storia della critica d’arte
annuario della s.i.s.c.a.
società italiana
di storia della critica d’arte
2019
scalpendi editore
Storia della Critica d’Arte
Annuario della S.I.S.C.A.
© 2019 Scalpendi editore, Milano
ISBN: 978-88-32203-51-6
ISSN: 2612-3444
Progetto grafico e copertina
© Solchi graphic design, Milano
Montaggio e post produzione
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Direttore responsabile
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Comitato scientifico
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Borsellino, Raffaele Casciaro, Tommaso Casini, Rosanna Cioffi, Maria Concetta Di Natale, Cristina
Galassi, Michel Hochmann, Ilaria Miarelli Mariani,
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Sohm, Ann Sutherland Harris, Eva Struhal, Massimiliano Rossi, Alessandro Rovetta.
Caporedattore
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Redazione
Manuela Beretta
Adam Ferrari
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o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo
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Prima edizione: novembre 2019
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10 maggio 2018
sommario
discussioni e problemi
La salvaguardia e la conoscenza dei beni mobili colpiti
dal terremoto del 1976 in Friuli: paradigma o eccezione?
Paolo Pastres
9
Recensione a Leo Steinberg, Michelangelo’s Sculpture. Selected essays
Tommaso Casini
55
Abstract
60
fonti
«Se sotto questa voce di disegno si comprendino le stampe»: gli Accademici
del Disegno di Firenze e la disputa sollevata da un «nobile urbinate»
Carlotta Paltrinieri
65
Abstract
72
inediti e riproposte
«Ho visto la fotografia e non sono alieno d’aprir trattive per l’acquisto
del quadro»: Alessandro Piceller, Corrado Ricci, la monografia su Pintoricchio
e la compravendita del Bartolomeo Caporali degli Uffizi
Luca Ciancabilla
75
Il Sassoferrato copista di Federico Zeri
Cristina Galassi
101
Abstract
120
letteratura artistica
Ragioni figurative in difesa di Dante.
Le lezioni sull’Inferno di Giovan Battista Gelli
Silvia Vantaggiato
125
Svelare e occultare la verità:
il Sileno di Alcibiade e le imprese dell’Accademia degli Occulti di Brescia
Sonia Maffei
147
Antonio Zanchi e le sue “invenzioni per incisioni”.
Il «dessegno» per la Venetia aflita del Boschini
Milena Bortone
169
«Breve, ma veritiera Storia della vita di una nostra Pittrice»:
l’elogio di Rosalba Carriera di Girolamo Zanetti
Chiara Piva
189
«Facendo queste come la terza parte della Storia delle Arti del Disegno».
Il dibattito sull’identità delle Anmerkungen über die Baukunst der Alten
di Winckelmann nella querelle tra Onofrio Boni e Carlo Fea
Fausto Testa
219
Abstract
238
critica e storiografia
Antonio Solario e gli affreschi nel chiostro del Platano a Napoli.
Spunti di critica tra Otto e Novecento e problemi iconografici
Letizia Gaeta
245
Bernard Berenson, gli Stein, Matisse e Picasso:
prime ricognizioni a mo’ di cronologia ragionata
Michele Dantini
269
Gli scritti giovanili di Nino Barbantini: una visione d’insieme,
con brevi cenni sulla ricezione dei precetti ruskiniani
Priscilla Manfren
303
Problemi di metodo: Roberto Salvini, Hans Sedlmayr, e la Scuola di Vienna
Giovanna De Lorenzi
327
Giuseppe Raimondi critico d’arte
Elisa Bassetto
351
Abstract
377
collezionismo, museo, istituzioni
Le collezioni di antichità, scultura e arti minori nel palazzo milanese
di Giuseppe Bossi, sede della Scuola speciale di pittura (1810-1815)
Silvio Mara
385
Alle origini della Storia dell’arte medievale in Calabria:
l’Inventario degli Oggetti d’Arte di Alfonso Frangipane tra studio e tutela
Simona Anna Vespari
415
Maria Accascina, l’ordinamento delle oreficerie del Museo Nazionale
di Palermo e il sogno di un Museo delle arti decorative a Palazzo Abatellis
Lucia Ajello
433
Abstract
452
Indice dei nomi
456
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni”.
il «dessegno» per la venetia aflita del boschini
Milena Bortone
Il Seicento è per Venezia un secolo ricco di contraddizioni. La stabilità politica e la
floridezza economica che l’avevano resa una delle principali potenze del vecchio continente sono oramai un lontano ricordo. All’alba del nuovo secolo la Serenissima si
presenta afflitta da gravi problematiche interne alla classe dirigente, progressivamente
marginalizzata dalle dinamiche politiche europee, privata del dominio sui mari e del
controllo esclusivo dei traffici marittimi mediterranei, e tormentata dalle continue
angherie ottomane1.
La perdita di un ruolo di primo piano non comportava, comunque, un cambiamento di percezione globale: a Venezia si continuava a guardare come ad uno scenario
magico e maestoso, laddove ricchezza e abilità tecnica sapevano fondersi in maniera
spettacolare, dando vita a preziose opere d’arte e raffinati beni di lusso destinati ad
un mercato sempre più vasto e variegato2.
A partire dalla metà del secolo è la pittura a farla da padrona; superata la stasi
manieristica, che aveva fossilizzato il clima pittorico in una esasperata imitazione delle
formule stilistiche messe a punto dai grandi maestri del Cinquecento attivi in laguna,
la pittura veneta si apre ora al rinnovamento, un rinnovamento fatto di forti contrasti
1 Per approfondimenti sulla situazione della Repubblica di Venezia agli inizi del XVII secolo, si rimanda all’interessante volume di S. Andretta, La Repubblica inquieta: Venezia nel Seicento tra Italia e Europa,
Roma 2000. Per una corretta analisi della reale portata che quell’insieme di trasformazioni genericamente
denominate “crisi” ebbe nel sistema economico della Serenissima, si consiglia, invece, il testo di A. Zannini,
L’economia veneta nel Seicento. Oltre il paradigma della “crisi generale”, in Società Italiana di Demografia
Storica, La popolazione nel Seicento: relazioni presentata al convegno di Firenze, 28-30 novembre 1996,
Bologna 1999, pp. 473-502.
2 Una visione d’insieme sul collezionismo veneziano del secolo XVII è offerta da I. Cecchini, Quadri
e commercio a Venezia durante il Seicento. Uno studio sul mercato dell’arte, Venezia 2000; S. Mason, Per
il collezionismo a Venezia nel Seicento: conservatorismo nostalgico e aperture al contemporaneo, in Geografia del collezionismo, Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo. Atti delle giornate di studio dedicate
a Giuliano Briganti (Roma, 19–21 settembre 1996), a cura di O. Bonfait, M. Hochmann, L. Spezzaferro,
B. Toscano, Roma 2001, pp. 225-237; Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, a cura di L. Borean, S.
Mason, Venezia 2007; A. Zannini, Venezia nell’età di Boschini, in Marco Boschini. L’epopea della pittura
veneziana nell’Europa barocca, Atti del Convegno di Studi (Verona, Università degli Studi, Dipartimento
TeSIS Museo di Castelvecchio, 19-20 giugno 2014), a cura di E.M. Dal Pozzolo, con la collaborazione di P.
Bertelli, Treviso 2014, p. 18. Utili strumenti archivistici e bibliotecari sull’argomento sono proposti, invece,
da V. Mandelli, Studi di famiglie e di collezionismo a Venezia nel Sei e Settecento, “Saggi e Memorie di storia
dell’arte”, 31, 2007, pp. 237-294.
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 169
chiaroscurali, di squarci di luce, di sfondi tetri, di pennellate decise e di cromatismi
squillanti3.
Tra gli artisti operanti a Venezia in questi anni, Antonio Zanchi (Este, 6 dicembre
1631-Venezia, 12 aprile 172) è sempre stato ritenuto, già dalle fonti storico-artistiche a
lui contemporanee, uno dei personaggi di maggiore spessore e importanza. Esponente
di spicco della poetica dei “tenebrosi”4, sulla scia di Giovan Battista Langetti (Genova,
1635-Venezia, 22 ottobre 1676)5, l’artista è ricordato soprattutto per il suo vasto operato
3 Per le questioni riguardanti la pittura veneta nel Seicento, si veda La pittura nel Veneto: il Seicento,
Milano 2001.
4 Di una “setta de’ tenebrosi” parla con tono dispregiativo l’abate Luigi Lanzi il quale, nella sua Storia
Pittorica, così si esprime a proposito del nuovo gusto pittorico: «Dopo questi anni, che furono specialmente
il 1630 e il 1631, ne’ quali trovo segnate le morti di assai pittori, si andarono perdendo sempre le reliquie
della buona veneta Scuola, e i quadri fatti in Venezia dalla metà del secolo in poi portano un carattere
diverso, almeno per la più parte. Avverte il Signore Zanetti che circa questo tempo si stabilirono in quella
Città alcuni pittori esteri, e che il regno della pittura era nelle mani loro. Addetti a scuole diverse e per lo
più ammiratori del Caravaggio e del suo stile plebeo, non convenivan fra loro se non in due cose. L’una era
consultare il vero più che fino a quel tempo non si era fatto; pensiero utilissimo perché l’arte divenuta vil
mestiero tornasse arte; ma non ben’eseguito da molti di essi, i quali non sapevano scerre il naturale, o non
sapevano nobilitarlo o se non altro co’ soverchj scuri l’ammanieravano. L’altra era servirsi d’imprimiture
scurissime ed oleose; cosa, che quanto ajuta alla celerità, tanto nuoce alla durevolezza, come si è avvertito
più volte; essendo questa infezione stata propagata in più paesi, fino a restarne attaccata la grande scuola
de’ Caracci. Di ciò è nato che in molte di quelle pitture non son oggimai rimasi se non i lumi, sparitene le
mezze tinte, e le masse degli scuri; e che la posterità ha trovato a questa schiera di artefici un vocabol nuovo
chiamandogli la setta de’ Tenebrosi. Il Boschini, che pubblicò la sua Carta del navigar Pittoresco nel 1660,
nomina i pittori più adoperati allora nella Capitale, e secondo il suo metodo gli loda tutti; come allora facea
il Marini, ed altri poeti soliti a vender versi per quadri» (L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia, II/1, Bassano,
a spese Remondini di Venezia, 1795-1796, pp. 159-160). È interessante osservare come l’abate, nell’edizione
corretta ed accresciuta della sua opera edita nel 1809, dopo aver ripreso alla lettera quanto detto qualche
anno prima su quella corrente di riformato caravaggismo riberesco tanto in voga a Venezia nella seconda
metà del secolo XVII, preferisca invece correggere le sue precedenti dichiarazioni sul pensiero del Boschini
circa quei “naturalisti”: «Il Boschini […] morde […] i meri naturalisti, e gli scredita per tutta l’opera, mal
soffrendo che venissero a cercare pane in Venezia; biasimassero il gusto, la franchezza, la celerità dei veneti;
e dipingessero intanto con uno stento da far pietà» (L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia, dal risorgimento
delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, III, Bassano, presso G. Remondini e f.i, 1809, pp. 208-209).
In effetti lo scrittore veneziano non comprendeva la necessità riformatrice dei “tenebrosi”, e non approvava
la tendenza a copiare la natura anche nelle sue parti più orribili, senza far uso alcuno dell’“artificio”.
5 L’artista, considerato l’iniziatore della nuova corrente pittorica, era di origini genovesi; si era quindi
trasferito a Venezia poco dopo la metà degli anni cinquanta, come dimostrerebbe lo stesso Boschini il quale,
nella Carta, ricorda come Langetti vivesse in laguna ormai da tempo, essendo un pittore molto attivo e
apprezzato: «Zambattista Langeti, in verità, | che l’è un Pitor, no’ digo venetian: | ma vedo ben che l’hà in
pasta le man, | per farse citadin de sta Cità. | L’opera con bon’arte, e colpi franchi: | l’osserva el natural con
gran giudizio: | in l’atizar l’atende al bon oficio, | che i movimenti sia vivi, e no’ stanchi. | L’inclina al nudo, e
studia a despogiar | anche ‘l giudicio: perche nudo el resta | d’ogni eror; sì che pò vestia da festa | virtù se veda
adorna a campizar» (M. Boschini, La Carta del navegar pitoresco, Venezia, per li Baba, 1660, p. 538). «Si
tratta», come scrive Bernard Aikema, «di un giudizio sorprendente per il fatto che Boschini, in senso generale, disapprovava la pittura naturalistica dei “tenebrosi”. Forse è proprio per evitare di apparire incoerente
che il Boschini assicurò con fermezza che Langetti coltivava una grandissima ammirazione per il Tintoretto
del quale avrebbe detto: “L’è un Pitor regio | e l’ha un dessegno immenso: | perche, quando l’osservo, e che
in lu penso, | el porto in fronte, e i altri i buto in cesto”» (B. Aikema, Il secolo dei contrasti: le tenebre, in
La pittura nel Veneto: il Seicento, II, Milano 2001, p. 547). Come se non bastasse, lo scrittore veneziano
inserisce il nome di Langetti anche nel pantheon di quei pittori allora attivi in laguna che il Compare presenta nel vento ottavo e che sono chiamati a «far moderna Galaria» nel palazzo dell’Eccellenza affacciato
sul Canal Grande; in particolare, il pittore genovese dipingerà Bacco che versa del vino ad un satiro, un
soggetto mitologico a sfondo bucolico abbastanza insolito per tale artista: «Fè che’l Langeti, bravo Genoese,
170 milena bortone
pittorico6, che ne fa uno dei maestri più prolifici del secolo. Al contrario, scarse e spesso
incomplete sono le notizie che riguardano la sua attività come progettista di incisioni
e frontespizi figurati7, attività che ebbe una notevole importanza nella sua carriera, ma
| sfodra el penel su pitoresca tela, | e fazza luser, come una candela, | per favorirne, una dele so imprese: |
Baco, che generoso con la destra | porza al Satiro Dio del so liquor; | siché aquista più forza e più vigor, | per
causa tal, la Deità silvestra. | E voi sti do verseti, appresso el pian, | scriver in bel caratere se fazza: | a quel
che de virtù segue la trazza, | mancar no ghe puol mai, né vin, né pan» (Boschini, La Carta, cit. [vedi sopra],
p. 596). Appare ragionevole pensare, a tal proposito, che, più che un reale apprezzamento personale, sia un
interesse promozionale da conoscitore e sensèr di pitture, quale il Boschini era, a guidare queste righe. Egli,
infatti, cosciente che le opere di Langetti e della sua cerchia incontravano il favore di non pochi committenti
pubblici e privati, veneziani e forestieri, non faceva altro che cercare di aprirsi verso le aspettative del mercato, anche se questo significava, automaticamente, sacrificare il proprio giudizio qualitativo (cfr. L. Borean,
“Per dover far moderna Galaria”. Marco Boschini e gli artisti del suo tempo, in Marco Boschini, cit. [vedi
nota 2], pp. 191-203). La nuova tendenza naturalistica promossa dal pittore ebbe, in ogni caso, un notevole
impatto sul gusto artistico veneziano, coinvolgendo tra tutti proprio Antonio Zanchi, che divenne da subito
uno dei più fervidi seguaci del movimento e, senza dubbio alcuno, l’esponente veneto più in vista. Per ulteriori informazioni sul Langetti si rimanda a M. Stefani Mantovanelli, Giovanni Battista Langetti, “Saggi e
Memorie di Storia dell’Arte”, 17, 1990, pp. 41-105; M. Stefani Mantovanelli, Giovanni Battista Langetti: il
Principe dei Tenebrosi, Soncino 2011.
6 Per uno studio approfondito sull’operato pittorico di Antonio Zanchi si veda A. Riccoboni, Antonio
Zanchi e la pittura veneziana nel Seicento, “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 5, 1967, pp. 53-135; P.
Zampetti, Antonio Zanchi, in I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, IV, Bergamo 1987,
pp. 389-707; B. Andreose, Antonio Zanchi, “pittor celeberrimo”, Vicenza 2009. Numerosi documenti d’archivio riguardanti la vita privata e professionale del maestro sono riportati in M. Favilla, R. Rugolo, Un
tenebroso all’opera. Appunti su Antonio Zanchi, “Venezia Arti”, 17/18, 2003-2004, pp. 57-78.
7 È presumibile che sia stato il suo maestro di pittura, Francesco Ruschi, al quale venivano spesso
commissionate opere del genere, ad iniziarlo a quest’arte, fornendogli in tal modo la chiave d’accesso ai
più sofisticati ambienti culturali e intellettuali lagunari (Aikema, Il secolo dei contrasti, cit. [vedi nota 5],
p. 552). Il Ruschi (Roma, 1598 ca. – Treviso, luglio 1661) era di origini romane e aveva frequentato la
bottega del Cavalier d’Arpino, dove si vide lavorare anche il Caravaggio; si era quindi trasferito a Venezia,
probabilmente verso la fine del secondo decennio del Seicento, e qui aveva aperto una scuola molto attiva ed
apprezzata. La notizia dell’apprendistato del Zanchi presso il maestro romano è offerta dal Boschini in una
lettera del 1675 al Cardinale Leopoldo de’ Medici: «Antonio Zanchi da Este, territorio padovano, virtuoso
pittore, opera al presente diversi quadri per li Ser.mi d’Ispruch e molte opere sue si vedono in publico et in
privato. Questo fu allievo del sopranominato Francesco Ruschi romano. Fece, studiando, diverse copie del
maestro che poi sono state comperate e credute dello stesso precetore per haver appreso lo stesso carattere;
se bene poi ha fatta maniera da sé et è stimato più del maestro» (L. e U. Procacci, Il carteggio di Marco
Boschini con il cardinale Leopoldo de’ Medici, “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 4, 1965, p. 100). In
realtà, come sostiene Moschini, pare che Antonio Zanchi avesse appreso le basi della pittura da Giacomo
Petrelli (Petrali o anche Pedrali), un artista bresciano documentato a Venezia e Treviso dal 1639 al 1669,
ma nel 1641 residente a Este. Proprio Petrelli, notate le evidenti doti del nostro, lo avrebbe condotto con
sé a Venezia, dove, in seguito (attorno al 1650), Zanchi sarebbe diventato allievo di Matteo Ponzone (Venezia, 3 novembre 1583 – Venezia, post 1663), discepolo di Sante Peranda e tardo seguace del Tintoretto.
Ne è prova l’Adorazione dei Magi del Museo Civico di Treviso, nel quale è evidente il debito del pittore
atestino nei confronti dei modi espressivi del maestro dalmata, specie nella presentazione dei due paggi in
primo piano, colpiti da una lama di luce (cfr. Riccoboni, Antonio Zanchi, cit. [vedi nota 6], p. 57). Solo più
tardi, dunque, Zanchi sarebbe passato alla scuola di Francesco Ruschi, dal quale – come si vede nelle prime
opere dell’artista, prime tra tutte l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme, quadro questo «fatto interamente sullo
stile del Rusca» come scrive il Zanetti (A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’
veneziani maestri, Venezia 1771, p. 404) – avrebbe assimilato il caratteristico modo di avvolgere e trattare
le vesti, ostentandone l’abbondanza, e la predilezione per i colori freschi e vivaci. Ruschi era molto attivo
come progettista di frontespizi, specie per le opere di Giovan Francesco Loredano, fondatore dell’Accademia
degli Incogniti. Lo stesso stemma dell’Accademia (con la rappresentazione del Nilo – le cui sorgenti erano
all’epoca, per l’appunto, “incognite” – che scende tortuosamente da un monte per rendere fertile la pianura
prima di gettarsi nel Mediterraneo e il motto Ex ignoto notus) era stato disegnato dal Ruschi. Numerose
informazioni sull’Accademia e sui suoi protagonisti sono reperibili in M. Miato, L’Accademia degli Incogniti
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 171
attorno alla quale si è cominciato a ragionare solo in tempi relativamente recenti. Sul
finire del secolo scorso, Pietro Scarpa8 tentava di far luce su questo percorso di riscoperta,
fissando le tappe fondamentali di una storia degli studi che ampliava progressivamente
l’elenco delle “invenzioni per incisioni” di mano di Zanchi. A distanza di oltre vent’anni,
tuttavia, si rende necessario riprendere quel contributo, correggendolo e aggiornandolo
alla luce dei risultati cui la ricerca è approdata negli ultimi anni e rivelando alcune opere
ancora inedite. L’attenzione di chi scrive si concentrerà, quindi, sulla tavola collocata
in calce alla Venetia Aflita di Marco Boschini. Si tratta, come vedremo, di un’opera già
ampiamente descritta ma finora mai proposta come parte del catalogo disegnativo zanchiano, nonché, nella sua globalità testuale, di una fonte letteraria imprescindibile per
un discorso che miri a pesare correttamente l’attività dell’artista atestino.
Il primo a menzionare un disegno per incisione del Zanchi fu – nei primi anni venti
del secolo scorso – Giannantonio Moschini. Nel suo volume intitolato Dell’incisione a
Venezia9 egli ricorda, infatti, la tavola collocata in antiporta a La genealogia de’ dominii
di Camillo Contarini10, realizzata da Elisabetta Piccini (o meglio suor Isabella Piccini) su
invenzione del nostro (Antonius Zanchus Inventor – Suor Isabella Piccini scolpì).
Una sola opera è proposta anche da Wart Arslan in un articolo del 193811 dedicato
ad alcuni dipinti delle collezioni del Museo di Bolzano. Parliamo della testata premessa
al libretto del dramma per musica Il Medoro di Aurelio Aureli12 (Antonio Zanchi F. –
Picino sculpsit Venetys 1657), andato in scena al Teatro dei Santi Giovanni e Paolo di
Venezia negli anni cinquanta del Seicento. «Se non fosse la firma dello Zanchi», scrive
l’Arslan, «il disegno si direbbe del Ruschi. Unite in una composizione di un veronesimo
stipato, verticale, che ricorda appunto la maniera del romano, vediamo una Fama che
dà fiato alla tromba sovrastare a una Fortuna ignuda sospesa sulla ruota, alla quale una
di Giovan Francesco Loredan, Venezia (1630-1661), Firenze 1998. Per un breve profilo biografico dei tre
maestri si rimanda alle voci Petrelli Giacomo, Ponzone Matteo e Ruschi Francesco contenute nel Dizionario
Biografico degli Artisti, in appendice a La pittura nel Veneto, cit. (vedi nota 5), II, rispettivamente alle pp.
861, 863 e 872. Un illuminante sguardo sulla funzione dei frontespizi e delle antiporte quali veicoli di esplicitazione dei contenuti dei testi attraverso la forza allusiva e didattica dell’immagini, è invece offerto da F.
Cocchiara, Il libro illustrato veneziano del Seicento. Con un repertorio dei principali incisori e peintre-graveurs, Saonara 2010; G. Palumbo, Le porte della storia. L’età moderna attraverso antiporte e frontespizi
figurati, Roma 2012.
8 P. Scarpa, Pietro Liberi e Antonio Zanchi. Invenzioni per incisioni, “Arte. Documento. Rivista e collezione di storia e tutela dei beni culturali”, 12, 1998, pp. 100-109.
9 G. Moschini, Dell’incisione a Venezia. Memoria, s.d. [ante 1830], pubblicata a cura della Regia Accademia di Belle Arti di Venezia, Venezia 1924, p. 51.
10 C. Contarini, La genealogia de dominii instituzione politica consacrata all’Eminentissimo, e Reverendissimo Signore Giovanni cardinale Delfino, Amsterdamo, ad istanza di Girolamo Albrizzi, 1693.
11 W. Arslan, Nuovi dipinti nel Museo dell’Alto Adige, “Archivio per l’Alto Adige”, XXXIII/17, 1938,
p. 677.
12 A. Aureli, Il Medoro, Venezia, presso Francesco Nicolini, 1658.
172 milena bortone
vecchia laida vista dal tergo tenta di strappare un panno (la Fama, la Verità, l’Invidia?)13».
Poche altre incisioni tratte dai suoi disegni sono offerte sul finire degli anni sessanta
da Alberto Riccoboni nel suo lungo saggio sul pittore14. In particolare, egli ricorda il
San Girolamo portato in cielo dagli Angeli (Ant. Zanchi Inve. – B. Thiboust Scul), La
distribuzione delle leggi di governo del Museo Correr (Antonius Zanchus Inventor –
Suor Isabella Piccini Scolpì); il Ritratto di Giovanni Giuseppe Del Sole (Antonio Zanchi
Veneto, inciso da Ercole Lelli), e il Ritratto di Suor Maria Pudenziana Matilde (Ant.s
Zanchi Venet.s inv. et del. – M. Francia inc.)15. Lo studioso dimentica di inserire sia Il
Medoro sia La Genealogia, sebbene, paradossalmente, dell’ultima ne nomini l’autore.
Ma ancora più sorprendente è che Riccoboni – e con lui anche Pietro Scarpa – non
si accorga che la stampa conservata presso il Museo Correr16 come, appunto, La
distribuzione delle leggi di governo, è identica – fatte salve alcune note manoscritte ivi
presenti – a quella posta in apertura della Genealogia.
Vent’anni dopo, Pietro Zampetti17 aggiunge al catalogo dell’artista l’antiporta delle
Instruttioni militari di Alimari18 (Anton Zanchi Del. – Alessand. Dalla Via Scul: Venetia)
e quella della Historia delle guerre d’Europa di Nicola Berengani19 (Antonio Zanchi del.
– Alessandro Dalla Via Sculp) 20; dimostra poi che sia il Ritratto di Giovanni Giuseppe
Del Sole che quello di Suor Maria Pudenziana Matilde, attribuite a Zanchi da Riccoboni,
non sono del nostro, ma di quell’Antonio Zanchi “venetus” noto come allievo, appunto,
di Giuseppe del Sole, e autore – come mi sembra plausibile credere – anche della tavola
con Santa Margherita alla presenza di Gesù Cristo e della Madonna (Ant.s Zanchi Venet.s
[...] et del. – MFrancia inc.) conservata a Brescia21 e ad oggi attribuita all’atestino.
13 Arslan, Nuovi dipinti, cit. (vedi nota 11), p. 677.
14 Riccoboni, Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 6), p. 122.
15 Riccoboni cita inoltre due incisioni tratte da altrettanti dipinti del nostro: un Autoritratto (inciso dal
Pazzi) e un Angelo custode dell’umanità (M. Hartwangner sc. Monachi) dal dipinto del 1677 per la chiesa
dei Teatini di Monaco di Baviera. L’autore prende poi un grave abbaglio inserendo in questo elenco anche Il
Mondo nelle sue 4 parti con figure, vesti e bestie convenienti a ciascuna di quelle (incisioni di Wagner) scambiando per Zanchi Francesco Zucchi (1692-1764) e senza considerare l’ovvio divario cronologico (Scarpa,
Pietro Liberi e Antonio Zanchi, cit. [vedi nota 8], p. 107).
16 Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr di Venezia (coll. VOL. ST.E 34/10).
17 Zampetti, Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 6), pp. 595-596.
18 D. Alimari, Instruttioni militari appropriate all’uso moderno di guerreggiare. Opera nuova utile, e
necessaria a Professori dell’Onorata Disciplina della Militia, Norimberga, a spese dell’autore et ad Istanza
di Girolamo Albrizzi, 1692.
19 N. Berengani, Historia delle guerre d’Europa dalla comparsa dell’armi ottomane nell’Hungheria,
Venetia, appresso Bonifacio Ciera, 1698.
20 Riprendendo l’elenco offerto da Riccoboni, Pietro Zampetti ricorda anche il Ritratto dell’artista
contenuto ne La Galleria di Minerva (Venezia 1697). Non sappiamo se l’incisione fu eseguita su disegno
del Zanchi; risulta solo il nome dell’incisore Alessandro Dalla Via (cfr. Zampetti, Antonio Zanchi, cit. [vedi
nota 6], p. 596).
21 Gabinetto dei disegni e delle stampe dei Musei Civici di Brescia (Inventario: 3237).
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 173
Nel 1990 Bernard Aikema, nel suo volume dedicato a Pietro della Vecchia22, individua
altre sette incisioni premesse ad altrettanti libretti per opera23, eseguite tra il 1656 e il
1669, dunque nei primi anni di attività del Zanchi.
Riprendendo tutte le opere fin qui citate, Pietro Scarpa24 inserisce nel corpus zanchiano anche il frontespizio dei due celebri volumi intitolati Simboli predicabili di
Carlo Labia25 (Cavaliere26 Antonio Zanchi delineò – Suor Isabella Piccini Scolpì),
incisione questa – ad onor del vero – già segnalata da Mario Praz nel secondo volume
dei suoi Studies in Seventeenth-century imagery27. Scarpa attribuisce poi al pittore
atestino alcuni degli eleganti ritratti allegorici che illustrano l’Aquila romana di Giovanni Palazzi28, opera stampata «con lusso non ordinario», come evidenzia il Nuovo
dizionario istorico29. Dettaglio non di poco conto è, però, che nessuna delle bellissime
illustrazioni che si ascrivono a Zanchi porta il nome dell’incisore, «quasi si trattasse»,
spiega Scarpa, «di ordinazioni slegate l’una dall’altra, che ricevono un nesso logico e
di coesione solo al loro ritorno presso il committente»30.
Il nuovo millennio si apre con le ricerche di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo31 ai
quali si deve l’individuazione di altre quattro tavole: l’Eurimene di Giacomo Castoreo32
22 B. Aikema, Pietro della Vecchia and the heritage of the Renaissance in Venice, Firenze 1990, p. 84.
23 I libretti sono: G.F. Busenello, La Statira principessa di Persia, Venezia, appresso Andrea Giuliani,
1655 (Ant. Zanch. In.); G.F. Busenello, Gli Amori d’Apollo e di Dafne, in Delle hore ociose, Venezia, appresso Andrea Giuliani, 1656 (Antonio Zanchi inventor – Picino f.); N. Minato, Artemisia, Venetia, appresso
Andrea Giuliani, 1656 (Antonius Zanchi In. – Picinus f.); N. Miniato, Elena, Venetia, appresso Andrea
Giuliani, 1659 (A. Zan. – Sic Pici. f.); N. Minato, Pompeo Magno, Venetia, presso Francesco Nicolini in
Spadaria, 1666 (Antonio Zanchi In. – E P.F); G.A. Apolloni, L’Argia, Venetia, appresso Francesco Nicolini,
1669 (Ant.o Zanchi In. – A Bosio); N. Berengani, Il Genserico, Venetia, appresso Francesco Nicolini, 1669
(Ant.o Bosio fe. – Ant.o Zanchi Inv.). Per una ricognizione completa delle antiporte contenute nei libretti per
musica editi a Venezia tra il 1637 e il 1719, si veda S. Bracca, L’occhio e l’orecchio. Immagini per il dramma
per musica nella Venezia del ‘600, Treviso 2014.
24 Scarpa, Pietro Liberi e Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 8), pp. 100-109.
25 C. Labia, Simboli predicabili estratti da sacri Evangeli che corrono nella Quadragesima, delineati
con morali, e eruditi Discorsi, Ferrara 1692; C. Labia, Simboli predicabili estratti da’ sacri Evangeli, che
corrono nelle Domeniche di tutto l’Anno, delineati con morali, e eruditi Discorsi, Venezia, presso Nicolò
Pezzana, 1696.
26 Non sono note altre opere o documenti in cui il pittore venga così definito, né sembra noto quand’egli abbia ricevuto quest’onorificenza, né tantomeno a quale Ordine si riferisca (Scarpa, Pietro Liberi e Antonio Zanchi, cit. [vedi nota 8], p. 101).
27 M. Praz, Studies in seventeenth-century imagery. A bibliography of emblem books, London 1947,
p. 91.
28 G. Palazzi, Aquila Romana overo monarchia occidentale da Carlo Magno d’Occidente Imperador
Primo sino alla coronatione del Glorioso Leopoldo Primo, Venezia, a spese dell’autore, 1679.
29 Nuovo dizionario istorico ovvero Istoria in compendio di tutti gli Uomini, che si sono renduti celebri
per talenti, virtù, sceleratezze, errori, fatti insigni, scritti pubblicati, ec. Dal principio del mondo sino a nostri
giorni. Composto da una società di letterati in Francia. Tradotto per la prima volta in italiano, XIV, Napoli,
per Vincenzo Flauto, 1793, alla voce Palazzi (Monsig. Giovanni).
30 Scarpa, Pietro Liberi e Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 8), p. 101.
31 Favilla, Rugolo, Un tenebroso all’opera, cit. (vedi nota 6).
32 G. Castoreo, Eurimene, Venetia, appresso Gio. Battista Sorian, 1652.
174 milena bortone
(Ant.o Zanchi In – A Bosio) – edita nel 1652, ma oggi ritenuta frutto di un’interpolazione collezionistica33 –, l’Antigona delusa d’Alceste di Aurelio Aureli34 (1660), le
Favole Heroiche di Nicolò Salengio35 (A. Zanchi in. – L. David sc. 1666) – traduzione
italiana delle Fables heroiques di Audin36, priore di Termes e de la Faye – e L’Heraclio
di Nicola Berengani37 del 1671. Gli stessi ricordano poi, l’Apio Claudio (1683)38, il
Vitige (1686) e l’Almira (1691); in tal caso, però, i drammi contengono incisioni già
utilizzate in precedenza39. Strano appare, invece, il caso de L’Euridamante di Giacomo Dall’Angelo40, dato alle stampe nel 1654 per i tipi di Pietro Pinelli. Gli autori
della scoperta specificano che anche l’antiporta di questo libretto riprende, con piccoli
ritocchi, quella dell’Eurimene, e sottolineano come «l’iscrizione in basso a sinistra al di
sopra delle firme degli autori sia stata modificata intervenendo maldestramente sulla
vecchia lastra con un risultato di confusa sovrapposizione»41. Non è dato sapere quale
esemplare essi abbiano consultato, tuttavia nella copia conservata presso la Biblioteca
33 Cfr. S. Minuzzi, Il secolo di carta. Antonio Bosio artigiano di testi e immagini nella Venezia del Seicento, Milano 2009, pp. 90-91. L’esemplare custodito presso la Biblioteca Braidense di Milano è l’unico ad
avere questa immagine che Minuzzi crede sia stata ideata diciassette anni dopo per L’Argia di Filippo Apolloni (1669). La stessa incisione compare, comunque, anche nell’Apio Claudio di Adriano Morselli (Venetia,
per Francesco Nicolini) dove, però, l’iscrizione «GRATIS | DATA», in basso a sinistra, è maldestramente
trasformata in «OMNIA | DESUPER»). Il riutilizzo delle antiporte sembra, in effetti, molto frequente: l’illustrazione premessa al già citato Pompeo Magno di Nicolò Miniato (1666), ad esempio, si ritrova pure ne
L’Antigona delusa d’Alceste di Aurelio Aureli (Venetia, per il Nicolini, 1670; mentre nell’edizione del 1660 è
nuova) e ne L’Almira di Giulio Pancieri (Venetia, per Girolamo Albrizzi, 1691) dove la parola «FIUSTRA»,
nell’iscrizione in alto a destra, viene corretta con «FRUSTRA». Lo stesso avviene nel Vitige di Ercole Bonacossi (Ferrara, per l’erede del Giglio, 1686) che contiene una tavola identica a quella de Il Genserico (1669).
34 A. Aureli, L’Antigona delusa d’Alceste, Venetia, appresso Giacomo Batti in Frezz., 1660. La paternità
di questa antiporta è ancora controversa. Gli esemplari da me consultati, ossia quello conservato presso la
Biblioteca di Casa Goldoni a Venezia (coll. LIBRETTI SS. Gio. e Paolo 32) e quello custodito nella Biblioteca Braidense di Milano (coll. RACC.DRAM.0824), non sono firmati. In ogni caso, come visto nella nota
precedente, nell’edizione Nicolini del 1670 la composizione originale scompare per lasciar posto alla tavola
zanchiana del Pompeo Magno.
35 Favole heroiche contenenti le vere massime della politica, et della morale Rappresentate con molte
Figure in Stampa di Rame, insieme con le Moralità, Discorsi, & Historie sopra ciascheduna Favola. Per M.
Audin priore de Termes, & de la Fage. Trasportate dal francese da Nicolò Salengio, 2 voll., Venetia, presso
Gio. Giacomo Hertz, 1667-1668.
36 Audin, Fables heroiques, comprenans les veritables maximes de la politique et de la morale. Representées par plusieurs figures en taille-douce [...] Par M. Audin [...], 2 voll., Paris, en la boutique de l’Angelier;
chez Iean Guignard Pere [...], 1660.
37 N. Berengan, L’Heraclio, Venetia, per Francesco Nicolini, 1671. Anche in questo caso la tavola non è
firmata, ma stringenti appaiono, secondo Favilla e Rugolo, le affinità stilistiche con l’opera di Zanchi, specie
con la tavola dell’Eurimene (cfr. Favilla, Rugolo, Un tenebroso all’opera, cit. [vedi nota 6], p. 74 nota 110).
L’immagine è stata pubblicata anche da F. Mancini, M.T. Muraro, E. Povoledo, I Teatri del Veneto. Indici,
Venezia 2000, p. 46.
38 Precedentemente segnalato da G. Morelli, Il filo di Poppea. Il soggetto antico-romano nell’Opera
veneziana del Seicento. Osservazioni, in Venezia e la Roma dei Papi, Milano 1987, p. 246; G. Morelli, La
Musica, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima. La Venezia barocca, a cura di G.
Benzoni, G. Cozzi, Roma 1997, fig. 5.
39 Vedi nota 34.
40 G. Dall’Angelo, L’Euridamante, Venetia, appresso Gio. Pietro Pinelli, 1654.
41 Cfr. Favilla, Rugolo, Un tenebroso all’opera, cit. (vedi nota 6), pp. 65 e 74.
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 175
Braidense di Milano42, la tavola in calce (firmata in basso a destra Picini F.) appare
nuova e del tutto diversa da quella presente negli altri drammi citati.
Il contributo più recente sull’argomento è quello di Francesca Cocchiara43, che
incrementa il repertorio zanchiano con una serie di invenzioni, firmate e senza problemi
attributivi. La più antica tra queste è quella premessa al volume di Tito Livio Historiarum ab urbe condita44 (Picini Sculpsit – Anto. Zanchi in.), nell’edizione ottenuta
a Venezia per il Brogiollo nel 1659. Seguono il bellissimo frontespizio figurato della
Scuola di vera sapienza del domenicano Giacinto Maria Granara45 (Anto. Zanchi In.
– Elisabeta piccini Scul.), con la rappresentazione del celebre Discorso della montagna
e, in basso a sinistra, quello che potrebbe essere il ritratto dell’autore, l’illustrazione in
apertura alle Disputationes theologicae di Pedro de Godoy46 (Soror Isabella Piccina, S.
Crucis Venetiarum Sculps – A Zan. in) e il ritratto di Johann Hartmann (Io. Antonius
Zoncha delineavit – Elisabeth Piccini sculpsit) contenuto nella sua Anthropologia
physico-medico-anatomica47, edita a Venezia presso i torchi di Giovan Battista Tramontin nel 1696.
Tra le opere svelate da Cocchiara si fa notare, per bellezza e dimensioni (473 x
337 mm), la tavola annessa al testo Philosophia quadripartita di Giuseppe Girolamo
Semenzi48 (Antonio Zanchi delin. – Alessandro Dalla Via sculp. Venetia) (fig. 1), in 4°,
pubblicato nel 1693. La stampa, di eccellente fattura, raffigura nella parte alta, in un
ovale, l’effigie di Giorgio Corner (Venezia, 1 agosto 1658-Padova, 10 agosto 1722)
– dedicatario del libro e, all’epoca, arcivescovo titolare di Rodi nonché assistente al
soglio pontificio, come ricordato nel frontespizio e nella lettera di dedica – circondata
da alcune figure angeliche; di queste, due reggono i simboli papali della mitra e della
chiave, una stringe il galero arcivescovile e una quarta suona la tromba al di sopra
della quale si apre un cartiglio contenente due versi tratti dall’Eneide virgiliana: «IN
TE ORA LATINI IN TE OCULOS REFERUNT. Virg. Ross. XII»49. La parte bassa,
42 Biblioteca Braidense di Milano, coll. RACC.DRAM.0572.
43 Cocchiara, Il libro illustrato veneziano, cit. (vedi nota 7), pp. 100-104, 209-210.
44 T. Livio, Historiarum ab Urbe condita, tomus primus, Venetijs, apud Franciscum Brogiollum, 1659.
45 G.M. Granara, Scuola di vera sapienza. Discorsi morali del P.M. Granara inquisitore di Mantova,
dalla prima domenica dell’Avvento, sino al giorno santissimo di Ressurezzione, Venezia, presso Gio. Pietro
Brigonci, 1665.
46 P. De Godoy, Disputationes theologicae, Veneetis, apud Ioannem Iacobum Hertz, 1686.
47 J. Hartmann, Anthropologia physico-medico-anatomica Ioannis Hartmanni, olim in Veneto Athenaeo publici professoris anatomes [...] Opus non inutile, maxime medicinam exercentibus cum indice rerum
notabilium, quae pertractantur, Venetiis, typis Ioannis Baptistae Tramontini, 1696.
48 G.G. Semenzi, Philosophia quadripartita seu Assertiones selectae ex logica physica, metaphysica, &
morali, quas ex Academia Veneta Societatis Jesù sub faustissimis auspiciis Illustrissimi, ac Reverendissimi
D.D. Georgii Cornelii Pontificii apud Lusitanum Regem Legati, et Archiepiscopi Rhodinensis, publicè propugnandas exhibet Joseph Sementjus patritjus venetus, Venetiis, ex typographia Hieronymi Albritii, 1693.
49 Si tratta dei versi 656 e 657 del XII libro dell’Eneide.
176 milena bortone
invece, è occupata da una ricca allegoria della Chiesa trionfante sui vizi, accanto
alla quale è collocato lo stemma della famiglia Corner. Alquanto interessante è stato
reperire nelle raccolte del Museo Correr una tavola identica a quella appena descritta
(fig. 2), verosimilmente strappata al volume per il quale era stata concepita ed oggi
erroneamente catalogata come Ritratto del Cardinale Giorgio Corner con allegoria50:
carica, quella cardinalizia, che fu concessa all’illustre patrizio veneziano solo nel 1697,
dunque quattro anni dopo la realizzazione del disegno zanchiano51.
In coda all’elenco delle illustrazioni ascrivibili alla mano di Antonio Zanchi, Francesca Cocchiara inserisce anche una “tavola” del Psalterium Romanum (Venezia, Pezzana,
1705) e la marca tipografica del Graduale Romanum (Venezia, Baglioni, 1712). Cita,
poi, un Antiphonarium Romanum del 1746 «da lui illustrato» nel quale si può riscontrare il riuso di un rame zanchiano52. Sfortunatamente, la studiosa non offre ulteriori
delucidazioni in merito; ritengo, tuttavia, che tutti e tre i casi possano essere ricondotti
alle due marche tipografiche, l’una con giglio (fig. 3) l’altra con aquila bicefala (fig. 4),
che il nostro disegnò – e Isabella Piccini incise – rispettivamente per gli editori Nicola
Pezzana e Paolo Baglioni. Come si può facilmente intuire, individuare la prima opera
contenente una data marca calcografica – cosa questa che ci permetterebbe una datazione sicura della stessa – non è cosa facile; dalle ricerche effettuate risulta, comunque,
che la marca con giglio del Pezzana (Suor Isabella P. F. – Zanchi In.) compaia per la
prima volta nel 1701, ed esattamente in un Graduale53 e in un Antiphonarium54, mentre
quella di Baglioni, con aquila bicefala coronata e iniziali dell’editore (Zanchi In. – Suor
Isabella Piccini Scl.), si rintracci già in un Graduale55 del 1690. Da quel momento in
poi entrambe le marche vengono continuamente riutilizzate, almeno fino alla seconda
metà del Settecento.
50 Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr di Venezia, Raccolta Ecclesiastici Veneziani n.
298. L’errore del catalogatore è giustificato dal fatto che in questo esemplare lo zucchetto indossato da Corner è stato colorato di porpora. Del libro, cui l’allegoria appartiene, mi sono note solo due copie: una alla
Biblioteca Casanatense di Roma (coll. VOL MISC.2128 10) e una presso la Biblioteca Marciana di Venezia
(coll. MISC 2846.016), quest’ultima “casualmente” mutila della tavola illustrata.
51 Giorgio Corner fu creato cardinale da papa Innocenzo XII il 22 luglio 1697. Per la biografia completa dell’illustre ecclesiastico veneziano si veda P. Preto, ad vocem Corner, Giorgio, in Dizionario biografico
degli italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 222-223.
52 Cfr. Cocchiara, Il libro illustrato veneziano, cit. (vedi nota 7), pp. 154 e 210.
53 Graduale romanum de tempore, et sanctis: ad normam Missalis ex decreto sacrosancti Concilii Tridentini Restituti, B. PII V, Pontificis Maximi jussu editi, Clementis VIII, ac Urbani VIII […], presso Nicola
Pezzana, Venezia 1701. Del testo (non catalogato in opac SBN per quest’edizione) vedo un esemplare in
vendita presso la libreria antiquaria “Biblioteca di Babele” di Tarquinia (Viterbo).
54 Antiphonarium romanum de tempore et sanctis, ad norman Breviarii ex decreto sacrosancti Concilii
Tridentini restituti, B. Pii V. Pontificis Maximi jussu editi, Clementis VIII. ac Urbani VIII. […], Venetiis, apud
Nicolaum Pezzana, 1701.
55 Graduale romanum de tempore et sanctis ad normam Missalis ex decreto sacrosancti Concilij Tridentini restituti, B. Pii V. Pontificis Maximi iussu editi, Clementis VIII. ac Urbani VIII […], Venetiis, sumptibus Pauli Balleonij, 1690.
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 177
Dalle numerose stampe fin qui citate, risulta evidente il ruolo assolutamente centrale
– e per nulla irrilevante rispetto a quello pittorico – che l’attività disegnativa destinata
all’incisione ebbe nella lunga carriera artistica di Zanchi, ruolo che richiede una necessaria riconsiderazione, soprattutto in virtù delle stampe che continuano a rivelarsi. Mi
riferisco, per esempio, all’antiporta degli Schiribizzi del genio di Giulio Cesare Bona56
(Antonio Zanchi inventor – J. Dolcetta) (fig. 5), pubblicati a Venezia nel 1657 presso
Andrea Giuliani, o alle cinque tavole che arricchiscono, già a partire dal frontespizio,
l’Officium Beatae Mariae Virginis57 del 1694 (figg. 6-10), una delle quali – la Crocifissione – viene recuperata e riutilizzata nel 1763 dall’editore Giovanni Manfrè in
apertura di un Rituale Romanum58.
Un’altra testimonianza significativa dell’impegno di Antonio Zanchi come peintre-graveur si può ammirare in un rarissimo poemetto di Marco Boschini59, intitolato
Venetia aflita per la morte del Prencipe Almerigo d’Este. Lagreme destilae da la pena
de Marco Boschini al Altezza Serenissima de Alfonso IV Duca de Modena60 ed edito nel
1661, ad appena un anno di distanza dalla pubblicazione del capolavoro che avrebbe
consacrato l’autore a fama imperitura, La Carta del navegar pitoresco61. Si tratta di
un testo in rima62, dedicato al duca di Modena Alfonso IV Este (Modena, 14 ottobre
1634-Modena, 16 luglio 1662) e volto alla celebrazione del fratello Almerigo (Modena,
8 maggio 1641-Paros (Grecia), 14 novembre 1660), morto – neppure ventenne – il
56 G.C. Bona, Schiribizzi del genio, overo Passatempi retorici con una Lettera iocosa d’amante spropositato. Del conu. Giulio Cesare Bona accademico instancabile, Venezia, per il Giuliani, 1657.
57 Officium Beatae Mariae Virginis, B. Pii. V. Pontificis Max. jussu editum, et Urbani Papae VIII. Auctoritate recognitum, Patavii, ex typographia Seminarij, opera Joannes Cagnolini, 1694.
58 Rituale Romanum Pauli 5. pontificis maximi jussu editum; nunc vero a sanctissimo domino nostro
Benedicto 14. auctum, & castigatum […], Venetiis, curis Seminarii Patavini, apud Johannem Manfre, 1763.
Già Cocchiara segnalava il riuso del rame con la Crocifissione da parte del Manfrè. Non individuava, però,
il testo per il quale era stato in origine realizzato (cfr. Cocchiara, Il libro illustrato veneziano, cit. [vedi nota
7], p. 154.
59 Per una visione globale sull’operato artistico e critico-letterario dell’autore, si rimanda a Marco
Boschini, cit. (vedi nota 2).
60 M. Boschini, Venetia aflita per la morte del Prencipe Almerigo d’Este. Lagreme destilae da la pena
de Marco Boschini, al Altezza Serenissima de Alfonso IV Duca de Modena, Venezia, per il Valvasense, 1661.
Del poemetto vedo l’esemplare posseduto dalla Biblioteca Estense Universitaria di Modena (coll. 89.P.13) e
già descritto nell’illuminante saggio di M. Capucci, Due poemetti estensi di Marco Boschini, “Studi Secenteschi”, 32, 1991, p. 213-219. Per la traduzione del testo dal veneziano e un’analisi critico-descrittiva si veda,
invece, M. Bortone, La Venetia Aflita e Il Funeral. Due Poemetti Estensi Di Marco Boschini, Tesi di Laurea,
Università del Salento, a.a. 2014-2015, pp. 10-93. La storia del principe estense è stata recentemente oggetto
della ricerca di R. Iotti, Almerico: l’eroe di Casa D’Este (1641-1660). Storia del principe guerriero che si
batté contro il Turco per la gloria del proprio sangue e della fede cattolica, Modena 2017.
61 M. Boschini, La Carta, cit. (vedi nota 5). Per un’adeguata comprensione dell’opera, ritenuta la più
importante del Boschini, nonché uno dei testi più originali della letteratura veneziana, imprescindibile è oggi
l’edizione critica curata da Anna Pallucchini, cui si rimanda (M. Boschini, La Carta del navegar pitoresco,
edizione critica con la Breve Instruzione premessa alle Ricche Miniere della Pittura Veneziana, a cura di A.
Pallucchini, Venezia-Roma 1966).
62 Si compone di 174 quartine di endecasillabi in rima incrociata.
178 milena bortone
16 novembre 1660 nel porto di Paros, in seguito ad una febbre perniciosa contratta
mentre era impegnato contro i turchi nella Guerra di Candia. L’opera, prova materiale dell’intenso legame che univa i duchi di Modena a Boschini, “senser” di quadri
estense a Venezia sin dal ducato di Francesco I (Modena, 6 settembre 1610-Santhià,
14 ottobre 1658)63, assume uno straordinario valore documentario dal momento che
le testimonianze sui rapporti tra lo stesso e gli Este sono veramente poche, eccezion
fatta per un altro componimento – il Funeral fato da la pitura venetiana64, scritto dallo
stesso Boschini in onore di Alfonso IV – e per qualche lettera65.
L’epicedio, che si configura come la piena attuazione del motto oraziano dell’ut
pictura poësis, si apre con il dolore di Venezia, distrutta dall’improvvisa perdita di un
così «bel sol», della sua «fida tramontana» nella cui spada fondava ogni speranza di
recuperare il Regno di Candia, oppresso dagli Infedeli. L’Eroe, delineato dall’autore
come l’emblema del coraggio e della fede, è compianto da Venezia in persona, la quale,
lungi dal voler permettere alla Morte di avere il sopravvento, decide di organizzare
all’estense un degno funerale a perpetua memoria. Il risultato è una vera e propria
scenografia funebre, rappresentata, per una maggiore comprensibilità, in un’incisione
collocata in antiporta66 (fig.11), realizzata dallo stesso Boschini su disegno di Antonio
Zanchi.
Che l’incisione sia frutto della collaborazione tra i due è lo stesso autore a dirlo
nella quart’ultima quartina: «In tanto el to’ discorso sia stampà, / El Funeral sia
messo pontualmente / In dessegno dal Zanchi; che è valente, / E dal Boschini al’Aqua
el sia ingià»67.
63 Principe illuminato e colto collezionista, il duca, mosso dalla volontà di restituire lustro ad un casato
depredato di parte dei suoi domini e appannato in prestigio, si era spesso rivolto al “senser” veneziano per
arricchire la sua collezione, sentita ora più che mai come un mezzo fondamentale per glorificare la propria
casa. Per una disamina sugli interessi collezionistici degli Este nel Seicento si vedano: La pittura veneta negli
stati estensi, a cura di J. Bentini, S. Marinelli, A. Mazza, Modena 1996; Sovrane passioni: le raccolte d’arte
della Ducale Galleria Estense, catalogo della mostra (Galleria Estense, Palazzo dei Musei, Modena, 3 ottobre-13 dicembre 1998), a cura di J. Bentini, Milano 1998; Il Principe e le cose. Studi sulla corte estense e le
arti nel Seicento, a cura di S. Cavicchioli, Bologna 2010; La corte estense nel primo Seicento. Diplomazia e
mecenatismo artistico, a cura di E. Fumagalli, G. Signorotto, Roma 2012; Modena barocca. Opere e artisti
alla corte di Francesco I d’Este (1629-1658), a cura di S. Casciu, S. Cavicchioli, E. Fumagalli, Firenze 2013.
64 M. Boschini, Funeral fato da la pitura venetiana per el passazo dala terena a la Celeste Vita del Serenissimo de Modena Alfonso el Quarto, Venetia, per Francesco Valvasense, 1663. Per quanto concerne questo
testo boschiniano, si rimanda a Capucci, Due poemetti estensi, cit. (vedi nota 60); F. Cocchiara, Boschini
incisore, in Marco Boschini, cit. (vedi nota 2), pp. 269-270; Bortone, La Venetia Aflita e Il Funeral, cit. (vedi
nota 60), pp. 94-213; nonché a M. Rossi, Il modello della “galleria” nella letteratura artistica veneta del
XVII secolo, in Il collezionismo d’arte a Venezia, cit. (vedi nota 2), p. 176; S. Domeniconi, Il Funeral fato
da la Pitura veneziana di Marco Boschini. Un poemetto in onore del principe collezionista, in Il Principe e
le cose, cit. (vedi nota 63), pp. 65-73.
65 Cfr. Capucci, Due poemetti estensi, cit. (vedi nota 60), p. 213.
66 Nella copia presente presso la Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza (coll. C.C.2.5.7.N.14) la tavola
si trova in chiusura del libro.
67 Boschini, Venetia aflita, cit. (vedi nota 60), p. 48.
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 179
Meraviglia, a tal proposito, come Cocchiara, pur fornendo in un recente contributo
una descrizione dettagliata della tavola68, comprensibile – come lei stessa sottolinea –
solo mediante una lettura attenta delle rime, non noti il nome dell’artista atestino che
Boschini non manca di porre in assoluto rilievo, proprio lì, al centro del verso, e finisca
così con l’attribuire sia il progetto iconografico sia l’esecuzione materiale dell’incisione
alla sola mano del veneziano.
In questa invenzione, già impregnata di quei caratteri che diverranno tipici della
pittura zanchiana (vigorosità dei torsi maschili, plasticità dei nudi visti di scorcio o di
schiena e morbidezza dei panneggi gonfiati dalle pieghe), l’artista concatena e lega le sue
figure onde formare blocchi compatti, a loro volta collegati ad altri e gioca sugli effetti di
luce per dar vigore alle masse, ma distribuisce le chiazze luminose in alterno predominio
con le zone d’ombra, onde mantenere sempre viva la concitazione. L’effetto d’insieme è
straordinariamente barocco e incredibilmente vicino a quello offerto dalla Fontana dei
Quattro Fiumi (1648-1651) di Gian Lorenzo Bernini, non solo per le forme monumentali,
frutto della perfetta fusione tra architettura e scultura, ma anche per la composizione
che mette in mostra un vero e proprio artificio nella corrispondenza tra l’imponente
obelisco69 e il sottostante vuoto creato dall’arco. Berniniano è anche il motivo della rupe
che sostiene l’obelisco, nonché quel continuo piegarsi e flettersi delle teste delle figure.
Abbiamo a che fare, dunque, con un’opera di straordinaria importanza giacché
rappresenta non solo uno dei primi esempi di invenzione per incisioni del Zanchi di cui
ci resta testimonianza materiale, ma anche una prova del fatto che egli fosse già ampiamente conosciuto all’interno del panorama artistico veneziano ancor prima che le sue
qualità pittoriche si rivelassero in tutta la loro grandiosità. E non è tutto. Eccezionale
importanza riveste, infatti, anche il testo della Venetia aflita, che si configura, probabilmente, come il primo documento a stampa in cui ci imbattiamo nel nome del pittore.
68 «La grande tavola ripiegata in calce alla Venetia aflita, incisa all’acquaforte con rialzi a bulino (almeno nei raggi che inondano di luce la parte superiore), reca una complessa figurazione simbolico-mitologica,
che si spiega solo attraverso un’attenta lettura delle quartine in rima: Boschini immagina di affidare a Venezia, assisa tra le nubi a sinistra, l’organizzazione del funerale e a Mercurio, inginocchiato a destra, la stesura
dell’orazione; al centro, Ercole sorregge un obelisco che sconfina nel cielo, ove siedono Giove e un nugolo
di figure che esibiscono delle Palme, sulle quali svetta la Fama/Vittoria. Più in basso, l’aquila estense fa da
“Scudo al Monte, Vera Fenice, che da la Natura Nasce immortal, purgada, bianca e pura. E porta la corona
in mezo al fronte”; in primo piano v’è un tripudio di divinità marine, capeggiate da Nettuno, mentre sullo
sfondo, dietro l’arco roccioso, volteggia tra le onde un veliero, che se da un lato esalta la potenza marittima
della Serenissima, minacciata dal nemico Turco, dall’altro pare rimembrare la “Nave venetiana” che “vien
conduta in l’alto Mar da la Pitura”, tanto decantata nella Carta» (Cocchiara, Boschini Incisore, cit. [vedi
nota 64], pp. 269-270. Si veda anche l’Appendice III del medesimo volume, p. 443).
69 In ambito veneziano, il motivo dell’obelisco è reperibile nel monumento funebre di un altro eroe di
Candia, il capitano Alvise Mocenigo (Venezia, 20 marzo 1583 – Venezia, 2 dicembre 1654), il cui imponente
mausoleo – comprendente, per l’appunto, anche due obelischi marmorei – fu eretto, a partire dal 1657, nella
controfacciata della chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti, su progetto dell’architetto Giuseppe Sardi (cfr.
L. Borean, Il monumento Mocenigo in San Lazzaro dei Mendicanti, “Arte Veneta”, 52, 1998, pp. 54-69).
180 milena bortone
Stando al Riccoboni, la prima volta in cui compare il nome di Zanchi in un testo
stampato è nella raccolta di versi Il Tempo perduto di Sebastiano Mazzoni70 del 1661,
nel quale il poeta si rivolge all’atestino chiamandolo «pittor celeberrimo». Due anni
dopo «Antonio Zanchi da Este, che con gran studio si và vicinando al primo posto»
apre il Catalogo de gli pittori di nome che al presente vivono in Venetia posto in coda
al volume Venetia città nobilissima di Sansovino71, nell’edizione ottenuta nel 1663.
Tuttavia, nelle dettagliate aggiunte di Giustiniano Martinioni non si fa alcun cenno né
a lui né tantomeno alle sue opere. Queste cominciano ad essere segnalate solo nel 1664,
nelle preziose Minere della Pittura di Boschini72, mentre lo stesso autore, stranamente,
non aveva fatto parola dell’artista nella sua Carta del navegar pitoresco, stampata
pochissimi anni prima73. La profonda stima e l’ammirazione sincera che il Boschini
nutriva nei confronti del pittore – nonostante questo potesse indubbiamente ritenersi il
maggiore esponente lagunare della poetica dei “tenebrosi” – emergono in tutta la loro
evidenza ne Le Ricche minere74. Qui il critico veneziano si abbandona all’entusiasmo
come quando, ricordando la Cena in casa del Fariseo che Zanchi doveva dipingere
70 S. Mazzoni, Il Tempo perduto. Scherzi sconcertati, Venezia, appresso Francesco Valvasense, 1661, p.
36: «Antonio Zanchi (Al Signor pittor celeberrimo) – Musa ben sai, che i rozi carmi nostri | benchè da lui
graditi, è premio lieve | a virtù chiara, oscurità d’inchiostri». A proposito di Mazzoni, è interessante ricordare la disputa tra il pittore toscano e Boschini che in quegli anni infiammava il clima artistico e letterario
lagunare. Sul piano critico, infatti, Sebastiano Mazzoni era probabilmente l’unico ad offrire un’alternativa
al pensiero boschiniano, proponendo il superamento del secolare dibattito sul primato del disegno o del
colore, a favore di un giudizio sulla mera qualità artistica, indipendentemente dal luogo natale dei pittori e
dai loro mezzi espressivi. Una tale contrapposizione teorica non poteva mancare di provocare atteggiamenti
a dir poco velenosi: se Boschini si guardava bene dal pronunciare una benché minima espressione di lode
nei confronti del valido pittore toscano, Mazzoni, da parte sua, si dilettava nel lanciare al rivale argute
frecciate a “suon di versi”, come quelle richiamate all’attenzione da Philip Sohm e Massimiliano Rossi, ai
quali rimando: P. Sohm, Pittoresco. Marco Boschini, his critics and their critiques of painterly brushwork in
seventeenth and eighteenth century Italy, Cambridge 1991; M. Rossi, La peinture guerrière: artistes et paladins dans le XVIIe siècle vénitien, in La Jérusalem délivrée” du Tasse. Poésie, peinture, musique, ballet, Actes
du colloque organisé au musée du Louvre par le Service culturel en collaboration avec l’Istituto italiano di
cultura de Paris (Parigi, 13-14 novembre 1996), sous la direction scientifique de G. Careri, Paris 1999, pp.
67-108; S. Mazzoni “La pittura guerriera” e altri versi sull’arte, introduzione di M. Rossi con un saggio di
M. Leone, Venezia 2008.
71 F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIII libri da M. Francesco Sansovino
[…] con aggiunte di tutte le cose notabili della stessa Città, fatte e occorse dall’anno 1580 fino al presente
1663 da Don Giustiniano Martinioni. Catalogo de gli pittori di nome che al presente vivono in Venetia,
Venetia, appresso Steffano Curti, 1663, p. 21.
72 M. Boschini, Le Minere della Pittura. Compendiosa informazione di Marco Boschini non solo delle
pitture publiche di Venezia: ma dell’Isole ancora circonvicine, Venezia, appresso Francesco Nicolini, 1664,
pp. 187, 329 e 331. Lo scrittore ricorda una «Natività di Christo» in Santa Maria Formosa, «un quadro di
Antonio Zanchi dove Christo và in Gierusaleme Trionfante, con gli Apostoli, opera molto studiosa» in Santa
Marta, e «li quadri che mancano per supplimento di quel soffitto» nella Chiesa delle Terese. Di queste opere
si conserva solo Il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, oggi a Padova nella basilica di Santa Giustina,
nella terza cappella a sinistra.
73 Cfr. Riccoboni, Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 6), p. 57.
74 M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana. Compendiosa informazione di Marco Boschini
non solo delle pitture publiche di Venezia: ma dell’isole ancora circonvicine, Venezia, appresso Francesco
Nicolini, 1674.
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 181
per il refettorio della Chiesa dei Servi, onde sostituire quella perduta del Veronese,
scrive che l’artista «cimenta il suo pennello» in un’opera che, per il solo fatto d’essergli
stata affidata, lo rende degno del titolo di «virtuoso tra viventi». Boschini non lesina
complimenti nemmeno alle altre opere, elogiandole di volta in volta come «di buon
carattere», «di buon gusto», «degne di lode», «esquisite», «molto ben concertate […]
con bellissime invenzioni pittoresche»75.
Da questo breve excursus è facile evincere come non si sia tenuto conto della
Venetia aflita, scritta certamente dopo la Carta, ma in un arco cronologico compreso
tra la morte del principe Almerigo (novembre 1660) e le sue esequie (febbraio 1661),
quindi in un intervallo di tempo precedente, se non contemporaneo, alla stesura dei
versi contenuti nel Tempo perduto di Mazzoni.
Possiamo ritenere, in conclusione, che al poemetto estense del Boschini debba essere
riconosciuto un ruolo centrale, non solo nella carriera critico-letteraria dell’autore – che
qui esibisce una eccezionale erudizione poetica, ai vertici della produzione ecfrastica di
gusto barocco – ma anche e soprattutto nelle vicende biografiche e artistiche di Antonio
Zanchi, che trovò, proprio in quest’occasione e proprio con un’invenzione destinata
all’incisione, il suo primo riconoscimento pubblico.
75 Cfr. Riccoboni, Antonio Zanchi, cit. (vedi nota 6), p. 86. In Venezia si teneva Zanchi in così grande
considerazione da porlo al di sopra di altri artisti, di cui oggi noi riconosciamo le eccellenti qualità. È interessante in proposito un altro passo de Le ricche minere dove è detto che una pala d’altare dipinta dal Mazzoni per San Luca, un’Annunciazione, era stata tolta, «ed in so loco posta un’altra Annunziata di Antonio
Zanchi: non si dice la causa, perché Veritas odium parit» (Ivi, p. 58. Per un approfondimento sulla posizione
del resto della critica nei confronti del nostro, si vedano le pp. 85-90).
182 milena bortone
1. Alessandro Dalla Via da Antonio Zanchi,
Antiporta, in Giuseppe Girolamo Semenzi, Philosophia quadripartita, presso l’ex tipografia di
Girolamo Albrizzi, Venezia 1693, Roma, Biblioteca Casanatense (coll. VOL MISC.2128 10)
2. Alessandro Dalla Via da Antonio Zanchi,
Ritratto del cardinale Giorgio Corner con
allegoria, Venezia, Gabinetto dei disegni e delle
stampe del Museo Correr, Raccolta Ecclesiastici Veneziani n. 298
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 183
3. Isabella Piccini da Antonio Zanchi, Marca tipografica, in Antiphonarium romanum de tempore et sanctis,
presso Nicola Pezzana, Venezia 1701
4. Isabella Piccini da Antonio Zanchi, Marca tipografica, in Graduale romanum de tempore et sanctis,
presso Paolo Baglioni, Venezia 1690
184 milena bortone
5. Jacopo Dolcetta da Antonio Zanchi, Antiporta, in Giulio Cesare Bona,
Schiribizzi del genio, overo Passatempi retorici con una Lettera iocosa
d’amante spropositato. Del conv. Giulio Cesare Bona accademico instancabile, presso il Giuliani: si vende da Giacomo Batti libraro in Frezzaria,
Venezia 1657, Venezia Mestre, Biblioteca Civica VEZ (coll. Antico FA
6M 47)
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 185
6. Damiano Graziani da Antonio Zanchi, Frontespizio con vignetta, in Officium Beatae Mariae
Virginis, B. Pii. V. Pontificis Max. jussu editum, et
Urbani Papae VIII. Auctoritate recognitum, presso
la Tipografia del Seminario, opera di Giovanni Cagnolini, Padova 1694, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio (coll. BIANCHI R.00 00092)
7. Damiano Graziani da Antonio Zanchi, Annunciazione, in Officium Beatae Mariae Virginis, B. Pii.
V. Pontificis Max. jussu editum, et Urbani Papae
VIII. Auctoritate recognitum, presso la Tipografia
del Seminario, opera di Giovanni Cagnolini, Padova 1694, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio
(coll. BIANCHI R.00 00092)
8. Damiano Graziani da Antonio Zanchi, Cristo
morto, in Officium Beatae Mariae Virginis, B. Pii.
V. Pontificis Max. jussu editum, et Urbani Papae
VIII. Auctoritate recognitum, presso la Tipografia
del Seminario, opera di Giovanni Cagnolini, Padova 1694, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio
(coll. BIANCHI R.00 00092)
186 milena bortone
9. Damiano Graziani da Antonio Zanchi, L’angelo
appare a re David, in Officium Beatae Mariae
Virginis, B. Pii. V. Pontificis Max. jussu editum,
et Urbani Papae VIII. Auctoritate recognitum,
presso la Tipografia del Seminario, opera di Giovanni Cagnolini, Padova 1694, Bologna, Biblioteca
dell’Archiginnasio (coll. BIANCHI R.00 00092)
10. Damiano Graziani da Antonio Zanchi, Crocifissione, in Officium Beatae Mariae Virginis, B. Pii.
V. Pontificis Max. jussu editum, et Urbani Papae
VIII. Auctoritate recognitum, presso la Tipografia
del Seminario, opera di Giovanni Cagnolini, Padova 1694, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio
(coll. BIANCHI R.00 00092)
11. Marco Boschini da Antonio Zanchi, Antiporta,
in Marco Boschini, Venetia aflita per la morte del
Prencipe Almerigo d’Este, presso Francesco Valvasense, Venezia 1661, Modena, Gallerie Estensi,
Biblioteca Estense Universitaria (coll. 89.P.13). Su
concessione del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni” 187
antonio zanchi e le sue “invenzioni per incisioni”.
il «dessegno» per la venetia aflita del boschini
Antonio Zanchi and his “inventions for engraving”.
The «dessegno» for Boschini’s Venetia Aflita
Milena Bortone
Among the most active artists in Venice during the second half of the seventeenth
century, Antonio Zanchi is considered to have one of the most relevant and important
personalities. As a leading figure of the poetry of “Tenebrosi”, the artist is remembered as being extremely productive in the pictorial field, whereas very little is known
about his commitment as peintre-graveur and the information about him is incomplete. This, however, was a part of his life that had considerable relevance within his
career, although this has entered the general debate only in relatively recent times.
After establishing the milestones of this re-discovery, the present essay will introduce
Zanchi’s unedited works of art. Hence, the focus will be on the engraving placed at
the beginning of Marco Boschini’s Venetia Aflita, a work that has already been widely
studied but never as a part of Zanchi’s drawing catalogue. Moreover, the literary work
in its entirety represents a fundamental literary source giving due weight to the artist
as engraver.
240 abstract