invalidità. Se la si predicasse, in un’ottica di garanzia delle libertà fondamentali, invece, delle due l’una. Da un lato, la prova sequestrata potrebbe essere inutilizzabile, e quindi il sequestro non rinnovabile anche quando fosse “utile” (perché disposto su una cosa pertinente al reato),70 ma, così facendo, la mancata convalida della perquisizione comporterebbe anche una preclusione verso nuovi atti probatori sullo stesso oggetto, mentre, ex art. 391, co. 5 e 7, c.p.p., la mancata convalida dell’arresto e del fermo obbligatorio non comporta alcuna preclusione verso nuovi provvedimenti di privazione della libertà personale dell’individuo quando questi siano “utili” (perché sussistenti le esigenze cautelari).71 Oppure, come afferma la giurisprudenza di legittimità quando il sequestro è annullato per motivi diversi dalla non pertinenza della cosa al reato, 72si potrebbe ritenere che la mancata convalida non impedisca all’autorità giudiziaria di disporre un nuovo sequestro sulla stessa cosa, vanificando però la portata di garanzia della «revoca degli effetti» dell’atto non convalidato. 4. La possibilità di ricavare per analogia dall’art. 13 Cost., co. 3 un divieto di utilizzo della prova. La portata lesiva dell’utilizzo della prova sulla libertà personale e di domicilio e l’art. 8 CEDU 67 Sull’importanza della reductio ad absurdum nell’interpretazione costituzionale, v. R. BIN, «Al cuor non si comanda»: valori, regole, argomenti e il "caso" nella motivazione delle sentenze costituzionali , in AA. VV. La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale. Atti del Seminario di Messina, 7-8 maggio 1993, a cura di A. RUGGERI, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 332-333 68 F. CORDERO, Nullità, sanatorie, vizi innocui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, p. 703 69 Sulla «forza epistemica del contraddittorio», v. per tutti, P. FERRUA, op. cit., pp. 20-22 e 107-109 70 Se una prova acquisita in spregio a un divieto probatorio è inutilizzabile, infatti, una seconda acquisizione della stessa violerebbe nuovamente lo stesso divieto probatorio e la prova sarebbe, ancora una volta, inutilizzabile, v. C. CONTI, Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), cit., p. 5 71 Su quest’ultimo punto, F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 488; F. CAPRIOLI, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di procedura penale, a cura di G. CONSO – V. GREVI – M. BARGIS, Padova, Cedam, 2014, p. 559; in giurisprudenza, Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2001, Blake, n. 8849, in Cass. pen., 2002, p. 625 72 Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 1999, De Nardi, n. 709, in Cass. pen., 2000, p. 2071, in cui la convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria è stata annullata per assenza del periculum in mora e omissione dell’immediato coinvolgimento del magistrato inquirente; Cass. pen., sez. III, 10 maggio 1999, Burjak, n. 1766, ivi, 2001, p. 1583 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Le considerazioni appena svolte non escludono che dall’art. 13 Cost., co. 3 si possa ricavare, comunque, non per interpretazione strettamente intesa ma per costruzione giuridica,73 un divieto di utilizzo della prova scoperta a seguito di perquisizione o ispezione di polizia non convalidata (o che non merita convalida) perché operata fuori dei casi di legge. L’art. 13 Cost., co. 3 priva inequivocabilmente arresto e fermo non convalidati degli effetti giuridici che hanno prodotto. Perché lo fa? Perché l’effetto giuridico, che si è descritto supra, dell’arresto e del fermo comporta una lesione (se vogliamo, materiale) della libertà personale dell’arrestato o del fermato che deriva da un atto illegittimo. Se anche l’utilizzo (o l’acquisizione) della prova sequestrata a seguito di perquisizione o ispezione di polizia non convalidata fosse lesivo della libertà personale dell’individuo, allora, basterebbe ricorrere all’analogia74: pur essendo un caso non espressamente previsto dalla disposizione costituzionale, in quanto effetto materiale e non giuridico, l’utilizzo della prova sarebbe un caso troppo simile al mantenimento dello stato di arresto o di fermo, in quanto parimenti lesivo della libertà personale, da dover essere, di necessità, disciplinato allo stesso modo, e quindi vietato. I precedenti della Corte costituzionale sembrano essere del parere che l’utilizzo della prova scoperta in violazione dei diritti costituzionali costituisca una seconda lesione di tali diritti. Ragionando di un argomento affine a quello che ci interessa, l’utilizzabilità nel processo di intercettazioni telefoniche disposta senza previa autorizzazione del magistrato come impone, a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni, l’art. 15 Cost., i giudici delle leggi, nella sentenza n. 34 del 1973, hanno enunciato il ‘principio’ per il quale un’attività «compiuta in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino» non può fornire al processo prove da utilizzare contro l’imputato, dato che altrimenti, nel caso in cui fossero utilizzate, «un diritto "riconosciuto e garantito" come inviolabile dalla Costituzione sarebbe davvero esposto a gravissima menomazione».75 Se i giudici delle leggi si limitassero ad applicare la regola appena descritta, la questione di legittimità costituzionale che qui si commenta sarebbe già risolta. La perquisizione e l’ispezione di polizia compiute fuori dei casi previsti dalla legge sono chiaramente ‘attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino’ perché aggrediscono la libertà personale e di domicilio dell’individuo in circostanze in cui la Costituzione e la legge non permettono tale aggressione. C’è da augurarsi, però, che la Corte non si accontenti di conformarsi, pianamente, al proprio precedente. In quella sentenza l’affermazione per la quale l’utilizzo a carico dell’imputato di prove scoperte grazie ad attività lesive delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione rappresenterebbe, a 73 In questa sede, si accede per comodità alla definizione dell’interpretazione giuridica, strettamente intesa, come attribuzione di significato a un testo normativo, scegliendo tra quelli possibili secondo l’uso linguistico comune, che la contrappone alla cd. ‘costruzione giuridica’, la quale si compone di varie attività creative di norme inespresse, tra le quali figura l’analogia, v. R. GUASTINI, op. cit., p. 382 ss.. La bipartizione proposta dall’Autore non è, tuttavia, incontestata: v. G. PINO, Interpretazione cognitiva, interpretazione decisoria, interpretazione creativa, in Riv. fil dir., 2013, p. 88 ss.; E. DICIOTTI, Norme espresse e norme inespresse. Sulla teoria dell’interpretazione di Riccardo Guastini, ivi, p. 105 ss. 74 Si accede, sempre per comodità, in questa sede alla tesi di V. VELLUZZI, Le Preleggi e l’interpretazione. Un’introduzione critica, Pisa, Edizioni ETS, 2013, p. 95, per la quale la distinzione tra interpretazione estensiva e analogia sta nel ricavare la prima una norma coerente con uno dei significati attribuibili al testo della disposizione legislativa ma che precedentemente era escluso dagli interpreti, mentre la seconda produrrebbe una norma che non è ricavabile dal novero dei significati attribuibili a una disposizione vigente. Per una rassegna delle diverse opinioni sulla questione, v. p. 91-94. Il problema, dalle significative ricadute pratiche nell’ambito del diritto penale, in virtù dell’art. 14 Preleggi, è pressoché irrilevante nell’ambito dell’interpretazione costituzionale, dato che le regole costituzionali sono formulate in un linguaggio «non tecnicizzato, spesso lapidario o incompleto, quando non ambiguo, valutativo in termini vaghi e quindi dotato di maggior apertura semantica» (L. MENGONI, op. cit., p. 120) e che vanno, a ogni modo, riferite ai principi supremi della Costituzione (come si farebbe in caso di analogia iuris), v. A. BALDASSARRE, Una risposta a Guastini, in Giur. cost., 2007, p. 3280 75 Corte cost., 21 marzo – 6 aprile 1973, n. 34, in Giur. cost., 1973, p. 316 ss., con nota di V. GREVI, Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte Costituzionale in tema di intercettazioni telefoniche, il principio è stato ripetuto in un’altra occasione, sempre con riferimento alla libertà e segretezza delle comunicazioni ma nel caso di acquisizione di tabulati di comunicazioni telefoniche, in Corte cost., 16 dicembre 1992 – 26 febbraio 1993, n. 81, in Giur. cost., 1993, p. 731 ss. con nota di A. PACE, Nuove frontiere della libertà di «comunicare riservatamente» (o, piuttosto, del diritto alla riservatezza)? Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 sua volta, una menomazione di tali libertà è presentata come un’anapodissi, un assunto che non ha bisogno di giustificazione. E invece è proprio della fondatezza di questa conclusione che bisogna dar conto, posto che una norma costituzionale, sia essa o un principio 76 o una regola, si giustifica in quanto strumentale al perseguimento di un valore, in questo caso quello della libertà personale o di domicilio.77 Per «far valere a carico dell’interessato[…] delle prove ottenute in dispregio dei diritti fondamentali» basta acquisirle, tramite allegazione al fascicolo del dibattimento, e valutarle in motivazione della sentenza o di altro provvedimento decisorio. Nessuna di queste due attività, di per sé, sembra ledere la libertà personale dell’individuo, se questa è intesa come «pretesa di evitare indebite coercizioni sul proprio corpo»78: la coercizione indebita (la lesione) si è già consumata ed esaurita con la perquisizione o l’ispezione vietata; acquisizione e valutazione della prova sono atti diversi e inoffensivi. La tesi per la quale l’utilizzo a carico dell’imputato di una prova, scoperta grazie ad attività lesive delle libertà fondamentali, sarebbe anch’esso lesivo di tali libertà sembra poggiare sul presupposto, implicito, che imputato e chi subisce l’attività di ricerca della prova siano la stessa persona, che difatti è condizione imprescindibile per l’applicazione dell’exclusionary rule nel processo statunitense79: se l’imputato subisce un torto dalla pubblica autorità con l’attività di ricerca lesiva delle sue libertà, l’utilizzo a suo carico della prova scoperta grazie a tale attività rincarerebbe la portata del torto subito. Si consideri, però, che non sempre chi ha subito una perquisizione di polizia illegittima è anche l’imputato contro cui la prova così scoperta sarà utilizzata. Quando a subire la perquisizione o l’ispezione fuori dei casi di legge è un soggetto diverso dall’imputato, per quale motivo tale soggetto subirebbe una seconda lesione della propria libertà personale o di domicilio, a causa dell’utilizzo della prova nel processo, se tale libertà è già stata lesa e se gli atti successivi, a carico di una persona diversa, di per sé, non la insidiano? Nella stessa ipotesi, per quale motivo la libertà personale, o addirittura di domicilio, dell’imputato sarebbe indebitamente violata dall’acquisizione e dalla valutazione a suo carico della prova scoperta, posto che la lesione autentica di tali libertà (la perquisizione o l’ispezione contra legem) è già stata subita da un terzo? Certo è quanto segue: se si conformasse al proprio precedente, la Corte costituzionale si discosterebbe dalle opposte convinzioni fatte proprie dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sull’art. 8 della Convezione europea dei diritti dell’uomo. Tra i diritti protetti dall’art. 8 CEDU, co. 1 figurano, oltre al diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza (espressamente menzionato dal testo), anche il diritto al rispetto del domicilio 76 F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale, in Scritti sull’interpretazione costituzionale,cit., p. 32 Con riferimento ai principi, v. nota precedente, la strumentalità delle regole rispetto ai principi è invece affermata, tra gli altri, da A. BALDASSARRE, loc. cit., («tutte le norme costituzionali, incluse quelle che appaiono come le più particolari, […] vanno comprese nel significato loro attribuibile in modo da riferirle ai principi supremi e ai valori ultimi della Costituzione»); C. PINELLI, Principi, regole, istituti, in Diritto pubblico, 2015, p. 48, per il quale alle regole spetta una «funzione cruciale, per l’attuazione come per l’applicazione dei princìpi» 78 M. RUOTOLO, sub art. 13, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI, Torino, UTET, 2006, I, a parere del quale tale concezione della libertà personale è anche quella prevalente nella giurisprudenza costituzionale, pp. 323-324; propendono per la nozione ‘fisica’ della libertà personale protetta dall’art. 13 Cost.: A. PACE, op. cit., p. 294; C. DE FIORES, Libertà personale, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 2006, p. 3525; in giurisprudenza, . Scorge maggior varietà di vedute negli orientamenti della Corte, aperta in più di un’occasione a inglobare nella nozione di libertà personale anche la libertà morale, A. CERRI, Libertà personale (dir. cost.), in Enc. Giur., XIX, Roma, 1991, p. 3 cui si rimanda per una rassegna completa degli orientamenti giurisprudenziali. A ogni modo, non vi sono ragioni per concludere che l’utilizzo della prova aggredisca la libertà morale dell’imputato, se si considera questa (come fa parte della dottrina, v. ID., p. 4) come vis impulsiva sulla persona 79 M. PAPA, Brevi spunti sulle rules of evidence, in Il processo penale negli Stati Uniti d’America, a cura di E. AMODIO – M. CHERIF BASSIOUNI, Milano, Giuffrè, 1988, p. 368; R. J. ALLEN –W. J STUNTZ – J. L HOFFMANN–D. A. LIVINGSTON – A. D LEIPOLD – T. L MEARES, Comprehensive criminal procedure, New York, Wolters Kluwer, 2016, pp. 715-716; in giurisprudenza, in particolare, Rakas v. Illinois, 439 U.S. 140 (1978) 77 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 (anch’esso espressamente menzionato dal testo) e il diritto al rispetto dell’integrità psicofisica, che la Corte EDU ricava dal concetto di ‘vita privata e familiare’80. La disposizione copre, quindi, un ambito di tutela che, esclusa la protezione dalle privazioni della libertà personale (arresti e fermi) cui provvede l’art. 5, certamente, comprende anche situazioni soggettive perfettamente sovrapponibili a quelle tutelate dagli artt. 13, 14 e 15 Cost. e protegge, anche, da perquisizioni e ispezioni contra legem.81 Già sul piano generale, i giudici di Strasburgo hanno dichiarato che, se una prova è scoperta grazie ad attività lesive dei diritti protetti dall’art. 8 della Convenzione, l’utilizzo della prova non costituisce una seconda violazione del diritto infranto.82 Cionondimeno, chi subisce la lesione di un diritto che gli è riconosciuto dalla Convenzione ha diritto, ex art. 13, «a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali». Affinché tale diritto sia rispettato, è sufficiente che chi ha patito l’abuso abbia la possibilità di accedere a una procedura attraverso la quale possa rivolgersi a un’autorità, terza e indipendente ma non necessariamente giurisdizionale, per lamentare la violazione patita e ottenere, nel caso in cui sia accertata, un rimedio.83 Il rimedio può consistere nella cessazione materiale del comportamento lesivo; nell’annullamento, ritiro o modifica dell’atto lesivo; nel risarcimento di carattere civile; in una sanzione penale o disciplinare.84 Nella sentenza Posevini c. Bulgaria, la Corte EDU ha puntualizzato che tanto vale anche laddove la violazione dei diritti riconosciuti dall’art. 8 CEDU, co. 1 consista in una perquisizione illegittima, con l’eccezione che il diritto al ricorso effettivo non è rispettato se si tratta di un procedimento disciplinare cui chi ha sofferto la lesione non può partecipare.85 In tema di perquisizioni, con una pronuncia assai recente, Kalnėnienė c. Belgio, 86 i giudici di Strasburgo hanno rifinito un sunto delle considerazioni appena svolte. La ricorrente, che era stata condannata in forza di prove scoperte dalla polizia in seguito a perquisizione illegittima (sia per il diritto interno sia per la Convenzione), lamentava la lesione del suo diritto a una riparazione effettiva poiché i giudici nazionali, nonostante avessero riconosciuto l’illegittimità della perquisizione, avevano rigettato l’eccezione di inutilizzabilità di tale prova. La Corte EDU ha risposto che, affinché sia rispettato l’art. 13 CEDU, non necessariamente il rimedio per aver subito una perquisizione in violazione dei diritti riconosciuti dall’art. 8 CEDU deve consistere nella soppressione della prova, essendo a tal fine sufficiente la possibilità di agire in giudizio civile per il risarcimento del danno alla propria libertà sofferto a causa della perquisizione. Nella sentenza, si individua la disposizione che riconoscerebbe tale possibilità nell’art. 1382 del code civil belga, il quale recita: “Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à autrui un dommage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé, à le réparer”. Non tragga in inganno la considerazione che, se si traduce il contenuto della disposizione belga, si ottiene, sostanzialmente, il testo dell’art. 2043 del codice civile italiano.87 Nonostante i testi siano pressoché speculari, la nozione di danno (dommage) che dà 80 Tra le altre, C. eur., YF c. Turchia, 22 ottobre 2003, n. 24209/94, § 33; Pretty c. Regno Unito, 29 luglio 2007, n. 2346/02, § 61; X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, n. 8978/80, § 22. Sul punto, più nel dettaglio, v. C. PAVARANI, sub art. 8, in La Convenzione europea dei diritti dell’uomo commentata ed annotata, a cura di C. DEFILIPPI – D. BOSI – R. HARVEY, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 294 81 C. eur., Murray c. Regno Unito, 29 ottobre 1994, n. 14310/88, § 86; C. eur., Chappell c. Regno Unito, 30 marzo 1989, n. 10461/83, §§ 50-51; C. eur., Funke c. Francia, 25 febbraio 1993, n. 10828/84, § 48; Wainwrught c. Regno Unito, 29 settembre 2006, n. 12350/04, § 46. Che le forme di invasione delle libertà descritte dall’art. 8 debbano essere disciplinate dalla – e conformi alla – legge è espressamente previsto dal co. 2 della stessa disposizione, v. C. PAVARANI, op. cit., p. 373 ss. 82 C. eur., Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1998, n. 10862/84, § 52-53 83 A. PERTICI – R. ROMBOLI, sub art. 13, in Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S. BARTOLE – B. CONFORTE – G. RAIMONDI, Padova, Cedam, 2001 pp. 394 e 396-397 84 Idem, p. 395 85 C. eur., Posevini c. Bulgaria, 19 gennaio 2017, n. 63638/14, § 84 86 C. eur., Kalnėnienė c. Belgio, 31 gennaio 2017, n. 40233/07; per un più ampio commento della pronuncia, v. C. CONTI, Osservatorio Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. pen. proc., 2017, pp. 682-683 87 Nonostante, a differenza dell’art. 2043 c.c., non sia presente nella disposizione belga un riferimento esplicito all’ingiustizia del danno, inteso come lesione di un diritto tutelato, esso è considerato implicito dalla giurisprudenza e dalla dottrina, v. P. VAN Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 luogo a responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 1382 code civil comprende, oltre al danno patrimoniale, anche il danno non patrimoniale88 e quindi il danno da lesione della propria libertà89. Come ben noto, la responsabilità descritta dall’art. 2043 c.c., all’opposto, è soltanto quella da danno patrimoniale. Nell’ordinamento italiano, la disposizione che riconosce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale è, invece, l’art. 2059 c.c. È in forza dell’art. 2059 che chi ha subito una perquisizione o un’ispezione fuori dei casi di legge, in quanto lesive della libertà personale o domiciliare del perquisito e quindi causa di un danno da lesione di un diritto costituzionalmente garantito,90 può ottenere ristoro, in sede civile, dalla lesione patita. Laddove la perquisizione o l’ispezione di polizia (a prescindere da che sia operata o non nel rispetto della legge) cagioni, per le modalità di esecuzione, al perquisito un danno patrimoniale, questi potrà presentare ‘richiesta in via amministrativa’ di risarcimento danni, liquidato al termine del procedimento amministrativo di cui al d.p.r. 388 del 1994. In sostanza, l’ordinamento italiano non sembra porsi in contrasto con l’art. 8 CEDU, come ipotizzato dal g.i.p. del Tribunale di Lecce; perlomeno, non con l’interpretazione che della disposizione fornisce la giurisprudenza comunitaria. L’utilizzo della prova scoperta tramite attività lesive dei diritti di cui all’art. 8 non costituisce una seconda lesione di tali diritti; il diritto a un ricorso e a un rimedio effettivi di cui all’art. 13 è invece soddisfatto dalla possibilità di adire il giudice civile affinché pronunci condanna al risarcimento del danno esistenziale sofferto da perquisizione e ispezione illegittime ex art. 2059 c.c. Certo, il giudice rimettente presenta l’utilizzabilità della prova come un problema di mancata prevenzione dell’aggressione dei diritti di cui all’art. 8 CEDU, più che come una seconda lesione degli stessi, e chissà che la Consulta non decida di sottoporre la questione all’attenzione della Corte di Strasburgo. Detto parenteticamente, l’utilizzo a carico dell’imputato di una prova scoperta in violazione dell’art. 8 CEDU non integra neppure una violazione del diritto a un giusto processo sancito dall’art. 6 CEDU,91 a meno che le circostanze del ritrovamento facciano dubitare dell’attendibilità della prova, evenienza riscontrata quasi sempre laddove si sospetti che siano stati i perquirenti o chi ha eseguito l’ispezione a piazzare la prova nel luogo del presunto ritrovamento.92 Poiché il corpo del reato né le cose e le tracce a esso pertinenti non sono prove legali, tuttavia, nulla impedisce al giudice italiano di ritenerli, in sede di valutazione, prove inattendibili e quindi inidonee a formare il proprio convincimento, in ragione delle circostanze del ritrovamento, deducibili dai verbali. OMMESLAGHE, Traité de droit civil belge, II, Les obligations, coll. De Page, Bruxelles, Bruylant, 2013, p. 1541 ss.; la responsabilità, deve essere, invece, a titolo di dolo o di colpa, v. ID., p. 1214-1236, o, in alcuni casi, oggettiva, v. ID., 1445 s. 88 Che è chiamato dommage moral ma ha un’estensione più lata dell’omonimo ‘danno morale’ italiano, poiché comprende tutte le forme di danno non patrimoniale (offesa all’onore, danno biologico e via dicendo), v. Idem, p. 1602-1603 89 Idem, p. 1603 90 La risarcibilità del ‘danno da lesione di un diritto costituzionale’, è stata riconosciuta dalle cd. «sentenze gemelle», Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, in Foro it., 2003, I, c. 2273 e Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, ivi, c. 2272. Orientamento poi parzialmente riveduto dalle cd. sentenze di San Martino, Cass. civ., Sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 (in Danno resp., 2009, p. 19, con note di A. PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni unite. Un “de profundis” per il danno esistenziale; S. LANDINI, Danno biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze della Cass. SS. UU. 26972, 26973, 26974, 26975/2009; C. SGANGA, Le Sezioni unite e l’art. 2059 c.c.: censure, riordini e innovazioni del dopo principio), con le quali l’area della risarcibilità è stata circoscritta alle sole lesioni di diritti costituzionali inviolabili. Fuor di dubbio che vi rientrino anche le lesioni della libertà personale e di domicilio, il ristoro potrebbe non essere assicurato nel caso in cui il danno sofferto sia di entità tanto lieve da essere considerato «bagatellare» e quindi fuori dall’area della risarcibilità. A ogni modo, il «diritto a un rimedio effettivo» di cui all’art. 8 CEDU non è una garanzia di risultato ma, piuttosto, una garanzia di mezzi: affinché sia rispettato è sufficiente che sussista la concreta possibilità di ottenere ristoro laddove sia, però, meritato, v. A. PERTICI – R. ROMBOLI, op. cit., p. 396. Per una panoramica completa sulle questioni testé accennate, v. P. ZIVIZ, sub art. 2059, in Commentario al codice civile, a cura di P. CENDON, Milano, Giuffrè, 2008-2010, pp. 704-803. Per l’implicita affermazione della risarcibilità del danno non patrimoniale da violazione del domicilio per errata esecuzione di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, v. Cass. civ., sez. III, ord. 26 ottobre 2017, n. 25416, in lex24 91 C. eur., Schenk c. Svizzera, cit., §§ 39-51; C. eur., Khan c. Regno Unito, 4 ottobre 2000, n. 35394/97, §§ 29-40 92 C. eur., Lisica c. Croazia, 25 febbraio 2010, n. 20100/06, §§ 51-54; C.eur., Layijov c. Azerbaigian, 10 luglio 2014, n. 22062/07, § 64 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 5. L’inutilizzabilità come deterrente da perquisizioni e ispezioni contra legem: il bilanciamento tra ottimizzazione della tutela delle libertà personali e di domicilio e l’interesse pubblico alla repressione dei reati. Spunti comparatistici. La proposta del rimettente, di concepire l’inutilizzabilità della prova come deterrente dagli abusi di polizia, offre la possibilità di esaminare il problema sotto una luce diversa, che merita di essere approfondita. Ciò che si è tentato di dimostrare sinora è, unicamente, che il legislatore processuale penale, autorizzando l’utilizzo della prova, non determina né una lesione diretta della libertà personale e di domicilio né sembrerebbe aggredirne il contenuto essenziale, quantomeno perché non sembra interferire con il livello minimo di garanzia93 imposto dalla Costituzione, dato che, almeno esplicitamente, l’art. 13 Cost., co. 3 non pretende l’inutilizzabilità della prova sequestrata come garanzia94 di protezione della libertà personale.95 L’art. 13 Cost., co. 1, tuttavia, qualifica a chiare lettere il diritto alla libertà personale come inviolabile e altrettanto fa l’art. 14 Cost., co. 1 con il diritto alla libertà di domicilio. Si può guardare, almeno in omaggio all’ineguagliabile chiarezza esplicativa della definizione,96 ai diritti inviolabili della libertà personale e di domicilio (o ai principi di inviolabilità della libertà personale e di domicilio, il che è equivalente) come a «precetti di ottimizzazione», i quali «prescrivono che [i valori della libertà personale e del domicilio] debbano essere realizzati, con specifiche regole di diritto, nella massima misura compatibile con le condizioni giuridiche e di fatto».97 93 F. MODUGNO, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007, p. 17 Intendendo per «garanzia costituzionale», un «congegno di protezione di determinati interessi contro l’eventualità di offese», C. MORTATI, op. cit., p. 1105 95 Contra, A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, Padova, Cedam, 2003, pp. 289-303. È da segnalare che, tuttavia, sebbene l’Autore in quest’opera inserisca l’inutilizzabilità tra le garanzie costituzionali e in Libertà personale, cit., argomenti a favore della possibilità di interpretare in tal senso l’art. 13 Cost., co. 3 (v. supra, sub 2)), in entrambi gli scritti conclude che il divieto di utilizzo della prova sarebbe, comunque, ricavabile dai principi dello Stato di diritto. Non vi è lo spazio per trattare l’argomento, non toccato dal giudice rimettente. Per uno spunto critico si può tuttavia indicare l’art. 5 della Costituzione svizzera, che nel definire i principi dell’«Etat régi par le droit», al co. 3 prescrive che gli organi statali agiscano «in buona fede». A volerne ricavare un insegnamento utile per risolvere la questione che ci interessa, si potrebbe allora obiettare che inutilizzabili siano soltanto le prove scoperte per violazioni dolose dei diritti fondamentali, non essendo la buona fede incompatibile con la colpa (o almeno con quella non grave, v. art. 1147 c.c., co. 2). Meno persuasivo il tentativo dell’A. di ricavare un divieto della prova illecitamente scoperta dall’art. 111 Cost., in quanto sembrerebbe assimilare il problema a quello del rispetto del diritto al contraddittorio, che è invece questione diversa, v. supra, nota 69 96 La correttezza della definizione che si riporta, infatti, non è incontestata in dottrina. Tuttavia, è d’uopo distinguere tra le critiche che negano in radice la razionalità del bilanciamento, quale quella di J. HABERMAS, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, trad. it. a cura di L. CEPPA, Milano, Guerini, pp. 302 ss., e quelle mosse dagli Autori che, pur disapprovando la proposta di ALEXY per altri aspetti (tra gli altri, A. BALDASSARRE, Interpretazione e argomentazione nel diritto costituzionale, in Costituzionalismo.it, 2007, II, pp. 19-21; G. PINO, op. ult. cit., p. 135 ss.) che, nondimeno, riconoscono nel bilanciamento lo strumento di risoluzione dei conflitti tra principi costituzionali (tra gli altri, A. BALDASSARRE, Una risposta a Guastini, cit., p. 3281-3290; ID., Interpretazione e argomentazione nel diritto costituzionale, cit., pp. 21 ss.; G. PINO, op. ult. cit., p. 138 ss.). La formula che descrive i principi quali « precetti di ottimizzazione», i quali «prescrivono che qualcosa debba essere realizzato, con specifiche regole di diritto, nella massima misura compatibile con le condizioni giuridiche e di fatto» rende, con la maggior sintesi possibile, la dinamica della convivenza tra i principi, e della rispettiva portata estensiva, all’interno di un ordinamento costituzionale: un principio è destinato a estendersi sin dove possibile, ovverosia sino a quando non la sua applicazione non importi un sacrificio eccessivo dei valori sottesi ad altri principi e non sopperisca, pertanto, in sede di bilanciamento (secondo i criteri che vedremo immediatamente infra). Altra questione, che qui sarebbe fuor d’opera trattare, è se il bilanciamento risolva un conflitto tra principi senz’altro (L. MENGONI, op. cit., p. 122; A. BALDASSARRE, op. cit., p. 3276-3282; F. MODUGNO, Sulla specificità dell’interpretazione costituzionale, in Scritti sull’interpretazione costituzionale, cit., p. 231 ovvero se debba condurre alla formulazione di una regola che permette di disciplinare la situazione di conflitto, come sostiene, ad esempio, R. GUASTINI, Sostiene Baldassarre, in Giur. cost., 2007, p. 1379-1380 e, in parte, anche R. ALEXY, Teoria dei diritti fondamentali, cit., p. 110 ss. 97 Testualmente, con riferimento ai diritti fondamentali in generale, R. ALEXY, Diritti fondamentali, bilanciamento e razionalità, trad. it. a cura di D. CANALE, in Ars Interpretandi, 2005, p. 50; per la definizione, più generale, dei principi come precetti di ottimizzazione, v. ID., Teoria dei diritti fondamentali, trad. it. a cura di L. DI CARLO, Bologna, il Mulino, 2012, p. 106 ss.; aderiscono alla proposta definitoria dell’A., G. SILVESTRI, Dal potere ai princìpi: libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, p. 38; C. PINELLI, loc. cit.; R. GUASTINI, Applicare principi costituzionali, in R. GUASTINI – M.V. BALLESTRERO, Dialogando su principi e regole, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2017, p. 131 nt. 9, precisando che la propria adesione alla tesi del principio quale precetto di ottimizzazione non si riferisce «a uno speciale 94 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 È indubbio che il legislatore processuale penale, quando ammette l’utilizzo della prova sequestrata a seguito di ispezione o perquisizione, non realizza nella massima misura assoluta la protezione delle libertà personale e di domicilio che la Costituzione gli prescrive, non perché autorizzi una diretta lesione delle stessa ma perché rinuncia a prevenirne le autentiche lesioni, perquisizioni e ispezioni contra legem, con tutti i mezzi astrattamente disponibili. Il fine delle perquisizioni e delle ispezioni è la scoperta di prove da impiegare nel processo penale, contro l’imputato o a suo favore. Se la polizia giudiziaria sa che anche laddove la perquisizione o l’ispezione fosse dichiarata illegittima la prova sarebbe nondimeno utilizzabile, non solo non ha alcun incentivo a rispettare la legge (e quindi la libertà personale e di domicilio dell’individuo) ma, all’opposto, ha un incentivo a violarla, nel caso in cui, per assenza del fondato motivo o dei presupposti di urgenza che le legittimano, se rispettasse la legge non potrebbe eseguire la perquisizione e l’ispezione e quindi scoprire la prova. È questa conseguenza che il giudice rimettente denuncia come motivo di incostituzionalità dell’art. 191, co. 1, c.p.p. (o, se si preferirà, degli artt. 253, co. 1 e 354, co. 2, c.p.p.). Se, all’opposto, la legge imponesse l’esclusione della prova rinvenuta per mezzo di operazioni eseguite in violazione dei diritti di cui agli artt. 13 e 14 Cost. e (non solo non premiasse ma) penalizzasse l’abuso in fase investigativa, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria avrebbero, da un lato, un disincentivo a perpetrare l’abuso, dall’altro, un incentivo a rispettare le condizioni (di legge e costituzionali) del valido compimento della perquisizione o dell’ispezione: informare il pubblico ministero e ottenere un decreto a norma di legge o attendere che il prosieguo delle indagini riveli gli elementi necessari a dimostrare l’esistenza del ‘fondato motivo’. La medaglia ha, però, un’altra faccia: escludendo una prova dall’alto potenziale dimostrativo (come il corpo del reato o le cose a esso pertinenti) per ragioni diverse dall’inattendibilità della stessa, bisogna preventivare che, ogni volta che la polizia compirà una perquisizione o un’ispezione illegittima, si permetterà all’imputato, la cui colpevolezza sarebbe stata altrimenti provata oltre ogni ragionevole dubbio, di essere assolto anche quando effettivamente colpevole. In presenza di una prova scoperta tramite perquisizioni e ispezioni compiute in violazione delle libertà personale e di domicilio del perquisito o di chi ha subito l’ispezione, insomma, il legislatore ha dovuto decidere se prediligere le esigenze di ottimizzazione (nella forma di prevenzione dagli abusi di polizia) dei due diritti fondamentali e quindi vietarne l’utilizzo o se prediligere le esigenze di ottimizzazione dell’interesse pubblico, di rango costituzionale,98 alla repressione dei reati. Nel formulare una regola di utilizzabilità della prova, ha prediletto il secondo interesse, sacrificando i diritti fondamentali. Alla Corte costituzionale spetterà il compito di vagliare la ragionevolezza del sacrificio che il legislatore impone ai diritti fondamentali, controllando che tale sacrificio sia idoneo e necessario per il perseguimento dell’interesse alla repressione dei reati, nonché proporzionato rispetto ai benefici che da esso ricava l’interesse preferito.99 Ora, se il requisito di idoneità è soddisfatto laddove il mezzo prescelto dal legislatore non sia «manifestamente inidoneo […] alla realizzazione del fine»100, è ovvio che l’apprensione e la concetto di principio, ma [al] risultato di una certa interpretazione di talune disposizioni costituzionali (previamente o contestualmente) identificate come esprimenti principi» 98 Corte cost., 9 gennaio – 15 febbraio 1991, n. 88, in Foro it., 1992, c. 1004: «il principio di legalità (art. 25, secondo comma) […] rende doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale». Conformemente, Corte cost., 5 giugno – 23 luglio 1991, n. 366, cit. 99 Sono i criteri di idoneità, necessità e proporzionalità che G. SCACCIA, Ragionevolezza delle leggi, in Diz. dir. pubbl., cit., V, pp. 4808-4810, 4811-4813 (v. anche ID., Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, Giuffrè, 2000, p. 182 ss.) e F. MODUGNO, ult. op. cit., pp. 17-28 identificano come requisiti di ragionevolezza di una disposizione legislativa che sacrifichi un valore costituzionale a favore di un altro. Altri Autori attribuiscono una scansione diversa al controllo di ragionevolezza e adottano terminologie diverse per definirla, ma nei tratti fondamentali rinvengono nel giudizio di ragionevolezza il medesimo contenuto, v. R. BIN, Diritti e argomenti, cit., pp. 72-94; A. MORRONE, Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enc. Dir., Annali, II, 2, 2008, pp. 196-197 100 F. MODUGNO, op. ult. cit., p. 17 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 valutazione di prove che sono corpo del reato o cose o tracce a esso pertinenti, anche se scoperte grazie a perquisizioni o ispezioni illegittime, sia uno strumento idoneo al perseguimento del fine della repressione dei reati. Come si è visto supra, l’unica circostanza in cui la valutazione di tali prove non sarebbe idonea al perseguimento del fine sarebbe quello in cui esse siano state portate nel luogo della perquisizione o dell’ispezione direttamente dalla polizia giudiziaria, ma questa è un’eventualità indipendente da che la perquisizione o l’ispezione sia stata compiuta o meno nei casi di legge e il cui rimedio sta nella valutazione d’inattendibilità della prova.101 Altrettanto ovvio è che l’acquisizione della prova, pur illegittimamente rinvenuta, rispetti il requisito di necessarietà, intendendo questo come «la comparazione tra i mezzi astrattamente possibile per realizzare lo scopo, onde stabilire se l mezzo concretamente prescelto sia il meno invasivo del diritto individuale sacrificato»102. Nel processo penale garantista, il fine della repressione dei reati può essere perseguito esclusivamente a seguito della prova della colpevolezza dell’imputato103(e non per presunzioni normative). Infine, e questo è il sindacato sul cd. bilanciamento operato dal legislatore, la Corte deve sincerarsi che il sacrificio imposto al valore recessivo non sia eccessivo 104 e che «la disciplina positiva soddisfi pur sempre in maniera non insufficiente le esigenze di garanzia dell'interesse o del diritto limitato o ristretto».105 Come abbiamo visto, il legislatore ordinario, permettendo l’utilizzo della prova, rinuncia ad attuare una sanzione processuale che, vanificando il risultato della perquisizione e dell’ispezione compiute fuori dei casi di legge, dissuaderebbe la polizia dal compierle. È possibile, però, rinvenire nell’ordinamento italiano due altre forme di sanzioni, extraprocessuali, previste per il compimento di perquisizioni o ispezioni che ledano la libertà di domicilio e personale. Le prime, sono le pene previste dagli artt. 609 e 615 c.p., che puniscono rispettivamente le “perquisizioni e ispezioni personali arbitrarie” e le “violazioni di domicilio commesse dal pubblico ufficiale”.106 Si tratta di delitti; punibili esclusivamente a titolo di dolo. Le seconde, nel caso in cui la perquisizione e l’ispezione configurino atti di polizia giudiziaria perché compiute dopo la conoscenza della notizia di reato, sono le sanzioni disciplinari della censura e, nei casi più gravi, della sospensione semestrale dall’impiego, di cui all’art. 16 disp. att. c.p.p, inflitte all’esito del procedimento di cu all’art. 17 disp. att.107 Nel caso in cui la condotta integri anche gli estremi di uno degli illeciti disciplinari previsti al d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 73 (per la Polizia di Stato) o sanzionati con sanzioni disciplinari di corpo o di Stato (per gli appartenenti alle Forze Armate) 108, l’ufficiale o agente di polizia giudiziaria sarà soggetto anche a responsabilità disciplinare ordinaria.109 Del pari, si applicano le sanzioni ordinarie laddove l’ispezione o la perquisizione contra legem sia compiuta prima della conoscenza della notizia di reato e non configuri, per ciò, un atto di polizia giudiziaria.110 Le sanzioni disciplinari coprono anche condotte negligenti.111 101 P. FERRUA, op. cit., p. 228. V. anche supra, sub 3) Ibidem 103 L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari-Roma, Laterza, 2011, pp. 626-627 104 F. MODUGNO, op. ult. cit., p. 38 105 A. MORRONE, loc. ult. cit. 106 F. VIGANÒ, sub art. 609, in Codice penale commentato, a cura di E. DOLCINI – G. L. GATTA, Milano, Ipsoa, 2015, p. 324 ss.; P. MAGRI, sub art. 615, in Codice penale commentato, cit., p. 581 ss.; S. DE FLAMMINEIS, I reati con abuso funzionale della polizia giudiziaria e il ruolo dei privati, in Arch. pen., 2014, pp. 1-6 107 G. AMATO – A. D’ANDRIA, Organizzazione e funzioni della polizia giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale, Milano, Giuffrè, 1990, p. 49, nota 4; B. CHERCHI, Note in tema di responsabilità disciplinare della polizia giudiziaria, in Cass. pen., 2010, p. 410; L. CARBONI, sub art. 16 disp. att., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA – G. SPANGHER, Milano, Ipsoa, III, 2017, p. 657 108 d. lgs 15 marzo 2010, n. 66, artt. 1357-1362 109 B. CHERCHI, loc. cit. 110 Ibidem 111 V. TENORE – M. FRISCIOTTO – V. SCAFFA, Manuale sulla responsabilità e sul procedimento disciplinare nelle Forze Armate e di Polizia, Roma, Laurus Robuffo, 2010, pp. 234 ss. 102 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Tuttavia, le considerazioni appena svolte non bastano a garantire la ragionevolezza dell’art. 191, co. 1, c.p.p. (o degli artt. 253, co. 1 e 354, co. 2, c.p.p.). Il sindacato sul bilanciamento operato dal legislatore che è devoluto alla Corte non può arrestarsi a una dimensione astratta, come fanno le osservazioni precedenti. I giudici delle leggi devono, all’opposto, valutare anche le conseguenze materiali della scelta legislativa112: verificare nel concreto che, con l’attuale assetto normativo, le esigenze di prevenzione da perquisizioni e ispezioni lesive dei diritti di cui agli artt. 13 e 14 Cost. non restino completamente scoperte e che le sanzioni penali e disciplinari siano efficaci in tale ottica. In questo passaggio – senza dubbio il più impegnativo – può giungere in soccorso un esame, in chiave comparata, dell’esperienza statunitense.113 Nel processo penale d’Oltreoceano l’inutilizzabilità della prova scoperta a seguito di una perquisizione compiuta fuori dei casi di legge (cd. exclusionary rule) esiste da più di un secolo114 e opera su entrambi i livelli della giustizia penale, federale e statale, 115 dal 1961, quando la sentenza Mapp ne stabilì l’applicabilità anche ai processi penali statali.116 Soprattutto, è stata adottata dalla Corte suprema proprio affinché esercitasse una funzione deterrente dalle violazioni del IV Emendamento (che protegge il diritto dei consociati a non subire violazioni della propria libertà personale e di domicilio), perpetrate durante le investigazioni dalle forze di polizia,117 che sono il dominus dell’indagine preliminare118 diversamente dalla polizia giudiziaria italiana. Qui la domanda nevralgica: per quali ragioni la Corte Suprema ha ritenuto necessario ricorrere all’exclusionary rule per dissuadere le forze di polizia dal compimento di abusi in fase d’indagine (comprese, soprattutto, le perquisizioni eseguite senza mandato e in assenza dei presupposti che ne legittimano il compimento anche senza che sia stato previamente spiccato mandato)119? Esistono anche in Italia le stesse condizioni che impongono il ricorso all’inutilizzabilità della prova come fattore di deterrenza dagli abusi di polizia? Probabilmente no. Il ricorso all’exclusionary rule è stato, per la giurisprudenza della Corte suprema, l’extrema ratio («our last resort»)120 dopo che è stato accertato il fallimento del sistema di prevenzione ‘extraprocessuale’, basato su sanzioni penali, disciplinari e sulla responsabilità civile121 dell’agente 112 A. BALDASSARRE, op. cit., p. 3288; L. MENGONI, op. cit., pp. 91- 115, 133-138; F. MODUGNO, Sulla specificità dell’interpretazione costituzionale, in Scritti sull’interpretazione costituzionale, cit., pp. 229-230 113 L. MENGONI, op. cit., p. 138 114 La sentenza che diede i natali alla regola è Weeks v. United States, 232 U.S. 383 (1914) 115 Negli Stati Uniti, la legislazione e la giurisdizione penale è articolata in due livelli, statale e federale, il secondo in posizione sussidiaria rispetto al primo, v. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto penale negli Stati Uniti d’America, trad. it. di L. DE CATALDO NEUBURGER, Milano, Giuffrè, 1985, p. 10 s.; V. FANCHIOTTI, Processo penale statunitense, in Enc. dir., Annali II-1, 2008, p. 808 116 Mapp v. Ohio, 367 U.S. 643 (1961) 117 V. FANCHIOTTI, Non c’è albero cattivo che dia frutti buoni, in questa rivista, 2018, p. 208; M. PAPA, op. cit., p. 208; nella dottrina statunitense, per tutti, R. J. ALLEN E AL., op. cit., p. 327 ss. Tra le innumerevoli pronunce che hanno affermato tale funzione, v. United States v. Calandra, 414 U.S. 338, 354 (1974); United States v. Leon, 468 U.S. 897 (1984); Hudson v. Michigan, 547 U.S. 587 (2006); Herring v. United States, 555 U.S. 135 (2009); Davis v. United States, 564 U.S. 229 (2011); Utah v. Strieff, 579 U.S. _, 136 S. Ct. 2056 (2016); per una comparazione, con conclusioni divergenti da quelle che si sosterranno in questa sede, in quanto a trattamento della prova illegittimamente reperita tra ordinamento italiano e statunitense, v. F. PICCICHÈ, Sequestro a seguito di perquisizione illegittima.. Male captum bene retentum. Il caso Sala e il caso Loewen in Canada a confronto, in questa rivista, 2011, p. 623; I. BORASI, Exclusionary rule: invalidità derivata e rapporto di presupposizione in tema di attività perquirente ed intercettazioni, ivi, p. 626 ss. 118 R. GAMBINI, Il processo penale statunitense. Soggetti e atti, Torino, Giappichelli, 2001, p. 3 119 W. M. OLIVER, Prohibition's Anachronistic Exclusionary Rule, 67 DePaul L. Rev., 478-489 (2018). Può essere utile osservare che, sostanzialmente, l’exclusionary rule trova applicazione negli stessi casi in cui troverebbe applicazione l’inutilizzabilità della prova sequestrata nel processo penale italiano: soltanto quando la perquisizione è stata compiuta fuori dei casi di legge e non anche quando è stata compiuta con modalità eccessivamente aggressive, v. da ultimo, Hudson v. Michigan, 547 U.S. 590-594 (2006); R. J. ALLEN E AL., op. cit., p. 705 ss. 120 Hudson v. Michigan, 547 U.S. 586, 591 (2006) 121 42 U.S. Code § 1983, “Civil action for deprivation of rights”. Non si opererà un raffronto tra l’efficacia deterrente di questa disposizione e l’art. 2059 c.c. in quanto a quest’ultima disposizione, a differenza della prima, non è possibile attribuire una funzione afflittiva, v. P. ZIVIZ, op. cit., pp. 808-811. A ogni modo, la dottrina statunitense è, per varie ragioni, molto scettica sull’efficacia dissuasiva di tale disposizione nella prevenzione degli abusi di polizia, per una sintesi del dibattito v. J. C. SCHWARTZ, Myths and Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 di polizia che viola la disciplina delle perquisizioni. Fallimento che, nei propri tratti essenziali, perdura ancora oggi. Basti pensare che, dal 2012 al 2016, non si è registrata nessuna condanna ai sensi delle due norme penali che, a livello federale, dovrebbero punire il compimento di una perquisizione eseguita fuori dei casi di legge (18 U.S. Code §§ 2235 e 2236, che coprono esattamente quelle condotte che la Corte Suprema ha ritenuto necessario prevenire tramite il ricorso all’exclusionary rule).122 Bisogna segnalare che, invero, è possibile rinvenire qualche isolata condanna per il compimento di perquisizioni in assenza dei presupposti di legge che le legittimano ai sensi del 18 U.S. Code § 242, che punisce la «deprivation of rights under color of law».123 Si tratta, comunque, di una disposizione invocata prevalentemente per la punizione di comportamenti diversi, quali l’uso eccessivo della forza nelle operazioni di polizia, la violenza sessuale, la rapina o il furto (magari compiuti spacciandoli per perquisizioni) da parte degli agenti di polizia.124 È eloquente, a ogni modo, il dato per il quale il 98.28% delle denunce formalizzate per violazioni del § 242 non dà luogo a condanna.125 L’inerzia della repressione penale federale si può difficilmente spiegare con l’ipotesi di un ottimo funzionamento della repressione penale a livello statale. In due degli Stati nei quali vigono norme incriminatrici simili a quelle descritte dai §§ 2234 e 2235, South Dakota126 e Michigan127, ad esempio, tali disposizioni risultano parimenti inapplicate (in Michigan, addirittura, sin da quando sono in vigore)128 e, per la dottrina, tale tendenza è estesa su pressoché tutto il territorio nazionale.129 In Italia, la repressione penale delle perquisizioni e delle ispezioni abusive appare decisamente più attiva: dal 2012 al 2016 sono state iscritte al casellario giudiziale 77 condanne per perquisizione e ispezione personale arbitraria (art. 609 c.p.) e 33 per violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale (art. 615 c.p.).130 Se si considera che, negli Stati Uniti, l’assenza di repressione penale delle perquisizioni contra legem è un fenomeno storico,131 il divario, tra il dato italiano e quello statunitense sembra dipendere da fattori non contingenti, ma sistematici: a livello federale, la difficoltà di provare in giudizio la sussistenza del dolo intenzionale richiesto ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di cui al 18 U. S. Code § 242,132 diversamente dagli artt. 609 e 615 c.p., che nulla specificano in ordine alla forma del dolo dell’agente; a livello Mechanics of Deterrence: The Role of Lawsuits in Law Enforcement decisionmaking, 57 UCLA L. Rev. 1025 e note 5 e 6 (2010). Il 42 U.S.C. §14141, invece, prevede la possibilità per il giudice di emettere un decreto ingiuntivo nei confronti della law enforcement agency che adotti pratiche lesive dei diritti costituzionali. Si tratta di una previsione inesistente nell’ordinamento italiano, i cui risultati sono stati tuttavia, «at best, mixed», v. L. ROSENTHAL, Good and bad ways to address police violence, 48 The Urban Lawyer, 691 (2016). Si consideri che, per ottenere un decreto ingiuntivo, l’attore deve provare la concreta possibilità di subire in futuro nuovi abusi di polizia, v. R. J. ALLEN E AL., op. cit., pp. 339-341 122 UNITED STATES BUREAU OF JUSTICE STATISTICS, Data on 18 U.S. Code §§ 2234-2235-2236 cases filed or terminated from 2012 to 2016, comunicazione personale, 7 maggio 2018 123 Per un esempio, isolato, United States v. Cooney, 217 F. Supp. 417 (D. Colo. 1963) 124 B. R. JOHNSON – P. B. BRIDGMON, Depriving Civil Rights. An Exploration of 18 U.S.C. 242 Criminal Prosecutions 20012006, 34 Criminal Justice Review, 196 (2009), passim; R. J. ALLEN E AL., op. cit., p. 342 125 B. R. JOHNSON – P. B. BRIDGMON, op. cit., p. 200 126 S.D. Cod. Laws §§ 22-12-10, 22-12-13 127 Mich. Comp. Law §780.658 128 MICHIGAN SUPREME COURT – STATE COURT ADMINISTRATIVE OFFICE, Data on Mich. Comp. Law §780.658 charges, comunicazione personale, 16 febbraio 2018; SOUTH DAKOTA UNIFIED JUDICIAL SYSTEM, Data on S.D. Cod. Laws § 22-12-10 and S.D. Codified Laws § 22-12-13 charges since 2010, comunicazione personale, 15 novembre 2017 129 M. M. CHEH, Are law suits an answer to police brutality?, in AA. VV., And Justice for All. Understanding and controlling the Police Use of Force, Washington, Police Executive Research Forum, p. 240 130 ISTAT, Rilevazione sui condannati per delitto e contravvenzione con sentenza irrevocabile, 2012-2016, Dettaglio reati commessi – reg., in dati.istat.it, Giustizia e sicurezza, Giustizia penale 131 R. A. EDWARDS, Criminal Liability for Unreasonable Searches and Seizures, 41 Va. L. Rev. 621, 632 (1955) 132 Lo specific intent necessario affinché sia integrato il requisito della «willfullness» secondo la sentenza Screws v. United States, 325 U.S. 102, 103, 104 (1945) è, almeno stando a quanto affermano i diretti interessati, la causa principale dello scarso numero di azioni penali esercitate ex § 242 dalla Civil Rights Division del Department of Justice, v. M. TEITELBAUM, Willful Intent: U.S. v. Screws and the Legal Strategies of the Department of Justice and NAACP, 20 U. Pa. J.L. & Soc. Change 203 ss. (2017);. M. J. PASTOR, A Tragedy and a Crime: Amadou Diallo, Specific Intent, and the Federal Prosecution of Civil Rights Violations, 6 N.Y.U. J. Legis. & Pub.Pol'y 171-205 (2002). Una forma di dolo tanto grave ma precisa è stata richiesta dalla Corte suprema per salvare la legittimità costituzionale del 18 U.S. Code § 242, il cui testo sarebbe stato, altrimenti, eccessivamente vago, Screws v. United States, 325 U.S. 102 (1945) Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 locale e statale, il fatto che la rinuncia a perseguire in giudizio penale tali condotte dipende da una scelta ben precisa degli organi d’accusa. Una scelta, se si vuole, “politica”, dettata dalla necessità di preservare buoni rapporti di collaborazione con le forze di polizia,133 collaborazione che non è garantita all’autorità giudiziaria, in quanto non vi è alcun rapporto di dipendenza della polizia da quest’ultima.134 Tutto a voler escludere in buona fede che, dato che quella di prosecutor locale e statale è quasi sempre una carica elettiva,135 il disinteresse a perseguire i reati della polizia (in difesa dei “diritti dei delinquenti”) non dipenda da valutazioni inerenti il proprio tornaconto elettorale.136 Scelte politiche che, a ogni modo, sono precluse ai pubblici ministeri italiani, tenuti in forza del principio di obbligatorietà dell’azione penale (artt. 112 Cost. e 50, co. 1, c.p.p.) ad agire ogniqualvolta ricevano una notizia di reato, anche se compiuto dalle forze di polizia. Le differenze che separano gli ordinamenti disciplinari italiano e statunitense e l’assenza di dati certi sul funzionamento degli stessi non consentono, invece, di operare un confronto rigoroso. Negli Stati Uniti, invero, manca un sistema unitario di polizia, oltre alla polizia federale: ogni esecutivo, locale o statale, può istituire le proprie forze dell’ordine (law enforcement agency)137 che possono stabilire autonomamente sanzioni e procedure disciplinari.138 La maggior parte degli Autori non è convinta, tuttavia, che, allo stato attuale delle cose, il sistema disciplinare di polizia statunitense fornisca un valido presidio di deterrenza dagli abusi di polizia e, a dimostrazione di ciò, si concentra tendenzialmente su come sarebbe migliorabile con politiche di coordinamento nazionale.139 A ogni modo, quando la sentenza Mapp decise di estendere l’exclusionary rule anche ai processi statali, i sistemi disciplinari di polizia erano pressoché inesistenti e, comunque, inefficaci nella prevenzione delle perquisizioni illegali.140 Quantomeno sul piano sostanziale, i sistemi disciplinari delle Forze Armate e di Polizia (e, in misura minore, anche il microsistema di cui agli artt. 16 e 17 disp. att. c.p.p.) possiedono quei requisiti che la dottrina d’Oltreoceano indica come condizioni di efficacia di un sistema disciplinare di polizia. Soprattutto nell’ambito delle sanzioni disciplinari della Polizia di Stato si riscontra una puntuale tipizzazione degli illeciti disciplinari e, soprattutto, delle sanzioni, le quali oltre che tipizzate sono graduate, anche sulla base della recidività dell’agente.141 Il che, a parere di alcuni Autori statunitensi, garantirebbe l’uniformità della repressione e della prevenzione disciplinare e favorirebbe l’affidamento dei sottoposti nell’equità del sistema.142 Ancor più precisa risulta essere la tipizzazione degli illeciti disciplinari approntata dall’art. 16 disp. att. c.p.p., in virtù del rimando alla violazione delle disposizioni di legge che governano l’attività di polizia giudiziaria. Sono formulati in termini molto più generici, invece, gli illeciti che danno luogo a sanzioni di corpo e di 133 Ex multis, P. L. DAVIS, Rodney King and the Decriminalization of Police Brutality in America: Direct and Judicial Access to the Grand Jury as a Remedy for Victims of Police Brutality When the Prosecutor Declines To Prosecute, 53Md. L. Rev. 271, 289-91 (1994); J. V. JACOBI, Prosecuting Police Misconduct, Wis. L. Rev. 789, 802-806 (2000).; C. S. STEIKER, Second Thoughts about First Principles, 107 Harv. L. Rev. 850 (1994) 134 R. GAMBINI, Il processo penale statunitense, cit., p. 3 135 M. CHERIF BASSIOUNI, Lineamenti del processo penale, in Il processo penale negli Stati Uniti d’America, cit., p. 51; S. C. GORDON – G. A. HUBER, Citizen Oversight and the Electoral Incentives of Criminal Prosecutors, 46 American Journal of Political Science, n. 2 353 (2002) 136 M. MILLER, Police Brutality, 17 Yale L. & Pol'y Rev. 153 (1998) 137 R. GAMBINI, Il processo penale statunitense, cit., p. 1; D. H. BAYLEY, Police Function, Structure, and Control in Western Europe and North America:Comparative and Historical Studies, 1 Crime and Justice (1979), 124 138 D. H. BAYLEY, op. cit., p. 131 s.; C. S. STEIKER., op. cit., p. 834 139 A. M. HILTON, Alternatives to the Exclusionary Rule after Hudson v. Michigan: Preventing and Remedying Police Misconduct, 53 Vill. L. Rev. 48, 68 (2008); A. Z. HUQ – R. H. MCADAMS, Litigating the Blue Wall of Silence: How to Challenge the Police Privilege to Delay Investigation, 2016 U. Chi. Legal F. 213 (2016); K. C. SIMMONS, Cooperative Federalism and Police Reform: Using Congressional Spending Power to Promote Police Accountability, 62 Ala. L. Rev. 351 (2012); C. S. STEIKER, op. cit., p. 835 140 C. MCGOWAN, Rule-Making and the Police, 70 Mich. L. Rev. 659, 667 (1972); R. BATEY, Deterring Fourth Amendment Violations through Police Disciplinary Reform, 14 Am. Crim. L. Rev. 248 (1976) 141 Per un approfondimento, v. V. TENORE – M. FRISCIOTTI – V. SCAFFA, op. cit., p. 233 ss. 142 D. W. STEPHENS, Police Discipline: A Case for Change, Washington, National Institute for Justice, 2011, pp. 10-12; J. M. SHANE, Police Employee Disciplinary Matrix: An Emerging Concept, 15 Police Q. 62 (2012) Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Stato nelle Forze armate.143 L’unica eccezione è costituita dalla descrizione degli illeciti che danno luogo alla sanzione di corpo della consegna di rigore, articolata in cinquantacinque fattispecie.144 Le sanzioni risultano comunque graduate per gravità e l’art. 1355 del d.lgs 15 marzo 2010, n. 66 ne disciplina i criteri di commisurazione. Anche a volerle sommare al parere di un Autore, secondo il quale i sistemi disciplinari delle Forze armate e della Polizia di Stato sono gli unici sistemi disciplinari del pubblico impiego italiano capaci di funzionare,145 le brevissime osservazioni che precedono, naturalmente, non bastano ad assicurare che i sistemi disciplinari delle forze di polizia (e di polizia giudiziaria) e la repressione penale operanti in Italia siano sufficienti a garantire una buona prevenzione dal compimento di perquisizioni e ispezioni fuori dei casi di legge. Tuttavia, ciò che se ne può ricavare è che, quantomeno, la fondatezza della presunzione dell’inefficacia preventiva di tali sanzioni146 è tutta da dimostrare Si tratta di una verifica imprescindibile, se si considera che non troppi anni orsono la Supreme Court è andata molto vicino all’abolizione dell’exclusionary rule, votata da quattro giudici su nove, sulla scorta dell’osservazione che nel 2006 la polizia statunitense agisse in maniera di gran lunga più rispettosa del IV Emendamento rispetto ai tempi della sentenza Mapp, grazie a «una miglior istruzione, a un miglior addestramento, a un’efficace supervisione» e, in generale, al miglioramento dei sistemi disciplinari interni.147 La Corte suprema estese l’exclusionary rule a tutta la giurisdizione penale statunitense in un periodo della storia del Paese durante il quale gli abusi di polizia erano un fenomeno largamente diffuso148 e mancava un sistema sanzionatorio extraprocessuale, disciplinare e penale, che potesse contrastarli.149 Illustri studiosi d’Oltreoceano hanno già sconsigliato di importarla nell’ordinamento processuale penale italiano.150 D’altronde residuano forti perplessità sull’idoneità alla prevenzione degli abusi di polizia di una regola d’inutilizzabilità della prova sequestrata in seguito a perquisizione e ispezione contra legem, nonché sulla proporzionalità del sacrificio che tale regola imporrebbe alle esigenze di repressione dei reati. In punto di idoneità, infatti, è difficile immaginare che una conseguenza meramente processuale, priva di ricadute dirette nella sua sfera d’interessi, possa dissuadere l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria dall’eseguire la perquisizione o l’ispezione illegittima, perlomeno più di quanto già non facciano le sanzioni penali e disciplinari.151 In termini di proporzionalità, bisogna 143 MINISTERO DELLA DIFESA, Guida tecnica “procedure disciplinari”, 2016, pp. 81 ss. e 151 ss. D. lgs 15 marzo 2010, n. 66, artt. 1358, co. 1362, co. 1; d.p.r. 15 marzo 2010, n. 90, art. 751 145 V. TENORE – M. FRISCIOTTO – V. SCAFFA, op. cit., pp. 27-28 146 E. BELING, cit. in F. CORDERO, Prove illecite, cit., p. 257; R. GAMBINI, Perquisizioni, sequestri, esclusione probatoria: interpretazioni attuali e prospettive de iure condendo, cit., p. 1291; V. VIGORITI, Prove illecite e Costituzione, in Riv. it. dir. proc., 1968, p. 68 147 Hudson v. Michigan, cit., 599 148 WESLEY M. OLIVER, op. cit., passim, a parere del quale, peraltro, il divieto di utilizzo della prova fu una soluzione sbagliata al problema del momento, quello degli eccessi di violenza, e non delle perquisizioni indiscriminate, a opera della polizia 149 C. SLOBOGIN, Why Liberals Should Chuck the Exclusionary Rule, 1999 U. Ill. L. Rev. 370 nt. 13, 14 (1999) 150 L. L. WEINREB, cit. in M. PISANI, Note sul diritto delle prove penali, in Il processo penale negli Stati Uniti d’America, cit., p. 351 151 Nel 2004, due Autori statunitensi (JON B. GOULD – S. D. MASTROFSKY, Suspect Searches: Assessing Police Behavior under the U.S. Constitution, 3 Criminology & Pub. Pol'y 315 (2004)) hanno condotto una ricerca in una città di medie dimensioni, cui hanno attribuito lo pseudonimo di “Middleberg”, al centro di un’area seriamente coinvolta nel traffico di stupefacenti, (Id., p. 324) e hanno dimostrato che, sebbene l’exclusionary rule vigesse già da più di mezzo secolo e il dipartimento di polizia cittadino si distinguesse per professionalità ed eccellesse su scala nazionale per ore dedicate all’addestramento dei propri agenti (Ibidem), circa un terzo delle perquisizioni compiute hanno infranto il IV Emendamento (Id., p. 316) Bisogna precisare che lo studio citato non è depositario di una verità assoluta e universalizzabile a tutto il territorio statunitense. Come è stato osservato, la maggior parte degli studi dedicati all’argomento rileva, per un verso, che, con buone probabilità, l’exclusionary rule esibisce una qualche efficacia deterrente dal compimento di perquisizioni e ispezioni fuori dei casi di legge; per l’altro, si rassegna all’evenienza che sia pressoché impossibile quantificarne l’impatto dissuasivo, che a ogni modo non sembrerebbe essere particolarmente elevato (C. SLOBOGIN, op. cit., pp. 369-372 e, in particolare, nota 6 per una rassegna degli altri studi sull’argomento). Certo è che la ricerca condotta nel 2004 è, anzitutto, la più recente in materia e merita credito in quanto è la prima a essere stata effettuata con un’osservazione diretta sul campo (D. A. HARRIS, op. cit., p. 154). Sono molti i dubbi in dottrina sull’efficacia deterrente dell’exclusionary rule, v. per una sintesi, E. R. MILHIZER, Debunking Five Great Myths about the Fourth Amendment Exclusionary Rule, 211 Mil. L. Rev. 211 (2012) 144 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 essere consapevoli che l’accoglimento della proposta del rimettente darebbe alla luce una regola secca: se la perquisizione o l’ispezione è stata operata fuori dei casi di legge, la prova è inutilizzabile. In nessun caso il giudice potrebbe ponderarne l’applicazione, bilanciando la gravità del reato per il quale si procede con la gravità dell’infrazione degli inquirenti, come avviene in Australia152 e come caldeggia, pur senza successo,153 parte della dottrina statunitense.154 È vero che i presupposti di legge che legittimano il compimento di perquisizioni di polizia afferiscono a un’unica matrice: l’urgenza. È anche vero però che, già solo nel codice di rito, l’urgenza è declinata in quattro diverse gradazioni: l’urgenza affinché gli ufficiali procedano a perquisizione; l’urgenza affinché vi procedano in tempo notte; l’urgenza affinché vi possano procedere gli agenti semplici e l’urgenza affinché vi procedano gli agenti in tempo notte.155 Se si mira a una prevenzione proporzionata, a fronte di una modulazione tanto complessa e graduata dei comportamenti leciti, sembra opportuno che le conseguenze degli illeciti siano altrettanto modulate e progressive, come lo sono, l’una con l’altra, le sanzioni disciplinari e rispetto a esse le sanzioni penali. L’inutilizzabilità cadrebbe, invece, su condotte diversissime l’una dall’altra e anche per infrazioni molto lievi (se non incolpevoli) in indagini su reati molto gravi, traducendo così in realtà i timori di autorevole dottrina, per la quale «non appar[irebbe] ragionevole che le prove più schiaccianti della colpevolezza debbano andare in fumo solo perché rinvenute nel corso di una perquisizione svolta fuori dei tempi previsti dalla legge».156 6. Sulla violazione del principio di eguaglianza Nei paragrafi precedenti si è riflettuto di principi e disposizioni costituzionali; l’ultimo motivo della questione di legittimità costituzionale indicato dal giudice rimettente obbliga a rivolgere l’attenzione alla coerenza interna delle scelte compiute dal legislatore ordinario, come interpretate dal diritto vivente. Se, come sostiene il rimettente, la ratio dell’art. 191, co. 1, c.p.p. fosse quella di «scoraggi[are] e disincentiv[are] quelle pratiche di acquisizione della prova con modalità illegali (e talora francamente illecite), che violano i diritti costituzionali», risulterebbe violato il principio di eguaglianza, riconosciuto dall’art. 3 Cost., co. 1, in quanto «a fronte di una palese identità di ratio [preventiva]», il legislatore vieta l’utilizzo probatorio dei risultati di intercettazioni di comunicazioni (art. 271, co. 1 e 1-bis, c.p.p.) e dell’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico157 eseguite in assenza dei presupposti di legge (e quindi anche dalla polizia, di propria iniziativa, senza autorizzazione del magistrato), mentre lo ammette in casi che sono «del tutto sovrapponibili» e «per certi versi, addirittura [più] gravi», quali le perquisizioni e le ispezioni di polizia non convalidate. D’altronde, le perquisizioni e le ispezioni aggrediscono un diritto forse ancor più importante di quello alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni: la libertà personale, che è la libertà cardine dell’ordinamento costituzionale italiano158 e «precede e condiziona tutte le altre».159 152 E. MILHIZER, The Exclusionary Rule Lottery Revisited, 59 Cath. U. L. Rev. 760 (2010) e nota 91 per i riferimenti bibliografici G. D. TOTTEN – P. D. KOSSORIS – E. B. EBBESEN, The Exclusionary Rule: Fix It, but Fix It Right - A Critique of If It's Broken, Fix It: Moving beyong the Exclusionary Rule, 26 Pepp. L. Rev. 914 (1999) 154 Ibidem; J. KAPLAN, The Limits of the Exclusionary Rule, 26 Stan. L. Rev. 1046-1050 (1974); R. E. BELANGER, Judicial Decision Making and the Exclusionary Rule, 21 Tex. Rev. L. & Pol. 103; contra Y. KAMISAR, Comparative Reprehensibility and the Fourth Amendment Exclusionary Rule, 86 Mich. L. Rev. 12-15 (1987) 155 G. BELLANTONI, Urgenza e perquisizioni, in Ind. Pen., 1991, pp. 309-317; cfr. P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., pp. 333-337 156 P. FERRUA, La prova nel processo penale, cit., p. 228; v. anche F. CORDERO, Procedura penale, cit., pp. 833-834 157 artt. 132, co. 1 e 3, d.lgs. 30 giugno 2003 e s. m. i., e 240, co. 2, c.p.p. 158 V. GREVI, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano, Giuffrè, 1976, pp. 1-2 159 C. MORTATI, op. cit., p. 951 153 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 La censura sembra affetta da un difetto di rilevanza. La denunciata differenza della disciplina di utilizzabilità tra intercettazioni, da un lato, e perquisizioni e ispezioni, dall’altro, si manifesta soltanto laddove esse conducano alla scoperta di elementi utili all’accertamento ma diversi dal corpo del reato (per le perquisizioni, le «cose pertinenti al reato»): prova inutilizzabile se segue a intercettazione vietata, utilizzabile se segue a perquisizione o ispezione vietata. Il rimettente omette, invece, di considerare che non vi è alcuna differenza di trattamento tra i risultati di intercettazioni, perquisizioni e ispezioni quando queste conducano al rinvenimento del corpo del reato. Anche laddove sia stata compiuta fuori dei casi di legge, i risultati di un’intercettazione di comunicazioni che costituiscono «corpo del reato» sono sequestrabili e utilizzabili, in forza del disposto degli artt. 235160 e 271, co. 3, c.p.p., così come lo sono i risultati di una perquisizione o di un’ispezione compiuta fuori dei casi di legge, in forza degli artt. 253, co. 1, c.p.p. e 354, co. 2, c.p.p. È proprio il corpo del reato di cessione di stupefacenti (la marijuana e l’hashish) a essere stato rinvenuto sull’imputato del giudizio a quo. Pertanto, la norma impugnabile per violazione del principio di uguaglianza (che può essere esclusivamente l’utilizzabilità delle cose pertinenti al reato scoperte in seguito a perquisizione contra legem) non andrebbe applicata nel giudizio a quo e, anche se la Corte ritenesse manifestamente irragionevole la disparità di trattamento tra cose pertinenti al reato rinvenute a seguito di perquisizioni vietate e quelle scoperte grazie a intercettazioni contra legem, l’accoglimento della questione non produrrebbe conseguenze nel giudizio.161 Più in generale, è tutta da dimostrare la fondatezza dell’affermazione che la ratio legis dell’art. 191, co. 1, c.p.p. consisterebbe nella prevenzione delle pratiche di ricerca della prova lesive dei diritti fondamentali e che, di conseguenza, sarebbe irragionevole sottrarre alla disciplina dell’inutilizzabilità perquisizioni e ispezioni di polizia. Non si rinvengono indicazioni in tal senso né nelle principali pronunce della giurisprudenza di legittimità,162 né in quelle della Corte costituzionale, né nelle relazioni al progetto preliminare e al progetto definitivo del codice di procedura penale. Stando alle parole del legislatore,163 ribadite dalla Consulta,164 la ratio della disposizione sarebbe di natura eminentemente tecnica ed è da rinvenire nella stessa lettera della legge: da un lato, il co. 1, stabilendo dei divieti di acquisizione, impedisce che la prova inutilizzabile sia rinnovabile,165 dall’altro il co. 2 assicura la rilevabilità del vizio «in ogni stato e grado del procedimento», così da assicurare che il giudice non fondi mai il giudizio di colpevolezza su prove provenienti da mezzi o fonti di prova che il legislatore non vuole che facciano ingresso nel processo.166 Se questa funzione fosse stata lasciata, come avveniva in passato, all’istituto delle nullità processuali, il regime delle sanatorie avrebbe consentito che, nel caso in cui il vizio non fosse stato eccepito in tempo utile, il giudice avrebbe dovuto fondare il proprio convincimento su una prova che il legislatore esige che mai possa servire a tale scopo. 167 Sarebbe paradossale, ovviamente, pensare che il legislatore desideri che mai il giudice possa fondare un giudizio di colpevolezza sul corpo del reato o su cose a esso pertinenti. 160 Per l’utilizzo dell’intercettazione in altro procedimento e anche sulla definizione di intercettazione come corpo del reato, v. Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014, Floris, n. 32697, in questa rivista, 2015, p. 15 161 V. in tema di rilevanza, S. CATALANO, Valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità ed effetto della decisione della corte sul giudizio a quo, in Riv. telematica del Gruppo di Pisa, 2017, p. 7 162 Questo per ciò che attiene – lo si ricorda – la disciplina generale dell’inutilizzabilità, la Suprema Corte ha invece attribuito esplicitamente una funziona deterrente da «prassi patologiche» all’inutilizzabilità speciale di cui all’art. 63, co. 2, c.p.p., v. Cass. pen., Sez. un., 9 ottobre 1996, Carpanelli, n. 1286, in Cass. pen., 1997, p. 2428 ss. e, in particolare, p. 2438, con osservazioni di G. TOMEI 163 Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 61 164 Corte cost., 24 settembre-27 settembre 2001, ord. n. 332, cit., p. 2825 165 V. supra, nota 14 166 Cfr. P. FERRUA, op. cit. p. 222 167 Corte cost., 24 settembre-27 settembre 2001, ord. n. 332, cit., p. 2825 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 Certo: in alcune disposizioni il legislatore processuale stabilisce forme di inutilizzabilità speciale dei risultati delle perquisizioni e delle ispezioni, si pensi agli artt. 103, co. 7 e 343, co. 4, c.p.p. Ma si tratta, appunto, di ipotesi la cui giustificazione va rinvenuta nella ratio dei particolari divieti cui presidiano, posti nel primo caso a protezione di un interesse spiccatamente processuale, il diritto alla difesa ex art. 24 Cost., co. 2168 e nel secondo a garanzia del libero svolgimento della funzione di fronte a eventuali e indebite pressioni provenienti dall’esterno, ex art. 68 Cost.169 Anche se in queste disposizioni si volesse rintracciare una finalità preventiva (e essa non si esaurisse nelle sanzioni penali e disciplinari descritte nel paragrafo precedente), non sembra comunque essere questa l’oggettiva ratio unitaria di tutte le varie ipotesi di inutilizzabilità speciale sparse nel codice. Invero, in ragione della varietà delle stesse, non è possibile neppure disegnare una ratio unitaria sottesa a tali ipotesi, che induca a ritenere irragionevole il fatto che non siano inutilizzabili anche le prove rinvenute in seguito a perquisizione o ispezione non convalidata. Certamente non obbediscono a finalità preventive degli abusi sui diritti fondamentali i divieti di utilizzo della prova sanciti, per esempio, dagli artt. 195, co. 3 e 7; 203, co. 1; 228, co. 3, c.p.p. e neppure, per tornare al confronto con le intercettazioni, quello stabilito dal combinato degli artt. 268, co. 1 e 271, co. 1, c.p.p.170 Una finalità preventiva si può rinvenire nell’art. 63, co. 2, c.p.p.171, in disposizioni ormai anacronistiche (artt. 268, co. 3, c.p.p.)172 o in altre nelle quali appare comunque sfumata, perché si tratta di abusi che sarebbero già presidiati da sanzioni penali, e sempre combinata a esigenze di attendibilità della prova (art. 191, co. 3, c.p.p.). La maggior parte delle ipotesi di inutilizzabilità previste in disposizioni diverse dall’art. 191, co. 1, c.p.p., infine, sia essa patologica o cd. fisiologica, risponde alla tutela di interessi e diritti prevalentemente processuali: il diritto all’autodifesa (artt. 63, co. 2, 64 co. 3-bis, c.p.p.), il diritto di difesa e al contraddittorio, che per autorevole dottrina garantisce anche l’attendibilità della prova dichiarativa173 (artt. 513, co. 1 e 514 c.p.p.). Eppure, il quesito mosso dal rimettente meriterebbe comunque una risposta. Perché, quando non sono corpo del reato, i risultati di un’intercettazione eseguita in violazione della (o fuori dei casi di) legge sono inutilizzabili mentre, alle stesse condizioni, sono utilizzabili i risultati di perquisizioni e ispezioni? Soprattutto, perché la Corte nel 1973 ha di fatto imposto l’inutilizzabilità delle intercettazioni contra legem, mentre nel 2001 ha riconosciuto al legislatore maggiore discrezionalità nel poter disciplinare i vizi della perquisizione, senza pretendere che questi necessariamente comportino l’inutilizzabilità della prova sequestrata?174 Solo perché, in quest’ultima occasione, non è stato dimostrato che la perquisizione oggetto di giudizio era intervenuta sul domicilio della persona (e la Corte si è, allora, espressa soltanto sul presunto contrasto con l’art. 24 Cost. dell’utilizzabilità della prova)? Venendo nello specifico alle operazioni di polizia, posto che un’intercettazione motu proprio di polizia è sempre eseguita fuori dei casi di legge mentre una perquisizione di polizia lo è solo se non vi è fondato motivo o non è urgente, il differente regime di utilizzabilità delle prove raccolte dalla polizia fuori dei casi di legge potrebbe essere giustificato dal fatto che è la stessa Costituzione, all’art. 15, a negare all’autorità di pubblica sicurezza qualsivoglia potere di intercettazione autonoma, mentre agli artt. 13 e 14 le attribuisce un potere, seppur 168 Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 68 Sulla ratio dell’art. 68 Cost., v. M. CERASE, sub art. 68, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI, Torino, Utet, 2006, II, p. 1316 ss. 170 La funzione di quel divieto è evitare che possa essere utilizzabile in giudizio la testimonianza di chi ha eseguito le operazioni, in luogo dell’intercettazione stessa, v. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 68. Sembrerebbero sottese evidenti ragioni di attendibilità della prova 171 V. supra, nota 162 172 A. MACCHIA, I diritti fondamentali “minacciati”: lo sfondo delle garanzie in Costituzione, Relazione all’incontro di studi sul tema “Nuove frontiere dell’investigazione scientifica e garanzie dei diritti fondamentali dell’uomo”, Scuola Superiore della Magistratura (28 giugno 2017), in www.penalecontemporaneo.it 173 V. supra, nota 69 174 Corte cost., 4 luglio – 27 settembre 2001, ord. n. 332, cit., p. 2826 169 Archivio della nuova procedura penale, n. 2/2019 condizionato, di ispezione e perquisizione motu proprio?175 Purtroppo, poiché nel giudizio a quo è stato sequestrato il corpo del reato, non sarà questa l’occasione per ricevere risposta a tali domande. 175 Sulla non casualità della mancanza, nell’art. 15 Cost., del riconoscimento alla polizia di un potere di intercettazione di comunicazioni motu proprio, v. A. PACE, sub art. 15, in AA. VV., Commentario della Costituzione, fond. e cur. da G. BRANCA, cont. da A. PIZZORUSSO, Rapporti civili. Artt. 13-20, Bologna – Roma, Zanichelli – Società editrice del foro italiano, 1975-2006, pp. 103-106