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«Il Convegno» 1920 -1940
Nato a Milano nel 1890, Enzo Ferrieri studia
all’Università di Pavia e nel 1920 fonda la rivista
«Il Convegno» – che è anche libreria, casa editrice, circolo culturale (musicale e cinematografico),
quindi teatro d’arte –, dove fino al 1940, anno in
cui interrompe le pubblicazioni, si manifesta una
visione europea della cultura e si afferma un nuovo
linguaggio letterario.
Personalità molteplice, attenta a tutte le forme della
comunicazione moderna, Ferrieri unisce alla costante passione per il teatro, l’interesse per la radio
di cui intuisce le potenzialità culturali sintetizzate nel
manifesto La radio come forza creativa pubblicato
da «Il Convegno» nel 1931. Le sue Conversazioni
per Radio sono pubblicate nel libro Nord Sud nel
1929 da Il Convegno Editoriale.
È direttore artistico dell’Eiar, primo regista della radio nel 1928, quindi a lungo alla Rai, critico teatrale e radiofonico per tutta la vita: la sua rubrica Novità di teatro (in volume nel 1941 e 1952) diventa
garanzia per un pubblico fedele e affezionato.
Traduttore di Maeterlink fin dal 1911, è poi autore
delle versioni di Il gabbiano di Čechov e di Il magnifico cornuto di Crommelynck, accolte nel 1944
da Paolo Grassi nella celebre collana di Rosa e
Ballo. E ancora di La città d’oro di Billinger, e di Le
tre sorelle, Zio Vanja, Il giardino dei ciliegi, 1946.
Postumi sono usciti: Fuori dal gioco, 1970; La radio! La radio? La radio!, 2002; Sul filo della memoria, 2003.
Enzo Ferrieri
«Il Convegno» 1920 -1940
Per un’antologia
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Negli anni sessanta, nel pieno di una maturità sempre attiva, ricca di esperienze letterarie e teatrali,
Enzo Ferrieri progetta un’antologia della sua rivista,
«Il Convegno». Si affida a un editore come Vanni
Scheiwiller, profondo conoscitore di un Novecento vissuto come familiare, e trova il sostegno di un
grande mecenate della cultura: Raffaele Mattioli.
Ferrieri ripercorre la vita della sua rivista, ancorata a quel contesto milanese, tra nobiltà crociana,
borghesia curiosa ed ebraismo colto, molto lontano
dal regime, che l’ha vista nascere. La proietta in
quell’“Europa illuminata” punto di riferimento di una
generazione cosmopolita. Ne ricorda una schiera
di critici e scrittori, poi noti e notissimi, da Linati ad
Angelini, da Debenedetti a Solmi e Gerbi, dalla
Mazzucchetti a Piovene, a Robertazzi e Leonardo
Borgese; ne segnala le scoperte, da Joyce a Svevo,
e i mille interessi nella contemporaneità, ma affida
un posto di rilievo, quasi di grande suggeritore, a
Eugenio Levi, professore appartato, e coscienza
“inquieta” della rivista. Ai suoi saggi critici, che
spaziano da Goldoni a Pirandello, e leggono in
modo nuovo i contemporanei, assegna il valore di
ricerche mai episodiche, sempre fondate su idee
solide e condivise.
Selezionare vent’anni di un’attività proiettata in molte direzioni non è semplice, e il progetto procede a
rilento, tra problemi di scelte, di spazi, di diritti. Ma
Ferrieri non demorde e lavora a un saggio introduttivo che diventa storia della rivista, e contemporaneamente biografia intellettuale del suo direttore. Non
tace dei rapporti vissuti e sperati, come quello con
Gobetti, o con il mondo, più affine nell’impronta europeistica, di «Solaria», né le polemiche, compresa
quella iniziale con i rondisti, superata da un clima
di costante apertura e da un lungo rapporto con
alcuni di loro, da Raimondi a Bacchelli a Cecchi.
La morte non permette a Ferrieri di vedere la pubblicazione.
La sua introduzione all’antologia appare qui, nei
cent’anni della nascita del «Convegno», a rinnovarne il dibattito, la passione e l’impronta critica
e morale.
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Enzo Ferrieri
«Il Convegno» 1920-1940
Per un’antologia
a cura di Anna Modena e Anna Antonello
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori
Si ringraziano tutti gli autori e i loro eredi che concedendo l’utilizzo dei testi riportati
hanno reso possibile questa pubblicazione e si rimane a disposizione per eventuali
altri aventi diritto che non è stato possibile reperire.
www.fondazionemondadori.it
© Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2020
In collaborazione con
Sommario
«Il Convegno» 1920-1940
7
La memoria di Ferrieri
di Anna Modena
65
C’era una volta «Il Convegno». Dalla rivista all’antologia
di Anna Antonello
79
Agli esordi del «Convegno»: il duello con «La Ronda» (1920-1923)
di Anna Baldini
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Agli esordi del «Convegno»:
il duello con «La Ronda» (1920-1923)
Anna Baldini
Il primo fascicolo della rivista «Il Convegno», fondata a Milano da Enzo
Ferrieri, esce nel febbraio del 1920. È solo con il testo introduttivo alla terza annata, tuttavia, che si delinea compiutamente il triplice obiettivo che
caratterizza il periodico: divulgare e valorizzare, attraverso un’alternanza
di saggi antologici e studi critici, la miglior produzione letteraria regionale
(lombarda), nazionale, e straniera.1 Quest’ultimo ambito di proposte e ricerche, pur essendo quello grazie al quale la rivista eserciterà maggior influenza sul panorama culturale dell’entre deux guerres, non costituisce la
motivazione originaria della sua fondazione.2 All’inizio della seconda annata, infatti, Ferrieri dichiara come principale interesse del periodico «la
letteratura e l’arte italiana del tempo presente».3
«Il Convegno» nasce dunque per promuovere e investigare la produzione artistica nazionale in un momento storico – il primo dopoguerra –
percepito come di cesura e di passaggio. È un intendimento molto simile a
quello di un’altra rivista fondata a Roma qualche mese prima, «La Ronda»,
un mensile redatto tra l’aprile 1919 e il dicembre 1923 da Antonio Baldini,
Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Emilio Cecchi e Lorenzo Montano sotto la direzione di Vincenzo Cardarelli e Aurelio E. Saffi.4 Lo stesso Ferrieri, nell’introduzione all’antologia del «Convegno» progettata nel 1967-1968,
identifica in un’esigenza restaurativa, dopo l’anarchia artistica del primo
decennio del secolo, il proposito comune alla sua rivista e alla «Ronda».5
A distanza di decenni le ricostruzioni storico-letterarie tendono a individuare tra fenomeni coevi contiguità che disegnano un’aria di famiglia, o
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Enzo Ferrieri
l’atmosfera di un’epoca, trascurando i rapporti conflittuali e di concorrenza che costituiscono invece, che gli interessati ne siano più o meno consapevoli, il principale movente delle elaborazioni creative e critiche di chi è
coinvolto nella produzione letteraria. Gli intenti restaurativi comuni alla
«Ronda» e al «Convegno» costituiscono in effetti più un motivo di antagonismo che di contiguità: «Il Convegno» nasce dopo «La Ronda» configurando un diverso progetto di “ritorno all’ordine”.6
Cronaca di un conflitto
Le dichiarazioni programmatiche con cui si aprono le annate del «Convegno» coincidenti con gli anni di pubblicazione della «Ronda» delineano un
posizionamento differenziale rispetto alla rivista romana. Nel primo numero Ferrieri elenca tra gli obiettivi della sua rivista quello di «suscitare»
«il gusto al piacere disinteressato» «in un pubblico largo», «per il quale […]
è stata pensata».7 «La Ronda» ostenta invece il profilo tipico di una rivista
d’avanguardia, che si rivolge all’ambito ristretto dei conoscitori d’arte: quei
«quattro gatti» rivendicati con orgoglio come unici interlocutori degni da
Antonio Baldini nel corso di una polemica sul romanziere Guido Da Verona, autore di alcuni dei più significativi exploit commerciali del primo
dopoguerra.8 Benché aspiri a un pubblico «largo», «Il Convegno» non si
posiziona certo dalla parte di Da Verona, anzi: la rivista si propone come
palestra per la creazione letteraria “pura” e “disinteressata” – non commerciale, cioè, né politicamente orientata – tanto quanto «La Ronda», ma se ne
differenzia in quanto non vuole parlare ai soli addetti ai lavori.9 Tale intento divulgativo informa anche l’ampia e variegata offerta culturale che negli
anni si viene accompagnando al periodico: la libreria, aperta nel 1921, e il
Circolo, inaugurato nel 1922, che ospita una biblioteca, concerti di musica
contemporanea, letture e conferenze di scrittori italiani e stranieri, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche.
Un altro distinguo che ricorre con frequenza negli incipit delle prime
annate del «Convegno» è la rinuncia a identificare la rivista con un gruppo dotato di una poetica ben definita.10 Il riferimento contrastivo è sempre
«La Ronda», che all’inizio degli anni venti ospita il raggruppamento di letterati più riconoscibile – ed esclusivo – del campo letterario italiano. Il numero di autori pubblicati dalle due riviste è in effetti piuttosto eloquente: da
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
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aprile a dicembre 1919 contribuiscono alla «Ronda» 24 autori e traduttori,
nel 1920 31, mentre nello stesso anno, tra febbraio a dicembre, «Il Convegno» pubblica testi e traduzioni di ben 51 firme diverse; nel 1921 ai 23 autori e traduttori della «Ronda» ne corrispondono 35 sul «Convegno».11 Da
una parte abbiamo quindi il profilo di un gruppo di autori compatto e selettivo; dall’altra, un insieme più aperto, la cui eterogeneità mira a rappresentare il meglio del panorama letterario contemporaneo:
Il Convegno si propone, accanto alla propria opera critica, di rendere sempre
più ricca e frequente la collaborazione artistica dei migliori scrittori nostri,
così da offrire al lettore la configurazione più significativa della letteratura
italiana del momento.12
Tale eclettismo programmatico offre il destro al primo attacco dei rondisti,
che giunge abbastanza presto, nell’autunno 1920, quando «Il Convegno»
esce da pochi mesi.13 Una recensione di Bacchelli all’ultimo numero del periodico milanese apre una ridda di schermaglie che si susseguono per tutto
il 1921. Bacchelli liquida in maniera sbrigativa e sprezzante la parte antologica della rivista: la sezione che avrebbe dovuto rappresentare «la configurazione più significativa della letteratura italiana del momento» altro
non offrirebbe che «una mostra pacchiana di nomi celebri ed esotismo».14
Ma la recensione si preoccupa soprattutto di fare a pezzi la critica letteraria del «Convegno», che nel numero preso in esame è rappresentata da
scritti di Enrico Somaré, di Ferrieri stesso e di Cesare Angelini. In tutti e
tre gli articoli le posizioni dei rondisti sono oggetto di contestazione esplicita: Somaré vede nel classicismo della «Ronda» le conseguenze dell’insegnamento di Serra, il cui magistero, però, i rondisti disconoscono; Ferrieri
giudica illusorio e fallimentare il neo-classicismo rondista; Angelini dichiara Baldini il migliore scrittore della rivista in quanto estraneo alla frigidità degli altri.15
A partire dai numeri autunnali del ’20 il botta e risposta prosegue a singhiozzo. Nel «Convegno» di dicembre Ferrieri replica a Bacchelli sottraendosi al confronto diretto;16 e in effetti, nel numero successivo, affida i conti
con «La Ronda» a due autori che non appartengono al nucleo dei suoi più
stretti collaboratori: da una parte Luigi Russo, un critico di impostazione
crociana che si era fatto un nome dando alle stampe un libro su Verga pe-
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Enzo Ferrieri
santemente stroncato dalla «Ronda»,17 il quale giudica insufficienti le realizzazioni del programma della rivista romana;18 dall’altra Enrico Somaré,
che nega il valore di una ricerca formale disgiunta da considerazioni di contenuto, come quella dei rondisti.19
I toni particolarmente aspri dell’articolo di Somaré recano le tracce di
un risentimento personale. In effetti, il critico era stato il primo bersaglio
della rubrica rondesca «Exempla elocutionum», il cui titolo è da leggere in
senso antifrastico: costituita da un elenco di citazioni estrapolate dal contesto e accumulate in funzione derisoria, la rubrica riprende uno stratagemma polemico messo in auge dallo «Sciocchezzaio» di «Lacerba» (Firenze,
1913-15).20 Un trattamento simile tocca a Carlo Linati, uno dei collaboratori più stretti di Ferrieri insieme a Levi e Angelini: nell’agosto-settembre
1921 «La Ronda» dedica un florilegio parodico al suo Issione il polifoniarca, cui Linati risponde piccato accusando di vigliaccheria la «carogna» che
l’ha calunniato.21 «La Ronda» replica nell’ottobre 1921 con una sfida a duello firmata dal fittizio generale Mannaggia La Rocca.22
Essendo lo «spadaccino di redazione»23 impegnato con Linati – ci viene comunicato nella righe che precedono il cartello di sfida – il generale
La Rocca non potrà dedicarsi a Ferrieri, anche lui colpevole di una provocazione difficile da digerire, scagliata non dalle pagine del «Convegno», e
nemmeno da quelle di una rivista italiana, ma dal periodico berlinese «Die
neue Rundschau», che aveva incaricato il direttore della rivista milanese di
tracciare un panorama della letteratura italiana contemporanea.24 Nell’articolo Ferrieri loda le qualità di alcuni rondisti, ma descrive il «gruppo di
restauratori» nel suo complesso bloccato in «una specie di vicolo cieco senza uscita», non avendo «prodotto altri risultati concreti se non il fatto che
è stato essenzialmente utile ad un ritorno stilistico necessario».25 «La Ronda» reagisce negando le «credenziali» di Ferrieri come ambasciatore all’estero della cultura italiana,26 ma soprattutto intervenendo direttamente nel
campo berlinese: il suo esperto di letteratura tedesca, l’ungherese trapiantato in Italia Mór Korach (che scrive sotto lo pseudonimo Marcello Cora), nel
1922 viene invitato dalla «Neue Rundschau» a tenere una contro-relazione
sulla letteratura italiana del dopoguerra. Anche se non ne sortiranno effetti duraturi sulla ricezione della prosa rondista in Germania, Korach-Cora
ha l’opportunità di presentare traduzioni di tutti i redattori della «Ronda»
a un uditorio composto dai principali autori di Fischer, la casa editrice che
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pubblica la «Neue Rundschau»: Gerhart Hauptmann, Alfred Döblin, Otto Flake, Georg Kaiser.27
Stilettature e provocazioni proseguono, sia pur con minor frequenza, fino alla chiusura della «Ronda»;28 l’anno di maggior frizione tra le due riviste rimane però il 1921. Lo dimostra anche un dato esteriore: se nel 1920 i
due periodici condividono un certo numero di autori italiani viventi (cinque, per la precisione), nel 1921 tale cifra scende a zero; Linati, che aveva
pubblicato sulla «Ronda» prose creative e traduzioni dall’inglese nel 1919
e nel ’20, nel ’21 rinuncia alla collaborazione, così come, viceversa, un autore della «Ronda» come Cecchi, la cui firma era apparsa sul «Convegno»
del 1920, nel 1921 non vi scrive più.29 Nel 1922 l’unico scrittore italiano vivente pubblicato da entrambe è un autore prestigioso ma sostanzialmente
estraneo alle due redazioni, Ardengo Soffici.30
Nel 1921 i due periodici non si confrontano soltanto attraverso lo scontro diretto, ma anche in forma obliqua. Entrambi cercano di replicare alcune caratteristiche del rivale: nel primo numero del 1921 «Il Convegno»
introduce la rubrica di note polemiche e satiriche «Galleria», firmata da
Ferrieri e Linati, che ricorda l’analoga «Incontri e scontri» della «Ronda»;31
quest’ultima introduce invece, sempre nel primo numero del 1921, la rubrica «Quel che dicono le riviste» (a volte con la titolatura «Dalle riviste»), che
imita la rassegna di periodici italiani e stranieri che «Il Convegno» aveva
ospitato fin dal suo primo numero.
«Incontri e scontri» tra Roma e Milano
Se quella che abbiamo tracciato fin qui è la cronaca del conflitto, quale ne
è la posta in gioco? Quali sono le ragioni di un dissenso che, per almeno
un anno e mezzo, risulta così accanito? Eppure, a distanza di un secolo, le
posizioni delle due riviste non sembrano così irriducibili le une alle altre.
I distinguo tracciati dal «Convegno» nei confronti del programma della
«Ronda» appaiono piuttosto deboli su un piano teorico. Nel testo di apertura della rivista Ferrieri sostiene che «riprendere la tradizione è legge così
naturale, che nessuno pensa di contraddirla. […] Ma […] non possiamo assolutamente trasportare il nostro tempo fuori dalla nostra poesia».32 L’intento esposto dal Prologo in tre parti della «Ronda», però, non è quello di
«trasportare il nostro tempo fuori dalla nostra poesia»: se è vero che vi si
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Enzo Ferrieri
parla di «perpetuare […] la tradizione della nostra arte» anche servendosi di uno «stile defunto», l’obiettivo ultimo è «essere moderni alla maniera
italiana».33 Le due riviste concordano anche su quanto indietro sia necessario risalire per riagganciarsi alla tradizione: per entrambe si tratta di tornare al primo Ottocento e al magistero di Leopardi e Manzoni, sia pur con
affinità elettive differenti (Manzoni per «Il Convegno», Leopardi per «La
Ronda»).34
Nell’incipit della quarta annata Ferrieri precisa in altro modo la distanza del «Convegno» rispetto al programma rondista.
Volevamo raccogliere, dopo la guerra, quei non molti scrittori che avessero qualche cosa da dire, che liberamente si conformassero a una certa disciplina, di purità artistica, e trovandosi insieme, contribuissero a istituire
un ordine.35
Abbiamo già incontrato, in un intervento di Somaré, l’idea che gli scrittori della «Ronda» siano disinteressati ai contenuti dell’opera d’arte, che non
abbiano cioè niente da dire. Si tratta di un rilievo che non troviamo solo
sulle pagine del «Convegno» ma che ricorre, ora in forma di rimprovero,
ora di constatazione più neutra, in rassegne della letteratura presente come Tempo di edificare di Giuseppe Antonio Borgese o La coltura italiana
di Prezzolini, due volumi usciti nello stesso anno in cui cessa la rivista romana.36
L’enfasi sullo stile che lascia in secondo piano i contenuti, battezzata
«calligrafismo» da Borgese, corrisponde non solo alle teorizzazioni ma anche alla prassi creativa testimoniata dalle prose pubblicate sulla rivista romana.37 Molte di queste sono riscritture – testi, cioè, che non chiedono di
essere valutati per l’originalità dell’inventio ma per quella dell’elocutio: Bacchelli rifà l’Amleto e le Troiane, Cardarelli la Genesi, Nino Savarese i capitoli
dei Promessi sposi che narrano le disavventure di Renzo a Milano, Lorenzo Montano e Giuseppe Raimondi i miti classici.38 A questo genere testuale
viene dato rilievo fin dal primo numero della rivista: se il primo articolo è il
testo programmatico Prologo in tre parti e il secondo un’articolata riflessione di Montano sulla guerra appena conclusa, il terzo è proprio una riscrittura, quella dell’Amleto di Bacchelli, preceduta da uno scritto introduttivo
di Cardarelli. Riscrivere l’Amleto significa secondo quest’ultimo rinunciare
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
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«alla possibilità momentanea di fare un dramma originale» per concentrarsi invece sulla conquista di «uno stile, ciò che vuol dire, in conclusione, un
mondo, un contenuto riconoscibile e saldo di umanità e di pensieri».39 Tre
anni dopo anche Marcello Cora presenta la ricerca dell’originalità stilistica
come un impegno più ardito, e necessario, rispetto a quella dei contenuti:
«affrontare oggi soggetti antichi, popolari, filtrati in quegli strati profondi
della memoria di generazioni in cui ha luogo la loro consacrazione, è ben
più arduo e minaccioso che inventare».40
I critici del «Convegno», invece, non ritengono la ricerca stilistica un
criterio di valutazione sufficiente, se non esclusivo, dell’opera d’arte. Come
scrive Ferrieri all’inizio del ’21:
Crediamo […] che l’arte sia contenuto in quanto forma; ma, dinanzi a un
mondo poetico espresso, valuteremo il contenuto secondo l’umanità che in
esso è trasfusa. In questa umanità, diventata poesia […] noi cerchiamo la
configurazione vera dello scrittore, e la sua forza originale.41
Tuttavia, che cosa Ferrieri, Angelini e Levi – i critici a lui più vicini –intendano con «valuteremo il contenuto secondo l’umanità che in esso è trasfusa» non è mai chiarito in termini meno generici; e si tratta di un orizzonte
così generale da essere rivendicato anche nel programma della «Ronda».42
Le dichiarazioni che dovrebbero orientare la ricerca letteraria del «Convegno» risultano insomma troppo vaghe per tracciare linee di demarcazione nette. Nella parte antologica, invece, nella rosa di testi che esemplificano
le prassi creative promosse e legittimate dalle due riviste, la distanza si misura meglio. Benché non sia agevole definire in maniera univoca il genere di prosa praticato sulla «Ronda», se ne possono identificare alcuni tratti
comuni: si tratta tendenzialmente di testi di scarso sviluppo narrativo e
a prevalenza descrittiva, enunciati da una voce che istituisce una distanza tra l’io autoriale e la materia trattata, e che sviluppano per via analogica una trama di raccordi tra immagini.43 «Il Convegno» dà invece spazio a
una maggior varietà non solo di autori ma anche di generi, e non disdegna
quelli narrativi più tradizionali: vi trovano spazio versi di Di Giacomo, Govoni e Saba; novelle di Albertazzi, Panzini, Pirandello e Tozzi; il romanzo
metafisico e surreale di Savinio La casa ispirata (che non avrebbe sfigurato sul «900» di Bontempelli); le anteprime di volumi di Soffici (la seconda
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Enzo Ferrieri
parte del Lemmonio Boreo) e Palazzeschi (Due imperi... mancati). Rispetto alla «Ronda», il panorama offerto è più variegato e meno compatto, per
meglio render conto della «configurazione più significativa della letteratura italiana del momento».44
Coerentemente con tale proposito, sul «Convegno» trova spazio anche
la prosa d’arte: ed è, a sorpresa, uno spazio privilegiato. A pubblicare sulla rivista prose descrittive e taccuini di viaggio che è difficile distinguere
dagli equivalenti rondisti, e persino due riscritture,45 è infatti Carlo Linati,
uno dei principali collaboratori di Ferrieri, lo scrittore di punta degli anni d’esordio della rivista (è l’unico vivente tra i lombardi che la rivista promuove, ed è l’autore la cui produzione creativa occupa il maggior spazio);
d’altra parte, Linati aveva praticato gli stessi laboratori letterari di molti
rondisti, passando dalla «Voce» diretta da De Robertis alla «Raccolta» diretta da Raimondi per approdare alla «Ronda», dove la sua firma appare
fino al 1920.46 A partire dal 1923, inoltre, quando la rivista romana non è
ancora ufficialmente cessata, Emilio Cecchi e Giuseppe Raimondi ritrovano spazio tra le pagine del «Convegno», e non più soltanto in qualità di critici, come nel 1920, ma come autori di testi creativi.47
Una guerra di posizione
Le dichiarazioni esplicite di opposizione al programma rondista che troviamo sul «Convegno» non sono solo dunque poco chiare, ma sembrano
minate dalla permeabilità della rivista al genere letterario che la «Ronda»
sta consacrando e legittimando. Come tenere insieme questa constatazione con il duello verbale prolungatosi per un paio d’anni, che tradisce un’ostilità concreta tra i gruppi legati alle due riviste?
L’intreccio può cominciare a sciogliersi se leggiamo il conflitto aperto
tra «La Ronda» e «Il Convegno» come lo scontro per occupare una stessa
posizione nel campo letterario italiano del dopoguerra: quella dell’avanguardia nel campo della letteratura di ricerca.48 I gruppi legati alle due riviste costituiscono due alleanze tra scrittori e critici in cerca di affermazione,
che per acquisire un nome e distinguersi dai predecessori propongono modi di fare letteratura che si differenziano sia dalla letteratura “impura” che
si fa dettar legge dal mercato o dalla politica, sia dalle prassi creative legittimate dalle avanguardie che si sono imposte nei decenni precedenti. Pur
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
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essendo rivali, dunque, presentano affinità originate dagli obiettivi polemici che condividono, dalle regole e prassi artistiche che intendono superare e delegittimare.
Come abbiamo visto, entrambe le riviste proclamano la necessità, dopo la cesura della guerra, di far ritorno a Leopardi e Manzoni, scavalcando
il passato letterario più prossimo costituito dalla triade Carducci-Pascoli-D’Annunzio49 e dalle avanguardie che negli anni dieci si erano scontrate
per il predominio nella produzione letteraria “pura”: da una parte il futurismo, che Marinetti aveva lanciato da Milano alla conquista dell’Italia e del
mondo; dall’altra l’avanguardia che aveva condotto le sue battaglie a Firenze sulle pagine del «Leonardo», della «Voce» e di «Lacerba».50
Quest’ultima era uscita vincitrice dal conflitto, come attesta il prestigio indiscusso di cui godono dopo la guerra scrittori come Papini e Soffici,
mentre più limitato è il riconoscimento del valore letterario dei futuristi.51
Un’occasione per fare i conti con la prassi creativa e critica promossa dall’avanguardia fiorentina è offerta dall’antologia Poeti d’oggi, curata da Papini insieme al critico Pietro Pancrazi e pubblicata da Vallecchi nel 1920. «Il
Convegno» le dedica non una ma due recensioni, di Cesare Angelini e del
direttore Ferrieri. Se Angelini, dopo un esordio tranchant (l’antologia offrirebbe un «attestato di miserabilità della nostra povera letteratura corrente,
che oggi usa di chiamar poesia»52), ragiona soprattutto sulla lista dei presenti e degli assenti e su come dovrebbe essere costruita un’antologia, Ferrieri delinea invece lucidamente le “regole dell’arte” che si erano imposte
nel corso degli anni dieci. «L’avversione alla facile letteratura che il romanzo, la novella e la commedia, come sono oggi concepiti, ànno trasportato
in un clima ciarlatanesco e poco respirabile»,53 scrive, ha portato gli scrittori degli anni dieci a rigettare i generi letterari tradizionali, identificati tout
court con la loro variante commerciale. Ne è conseguita l’abolizione dei
confini tra i generi (compresa la distinzione tra prosa e poesia) e una produzione letteraria costituita sostanzialmente di frammenti e discorsi lirici,
alla genesi della quale non è estranea «la Weltanschauung estetica della filosofia idealistica del nostro tempo che culmina nella intuizione lirica dell’universo».54 È giunto però il momento, secondo Ferrieri, di andare oltre: «Il
nuovo problema posto risolutamente dalla nostra generazione, è la ricerca di un’architettura nuova».55 Anche «La Ronda» recensisce Poeti d’oggi; il
testo, non firmato e quindi da leggersi come posizione condivisa dai redat-
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Enzo Ferrieri
tori, diventa l’occasione per ribadire che la via verso un’«architettura nuova» consiste nella ricerca di una prosa innovativa: qualcosa che non abbia
«nulla a che fare colla prosa “che si è sempre chiamata prosa”», 56 quella cioè
di generi narrativi consolidati come il romanzo e la novella.
Le prese di distanza della «Ronda» dall’avanguardia precedente non sono meno nette di quelle di Ferrieri. Sulla rivista troviamo ripetuti attacchi
a Benedetto Croce, il filosofo la cui Estetica aveva fornito la cornice concettuale entro cui si erano mossi, anche quando la contestavano, gli autori delle riviste fiorentine;57 anche «La Ronda» individua un legame genetico tra
la letteratura frammentaria e il tentativo della critica estetica «di ridurre i
poeti antichi e moderni al massimo di concentrazione estetica, e al minimo di superficie verbale».58 «La Ronda» contesta inoltre la legittimità della
mistione dei generi praticata dall’avanguardia fiorentina59 e il mito dell’originalità e della sincerità a tutti i costi che ne aveva alimentato le narrazioni diaristiche e autobiografiche. 60
C’è anche un altro fronte su cui «Il Convegno» e «La Ronda» si schierano fianco a fianco; la formazione avversa è costituita, questa volta, da scrittori che godono di un tipo di riconoscimento ben diverso rispetto a quello
che si erano guadagnati un Papini, un Soffici, e persino un Marinetti.
Non erano molti, in quel dopoguerra, i letterati “puri”, cioè i lettori della
“Ronda” di Cardarelli e di Bacchelli, i lettori e gli scrittori del “Convegno”
di Enzo Ferrieri […]. Erano, invece, molti gli altri; e scrivevano un romanzo al mese e una novella al giorno. E tutto cotesto romanzare e novellare,
che andava a sfociare settimanalmente nelle riviste non ancora a rotocalco
ma che furono del rotocalco, per così dire, l’avanspettacolo, si chiamò “ondata Vitagliano”, dall’editore che ne convogliava una gran parte […]: questa
“ondata” che i romani della “Ronda” chiamavano “letteratura milanese”.61
Ricordando a quarant’anni di distanza il contesto del proprio apprendistato critico, svoltosi proprio sulle pagine del «Convegno», Giovanni Titta
Rosa, un letterato abruzzese trasferitosi a Milano nel 1920, identifica chiaramente nella «Ronda» e nel «Convegno» i soli gruppi impegnati nella produzione di una letteratura “pura” distinta da quella commerciale, secondo
l’opposizione tra arte e denaro che struttura dalla seconda metà dell’Ottocento i campi artistici della modernità.62 L’ostilità degli «scrittori che aspi-
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rano a far dell’arte» contro quelli «che aspirano a divertire le signore»63
aveva acquisito negli anni dopo la guerra una virulenza nuova: la contingenza economica postbellica, e in particolare la svalutazione della lira rispetto al franco, aveva reso più costosa l’importazione della narrativa in
lingua francese che aveva alimentato nei decenni precedenti la domanda
di letteratura d’evasione; il mercato editoriale si trova così inondato da un
inedito proliferare di best-seller di autori nazionali, il cui successo si fonda spesso sulla prurigine erotica.64 Gli scrittori votati alla letteratura “pura” si sentono assediati da una «letteratura oscena, o frivola, o suggestiva,
o d’armistizio, o commerciale, o milanese, o come diavolo la voglion chiamare»,65 i cui autori non sono più stranieri d’importazione ma personaggi
ben più prossimi, che frequentano gli stessi caffè.66 Nell’immediato dopoguerra la formula «letteratura milanese», che allude alla città che fin dall’unità d’Italia era stata capitale dell’editoria, diventa sinonimo di «letteratura
commerciale»: «Milano era considerata, a torto, la mecca dei quattrini, del
cattivo gusto e della letteratura da 4 soldi (era il momento della novellistica amorosa e del comico-sentimentale)», ricorda Ferrieri.67
Se «La Ronda», attraverso la penna di Baldini, parte lancia in resta contro il campione della narrativa di successo, Guido da Verona,68 con lo stesso
aristocratico disprezzo «Il Convegno» contrappone la frenesia produttiva e
consumistica di cui Milano sembra divenuta l’epitome69 – una frenesia che
in letteratura assume la forma dei romanzi di più facile smercio – a una letteratura lombarda di stampo opposto, la cui promozione costituisce una
delle sue missioni originarie.70
Si sente parlare di letteratura milanese e la pudica fama delle nostre regioni
corre – ahimè – un brutto quarto d’ora. […] Si vuol alludere a un fenomeno transitorio e post-bellico che non riguarda, non diciamo la nostra eredità lombarda, ma neppure l’inclinazione della nostra indole, ed anzi, come
vedremo qualche giorno di buona voglia, la contraddice; trova piuttosto rispondenze e ripercussioni in tutte le parti nonché d’Italia, del mondo che,
come si sa, non è un giardino di virtù: il desiderio, anzi la smania di far denaro a ogni costo sia pur sul corpo di Madonna Letteratura. […] Milano
non è dannata: e se fa bisogno di dirlo, noialtri siam schietti lombardi, e,
quando à voluto nascere una rivista decente – come non son molte a questi tempi –, ecco che è nata proprio in questa famosa città dove per nostra
108
Enzo Ferrieri
penitenza, e con alquanto sacrificio, pagando le lettere di tasca nostra, secondo le nostre orribili costumanze, esercitiamo quotidianamente le virtù
cristiane, compresavi la vegetariana dieta e la manzoniana modestia, quante, per ora, ci bastano.71
Quella assunta dal «Convegno» ha tutta l’aria di una posizione difensiva, e
non solo perché la rivista si proclama orgogliosamente milanese in anni in
cui l’aggettivo è associato a un immediato discredito, perlomeno al polo della produzione letteraria “pura”, ma anche perché pubblica romanzi, novelle e
testi teatrali: non relega, cioè, l’intera produzione narrativa e drammatica al
polo commerciale, come avevano fatto gli scrittori dell’avanguardia fiorentina, e come continuano a fare quelli della «Ronda» astenendosi dal praticare
quei generi e inventando il genere a-narrativo della prosa d’arte.72
Questa presa di posizione è chiara fin dal primo numero, che si apre con
un saggio di Eugenio Levi dedicato a Luigi Pirandello seguito da una novella dello scrittore siciliano. Levi mette in evidenza pregi e difetti dell’opera pirandelliana, e non ne propone certo una canonizzazione immediata:
tratta però come un oggetto legittimo di studio per una rivista letteraria
dalle serie ambizioni un autore che era stato penalizzato dalla delegittimazione dei generi narrativi sancita dall’avanguardia fiorentina.73 A decenni
di distanza – quando Pirandello è uscito dal cono d’ombra d’inizio secolo, soprattutto grazie al riconoscimento internazionale di cui il suo teatro
gode dagli anni venti – Ferrieri mette l’accento sullo scandalo suscitato da
una simile scelta:
I letterati “del frammento” si misero […] subito in allarme. Una nuova rivista letteraria, che per prima cosa parlava di un autore che la Voce aveva dimenticato, sebbene il suo primo romanzo Il fu Mattia Pascal fosse del 1904,
di cui Serra si era sbrigato con poche righe e che, quando dalla narrativa
passò al teatro, non parliamo del pubblico, che cominciò ad accettarlo dopo i suoi trionfi all’estero, ma la critica drammatica non seppe come definire
per un buon numero di stagioni. […] Probabilmente per quel che concerne
i letterati, non i teatranti, la questione era di stile: la bella pagina era di norma. […] Noi uscimmo con Pirandello. Non che si volesse elevargli il monumento della gloria. Il saggio di Levi […] non è senza riserve. Ma il nome di
Pirandello serviva a una prima chiarificazione.74
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
109
Nel 1924, dando avvio al Teatro del Convegno, Ferrieri ripete lo stesso gesto inaugurale: la prima pièce rappresentata è un atto unico di Pirandello,
All’uscita;75 nello stesso anno la rivista presenta il Teatro d’Arte, che sarebbe stato inaugurato a Roma l’anno successivo sotto la direzione del drammaturgo siciliano, come un’operazione culturale che avrebbe riprodotto i
caratteri originali di quella milanese.76 Teatro del Convegno e Teatro d’Arte sono ospitati da un vero e proprio teatro per una sola stagione, poi il secondo si trasforma nella compagnia itinerante Luigi Pirandello, sciolta nel
’28, mentre le rappresentazioni organizzate da Ferrieri si spostano nelle sale del Circolo, dove proseguono fino al 1931. Queste prove di teatro stabile,
o di piccolo teatro (cui va aggiunto il Teatro degli Indipendenti di Anton
Giulio Bragaglia, attivo a Roma dal 1922 al 1931), pur essendo destinate a
vita breve o a un pubblico ristretto, testimoniano del tentativo di rinnovare
l’impostazione della vita teatrale italiana – ancora incentrata sulle compagnie di giro, sulla centralità degli attori-mattatori, sulla funzione tra direttoriale e manageriale del capocomico – e di sincronizzare il campo teatrale
italiano con l’avanguardia europea.77
Il cambio di status di Pirandello nel campo letterario italiano degli anni venti è dovuto principalmente al trionfo dei Sei personaggi in cerca d’autore a Parigi e in altre capitali occidentali, ma anche all’azione di alcuni
critici rimasti ai margini del nomos letterario imposto dall’avanguardia
fiorentina, come Adriano Tilgher e Giuseppe Antonio Borgese. Secondo
quest’ultimo in Pirandello, Tozzi e Verga si sarebbero potuti trovare i modelli linguistici, narrativi e drammaturgici per un «tempo di edificare» che
avrebbe dovuto superare la dissoluzione frammentistica, impressionistica e
parolibera operata dalle avanguardie degli anni dieci. Tale processo di ricostruzione sarebbe passato per un ritorno al genere proscritto nel decennio
precedente, che ancora dopo la guerra fatica a essere riconosciuto nell’ambito della letteratura “pura”.78
Borgese non scrive sul «Convegno», ma è uno dei primi conferenzieri
a essere invitato al Circolo, dove tiene all’inizio del 1923 un ciclo di lezioni dedicato ai Maestri del secolo XIX; l’affresco letterario trattato è in realtà
più ampio, e giunge fino al presente.79 «Il Convegno» non assume posizioni a favore del romanzo, della novella e del dramma tanto esplicite quanto
quelle di Borgese (che, tra l’altro, non si limita a indicare il cammino, ma lo
pratica anche in prima persona, debuttando come romanziere nel 1921),80
110
Enzo Ferrieri
ma nella selezione dei testi da pubblicare e da analizzare criticamente, oltre che nella scelta di Ferrieri di fare teatro a partire dal 1924, si mostra solidale con le indicazioni del critico siciliano, condividendone per esempio
la rivalutazione di Verga e di Tozzi.81
«La Ronda» apre invece con Borgese un contenzioso feroce: il critico
diventa sulle sue pagine un «paladino del malcostume»82 per aver ridicolizzato l’idea rondista dello stile come incarnazione suprema del letterario: Borgese aveva infatti affermato che alcune pagine del vituperatissimo
Guido da Verona sarebbero state indistinguibili, se estrapolate dal contesto originario, dai libri di «esercizi e solfeggi» di frammentisti e calligrafi.83
Vincitori e vinti
All’inizio del 1923 Ferrieri apre la nuova annata della sua rivista descrivendola come un luogo ospitale per «tutti i buoni scrittori italiani».
In tre anni […] si è discorso di quasi tutti i buoni scrittori italiani. In tre anni chi nel «Convegno» doveva trovarsi a suo agio, v’ha collaborato o ci ha
manifestato la sua simpatia: diciamo di Papini o di Panzini, di Soffici o di
Jahier, di Baldini o di Cecchi o di Prezzolini o di altri. Questi amici si sono trovati in buona compagnia coi nostri più fedeli: Linati, Levi, Angelini.84
In questo micro-canone della letteratura presente trovano spazio non solo i collaboratori più stretti di Ferrieri ma anche esponenti dell’avanguardia precedente (Papini, Prezzolini, Soffici, Jahier) e persino di quella rivale
(Baldini e Cecchi, che però avevano, rispettivamente, scritto sulla «Ronda»
nel solo 1919 e collaborato al «Convegno» nel 1920). I milanesi avevano manifestato in effetti un’aggressività minore, rispetto ai rondisti, nei confronti
degli scrittori già consacrati: se i secondi non si peritano ad attaccare frontalmente Croce,85 Ferrieri si mostra deferente nei confronti del filosofo;86 se
sulla «Ronda» si stroncano Jahier, Slataper e Stuparich,87 «Il Convegno» accetta il canone istituito dall’avanguardia fiorentina pubblicando o discutendo in maniera positiva Prezzolini e Soffici, Papini e Jahier.88
L’inclusività e un atteggiamento meno aggressivo nei confronti dei predecessori sono il risultato della posizione più fragile di quest’alleanza di
nuovi entranti. Quando Ferrieri fonda «Il Convegno» appoggiandosi ad
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
111
Angelini, Levi e Linati, l’unico capitale letterario largamente riconosciuto su cui può contare viene da quest’ultimo: Linati era stato un autore della
«Voce» di De Robertis, della «Raccolta» di Raimondi (la rivista bolognese
che raduna parte della futura redazione rondista) e della «Ronda» stessa,
e i suoi volumi più recenti erano usciti nel 1919 per i due editori che, ereditando il catalogo della «Voce», costituivano la sede di pubblicazione più
prestigiosa nell’ambito della letteratura “pura”.89 Levi e Ferrieri erano invece sconosciuti fuori della cerchia milanese, mentre Angelini, pur avendo
buone relazioni fin da prima della guerra con uomini chiave del campo letterario (Serra, De Robertis, Papini e Baldini), rimane confinato in una posizione periferica.90 Quando danno inizio alla «Ronda», invece, molti dei
sette redattori originari hanno volumi pubblicati alle spalle o hanno esordito in riviste prestigiose (Bacchelli, Barilli, Cardarelli e Cecchi sulla «Voce»;
Montano su «Lacerba») e sono ben inseriti nei circuiti letterari e giornalistici di Roma, la città in cui tra l’inizio e la fine della guerra si è trasferito,
insieme alla residenza di molti critici e scrittori, il capitale letterario accumulatosi a Firenze negli anni dieci.
Linati si mostra particolarmente consapevole del fatto che al gruppo del
«Convegno» manchino le energie e risorse necessarie per imporsi sulla scena letteraria nazionale, come spiega a Ferrieri in una lettera scritta pochi
mesi dopo la fondazione della rivista.
Vuoi formare il gruppo lombardo etc. […] Che ingredienti ci metti in questo piatto forte della L[etteratura] Italiana? Vediamo. Bernasconi dipinge e
scrive poco e rado; Angelini è un pigrone, brav’uomo, pieno di buoni propositi, ma stiticissimo; Rebora, invisibile e anche lui scrittore per l’occasione. Poi ci sono io che, a dirti il vero, son bell’e stufo di fare il lombardo […];
e tu e Levi. […] Io non credo più ai gruppi, alle regioni, etc. ci ho creduto un
tempo, ora più. Ci sono scrittori regionali interessanti in Italia, fra i quali io e tu, ma poi tutto finisce lì. Il resto era una comoda firmina tanto per
riuscire a distinguerci in questo pandemonio della L.I. – E, in parte ci siamo riusciti. Ora, mi par comprendere la tua idea. – convegno – si dice attorno – è un’ottima rivista, ma è troppo eclettica, manca di un centro, non
è emanazione di un gruppo, non ha idee proprie. E questo è vero, e, se ti ricordi, fin dall’inizio, io ti raccomandai: – Bisogna prendere posizione! – E
ti raccomandai anche di aprire una rubrica di pensieri, di notazioni, di fat-
112
Enzo Ferrieri
ti personali, di piccole polemiche, nella quale almeno si sarebbe dato a dividere di un’animus [sic] comune. Ma tu, duro. Ora, ecco, torni alla mia idea.
Tutto ben pensato, però, credo, si potrà fare poco di buono in questo campo. Anzitutto noialtri quassù non abbiamo quella volontà polemica, quello
spirito di pura battaglia letteraria che hanno, poniamo, quelli della Ronda.
Con quel po’ po’ di fatalismo che abbiamo nell’ossa! Con quel non volerci
mai guastare con nessuno, tutt’in buona: con la nostra mancanza di frivolezza salottaia, satirica, pettegola: col nostro veder le cose dal punto savio e
fattivo! Per esempio non vedo Levi con lo spadone del polemista; e poco ti
ci vedo anche te; mentre sta benissimo in mano a Savinio, a Bacchelli, putacaso, gente che non ha nulla da perdere e schermeggiano con molta agilità. – Del resto, fai, e applaudirò con piacere. – Tornando all’idea del gruppo
lombardo, ascolta un’idea d’amico sincero: lasciala perdere: continua a fare
la tua rivista coi migliori nomi e italiani e stranieri, che così va benissimo
e il pubblico non desidera di meglio; di più dai maggior ospitalità a scrittori e argomenti lombardi. Ecco, per ora, quello che si può fare. È in fondo
quello che vuoi fare, perché, nella tua lettera, mentre in principio ti accalori tanto per questo gruppo lombardo, in fondo mi parli con entusiasmo delle collaborazioni di Jahier, Papini, Soffici, Cecchi, etc., et similia. Dunque?91
Nei mesi successivi a questa lettera, come abbiamo visto, «Il Convegno»
si getta effettivamente nella mischia, schermeggiando con «La Ronda». E
quando questa termina le pubblicazioni, sembra persino aver vinto: a partire dal 1923, infatti, parecchi rondisti cominciano (o riprendono) a scrivere sul «Convegno», spesso su sollecitazione dello stesso Ferrieri.92
Caduta la Ronda, rimane un buon numero di scrittori a spasso. Erano questi, s’è detto, molto più sani e fecondi dei programmi che li avevano, fino
ad allora, inquadrati. Il Convegno, per molti di questi, fu l’ambiente adatto a rimaner fedeli alle loro esigenze fondamentalmente sane, e il punto di
partenza per entrare nella letteratura corrente, destinata al gran pubblico.93
A trarre questo bilancio della relazione tra la rivista romana e quella milanese è uno studente universitario allievo di Borgese, Guido Piovene, che pubblica i suoi primi scritti proprio sul «Convegno».94 Fedele al proprio ambiente
e al proprio maestro, Piovene presenta il confluire dei rondisti sul «Conve-
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
113
gno» come un trionfo della rivista milanese, ma è piuttosto vero il contrario.
La permeabilità del «Convegno» ai rondisti è un segnale del fatto che Ferrieri e i suoi non hanno saputo o potuto imporre una prassi creativa propria
e originale. Quella della «Ronda» domina invece il resto del decennio: con
l’eccezione del gruppo raccolto intorno alla rivista «900» (1926-29) di Massimo Bontempelli, le avanguardie della seconda metà degli anni venti, cioè gli
scrittori che collaborano al «Selvaggio» (1924-43), all’«Italiano» (1926-41) e a
«Solaria» (1926-36), si pongono in continuità o perlomeno rendono omaggio
alle regole dell’arte rondiste, e ancora all’inizio degli anni trenta sarà contro
il nome della «Ronda» che un’avanguardia di giovani scrittori si scaglierà per
affermare il proprio diritto a fare romanzi.95 Sono insomma i rondisti che,
grazie al prestigio e all’autorevolezza conquistati, possono allargare la propria influenza al «Convegno» e ad altri spazi editoriali milanesi, come esplicita Cardarelli in una lettera a Cecchi dell’estate 1923:
Ora sono agli stipendi del Conte di Castelbarco, il più equilibrato e amabile dei signori, col quale si potrebbe fare delle ottime cose se tutti voialtri
non foste ammalati di Roma e della sua aria. Pensa che potremmo fare con
il nostro editore in grande. E a Milano!96
Il fatto che il gruppo di letterati del «Convegno» non abbia avuto la forza
di imporsi contro l’avanguardia concorrente non significa che la rivista e
le altre imprese culturali di Ferrieri non abbiano avuto un ruolo storico di
rilievo. Se «Il Convegno» non è stato uno strumento di battaglia adeguato
nel campo della letteratura “pura”, la sua efficacia va cercata altrove, in quel
dialogo con un «pubblico largo» che costituisce una delle vocazioni originarie della rivista. Come ricorda Titta Rosa,
Ferrieri era allora una specie di motore della vita letteraria; e s’era proposto
una bellissima cosa: far accogliere con curiosità se non subito con amore alle signore della borghesia lombarda (forse, la sola borghesia che ha avuto ed
ha un costante interesse per il libro) la letteratura nuova, i nuovi nomi, venuti un po’ da tutte le parti; dalla “Voce” e dalla “Ronda”, dalle riviste d’avanguardia e dai clans delle altre città della penisola, dove erano rimasti in
ombra, noti soltanto a pochissimi.97
114
Enzo Ferrieri
Ferrieri non è riuscito a fare del «Convegno» la rivista eponima di un’avanguardia: è però riuscito a creare un grande hub culturale, un luogo di
incroci e passaggi tra le varie correnti della letteratura nazionale e transnazionale, di cui negli anni sessanta potrà rivendicare con orgoglio la paternità nell’introduzione all’antologia della rivista cui aveva dedicato le sue
migliori energie.
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
115
1
«La rivista rimane immutata nel suo disegno generale: raccogliere buone pagine
di ottimi scrittori italiani e stringere in intimo rapporto i nostri migliori lombardi, studiare le opere più significative della letteratura del tempo presente, dare saggi tradotti dalle lingue originali di buone pagine straniere e larghe notizie di tali letterature» (Il
Convegno nel 1922. Anno III, «Il Convegno», III (1922), n. 1-2, p. 1).
2
«Ciò che si legge comunemente a questo proposito […] tende a sottolineare come il
movente primo de “Il Convegno” sia stato quello di importare primizie e novità letterarie prima di altri. Non c’è dubbio che tra i meriti della rivista ci sia quello di aver introdotto per la prima volta in Italia nomi e opere significative della modernità […]. A me
sembra, tuttavia, che questa ricerca del nuovo nel campo delle letterature straniere non
sia stata né la ragione prima né tanto meno un valore fine a se stesso» (Maria Fancelli, Oltre Chiasso, in “Il Convegno” di Enzo Ferrieri e la cultura europea dal 1920 al 1940.
Manoscritti, immagini e documenti, Pavia, Università degli studi di Pavia, 1991, pp. 127136: p. 131).
3
F. [Enzo Ferrieri], Anno II, «Il Convegno», II (1921), n. 1-2, p. 1 (corsivo mio).
4
I sette redattori sono indicati in quarta di copertina dall’aprile 1919 al marzo 1920;
dall’aprile 1920 all’ultimo numero l’elenco scompare, sostituito dai nomi dei direttori.
Contribuiscono alla rivista in maniera significativa anche Marcello Cora, Alfredo Gargiulo, Giuseppe Raimondi e Nino Savarese, mentre Baldini interrompe la collaborazione nel 1920.
5
Ferrieri cita in questo contesto anche il di poco successivo «Baretti», fondato da
Piero Gobetti e pubblicato a Torino tra il 1924 e il 1928: «I giovani sentivano ormai [dopo
la Prima guerra mondiale] il bisogno di ordine, di serietà di lavoro e di studi. Riviste di
ordine, sia pure con propositi diversi, furono quelle che immediatamente seguirono: La
Ronda, che meritò addirittura l’etichetta di neo-classica, il Convegno, il Baretti» (Enzo
Ferrieri, Il Convegno 1920-1940, Faam, Fondo Enzo Ferrieri, Serie 1.3, fasc. 172C, p. 1).
6
Nell’introduzione di Ferrieri all’antologia del «Convegno», in verità, le linee di
frattura rispetto alla «Ronda» non sono taciute; si tratta d’altronde di un intervento
dalla doppia valenza, di ricostruzione storica e di restituzione del punto di vista del
fondatore della rivista. Una lettura relazionale della produzione letteraria, intesa come
posizionamento dei singoli autori all’interno di un campo artistico strutturato dalla
concorrenza e dal conflitto, è proposta dagli studi ispirati ai lavori del sociologo francese Pierre Bourdieu a partire da Les Règles de l’art, Paris, Seuil, 1992 (traduzione italiana di Anna Boschetti ed Emanuele Bottaro, Le regole dell’arte, Milano, il Saggiatore,
2015). Per un’illustrazione dell’impostazione teorica e metodologica di questi studi cfr.
Anna Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Venezia, Marsilio, 2003,
e Anna Baldini, Il concetto di campo per una nuova storiografia letteraria. «Le regole
dell’arte» di Pierre Bourdieu, «Nuova rivista di letteratura italiana», XVIII (2015), n. 2,
pp. 141-155.
7
e.f., [s.t.], «Il Convegno», I (1920), n. 1, p. 2.
8
Baldini aveva stroncato l’ultimo volume di Da Verona, suscitando repliche piccate,
in un articolo uscito sul quotidiano «Il Tempo» il 25 febbraio 1919. Riprendendo la questione sulla «Ronda» lo scrittore sottolinea: «Io avevo messo le mani molto bene avanti
e dichiarato di parlare in nome di non più che “quattro gatti”» (a.b. [Antonio Baldini],
116
Enzo Ferrieri
Un colpo di sonda, «La Ronda», I (1919), n. 2, pp. 55-60: p. 58). Nell’articolo il pubblico «largo» viene descritto con tratti tra il famelico e il ributtante: «Il pubblico che viene
a te, sia pure per un articolo di giornale, ha sempre l’aspetto dell’orco, cieco e balordo,
che ti viene ad annusare. […] con quell’articolo ho capito benissimo che odore manderebbe il “successo” il giorno che mi venisse incontro: puzza di fiato cattivo, e peggio»
(ivi, p. 57).
9
All’inizio della seconda annata Ferrieri distingue l’operazione-«Convegno» da tutto
ciò che era stato fatto fino ad allora in termini di divulgazione letteraria: «la rivista si è
staccata da tutte quelle che, per i loro diversi disegni, si occupano, con più o meno leggerezza, per il gran pubblico, di uguali argomenti» (Enzo Ferrieri, Anno II, cit., p. 1).
10
«Il Convegno non è oggi la particolare manifestazione di un “gruppo” – se questo vocabolo dovesse significare in noi l’intenzione a far valere, premeditatamente, una
qualsiasi poetica» (Enzo Ferrieri, Anno II, cit., p. 1); «Non si voleva guardare la nostra
letteratura da un punto di vista troppo particolare, fabbricarsi una tendenza con escludere le altre» (F. [Enzo Ferrieri], Anno IV, «Il Convegno», IV (1923), n. 1, p. 3).
11
La forbice tra le due riviste si restringe nel 1922 (per il 1923, anno in cui «La Ronda»
produce un solo numero a dicembre, la comparazione non è possibile), quando 36 autori e traduttori pubblicano sulla «Ronda», 41 sul «Convegno».
12
«Il Convegno», IV (1923), n. 10, s.p.; la citazione proviene da un invito all’abbonamento posizionato subito dopo il sommario.
13
Al di là delle dichiarazioni d’inizio annata, che tracciano i distinguo dalla rivista romana senza citarla, fino al numero di agosto-settembre 1920 «Il Convegno» aveva
discusso esplicitamente della «Ronda» due volte: la prima in un articolo di Giuseppe
Prezzolini, l’ex direttore della «Voce» attivo dopo la guerra come saggista, editore e agente letterario, che giudica «La Ronda» l’unica rivista in circolazione degna di essere letta,
per quanto noiosa («Il disprezzo che i collaboratori della Ronda hanno per la novità del
soggetto e per l’invenzione, li può spingere talvolta ad una accademica gravità un poco
pericolante verso il più terribile dei generi: il noioso»: Giuseppe Prezzolini, Dopoguerra
letterario, «Il Convegno», I (1920), n. 2, pp. 43-52: p. 50); la seconda, in una recensione
a Umori di gioventù di Antonio Baldini scritta da Eugenio Levi, che individua nel libro
pregi e difetti caratteristici del gruppo rondista (Eugenio Levi, Antonio Baldini, «Umori
di gioventù», «Il Convegno», I (1920), n. 3, pp. 64-68).
14
r.b. [Riccardo Bacchelli], L’accademia dei pentiti. Il Convegno, rivista di letteratura
e di arte. Milano, n. 8-9, settembre-ottobre 1920, «La Ronda», II (1920), n. 8-9, pp. 622626: p. 622.
15
Enrico Somaré, Renato Serra, «Il Convegno», I (1920), n. 8-9, pp. 43-51; Enzo Ferrieri, Cose del tempo presente. Romanticismo inferiore, neo-classicismo inferiore e altre
coserelle, ivi, pp. 63-66; Cesare Angelini, Baldini e i salti del suo gomitolo, ivi, pp. 69-72.
16
«L’ultimo dei nostri pensieri è proprio quello di occuparci di lui [Bacchelli] e di
seguirlo nei suoi sermoni atrabiliari e nelle sue metafore cruente!» (e.f., [s.t.], «Il Convegno», I (1920), n. 11-12, p. 83). La cronologia apparentemente sfasata delle repliche si
comprende tenendo conto del ritardo con cui uscivano i numeri della «Ronda»; Angelini nella recensione citata accenna al «lento uscire della rivista romana» (Cesare Angelini, Baldini e i salti del suo gomitolo, cit., p. 69).
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
117
17
«Abbiamo cominciato a leggere questo libro con un candido senso di speranza.
Abbiamo continuato a leggerlo con un rabbujato senso di dovere. E l’abbiamo finito
con una certa esasperazione» (e.c. [Emilio Cecchi], Luigi Russo, «Giovanni Verga», «La
Ronda», I (1919), n. 7, pp. 114-117: p. 114).
18
«Sorgono da una parte i restauratori dell’alfabeto e della grammatica, e parlano
di classicismo; e dall’altra, sorgono i riformatori di coscienza e propongono il ritorno a
Gesù [allusione alla recente pubblicazione della Storia di Cristo di Giovanni Papini]. […]
Entrambe le tesi […] potrebbero essere e sono ragionevoli e plausibili; ma nella concretezza dell’opera dei riformatori, non appaiono finora che nella forma vaga e un po’ pretenziosa del programma o già originariamente inquinate da sentimenti estranei al fervore dell’arte e della vita» (Luigi Russo, L’arte europea e l’arte cristiana, «Il Convegno»,
II (1921), n. 1-2, pp. 46-57: p. 57).
19
«Taluni chiosatori petulanti della nostra innocente tradizione […], incapaci […] di
risolvere la contraddizione tra materia e forma, nel loro rapporto creativo, come di convertire il materiale linguistico, sintattico e stilistico della tradizione, nell’attualità dell’espressione viva e concreta, favoleggiano di effetti formali […]. […] non esiste una forma,
o stile che sia, di cui si possa discutere criticamente staccandolo dalla particolare materia sulla quale è sorto. La concezione formale dell’arte, in ogni caso e in certo modo, ha
dunque un valore negativo soltanto» (Enrico Somaré, Aspetti della tradizione, «Il Convegno», II (1921), n. 1-2, pp. 58-62: p. 60-61).
20
Exempla elocutionum, «La Ronda», II (1921), n. 10-11, pp. 759-760.
21
Carlo Linati, Issione il polifoniarca, «Il Convegno», II (1921), n. 8-9, pp. 387-392;
Dalle riviste, «La Ronda», III (1921), n. 8-9, p. 546; C.L. [Carlo Linati], Galleria. Di qualche carogna, «Il Convegno», II (1921), n. 10, p. 486: «Un collega della Ronda s’è divertito a spulciare da’ miei scritti alcune frasi e presentarle, deformate ad arte, col diabolico
proposito di infamarmi presso i suoi quattro gatti di lettori. Ma si vede che il disgraziato è ancora alle sue prime armi di calunniatore o di forchettante, perché la sua incompetenza stilistica e assenza di buon gusto gli han fatto scegliere frasi che, a far l’apposta,
nessuna pecca in verun modo d’impurità, di goffaggine e d’improprietà. La sua buaggine è par soltanto alla sua sorniona vigliaccheria».
22
Cartello, «La Ronda», III (1921), n. 10, pp. 721-722. La disfida è parodica, ma non
bisogna dimenticare che il duello era negli anni venti una pratica di risoluzione dei conflitti intellettuali ancora attuale (nell’agosto 1926, per esempio, a seguito delle polemiche
che precedono l’uscita della rivista «900», Bontempelli e Ungaretti si scontrano all’arma bianca nel parco della villa di Pirandello), benché fin dal 1911 Prezzolini avesse contestato la legittimità dell’uso della violenza fisica per dimostrare la maggior validità di
un’idea, rifiutando di risolvere in tal modo la contesa con alcuni ufficiali di cavalleria
originata da un editoriale della «Voce».
23
Dalle riviste, «La Ronda», III (1921), n. 10, pp. 717-721: p. 721.
24
Enzo Ferrieri, Die zeitgenössische italienische Literatur, «Die neue Rundschau»,
XXXII (1921), luglio-dicembre, vol. II, pp. 861-869. Ringrazio Anna Antonello per avermi consentito di consultare la sua tesi di laurea A Convegno nell’Arte: Letteratura, Teatro, Musica e Cinema a Milano (1920-1940), Università degli Studi di Pavia, A.A. 20072008, dove, oltre a pubblicare l’articolo originale e una sua traduzione italiana, traccia
118
Enzo Ferrieri
il profilo della rivista tedesca e approfondisce il suo rapporto con quella milanese. Una
sintesi dei contenuti dell’articolo di Ferrieri si trova in Anna Antonello, La rivista come
agente letterario tra Italia e Germania (1921-1944), Pisa, Pacini, 2012, pp. 48-49.
25
Enzo Ferrieri, La letteratura italiana contemporanea [1921], traduzione italiana di
Anna Antonello, in Ead., A Convegno nell’Arte, cit., pp. 214-218: p. 217.
26
«Quale e quanto disgraziata sia la situazione della diplomazia italiana, ce lo mostrano, oltre che l’ignavia dei nostri ambasciatori, ministri e consoli, gl’inqualificabili comportamenti di certa gente che si prende la briga d’insegnare all’estero quello che si fa qui
da noi quanto a letteratura. Si approfittano costoro che ambasciator non porta pena; ma
le credenziali dove le pigliano? […] Ma chi è questo signor Ferrieri?» (X., Dalle riviste,
«La Ronda», III (1921), n. 8-9, pp. 645-648: p. 645).
27
Cfr. Carmine Di Biase, Maurizio Korach (Marcello Cora). La Ronda e la letteratura
tedesca, Napoli, Società editrice napoletana, 1978, pp. 30-31; Anna Antonello, La rivista
come agente letterario tra Italia e Germania, cit., pp. 66-67.
28
Nel maggio 1922 Carlo Linati, recensendo il volume Narratori contemporanei di
Giovanni Titta Rosa, insinua che non vi siano differenze notevoli tra i rondisti e gli autori più commerciali: «malgrado le tanto gridate diversità e opposizioni (le quali poi si
riducon a questo: scrittori che aspirano a far dell’arte e scrittori che aspirano a divertire le signore) […] fra un periodo del miglior Gotta [Salvator Gotta, prolifico romanziere di successo], e uno del miglior Cardarelli, non c’è poi quel grande abisso che fino a
jeri si credeva» (Carlo Linati, «Narratori contemporanei» a cura di Giovanni Titta Rosa,
«Il Convegno», III (1922), n. 5, p. 236). Nello stesso numero Linati attacca un anonimo
«rondesco»: «Leggevo un Autore complicato, un rondesco, se non erro (sapete, una di
quelle complicatezze astutamente larvate di certa untuosa umiltà paesana e leopardesca, un che tra il quaresimale, l’agghindatura puotiana e il sermone di Zaratustra, ch’è
oggi, a quanto dicono, il supremo chic della moda letteraria in Italia)» (Carlo Linati, La
tragedia del complicato, ivi, pp. 253-254). L’anno dopo Pietro Pancrazi – un altro critico che, come Russo, era stato attaccato pesantemente sulla «Ronda» (Don Bartolo, «La
Ronda», II (1920), n. 3, pp. 217-219) – mette in relazione la passione di Cardarelli per lo
Zibaldone con la sua educazione approssimativa: «La lettura dello Zibaldone […] rinfresca la cultura classica […]. A chi non ne ebbe mai (si sa che gli autodidatti, gli improvvisatori, gli irregolari… furono sempre molti nelle avanguardie letterarie) lo Zibaldone
crea intorno come un’aria compiaciuta, se volete un po’ provvisoria e fittizia, di buona
cultura» (Pietro Pancrazi, Le ultime fortune del Leopardi, «Il Convegno», IV (1923), n.
9, pp. 375-391: p. 380).
29
L’assenza delle due firme è dovuta anche a motivi contingenti: nel dicembre 1920
Linati ha ottenuto da Ferrieri un compenso per la sua collaborazione esclusiva al «Convegno», mentre dal 1921 Cecchi è impegnato con la rubrica settimanale «Libri nuovi e
usati» del quotidiano «La Tribuna».
30
Le cifre non cambiano molto se si prendono in considerazione anche autori italiani
defunti e scrittori stranieri: nel 1920 gli autori in comune sono 6 (Emilio Cecchi, Giorgio de Chirico, Goethe, Carlo Linati, Giuseppe Raimondi, Alberto Spaini); uno soltanto nel 1921 (Valentin Bulgakov, segretario di Tolstoj, autore di un diario la cui versione
integrale viene divulgata nel 1921 dopo la morte della vedova dello scrittore russo); nel
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
119
1922, oltre a Soffici, troviamo Carlo Michelstaedter, la cui apparizione su entrambe le
riviste è spiegata, come nel caso di Bulgakov, da una contingenza editoriale (Vallecchi
ne aveva appena pubblicato l’opera principale, La persuasione e la rettorica).
31
Rubriche analoghe caratterizzano molte riviste di intervento letterario o artistico primonovecentesche (sul «Leonardo» la rubrica si chiamava «Alleati e nemici», su
«Lacerba» «Caffè»). L’apertura di una rubrica di questo genere è suggerita a Ferrieri da
Linati: «Ti raccomandai anche di aprire una rubrica di pensieri, di notazioni, di fatti
personali, di piccole polemiche, nella quale almeno si sarebbe dato a divedere di un’animus [sic] comune. [...] Ora, ecco, torni alla mia idea» (lettera di Carlo Linati a Enzo
Ferrieri, 20 settembre 1920, citata in Anna Modena, Le sale della letteratura italiana, in
“Il Convegno” di Enzo Ferrieri e la cultura europea dal 1920 al 1940, cit., pp. 18-19).
32
e.f., [s.t.], «Il Convegno», I (1920), n. 1, pp. 3-4: p. 3.
33
Prologo in tre parti, «La Ronda», I (1919), n. 1, pp. 3-6: p. 6.
34
Sulla «Ronda» Leopardi è un punto di riferimento teorico, un paradigma linguistico e un modello per il genere di prosa che vi viene praticato, che attinge principalmente
al magistero delle Operette morali. La rivista romana dedica un numero alla pubblicazione di brani dello Zibaldone (III (1921), n. 3-4-5, marzo-aprile-maggio), «il principale,
anzi l’unico evento critico ed estetico avvenuto dopo l’uscita dell’Estetica di B. Croce»
(«La Ronda», IV (1922), n. 2, p. 171). «Il Convegno» pubblica invece nel 1923 un numero monografico di studi manzoniani (IV (1923), n. 7-8) e un secondo numero interamente dedicato a Manzoni seguirà nel 1928.
35
Enzo Ferrieri, Anno IV, cit., p. 3, corsivo mio.
36
«Sono scrittori […] molto seri, molto rispettabili, tormentati dal problema della
bella scrittura. […] La cosa da dire ha per essi un’infinitesima importanza, ma enorme il
modo di dire in sé. […] Da raccontare non hanno gran che» (Giuseppe Antonio Borgese, Le mie letture, V, Settembre 1920, in Id., Tempo di edificare, Treves, Milano 1923, pp.
143-144); «Sono indifferenti al soggetto certi letterati della Ronda che prendono a trattare i miti della Bibbia o la storia di Amleto, quasi come una sfida al pubblico e, prima
di tutto, come una sfida a se stessi, per esercizio o per mostra di quanto si senton capaci di fare» (Giuseppe Prezzolini, La coltura italiana, Firenze, Società Anonima Editrice
“La Voce”, 1923, p. 10).
37
«La Ronda» pubblica un solo testo in versi (Giuseppe Ungaretti, Paesaggio, «La
Ronda», III (1921), n. 1-2).
38
Riccardo Bacchelli, Amleto, «La Ronda», I (1919), nn. 1, 2, 3, 4, 5 (poi in volume per La Ronda editrice, Roma, 1923); Id., Presso i termini del destino. Un atto in
prosa, «La Ronda», IV (1922), n. 7-8; Vincenzo Cardarelli, Argomenti poetici. Donna,
«La Ronda», I (1919), n. 2; Id., Favole della Genesi, «La Ronda», I (1919), n. 3; Id., Il
diluvio, «La Ronda», I (1919), n. 4; Id., Il sonno di Noè; Formazione dell’Inferno, «La
Ronda», I (1919), n. 6; Id., Il diluvio, «La Ronda», II (1920), n. 7; Id., La fine di Sodoma, «La Ronda», V (1923); Nino Savarese, Discreto, «La Ronda», I (1919), n. 6; Lorenzo
Montano, Il ratto di Arianna, «La Ronda», II (1920), n. 6; Giuseppe Raimondi, Orfeo
all’inferno, «La Ronda», II (1920), n. 7.
39
v.c. [Vincenzo Cardarelli], [s.t.], «La Ronda», n. 1, p. 17.
120
Enzo Ferrieri
40
m.c. [Marcello Cora], Hans Franck, «Das Pentagramm der Liebe»; «Godiva. Das
Glockenbuch», «La Ronda», IV (1922), 3-4, pp. 258-260: p. 259.
41
Enzo Ferrieri, Anno II, cit., p. 2.
42
«Non sembrerà un paradosso se diciamo che dai classici, per i quali, come per noi,
l’arte non aveva altro scopo che il diletto, abbiamo imparato ad essere uomini prima che
letterati. Il vocabolo umanità lo vorremmo scrivere nobilmente con l’h, come lo si scriveva ai tempi di Machiavelli, perché s’intendesse il preciso senso che noi diamo a questa parola» (Prologo in tre parti, cit., p. 5).
43
Nel secolo scorso sono stati diversi i tentativi di definire il genere consacrato dalla
«Ronda», a partire dal nome da attribuirgli. In un saggio del 1949 intitolato significativamente «Saggio» e «prosa d’arte», con entrambi i termini tra virgolette, Emilio Cecchi fatica a circoscrivere un genere estremamente sfuggente, dalle movenze tanto multiformi quanto i termini con cui è stato designato: “saggio”, “frammento”, “poemetto in
prosa”, “prosa poetica”, “prosa d’arte”, “capitolo”, “cicalata”, “diceria” (l’articolo si trova
ora in Saggi e viaggi, a cura di Margherita Ghilardi, Milano, Mondadori, 1997, pp. 321336). La stessa difficoltà incontra Carla Gubert, autrice di un fondamentale studio sulla
prosa d’arte, Un mondo di cartone. Nascita e poetica della prosa d’arte nel Novecento,
Metauro, Pesaro 2003.
44
Sul piano della letteratura straniera, con l’eccezione di un paio di prosatori britannici tradotti da Cecchi (Hillaire Belloc e Gilbert Keith Chesterton), «La Ronda» propone
testi esclusivamente di classici (Goethe, Mallarmé, Nietzsche, Tolstoj). «Il Convegno»,
invece, accanto ai classici (Amiel e Mallarmé, Goethe e Shakespeare, Blake, Hölderlin e
Grillparzer), offre dal 1920 al 1923 traduzioni dal tedesco di Frank Wedekind, Thomas
Mann, Rainer Maria Rilke e Karl Schönherr; dall’inglese di James Joyce, John Millington Synge, James Stephens, Thomas Hardy, Lennox Robinson; dal norvegese di Knut
Hamsun e Alexander Kielland; dal danese di Karl Larsen; dallo spagnolo di Vicente
Blasco Ibañez.
45
Carlo Linati, Issione il polifoniarca, «Il Convegno», II (1921), pp. 387-392; Id., L’asta di Laocoonte, «Il Convegno», IV (1923), n. 9, pp. 392-405.
46
Anche a livello programmatico Linati non è molto distante dalle posizioni rondiste: «Del resto, diciamolo, l’arte dello scrittore che è se non cercare nel mondo materia
e occasioni, per dare sfogo al proprio demone stilistico?» (C.L. [Carlo Linati], «Il dono
del Manzoni» e «Il lettore provveduto» di Cesare Angelini, «Il Convegno», V (1924), n. 3,
pp. 134-136: p. 136).
47
Emilio Cecchi, La giornata delle belle donne, «Il Convegno», IV (1923), n. 9, pp.
406-414 (diventerà il testo eponimo della seconda raccolta di prose d’arte di Cecchi dopo
Pesci rossi); nello stesso numero Raimondi pubblica tre liriche.
48
Al termine avanguardia diamo un significato che non coincide con il modo con
cui viene usato solitamente nelle storie letterarie, dove indica alcuni movimenti artistici
di inizio Novecento (futurismo, dadaismo, surrealismo) o della seconda metà del secolo
(neoavanguardia). Questi movimenti artistici sono i casi più rappresentativi di un fenomeno generale che secondo Bourdieu costituisce il principale motore delle innovazioni
nei campi culturali: un’avanguardia è un’alleanza, cementata dall’intento di sovvertire
i valori letterari vigenti, tra “nuovi entranti”, cioè tra coloro che aspirano a inserirsi in
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
121
un campo letterario ma non hanno ancora sufficiente prestigio per essere riconosciuti
come scrittori, critici letterari o editori legittimi. Cfr. Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., pp. 348-351, e, per un quadro delle traiettorie di aggregazione e dissoluzione di
diversi movimenti di avanguardia tra Ottocento e Novecento, Anna Boschetti, Ismes.
Du réalisme au postmodernisme, Paris, CNRS Éditions, 2014.
49
Con l’eccezione di un lungo saggio di Alfredo Gargiulo sul Notturno («La Ronda»,
III (1921), n. 11-12, pp. 746-772), di D’Annunzio si parla sempre, sia sul «Convegno» sia
sulla «Ronda», in termini storicizzati e in relazione ai due poeti defunti. Sono questi
gli anni, d’altra parte, dell’impresa di Fiume e dell’impegno prevalente di D’Annunzio
nella politica.
50
Sulla prassi critica e letteraria imposta da quest’ultima cfr. Anna Baldini, Avanguardia e regole dell’arte a Firenze, in Anna Baldini, Daria Biagi, Stefania De Lucia, Irene
Fantappiè, Michele Sisto, La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione (1900-1920),
Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 23-55.
51
Nei primi anni venti, per di più, Marinetti ha dirottato le energie del movimento
verso la politica, che ne rimane l’orizzonte predominante fino al 1924.
52
Cesare Angelini, Cose del tempo presente I, «Il Convegno», I (1920), n. 5, pp. 59-64:
p. 59.
53
Enzo Ferrieri, Cose del tempo presente II, ivi, pp. 64-67: p. 67.
54
Ivi, p. 66.
55
Ivi, p. 65. A distanza di decenni, nell’introduzione alla mai realizzata antologia del
«Convegno», Ferrieri identifica in questa istanza di superamento la linea portante non
solo della rivista ma dell’intera letteratura italiana dagli anni venti agli anni cinquanta:
«Eravamo rispettosissimi e spesso anche ammirati di parecchia letteratura frammentaria, che era stata insieme una reazione salutare, un modo di liberarsi dal bozzettismo
superficiale dal sentimentalismo e dall’approssimazione espressiva del tempo. Alcuni
amici nostri venivano da là, anche se giunti alla nostra rivista cominciarono a mutare
il loro registro. Ma volevamo dir subito che nel Convegno il frammento sarebbe durato
ben poco […]. La produzione letteraria creativa di Linati, di Angelini e poi di Debenedetti, di Morpurgo Tagliabue, di Angioletti, di Titta Rosa, di Comisso e più tardi ancora di Robertazzi, di Piovene, fino a Leonardo Borgese, non è altro che la storia di questo
lento passaggio dall’autobiografia alla narrazione, dal lirismo allo sguardo fissato negli
altri e nelle cose, ed è un passaggio così duro a finire, che ancora oggi a quasi trent’anni di distanza, gli scrittori più accreditati che sono emersi dall’impegno neorealistico e
socialpolitico e che hanno una realtà autentica da far valere, Pavese e Vittorini, hanno
agito su un fondo lirico metafisico» (Enzo Ferrieri, Il Convegno 1920-1940, cit., pp. 6-7
e 16-17).
56
L’inutile chintana, «La Ronda», II (1920), n. 4, pp. 292-299: p. 294.
57
«La Ronda» contesta Croce soprattutto quando si presenta in veste di critico letterario: ne stronca un saggio su Baudelaire (a.e.s. [Aurelio Emilio Saffi], Benedetto Croce,
«Baudelaire», «La Ronda», I (1919), n. 2, pp. 61-62) e il libro su Goethe (m.c. [Marcello
Cora], Benedetto Croce, «Goethe», «La Ronda», III (1921), n. 1-2, pp. 103-110). Ancora
più feroci sono gli attacchi ai critici crociani Guido de Ruggiero, Luigi Russo, Francesco Flora, Enrico Ruta: Polemiche di costume, «La Ronda», III (1921), n. 6, pp. 402-405;
122
Enzo Ferrieri
e.c. [Emilio Cecchi], Luigi Russo, «Giovanni Verga», cit.; Alfredo Gargiulo, «Salvatore
Di Giacomo» di Luigi Russo, «La Ronda», III (1921), n. 8-9, pp. 604-614; a.g. [Alfredo
Gargiulo], Francesco Flora, «Dal Romanticismo al Futurismo», «La Ronda», IV (1922),
n. 2, pp. 138-142; al.sav. [Alberto Savinio], Museo degli orrori. La nascita della tragedia,
ossia avventura spaventevole di un filosofo napoletano, «La Ronda», II (1920), n. 6, pp.
445-450.
58
e.c. [Emilio Cecchi], I poeti d’un verso solo, «La Ronda», II (1920), n. 2, pp. 137-140:
p. 137. «L’idea era questa: scrutare, auscultare un poeta, in modo da ritrovarlo in quel
punto unico e centrale in cui egli è assolutamente poeta, e poeta soltanto; o, come allora dicevano: lirico puro. Isolato cotesto punto, veniva buttato a mare tutto il resto, dove
il poeta è anche storico, profeta, moralista insomma lirico impuro» (ibidem).
59
Nella recensione alla nuova edizione del Lemmonio Boreo di Soffici, Bacchelli lo
giudica «un’opera sciupata» perché è impossibile definirne il genere in maniera univoca: «È un’epopea tragicomica in vesti quotidiane, una novella o bozzetto di colore, una
satira politica e di costume? Purtroppo è qualcosa di tutto questo in confuso: un romanzo lirico» (r.b. [Riccardo Bacchelli], «Lemmonio Boreo» di Soffici, «La Ronda», III (1921),
n. 8-9, pp. 599-603: p. 599).
60
«[Slataper] credeva che solo la assoluta originalità, la malintesa originalità del tutto
nuovo, desse diritto all’espressione […]; gli sarebbe parso altrimenti di non essere poeta,
di fare della letteratura» (A.Spa. [Alberto Spaini], Scipio Slataper, «Scritti letterari e critici», «La Ronda», II (1920), n. 7, pp. 526-530: p. 527).
61
Giovanni Titta Rosa, I lumi a Milano. Pagine di civiltà lombarda, Milano, Martello, 1964, p. 261.
62
«Questa struttura presente in tutti i generi artistici, e da lungo tempo, tende a funzionare come una struttura mentale, che organizza la produzione e la percezione dei prodotti: l’opposizione tra arte e denaro (il “commerciale”) è il principio generatore della
maggior parte dei giudizi che, in materia di teatro, di cinema, di pittura, di letteratura,
pretendono di stabilire la frontiera tra ciò che è arte e ciò che non lo è» (Bourdieu, Le
regole dell’arte, cit., p. 231).
63
Carlo Linati, «Narratori contemporanei» a cura di Giovanni Titta Rosa, cit., p. 236.
64
Enrico Decleva, La scena editoriale italiana negli anni Venti: lo spazio degli autori francesi, in La Francia e l’Italia negli anni Venti: tra politica e cultura, a cura di Enrico Decleva e Pierre Milza, Milano, ISPI-SPAI, 1996, pp. 192-224; Raphaël Müller, Le
Livre français et ses lecteurs italiens. De l’achèvement de l’unité à la montée du fascisme,
Paris, Armand Colin, 2013. Il legame tra aumento dei costi dei libri in francese e ricerca da parte degli editori di scrittori italiani capaci di produrre narrativa d’evasione era
già stato individuato da Prezzolini in La coltura italiana, cit., p. 65.
65
l.m. [Lorenzo Montano], Commento alla cronaca. Difesa della pornografia, «La
Ronda», II (1920), n. 12, pp. 809-811: p. 809.
66
Cfr. le descrizioni del caffè milanese Savini in Adolfo Franci, Il servitore di piazza, Firenze, Vallecchi, 1922; Titta Rosa, I lumi a Milano, cit.; Carlo Linati, Il bel Guido
e altri ritratti, a cura di Gianfranca Lavezzi e Anna Modena, Milano, All’insegna del
pesce d’oro, 1982.
67
Enzo Ferrieri, Che cosa è stato il “Convegno” dal 1920 in poi, Faam, Fondo Enzo
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
123
Ferrieri, Serie 1.3, fasc. 51/VIe, c. 3, ora a cura di Monica Frigerio, in «Letteratura e letterature», n. 10, 2016, pp. 139-154: p. 140. Cfr. anche Giuseppe Prezzolini, La coltura italiana, cit., pp. 27-28: «La sua [di Milano] potenza negli affari e nel denaro si ripercuote
anche nel mondo dell’intelligenza. […] Il successo vi si scambia con la gloria, il guadagno è preso come misura del valore umano, la pubblicità è adoperata senza ritegno e la
fabbricazione a serie prevale sulla creazione originale, solitaria, tranquilla. Milano è il
tumulto, spesso un poco grossolano; è la città delle riviste illustrate più che delle riviste
di pensiero; è la fabbrica più che il giardino delle idee».
68
Cfr. nota 8.
69
«È qui che versificatori da baraccone trovarono titoli e prebende; che imbrattatele senza tetto trovarono ateliers e pescicani sovvenzionatori. Milano, a quest’ora, tutto
inghiotte e tutto digerisce con allegra furia saturnina: il mediocre e il pessimo, il pazzesco e il barbogio, l’apocrifo e l’interlope» (Carlo Linati, Galleria, «Il Convegno», II (1921),
n. 1-2, pp. 78-79: p. 78); «Non capisco più niente. Niun’altra frase esprime meglio di questa la stupefazione e l’orrore che prova Silvestro, milanese d’antico stampo, allo spettacolo di così incredibile confusione e disparità di spiriti e fenomeni morali in mezzo a
cui lo ha gittato a vivere questo nemboso dopoguerra. […] Solo il Guadagno è la molla
che sommove questa enorme impazienza di ordegni; […] furioso nel produrre, l’uomo
lo è pure nel consumare, e meta d’ogni suo sudore l’appagamento del ventre e del sesso»
(Id., Galleria, «Il Convegno», II (1921), n. 8-9, p. 440).
70
Secondo Paola Ponti, la ricerca di una linea e di una tradizione lombarda sul «Convegno» serve «sovente a contrastare l’immagine diffusa di una Milano degenerata, commerciale e culturalmente poco significativa», «patria del consumismo culturale» (Paola
Ponti, Critici e narratori a “Convegno”. Vent’anni di romanzo e prosa d’arte sul mensile
di Enzo Ferrieri, Milano, I.S.U. Università Cattolica del Sacro Cuore, 2003, pp. 41-42).
71
F. [Enzo Ferrieri], Letteratura milanese, «Il Convegno», I (1920), n. 7, pp. 58-59.
72
Sebbene alcuni dei testi pubblicati dalla «Ronda», come la riscrittura dell’Amleto di Bacchelli o lo Spartaco dello stesso autore, abbiano forma teatrale, vanno considerati più come esperimenti stilistici che drammaturgici. Non c’è tra gli scrittori della
«Ronda» un interesse specifico per la messa in scena, a differenza di quanto avviene nel
«Convegno», che è sede di una scuola di recitazione e di una compagnia teatrale. L’Amleto di Bacchelli, per esempio, non verrà rappresentato che nel 1956, e ne sarà regista
proprio Ferrieri.
73
«Une […] personallité nouvelle à laquelle l’après-guerre a apporté le succès, bien
que’elle ait été formée en une autre époque, c’est Pirandello. […] Renato Serra pouvait,
il y a dix ans, sans faire crier au scandale, le confondre dans un petit volume désormais
classique sur la littérature contemporanaine en Italie avec un des nombreux fabricants
de nouvelles» (Giuseppe Prezzolini, La Littérature italienne de l’après guerre (1918-1928),
«La Revue de Paris», XXXVI (1929), n. 3, Mai-Juin, pp. 106-129: p. 120); «Insegnava lettere italiane in una scuola superiore femminile, e scriveva romanzi e novelle. Si può dire
[…] che non fosse meno eccellente scrittore del suo omonimo commediografo; ma era
pochissimo noto, e avvenne perfino che un critico acuto come Renato Serra, tracciando
un quadro della letteratura italiana nell’anno che precedette la guerra, mostrasse quasi
di ignorarlo, annoverandolo frettolosamente tra gli infranciosati novellieri da salotto»
124
Enzo Ferrieri
(Arnaldo Frateili, Pirandello in aeroplano, in Almanacco letterario 1926, Milano, Mondadori, 1926, pp. 225-229, pp. 225-26).
74
Enzo Ferrieri, Il Convegno 1920-1940, cit., p. 6.
75
All’uscita sostituisce l’inedita Sagra del signore della nave, non rappresentata per
motivi logistici, che viene però pubblicata sulla rivista, di cui occupa un numero intero: «Impedimenti sorti per ragioni di pubblica sicurezza – a causa dei ponti che si sono
dovuti costruire per il passaggio della processione e per l’agglomerato delle comparse
in un teatro di dimensioni limitate – ne hanno vietata la rappresentazione. L’autore ci
consente gentilmente di pubblicare l’opera nuovissima («Il Convegno», V (1924), n. 9).
La Sagra debutterà nella serata inaugurale del Teatro d’Arte di Roma il 2 aprile 1925.
76
Secondo «Il Convegno» al Teatro d’Arte si sarebbero dovuti accompagnare un circolo per conferenze e concerti, un periodico e la rappresentanza del PEN Club italiano
(Il teatro dei dodici, «Il Convegno», V (1924), n. 8, pp. 438-439); nulla di tutto ciò sarà
realizzato. Sul Teatro d’Arte cfr. Alberto Cesare Alberti, Il teatro nel fascismo. Pirandello e Bragaglia. Documenti inediti negli archivi italiani, Roma, Bulzoni, 1974; Pirandello
capocomico. La compagnia del Teatro d’Arte di Roma, 1925-1928, a cura di Alessandro
D’Amico e Alessandro Tinterri, Palermo, Sellerio, 1987; Patricia Gaborik, «C’era Mussolini»: Pirandello e il Teatro d’Arte, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, 3, Dal Romanticismo a oggi, a cura di Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2012, pp. 533-540; Ead., Il Duce’s Directors. Art Theaters as Instruments of the Fascist Revolution, in Vanguard Performance Beyond Left and Right, a cura
di Kimberly Jannarone, Ann Arbor, Michigan University Press, 2015, pp. 37-59.
77
A differenza di Bragaglia, Pirandello e Ferrieri non apprezzano senza riserve le sperimentazioni teatrali europee; Pirandello è diffidente nei confronti della figura del regista (anche se, come scrive Gaborik, «il suo lavoro [al Teatro d’Arte] ci appare oggi essenzialmente lo stesso che noi associamo a questa parola»: Patricia Gaborik, «C’era Mussolini», cit., p. 536), mentre il numero del «Convegno» dedicato al teatro si apre con una
premessa prudenziale: «Non possiamo certo dire che molti di questi argomenti siano di
nostro gusto. Né possiamo infine rammaricarci che il nostro paese sia rimasto del tutto
estraneo all’avventura decorativa del teatro europeo» («Il Convegno», IV (1923), n. 4-56, p. 158).
78
«A voler guadagnare l’indulgenza di certe confraternite, ci si dovrebbe astenere
così dallo scrivere come dal leggere romanzi. […] La stessa malevolenza che prima si
esercitò contro il poema epico si trasferì poi tutta contro il romanzo suo figlio primogenito. Ma non contro il romanzo solamente. Contro la novella e il dramma e il libro e
in genere contro ogni cosa che avesse un principio, un mezzo e un fine, un significato e
una struttura» (Giuseppe Antonio Borgese, Le mie letture, I, Aprile 1920, in Id., Tempo
di edificare, cit., p. 79). Sulla battaglia di Borgese a favore del romanzo cfr. Daria Biagi,
Una lingua per il romanzo moderno. Borgese editore e traduttore, in «La densità meravigliosa del sapere». Cultura tedesca in Italia fra Settecento e Novecento, a cura di Maurizio Pirro, Milano, ledizioni, 2018, pp. 167-185.
79
Piero Gadda, Le conferenze di A. [sic] Borgese, «Il Convegno», IV (1923), n. 3, pp.
140-143.
80
Dopo Rubé (1921) e I vivi e i morti (1923) Borgese pubblica un altro romanzo (Tem-
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
125
pesta nel nulla, 1931), alcune raccolte di novelle (La città sconosciuta, 1924; Le belle, 1927;
Il sole non è tramontato, 1929), un dramma (L’arciduca, 1924) e un saggio storico romanzato (La tragedia di Mayerling, 1925).
81
All’indomani della morte di Verga, Angelini gli dedica un saggio che ne elogia lingua e stile (i suoi tre romanzi sono un «miracolo di stile […] di coscienza e virtù sintatiche [sic]», mentre nelle novelle «quella sua parlata svelta che ha fatto della lingua un
esercizio naturale, arriva a una qualità di stile che è sobria eppur colma, incisiva senza
nulla perdere della sua melodia leggera»: Cesare Angelini, Giovanni Verga, «Il Convegno», III (1922), n. 3-4, pp. 121-127: p. 126). Verga è sempre citato con ammirazione sul
«Convegno», mentre i radi riferimenti della «Ronda» mostrano di apprezzarlo nonostante sia un romanziere. «Il Convegno» pubblica inediti di Tozzi (Le parole, «Il Convegno», I (1920), n. 3, pp. 19-26; Il poeta, «Il Convegno», II (1921), n. 3, pp. 112-121) e gli
dedica un articolo di Pancrazi (Federigo Tozzi, «Il Convegno», I (1920), n. 3, pp. 9-18)
che, come già aveva fatto Angelini per Verga, ne lamenta la scarsa fama goduta in vita
e profetizza una fama postuma dovuta al cambio di paradigma in corso. Anche «La
Ronda» apprezza l’opera di Tozzi, ma ai romanzi preferisce la raccolta di prose descrittive Bestie (cfr. a.e.s. [Aurelio Emilio Saffi], F. Tozzi, «Con gli occhi chiusi», «La Ronda»,
I (1919), n. 5, pp. 73-74)
82
L’inutile chintana, cit., p. 293.
83
«Se da Verona scrivesse soltanto pagine, frammenti, riflessi, lembi di paesaggio, e
se tirasse questa roba con discrezione, sarebbe un immortale come tutti gli altri. Prendiamo la Treccia, a caviamone fuori la lotta dei galli, una partenza, un arrivo, una svolta
di strada, una lampada ad arco poco prima dell’alba, il tirocinio di Maddalena col diacono Ralph (il sole sul braccio) e l’altro tirocinio con l’istitutrice (la candela nel vento).
Non c’è nulla da ridire: almeno dal punto di vista degli esteti frammentisti. Per loro
dovrebbero essere perle. E infatti nei loro libriccini a block-notes non mancano pagine che potrebbero inserirsi pari pari nella Treccia» (Giuseppe Antonio Borgese, Le mie
letture, I, Aprile 1920, in Id., Tempo di edificare, cit., p. 86). Borgese definisce «libro di
esercizi e solfeggi» Pesci rossi di Emilio Cecchi (Giuseppe Antonio Borgese, Le mie letture, VI, Ottobre 1920, ivi, p. 165).
84
Anno IV, cit., p. 3.
85
«Il Croce, ancora una volta, per cogliere le mele dorate di cui il poeta da lui studiato parla in ermetico tono, entrò nell’orto delle Esperidi con quelle tali forbici del
buon senso, che andavan bene piuttosto per tagliare delle pezze di lana. Indubbiamente, il buon senso è uno strumento forte; indubbiamente il Croce lo maneggia benissimo; indubbiamente, esso basta per molti bisogni del mondo geografico. Ma ci sono
paesi favolosi in cui si vive d’aria e quindi il buon senso va tutto surrogato da un consentimento indefinibile: dal senso di poesia come postulato. Quando il Croce, filosofo
quadrato e illustre, s’accinge a leggere il Goethe – o a commentarlo, ch’è lo stesso – col
tono di voler mettere a posto qualcuno, anzi “i goethiani”, anzi, tra i borghesi, il Goethe
stesso, noi sentiamo più forte quell’aristocrazia ch’è ormai riservata a chi, tra le seduzioni degl’inviti filosofici, l’ha scampata bella» (m.c. [Marcello Cora], Benedetto Croce,
«Goethe», cit., p. 104).
86
«La sua apparizione [di Croce], al nostro centro di Via Borgospesso evocava l’a-
126
Enzo Ferrieri
ria festosa di un arrivo presidenziale, tradotto in gerarchie letterarie» (Enzo Ferrieri, Il
Convegno 1920-1940, cit., p. 6). Nella sua prima annata «Il Convegno» ospita una corposa anticipazione del libro di Croce La poesia di Dante (Benedetto Croce, «Il Purgatorio» di Dante, «Il Convegno», I (1920), n. 8-9, pp. 1-22) e l’anno successivo una recensione molto elogiativa del volume a firma del segretario di Croce (Giovanni Castellano, Il «Dante» di Benedetto Croce e la critica odierna, «Il Convegno», II (1921), n. 3, pp.
125-137).
87
r.b. [Riccardo Bacchelli], Piero Jahier, «Ragazzo», «La Ronda», II (1920), n. 1, pp.
75-77; A.Spa., Scipio Slataper, «Scritti letterari e critici», cit.; e.c. [Emilio Cecchi], Carlo
Stuparich, «Cose e ombre di uno», «La Ronda», I (1919), n. 8, pp. 72-73.
88
Prezzolini collabora regolarmente alla rivista, in cui si occupa soprattutto di cultura italiana e letteratura francese. Soffici – alla cui traiettoria artistica Prezzolini dedica
un articolo (Giuseppe Prezzolini, Profili: Ardengo Soffici, «Il Convegno», I (1920), n. 6,
pp. 46-51) – dà al «Convegno» anteprime di testi in uscita e occasionalmente interviene
in polemiche d’arte. Papini non scrive sulla rivista ma la sua Storia di Cristo è discussa in più occasioni da Cesare Angelini (Cesare Angelini, Discorsi del tempo natalizio,
«Il Convegno», I (1920), n. 11-12, pp. 55-62; Id., In margine a un libro, «Il Convegno»,
II (1921), n. 7, pp. 365-370; Id., Le proporzioni artistiche di un libro, «Il Convegno», III
(1922), n. 3-4, pp. 151-158). Eugenio Levi recensisce positivamente Ragazzo di Jahier
(Note di letteratura. Piero Jahier, «Il Convegno», I (1920), n. 2, pp. 60-63) e gli dedica
un saggio (Scrittori nuovi: Piero Jahier, «Il Convegno», II (1921), n. 1-2, pp. 4-19).
89
Carlo Linati, Sulle orme di Renzo, Roma, Società anonima editrice “La Voce”, 1919;
Id., Nuvole e paesi, Firenze, Vallecchi, 1919.
90
In alcune lettere a Linati scritte a cavallo tra 1919 e 1920 Angelini dà voce al proprio sentimento di esclusione, e alla conseguente estraneità, rispetto ai circuiti letterari più in vista: «Avrei anch’io i miei desideri, come ho le mie vanità: e sento di avere in
cuore qualche cosa da dire. […] Ma dove trovare lo sfogatoio? C’era una volta “Raccolta”, dove Raim.[ondi] mi aveva accolto con gentilezza generosa e dove contavo di scrivere alcune cosine già pronte. Ma ora, “Raccolta” non c’è più; e a Roma io non conosco nessuno. E poi credo che quei bravi ragazzi [i rondisti] non pubblichino tanto facilmente roba d’uno sconosciuto come sono io; che appartengo per di più a una generazione che non è più la loro» (Cesare Angelini, lettera a Carlo Linati, 20 maggio 1919, in
Id., I doni della vita. Lettere 1913-1976, a cura di Angelo Stella e Anna Modena, Milano, Rusconi, 1985, p. 67; in effetti Angelini invia a Baldini delle prose che non vengono
pubblicate dalla «Ronda»); «Tornai male dalla mia passeggiata Roma-Firenze-Bologna.
Nel ripensare a quei cari confratelli incontrati, e sedicenti critici, me li rivedo tutte saggie [sic] persone, ma così pettegoli nelle loro chiacchiere ambiziose e nelle loro sciape
imposizioni, da farmi una specie di nausea, sincera» (lettera del 9 gennaio 1920, ivi, p.
79); «Di fronte a tutta – o quasi – quest’ultima nostra gente che ha presa la poesia troppo di sottogamba, non posso prendere ormai che una posizione di opposizione – garbata, ma opposizione» (lettera del 21 giugno 1920, ivi, p. 85).
91
Carlo Linati, lettera a Enzo Ferrieri, 20 settembre 1920, in Anna Modena, Le sale
della letteratura italiana, cit., pp. 18-19.
92
Dal 1923 collaborano al «Convegno» Riccardo Bacchelli, Cecchi, Montano e Rai-
«Il Convegno» 1920-1940. Per un’antologia
127
mondi. La diaspora rondista approda anche alla rivista di Somaré «L’Esame», su cui
scrivono Mario e Riccardo Bacchelli, Cardarelli, Cecchi, Cora, Montano, Raimondi.
93
Guido Piovene, Movimenti letterari: Il Convegno, «La parola e il libro», 1, gennaio
1927, pp. 11-15: p. 13.
94
L’articolo contiene una critica alla produzione rondista che riecheggia sia il saggio
di Ferrieri del 1921 sia le posizioni di Borgese: «I rondisti, nel lato men buono della loro
opera si rivolsero invece direttamente al lato formale: e spesso, presa da fuori, l’organicità scivolò in geometria; la coltura, in freddezza. […] la loro arte divenne superficiale
geometria, cura lessicale, decorazione di temi indifferenti; raccolsero con elezione vocaboli esattissimi e gravidi di significati che, per non corrispondere a una realtà spirituale, non significavano, davvero, nulla. […] Molti scrittori rondisti, per scrivere su argomenti non sentiti, furono per alcun tempo, quasi infecondi, e si soffermarono a ripulire all’infinito frammenti minimi» (ivi, pp. 12-13).
95
Cfr. Eurialo De Michelis, La Ronda e noi, «Il Lavoro fascista», 22 maggio 1932. Cfr.
Anna Baldini, Un editore alla ricerca di un’avanguardia: Valentino Bompiani e la “tenzone del romanzo collettivo”, in Stranieri all’ombra del duce. Le traduzioni durante il fascismo, a cura di Anna Ferrando, Milano, FrancoAngeli, 2019, pp. 198-211.
96
Vincenzo Cardarelli, lettera a Emilio Cecchi, 6 luglio 1923, cit. in Giuseppe Langella, Una rivista ottocentista: «L’Esame» letterario tra prosa d’arte e romanzo europeo,
in Letteratura e riviste, a cura di Giorgio Baroni, «Rivista di letteratura italiana», XXIII
(2005), n. 1-2, pp. 89-94: p. 90. La casa editrice Bottega di Poesia fondata da Emanuele
di Castelbarco pubblica Lo sa il tonno di Bacchelli (1923), Favole e memorie di Vincenzo Cardarelli (1924 [ma in realtà 1925]), Il sorcio nel violino di Barilli (1926).
97
Giovanni Titta Rosa, I lumi a Milano, cit., p. 290.