Dal punto di vista delle piante
Giuliano Tosi
Che è “vita”? Quali sono i suoi con ni? Quando un corpo muore? Quando la materia diventa vita?
Che di erenza c’è, se c’è, tra gli esseri umani e le altre forme di vita? Che signi cato hanno termini
come “intelligenza”, “consapevolezza”, coscienza?
Per a rontare questo intreccio di domande abbiamo deciso di adottare una prospettiva particolare:
quella del mondo vegetale. Il nostro cammino in cerca dei con ni della vita (ossia di quell’anima che
Eraclito riteneva senza con ni) non può partire che da Aristotele; le pagine in cui de nisce l’anima
come principio vitale e ne delinea le diverse tipologie rimangono infatti a costituire lo sfondo,
spesso inavvertito, anche delle teorie più “moderne” e “scienti che”.
1. La posizione liminare dei vegetali
Nel De anima1, Aristotele de nisce l’anima come vita in atto, ovvero come quel principio biologico
di organizzazione della materia corporea che rende vivente un corpo dotato di vita in potenza. I
corpi che presentano la vita in potenza sono solo quelli dotati di organi adatti a esplicare funzioni
vitali. Si tratta, però, di un’evidente tautologia, che rivela il gesto di Aristotele come costitutivo e non
semplicemente descrittivo di una realtà precostituita.
A questo punto, Aristotele distingue tre funzioni o facoltà dell’anima, che nella loro disposizione
gerarchica disegnano una precisa scala naturae. Al gradino più basso troviamo l’inanimato. Quindi
l’anima vegetativa, alla quale competono le funzioni nutritiva, accrescitiva e riproduttiva. L’anima
vegetativa è propria di tutti viventi, a cominciare dalle piante. Le piante, che possiedono solo questa
anima elementare, occupano, dunque, una posizione liminare: segnano cioè il con ne tra la vita e la
materia. Le piante risultano, infatti, inanimate rispetto agli animali, ma animate rispetto alla
materia: l’anima vegetativa è tratto di con ne perché è immateriale, ma pienamente immersa nella
materia.
Al gradino superiore troviamo l’anima sensitiva, caratterizzata dalla sensibilità e dal movimento.
Questa seconda anima è caratteristica degli animali, che possono essere ritenuti come degli uomini
degenerati, imperfetti o incompiuti. Anche quest’anima dipende in tutto dalla materia, senza la
quale sensibilità e movimento non sarebbero possibili, e quindi costituisce un tutt’uno con il corpo
senza il quale non potrebbe sussistere.
In ne troviamo l’anima intellettiva, esclusiva dell’essere umano e caratterizzata da pensiero e
volontà. Poiché ogni facoltà “include” e perfeziona quelle inferiori, nell’essere umano l’anima
intellettiva compie anche le funzioni inferiori. In quanto culmine della scala naturale, l’essere
umano riassume in sé tutte le forme della natura sollevandole al massimo grado di perfezione.
2. Il gesto doppio di Aristotele
L’aspetto più interessante di quello che Aristotele sta facendo è il fatto che si tratta di un gesto
doppio, di un gesto che ad un tempo distingue e unisce le diverse forme di vita, ovvero che unisce
proprio distinguendo e distingue nel mentre che unisce. Infatti, Aristotele de nisce le di erenze nel
1
Aristotele, Sull’anima, 412a-416b.
1
momento stesso in cui mostra la sottostante continuità. A ben guardare, questa continuità non si
limita ai viventi, ma lega anche materia e vita, proprio individuando nel mondo vegetale e
nell’anima vegetativa che gli è propria il punto di passaggio dalla materia alla vita.
3. Il ritorno del rimosso vegetale
A partire da questo gesto aristotelico, che confina le piante in fondo alla scala del vivente, il mondo
vegetale è stato solitamente ignorato o disprezzato dal pensiero occidentale. La nostra visione è
chiaramente zoocentrica: la superiorità della vita animale su quella vegetale e il diritto di vita e di
morte della prima sulla seconda appaiono delle indiscutibili ovvietà2.
In realtà, oggi siamo di fronte a un plant turn: un improvviso interesse per le piante. Un interesse
che ha a che fare con la questione attualissima e profonda che le nostre domande hanno sollevato: la
questione dei con ni della vita. E, anzi, visto che molti di coloro che si sono recentemente occupati
del mondo vegetale si sono spinti a interrogarsi per no intorno all’intelligenza delle piante, il tema
sembra aver qualcosa da dire anche rispetto alla coscienza. Proviamo allora a pensare il mondo come
lo pensano le piante3.
4. Essere-nel-mondo
Le piante, prima di tutto, non si possono muovere (e, signi cativamente, Aristotele individua
proprio qui una soglia decisiva nella distinzione dall’animale4). Di conseguenza aderiscono al
mondo, si immergono in esso, sono costantemente e integralmente esposte alla realtà limitrofa, in
comunione totale con l’ambiente. Infatti, la proporzione molto elevata di super cie rispetto al
volume è uno dei tratti più caratteristici della pianta ed è in questo modo che la pianta aderisce al
mondo circostante.
Una nota a margine. Le piante non si possono muovere, dunque, ma questa è già un’osservazione
dell’anima sensitiva, è cioè una mancanza solo dal punto di vista animale.
5. Fare il mondo
Questa “comunione totale con l’ambiente” è però ancora un modo impreciso e insoddisfacente di
dire la cosa. Le piante, in realtà, non sono nel mondo, le piante fanno il mondo.
Infatti, se da un lato la vita si nutre di se stessa, nel senso che vivere è essenzialmente vivere della vita
altrui, della vita che altri hanno saputo costruire o inventare, in una sorta di parassitismo o
cannibalismo universale, dall’altro, però, le piante non hanno bisogno per sopravvivere della
mediazione di altri viventi, perché sono in grado di trasformare in vita tutto ciò che toccano,
facendo della materia, dell'aria e della luce solare ciò che per il resto dei viventi diventerà lo spazio da
abitare, il mondo della vita. Autotrofia viene chiamato questo potere da Re Mida alimentare che
2
Esistono certamente lodevoli eccezioni: si pensi al Samuel Butler di Erewhon, che già nel 1872 si interrogava
sull’intelligenza e sui diritti dei vegetali.
3
In questo primo tratto di percorso, ci farà da guida principale Emanuele Coccia con il suo La vita delle piante.
Metafisica della mescolanza.
4
Per comprendere quanto questa soglia sia decisiva e costitutiva e come sulle categorie di sensibilità e movimento si
fondi la storia dell’anima, si può rimandare alle analisi condotte da Carlo Sini in La mente e il corpo, CUEM, 1998.
2
trasforma in nutrimento tutto ciò che tocca, ed esprime fondamentalmente la capacità di
trasformare in corpo vivente l’energia solare di usa nel cosmo5.
Il mondo è il prodotto della vita vegetale, il risultato della colonizzazione del pianeta da parte delle
piante da tempi immemorabili. L’organismo animale è costituito interamente dalle sostanze
organiche prodotte dalle piante, e tutta la vita animale superiore, avendo carattere aerobico, si nutre
dello scambio organico gassoso di questi esseri6. Possiamo quindi a ermare che il nostro mondo è
un fatto vegetale, prima di essere un fatto animale e che l’animale è parassitario rispetto al vegetale.
6. Atmosfera
Che tipo di mondo hanno creato e creano le piante?
Per passare dal mare alla terra era necessario portare in qualche modo il mare sulla terra. A portare il
mare sulla terra sono state proprio le piante tramite le foglie, che costituiscono il modo in cui la
pianta si è adattata alla vita terrestre e ha colonizzato la terraferma. La foglia è il laboratorio
alchemico nel quale la fotosintesi rende possibile la vita sulla terra, creando l’atmosfera, e con essa il
clima, inteso come interconnessione cosmica tra forme distinte di materia e di vita. Le foglie hanno
tramutato l’universo in un immenso mare atmosferico e perciò si può ben dire che l’origine del
mondo della vita non sta nello spazio siderale o nella notte dei tempi, ma nelle foglie e che il mondo
esiste essenzialmente come atmosfera7.
7. Gli dei vegetali
Aristotele, come abbiamo visto, individuò nelle piante il con ne tra materia e vita, ma ora possiamo
dire più propriamente che il mondo vegetale non traccia questo con ne in senso puramente
topogra co, ma in senso genetico. Le piante costituiscono il mondo come vivente e quindi tracciano
la soglia che separa il vivente dal non vivente, la materia dallo spirito.
L’atmosfera, però, non è solo una certa parte di mondo distinta e separata, ma è il principio stesso
attraverso il quale il mondo si fa mondo, cioè diviene abitabile. Il mondo, di conseguenza, non può
essere inteso come un’entità autonoma e indipendente o precedente rispetto alla vita. Non c’è
prima il mondo inorganico e poi compare la vita (come spesso sembrano credere gli scienziati,
compiendo un errore di prospettiva), perché, prima che esista la vita, letteralmente non ha senso il
concetto di “mondo inorganico”. Di nuovo, il gesto è doppio: le piante separano vita e materia
istituendone il legame profondo.
In questo senso la vita delle piante è una cosmogonia in atto, la genesi costante del nostro cosmo. Le
piante sono divinità inumane e materiali che fondano di continuo nuovi mondi.
8. Siamo piante
La vita vegetativa, allora, non è semplicemente una classe distinta di forme di vita speci che o
un’unità tassonomica separata, ma un luogo condiviso da tutti gli esseri viventi, indi erente, per lo
5
Nella lingua greca vi è una stretta parentela tra physis, che traduciamo abitualmente con “natura”, e phyton, che
designa in generale tutto ciò che spunta o germoglia; provengono infatti entrambe dalla radice phyo, "genero", "cresco".
6
Coccia, La vita delle piante, pp. 17-18.
7
Coccia, La vita delle piante, pp. 40 e 65.
3
meno in prima istanza, alla cesura tra piante, animali e uomini: è il principio tramite il quale “la vita
appartiene a tutti”8.
Se è vero che ogni facoltà “include” quelle inferiori e che, quindi, nell’uomo l’anima intellettiva
compie anche le funzioni inferiori, è necessario però guardare la piramide non solo di pro lo, ma
anche dall’alto per renderci conto che il livello “inferiore” costituisce il fondamento di quelli
superiori e li include. In questo senso gli esseri umani sono piante. Siamo forse piante nella forma
più perfetta ma, in quanto viventi, restiamo fondamentalmente piante.
9. Respiro
Le piante, creando l’atmosfera, disegnano un mondo che ha essenzialmente la forma di un respiro,
nel quale il respiro non è un oggetto distaccato, ma la vibrazione attraverso cui ogni cosa si apre alla
vita e si mescola con le altre. L’aria che respiriamo non è, infatti, una realtà puramente geologica o
minerale, non si limita soltanto a esserci, non è un e etto della terra in quanto tale: è invece il
respiro di altri viventi, un sottoprodotto della “vita degli altri”. Le piante sono così il respiro di tutti
gli esseri viventi, e noi ci nutriamo incessantemente dell’escrezione gassosa dei vegetali9.
Essere nel mondo (o essere in un corpo) non signi ca, perciò, condividere un’identità e nemmeno
una supposta omogeneità di forma o di sostanza (concetti che la biologia va sfaldando con grande
rapidità10), ma signi ca condividere un’atmosfera, condividere un respiro. “Questa Terra assomiglia
a un grande animale o, piuttosto, a una pianta inanimata, che prende il suo respiro etereo per il suo
ra reddamento quotidiano e fermento vitale, e che espira con grandi esalazioni”, scrisse Newton in
un’opera rimasta inedita11.
“Se il mondo è uni cato da un respiro comune e universale, è perché il respiro è l’essenza originaria
di ciò che i greci chiamavano logos”12, ovvero quel rythmos originario che scandisce la vita “secondo
giusta misura”13.
10. Compenetrazione
Ma lo sguardo vegetale che stiamo adottando ci porta ancora più in là: ci mostra che la vita è rottura
dell’asimmetria tra il contenente e il contenuto. Respirare signi ca, in e etti, fare quest’esperienza:
ciò che ci contiene, l’aria, diviene in noi contenuto e, per converso, ciò che conteniamo diventa quel
che ci contiene. Nel respiro il vivente e il cosmo si ricongiungono e ad un tempo si separano, poiché
“ciò che noi chiamiamo vita non è che questo gesto attraverso cui una porzione di materia si separa
dal mondo con la stessa forza che usa per confondervisi. Respirare è fare mondo, fondersi in esso, e
disegnare nuovamente la nostra forma in un esercizio ininterrotto. Respirare è conoscere il mondo,
appropriarsene, penetrarlo e farsi penetrare”14. L’ambiente non inizia al di là della pelle del vivente,
8
Aristotele, Sull’anima, B4, 415 a 25.
Coccia, La vita delle piante, pp. 62 e 76.
10
Si pensi, ad esempio, al concetto di olobionte, sempre più al centro del pensiero biologico.
11
L’opera in questione, Of Nature’s Obvious Laws and processes in vegetation, attingeva alle ricerche alchemiche
contemporanee per chiarire la natura dell’etere e portava Newton a sostenere che la natura non agisse solo nel consueto
modo “meccanico”, ma anche in un modo più sottile e segreto (v. Rob Ili e, Newton. Il sacerdote della natura, Hoepli,
2017).
12
Coccia, La vita delle piante, p. 67.
13
Il riferimento è alle parole di Eraclito (30 DK).
14
Coccia, La vita delle piante, p. 76.
9
4
ma è già “dentro” il vivente, il quale, a sua volta, semplicemente esistendo nell’ambiente lo modi ca.
Propriamente, non esiste l’ambiente: esistono solo viventi e rapporti di inclusione reciproca tra
viventi15. In questo modo, “il fatto di essere contenuto in qualcosa coesiste con il fatto di contenere
questa stessa cosa”16 e l’impenetrabilità si rivela nient’altro che un mito. Questo amplesso, questa
reciproca compenetrazione è proprio quel che gli antichi chiamavano pnéuma, respiro.
11. Coevoluzione
Con il termine “coevoluzione” si intende il processo di evoluzione congiunta di due o più specie
appartenenti allo stesso ecosistema, le quali interagiscono tra loro (attraverso processi che possono
essere di tipo predatorio, parassitico o simbiotico) tanto strettamente da costituire un forte fattore
selettivo l’una per l’altra (o le altre). Anzi, alla luce dell’idea che la Terra sia un unico ecosistema,
ovvero un complesso di ecosistemi correlati, possiamo arrivare ad a ermare che tutte le specie
viventi, in qualche misura, si evolvono in modo congiunto. Tanto più nel cosiddetto Antropocene,
in cui l’attività umana ha reso il mondo più piccolo e interconnesso che mai.
12. Olobionte
Tutti gli esseri viventi (le piante, gli animali e lo stesso uomo) vivono, in e etti, costantemente in
simbiosi con un complesso microbioma, un insieme eterogeneo composto da miliardi di
microrganismi. Si parla in questo senso di “olobionte”, per intendere la somma tra un vivente e i
microrganismi che lo accompagnano. La pretesa di de nire una specie sulla base del suo patrimonio
genetico, come se si trattasse di qualcosa di puro e stabile, si rivela allora come minimo restrittiva, e
si parla perciò di “ologenoma”, per intendere la somma di tutti i geni, proprietari e non, che
compongono un organismo vivente. Si tratta, tra l’altro, di una visione che mette in primo piano la
collaborazione, piuttosto che la concorrenza, perché, più che individui, i viventi si rivelano
ecosistemi17. Ogni volta che nasce un vivente, nasce un mondo; ogni volta che muore un vivente,
muore un mondo.
13. Immersione
Il mondo è un respiro e il respiro è l’arte della mescolanza, ciò che permette a qualsiasi oggetto di
mescolarsi, di immergersi. La vita sembra infatti necessitare (e produrre) di un ambiente uido,
interconnesso, permeabile, immersivo; per questo, quando siamo passati dal mare alla terra,
abbiamo portato il mare con noi e non abbiamo mai smesso davvero di essere pesci. Tutto questo è
stato possibile grazie a quel processo cosmico di uidi cazione dell’universo che è la fotosintesi, che
costituisce il grande corpo uido dei viventi terrestri, immerso nell’atmosfera in una relazione di
15
Coccia in Venturi Riccardo, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele Coccia.
Coccia, La vita delle piante, p. 93.
17
Per queste considerazioni si può vedere Bruni, Le piante son brutte bestie (pp. 158-164), dove, tra l’altro, l’autore scrive:
“Non possiamo più considerare le piante come organismi isolati, perché la loro sopravvivenza, ovvero la loro capacità di
adattarsi e prosperare nel luogo in cui crescono, dipende non solo dalle informazioni scritte nei loro geni o dal modo
con cui vengono estratte, ma anche da tutte quelle apportate dallo strabiliante numero di microorganismi con cui
cooperano. Si stima che sulla super cie fogliare di tutte le piante del mondo conviva un numero di cellule microbiche
pari a un miliardo di miliardi di miliardi, superiore al numero di stelle che popola l’intero universo (circa 10^26 contro
10^24) e si sa per certo, invece, che in un grammo del suolo adeso alle radici di alcune piante, la rizosfera, vi possono
essere 10^11 individui microbici”.
16
5
reciproca compenetrazione. “L’immersione è questo: il fatto che la vita è sempre ambiente di sé
stessa, e che per questo essa circola di corpo in corpo, di soggetto in soggetto, di luogo in luogo”18.
Potremmo dire che in natura non c’è un “fuori”, c’è un movimento respiratorio che scambia
incessantemente il contenuto e il contenente, ma nessuno può essere “fuori” dalla natura, neppure
l’uomo19.
Il mondo si rivela così come il luogo della mescolanza, un laboratorio alchemico nel quale tutto
sembra poter cambiare natura, nel quale la simbiosi costituisce la forma di vita normale e per no il
passaggio dall’organico all’inorganico e dall’inorganico all’organico si rivela incessante.
14. Kosmos e physis
Le osservazioni sin qui condotte spingono, quindi, il concetto di coevoluzione ben più in là,
allargandolo anche all’ambiente sico. Infatti, nella prospettiva dell’immersione e della
compenetrazione, crolla uno dei pilastri fondamentali della biologia e delle scienze naturali: la
priorità dell’ambiente sul vivente, del mondo sulla vita, dello spazio sul soggetto. Questa nozione di
adattamento si rivela limitativa e rigida nella sua unidirezionalità, nell’idea cioè che esista (prima)
un ambiente inorganico al quale (poi) gli esseri viventi si adattano passivamente20. In realtà
ambiente e viventi si modi cano e si creano reciprocamente e questo processo è particolarmente
evidente e fondativo nel caso delle piante21.
Ma, se la distinzione canonica tra biocenosi e biotopo si rivela labile e le specie si evolvono in modo
con-costitutivo con l’ambiente sico, questo signi ca che la vita non è un fenomeno esterno,
casuale, posteriore rispetto all’inerte super cie terrestre. Dobbiamo piuttosto ragionare nei termini
di una compenetrazione, di una reciproca costituzione ab origine non solo di atmosfera e vivente,
ma anche di kosmos e physis, di materia e vita. I con ni che stiamo esplorando si rivelano sempre più
costitutivamente permeabili e mobili, il che ci spinge ad a rontare la delicata questione della
“intelligenza” delle piante.
15. La razionalità delle piante
A noi, oggi, appare davvero strano anche solo accostare il mondo vegetale alla dimensione della
razionalità. Eppure, prima di Cartesio e della sua psicologizzazione della ragione, la pianta è stata
per secoli considerata la forma paradigmatica della razionalità, di una razionalità che sta nelle cose,
non ragione psicologica dell’anima.
Il seme, in particolare, è sempre stato ritenuto l’exemplum della razionalità, il luogo in cui si esplica
l’intelletto universale nella sua potenza morfogenetica, in cui si manifesta la forza naturale capace di
18
Coccia, La vita delle piante, p. 63.
Si noti come lo stesso concetto di Antropocene possa nire per rivelarsi un modo ambiguo e ra nato per riportare
ancora una volta al centro l’uomo, come essere capace di andare “contro natura” o al di là di essa.
20
Scrive, ad esempio, Bruni: “Esiste un forte legame tra piante e luoghi, ovvero una stessa specie in luoghi diversi tende
ad abbinarsi a popolazioni microbiche di erenti […] Per favorire le condizioni ideali alla nascita dell’indotto, le piante
alterano la composizione chimica della rizosfera creando un terreno di crescita selettivo basato su nutrienti che
avvantaggiano alcune specie rispetto ad altre” (Bruni, Le piante son brutte bestie, pp. 158-164).
21
Questa concezione si è imposta nel dibattito biologico ed ecologico grazie alla “ipotesi Gaia” di J.E. Lovelock e L.
Margulis (La vita delle piante, p. 78 e note 2 e 3 p. 85). Ma già Darwin, nell’ultima opera pubblicata in vita e dedicata ai
lombrichi, aveva notato, contro la stessa teoria della selezione naturale, come questi semplici esseri viventi fossero in
grado di modi care in modo duraturo e signi cativo l’ambiente, invece di adattarsi semplicemente ad esso.
19
6
plasmare la materia. Si tratta di un’idea di origine stoica22 ed è un’origine interessante perché il seme
si rivela, in questa luce, il luogo del destino, della necessità cosmica. “La ragione è ciò che dà forma a
tutto ciò che esiste; seguendo regole prestabilite, essa è ciò che governa il mondo e il suo divenire da
dentro”23.
16. Uomini capovolti
Questa idea di origine stoica è certo interessante, ma a ronta la questione della “intelligenza” delle
piante solo in modo indiretto e simbolico. Per a rontare di petto il problema dobbiamo volgere
nuovamente la nostra attenzione alle radici del pensiero occidentale e, di conseguenza, alle radici
degli organismi vegetali.
Platone paragonò il nostro capo, e dunque la ragione, a una “radice” e de nì l’uomo una pianta
capovolta, con le radici protese verso il cielo (in modo da determinare la posizione eretta): una
“pianta del cielo e non della terra”24. Aristotele ribaltò specularmente l’osservazione del maestro,
de nendo le piante “uomini capovolti”25: “l’alto e il basso non sono infatti gli stessi per ciascuna
cosa come per l’universo, ma ciò che è la testa per gli animali sono le radici per le piante, se è
attraverso le funzioni che si devono distinguere e identi care gli organi”26. Con queste ultime parole
Aristotele ci o re la possibilità di stabilire un’analogia funzionale tra le radici e il cervello.
Le radici hanno spesso un corpo in nitamente più grande di quello aereo27 ed è questo enorme
apparato a fare delle piante degli esseri ontologicamente anfibi, con ccati simultaneamente in due
ambienti del tutto diversi (oltre a quello marino che le piante portano in sé), che le radici mettono
in comunicazione, svolgendo una funzione di mediazione cosmica. Da un lato, attraverso i
cloroplasti la tosfera unisce l’attività di tutto il mondo organico al centro di energia del nostro
sistema solare: le piante trasformano il sole nei corpi che abitano il pianeta, fanno della materia
solare una carne vivente28. Dall’altro, le radici coinvolgono in questo gioco della vita anche la terra e,
agendo come un cervello che elabora e trasmette segnali, fanno del suolo e del mondo sotterraneo
uno spazio di comunicazione spirituale. La parte più solida della terra si trasforma così in un
immenso cervello planetario. Le radici rendono intelligente il mondo minerale29.
22
Questa idea ha compiuto poi un lungo cammino: attraverso Plotino e Agostino è giunta no a Giordano Bruno e poi
a Oken, allievo di Schelling e Goethe.
23
Coccia, La vita delle piante, p. 134.
24
Platone, Timeo, 90A.
25
Repici, Uomini capovolti. Le piante nel pensiero dei Greci.
26
Signi cativamente siamo ancora nell’opera Sull’anima (B4, 416 a2).
27
Una piantina di segale può avere anche quattrocento metri quadrati di radici, centotrenta volte il suo corpo aereo.
28
“Il cibo non è altro che questo commercio di luce che si trasmette di mano in mano, di specie in specie, di regno in
regno, e che continua a illuminare il pianeta, assicurando, giorno dopo giorno, continuità e vicinanza tra la Terra e il
Sole” (Coccia in Venturi Riccardo, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele Coccia, Doppiozero 22
Novembre 2019).
29
Coccia, La vita delle piante, p. 101. Nel capitolo successivo, intitolato “Il più profondo, sono gli astri”, Coccia nota
anche come il confronto con il mondo vegetale metta a nudo il nostro geocentrismo inconscio, il nostro rimuovere
ostinatamente la dipendenza della terra dal sole, il nostro misconoscere che la vita è un fatto anche e soprattutto
“astrologico”.
7
17. La specie dominante
In realtà, l’idea che le piante siano in qualche modo intelligenti non è a atto una novità: fa capolino
nelle opere di Democrito, Platone, Linneo, Darwin, Fechner e altri. Il glio di Darwin, Francis,
a ermò con nettezza e convinzione l’intelligenza delle piante30.
D’altra parte le cellule vegetali sono palesemente superiori a quelle animali (infatti sono in grado di
fare tutto quello che fanno quelle animali e in più operano la fotosintesi) e le piante sono
evidentemente la specie dominante sul pianeta (costituiscono circa il 99,7% della biomassa
planetaria). In e etti, potremmo tranquillamente capovolgere la nostra tradizionale prospettiva e
a ermare che gli animali non sono altro che uno strumento della strategia adattiva delle piante, che
li utilizzano per riprodursi ed espandersi.
Da questa strategia vegetale, non solo l’uomo non è risparmiato, ma anzi svolge in essa un ruolo
tanto preminente che Michael Pollan ha descritto l’uomo come uno strumento per la di usione,
tra l’altro, della patata, della mela, del tulipano e della cannabis. Queste specie hanno adottato la
strategia evolutiva di o rirci qualcosa per addomesticarci e colonizzare il pianeta. L’agricoltura
stessa potrebbe, in questo senso, essere pensata non come un’invenzione o tecnologia umana, ma
come uno sviluppo coevolutivo attraverso il quale alcune specie vegetali intelligenti ci hanno
sfruttato per deforestare il mondo, sopravvivere e propagarsi31.
Scrivono Mancuso e Viola: riuscite a immaginare un mondo “in cui gli organismi più silenziosi,
passivi e indifesi che conosciamo - le piante - condizionano e per certi versi orchestrano la vita degli
animali, dal più piccolo verme delle radici no all'uomo? Questo mondo esiste: Benvenuti sulla
Terra!”32.
18. Alle radici del problema
Ma allora perché incontriamo tutta questa di coltà nel riconoscere al mondo vegetale una qualche
forma di intelligenza?33
Mancuso ritiene che questa incomprensione derivi prima di tutto dalla radicale di erenza di
struttura34. Le piante, non potendo spostarsi, non si sono evolute sviluppando organi unici e
30
In questa ultima parte, utilizzeremo come guida principalmente Stefano Mancuso e Alessandra Viola, Verde brillante.
Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale. Stefano Mancuso ha fondato presso l’Università di Firenze il primo
Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale.
31
È questa la tesi, provocatoria quanto illuminante, di Michael Pollan in La botanica del desiderio: il mondo visto dalle
piante.
32
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 73.
33
Il fenomeno detto plant blindness mette in luce come letteralmente rimuoviamo le piante dal nostro orizzonte
percettivo e quindi intellettivo (J.H. Wandersee e E.E. Schussler, A model of plant blindness. Poster and paper presented
at the 3rd Annual Associates Meeting of the 15° Laboratory, Louisiana State University, 1998). Si possono trovare
riferimenti completi qui: https://www.botany.org/bsa/psb/2001/psb47-1.pdf
34
A proposito di questa nostra incapacità di riconoscere l’intelligenza vegetale, date le di erenze strutturali tra gli
umani e le piante, Mancuso propone un’osservazione interessante: “Poniamoci una domanda: cosa accadrebbe se
venissimo un giorno in contatto con un’intelligenza aliena? Saremmo in grado - non dico di comunicare con lei - ma
almeno di riconoscerla? Probabilmente no. Sembra che l’uomo, incapace di concepire intelligenze diverse dalla sua, più
che cercare quelle aliene sia alla continua ricerca della sua stessa intelligenza, sperduta da qualche parte nello spazio. Se
forme di intelligenza aliena esistessero davvero, si sarebbero infatti evolute in organismi molto diversi da noi; la loro
chimica sarebbe di erente dalla nostra e abiterebbero in ambienti totalmente estranei a quelli che conosciamo”
(Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 125).
8
organizzandoli a comporre un essere indivisibile; hanno invece dato forma ad un corpo modulare,
strutturando un essere divisibile in grado di sopravvivere a predazioni anche massicce senza perire.
Il vegetale si comporta dunque come una colonia, più che come un individuo. Ciò che ci rende
assai di cile specchiarci in un vegetale è quindi il fatto che “in una pianta le funzioni non sono
legate agli organi. Questo vuol dire che i vegetali respirano senza avere i polmoni, si nutrono senza
avere una bocca o uno stomaco, stanno in piedi senza avere uno scheletro e, come vedremo in
seguito, sono in grado di prendere decisioni anche senza avere un cervello”35. In altri termini,
mancando di organi, le piante paiono mancare di sensibilità, ovvero di quella che Aristotele
individuava come prima caratteristica del vivente superiore36.
Un secondo aspetto problematico è la netta di erenza di scala temporale. Le piante sembrano
vivere in una dimensione temporale molto più lenta, tanto da farci pensare che siano ferme, che
non possiedano neppure il movimento, ovvero quella che Aristotele individuava come seconda
qualità del vivente animale. Mancuso racconta che tutta la sua ricerca ebbe origine da un tele lm di
fantascienza, nel quale alieni che vivevano in una dimensione del tempo radicalmente accelerata,
arrivando sulla Terra e non riscontrando alcun movimento negli umani, giungevano alla logica
conclusione che, essendo “materiale inerte”, potevano disporne a piacimento37. In realtà, già
Darwin era rimasto tanto a ascinato dal movimento delle piante da dedicare al fenomeno un’intera
opera, che si concludeva con queste illuminanti parole: “in tutti questi casi possiamo chiaramente
scorgere lo scopo finale od i vantaggi dei diversi movimenti. [...] Il cammino seguìto dalla radichetta
quando penetra nel suolo deve essere determinato dall’estremità, la quale a questo scopo ha
acquistato diverse sorta di sensibilità. È appena esagerato il dire che la punta radicolare così dotata e
che possiede il potere di dirigere le parti vicine, agisce come il cervello di un animale inferiore;
quest’organo infatti, posto alla parte anteriore del corpo, riceve le impressioni degli organi dei sensi
e dirige i diversi movimenti”38.
Mancuso individua anche un terzo motivo di natura più psicologica: la nostra totale dipendenza
dal mondo vegetale (cibo, ossigeno, energia, farmaci) provoca un ri uto psicologico. Non riusciamo
ad accettare che “in generale, le piante potrebbero benissimo vivere senza di noi. Noi invece senza di
loro ci estingueremmo in breve tempo”39. La questione dell’intelligenza delle piante è, in e etti,
delicata perché ne nasconde un’altra alla quale siamo particolarmente sensibili: “Quali sono le
prerogative che ci rendono umani e che non sono replicabili?”40.
35
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 33.
Può essere interessante ricordare qui che Nanna o l’anima delle piante, l’opera in cui Gustav Theodor Fechner
avanzava, nel 1848, la rivoluzionaria rivendicazione di una dimensione psichica per la vita vegetale, era nata dalla
domanda fondamentale su che cosa fosse la “sensibilità”.
37
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 6.
38
Darwin, Il potere di movimento nelle piante, p. 368. Darwin dedicò un’opera anche al movimento delle piante
rampicanti (Movement and Habits of Climbing Plants, 1875).
39
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 10.
40
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 109. È forse il caso di ricordare qui
che, secondo la teoria darwiniana e contrariamente a quanto spesso si pensa e si a erma, non esistono organismi più
evoluti, esistono solo organismi che si sono adattati al proprio ambiente in maniera più o meno e cace. Michael Pollan
ha fatto notare, a proposito della supposta maggiore complessità della specie umana, che, quando è stato avviato il
Progetto Genoma Umano, si pensava di individuare 40-50.000 geni nell’uomo e invece si sono rivelati essere solo
23.000, mentre il riso ne presenta 35.000 (Pollan Michael, A plant’s-eye view, video TED 2007).
36
9
19. Sensibilità e movimento vegetali
Prima di tutto, contrariamente al dettato aristotelico, sono perfettamente in grado di sentire41. Le
piante possiedono tutti e cinque i sensi animali. Possiedono la vista, pur non avendo occhi, per la
presenza di fotorecettori praticamente ovunque sulla loro super cie. Possiedono l’olfatto, pur non
avendo un naso, poiché sono in grado di comunicare in modo estremamente ra nato tramite gli
odori. Possiedono il gusto, ovvero dei recettori chimici in grado di riconoscere con incredibile
nezza la composizione chimica di un terreno e quindi di indirizzare “intenzionalmente” la crescita
delle radici (per non parlare delle piante carnivore42). Possiedono il tatto, sia passivo (si pensi alla
celebre Mimosa pudica43) che attivo, come si può capire osservando il comportamento dei
rampicanti o delle radici quando, davanti ad uno ostacolo, devono valutare in quale direzione
crescere. In ne possiedono l’udito, pur non avendo orecchie, poiché non sfruttano le vibrazioni
dell’aria, ma quelle della terra; d’altronde l’in uenza della musica sull’agricoltura è ormai
scienti camente provata44. Ma le piante non si limitano ad avere i cinque sensi degli animali, ne
possiedono almeno altri quindici: sono in grado si sentire e calcolare la gravità, i campi
elettromagnetici, l’umidità e numerosi gradienti chimici.
In secondo luogo, come già accennato, le piante sono, a loro modo, dotate di movimento. Si
muovono in molti modi, solo che lo fanno più lentamente: è su ciente velocizzare un video che
riprende la vita di una pianta per vedere l’organismo crescere, muoversi, dirigersi verso il sole,
giocare e dormire45.
20. Comunicazione vegetale
In terzo luogo, le piante sanno comunicare in maniera complessa e a diversi livelli, tanto da
manifestare una vera e propria vita sociale46. Le piante comunicano al loro interno tramite tre
sistemi interconnessi: idraulico (sistema vascolare o circolatorio), chimico ed elettrico. Comunicano
in modo ra nato anche verso l’esterno, dato che sono in grado di mandare messaggi ad altre piante,
ai funghi, ai batteri, agli insetti e agli animali. Sanno inoltre inviare per no messaggi ingannevoli.
In questa articolata rete comunicativa, le piante rivelano anche la capacità di riconoscere i propri
“parenti”. Un comportamento in realtà ovvio, visto quanto sono preziose per i viventi tutte le
strategie atte a tramandare il proprio patrimonio genetico. L’esperimento descritto a questo
proposito da Mancuso e Viola è molto interessante: “l'esperimento consisteva nel far crescere in un
vaso trenta semi gli della stessa pianta e in un altro vaso, identico al primo, trenta semi gli di
41
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, cap. III.
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, pp. 52-59. Queste pagine, dedicate alle
piante carnivore, carnivore sotterranee e protocarnivore, sono ricche di spunti di interessanti. La scoperta delle piante
carnivore costituì, in e etti, un vero e proprio scandalo, perché metteva in discussione la distinzione tra vegetale e
animale e quindi minava alla base la gerarchia “naturale” (non a caso Linneo tentò ostinatamente di negarne l’esistenza).
43
Tra i molti naturalisti che furono a ascinati dal comportamento di questa pianta, spicca Jean-Baptiste de Lamarck, il
quale condusse originali esperimenti sulle sue capacità di apprendimento (Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e
intelligenza del mondo vegetale, pp. 60-61). Si veda anche Gage Greg, Electrical experiments with plants that count and
communicate, video TED 2017.
44
Mancuso ha condotto in prima persona esperimenti in questo senso (Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e
intelligenza del mondo vegetale, pp. 65-66).
45
Mancuso Stefano, Alla radice dell’intelligenza delle piante, video TED 2010.
46
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, cap. IV.
42
10
piante diverse. [...] Le trenta piante glie di madri diverse si sono comportate infatti come previsto,
sviluppando un numero di radici molto elevato così da occupare il territorio e garantirsi
l'approvvigionamento alimentare e idrico a danno delle altre. Le trenta piante glie della stessa
madre, invece, pur trovandosi anch'esse a convivere in uno spazio ristretto, hanno prodotto un
numero di radici molto inferiore, privilegiando la crescita aerea. Nel loro caso si è quindi assistito a
un'attività non competitiva legata alla vicinanza genetica. Si tratta di una scoperta fondamentale,
che cancella la tradizionale convinzione secondo la quale le piante adotterebbero”47 esclusivamente
comportamenti meccanici, stereotipati, ripetitivi, automatici (ovvero che si comporterebbero come
macchine).
21. L’intelligenza delle piante
In ne, le piante sono in grado di risolvere problemi di cili usando strategie so sticate48. Sono,
infatti, in grado di contare49, calcolare, scegliere, apprendere, ricordare e si dimostrano
“consapevoli” di quello che sono e di ciò che le circonda.
Tutto questo è reso possibile dalle radici, le quali, come aveva già notato Darwin, sono dotate di
una tale sensibilità da agire come un cervello. In e etti, “ogni apice è un vero e proprio ‘centro di
elaborazione dati’; non lavora da solo, ma è in rete con i molti milioni di altri che costituiscono
l’apparato radicale di una pianta”50. Si tratta, dunque, di un’intelligenza distribuita51, paragonabile
alla struttura modulare di internet, ovvero di una “intelligenza di sciame” che permette alle piante
di comportarsi come una colonia di formiche, un banco di pesci, uno stormo di uccelli. Questo tipo
di intelligenza ha la caratteristica di produrre dei comportamenti detti “emergenti”, che nel singolo
organismo non esistono, ovvero di manifestare un’intelligenza superiore o più so sticata della
semplice somma delle intelligenze dei singoli individui che compongono la colonia.
Possiamo dunque parlare di “intelligenza vegetale” pur in assenza di cervello, così come abbiamo
parlato di respirazione in assenza di polmoni e di vista in assenza di occhi52. Possiamo, anzi, andare
più in là e a ermare che “l’intelligenza è una proprietà della vita, qualcosa che deve essere posseduta
47
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, pp. 82-83.
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, cap. V.
49
Per quanto riguarda la capacità di contare sono molto interessanti gli esperimenti sulla Dionaea muscipula illustrati
da Greg Gage (Electrical experiments with plants that count and communicate, video TED 2017).
50
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 120.
51
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, pp. 79 e 124. Gli esperimenti di
Mancuso hanno messo in rilievo, in particolare, l’esistenza di un minuscolo tratto (meno di 1 mm) della radice, nel
quale avviene un elevato consumo di ossigeno e si manifestano dei potenziali di azione. La radice è minuscola, ma una
semplice piantina di segale presenta circa quattordici milioni di radici che possono costituire un vero e proprio
Internet.
52
La questione è tutt’altro che paci ca. Greg Gage, ad esempio, dopo aver mostrato le stupefacenti capacità della
Mimosa pudica e della Dionaea muscipula, dichiara sera co che non sono intelligenti perché non sono dotate di
neuroni e di cervello, senza nemmeno essere s orato dal sospetto che si tratti di un’argomentazione tautologica, con la
quale a erma che l’assenza dell’organo implica l’assenza della funzione, subito dopo aver dimostrato la presenza della
funzione stessa (Electrical experiments with plants that count and communicate, video TED 2017).
48
11
anche dal più umile organismo unicellulare. [...] Senza intelligenza non può esserci vita”53. Bisogna
riconoscere l’intelligenza come qualcosa di connaturato alla vita.
La necessità di guardare al mondo vegetale con occhi nuovi non è, di conseguenza, più rimandabile
54
. “Bisognerebbe comprendere che lo ‘spirito’ è la cosa più universale del mondo: le piante, i
funghi, gli animali, i virus sono esseri spirituali, coscienti, capaci di percezione e di volontà che
devono essere studiati come si studia un’opera spirituale, un libro, un lm”55.
22. La di erenza è un gesto
È necessario ora tentare di tirare le la di quanto abbiamo raccolto.
Siamo partiti in cerca dei con ni tra vita e materia, tra coscienza e vita, per tracciarli meglio, in
modo più netto, ma abbiamo nito con lo scoprire che questi con ni non possono essere intesi
come barriere invalicabili (limes), ma devono essere intesi come soglie, luoghi di scambio e
comunicazione (limen). Più che di con ni si tratta di rapporti reciprocamente costitutivi, di
interconnessioni e aperture, di relazioni amorose.
Questo perché la di erenza tra vita e materia, tra vita consapevole e inconsapevole, non è un dato,
ma un gesto, un fare piuttosto che un sapere, uno scrivere o un tracciare con ni piuttosto che un
descrivere una realtà precostituita. Si tratta, cioè, di un gesto costitutivo, con il quale ogni volta
tracciamo da capo con ni de nitori a partire da speci che pratiche di mondo (scienti che,
politiche, artistiche, ecc.). Non è costitutivo nel senso che crea dal nulla, ma nel senso che,
nell’intreccio inscindibile tra il nostro fare e il nostro sapere, conferisce signi cato al nostro
concreto e speci co stare nel mondo, è il modo in cui raccontiamo come viviamo. Questo gesto
costitutivo, abbiamo notato, è sempre un gesto doppio, che ad un tempo divide e unisce, distingue e
collega, stabilisce di erenze in un luogo comune. Un gesto che, a questo punto, potremmo de nire
coevolutivo.
23. Un gesto vivente
Questo gesto, che noi stessi stiamo compiendo, accade chiaramente nel mondo, ovvero è sempre un
gesto determinato. Prima di tutto determinato “naturalmente”, compiuto cioè da un determinato
vivente. Il gesto cartesiano, gesto inaugurale della scienza moderna, ha ridotto la “ sica”
(nonostante questa parola si riferisse, nella sua radice etimologica, a ciò che si genera e cresce) a
studio della natura matematizzata, ovvero intesa come macchina, come non vivente. In questo
modo si è compiuta una vera e propria rimozione del vivente, una separazione decisiva tra vita e
53
Mancuso-Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 112. “È stato possibile dimostrare che
la pianta è perfettamente consapevole di ciò che accade intorno e dentro di essa, e che è dotata di una memoria e di
un’intelligenza che, se non hanno bisogno di un sistema nervoso e di un cervello, non sono meno acute di quelle degli
animali. Questo tipo di osservazione permette di capire no a che punto la presa zoocentrica ci ha impedito di a ermare
l’identità tra la vita e il pensiero” (Coccia in Venturi Riccardo, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele
Coccia, Doppiozero 22 Novembre 2019).
54
Mancuso conclude il suo lavoro suggerendo la possibilità di utilizzare l’intelligenza delle piante per costruire plantoidi
(esseri arti ciali che ibridano macchina e organismo vegetale), greenternet (reti di organismi vegetali come strumenti di
monitoraggio o rilevazione) e tocomputer.
55
Coccia in Venturi Riccardo, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele Coccia, Doppiozero 22
Novembre 2019.
12
sapere. La natura viene infatti ridotta a ciò che precede lo spirito, spazio vuoto e incoerente, notte
senza luce e senza parola56.
Ma non vi è e non vi può essere conoscenza senza mediazione del vivente. Ogni conoscenza è non
solo un punto di vista, ma un punto di vita e ogni verità non è che il mondo nello spazio di
mediazione del vivente57. Come abbiamo compreso alla luce del concetto di immersione, la vita è
essenzialmente un processo simbiogenetico, in cui “se gli organismi riescono a definire la propria
identità grazie alla vita di altri viventi, è perché ogni vivente vive già da sempre nella vita altrui”58. Il
“de nire”, gesto loso co per eccellenza, si rivela, di contro alle illusioni meta siche di ieri e alle
ingenuità scienti che di oggi, un atto costitutivamente mondano: è “impossibile liberarsi
dall’ambiente nel quale si è immersi e puri care quello stesso ambiente dalla nostra presenza”. In
altri termini, è impossibile oggettivare il mondo, perché “il mondo non è un luogo, ma è lo stato di
immersione di ogni cosa in ogni altra cosa”59. È proprio questa mescolanza, questa koinonia, a
generare la possibilità di una trasmissibilità e di una traducibilità universale delle forme, a rendere
possibile il sapere. Ogni sapere in questo senso è ibrido60 e, se la specie umana è la sola a fare
loso a, questo non signi ca che la faccia da sola.
24. Un sapere interspeci co
Usando in senso più ampio il concetto elaborato da Lévi-Strauss, Coccia a erma che ogni sapere è
fondamentalmente una forma di totemismo: da un lato è sempre osservando il nonumano che
l’uomo ha compreso e de nito se stesso e dall’altro è applicando i concetti che descrivono la nostra
vita che abbiamo capito la vita di specie e forme di vita diverse dalle nostre. Totemismo e
antropomor smo, da questo punto di vista, sono due processi identici: se si scopre che parte della
nostra vita è identica a quella dei non-umani, possiamo riconoscere tratti di umanità a questi
ultimi; viceversa ogni volta che attribuiamo a una pianta o a un animale un tratto umano, stiamo
anche riconoscendo che c’è qualcosa in noi che non ha una natura puramente umana61.
E entrambi i processi sono strutturalmente necessari: lo sono perché se ogni specie si de nisce come
una modi cazione minima di una specie che l’ha preceduta, allora ogni sapere di una singola specie
è costitutivamente interspecifico. In questo senso, ogni sapere è totemico, coevolutivo, interspeci co,
perché non può esistere sapere che non sia mutuato da altri esseri viventi, che non sia ad un tempo
sapere su di sé e sapere sulle altre forme di vita.
È quindi necessario muoversi in una direzione diversa e più profonda rispetto al semplice dire che
solo la specie umana o non solo la specie umana possiede linguaggio e coscienza e quindi cultura e
sapere. Il sapere non è un’operazione dell’uomo sul mondo, ma del mondo sul mondo. Il sapere è
sempre sapere della vita sulla vita e, alla luce del concetto di coevoluzione, la vita non può (più)
essere considerata analiticamente come una somma di parti.
56
Si veda Per una filosofia della natura, capitolo quarto di Coccia, La vita delle piante.
Coccia, La vita delle piante, p. 31.
58
Coccia, La vita delle piante, p. 63.
59
Coccia, La vita delle piante, p. 89, che sceglie come titolo del capitolo il Tutto è in tutto di Anassagora.
60
Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri 2002.
61
Venturi, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele Coccia. Scriveva già Fechner: “Dal canto mio, se io
parlo di un’anima individuale delle piante, intendo esprimere con ciò non semplicemente un’idea, che si riconosce nella
multiformità della struttura e della vita della pianta, ma qualcosa di più. [...] Non già la rende anima ciò che io
dell’anima della pianta ho in me, ma precisamente ciò che di essa in me non ho” (Nanna o L’anima delle piante, p. 21).
57
13
25. Verso un totemismo vegetale
Osserviamo allora la soglia biostorica che stiamo attraversando62.
Per secoli, il totemismo di riferimento è stato un totemismo animale che disegnava relazioni sociali
di tipo essenzialmente predatorio e una relazione con il nonumano fondamentalmente improntata
alla pratica della caccia. Ma stiamo oggi cambiando i nostri viventi guida: non più i grandi
predatori, ma le piante. Stiamo passando a un totemismo vegetale, che ride nisce le relazioni sociali
secondo un paradigma simbiotico e la relazione con il nonumano secondo una forma di
giardinaggio. Il totemismo vegetale mette limpidamente in luce il fatto che la vita che ciascuno di
noi costruisce è sempre vita che sarà vissuta da altri rispetto a chi la sta vivendo ora, ovvero che la
vita eccede sempre la forma, la sagoma, il corpo, la specie che abita. Non sappiamo quali signi cati
profondi e quali conseguenze a lungo termine avrà questa nuova forma di totemismo, ma non
possiamo più illuderci di avere idee e nozioni non in uenzate dal nostro rapporto quotidiano con le
altre specie.
26. Scienza e vita
Gli antichi greci hanno distinto con precisione l’umano dall’animale e ancor più dal vegetale perché,
potremmo osservare, si sentivano molto simili e ancora con-fusi, altrimenti non avrebbero sentito
questa esigenza. Noi oggi assottigliamo questa distanza, riconosciamo con generosità diritti agli
animali e forse a breve anche alle piante63, siamo vegetariani o vegani, e via dicendo. Ma forse accade
perché ci sentiamo già lontanissimi dagli altri viventi. La civiltà scienti ca e industriale ci ha posto
“fuori” e “al di sopra” della natura, ci ha portato a vivere all’interno di spazi completamente
antropizzati, arti ciali. Potremmo addirittura ipotizzare che siamo qui a interrogarci sulla vita
perché non la vediamo più intorno a noi, l’abbiamo addomesticata, manipolata, ridotta a macchina,
rimossa, cancellata. Siamo forse qui a interrogarci sulla vita perché non sappiamo più che cosa sia. E
questo proprio nel momento in cui sembriamo saperne più che mai.
La rimozione cartesiana del vivente ha, in e etti, preparato il dominio sul vivente, come un
assoggettamento spirituale che prepari quello materiale. Attraverso la manipolazione genetica,
sembriamo sul punto di mettere la vita de nitivamente alla catena, di piegarla al nostro servizio, di
sottometterla con la sferza del sillogismo biologico da un lato e di quello informatico dall’altro.
Siamo qui forse a interrogarci sulla vita e sulla coscienza perché il nostro fare, in particolare le nostre
pratiche di manipolazione genetica e di costruzione di “intelligenze arti ciali”, ha già spostato le
soglie, sta già tracciando nuovi con ni. Tutta questa operazione poggia, però, sul fallace
presupposto che noi siamo “fuori”, che noi siamo altro rispetto alla vita che manipoliamo.
62
Il riferimento è nuovamente a quanto proposto da Coccia in Venturi, La parola per mondo è foresta. Intervista con
Emanuele Coccia.
63
Il problema dei diritti dei vegetali (anticipato da Samuel Butler) ha trovato una sua prima incarnazione giuridica nel
documento The dignity of living beings with regard to plants. Moral consideration of plants for their own sake, redatto
dall’ECNH svizzero nel 2008.
14
27. Proteo
I vegetali sono abilissimi costruttori di forme, le piante modellano senza sosta la materia in cui sono
continuamente immerse: le forme non sono qualcosa che le piante fanno, ma qualcosa che sono.
Mentre negli animali la morfogenesi si arresta con il raggiungimento dell’età adulta, nelle piante la
morfogenesi non si arresta mai: il corpo della pianta non è mai dato, è sempre potenza inesauribile
nel suo venire in atto, il vegetale è intrinsecamente proteiforme64.
Menelao, di ritorno dalla guerra di Troia, si trovò bloccato sull’isola di Faro, davanti all’Egitto, senza
poter tornare a casa. Eidotea, glia di Proteo, venne in suo soccorso e gli svelò come catturare suo
padre e farsi predire il futuro: “lui ti dirà il cammino e la durata del viaggio, e il ritorno, come potrai
navigare sul mare pescoso”65. Proteo, infatti, era un vecchio dio marino che aveva il dono della
profezia, ma anche la facoltà di prendere l’aspetto di qualsiasi animale o elemento per sottrarsi a chi
lo volesse interrogare. Dopo averlo catturato, Menelao lo vide, in e etti, trasformarsi: “prima di
tutto divenne chiomato leone, e poi serpente e pantera e immane cinghiale; liquida acqua si fece
poi, albero d’alto fogliame”66. In ne, si arrese, riprese la forma umana e acconsentì a predire il
futuro.
È davvero sorprendente che, dopo aver provato a sfuggire trasformandosi in un animale feroce
come il leone, in uno sfuggente come il serpente, in uno agile come la pantera, in uno dalla forza
incontenibile come il cinghiale, e, quindi, nell’elemento ina errabile per de nizione, l’acqua, Proteo
scelga come estremo tentativo la trasformazione in un grande albero frondoso. Si tratta di una scelta
inspiegabile. Possiamo solo intravedere nel dio, sulla scorta delle osservazioni raccolte sin qui, una
natura che in profondità si rivela vegetale, come se Proteo, il dio metamor co e liminare come una
pianta, incarnasse l’animale che si sogna vegetale, il dio che ancora non conosce la separazione tra
vegetale e animale o tra vita e materia imposta dal logos. Proteo è vegetale in quanto vita colta nella
sua ina errabilità. Proteo è stato interpretato da Goethe come la natura mutevole che non si lascia
dominare dalla violenza del sapere, non si lascia ricondurre entro forme stabili67; Menelao
rappresenterebbe allora la comunità scienti ca. Sorge il sospetto che cerchiamo i con ni della vita
non per trovarli, ma per imporli alla vita stessa.
Dopo aver pazientemente e metodicamente assoggettato i corpi, le anime e le menti, oggi
sembriamo sul punto di assoggettare de nitivamente la vita, di mettere in catene la potenza
primigenia, di dominare la radice stessa dell’esistere, di ridurre il dio ad una macchina, ma ci s ora la
sensazione che, proprio nell’a errare Dafne con una stretta ferrea quanto mai prima, la vita che da
sempre ci sfugge ci sfuggirà per sempre.
64
Determinante, in questo senso, la funzione dei meristemi. Il meristema è un tessuto vegetale le cui cellule
mantengono (o riprendono dopo il di erenziamento) la capacità di dividersi per mitosi per originare nuove cellule. La
loro funzione è paragonabile a quella delle cellule staminali negli animali.
65
Odissea, IV, 388-390 (Einaudi, 1963, Traduzione di R. Calzecchi Onesti).
66
Odissea, IV, 456-458 (Einaudi, 1963, Traduzione di R. Calzecchi Onesti).
67
Goethe, Lettera a Riemer, 1 marzo 1805. Si veda Girolamo De Michele, Afferrare Proteo: dire l’indicibile nel Paese dei
misteri,
Carmilla
(https://www.carmillaonline.com/2008/05/19/a errare-proteo-dire-lindicibile-nel-paese-dei-misteri).
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Riferimenti bibliogra ci principali
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Bruni Renato, Erba volant. Imparare l’innovazione dalle piante, Codice 2015
Bruni Renato, Le piante sono brutte bestie. La scienza in giardino, Codice 2017
Butler Samuel, Erewhon, 1872 (Adelphi 1979)
Coccia Emanuele, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino 2018
Darwin Charles, Le diverse forme dei fiori in piante della stessa specie, 1877 (trad.
Canestrini, 1884)
Darwin Charles, Il potere di movimento nelle piante, 1880 (trad. Canestrini 1884)
Darwin Charles, La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici, con osservazioni
intorno ai loro costumi, 1881 (trad. Lessona, 1882)
Fechner Gustav Theodor, Nanna o L’anima delle piante, 1848 (Adelphi, 2008)
Gage Greg, Electrical experiments with plants that count and communicate, video TED
2017
Mancuso Stefano, Alla radice dell’intelligenza delle piante, video TED 2010
Mancuso Stefano e Viola Alessandra, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo
vegetale, Giunti 2017 (2013)
Mancuso Stefano, Verde brillante. La mente delle piante. Conferenza per La mente in
salute 2016 (https://www.youtube.com/watch?v=lPRkwohuTGw)
Mancuso Stefano, Intervista a Stefano Mancuso per il seminario "L'uomo e l'ambiente nella
vita quotidiana" (2017)
(https://www.youtube.com/watch?v=PRfcDHnnxmw&feature=youtu.be)
Pollan Michael, La botanica del desiderio: il mondo visto dalle piante, Il Saggiatore 2005
Pollan Michael, A plant’s-eye view, video TED 2007
Repici Luciana, Uomini capovolti. Le piante nel pensiero dei Greci, Laterza 2000
Venturi Riccardo, La parola per mondo è foresta. Intervista con Emanuele Coccia,
Doppiozero 22 Novembre 2019
(https://www.doppiozero.com/materiali/la-vita-delle-piante-meta sica-della-mescolanza)
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