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AmbienteDiritto - Editore© ANNO - XX Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico - CORONAVIRUS: nota sulla dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario. GIAN PAOLO DOLSO - GOVERNO DEL TERRITORIO E TUTELA DEGLI INTERESSI LEGITTIMI. La delicata ipotesi di revoca dei piani particolareggiati di esecuzione. CLAUDIO COSTANZI - IL COORDINAMENTO TRA ATTIVITÀ EDILIZIA ED I VINCOLI PAESAGGISTICI ED AMBIENTALI NEL RECENTE CONTESTO D’EMERGENZA. ALFREDO MORRONE - LE RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN CASO DI ABBANDONO RIFIUTI. GIACOMO VIVOLI - LE VARIABILI AMBIENTALI NELLA DISCIPLINA DEGLI APPALTI PUBBLICI. GIUSEPPE QUINTO EDUCAZIONE AMBIENTALE E VALORI COSTITUZIONALI IN PORTOGALLO E IN ITALIA. LUIGI COLELLA - LA COSTITUZIONE DI FRANCOFORTE: UN SOGNO INFRANTO. GIOVANNI GIANNOTTI - ORDINE DI BONIFICA DI UN SITO INDUSTRIALE: L’Adunanza Plenaria chiarisce la natura della bonifica tra retroattività e responsabilità della Società incorporante. STEFANO DE ROSA - LE CERTIFICAZIONI AMBIENTALI ED IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI. ROBERTA CADENAZZI - REGIONALISMO DIFFERENZIATO E PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VERTICALE. LUDOVICO A. MAZZAROLLI - IL DIRITTO ALL’AMBIENTE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA. CAMILLA DELLA GIUSTINA - IL RAPPRESENTANTE UNICO DELLE AMMINISTRAZIONI STATALI IN CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA SIMULTANEA. MARIO TOCCI - FISCALITÀ DELL’AMBIENTE, MERCATO E SVILUPPO SOSTENIBILE: UN EQUILIBRIO POSSIBILE? MARIA ASSUNTA ICOLARI - L’AGENZIA FRONTEX E L’AGENDA EUROPEA SULLA MIGRAZIONE. GAETANO ARMAO Anno 2020 AMBIENTEDIRITTO – EDITORE©® ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 1 AmbienteDiritto - Editore© AmbienteDiritto.it Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico Testata registrata presso il Tribunale di Patti (Reg. n. 197 del 19/07/2006) ISSN 1974-9562 DIRETTORE RESPONSABILE: Fulvio Conti Guglia DIRETTORI SCIENTIFICI: Giuseppe Albenzio Vice Avvocato Generale dello Stato; Raffaele Chiarelli Professore Straordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi Guglielmo Marconi; Claudio Rossano Professore Emerito di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Roma La Sapienza. *** COMITATO DIRETTIVO: Paolo Bianchi Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Camerino; Simone Budelli Professore Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Perugia; Guglielmo Cevolin Professore Aggregato di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Udine; Salvatore Cimini Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Teramo; Angelo Lalli Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi La Sapienza; Alfredo Morrone Docente a contratto di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi Chieti – Pescara. *** COMITATO SCIENTIFICO: Richard Albert Full Professor in Constitutional Law at University of Texas at Austin; Domenico Amirante Professore Ordinario di Diritto Pubblico Comparato (IUS/21) Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli; Gaetano Armao Professore Aggregato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Palermo; Francisco Balaguer Callejón Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Granada; Michele Belletti Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Bologna; Mario Bertolissi Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Padova; Francesca Biondi Professoressa Ordinaria di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Milano; Elena Buoso Professoressa Associata di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Padova; Paola Caputi Jambrenghi Professoressa ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 2 AmbienteDiritto - Editore© Ordinaria di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”; Marcello Cecchetti Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Sassari; Cristiano Celone Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Palermo; Mario Pilade Chiti Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Firenze; Antonio Colavecchio Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Foggia; Gian Paolo Dolso Professore Associato di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Trieste; Marina D'Orsogna Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Teramo; Vera Fanti Professoressa Ordinaria di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Foggia; Renato Federici Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Roma La Sapienza; Leonardo Ferrara Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Firenze; Diana Urania Galetta Professoressa Ordinaria di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Milano; Giuseppe Garzia Professore Aggregato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università di Bologna; Paolo Giangaspero Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Trieste; Loredana Giani Professoressa Ordinaria di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università Europea di Roma; Walter Giulietti Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/ 10) Università degli Studi dell'Aquila; Andrea Gratteri Professore Associato di Diritto Costituzionale (IUS/ 08) Università degli Studi di Pavia; Dimitris Liakopoulos Full Professor of European Union Law in Fletcher School of Law and Diplomacy - Tufts University; Vincenzo Lippolis Professore Ordinario di Diritto Pubblico Comparato (IUS/21) Università degli Studi Internazionali di Roma; Fabrizio Lorenzotti Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Camerino; Francesco Longobucco Professore Associato di Diritto Privato (IUS/01) Università Roma Tre; Giuseppe Losappio Professore Associato di Diritto Penale (IUS/17) Università degli studi di Bari "Aldo Moro"; Antonella Massaro Professore Associato Diritto penale (IUS/17) Università degli Studi Roma Tre; Ludovico Mazzarolli Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Udine; Agostino Meale Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Bari; Cesare Mirabelli Professore Ordinario di Diritto Ecclesiastico (IUS/11) Università degli Studi Roma Tor Vergata, Presidente Emerito della Corte costituzionale; Stefano Nespor Professore a contratto di Diritto Amministrativo (IUS/10) Politecnico di Milano; Dante Flàvio Oliveira Passos Professor Adjunto de Administracāo, Universidade Estadual de Paraìba; o, Universidade Estadual de Paraìba; Marco Olivi Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università Ca’ Foscari di Venezia; Gabriel Doménech Pascual Profesor Titular de Derecho Administrativo (IUS/10) Universitat de Valencia; Paolo Passaglia Professore Ordinario di Diritto Pubblico Comparato (IUS/21) Università di Pisa; Aristide Police Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università di Roma Tor Vergata; Nicoletta Rangone Professoressa Ordinaria di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università di Roma LUMSA; Cecilia Ricci Professoressa Associata di Storia Romana (L-ANT/03) Università degli Studi del Molise; Maurizio Riverditi Professore Associato di Diritto Penale (IUS/17) Università degli Studi di Torino; Raffaele Guido Rodio Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli studi di Bari; Roberto Romboli Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Pisa; Tulio Raul Rosembuj Professore Ordinario di Diritto Tributario IUS/12 (Universidad de Barcelona) e Prof. a contratto in LUISS; Ugo Salanitro Professore Ordinario di Diritto Privato (IUS/01) Università degli Studi di Catania; Andrea Scella Professore Ordinario di Diritto Processuale Penale (IUS/16) Università degli Studi di Udine; Elisa Scotti Professoressa Associata di Diritto Amministrativo - Docente di Diritto dell'Ambiente - (IUS/10) Università degli Studi di Macerata; Andrea Simoncini Professore Ordinario di Diritto Costituzionale (IUS/08) Università degli Studi di Firenze; Sara Spuntarelli Professoressa Associata di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi di Camerino; Dario Elia Tosi Professore Associato di Diritto Pubblico Comparato (IUS/21) Università degli Studi della Valle d’Aosta; Duccio Traina Professore Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Firenze; Silvio Troilo Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico (IUS/09) Università degli Studi di Bergamo; Francesco Fabrizio Tuccari Professore Associato di Diritto Amministrativo (IUS/10) Università degli Studi del Salento. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 3 AmbienteDiritto - Editore© *** COMITATO DI REDAZIONE: Antonio Mitrotti Coordinatore (Dottorando di ricerca in Diritto Pubblico comparato, Università degli Studi di Teramo); Daniela Di Paola (Funzionario MIUR); Maria Assunta Icolari (Ricercatore Università degli Studi G. Marconi di Roma - Resp. Diritto Tributario Ambientale); Chiara Ingenito (Dottoranda di ricerca in Diritto Pubblico Comparato Internazionale, Università degli studi di Roma La Sapienza); Agatino Giuseppe Lanzafame (Assegnista di ricerca in Diritto Costituzionale Comparato, Università degli studi di Catania); Olivia Pini (Docente a contratto in Diritto Amministrativo, Università degli Studi di Modena); Agostino Sola (Praticante avvocato presso l'Avvocatura dello Stato); Leo Stilo (Docente a contratto in Diritto Amministrativo, Link Campus University Executive Calabria); Giacomo Vivoli (Cultore della materia in Diritto dell’ambiente, Università degli Studi di Firenze). *** ELENCO DEI REFEREES: Giuseppe Ugo Abate (Università degli Studi di Palermo); Xavier Arbos Marin (Universidad de Barcelona); Annamaria Bonomo (Università degli Studi di Bari); Marco Brocca (Università degli Studi del Salento); Marco Calabrò (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli); Achille Antonio Carrabba (Università degli Studi di Bari Aldo Moro); Gian Franco Cartei (Università degli Studi di Firenze); Giovanni Catalisano (Università degli Studi di Enna Kore); Marta Cenini (Università degli Studi dell'Insubria); Omar Chessa (Università degli Studi di Sassari); Alberto Clini (Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”); Juan Carlos Covilla Martìnez (Universidad Externado de Colombia); Gianni Cortigiani (Avvocato Distrettuale dello Stato di Firenze); Manlio d’Agostino Panebianco (CeSIntES dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata); Simona D’Antonio (Università degli Studi di Teramo); Gabriella De Giorgi (Università degli studi del Salento); Sandro De Gotzen (Università degli Studi di Trieste); Lorenzo De Gregoriis (Università degli Studi di Teramo); Maria Rosaria Di Mattia (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli); Ruggero Dipace (Università degli Studi del Molise); Enzo Di Salvatore (Università degli Studi di Teramo); Caterina Drigo (Università di Bologna); Pietro Faraguna (Università degli Studi di Trieste); Daniela Ferrara (Università degli studi di Palermo); Giancarlo Antonio Ferro (Università degli Studi di Catania); Gianpaolo Fontana (Università degli Studi "Roma Tre"); Biagio Giliberti (Universitas Mercatorum); Francesca Guerriero (Avv. penalista del Foro di Roma); Anna Rita Iacopino (Università degli Studi dell'Aquila); Armando Lamberti (Università degli Studi di Salerno); Vito Sandro Leccese (Università degli Studi di Bari); Anna Lorenzetti (Università degli Studi di Bergamo); Marco Mancini (Università Ca’ Foscari di Venezia); Donatantonio Mastrangelo (Università degli Studi di Bari); Roberto Miccù (Università degli Studi La Sapienza); Giulia Milo (Università degli Studi di Trieste); Viviana Molaschi (Università degli Studi di Bergamo); Alberto Oddenino (Università degli Studi di Torino); Sandra Regina Oliveira Passos Bragança Ferro (Centro Universitario Estácio da Amazônia); Vittorio Pampanin (Università degli Studi di Pavia); Paolo Patrito (Università degli Studi di Torino); Vincenzo Pepe (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli); Carmine Petteruti (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli); Patrizia Pinna (Avvocato ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 4 AmbienteDiritto - Editore© dello Stato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze); Mauro Pennasilico (Università degli Studi di Bari); Oreste Pollicino (Università Bocconi); Daniele Porena (Università degli Studi di Perugia); Edoardo Carlo Raffiotta (Università degli Studi di Bologna); Carlo Rapicavoli (Direttore Generale presso Provincia di Treviso - Direttore ANCI Veneto e UPI Veneto); Saverio Regasto (Università degli studi di Brescia); Nino Olivetti Rason (Università degli studi di Padova); Pierpaolo Rivello (Università degli Studi di Torino); Mariano Robles (Università degli Studi degli Studi di Bari); Paolo Rossi (Università degli Studi di Perugia); Gianluca Ruggiero (Università del Piemonte Orientale); Francesco Emanuele Salamone (Università degli Studi della Tuscia); Ciro Sbailò (Università degli Studi internazionali di Roma); Maria Stefania Scardigno (Università degli Studi di Bari); Anna Tacente (Università degli Studi di Bari)Alma Lucia Tarantino (Università degli Studi di Bari); Marco Terrei (Centrale di committenza del Comune di Lanciano); Tommaso Ventre (LUISS Guido Carli). ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 5 AmbienteDiritto - Editore© MISSION: Lo scopo principale della Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it (RGA) è quello di favorire il più ampio confronto interdisciplinare - a livello internazionale - nonché lo sviluppo della ricerca scientifica sulle complesse tematiche del Diritto pubblico, in senso esteso ed evoluto, con una particolare, e naturale, predilezione per l’approfondimento della materia ‘interdisciplinare’ del Diritto ambientale, con i suoi peculiari - e ‘naturali’ - risvolti costituzionali ed amministrativi (oltre che i ‘connaturali’ e, alle volte, inscindibili aspetti penalistici e civilistici). La Rivista, per queste ragioni, accetta sia contributi in italiano che in qualsiasi altra lingua che, ovviamente, sia conosciuta dai referees. I componenti della Rivista, i suoi collaboratori, nonché gli autori - che, secondo le linee ANVUR sono in larghissima parte strutturati presso Università italiane e straniere - fanno parte ed aderiscono alla mission a titolo squisitamente gratuito. Tutti i contributi pubblicati nel presente fascicolo sono stati sottoposti a referaggio doppio cieco conformemente alla Classe A – ANVUR. AmbienteDiritto.it - Rivista Giuridica Telematica - Electronic Review Law Public - Via Filangeri, 19 - 98078 Tortorici ME - Tel +39 0941 327734 - Fax digitale +39 1782724258 - Mob. +39 3383702058 – info (at) ambientediritto.it - (C.C. REA): 182841 - Direttore Responsabile, Proprietario ed Editore: Fulvio Conti Guglia - C.F.: CNTFLV64H26L308W - P.IVA 02601280833 - Pubblicata in Tortorici dal 2000 Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562 - (BarCode 9 771974 956204) Pubblicazione quotidiana in formato elettronico – Copyright AD - AmbienteDiritto – Editore©® ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 6 AmbienteDiritto - Editore© INDICE GENERALE Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico.................................................................................................................2 CORONAVIRUS: NOTA SULLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA PER RISCHIO SANITARIO...........................................................................................................................................................8 Gian Paolo Dolso...................................................................................................................................................8 GOVERNO DEL TERRITORIO E TUTELA DEGLI INTERESSI LEGITTIMI...........................................22 La delicata ipotesi di revoca dei piani particolareggiati di esecuzione.............................................................22 Claudio Costanzi..................................................................................................................................................22 IL COORDINAMENTO TRA ATTIVITÀ EDILIZIA ED I VINCOLI PAESAGGISTICI ED AMBIENTALI NEL RECENTE CONTESTO D’EMERGENZA..............................................................................................33 Alfredo Morrone..................................................................................................................................................33 LE RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN CASO DI ABBANDONO RIFIUTI:....................................63 Giacomo Vivoli.....................................................................................................................................................63 LE VARIABILI AMBIENTALI NELLA DISCIPLINA DEGLI APPALTI PUBBLICI..................................90 Giuseppe Quinto..................................................................................................................................................90 EDUCAZIONE AMBIENTALE E VALORI COSTITUZIONALI IN PORTOGALLO E IN ITALIA.........110 Luigi Colella......................................................................................................................................................110 LA COSTITUZIONE DI FRANCOFORTE: UN SOGNO INFRANTO........................................................132 Giovanni Giannotti............................................................................................................................................132 ORDINE DI BONIFICA DI UN SITO INDUSTRIALE: L’Adunanza Plenaria chiarisce la natura della bonifica tra retroattività e responsabilità della Società incorporante.........................................................150 Stefano De Rosa................................................................................................................................................150 LE CERTIFICAZIONI AMBIENTALI ED IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI.................................163 Roberta Cadenazzi.............................................................................................................................................163 REGIONALISMO DIFFERENZIATO E PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VERTICALE......................180 Ludovico A. Mazzarolli......................................................................................................................................180 IL DIRITTO ALL’AMBIENTE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA........................................................192 Camilla Della Giustina......................................................................................................................................192 IL RAPPRESENTANTE UNICO DELLE AMMINISTRAZIONI STATALI IN CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA SIMULTANEA...........................................................................................................218 Mario Tocci........................................................................................................................................................218 FISCALITÀ DELL’AMBIENTE, MERCATO E SVILUPPO SOSTENIBILE: UN EQUILIBRIO POSSIBILE?.....................................................................................................................................................225 Maria Assunta Icolari........................................................................................................................................225 L’AGENZIA FRONTEX E L’AGENDA EUROPEA SULLA MIGRAZIONE..............................................237 Gaetano Armao..................................................................................................................................................237 Collaborazione con AMBIENTEDIRITTO.IT – Rivista Giuridica.............................................................256 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 7 AmbienteDiritto - Editore© CORONAVIRUS: NOTA SULLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA PER RISCHIO SANITARIO. Gian Paolo Dolso 1.Come è noto, con provvedimento del Consiglio dei Ministri di data 31 gennaio 2020 è stata deliberata la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili per la durata di mesi sei1. Si tratta di una delle prime occasioni in cui le procedure disegnate dal decreto legislativo n. 1 del 2018 ( Codice della protezione civile) hanno trovato concreta attuazione, con riguardo ad un livello di emergenza di rilievo “nazionale”. La delibera dello stato di emergenza è stata preceduta da alcune ordinanze del Ministro della salute mentre è mancata una dichiarazione dello stato di mobilitazione del Servizio nazionale della protezione civile, pur previsto dal citato D. lgs. n. 1 del 2018 come prodromico alla delibera dello stato di emergenza. Ciò a testimonianza del fatto che la situazione di diffusione del coronavirus, oggetto pure di una dichiarazione di emergenza a livello internazionale, si è andata evolvendo con tempi talmente rapidi da giungere, omisso medio, alla dichiarazione dello stato di emergenza2. A seguito poi della delibera del Consiglio dei ministri, il Capo del dipartimento della protezione civile ha adottato un’ordinanza avente ad oggetto “primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili ”3. Stante l’essenzialità e la laconicità della delibera del Consiglio dei ministri, sembra questo l’atto ove cercare le coordinate essenziali per la gestione dell’emergenza. Sono stati poi emanati ulteriori atti successivamente a tale ordinanza, atti che, pur non incidendo sullo statuto della disciplina della situazione di emergenza in atto, risultano nondimeno decisivi per “gestire” la situazione nel suo evolversi. Da una parte sono state adottate alcune ordinanze da parte del Ministro della salute, “di intesa” con i Presidenti di alcune regioni, aventi per lo più ad oggetto per misure assolutamente temporanee volte a contenere la diffusione del virus; dall’altra, è stato dal Governo predisposto un decreto-legge, dal contenuto per vero piuttosto limitato ma assai 1 2 3 Si tratta della Delibera del Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell’art 7, comma 1, lett. c) del D.lgs. n. 1 del 2018 che ragiona di “emergenze di rilievo nazionale”, delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1 febbraio 2020. L’art. 23 del citato D. lgs. n. 1 del 2018 disciplina la dichiarazione dello stato di mobilitazione, effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta de Capo del Dipartimento della Protezione civile, come prodromico alla successiva (ed eventuale) deliberazione dello stato di emergenza in senso proprio, non a caso prevista nel successivo art. 24. Sul piano internazionale, va ricordato che l’Oms (Organizzazione mondale della sanità) ha dichiarato lo stato di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus in data 30 gennaio 2020. Il riferimento è all’ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020, a firma appunto del Capo del Dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 8 AmbienteDiritto - Editore© gravido di conseguenze, soprattutto per gli abitanti di alcuni Comuni del Paese meglio identificati nell’allegato al decreto stesso4. Pur consapevoli della estrema mutevolezza della situazione, e quindi della possibilità che nel volgere di pochi giorni non solo lo stato di diffusione del virus si modifichi, ma che anche il quadro normativo registri evoluzioni, sembra opportuno soffermarsi su questo primo segmento della fase emergenziale cercando di leggere le norme e i provvedimenti adottati in controluce con il decreto legislativo 1/2018 e, più in generale, con il sistema ordinamentale nel suo complesso. 2.Come si è accennato, la formale dichiarazione dello stato di emergenza non solo è stata preceduta da due ordinanze contingibili e urgenti del Ministro della salute, ma la stessa delibera del Consiglio dei ministri risulta anticipata da una nota dello stesso Ministro, “con cui –si legge nella delibera- il Ministro della salute ha rappresentato la necessità di procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale di cui all’articolo 24 del decreto legislativo n. 1 del 2018” 5. E’ noto che l’emergenza in atto riguarda un pericolo per la salute, ma, stando all’art. 24 appena menzionato, la dichiarazione dello stato di emergenza muove da una “valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile” ed è proposta dal Presidente del consiglio dei ministri, semmai su richiesta del presidente della regione interessata. Nell’intestazione della Delibera del Consiglio dei ministri non vi è per vero traccia di una valutazione da parte del Dipartimento della protezione civile. Il presupposto della dichiarazione riposa sulla constatazione, del resto corretta, secondo cui la situazione creatasi, “per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con i mezzi e poteri ordinari”, di modo che, coerentemente, si giunge alla dichiarazione dello stato di emergenza in base all’art. 7, comma 1, lett. c), del citato decreto legislativo 1/2018, che fa riferimento a situazioni di carattere “nazionale”6. Sulla base di queste doverose premesse il provvedimento, anche con riferimento alla tipologia della situazione, si scandisce in tre movimenti: la dichiarazione dello stato di emergenza per mesi sei; l’attribuzione del potere di ordinanza al “Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione di legge e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico”; infine lo stanziamento per l’attuazione dei primi interventi “nel limite di euro 5.000.000” (sic…). Pacifica la temporaneità del provvedimento, connaturata alla natura stessa delle situazioni di eccezione. Sorvolando sull’entità del primo stanziamento, non a caso già rettificato sulla base del decreto-legge cui ci si soffermerà qui di seguito, va commentata brevemente l’attribuzione al Capo del dipartimento della protezione civile del potere di ordinanza. Si tratta forse di una attribuzione che, da un lato, appare pleonastica, dall’altra carente di alcuni elementi. Andando con ordine, l’ incipit dell’art. 25 del D.lgs. 1/2018 recita: “per il coordinamento dell’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale si provvede mediante ordinanze di protezione civile, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza”. Quindi, 4 5 6 Per quanto riguarda le ordinanze, esse sono state adottate in riferimento a diverse regioni, tra le altre Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria tra il 21 e il 24 febbraio 2020, e hanno appunto ad oggetto la prescrizione di misure temporanee volte ad evitare la diffusione del virus COVID-19. Il decreto legge di data 22 febbraio 2020 ha ad oggetto, ancora, Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Si tratta di un atto che prevede una serie di misure, da adottare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, fortemente limitative di diversi diritti, anche di rango costituzionale: in primis la libertà di circolazione. La frase virgolettata è tratta proprio dalle premesse della delibera del Consiglio dei ministri di data 31 gennaio 2020. La citazione è ancora tratta dalla delibera del Consiglio dei ministri di data 31 gennaio 2020. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 9 AmbienteDiritto - Editore© come si accennava, l’attribuzione di tale potere è già in re ipsa, una volta addivenuti alla dichiarazione dello stato di emergenza su scala nazionale, sulla base del disposto normativo appena richiamato; dall’altra parte la citata disposizione ragiona di “limiti” e “modalità” che dovrebbero essere previste nella dichiarazione di emergenza e di cui, nel caso, vi è solo una labile e discutibile traccia. I limiti sembra siano quelli consueti delle ordinanze di necessità, per vero declinati in modo riduttivo nella delibera, almeno rispetto a quanto indicato, questa volta in modo forse troppo estensivo, dal decreto 1/2018. Se la delibera ragiona solamente di “rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”, il decreto legislativo allude anche alle “norme dell’Unione europea”, non a caso prese in considerazione, ma con declinazione ancora una volta diversa, dall’Ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile dd. 3 febbraio 2020 che più genericamente allude ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”7. Se è vero che la giurisprudenza costituzionale, in una delle sue prime sentenze, evidenziò il limite del principi generali dell’ordinamento, non è meno vero che nella motivazione della pronuncia, e soprattutto nella giurisprudenza costituzionale immediatamente successiva, tali principi dovevano necessariamente rientrare le norme e i diritti costituzionali, che il potere di ordinanza, per essere compatibile con il volto costituzionale del sistema, non poteva (e non può) travolgere8. Al di là della vischiosità legislativa, che continua a ragionare solamente del rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, un riferimento esplicito al rispetto dei diritti costituzionali non sarebbe stato un fuor d’opera nella delibera dello stato di emergenza in commento. Del resto una previsione esplicita in questo senso sarebbe stata ancora più auspicabile nel contesto decreto 1/2018, oltre che in ogni provvedimento legislativo che al potere di ordinanza di necessità fa riferimento9. Desta poi qualche stupore l’omesso riferimento, in seno all’ordinanza, all’ordinamento dell’Unione europea. Fermo restando che il riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico, comprensivi dei principi costituzionali, implicitamente contiene il vincolo di cui all’art. 11 e all’art. 117, comma 1, Costituzione, è da osservare che il limite indicato nell’art. 25 del decreto legislativo appare sovradimensionato rispetto allo scopo della norma, che è quello di evitare che le ordinanze in parola stravolgano appunto i principi generali dell’ordinamento. Ritenere che tutte le norme dell’Unione costituiscano un limite al potere di ordinanza non parrebbe in sintonia con le esigenze che tali ordinanze mirano a soddisfare. Ad esempio l’elenco, forse discutibile, di norme del codice degli appalti a cui le ordinanze possono derogare, contenuto nell’Ordinanza n. 630 del Capo del dipartimento della protezione civile, sembra smentire puntualmente il decreto 1/2018 nella misura in cui 7 8 9 Il riferimento è all’art. 3 dell’Ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020 del Capo del dipartimento della protezione civile, recante appunto Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Il riferimento è alla celebre sentenza n. 8 del 1956 della Corte costituzionale. Sulla stessa linea, e con maggiore articolazione, la successiva sent. n. 26 del 1961 e la n. 4 del 1977. In dottrina, tra gli altri, V. ANGIOLINI, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986, 121 ss. e 141 ss. Come noto, sul punto la Corte costituzionale fu esplicita soprattutto a partire dalla sent. n. 26 del 1961, in cui si affermò chiaramente come fosse da escludere in radice che con le ordinanze prefettizie si potesse “menomare l’esercizio di diritti garantiti in Costituzione”; la possibilità, del resto, di limitare diritti costituzionali, sarebbe –sempre secondo la Corte- “in netto contrasto con l’affermazione che quelle ordinanze debbono essere vincolate ai principi dell’ordinamento giuridico”. Nel caso si trattava delle ordinanze prefettizie di cui all’art. 2 T.U. pubblica sicurezza di cui al R.D . 773 del 1931, ma il discorso è estensibile a tutte le ordinanze contingibili e urgenti. Sul punto, diffusamente, R. CAVALLO PERIN, Potere di ordinanza e principio di legalità, Milano, 1990, 87 ss. e 223 ss. Non si comprende, a distanza di più di mezzo secolo, il motivo per cui il legislatore non preveda inequivocabilmente il limite del rispetto dei principi e dei diritti costituzionali all’atto di prevedere un potere di ordinanza di necessità in capo a qualsiasi autorità amministrativa. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 10 AmbienteDiritto - Editore© molte di tali norme sono, come noto, di stretta derivazione comunitaria. Quindi, fermo restando che appare improprio il limite rappresentato da “tutte” le norme dell’Unione europea, poteva anche essere condivisibile il solo riferimento ai principi generali dell’ordinamento, di cui alla delibera dello stato di emergenza, poi peraltro corretto nel senso dell’aggiunta del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Ciò che non si fa apprezzare è il difetto di una linea univoca sul punto, stante la (almeno teorica) serietà delle ricadute giuridiche delle varie opzioni. Ancora. Il riferimento ai “limiti” potrebbe essere individuato nel contenimento del potere di ordinanza alle fattispecie meglio descritte nelle lettere a) e b) di cui al citato art. 25 del decreto legislativo 1/2018. Ammesso che tale riferimento configuri di fatto uno di quei “limiti” di cui ragiona la norma, sta di fatto che esso svela, da una parte, la incompletezza, verrebbe da dire scontata, della elencazione dei contenuti delle ordinanze, e, dall’altra, interroga sulla logica del riferimento alle prime due lettere del comma in esame. L’indicazione del contenuto delle ordinanze contingibili e urgenti, come di ogni provvedimento che ad una emergenza debba porre rimedio, non può che essere esemplificativo: se così non fosse sarebbero sufficienti i provvedimenti tipizzati dall’ordinamento, in cui appunto le situazione di necessità vengono puntualmente previste dalla norma attributiva del potere10. La presente situazione fattuale non pare in effetti una di quelle che il legislatore del 2018 aveva presente nel descrivere il contenuto delle ordinanze (le lettere a-f del comma 2 dell’art. 25 pare abbiano come sfondo calamità naturali certamente disomogenee rispetto alla situazione in atto). Al di là di questa considerazione, che peraltro ha il sapore dell’ovvio, resta il fatto che la limitazione alle prime due lettere del comma in esame appare discutibile. Da una parte, infatti, non pare che la situazione necessiti di interventi quali quelli alla lettera b) (“ripristino della funzionalità dei servizi”…); dall’altra parte forse la lettera d) avrebbe potuto, anche con qualche forzatura, comprendere le limitazioni alla circolazione delle persone relative ad una serie di Comuni poi non a caso fatte oggetto di una previsione ad hoc da parte del decreto-legge da ultimo adottato dal Governo 11. Se l’art. 25 prescrive l’indicazione delle “modalità” di esercizio del potere di ordinanza, di queste in effetti la deliberazione del Consiglio dei ministri non reca alcuna traccia. Quindi, anche a prescindere dalla formulazione dell’art. 25, che solleva più di qualche dubbio, resta il fatto che la deliberazione dello stato di emergenza non risponde del tutto ai criteri indicati nella norma12. 10 11 12 Sul punto già M.S. GIANNINI, Potere di ordinanza e atti necessitati, in Giur. compl. Cass. civ., 1948, 288 ss. Il riferimento è al decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020. In effetti la lettera d) del decreto legislativo n. 1 del 2018 ragiona di “realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo nelle aree colpite dagli avventi calamitosi, strettamente connessi all’evento e finalizzati prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità”. Le modalità di riduzione del rischio, in questa prospettiva, sarebbero rimesse alla valutazione del Capo del dipartimento della protezione civile, “titolare” del potere di ordinanza. Ad ogni modo il decreto-legge appena citato esemplifica le limitazioni a vari diritti, anche se ne attribuisce la traduzione in atti concreti ad altrettanti dpcm. Procedimento, questo, di assai dubbia compatibilità con la riserva di legge di cui all’art. 16, Cost. Il citato art. 25, comma 1, del decreto legislativo in parola prevede poi che le ordinanze siano “emanate acquisita l’intesa delle Regioni e Province autonome territorialmente interessate”. Un doppio ordine di dubbi solleva tale prescrizione: uno formale e uno più sostanziale. Il primo: quid iuris se si tratta di emergenza di livello nazionale? A rigore si dovrebbe procedere all’intesa con tutte le Regioni e Province; di fatto, anche in assenza di una previsione in tal senso, nell’ordinanza 630 si è acquisita l’intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Il secondo dubbio è più sostanziale e riguarda la natura dell’intesa e le conseguenze della sua mancata acquisizione. Se dal tenore letterale della norma l’intesa va in effetti qualificata come forte, appare plausibile ritenere che il potere di ordinanza non possa essere esercitato in assenza di essa. Ma questo tipo di strumento collaborativo, di norma da apprezzare nella cornice dei rapporti, forse troppo spesso conflittuali, tra Stato e Regioni, è compatibile con la gestione di una situazione di emergenza, soprattutto di scala nazionale? Sul punto più di qualche dubbio ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 11 AmbienteDiritto - Editore© Ma le incongruenze non finiscono qui. L’art. 25, comma 1 del citato decreto prevede, nel suo incipit, che le ordinanze in parole sono adottate “in deroga ad ogni disposizione vigente”, e nel rispetto “dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Poi soggiunge che sono “emanate acquisita l’intesa delle regioni e Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate”. Sul primo punto, oltre alla già rilevata distonia tra la norma in parola, la formale deliberazione dello stato di emergenza nazionale e la prima ordinanza in materia (la n. 630), con riguardo al rispetto dei vincoli nascenti dall’ordinamento comunitario, va anche osservato che la disposizione in parola prevede che le ordinanze siano adottate, secondo tradizione, in deroga a ogni disposizione vigente. Al riguardo la seconda parte del comma 1 dell’art. 25 precisa che le ordinanze devono “contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare”. Si tratta di una previsione che appare, da una parte, superflua e, dall’altra, non di agevole attuazione. Quando infatti l’ordinanza di necessità ha un contenuto circostanziato, le norme derogate sono (o dovrebbero essere) da essa individuate o comunque facilmente individuabili. E ciò a prescindere dalla ambigua allusione, sempre contenuta nell’art. 25, all’indicazione delle norme “principali” a cui l’ordinanza può derogare. Qualche perplessità desta al riguardo la citata ordinanza n. 630 laddove indica le “deroghe” a norme vigenti. In primo luogo va osservato che il contenuto dell’ordinanza è abbastanza generico, e in parte illustrativo di procedure e di modalità organizzative già previsti dalla legge e che comunque non sembrano postulare l’adozione di una ordinanza di necessità. Ad esempio l’art. 1, che disciplina il coordinamento degli interventi, prevede che il Capo del Dipartimento della protezione civile assicuri il coordinamento degli interventi necessari “avvalendosi del medesimo Dipartimento, delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, nonché dei soggetti attuatori individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici”. Che il Dipartimento in parola abbia funzioni di coordinamento è pacifico alla luce di diverse norme del decreto 1/2018 che proprio sulle funzioni di coordinamento del Presidente del consiglio dei ministri, che agisce appunto attraverso il dipartimento della protezione civile, a più riprese insiste 13. Ancora. E’ lo stesso art. 1 dell’ordinanza a far riferimento a provvedimenti che possono essere adottati. Ad esempio si ragiona di “prosecuzione delle misure urgenti già adottate dal Ministro della salute”, di “ulteriori misure di interdizione al traffico aereo, terrestre e marittimo”, di “rientro delle persone presenti nei paesi a rischio e al rimpatrio assistito di essi”: tutti provvedimenti che non sono adottati con l’ordinanza in oggetto ma che si prevede possano essere (forse) adottati nell’immeditato futuro. Ma, essendo le esigenze dell’emergenza per definizione imprevedibili, ne risulta difficile una loro preventiva elencazione. Di volta in volta il Capo del dipartimento –questo sembra almeno il senso dell’art. 25- dovrebbe (o avrebbe dovuto…) adottare singole ordinanze che rispondano ai requisiti e alle prescrizioni di cui alla stessa norma. Anche il riferimento (di cui all’art. 1, comma 4, dell’ordinanza) ai caratteri di indifferibilità e urgenza e pubblica utilità che i provvedimenti emanati recano con sé rimandano a situazioni che non pare trovino riscontro nel contesto dell’ordinanza e nella natura dell’emergenza in atto14. 13 appare lecito, di modo che sicuramente un coinvolgimento delle autonomie locali sarebbe stato opportuno, ma probabilmente con forme o modalità più consentanee alla tipologia di situazione che deve essere governata. Cfr., ad esempio, art. 5, comma 1, e soprattutto art. 8 del D. lgs. 1 del 2018. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 12 AmbienteDiritto - Editore© Un punto qualificante dell’ordinanza sembra essere poi la nomina del Comitato tecnico scientifico. A parte il fatto che non si vede il motivo di ricorrere ad una ordinanza di necessità e urgenza per un atto sostanzialmente organizzativo come indiscutibilmente è quello in parola, è da osservare che l’art. 13 del decreto legislativo citato elenca le strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile. Si tratta di una norma che avrebbe senz’altro potuto fornire idonea e sufficiente copertura legale per la formazione del predetto comitato tecnico scientifico: la sua previsione con ordinanza di necessità sembra far assumere all’atto un contenuto quanto meno inusuale per tale tipologia di provvedimento, non certo sintonico con il tipico contenuto delle ordinanze di necessità e urgenza15. Ciò è tanto più vero che nelle pieghe del citato decreto legislativo sembra che sia allo stato già prevista la possibilità, eventualmente con la mediazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, della creazione di un organismo di tal fatta. In relazione alle emergenze di carattere nazionale, l’art. 14 del decreto prevede la convocazione del “comitato operativo nazionale della protezione civile”. Non si hanno notizie, almeno da fonti di stampa, di tale convocazione. Ma, a prescindere da questo, la norma che lo prevede appare sufficientemente elastica da consentire la partecipazione a tale comitato operativo dei soggetti che hanno dato luogo al Comitato tecnico previsto dall’ordinanza n. 630. L’art. 14 del decreto prevede che la composizione del comitato possa essere integrata dalla presenza dei “rappresentanti delle componenti di cui all’articolo 4 designati, per le regioni e gli enti locali, dalla Conferenza unificata e delle strutture operative con valenza nazionale di cui all’articolo 13”, che dovrebbero essere individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Se si guarda poi alle strutture operative del servizio nazionale della protezione civile descritte dall’art 13 ci si avvede che, in effetti, il comitato operativo nazionale della protezione civile di cui all’art. 14 avrebbe potuto essere composto in modo tale da soddisfare tutte le esigenze sottese alla creazione del comitato tecnico scientifico previsto dall’ordinanza 630, il che dimostra un uso non ortodosso dello strumento dell’ordinanza di necessità16. Un ulteriore punto qualificante dell’ordinanza sembra costituito dalle indicazioni delle leggi che possono essere derogate “per la realizzazione delle attività” di cui all’ordinanza in parola. Senza indugiare sul lungo elenco e pur soprassedendo sui dubbi che derivano da un simile drafting, si può osservare che ad ogni buon conto l’art. 3 dell’ordinanza soggiunge che possono essere derogate “leggi ed altre disposizioni regionali strettamente connesse alle attività previste dalla presente ordinanza”. Sembra un po' paradossale che la deroga a tutte le norme espressamente indicate possa essere de plano attuata, mentre con riguardo alle leggi regionali la deroga debba risultare “strettamente connessa alle attività” previste dall’ordinanza, e quindi oggetto di uno stringente onere di motivazione. Si tratta di un criterio, quello della strumentalità della deroga rispetto alle esigenze da soddisfare, che appare 14 15 16 Con riguardo interventi meglio descritti nell’art. 1 e, più in generale, a tutti quelli previste dalla stessa ordinanza n. 630, si prevede che essi “sono dichiarati urgenti e indifferibili e di pubblica utilità e, ove occorra, costituiscono variante agli strumenti urbanistici vigenti”: con il che appare in effetti chiaro come tale tipo di prescrizione poco abbia probabilmente a che fare con la tipologia di emergenza in atto. Al riguardo l’art. 13 del D. lgs. n. 1 del 2018 indica, quali strutture operative del servizio nazionale della protezione civile, oltre al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le Forze armate, le Forze di polizia, gli enti e istituti di ricerca di rilievo nazionale, le strutture del Servizio sanitario nazionale e altre componenti ancora. E’ da osservare, al riguardo, che l’art. 13 del D.lgs. n. 1 del 2018, menziona, tra le varie strutture operative del servizio civile, “gli enti e istituti di ricerca di rilievo nazionale”, le “strutture del servizio sanitario nazionale”, e, con previsione massimamente comprensiva, si prevede anche che concorrono alle attività di protezione civile “i collegi professionali e i rispettivi Consiglio nazionali [...] e gli enti, gli istituti e le agenzie nazionali che svolgono funzioni in materia di protezione civile e aziende, società e altre organizzazioni pubbliche o private che svolgono funzioni utili per le finalità di protezione civile”. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 13 AmbienteDiritto - Editore© preferibile rispetto alla mera elencazione delle “principali” norme a cui si intende derogare, come recita l’art. 25, comma 1 del decreto, anche se soggiunge poi che la deroga deve essere “specificamente” motivata. In realtà un criterio quale quello enunciato nell’ordinanza 630 per le leggi regionali forse avrebbe potuto essere utilmente impiegato anche per le leggi statali, a tacere del fatto che l’art. 25 non distingue punto tra leggi statali e regionali. Oltre ad un cospicuo elenco di norme suscettibili di venire derogate, rispetto alle quali difetta per vero quell’onere di “specifica” motivazione di cui ragiona l’art. 25, viene poi indicata una lunga serie di norme del Codice degli appalti che pure posso essere oggetto di deroga e per le quali pure l’onere di specifica motivazione non pare assolto. Al di là del fatto che anche questa previsione pare forse un poco eccentrica rispetto alla tipologia di emergenza che ci occupa, resta l’interrogativo della sua utilità e soprattutto della sua corrispondenza alla ratio del predetto art. 25. L’ordinanza n. 630 non ha infatti un contenuto specifico, puntuale, circostanziato, come forse tali provvedimenti innominati dovrebbero avere, di modo che c’è da dubitare dell’utilità degli elenchi di disposizioni delle norme da derogare. Che poi, alla luce della tipologia di situazione in atto, sia ritenuto decisivo prevedere la possibilità di deroga ad una lunga serie del codice dei contratti pubblici, lascia pire perplessi. In realtà sembrerebbe che la ratio della previsione dell’art. 25 sia quella di disporre che ogni (singola) ordinanza sia corredata dalla indicazione delle specifiche norme di volte in volta derogate, mentre l’ordinanza n. 630 sembra avere un contenuto, in parte generale e in parte organizzativo, che non pare trovare particolare corrispondenza con l’elenco di disposizioni di cui si consente la deroga. In definitiva, al netto delle perplessità che il sistema congegnato dal Decreto 1/2018 in relazione alla disciplina delle “ordinanze di protezione civile” ingenera, resta il fatto che la prima ordinanza, intestata come ordinanza del “Capo dipartimento della protezione civile” e non “di protezione civile”, come inopinatamente previsto dal decreto, non pare in asse con il quadro disegnato dal Decreto legislativo in parola. In definitiva l’ordinanza n. 630 contiene quattro disposizioni fondamentali: la prima, che riguarda il “coordinamento” degli interventi; la seconda, che ha ad oggetto la costituzione di un “comitato tecnico scientifico”; la terza, che indica le deroghe alle norme di legge e al codice degli appalti che possono essere messe in atto nell’esecuzione delle attività previste dall’ordinanza stessa; un’ultima previsione avente ad oggetto la disciplina delle procedure di approvazione di progetti. Oltre a quanto già osservato supra, resta confermato il fatto che la struttura stessa del provvedimento non è quella tipica dell’ordinanza di necessità e urgenza e comunque non pare del tutto strumentale rispetto alla presente situazione di emergenza, carattere questo che per definizione ordinanze di tale natura debbono possedere. Alcune disposizioni, come osservato, sono di carattere organizzativo; alcune altre preannunciano attività che di fatto poi sono state gestite con provvedimenti diversi dalle ordinanze “di protezione civile” (ad esempio “ulteriori misure di interdizione al traffico aereo, terrestre e marittimo sul territorio nazionale”); ulteriori disposizioni, specie quelle sulle deroghe a norme di legge, sembrerebbero creare un quadro di riferimento, o una base di partenza, per ulteriori atti, nel senso che l’ordinanza n. 630 non sembrerebbe implicare interventi di natura tale da giustificare l’ampia gamma di deroghe testualmente previste; infine alcune disposizioni, come quella di cui all’art 4 (“procedure di approvazione dei progetti”) non paiono di fatto connesse –almeno allo stato- alla tipologia di emergenza in atto e ad essa strumentali. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 14 AmbienteDiritto - Editore© 3.Tutto ciò appare del resto confermato alla luce della catena degli atti di emergenza che hanno fatto seguito all’ordinanza n. 630: in effetti si sono succeduti provvedimenti di autorità diverse e di diversa natura, e non più ordinanze di “protezione civile”. A conferma di un tanto va in primo luogo segnalato il decreto-legge 23 febbraio n. 6 recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologia da COVID-19. Al fine di contenere la diffusione del virus il provvedimento elenca, in via peraltro dichiaratamente esemplificativa, una ampia messe di misure che possono esse adottate nei comuni ove ricorrano le condizioni meglio identificate dallo stesso decreto ad opera delle “autorità compente” 17. A fronte di tali molteplici misure, l’art. 2 del decreto stesso prevede che le “autorità competenti” possano adottare anche “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza”, “anche al di fuori ai casi di cui all’articolo 1, comma 1” 18. A precisazione di quanto previsto dai primi due articoli, l’art. 3 individua finalmente con chi si identifichi l’autorità competente ad adottare i provvedimenti indicati e quelli che comunque siano ritenuti utili a fronteggiare l’emergenza: si tratta in definitiva del Presidente del Consiglio dei ministri il quale agisce con propri decreti, sentiti, se del caso, uno o più ministri e/o i rappresentanti delle regioni e/o del presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni a seconda dell’estensione territoriale di ciascun provvedimento. A dimostrazione della estrema difficoltà di prevedere le misure che una situazione di emergenza richiede ed esige, l’art. 2 del citato decreto prevede la possibilità di adottare ulteriori misure di gestione dell’emergenza “al fine di prevenire e contenere la diffusione dell’epidemia”, senza fissare alcun parametro di stretta correlazione tra il fine indicato e i mezzi prescelti per raggiungerlo. Attesa l’estrema puntualità (oltre che l’ampio ventaglio) delle misure adottabili, meglio descritte dall’art. 2 del provvedimento, forse un nesso di funzionalità più stringete tra obiettivi prefissati e misure adottate per perseguirli non sarebbe stato un fuor d’opera. Va inoltre osservato, in relazione ai dpcm da adottare (il primo non a caso coevo al decreto legge), che essi sono adottati “su proposta” del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’Interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i presidenti delle regioni competenti […] ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni”19. Contestualmente al decreto legge, viene adottato dunque il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede una serie di disposizioni su proposta del Ministro della salute, sentiti i presidenti delle regioni interessate oltre al Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni20. Alcune disposizioni del decreto riguardano, in particolare, specifici comuni delle regioni Lombardia e Veneto; alcune altre norme riguardano invece tutto il territorio nazionale. A prescindere dalle singole disposizioni, in questa sede sembra più interessante svolgere almeno alcune osservazioni di carattere generale sul decreto 17 18 19 20 Lo steso art. 1 del decreto-legge n. 6 del 2020 individua i comuni ove tali misure possono essere adottate: si tratta di comuni o aree “in cui risulta positiva almeno una persona e per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’rea già interessata dal contagio” del menzionato virus. Le misure che possono essere adottate sono molto varie: divieto di allontanamento dal comune, divieto di accesso al comune, sospensione di attività della più varia natura e/o sospensione di servizi, chiusura e/o limitazione di attività… Si tratta di misure di cui il Prefetto dovrà assicurare l’attuazione “avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali”, come recita l’art. 2 del decreto. Così appunto dispone l’art. 2 del decreto-legge n. 5 del 2020. Ancora art. 3, decreto-legge n. 6 del 2020. Il riferimento è al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 (Disposizioni attuative del decretolegge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologia da COVID-19). ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 15 AmbienteDiritto - Editore© legge. In primo luogo va notato che molte delle misure di cui si prevede l’adozione nelle aree che abbiano determinate caratteristiche di misure che limitano diverse libertà costituzionali, in particolare quella di circolazione. Alla luce di ciò, e alla luce della riserva di legge, ovviamente assoluta, che presidia tale libertà, considerato che il dpcm è stato adottato contestualmente al decreto-legge, sarebbe stato di certo più conforme al paradigma costituzionale prevedere le misure specificamente dedicate ad alcuni Comuni nel decreto-legge21. In secondo luogo va poi rilevato che gli atti adottati si discostano in modo sensibile da quella che dovrebbe essere, stando al decreto legislativo 1/2018, la gestione “tipica” delle situazioni emergenziali. Il capo IV di tale decreto (Gestione delle emergenze di rilievo nazionale) prevede come strumento di disciplina “a regime” di tali situazioni le ordinanze di protezione civile di cui all’art. 25, da adottarsi, come ricordato, “in deroga ad ogni disposizione vigente nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato di emergenza”, “acquisita l’intesa delle regioni e Province autonome territorialmente interessate”. A parte le ricordate ordinanze del Ministro della Salute, che hanno preceduto la dichiarazione dello stato di emergenza, è singolare che i provvedimenti adottati a seguito dell’ordinanza di protezione civile n. 630 non siano in asse con quanto prefigurato nel decreto legislativo 1/2018. Il cambio di rotta si registra con il decreto legge n. 6 del 23 febbraio, adottato dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della Salute. Il medesimo decretolegge prevede, per la gestione successiva dell’emergenza, l’emanazione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare “su proposta del Ministro della salute”, sentiti ulteriori Ministri meglio indicati nell’art. 3 del decreto e comunque “gli altri Ministri competenti per materia”. Contestualmente al decreto-legge, si procede dunque all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che contiene appunto quelle “disposizioni attuative” del decreto stesso che sopra abbiamo sommariamente descritto. Alla luce del decreto-legge, e dello stesso dpcm, sembra che la proposta del Ministro della salute costituisca una iniziativa necessaria al fine di procedere all’emanazione del dpcm. Attesa la fonte a cui tale prescrizione è consegnata non pare essa sia eludibile, di modo che i dpcm attuativi del decreto-legge non possono prescindere dall’iniziativa ministeriale. Desta un certo stupore la diversa disciplina della partecipazione delle regioni rispetto a quanto previsto nel decreto 1/2018. Nel decreto-legge da ultimo adottato si prevede che i Presidenti delle Regioni interessate o il Presidente della Conferenza vengano “sentiti”, circostanza che trapela pure dal dpcm coevo al decreto-legge. Fermo restando che si tratta di un approccio del tutto condivisibile, resta il fatto che l’art. 25 del decreto legislativo 1/2018 prevede invece che le ordinanze di protezione civile siano emanate “acquisita l’intesta delle regioni e province autonome territorialmente interessate”. Se le istanze di collaborazione vanno certamente salvaguardate anche in regime di emergenza, la loro declinazione va tuttavia calibrata sulla eccezionalità della situazione da governare, che di norma esige azioni rapide ed unitarie, non farraginose e frammentate. In questa prospettiva è ovvio che una cooperazione declinata in termini di necessaria intesa potrebbe suonare stonata al cospetto delle esigenze da soddisfare, di modo che la previsione del decreto-legge appare senz’altro preferibile 22. Resta il fatto che, anche sotto questo profilo, la prassi registra uno scollamento rispetto a 21 L’art. 16 Cost., una volta proclamata la libertà di circolazione, prevede che rispetto ad essa possano essere disposte “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza”. Riserva di legge quindi assoluta di carattere “generale”: è noto che si tratta di un istituto che non tollera l’intervento di atti che non siano di rango legislativo, se non per la stretta esecuzione di essi. Stando così le cose la via maestra sarebbe stata quella di riversare nel decreto-legge il contenuto del dpcm. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 16 AmbienteDiritto - Editore© quella che è la disciplina generale delle situazioni di emergenza contenuta appunto nel codice della protezione civile. Se poi si fosse seguita la via preferibile, quella dell’adozione delle misure con decreto-legge, anche l’attenuarsi degli strumenti collaborativi sarebbe stata compensata dalla possibilità di impugnare l’atto in via principale da parte delle regioni con tutte le garanzie che tale giudizio porta con sé (non esclusa la richiesta di eventuale sospensione dell’atto). Va poi osservato, ancora nell’ottica di deviazioni dal modello prefigurato dal decreto legislativo n. 1 del 2018 che, pur a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza e dell’adozione dell’ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile, il Ministro della Salute ha emanato ulteriori ordinanze (rispetto a quelle precedenti la stessa dichiarazione dello stato di emergenza, dd. 15 e 30 gennaio 2019). Si tratta, in particolare, di ordinanze sostanzialmente volte alla sospensione di varie attività e soprattutto dell’attività scolastica in diverse regioni: in particolare Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte, ordinanze praticamente “fotocopia”. Le ordinanze relative alle prime due regioni sono menzionate nel dpcm del 23 febbraio, quelle relative alle altre regioni non vengono menzionate in quanto coeve o successive rispetto al dpcm. Non in tutte le regioni si è seguito questa modalità procedurale, optando per procedure alternative. Ad esempio la regione Liguria ha adottato, in data 23 febbraio, un’ordinanza a firma del presidente della regione, “di concerto con il Ministro della Salute”. Dal canto suo, la provincia autonoma di Bolzano ha adottato, per mano del suo presidente, un’ordinanza che non contiene alcun riferimento a intese o concerti con il Ministro della Salute. Allo stesso modo ha provveduto anche il presidente della provincia di Trento. In senso ancora diverso l’ordinanza del presidente della regione Lazio dd. 26 febbraio 2020 in cui, richiamate anche tutte le ordinanze adottate dal Ministro della Salute e dalle altre regioni e province, si adottano una serie di provvedimenti sentito non il Ministro ma il “comitato tecnico scientifico” istituito dalla citata ordinanza n. 630. Tutto ciò sembra dare la sensazione della mancanza di una regia unitaria, pur se in realtà è da ritenere che anche i provvedimenti sprovvisti di riferimenti ad intese con il Governo o con il Ministro della Salute fossero in realtà avallati dal “centro”. Ciò appare indirettamente dimostrato dalla vicenda dell’ordinanza adottata dalla regione Marche, oggetto poi di impugnativa da parte del Governo davanti al T.A.R. Marche e di poi oggetto di sospensione da parte dello stesso Giudice amministrativo23. Interessante è anche il “seguito” di queste ordinanze. Allo spirare del termine di vigenza delle ordinanze l’iter si differenzia dando luogo ancora ad una pluralità di soluzioni, anche se non pare del tutto assente una certa unitarietà di regia. Senza entrare troppo nei dettagli, si delineano diversi regimi al ricorrere di diverse situazioni, secondo distinte aree geografiche. Un regime di regole più stringenti è adottato per una serie di Comuni, specificamente individuati, delle regioni Lombardia e Veneto. Un quadro diverso viene delineato nelle regioni ove si registra il maggior numero di casi di infezione, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, a cui si aggiungono le province di Pesaro e Urbino e di Savona. In relazione ad altre province la disciplina è ancora 22 23 Si osservi al riguardo che l’ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile, al contrario di quanto disposto dal decreto-legge, ma in sintonia da quanto previsto nel decreto legislativo 2/2018, è stata emanata “acquisita l’intesa del presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome”. Non certo edificante la vicenda relativa alla regione Marche: a fronte dell’ordinanza adottata in data 25 febbraio, e di poi oggetto di sospensione da parte del T.A.R. Marche (con ordinanza presidenziale dd. 27 febbraio 2020) su impugnativa governativa, lo stesso presidente della regione adottava una ulteriore ordinanza in data 27 febbraio contenente una serie di misure a scadenza il 29 febbraio. Questo in effetti un esempio di possibili scenari a cui la mancanza di regia unitaria nella gestione di fenomeni emergenziali può dare origine…. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 17 AmbienteDiritto - Editore© diversificata. Tutto ciò viene regolamentato in modo puntuale e specifico dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dd. 1 marzo 2020 adottato sulla base del più volte citato decreto-legge n. 6. Fermi i dubbi sulla rispetto della riserva di legge, soprattutto quella di cui all’art. 16 Cost., del decreto-legge vengono rispettate le prescrizioni: esso infatti è stato adottato su (come visto necessaria) proposta del Ministro della Salute, sentiti, oltre ai Ministri specificamente indicati nel decreto-legge, altri Ministri competenti per materia, e sentiti i presidenti di diverse regioni interessate, oltre che il presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni 24. Se la situazione delle regioni al momento dell’adozione dell’atto più colpite, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna (più alcune province meglio indicate negli allegati al decreto), viene disciplinata direttamente dal dpcm del primo marzo, la situazione in altre regioni rimane incerta e dà luogo ad una pluralità di soluzioni. In Friuli Venezia Giulia viene adottata un’ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ( Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019 ). Si tratta di un modus procedendi senza dubbio singolare, e che segna una soluzione di continuità rispetto alla pregressa ordinanza riguardante la stessa regione emanata in data 23 febbraio 2020. Tale ordinanza, conformemente a diverse altre sopra ricordate, era stata adottata in verità Ministro della salute, di intesa con i Presidenti di ciascuna delle regioni interessate25. Le ordinanze del resto avevano contenuto del tutto simile. Allo scadere del periodo di vigenza di tali ordinanze, per le regioni Lombardia e Veneto (a cui si è aggiunta l’Emilia Romagna) non si procede più con ordinanza del Ministro della salute, ma con dpcm, su proposta dello stesso Ministro. Nella regione Friuli Venezia Giulia si procede, invece, con ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione, con un contenuto più ristretto rispetto alla disciplina introdotta per le altre tre regioni dal dpcm26. Singolare è che il provvedimento del presidente della regione, pur investendo tutto il comparto della scuola e dell’università, viene adottato senza alcun intervento del Ministro della salute o del Ministro competente per materia e/o del Governo, anche se certamente vi è stata una interlocuzione e/o avallo, di cui peraltro l’ordinanza non reca alcuna traccia. In senso analogo si è mossa la regione Liguria, anche se con motivazioni maggiormente articolate e tenuto conto anche del regime peculiare della provincia di Savona, oggetto di specifica disciplina da parte dell’art. 2 del più volte citato dpcm27. Ancora diversa l’ordinanza del presidente della regione Piemonte che, pure con motivazione meno articolata e con un contenuto più sintetico, dispone in sostanza la sospensione temporanea delle attività scolastiche. A differenza delle due ordinanze prima menzionate, quella della regione Piemonte rivela l’esistenza di un raccordo con il Governo, come si desume dalle premesse del provvedimento stesso ove si fa riferimento ad una previa informativa avente come destinatario il Ministro della Salute, informativa che sembrerebbe implicare un avallo28. 24 25 26 27 28 Si veda al riguardo l’intestazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di data 1 marzo 2020, con effetti sino al giorno 8 marzo 2020. In senso del tutto analogo l’ordinanza del Ministro della Salute, di intesa con i Presidenti delle regioni Piemonte, EmiliaRomagna e Liguria, sempre di data 23 febbraio 2020. L’ambito di operatività dell’ordinanza del presidente della regione Friuli Venezia Giulia dd. 1 marzo 2020 è limitato al comparto scolastico: stando all’art. 2, comma 2, viene prevista la “sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università: sospensione dei servizi educativi dell’infanzia, delle attività di formazione superiore, dei corsi di formazione professionale, dei master”. Il riferimento è all’ordinanza 2/2020 del presidente della Regione Liguria di data 1 marzo 2020. Si tratta dell’ordinanza di data 2 marzo 2020 a firma del presidente della Regione Piemonte. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 18 AmbienteDiritto - Editore© Tale avallo da parte del Governo, anche con riguardo alle ordinanze che non fanno menzione di una attività di formale comunicazione del contenuto delle ordinanze stesse, appare verosimile, anche alla luce dell’acquiescenza dell’Esecutivo rispetto a tali provvedimenti. Diverso è stato, come accennato, al riguardo il destino di una ordinanza, di contenuto simile, emanata il 23 febbraio del 2020 dal Presidente della regione Marche, prontamente impugnata davanti al T.A.R. Marche dal Governo. Residuano alcuni dubbi sia sotto un profilo procedurale che sostanziale. Sul primo aspetto va osservato come il primo blocco di ordinanze risultavano –anche se non tutte in verità- adottate dal Ministro della Salute, di intesa con i presidenti di ciascuna regione. Successivamente poi in relazione ad alcune regioni è intervenuto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri mentre, per altre regioni, provvedimenti in sostanza analoghi a quelli emanati tra il 21 e il 23 febbraio sono stati adottati con ordinanze contingibili e urgenti dei presidenti delle regioni stesse. Si tratta poi, da un punto di vista più sostanziale, di provvedimenti che vanno a incidere su una materia concorrente, l’istruzione, che peraltro è, per lo meno in parte oggetto, di competenza esclusiva dello Stato a mente dell’art. 117, comma 1 lett. n) Cost., che intesta in capo allo Stato il potere di adottare “norme generali sull’istruzione”: stando così le cose un provvedimento adottato dalle regioni senza alcun “coinvolgimento” del Governo appare quanto meno improprio. 4.Da questo punto si può muovere per abbozzare qualche considerazione conclusiva di queste note. Il rapporto tra centro e periferia sembra rivelare la sua fragilità alla prova dell’emergenza. Appare al riguardo problematico l’assetto sotteso al decreto legislativo n. 1 del 2018. Si tratta di un assetto in cui il pendolo oscilla (pericolosamente) tra esigenze di coordinamento e istanze di unitarietà. Si tratta di un profilo fisiologico nei rapporti tra Stato, regioni, ed autonomie locali in genere, ma che rischia di rivelare i propri limiti di fronte alle esigenze dell’emergenza, soprattutto di rilievo nazionale. Prova ne sia il fatto che l’iter di adozione delle ordinanze di protezione civile, paradigma del resto abbandonato dopo l’ordinanza n. 630, ragiona di ordinanze subordinate all’acquisizione dell’intesa con la regione o le province interessate (pretermettendo pure ogni riferimento alla Conferenza Stato Regioni….). Prevedere che, al ricorrere di una emergenza di rilievo nazionale, ogni ordinanza del Governo, emanata dal Capo del dipartimento della protezione civile ex art. 25 del decreto legislativo 1/2018, debba essere necessariamente oggetto di intesa, nel caso da intendersi in senso forte alla luce del tenore letterale del citato decreto, appare disfunzionale rispetto alle esigenze che si intendono soddisfare. Se l’emergenza è nazionale, i provvedimenti per farvi fronte hanno da essere connotati da irriducibile unitarietà, e quindi preferibilmente adottati dal Governo, se del caso appunto attraverso lo strumento dell’ordinanza di protezione civile. Con ciò non si vuole certo dire che gli strumenti della leale collaborazione non trovino spazio in questi casi, ma essi devono recedere a strumenti informativi. In questa prospettiva le regioni interessate, o la Conferenza Stato Regioni, debbono essere sentite anche al fine di consentire a tali Enti di proporre le modifiche opportune per adattare i provvedimenti di emergenza alle peculiarità dei vari territori 29. Questo si traduce in un arricchimento dell’istruttoria che precede l’emanazione di tali atti, arricchimento che cospira a 29 Che sia questo lo strumento di raccordo appropriato in tali casi lo si desume anche da una risaltente giurisprudenza costituzionale: in termini, e con riguardo ad una emergenza che ha qualche assonanza con quella presente, cfr. Corte cost., sent. n. 37 del 1991, in relazione agli interventi per la prevenzione e lotta contro l’AIDS. Nel caso la Corte censurò la legge in quanto non prevedeva, nel realizzare pur legittime esigenze unitarie, che le regioni e le province fossero, almeno in certe circostanze, sentite. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 19 AmbienteDiritto - Editore© rendere migliore il contenuto dei provvedimenti stessi. Al contrario l’intesa, come declinata dall’art. 25 del citato decreto legislativo, si potrebbe tradurre in uno strumento di pericoloso immobilismo proprio al ricorrere di situazioni che postulano un’azione immediata da parte dello Stato. Si tratta di un profilo, quello appena toccato, che è forse indice di un problema più generalizzato, che riguarda lo scollamento che si è nella presente situazione palesato tra le previsioni di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018 e la sequela degli atti e dei provvedimenti che hanno scandito l’evolversi dell’emergenza. In altre parole, come sopra si è a più riprese osservato, il disegno apprestato dal legislatore nel citato testo unico, in continuità con la disciplina dettata dalla legge n. 225 del 1992 ( Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile), sottende un disegno ambizioso, quello di disciplinare il fenomeno emergenziale sia sotto un profilo statico, di individuazione e di coordinamento delle varie strutture del servizio nazionale di protezione civile, sia sotto un profilo dinamico, di concreta gestione delle situazioni emergenziali. In questo quadro composito si cerca (faticosamente) di far convivere, in un delicato equilibrio, istanze di coordinamento tra le varie componenti, valorizzazione delle regioni e delle comunità locali, esigenze di unitarietà degli interventi (particolarmente vive nelle emergenze di rilievo nazionale). Tutto questo impianto, forse soprattutto sotto un profilo dinamico, non ha retto alla prova della situazione di emergenza in atto. A fronte di una formale dichiarazione dello stato di emergenza, e a seguito di una prima (e ad oggi unica a quanto consta) ordinanza di protezione civile, sagomata sull’art. 25 del decreto legislativo 1 del 2018, hanno ripreso piede gli strumenti tipici dell’emergenza, pur con qualche sovrapposizione tra autorità centrali e periferiche: in particolare il decreto legge e le ordinanze di necessità e urgenza, con un inedito utilizzo dei decreti del presidente del consiglio dei ministri, da ultimo adottati su proposta del Ministro della Salute, come per vero previsto dal citato decreto legge. Resta il fatto che sarebbe stato preferibile, e più rispondente al dettato costituzionale, che le misure contenute nel dpcm, e in parte limitative di diritti costituzionali, fossero state adottate con lo stesso decreto-legge. Non è certo l’occasione, questa, di indugiare oltre su questa concatenazione di atti, forse anche suggestiva di un contingente equilibrio delle forze politiche di maggioranza, o forse dovuta alle particolarità della situazione che i pubblici poteri sono stati chiamati a fronteggiare. Resta il fatto che si tratta di situazioni, quelle di emergenza, per definizione insuscettibili di essere disciplinate preventivamente in modo compiuto. Ogni situazione esige una risposta, che deve essere differenziata in quanto rispondente ad ogni esigenza che si presenta. In questo quadro le istanze di unitarietà non possono non fare aggio sulla salvaguardia delle autonomie locali, al fine di scongiurare il rischio di sovrapposizioni di poteri o di veri e propri conflitti (come nel caso della regione Marche). Il tentativo di dare un assetto stabile al sistema della protezione civile è senza dubbio da guardare con favore, ma soprattutto per quanto attiene al profilo statico: l’organizzazione del sistema, i raccordi che vengono istituiti, l’individuazione delle componenti del servizio nazionale. Sotto un profilo dinamico, la natura della fonte ove il sistema è disegnato ne rappresenta il limite intrinseco. Essendo la disciplina di rango legislativo è giocoforza che altri atti, di pari grado, possano di volta in volta disegnare scenari diversi, come è accaduto nel nostro caso ad opera del decreto-legge n. 6. Questo esito non fa che ricordarci che lo strumento costituzionale, minimale se si vuole, di gestione delle situazioni di emergenza è stato ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 20 AmbienteDiritto - Editore© previsto in Costituzione, ed è rappresentato appunto dallo strumento del decretolegge30. Che tale strumento sia utilizzato tenendo conto, da una parte, delle esigenze fattuali e, dall’altra, della situazione politica, per fornire la disciplina più rispondente alle esigenze dello stato di emergenza di volta in volta in atto, appare l’ iter più corretto sotto un profilo costituzionale e, in definitiva, più funzionale rispetto alla ineludibile esigenza di far fronte alle imprevedibili epifanie che ogni emergenza inescapabilmente porta con sé. 30 Risulta in tal modo soddisfatta la preferenza, espressa anche dalla risalente dottrina, per una qualche disciplina costituzionale dei fenomeni emergenziali, comunque da preferire rispetto ad una situazione di assoluta assenza di disciplina: in questo senso, ad esempio, G. CAMUS, l’Etat de nécessité en démocrtie, Paris, 1965, 411 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 21 AmbienteDiritto - Editore© GOVERNO DEL TERRITORIO E TUTELA DEGLI INTERESSI LEGITTIMI. La delicata ipotesi di revoca dei piani particolareggiati di esecuzione. Claudio Costanzi ABSTRACT: L’adozione di piani particolareggiati di esecuzione è sottesa all’esercizio di un ampio potere discrezionale dell’Amministrazione comunale, chiamata sussidiariamente a determinare le politiche di sviluppo urbanistico del territorio, sia pur nei limiti del rispetto delle fonti normative, del piano regolatore e degli altri atti amministrativi generali. Del pari, la revoca o la modifica in peius dei medesimi non sembrano sottrarsi a tale ampia discrezionalità, a cui si contrappone inevitabilmente l’interesse edificatorio dei proprietari delle aree coinvolte. A fronte di tale contrasto, l’elaborato evidenzia la necessità di delimitare chiaramente i confini entro i quali una discrezionalità revocatoria tanto ampia possa essere esercitata, prendendo in breve rassegna tanto i principi generali del diritto amministrativo, quanto le più recenti pronunce sul tema. ABSTRACT: The adoption of town detailed execution plans is linked to the exercise of a broad discretion of the municipal administration, called in a subsidiary way to determine the urban development policies of the territory, albeit within the limits of compliance with regulatory sources, of the regulatory plan and other general administrative acts. Likewise, the revocation or modification in peius of the plans does not seem to escape this wide discretion, which is inevitably opposed by the building interest of the owners of the involved areas. Against this contrast, the paper highlights the need to clearly delimit the boundaries within which such a wide revocatory discretion can be exercised, by briefly reviewing both the general principles of administrative law and the most recent pronouncements on the subject. SOMMARIO: 1. Premessa. Il piano regolatore generale e il piano particolareggiato di esecuzione. 2. L’ampia discrezionalità della pubblica amministrazione nell’adozione dei piani particolareggiati. 3. La revoca o modifica in peius dei piani particolareggiati di esecuzione. 4. La scure della responsabilità penale. Conclusioni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 22 AmbienteDiritto - Editore© 1.Premessa. Il piano regolatore generale e il piano particolareggiato di esecuzione. Come noto, l’attività amministrativa in tema di “governo del territorio” si connota prevalentemente per la sua componente di pianificazione e controllo dello sviluppo urbanistico. Essa si esplica in atti amministrativi generali, quali i piani territoriali di coordinamento regionali e provinciali, i piani regolatori generali intercomunali, i piani regolatori generali comunali ovvero i programmi di pianificazione, nonché in atti amministrativi di carattere specifico, entro cui è possibile annoverare i permessi di costruire. La scelta del Legislatore costituzionale di sostituire nel 2001 all’art. 117 Cost. la nozione di poteri “urbanistici” con quella più ampia di “governo del territorio” 31 ha fatto emergere inequivocabilmente la nuova centralità assunta dall’amministrazione locale nella valutazione e contemperamento degli interessi pubblici e privati della comunità di riferimento in ordine alla trasformazione fisica del proprio territorio32. In tale prospettiva, espressione del principio di sussidiarietà 33, l’adozione di un piano regolatore generale da parte del Comune costituisce lo strumento urbanistico nel quale si condensa con maggiore intensità la discrezionalità amministrativa tanto nella determinazione delle direttrici fondamentali di sviluppo del territorio, quanto nell’individuazione delle necessarie opere di urbanizzazione primaria e delle aree suscettibili di possibili trasformazioni fisiche e funzionali. Stante la natura degli interessi privati coinvolti, l’esercizio di una discrezionalità tanto ampia da essere sindacabile solo per errore di fatto, abnormità o irrazionalità delle stesse 34, è frequentemente al centro di contenziosi amministrativi. Ciò, a maggior ragione se si considera l’ipotesi di una modifica del piano regolatore, con trasformazione della classificazione di un fondo rispetto al precedente in senso deteriore per chi possa avanzare diritti edificatori sul medesimo. Va in ogni caso rilevato che il piano regolatore generale, pur potendo fornire eccezionalmente prescrizioni dettagliate, suscettibili di immediata esecuzione 35, necessita di essere integrato da strumenti urbanistici attuativi e di dettaglio tecnico posti in posizione di sotto-ordinazione rispetto al medesimo. Tra tutti gli strumenti attuativi di iniziativa pubblica o privata36, il piano particolareggiato di esecuzione di cui all’art. 13 della Legge Urbanistica (L. 31 32 33 34 35 36 L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per una disamina circa il mutamento di paradigma - lessicale e sostanziale – con il passaggio dall’urbanistica al governo del territorio, si v. Cons. Stato, Sez. IV, n. 1115/2015. Sulla valorizzazione del principio di sussidiarietà funzionale e di adeguatezza e prossimità della funzione al territorio e alla comunità amministrata anche in materia urbanistica, risultante dalla citata riforma degli artt. 117 e 118 della Costituzione, si v. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1346/2016, nonché TAR Abruzzo, Pescara, sent. n. 51/2017. Sul principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, con particolare riguardo alla normativa urbanistica, si rinvia a F. CANGELLI, Piani strategici e piani urbanistici. Metodi di governo del territorio a confronto, Giappichelli, Torino, 2012, spec. 34 ss. V. Sent. TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, sent. n. 6467/2014. Si. v. in tal senso Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 2837/2008. Tra questi, oltre al piano particolareggiato di esecuzione (PPE) di cui al presente contributo, applicabile ad ogni contesto, si annoverano per esempio il piano per l’edilizia economica e popolare (PPEP) con applicazione limitata alla costruzione di edilizia residenziale per i ceti meno abbienti, il piano per gli investimenti produttivi (PIP) con applicazione limitata alla formazione di aree da destinare a insediamenti produttivi, il piano di recupero (PR) con applicazione limitata al recupero del patrimonio edilizio ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 23 AmbienteDiritto - Editore© n. 1150/1942) rappresenta senz’altro quello dotato della maggiore flessibilità e più ampio spettro applicativo. Il piano particolareggiato di esecuzione, di iniziativa pubblica o privata 37, fornisce, in estrema sintesi, prescrizioni di dettaglio per l’esecuzione e concreta attuazione del piano regolatore generale comunale, il quale si pone tradizionalmente come fonte sovraordinata alla fonte attuativa, salva la possibilità che il piano regolatore attribuisca al piano particolareggiato la possibilità di derogare parzialmente alle sue prescrizioni 38. Giova rilevare che si può prescindere dall’adozione di un piano attuativo, ancorché indicata come obbligatoria dal piano regolatore generale, ove risulti che l’area su cui il medesimo avrebbe dovuto insistere sia già adeguatamente urbanizzata, come rilevato dal Consiglio di Stato, con sentenza del 27 ottobre 2000, n. 5756. La giurisprudenza ha avuto modo di qualificare funzionalmente il piano particolareggiato quale «strumento di concreta e definita sistemazione della struttura presente e futura dell'agglomerato edilizio, finendo quindi con l'assumere una funzione integrativa ed in un certo senso parallela rispetto al P.R.G.» 39. A ciò, si aggiunga che l’art. 13 della Legge Urbanistica prevede che il piano particolareggiato di esecuzione contenga l’indicazione delle «reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona», oltre alle «masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico; gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia; le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano; gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare; la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future». Ad un così articolato contenuto viene affiancata una relazione illustrativa e un piano finanziario con una stima dei costi, disciplinato al successivo art. 30 della Legge Urbanistica. 37 38 39 o urbanistico di aree connotate da condizioni di degrado, il piano di lottizzazione convenzionata (PLC) con applicazione limitata alle destinazioni del Piano regolatore generale di nuova previsione, tutti approvati dal Comune ai sensi della L. 10/1977, art. 10. In tal caso il progetto di piano particolareggiato redatto da un tecnico abilitato viene presentato dal privato entro il termine fissato nella autorizzazione o invito espressi dalla Giunta comunale, con successivo inizio di un procedimento per la verifica e l’eventuale approvazione del progetto, con predisposizione dello schema di convenzione urbanistica entro il termine complessivamente previsto per l’istruttoria. Ciò accade prevalentemente in tema di pianificazione di opere pubbliche, in relazione alle quali i piani attuativi si pongono spesso in contrasto con il piano regolatore generale. In assenza di tale previsione, nel silenzio normativo, si conclude per l’illegittimità del provvedimento di adozione di un piano particolareggiato contrastante con il piano regolatore generale, il quale è suscettibile di modifica con le procedure di variante previste dall’ordinamento (così, TAR Umbria, sent. n. 365/2001, in Comuni Italia, 2001, 1568). L’illegittimità deriva dal fatto che, sebbene tanto piano regolatore generale quanto il piano particolareggiato di esecuzione richiedano la votazione del consiglio comunale, il piano particolareggiato non richiede l’approvazione della Regione, cui viene trasmesso solo per conoscenza. Così Cass. pen., sent. n. 4911/2017, con richiamo ai precedenti della giustizia amministrativa Cons. Stato, sent. n. 407/1998 e la più risalente Cons. Stato, sent. n. 330/1982. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 24 AmbienteDiritto - Editore© Una volta adottato, il piano particolareggiato deve trovare attuazione entro il termine massimo di dieci anni, come previsto dall’art. 16 comma 5 della Legge Urbanistica 40, oltre i quali esso decade, perdendo efficacia nella parte non ancora attuata e determinando la riespansione dello ius aedificandi dello strumento urbanistico generale41. La concreta realizzazione degli interventi edificatori richiede inevitabilmente un titolo edilizio c.d. “di terzo livello”42, il quale presuppone non solo di uno strumento urbanistico generale, ma anche uno strumento attuativo ad esso conforme, quale un piano particolareggiato o di lottizzazione, che consenta il rilascio del titolo finale. 2. L’ampia discrezionalità della pubblica amministrazione nell’adozione dei piani particolareggiati. Nell’adozione degli strumenti urbanistici di regolazione per l’ordinato governo del territorio, la Pubblica Amministrazione esercita un ampio potere discrezionale, fondato su apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvi i casi di errori di fatto o abnormi illogicità. Ne deriva che la scelta della destinazione da attribuire ad una determinata area non necessita di apposita motivazione, essendo sufficiente richiamare i criteri generali seguiti nella redazione del piano e di cui alla relazione di accompagnamento del progetto di modifica del piano regolatore generale43. Peraltro, con una delle prime pronunce sul tema del 2020, il Consiglio di Stato ha confermato «l’ampia latitudine della discrezionalità pubblica nel quadro delle scelte di macro-pianificazione del territorio comunale» 44, giungendo sostanzialmente a ritenere sufficiente il richiamo all’intenzione di ridurre il consumo di suolo in aree già fortemente urbanizzate per ritenere integrata la motivazione di supporto al sacrificio degli interessi dei 40 41 42 43 44 Superano tale limite massimo di validità le disposizioni del piano particolareggiato di cui all’art. 17, quali quelle che prescrivano allineamenti fra costruzioni e determinino prescrizioni di zona, che si pongono in questi termini come prescrizioni ultrattive a tempo indeterminato. Di converso, decadono senz’altro i vincoli espropriativi imposti dal piano particolareggiato. Cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. I, n. 2085/2008, in Foro amm., TAR, 2008, 7-8, 2183 ss. È evidente, infatti, che la perdita di efficacia del piano particolareggiato produce la riespansione del piano regolatore generale comunale, senza determinare alcun vuoto di disciplina urbanistica, non integrando il presupposto per l’applicazione della disciplina di salvaguardia di cui all’art. 4 della L. n. 10/1978, come riconosciuto anche dal TAR Lazio, Sezione II, sent. n. 12501/2003, in Foro amm., TAR, 2003, 3545 e dal Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 5456/2003, in Foro amm., CdS, 2003, 2581. Sui diversi livelli dei titoli edilizi si v., ancorché in tema dell’istituto di cui all’art. 23 della citata L. n. 1150/1942, la pronuncia Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 7650/2009. Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 28/2019, ove si legge che «nell’ambito dell’attività amministrativa di pianificazione, la discrezionalità è per sua natura lata; per la programmazione degli assetti del territorio, l’amministrazione gode infatti di un ampio potere discrezionale, per cui l’onere di motivazione in sede di adozione dello strumento, salvo il caso di incidenza su legittime aspettative, è generale e risulta soddisfatto indicando i profili generali e i criteri a base delle scelte effettuate, senza necessità di motivazione puntuale e specifica delle singole scelte in ordine alla destinazione di singole aree o immobili; tali scelte restano naturalmente censurabili per vizi di sproporzione, illogicità, irragionevolezza». Similmente si v. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1119/2018, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4343/2019, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 6050/2019 e Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 6052/2019 (in queste ultime due, in particolare, si legge che le scelte in merito alla «destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso». Cons. Stato, Sez. II, Sent. n. 153/2020. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 25 AmbienteDiritto - Editore© privati proprietari delle aree sottratte all’attività edilizia. Proprio il raffronto tra interessi pubblici e privati nella determinazione delle politiche urbanistiche impone di esercitare la discrezionalità amministrativa avuto sempre riguardo delle aspettative o affidamenti dei privati che si rivelino suscettibili di tutela giuridica, in quanto già oggetto di differenziazione e qualificazione. In particolare, in tema di approvazione dei piani regolatori generali, la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni sottolineato la peculiare ampiezza della discrezionalità concessa all’Amministrazione, nel cui ambito le osservazioni formulate dai proprietari interessati nel corso della procedura di adozione «costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative» 45. Ciò, non solo per effetto dell’esclusione dell’applicazione delle norme in tema di partecipazione ai sensi dell’art. 13 della L. 241/1990, ma anche in ragione dell’esonero di cui all’art. 3 della medesima Legge dal dovere di motivazione per tutti gli atti amministrativi generali, di pianificazione e programmazione, entro cui il piano regolatore deve essere senz’altro ricompreso. A ben guardare, tale amplissima discrezionalità 46, da autorevole dottrina definita persino “estrema”47, non può escludere il dovere della pubblica amministrazione di rispettare i limiti “esterni” imposti dalle previsioni attributive del potere regolatorio, nonché un articolato spettro di limiti “interni” connaturali alla natura pubblica del soggetto e alle posizioni giuridiche soggettive dei controinteressati. Tra questi, si rammentino il dovere costituzionale di buon andamento e di imparzialità che, in tale contesto, postula di far ricorso anche alla discrezionalità tecnica per l’assunzione delle decisioni urbanisticamente coerenti; il principio di ragionevolezza, alla luce del quale il sacrificio delle posizioni giuridiche soggettive deve apparire giustificabile; il principio di proporzionalità del sacrifico richiesto rispetto al fine perseguito48. Ed infatti, la giurisprudenza amministrativa ormai costante riconosce che l’ampia discrezionalità di cui gode la Pubblica Amministrazione nell’adozione delle scelte urbanistiche recepite dal piano regolatore, pur al netto del contenuto minimo essenziale dello stesso individuato nell’art. 7 della Legge Urbanistica, è derogata solo allorquando sussistano 45 46 47 48 Così Cons. Stato, Sez. IV, sent. 2089/2017, ma cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 3643/2016 e Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 874/2017. Sul tema si v., tra i tanti, L. IEVA, Pianificazione del territorio e valutazioni tecniche, in Riv. giur. ed., 2001, 4, 127 ss.; F. G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella giurisprudenza successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, A. M. BALESTRIERI, Discrezionalità amministrativa e pianificazione urbanistica: questioni vecchie e nuove, in Riv. giur. urb., 1989, 23, 269 ss.; L. MAROTTA, Discrezionalità amministrativa e pianificazione urbanistica, Cedam, Padova, 1988; E. GUICCIARDI, Inerzia e discrezionalità, in Giur. It., 1955, III, 103; Così, testualmente, G. GUOZZO, La pianificazione urbanistica: soggetti, contenuti e ambiti applicativi, Giuffrè, Milano, 2012, 66. Per una disamina più completa si rinvia a L. ALBANO, Sanzioni amministrative nel piano regolatore generale, in AA. VV., Sanzioni amministrative in materia urbanistica, Giappichelli, Torino, 2014, 210 ss. Contesta la vera esistenza di limiti nella discrezionalità la dottrina tradizionale più risalente, tra cui, in particolare, A. M. SANDULLI, Conclusioni del Convegno “L’azione amministrativa tra garanzia ed efficienza”, in Probl. Amm. Pubbl., 1981, 1, 171 ss. per cui essi sarebbero, invero, “pressoché inesistenti”. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 26 AmbienteDiritto - Editore© “specifiche situazioni di affidamento del privato a una specifica destinazione del suolo 49. Cionondimeno, la scelta amministrativa nella regolazione urbanistica del territorio è – e rimane al netto dei limiti interni ed esterni sopra richiamati – una scelta discrezionale in senso stretto, che non risulta «il frutto dell’applicazione di regole tecniche, ma è in definitiva espressione del sentire e del volere» della pubblica amministrazione 50, espressa attraverso un atto sostanzialmente “libero” quale il piano regolatore51. Trattandosi di una scelta relativa a un interesse primario, quale l’ordinato assetto del territorio, rimesso direttamente in capo alla amministrazione o comunque soggetta “a scopi così generali e indeterminati da consentire una libertà pressoché illimitata”, essa pare esulare dalla figura della discrezionalità amministrativa tradizionale 52 e mettere in crisi la tradizionale distinzione tra merito e discrezionalità53. Purtuttavia, la giurisprudenza amministrativa è constante nell’esigere che la libera determinazione della programmazione urbanistica e della classificazione di determinate aree debba “essere supportata da una motivazione sufficiente, logica e ragionevole, proprio per evitare che la discrezionalità possa trasmodare 54 nell’arbitrio” . Anche in tema di adozione di piani attuativi di dettaglio, la giurisprudenza amministrativa riconosce tradizionalmente un ampio margine di discrezionalità alla Pubblica Amministrazione. La potestà pianificatoria di dettaglio coinvolge, a ben guardare, non solo gli aspetti tecnici della conformità o meno del piano attuativo al Piano Regolatore e a tutti gli altri strumenti urbanistici di ordine superiore, ma anche la stessa valutazione circa l’opportunità di dare o meno attuazione alle previsioni dello strumento regolatore generale in un determinato momento e contesto socioeconomico. Si tratta del c.d. “qui e ora”, entro il quale deve necessariamente declinarsi la valutazione discrezionale dell’Amministrazione, a cui si riferisce in più occasioni il Consiglio di Stato 55. Il Piano attuativo non può essere inteso come mero titolo edilizio esecutivo, necessitato ex se dall’adozione del piano regolatore. Al contrario, si tratta pur sempre di uno strumento di secondo livello connotato da un’importante natura pianificatoria e, pertanto, atto ancora sostanzialmente discrezionale. Talché, l’approvazione di un piano attuativo non può configurarsi in alcun caso come atto dovuto, né in termini di contenuto, né in termini di tempistiche, nemmeno se esso si presenti in perfetta conformità con 49 50 51 52 53 54 55 Così Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 119/2012 Così D. DE PRETIS, che in Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Cedam, Padova, 2995, 302 s. si spinge a ritenere l’amministrazione e pianificazione del territorio come un’attività in ultima istanza “politica”. I piani regolatori generali sono definiti arditamente «in pratica quasi atti liberi» in F. SATTA, Introduzione ad un corso di diritto amministrativo, Cedam, Padova, 1980, 47. Cfr. P. STELLA RICHTER, Il potere di pianificazione nella legislazione urbanistica, in Riv. giur. ed., 1968, II, 103 ss. Cfr. E. PICOZZA, Il piano regolare generale urbanistico, Cedam, Padova, 1983, 26. Così, su tutte, Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 431/2014. V., oltre alla Cons. Stato, sent. n. 1223/1997 e Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4979/2012, anche la più recente sentenza Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1508/2017. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 27 AmbienteDiritto - Editore© il piano regolatore generale e ne rappresenti la logica conseguenza 56. Al netto di ciò, non può che rilevarsi la minore estensione della discrezionalità in sede di attuazione rispetto a quella in sede di regolazione generale, posto che essa deve essere “declinata in ottica più specifica e operativa” di scelte programmatiche già adottate, «con la conseguente sussistenza di margini discrezionalità che ad essa si correlano»57. Ne discende che l’adozione di uno strumento urbanistico attuativo da parte dell’Amministrazione necessita di una ben più pervasiva ponderazione preventiva dei molteplici e potenzialmente contrapposti interessi privati coinvolti. Ciò posto, al fine di verificare in concreto l’effettiva estensione della libertà della pubblica amministrazione nel rivalutare l’interesse pubblico sotteso alla programmazione dello sviluppo urbanistico ed edilizio di un territorio, occorre interrogarsi circa la natura della posizione giuridica soggettiva del privato proprietario del fondo interessato dal piano particolareggiato. 3. La revoca o modifica in peius dei piani particolareggiati di esecuzione. La notevole discrezionalità amministrativa sottesa all’adozione dei piani particolareggiati, unitamente alla naturale durata pluriennale di tali piani, impone di interrogarsi sui canoni di legittimità della revoca dei medesimi da parte dell’amministrazione comunale. Come noto, l’esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi ampliativi da parte dell’Amministrazione per esigenze di natura pubblicistica sconta un limite esterno nella tutela dell’affidamento legittimo dei destinatari del medesimo 58. La revoca per sopravvenienze o mutata valutazione dell’interesse pubblico originario esprime – e, per certi versi, amplifica – la discrezionalità urbanistiche della per il pubblica corretto amministrazione ed equilibrato nella sviluppo predisposizione delle aree. La delle politiche revocabilità dei provvedimenti particolareggiati, infatti, al pari di quelli generali, può esprimere la mutata connotazione politica della Giunta e del Consiglio Comunale e consentire di conformare il 56 57 58 Tale principio, oltre che nelle sentenze citate nella nota precedente, trova solida eco nella giurisprudenza di merito, tra cui si v. TAR Liguria, sent. n. 886/2016 e TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 23/2016. Similmente, in tema di adozione del piano di lottizzazione, il TAR Lombardia, Brescia, con sentenza n. 480/2007 ha affermato che «l’affidamento ingenerato nel lottizzante in virtù dell'adozione del progetto [di lottizzazione] non osta al diniego di approvazione assunto sulla base di una nuova e più approfondita analisi delle circostanze preesistenti, dando atto delle ragioni di tale scelta». Similmente TAR Lombardia, Milano, n. 2429/2003. Così TAR Lombardia, Brescia, sent. 3 gennaio 2019, n. 5. Il Tribunale ricorda che «che in sede di approvazione di un piano attuativo all’Amministrazione comunale spetta un’ampia discrezionalità valutativa, che non verte solo sugli aspetti tecnici della conformità o meno del piano attuativo agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma coinvolge anche l’opportunità di dare attuazione, in un certo momento e a determinate condizioni, alle previsioni dello strumento urbanistico generale, sussistendo fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza». Si tratta di una pronuncia perfettamente conforme alle recenti TAR Lombardia, Milano, sent. n. 1022/2019 e a TAR Lombardia, Milano, sent. n. 222/2019. Per ragioni di brevità si tralascerà l’esame dei piani particolareggiati frutto di convenzione urbanistica, la quale, «anche se istituto di complessa ricostruzione a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento chiaramente contrattuale, rappresenta pur sempre un incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile» (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 2313/2015). ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 28 AmbienteDiritto - Editore© governo del territorio dell’ente locale alla mutata sensibilità, anche retroattivamente, revocando provvedimenti già approvati. D’altronde, come detto in apertura, il principio di sussidiarietà impone di individuare nel Comune – alla luce della sua nuova centralità, cristallizzata dalla citata novella dell’art. 118 Cost. – il fulcro della funzione amministrativa e della determinazione delle politiche urbanistiche, che costituisce una delle sfere di competenza più ampie e importanti ad esso affidate dall’ordinamento. Ne deriva che la tradizionale alternanza politica nella guida dell’ente locale non può non ripercuotersi su atti di programma di lunga durata, eventualmente già adottati dalle precedenti amministrazioni, compresi, in particolare, il piano regolatore e i piani attuativi. Tale facoltà di modifica o revoca deve, però, confrontarsi imprescindibilmente con la posizione del privato. L’approvazione dell’atto amministrativo di attuazione, che pure non si configura originariamente come atto dovuto, attribuisce ai proprietari delle aree interessate nuove potenzialità edificatorie, con conseguente insorgenza di un’aspettativa di poter ottenere i titoli edilizi di terzo livello per realizzare le opere di riqualificazione, in conformità a quanto ivi rappresentato e sino alla scadenza dello stesso. Tale aspettativa, senz’altro legittima e meritevole di tutela sub specie di interesse legittimo, stante l’indubbia differenziazione e qualificazione della posizione giuridica del consociato proprietario delle aree, costituisce un limite al successivo esercizio del potere amministrativo. Pertanto, la revoca e la modifica in peius del piano particolareggiato sono ammesse solo allorquando l’interesse pubblicistico concreto e attuale giustifichi il ritiro e il conseguente sacrificio all’affidamento ingenerato nel privato. In questi termini, l’affidamento legittimo non osta certo all’adozione di provvedimenti di revoca, ma impone una motivazione rafforzata che compendi l’interesse privato con la posizione giuridica soggettiva del privato controinteressato. Sul punto, un’interessante sentenza del TAR del Veneto ha escluso che un mero ripensamento, non assistito da una puntuale rivalutazione degli interessi coinvolti possa giustificare un provvedimento di revoca, in quanto sostanzialmente «incompatibile con l’efficacia predeterminata del piano attuativo (che altrimenti verrebbe privata di ogni vincolatività)». Ai fini della legittimità del provvedimento revocatorio occorre, pertanto, non solo l’attualità dell’interesse collettivo alla rimozione del Piano, ma anche l’evidenza della ponderazione dello stesso con le posizioni giuridiche di vantaggio vantate dai soggetti privati controinteressati, dalla quale deve emergere la chiara prevalenza dell’interesse collettivo su quello dei privati. L’evidenza di tale ragionamento nella motivazione si configura come ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 29 AmbienteDiritto - Editore© «elemento strutturale del provvedimento di revoca»59, la cui assenza, lungi da configurare un mero vizio di merito60, inficia inevitabilmente la legittimità dell’atto 61. È del tutto evidente, poi, che l’inizio dell’esecuzione delle opere previste nel Piano particolareggiato ovvero l’acquisto di un terreno oggetto di quest’ultimo, espongano il privato non solo ad un sacrificio della propria aspettativa legittima ancor più marcato, ma anche a danni economici emergenti in modo immediato in conseguenza della revoca del provvedimento62. Nella ponderazione degli interessi coinvolti per la revoca in una fase tanto avanzata, la Pubblica Amministrazione non potrà omettere, per le ragioni suesposte, la valutazione degli obblighi connessi al pagamento degli indennizzi e l’assunzione di eventuali obbligazioni con terzi in relazione alle opere oggetto del piano particolareggiato di esecuzione. Ciò consente di comprendere le ragioni per le quali la giurisprudenza di merito insista nel richiedere che il privato sia reso partecipe, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/1990, nei procedimenti di revoca o modifica in peius dei piani particolareggiati. Infatti, mentre è pressoché pacifica l’esclusione della comunicazione di avvio del procedimento di adozione e approvazione del piano particolareggiato, in ragione della sua natura di atto a contenuto generale al pari del piano regolatore e dell’art. 13 della medesima Legge 63, non può negarsi l’effetto pregiudizievole imposto al privato per effetto della revoca dello stesso. Effetto che, in quanto 59 60 61 62 63 tale, giustificherebbe un diverso regime di coinvolgimento del privato nel TAR Veneto, sent. n. 1089/2013, avente ad oggetto la revoca di un Piano Particolareggiato per un generico ripensamento solo in apparenza motivato con un prevalente interesse pubblico, valutato dal Tribunale non specificatamente e debitamente preso in considerazione. In particolare, «la delibera di revoca impugnata si basa, in sostanza, sulle seguenti considerazioni: a) la sopravvenuta incompatibilità del rilevante volume edificabile previsto con l’attuale andamento del mercato immobiliare nel periodo di crisi economica; b) la negativa incidenza di tale nuova cubatura sulle caratteristiche del borgo medievale di Portobuffolè; c) la necessità di riconsiderare urbanisticamente l’ambito in oggetto in funzione delle linee di sviluppo che verranno stabilite in sede di redazione del P.A.T.I. Ebbene, è evidente che tali generiche indicazioni non sono sufficienti ad integrare quegli interessi pubblici concreti ed attuali che possono legittimare la rimozione del piano attuativo. Né il riferimento alla crisi economica generale, che riguarda l’intero Paese, che può al massimo incidere sugli interessi economici dei proprietari interessati al Piano, e che, di per sé, non impedisce la possibilità del verificarsi di condizioni favorevoli per l’attuazione del Piano entro il suo periodo decennale di efficacia. Né l’esigenza di conservare le caratteristiche tipiche del borgo medievale, trattandosi di una considerazione generica, ed assumendo in tal caso la scelta della revoca le caratteristiche di un semplice ripensamento, nella fattispecie incompatibile con l’efficacia predeterminata del piano attuativo (che altrimenti verrebbe privata di ogni vincolatività). Infine, il terzo elemento indicato nella motivazione rivela piuttosto come non vi sia attualmente, non solo alcuna sopravvenuta incompatibilità del Piano attuativo con la pianificazione di livello superiore, ma nemmeno alcun sopravvenuto motivo di pubblico interesse, essendo stato operato un generico richiamo alle diverse valutazioni che potrebbero essere compiute dal P.A.T.I. ancora “in fase di studio”. Pertanto, le indicazioni contenute nell’atto gravato, lungi dal concretizzare la motivazione necessaria, evidenziano la carenza dell’elemento strutturale del provvedimento di revoca, ossia l’indicazione dell’attualità dell’interesse alla rimozione». In quanto, come si legge anche nella sentenza di cui alla nota precedente, la Pubblica Amministrazione è e rimane unica «arbitra della destinazione urbanistica da imprimere alle aree comprese nel territorio comunale», senza che ciò possa tradursi, come si è ormai chiarito, in arbitrio sottratto a limiti di sorta. Sul tema della motivazione e della necessità di un’approfondita istruttoria a supporto della revoca di un piano particolareggiato – nella specie un piano integrato di interventi –si v. la recente TAR Lazio, sent. n. 8124/2019. Senza considerare i pregiudizi derivanti a terzi in forza di contratti già stipulati. All’uopo, giova rilevare incidentalmente che, in tema di annullamento del piano attuativo, il Consiglio di Stato, con sent. n. 2275/2011, non ha riconosciuto la legittimazione ad agire al terzo titolare di contratto preliminare per l’acquisto degli immobili o delle aree, salvo il caso che il contratto preliminare abbia effetti anticipati o sia previsto espressamente il conferimento della titolarità di un diritto, reale o di obbligazione. V. sul punto TAR Sardegna, Cagliari, sentenza n. 1022/2006; TAR Campania, Napoli, sentenza n. 20689/2005. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 30 AmbienteDiritto - Editore© procedimento, ricondotto dai Tribunali Amministrativi Regionali ora all’istituto della comunicazione di cui all’art. 7 L. n. 241/1990 64, ora alla mera ripubblicazione del Piano oggetto di modifica65, al fine di consentire al privato interessato di fornire osservazioni e memorie idonee a incidere sulle determinazioni della Pubblica Amministrazione in merito all’opportunità e legittimità della modifica. Ciò, anche al fine di rispettare quella necessaria pienezza del contemperamento di interessi privati coinvolti dalla revoca o dalla modifica, indispensabile per esercitare una così delicata discrezionalità. Ne deriva un quadro normativo complesso, che vincola la discrezionalità non solo nell’adozione, ma anche nella modifica dei piani attuativi e particolareggiati, entro confini ben definiti, ulteriormente consolidati dallo stimolo al contraddittorio proprio di tali istituti, senza dimenticare la loro natura di strumenti regolatori urbanistici di secondo livello e non già di titoli edilizi. 4. La scure della responsabilità penale. Conclusioni. In conclusione, non si può non rilevare che il tema della ponderazione degli interessi pubblici, specie se riferito all’ipotesi di revoca di provvedimenti amministrativi ampliativi, è tradizionalmente foriero di contenziosi amministrativi, in grado di sfociare, nelle ipotesi più gravi, in contestazioni di illeciti di natura penale. La difficoltà di comprendere appieno i confini dell’imparzialità, intesa come ragionevolezza, non arbitrarietà e non anche necessariamente come totale apolicità66, espone non di rado l’agente – specialmente il sindaco e il responsabile unico del procedimento di revoca o modifica – a contestazioni di condotte asseritamente preordinate a danneggiare il privato proprietario delle aree oggetto del piano particolareggiato o favorire altri. L’astratta ascrivibilità di una simile condotta nella fattispecie di abuso di ufficio ex art. 323 c.p., impone al penalista di ben conoscere i canoni della discrezionalità amministrativa nella revoca del piano particolareggiato, essendo richiesto che la condotta dell’agente pubblico sia contra legem per poter ritenere sussistente sul piano oggettivo il reato. La violazione di norme di legge o di regolamento in tema di esercizio della discrezionalità amministrativa nella programmazione urbanistica diviene, infatti, presupposto della condotta di reato, che il giudice penale è tenuto ad accertare. Nell’ambito di una tanto estesa discrezionalità, l’abuso nella revoca o nella modifica in peius di un piano particolareggiato di esecuzione potrebbe concretizzarsi in un tentativo del pubblico ufficiale di violare le norme in materia urbanistica e di esercizio del potere discrezionale al fine di procurare intenzionalmente a sé o ad altri controinteressati un ingiusto profitto ovvero danneggiare direttamente il soggetto titolato a dar 64 65 66 V. TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1090/2003. TAR, Trentino-Alto Adige, Trento, sentenza n. 204/2005. Cfr. i classici studi di S. CASSESE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, Giuffrè, Milano, 1973, 30 ss. e A. CERRI, Imparzialità ed indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Cedam, Padova, 1973, 83 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 31 AmbienteDiritto - Editore© attuazione al piano particolareggiato. Si tratta, a ben guardare, di ipotesi limite, specie se si considera che l’ampiezza della discrezionalità nella comparazione di interessi difficilmente consente di integrare il presupposto della violazione di legge o regolamento, rendendo frequentemente non necessario il susseguente accertamento dell’elemento soggettivo del dolo specifico, in quanto il fatto non sussiste. Tuttavia, residua senz’altro l’ipotesi di conflitto di interesse e di totale omissione della comparazione dell’interesse collettivo con quello del privato in sede di revoca o modifica restrittiva del piano particolareggiato, idoneo ad integrare non solo l’illegittimità del provvedimento di revoca, ma anche il reato di abuso di ufficio ove sussista la prova della volontà dell’agente di favorire sé od altri, ovvero di danneggiare il privato interessato all’esecuzione. Ben diverso e assai più frequente è il caso dell’abuso di ufficio concretizzatosi nell’omesso annullamento in autotutela di un titolo edilizio rilasciato in assenza dei presupposti di legge, come ben specificato dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4140/2018. Infatti, l’omessa adozione di un provvedimento di ritiro o il rilascio di una sanatoria in assenza dei presupposti normativi sono senz’altro idonei a costituire un vantaggio patrimoniale ingiusto nei confronti del privato, consistente nella conservazione di un titolo edilizio indebitamente conseguito, con conservazione del manufatto eventualmente già realizzato. Nel caso de quo, invece, in capo all’agente non sorge alcun obbligo a provvedere alla revoca o alla modifica restrittiva del piano particolareggiato, essendo tale esito solo eventuale e rimesso alla sua discrezionalità ampia nella valutazione dell’interesse collettivo la quale, se ben esercitata, non fa sorgere alcuna responsabilità penale in capo al medesimo. Né potrebbe ragionevolmente affermarsi la sussistenza di un obbligo dell’agente pubblico di procedere alla costante rivalutazione dell’interesse collettivo nel dare esecuzione a un piano particolareggiato che sia ancora in vigore, dovendosi presumere, sino a prova contraria o al significativo mutamento di circostanze, che l’interesse collettivo all’esecuzione del piano persista per tutta la durata pluriennale del piano. L’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nella determinazione dello sviluppo urbanistico di un territorio è tale da ammettere la revocabilità di piani di attuazione del piano regolatore, con sacrificio degli interessi dei privati. Tuttavia, le insidie insite nell’esercizio di un tanto ampio potere di determinazione dello sviluppo urbanistico, comprensivo del potere di revoca dei piani attuativi già adottati, tanto significative da imporre all’Amministrazione il più ampio confronto con gli interessati e il più completo contemperamento dei consolidati interessi contrapposti. Ciò, anche al fine di scongiurare l’insorgenza di un contenzioso che, nelle ipotesi più gravi, può financo esorbitare dai confini della giustizia amministrativa. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 32 AmbienteDiritto - Editore© IL COORDINAMENTO TRA ATTIVITÀ EDILIZIA ED I VINCOLI PAESAGGISTICI ED AMBIENTALI NEL RECENTE CONTESTO D’EMERGENZA Alfredo Morrone SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Tutela del paesaggio e programmazione urbanistica. 3. Disciplina edilizia e vincoli ambientali. 4. Il difficile coordinamento fra la disciplina degli usi civici e le competenze in materia di paesaggio e ambiente. 5. Emergenza e attività edilizia funzionale alla ricostruzione. 6. Conclusioni. 1. Introduzione. Le profonde modificazioni territoriali dovute ad eventi imprevedibili, impongono la necessità di provvedere ad una complessiva ridefinizione dell’assetto urbanistico del territorio, che deve essere affrontato con specifiche ed adeguate analisi che partano dalla conoscenza del territorio con studi multidisciplinari, onde creare nuovi strumenti di pianificazione. Ciò viene rafforzato dagli interventi che sono avvenuti in momenti di modificazione repentina dell’assetto del territorio, che hanno portato l’urbanistica nel corso del Novecento ad una impressionante serie di trasformazioni proprio a causa delle emergenze, che spesso intervengono con l’assenza di percorsi disciplinari. Sin dal 196067 si sono susseguiti eventi sismici e crolli infrastrutturali che hanno comportato 67 Giova ricordare, a tal proposito, quanto susseguitosi durante il decennio che va dal 1962 al 1972: un periodo che si è caratterizzato per un’accentuata speculazione fondiaria ed edilizia. A fornire l’immagine di quanto appena descritto è proprio un’opera cinematografica di Francesco Rosi << Le mani sulla città>> dalla quale si evince la tensione emotiva e sociale di quegli anni e la frana di Agrigento del 1966 ne è ancora oggi il simbolo più drammatico. Il 19 luglio 1966 franò l'estremità occidentale della città di Agrigento, le abitazioni della zona colpita vennero rase al suolo e migliaia di persone vennero costrette ad abbandonare le proprie case. Da quel momento inizia un lento e, a dir poco, inefficiente percorso di recupero urbanistico-edilizio sfociato nella cosiddetta Legge Ponte. Nella Relazione Parlamentare della IV Legislatura del 19 Luglio 1966 si percepisce un forte sollecito di intervento da parte del Parlamento nei confronti del Governo affinché quest’ultimo adottasse i provvedimenti d’urgenza necessari. Sin da quella data, dunque, si susseguirono numerosi dibattiti presso il Parlamento e l’Assemblea Regionale Siciliana circa le cause – riconducibili a fattori naturali oppure all’intervento umano ed in particolare all’attività edilizia del disastro – nonché riguardo alle ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 33 AmbienteDiritto - Editore© gravi conseguenze in termini socio-economici (declini demografici, livelli di disoccupazione, ecc.). Tale difficile contesto viene spesso causato da variabili dipendenti dall’assenza di coordinamento degli strumenti di programmazione quali piani regolatori, piani strategici, programmi integrati. In un’era in cui veementi eventi ambientali comportano una rilevante distruzione del territorio, l’intervento strategico della pubblica amministrazione deve essere altrettanto corposo. E, per fare ciò, il primo strumento di intervento che necessita di correlate responsabilità – di natura meramente amministrativa o anche politica ovvero confinate a livello locale o più estese generalizzate, quindi in sostanza sfuggenti, o ben individuabili e dunque perseguibili. Più precisamente, alcuni punti fermi vennero fissati dalla Commissione Martuscelli che l’8 ottobre 1966 consegnò al Ministro Mancini una lunga a dettagliata relazione sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento. La relazione ricostruiva lo sviluppo della città a partire dalla fine della guerra, rilevando una serie di aspetti fortemente problematici. Si rilevava, ad esempio, il fatto che si era costruito spasmodicamente e male. Il patrimonio edilizio era cresciuto ben più della popolazione – tra il 1951 e il 1965 gli aumenti registrati erano stati rispettivamente del 118% e del 20% - ma ciò non aveva risolto i problemi abitativi a causa di un’ evidente ‘’ distorsione fra domanda e offerta sul mercato edilizio’’ poiché gli alloggi costruiti non rispondevano alle esigenze delle fasce sociali che avevano maggiormente bisogno di casa, ossia le famiglie a basso reddito che vivevano in condizioni di sovraffollamento. I costruttori, inoltre, avevano sfruttato al massimo le aree disponibili e avevano creato i presupposti per il successivo smottamento ‘’ intaccando le falde della rupe singolarmente, con opere inadeguate di consolidamento, senza provvedere alla regolazione del deflusso delle acque di superficie, oltre che degli scarichi delle acque luride, senza preoccuparsi di sistemare il terreno sconvolto dalle opere’’. Si contavano, infatti, numerosi edifici totalmente o parzialmente abusivi. Si notava, inoltre, che così ferma e così generalizzata era la convinzione dei costruttori che le opere non a norma sarebbero state tollerate e poi sanate. Aldilà delle criticità emerse anche con riguardo a tutto il territorio siciliano ed alle rispettive costruzioni, non mancò l’attenzione governativa e parlamentare che continuò ad elaborare progetti che giunsero all’approdo delle Legge Ponte 6 agosto 1967, n. 765 la quale apportò modifiche alla Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. La Legge Ponte trovò la luce grazie all’iniziativa del ministro, socialista, dei lavori pubblici Giacomo Mancini, che avrebbe dovuto poi essere superata da una disciplina organica in materia. La cosiddetta Legge Ponte intendeva sollecitare la formazione ed approvazione degli strumenti urbanistici comunali ed assicurare che tali strumenti venissero formati in modo rispondente all’interesse generale ed alla normativa urbanistica, dal momento che sino a quel momento pareva che fosse stata largamente e frequentemente violata. La legge in discorso, in buona sostanza, si proponeva di agire, in modo determinante, sulle componenti causali del disordine urbanistico registrato del quale erano causa la carenza di regolamentazione urbanistica, la frequente non rispondenza degli strumenti ai criteri di una sana e corretta disciplina del territorio e infine la generale inosservanza della normativa esistente. Per raggiungere le finalità suindicate la legge prevedeva, tra le altre cose: la fissazione di termini perentori per gli adempimenti di competenza comunale; l’esercizio dei poteri sostitutivi degli organi statali nel caso di inadempienza del Comune, perdurante anche dopo l’invito a provvedere rivolto dal prefetto al consiglio comunale e la disciplina dei poteri dell’amministrazione statale di introdurre modifiche di ufficio nei progetti comunali, con la rigorosa determinazione dei limiti di tali poteri. Anche il meccanismo sanzionatorio veniva rafforzato mediante un potenziamento delle sanzioni penali ed amministrative, nonché la previsione di sanzioni pecuniarie e fiscali a carico dei trasgressori. Tuttavia, non può sottacersi la singolarità del fenomeno che vede la crisi del concetto di centro storico proprio nel momento in cui ad occuparsi della materia è proprio la disciplina urbanistica. L’art. 17, Legge 6 agosto 1967, n. 765 e il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che, nel fornire, una definizione di centro storico nella prospettiva urbanistica, fa leva sul valore culturale riferendolo a << agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale >>. L’evidente genericità della disposizione legislativa, oltre all’estensione operata dal d.m. 144/68, che includeva oltre all’agglomerato urbano di origine antica e dotato di rilievo storico-artistico-ambientale, anche le aree circostanti << che possono considerarsi parte integrante degli agglomerati stessi >>, ha generato, a suo tempo, un’interpretazione estensiva, e per molti versi, flessibile secondo cui la delimitazione e l’individuazione ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 34 AmbienteDiritto - Editore© particolare attenzione è rappresentato dai piani regolatori comunali ai quali viene demandato il compito di disciplinare l'utilizzo e la trasformazione del territorio comunale e delle relative risorse. In sostanza, il piano regolatore generale comunale (PRG), dopo aver suddiviso il territorio comunale in zone omogenee (cosiddetta zonizzazione) deve individuare, per ciascuna di esse, le varie attività insediabili, in base a criteri e parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale (attività edificatoria a fini abitativi, industriale, agricola, ecc.). Inoltre, per spirito di completezza, si aggiunga che il piano individua, mediante la cosiddetta localizzazione poi le aree destinate a edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico. Tale strumento fondamentale, inserendosi in un sistema articolato ‘a cascata’ di strumenti di pianificazione, è condizionato a monte dal piano territoriale di coordinamento provinciale, dai piani paesistici e dai piani urbanistico-territoriali previsti dalla normativa di valori paesistici e ambientali. Da esso deriva un effetto dirompente che è quello conformativo dal quale scaturiscono vincoli particolari permanenti incidenti su beni determinati che andranno a determinare effetti sostanzialmente espropriativi e ablatori68. 2. Tutela del paesaggio e programmazione urbanistica. Tale premessa deve essere contestualizzata all’interno del quadro giuridico di riferimento che risulta essere costellato da svariate norme a monte delle quali si colloca la Costituzione. Come noto, infatti, l’art. 9, comma 2 Cost. pone fra i compiti della Repubblica ‘’la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione’’. La formula costituzionale parla di ‘’paesaggio’’. Esso viene differenziato, dal punto di vista della nozione, dal patrimonio storico e artistico, pur dettando per l’uno e 68 del perimetro di un centro storico, diventa vera e propria scelta urbanistica. Ad ogni modo, la legge Ponte ha inteso rafforzare la forza dei pubblici poteri – soprattutto a livello degli enti locali – con la decisa volontà di superamento della situazione di noncuranza nella formazione degli strumenti urbanistici. Il tutto, coordinato dal fatto che ratio della norma era quella di ‘’agevolare lo sviluppo dell’attività edilizia, anche in relazione alle previsioni del programma economico nazionale ed alla necessità di predisporre le condizioni indispensabili per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo indicati dal piano, che riguardano tanto la edilizia abitativa quanto quella di carattere sociale e le opere infrastrutturali’’. Per un maggiore approfondimento sul punto si vedano A. MORRONE, Il diritto nelle città e nei centri storici , Introduzione, Jovene, 2016; A.PREDIERI, l’espropriazione di immobili nei centri storici per l’edilizia residenziale pubblica secondo la Legge n. 865 del 1971. Canoni interpretativi della semantica giuridica delle norme vigenti e prospettive di normazioni regionali , in Foro amm., 1972, Fasc. 3, p. 62; F. FELIS, Superficie e fattispecie atipiche. La cessione di cubatura , in Contratto e impresa, Fasc. 3, 2011, p. 632 ss. Per un maggiore approfondimento circa le caratteristiche e i limiti del piano regolatore generale si vedano F. CARINGELLA, Manuale operativo dell'edilizia e dell'urbanistica, Dike, 2017, p. 120 ss.; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, 2016, p. 320 ss.; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2014, p. 270 ss.; ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 35 AmbienteDiritto - Editore© per l’altro la stessa disciplina. La parola paesaggio non indica solo il paesaggio naturale, o agricolo, rurale, o, residualmente, non urbano, ma indica anche quello urbano. Il termine paesaggio non coincide neppure con la locuzione ‘’ bellezze naturali’’, impiegata dal legislatore italiano nella legge 29 giugno 1939, n. 1497, e già in precedenza nella legge 11 giugno 1922, n. 778. Questo gruppo di parole ha un significato più ampio di quanto potrebbe apparire considerando l’espressione in sé, o il solo titolo della legge ricordata. Il referente del titolo deve risultare dall’interpretazione del contesto normativo di cui lo stesso titolo fa parte. La protezione posta dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, non è limitata alle porzioni di territorio di particolare pregio perché contengono forme naturali, prodottesi spontaneamente, senza l’intervento dell’uomo69. La tutela si estende anche a quelle il cui valore estetico è ravvisato esclusivamente nell’opera dell’uomo inserita in un ambiente. Pur così ampliata, la nozione di bellezza naturale non abbraccia il campo ben più ampio della nozione di paesaggio. In quest’ultima nozione è contenuta la prima (quella di bellezze naturali) in quanto le ‘’bellezze’’ fanno sempre parte del paesaggio. Pertanto, ad esse deve applicarsi la normativa sul paesaggio. Non sarebbe esatta, invece, l’affermazione inversa che al paesaggio debba applicarsi la disciplina delle bellezze naturali70. Il termine paesaggio non indica solo quelle cose immobili che secondo una locuzione riassuntiva impiegata nella legislazione speciale antecedente all’entrata in vigore della Costituzione vengono denominate bellezze naturali, ma indica la forma del Paese nella sua interezza. Correlativamente, la tutela del paesaggio non può essere limitata alla protezione di quelle bellezze, né tanto meno alla loro semplice conservazione. Questa conservazione o salvaguardia o difesa potrà essere uno dei mezzi con cui viene attuata l’azione di tutela, in riferimento a talune cose per le quali è reputato necessario il mantenimento delle condizioni attuali dello statu quo. Ma la tutela del paesaggio si estende oltre la conservazione delle bellezze naturali in due direzioni 71. Nella prima, il paesaggio come forma sensibile dell’ambiente investe non solo le bellezze con riferimento a criteri estetici, ma ogni preesistenza naturale, l’intero territorio, la flora e la fauna, in quanto concorrono a costituire l’ambiente in cui vive ed agisce l’uomo. 69 70 71 Cfr. F. MERUSI, Commento all’art. 9 della Costituzione, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, p. 434 ss. A. MORRONE, Elementi di diritto dei beni culturali e del paesaggio, Giuffrè, 2014, p. 223 ss.; si veda anche S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Editori Laterza, 2010, p. 4 ss. Cfr. A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio in Studi per il XX Anniversario dell’Assemblea Costituente, vol. II, Le libertà civili e politiche, Firenze: Vallecchi, 1969, pp. 381-428 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 36 AmbienteDiritto - Editore© Nella seconda, e più ricca di complicazioni e conseguenze, la tutela del paesaggio come forma del Paese, plasmata dall’azione della comunità, che investe ogni intervento umano che operi nel divenire del paesaggio, qualunque possa essere l’area in cui viene svolto. Se il paesaggio è dinamicamente inteso come continua modificazione della natura e delle precedenti opere dell’uomo, la tutela del paesaggio consiste nel controllo e nella direzione degli interventi della comunità sul territorio che agiscono sul paesaggio72. Questa tutela avrà lo scopo di assicurare un’ordinata mutazione dell’ambiente, perché non venga distrutto, anche se non può essere sottratto – nella sua interezza – ai mutamenti che l’opera dell’uomo necessariamente vi apporta. Esso deve essere razionalmente curato e sviluppato per consentirne la trasmissione alle future generazioni, per usarlo nel quadro dei fini fondamentali posti dalla Costituzione, per cercare di migliorare il rapporto fra uomo e ambiente, per migliorare in tal modo la convivenza della comunità umana insediata nel territorio 73. Ne deriva la necessità di un’azione che, con scelte e determinazioni puntuali, assunte da poteri pubblici ai quali è deferita la tutela – e sottratte ai soggetti (privati o pubblici) proprietari dei beni – coordini la conservazione e la trasformazione. All’interno del perimetro del termine ‘paesaggio’ potrebbero rientrare anche i centri storici. Bisogna evidenziare come la tradizione legislativa di tutela dei beni paesaggistici non ha incluso i centri storici tra i beni soggetti a tutela paesistica. A partire dalla Legge Galasso, infatti, i centri storici non venivano contemplati tra le bellezze naturali soggette a vincolo paesaggistico-ambientale. Neppure il codice dei beni culturali e del paesaggio, originariamente, tendeva a prevedere una tutela per gli strumenti finalizzati allo sviluppo dei centri storici. Tuttavia, il Legislatore ha previsto un percorso alternativo volto a tutelare in via ‘mediata’ i centri storici: si fa riferimento alle attività di valorizzazione dei beni culturali. In particolare l’art. 10, comma 4, lett. g) considera come beni culturali ‘’gli spazi aperti urbani di interesse artistico o storico ’’. Il centro storico può rientrare a pieno titolo in questa definizione. In seguito alle modifiche al Codice dei beni culturali, apportate dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 l’assetto delle competenze relative alla tutela paesaggistica è stato modificato. La nuova stesura dell’art. 136, comma 1, lett. c) prevede, tra i complessi di cose immobili aventi valore 72 73 Cfr. S. AMOROSINO, Le semplificazioni in materia edilizia e paesaggistica: due parallele finora asimmetriche, in Rivista giuridica di urbanistica, 2014, Fasc. 3-4, pt. 1, pp. 361-367. Si veda anche E. BOSCOLO, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a stati’ , in Rivista Giuridica dell’Urbanistica, Fasc. 1-2, pp. 57-77. Cfr. MARIA A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Giuffrè, 2006, p. 157 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 37 AmbienteDiritto - Editore© estetico e tradizionale, i centri ed i nuclei storici. La dichiarazione di notevole interesse pubblico per questi ultimi, rientra nella sfera di competenza di apposite commissioni che vengono istituite dalle Regioni: di tali commissioni fanno parte il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio ed il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio, nonché due responsabili preposti agli uffici regionali competenti in materia di paesaggio; i restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono nominati dalla regione tra soggetti con qualificata, documentata e pluriennale professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio. Il Legislatore, dunque, ha inteso disciplinare nel Codice dei beni culturali e del paesaggio – riprendendo i principi già presenti nel Testo Unico del 1959 – una tutela indiretta per i nuclei storici74. È possibile apporre un peculiare regime vincolistico definito ‘’vincolo indiretto’’ il quale consente di garantire un migliore e/o piena fruizione dell’immobile principale, assicurandone anche la tutela, appunto, indiretta: ad esempio preservando le condizioni ambientali nell’area intorno all’immobile, inevitabili riflessi sul territorio urbano a rilevanza storica. Occorre, per ragioni intrinseche alla conformazione dei centri storici, individuare il limite che si pone tra gli interessi pubblici perseguiti – che in tal caso sono quelli di tutelare il patrimonio artistico e storico nonché quello di non danneggiare la prospettiva e la luce ovvero alterare le condizioni di ambiente e di decoro – e le posizioni dei privati proprietari degli immobili delle aree contigue ai centri storici. Si badi, a tal proposito, a quanto previsto dall’articolo 45 del Codice 42/2004 che stabilisce che il Ministero ha la facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità delle cose immobili soggette alla tutela artistica e storica, che ne sia danneggiata la prospettiva e la luce o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Si pone, pertanto, un problema di individuazione dei limiti al potere discrezionale della pubblica amministrazione rispetto all’apposizione del vincolo c.d. indiretto: quest’ultimo rientra nella categoria generale dei limiti legali che possono essere frapposti al libero esercizio di un tipico diritto soggettivo assoluto, quale il diritto di proprietà. Tale limite opererà come strumento di definizione in negativo del conteuto del diritto. Nel caso dei centri storici, la salvaguardia del godimento da parte del pubblico dei beni che ne fanno parte deve essere particolarmente accentuata; da ciò ne deriva il fatto che i privati non 74 Cfr. A. MORRONE, Il diritto nelle città e nei centri storici, Jovene, 2016, p. 74 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 38 AmbienteDiritto - Editore© avranno diritto a somme a titolo di indennizzo, dal momento che il c.d. vincolo indiretto rappresenta un vero e proprio limite legale. I centri storici oggi, dunque, ricevono una immediata tutela nell’articolo 9 Cost. e possono essere considerati parte integrante dell’ambiente e, in quanto tali, devono essere considerati in sede di pianificazione territoriale. Si tenga presente che anche secondo la disciplina europea ed internazionale, il patrimonio storico ed archeologico è meritevole di tutela giuridica: si pensi, ad esempio, alla Carta di Venezia, alla Carta di Atene che prevedono una serie di interventi sia a livello urbanistico sia a livello edilizio indirizzati alla tutela del patrimonio storico. D’altro canto, l’interesse alla tutela di un centro storico può divenire una questione di rilevanza internazionale, al fine di contribuire ad un miglioramento globale delle condizioni ambientali e di vita dei centri urbani75. Volendo approfondire l’importanza della tutela che il legislatore nazionale ha riconosciuto al paesaggio, sovviene l’esigenza di ricordare una norma di portata internazionale: si fa riferimento all’art. 132 del Codice del 2004 il quale dispone, al primo comma, che ‘’La Repubblica si conforma agli obblighi ed ai principi di cooperazione tra gli Stati fissati dalle convenzioni internazionali in materia di conservazione e valorizzazione del paesaggio ’’. Il successivo comma secondo richiama, in particolare, la Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000, in applicazione della quale, in conformità ai principi costituzionali, si deve stabilire ‘’la ripartizione delle competenze in materia di paesaggio ’’. I primi tentativi di elaborazione della nozione di ‘paesaggio’ si possono rinvenire tra autori come Predieri che lo descrive come ‘’un fatto fisico, oggettivo ma, al tempo stesso, un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà o dato immobile; è il modo di essere del territorio nella sua percezione visibile ’’. Il paesaggio è, dunque, ‘’la forma del territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo’’. La nozione di ‘beni ambientali’ è stata introdotta all’interno del nostro ordinamento con il decreto legge 14 dicembre 1974 n. 657, istitutivo dell’allora Ministero per i beni culturali e l’ambiente, che disponeva di un ufficio apposito, destinato ai beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici. Qualche anno dopo, il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, attuativo della delega di cui alla legge 382/1975 sull’ordinamento regionale, 75 Cfr. A. MORRONE, Il diritto nelle città e nei centri storici, p. 105 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 39 AmbienteDiritto - Editore© introduceva una nozione più ampia di paesaggio, che spaziava dall’ambiente, considerato in senso stretto, al governo del territorio/urbanistica. L’attività normativa del legislatore degli anni ’70 era, però, ispirata da una visione prettamente urbanistica del paesaggio. In realtà, la locuzione ‘’paesaggio’’ ha nella cultura contemporanea una molteplicità di significati, che è la risultante di un processo che, nel tempo, ha visto aggiungersi e stratificarsi le molteplici angolazioni da cui viene analizzato. Il paesaggio può essere considerato come storia, come spazio – fisico ed economico – come arte e come percezione. Si deve tenere anche presente il fatto che la nozione di ‘paesaggio’ deve essere tenuta distinta da quelle di ‘ambiente’, ‘urbanistica’ o ‘governo del territorio’, ambiti dai quali certamente il giurista può attingere elementi ed informazioni, ma non esaurire in essi le proprie ricerche 76. Il paesaggio attiene, piuttosto, alla sfera della percezione umana e della elaborazione concettuale, per le quali gli elementi prettamente fisici e naturalistici del territorio costituiscono solo il punto di partenza. Si può ben osservare che vi sono profili di disciplina del territorio – inteso in senso lato e naturalistico – rispondenti a interessi e valori diversificati e specifici. La diversità degli interessi tutelati giustifica la diversità di regime e di concetto giuridici. La tutela della cultura identitaria dell’uomo e delle popolazioni stanziate su un determinato territorio conduce alla tutela del paesaggio; le possibilità di salvaguardia delle matrici ambientali in modo da assicurare la salute e la qualità della vita dell’uomo, degli insediamenti animali e vegetali porta alla tutela dell’ambiente; la salvaguardia e la gestione del corretto assetto e sviluppo delle trasformazioni urbanistico-edilizie del territorio conduce al governo del territorio, inteso come pianificazione e gestione urbanistica. La materia urbanistica ed edilizia e quella del paesaggio presentano molteplici profili di correlazione e di condizionamento, soprattutto da parte della disciplina paesaggistica nei confronti di quella urbanistica ed edilizia. I livelli di correlazione sono essenzialmente tre: il primo è quello delle pianificazioni, con la sovraordinazione dei piani paesaggistici a quelli territoriali ed a quelli urbanistici, come già ricordato in premessa; il secondo è quello dell’imposizione dei vincoli paesaggistici singolari ex art. 136 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) e della ricognizione dei vincoli ex lege (art. 142), i quali prescindono totalmente dall’esistenza e dal contenuto precettivo della pianificazione territoriale ed urbanistica (c.d. 76 S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, p. 52 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 40 AmbienteDiritto - Editore© indipendenza del vincolo); infine vi è quello della gestione, con la presupposizione – nelle aree assoggettate a vincolo paesaggistico – dell’autorizzazione paesaggistica rispetto a tutte le procedure edilizie, dalla più complessa (il permesso di costruire) alla più semplice (la comunicazione senza asseverazione)77. 3. Disciplina edilizia e vincoli ambientali. Per comprenderne il coordinamento tra i vari livelli, ci concentreremo sul terzo ed ultimo livello, relativo alle gestioni puntuali – rispettivamente – dell’edilizia e del paesaggio nelle aree vincolate. A tal proposito, però, si tenga conto del fatto che esse devono essere esaminate alla luce delle semplificazioni procedurali via via intervenute per poi contestualizzarle alla crisi emergenziale attuale. Metteremo, per tale ragione, a raffronto le due discipline dell’edilizia e di quella paesaggistica. Dal raffronto delle due componenti, ne derivano problemi di coordinamento derivanti da fattori oggettivi e/o soggettivi. In primo luogo, quanto all’oggetto, la disciplina edilizia ha per oggetto le trasformazioni edilizie, mentre quella paesaggistica riguarda le modificazioni della forma visibile delle porzioni di territorio qualificate come paesaggisticamente rilevanti. Non meno importante è, poi, la questione strutturale che è strettamente connessa all’oggetto diversità ed attiene alla del fine perseguito dalla due funzioni amministrative. Mentre, infatti, la funzione amministrativa edilizia riguarda l’ordinato assetto del territorio e dei contesti edilizi, mediante il controllo della conformità (c.d. compliance) degli interventi proposti a precetti generali preesistenti, di varia natura giuridica (c.d. standard, piani regolatori o regolamenti urbanistici/edilizi); quella paesaggistica concerne la compatibilità tra la disciplina edilizia e/o urbanistica e l’effettivo assetto del territorio. La terza causa di difficoltà che si riscontra nel coordinamento tra le due discipline è, per così dire, contingente, in quanto deriva dal diritto positivo e riguarda la non corrispondenza tra le tipizzazioni normative degli interventi – ed il correlato regime giuridico – sul versante edilizio rispetto a quello paesaggistico78. 77 78 A. POSTIGLIONE, Ambiente: suo significato giuridico unitario , in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, Pt. 1, pp. 49-50; A. KISS, Il diritto ad un ambiente piu' sano , in A. Postiglione (a cura di), Il diritto all'ambiente, 1986, p. 29 ss. MARIA A. SANDULLI, Testo unico dell’edilizia, Giuffrè, 2004, p. 242 ss.; R. GAMBINO, Maniere di intendere il paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio (a cura di), Meltemi, 2002, p. 65 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 41 AmbienteDiritto - Editore© In termini di concretezza e di procedimento formale, invece, al versante edilizio corrisponde il permesso di costruire ed a quello paesaggistico, invece, il procedimento ordinario di autorizzazione paesaggistica. Non pare esservi una simmetria tra le due discipline (edilizia e paesaggistica) neppure per quanto riguarda gli interventi ricompresi nell’articolata categoria delle manutenzioni straordinarie. Sul versante edilizio, sono soggette a SCIA del privato, gli interventi straordinari – anche se riguardano parti strutturali dell’edificio – quali quelli di restauro di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria, sagoma e prospetti ed anche quelli volti al ripristino di edificio, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Viceversa, sotto il profilo paesaggistico il regime dei vari tipi di interventi straordinari soggetti a SCIA è tuttora unitario, nel senso che è sempre prescritta l’autorizzazione. Da notare che, oltre alle rilevate asimmetrie tra procedimenti ‘’alleggeriti’’ sul versante edilizio e procedimenti, il più delle volte, non semplificati sul versante paesaggistico, vi è anche una possibile asimmetria in senso inverso in quanto l’art. 143, c. 4 d.lgs. 42 del 2004 prevede che il piano paesaggistico possa individuare: a) nell’ambito delle sole aree vincolate ex lege (art. 142) quelle nelle quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica, salvo verifica di conformità – nel procedimento ordinato al rilascio del permesso di costruire – della conformità del progetto al piano paesaggistico e del piano urbanistico comunale; b) le aree vincolate di tutti i tipi gravemente compromesse e degradate nelle quali gli interventi effettivamente volti al recupero ed alla riqualificazione sono esonerati dall’autorizzazione paesaggistica. Come si può constatare la complicazione è massima e le asimmetrie spesso appaiono ingiustificate ed irragionevoli. Le rilevate, molteplici, asimmetrie sono dovute al mancato coordinamento tra i plessi normativi di settore che sono il TUE ed il Codice dei beni culturali e del paesaggio. La situazione si complica e diventa ancor più ‘’asimmetrica’’ se si pensa, ad esempio, alla diversità di struttura precettiva tra il TUE – dal quale emerge continuamente la stratificazione storica delle norme – ed il ‘Codice’ – che risulta più compatto in quanto risultante di una rivisitazione degli istituti giuridici del diritto del paesaggio. Non solo, non bisogna tralasciare il fatto che la presenza di reiterate novelle legislative, introdotte il più delle volte mediante decretazioni d’urgenza, sul versante edilizio e ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 42 AmbienteDiritto - Editore© (soprattutto, negli ultime sette anni) anche su quello paesaggistico; novelle tutte ispirate a dichiarate finalità semplificatorie. È da notare, invero, che le semplificazioni – che pure in teoria dovrebbero accomunare sia il versante edilizio che quello paesaggistico – nel concreto hanno, almeno finora, aumentato le divaricazioni e le complicazioni. La spiegazione di questo apparente paradosso è da rinvenire nella diversa velocità, ed incisività, degli interventi di semplificazione delle norme del TUE, rispetto a quelli relativi alla disciplina delle autorizzazioni contenuta nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e nel ‘’collegato’’ regolamento di semplificazione d.P.R. n. 139 del 2010. Più precisamente: la semplificazione o deamministrativizzazione delle attività edilizie è andata molto più avanti di quella in materia paesaggistica e si è concretata in una sorta di allargamento ‘a cascata’ delle varie categorie di interventi diversi dalle nuove costruzioni e dalle ristrutturazioni urbanistiche, rimaste soggette al permesso di costruire. E così sono stati ampliati gli ambiti di applicazione del permesso di costruire in deroga, della SCIA e delle semplici comunicazioni, asseverate o non asseverate. Viceversa, il processo di semplificazione in materia di procedimenti autorizzatori paesaggistici è stato molto più lento e, fino al decreto Sblocca Italia, rimasta a metà strada. Una delle ragioni principali di tale fenomeno, se così può essere definito, è la delicatezza della disciplina di tutela del paesaggio, di rilevanza costituzionale, che ammette semplificazioni ragionate e non amputazioni semplicistiche e demagogiche79. Volgendo lo sguardo a quello che viene definito il rapporto giuridico amministrativo tra la pubblica amministrazione ed il privato che è sicuramente fondamentale per il tema di cui ci stiamo occupando in questa sede, vi sono differenti modulazioni che il controllo pubblicistico sull’intervento del privato ha ricevuto nel nostro ordinamento, a mano a mano che si accentuava il processo di semplificazione procedurale nonché di frammentazione/moltiplicazione dei titoli abitativi. Ciò a cui si sta alludendo sono le discipline dei tempi endoprocedimentali, il silenzio assenso con le sue eccezioni in sede di permesso di costruire, i poteri del Comune in caso di DIA e SCIA 80, la garanzia 79 80 A. BARTOLINI, Patrimonio culturale e urbanistica, Relazione generale al XIX Convegno nazionale Aidu (Associazione Italiana Docenti Universitari), ‘’Governo del territorio e patrimonio culturale’’, BariMatera 30 settembre-1 ottobre 2016 in Rivista giuridica di urbanistica, 2016, Fasc. 3, pt. 1, pp. 10-39; R. TAMIOZZO (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, 2005, Giuffrè, p. 625 ss. R. OLLARI, Il giallo della D.i.a. (Denunzia di inizio attività edilizia) , Relazione al Seminario di studi giuridici, Parma, 24 maggio 2002, in I Tribunali amministrativi regionali, 2003, Fasc. 4, Pt. 2, pp. 209235. Per un maggiore approfondimento sulle competenze in tema di SCIA e DIA, si vedano Corte Cost., 9 maggio 2014, n. 121, Corte Cost., 16 luglio 2012, n. 188 in cui si afferma che è inammissibile la ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 43 AmbienteDiritto - Editore© dell’interesse pubblico della celerità (e della semplificazione). Tutte queste componenti appena elencate dipendono, nella maggior parte dei casi, sia da un adeguato funzionamento dell’apparato organizzativo dei Comuni – per le ragioni indicate nella prima parte del discorso – che dalla capacità dell’ordinamento di assicurare adeguata tutela giurisdizionale ai privati. La situazione si complica se pensiamo anche all’apparato sanzionatorio. Esso, infatti, non si rivela più adeguato a garantire l’interesse pubblico e da questa prospettiva meglio si comprende anche come l’interesse a sostenere la crescita economica, ormai entrato a far parte del fascio di interessi coinvolti nella gestione del controllo urbanistico edilizio sul territorio, non possa più arrivare a sostituire, assorbendolo, l’interesse della collettività ad un equilibrato utilizzo di un bene tipicamente consumabile qual è il territorio oggetto della pianificazione urbanistica. Né sarebbe ragionevole opporre a questo interesse alla competitività, certamente presente con una sua particolare rilevanza in questa materia e non solo come valore trasversale all’ordinamento, esclusivamente limiti ‘esterni speciali’, derivanti dalla tutela degli interessi differenziati, ambientali e paesaggistico culturali. 4. Il difficile coordinamento fra la disciplina degli usi civici e le competenze in materia di paesaggio e ambiente. Essi, infatti, non possono esaurire l’ambito degli interessi pubblici in materia di uso del territorio, sia per la sua natura di risorsa insufficiente il cui utilizzo deve essere questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 1, lettera a), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, promossa dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli articoli 3, 97, 114, 117, terzo comma, e 118 Cost., che ha aggiunto al comma 4 dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), la previsione per cui l'intervento dell'amministrazione è consentito decorso il termine di 60 giorni indicato dal comma 3, "ovvero" quello di 30 giorni, previsto per la sola materia edilizia, dal comma 6- bis, posto che il dubbio interpretativo formulato dalla ricorrente, secondo cui il comma 4 restringerebbe il potere di intervento successivo delle amministrazioni locali preposte al governo del territorio, limitandolo ai soli casi indicati di potenziale pregiudizio agli interessi primari selezionati dal legislatore, mentre il comma 6-bis, subordinando l'attività di vigilanza sullo sviluppo del territorio al rispetto del solo comma 4, implicherebbe che lo stesso potere generale di autotutela decisoria assicurato dal comma 3 non sia più esercitabile nella materia edilizia, in quanto surrogato dal potere conferito dal comma 4, non ha alcun nesso logico e giuridico con la norma impugnata, con cui il legislatore si è limitato a coordinare il comma 4 dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, come introdotto dall'art. 49, comma 4-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, con la previsione normativa sopraggiunta, secondo cui, per la sola materia edilizia, il termine concesso all'amministrazione per vietare l'attività è di 30 giorni, anziché di 60. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 44 AmbienteDiritto - Editore© garantito anche alle generazioni future, sia perché in questo modo si corre il rischio anche di accentuare una concezione rigida di questi interessi ‘forti’, scorporata dalla realtà territoriale sulla quale essi vengono a gravare, facendone una sorta di categoria antagonista e non invece un insieme di interessi a tutela rafforzata che però devono venire valorizzati a qualsiasi livello dell’ordinamento, coordinandosi in modo equilibrato e proporzionato con la disciplina degli usi possibili del territorio. Altro non meno importante interesse permanente ed immanente per il nostro ordinamento è sicuramente quello di procedere ad una razionalizzazione del sistema, primariamente in funzione della certezza del diritto, l’unico bene in grado di assicurare quella valutazione ex ante di costi e benefici dell’intervento capace di soddisfare anche l’interesse, ormai proprio della collettività e non più radicato in capo ai singoli privati, a sostenere il mercato e gli investimenti. Certamente, se si guarda al quadro normativo che si è tracciato, diventa necessaria la costruzione di un nuovo sistema, all’interno del quale è entrato a pieno titolo tra gli interessi pubblici coinvolti anche quello alla competitività, che dovrà trovare un ‘proporzionamento’ adeguato, un equilibrio, nel rapporto con l’interesse al controllo sugli usi e le trasformazioni del territorio e con gli interessi privati alla realizzazione degli interventi e alla stabilità delle situazioni giuridiche oltre che, naturalmente, con gli interessi differenziati. Tra gli interessi differenziati – se così possono esser definiti – meritevoli di tutela all’interno del nostro ordinamento giuridico vi sono i cosiddetti usi civici. Secondo una recente affermazione del Consiglio di Stato ‘’ l'uso civico consiste in un diritto reale che conferisce il potere di godimento su beni comuni ai membri di una determinata collettività, "normalmente" coincidente con la popolazione di un Comune’’81. In sostanza, le collettività – sia nel loro insieme sia in capo al singolo uti civis – vantano nei confronti dei relativi beni un diritto collettivo di natura reale che si esercita in forma ‘’duale’’ con il Comune il quale, ente esponenziale dei diritti della collettività, ordinariamente li amministra in suo nome, mentre per iniziative di carattere straordinario è sottoposto alla diretta ed indefettibile vigilanza della Regione. Tuttavia, vi è chi si sofferma a pensare ad essi come connotati da una semplice aspettativa del privato a che gli usi civici siano rispettati. Anche gli usi civici, dunque, fanno parte del perimetro entro cui si trovano le diverse tipologie di aree vincolate. Occorre preliminarmente tentare di fornire una definizione quantomeno esaustiva di 81 Cfr. Cons. St., Sez. III, 26 luglio 2018, n. 4591. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 45 AmbienteDiritto - Editore© usi civici: essi sono quei diritti, la cui titolarità spetta ad una collettività di persone basata su un determinato territorio (i cives), di trarre alcune utilità da beni altrui (principalmente, le terre, l’acqua ed i boschi) al fine di soddisfare principalmente bisogni primari (cosiddetti diritti di uso civico in senso proprio o ius in re aliena). L’origine medioevale e germanica di tali diritti di uso civico e la loro diffusione durante il feudalesimo spiega il fatto che le utilità oggetto del diritto siano prevalentemente collegate all’agricoltura, alla pesca, alla caccia, alla raccolta e alla pastorizia. È, inoltre, generalmente riconosciuto che gli usi civici abbiano natura di diritti reali su cosa altrui, secondo alcuni riconducibili alle servitù prediali, e siano inalienabili ed imprescrittibili. Per la loro rilevanza quantitativa e per la struttura giuridica dell’istituto, essi trovano la loro disciplina in varie fonti normative: prima fra tutte, la legge 16 giugno 1927, n. 176682. Già a partire da quest’ultima, gli usi civici vengono delineati come diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità o comunque un beneficio ai singoli appartenenti ad una collettività. La qualificazione dei beni di uso civico come beni di interessi paesaggistico è enfatizzata dalla giurisprudenza costituzionale che con una recente sentenza del maggio 2017, n. 103 ha ribadito che ‘’l’istituto degli usi civici rileva oggi principalmente per la finalità di salvaguardia paesaggistica del territorio e dell’ambiente, la quale è di competenza esclusiva statale’’. A ciò si aggiunga il fatto che, secondo una stima, circa il 25% della superficie forestale nazionale rientrerebbe tra i demani civici: la legge quadro in materia di parchi e riserve naturali – che è la L. 6 dicembre 1991, n. 394 – ha considerato i beni di uso civico ai fini di una specifica considerazione nel piano dei parchi naturali nel regolamento e nel piano dei parchi naturali, prevedendo la liquidazione dei diritti di caccia o altri usi civici. Il legislatore, nel disciplinare la destinazione delle terre sulle quali gravano usi civici all’art. 12 della legge 1766/1927 stabilisce che ‘’ per i terreni di cui alla lettera a) si 82 A livello di legislazione ordinaria, la principale fonte disciplinante gli usi civici ed i demani collettivi è stata per lungo tempo la L. 1766/1927, a cui ora si aggiunge la nuova normativa in materia di domini collettivi. La L. n. 1766/1927, a cui si accompagnava il regolamento di esecuzione di cui al R.D. n. 332/1928, all’epoca della sua emanazione aveva come scopo quello di unificare in un unico testo nazionale le diverse normative in materia precedenti l’Unità d’Italia. Dalla fine del ‘700 in poi, dunque a seguito della rivoluzione francese e con la caduta dell’ ancien régime, si è infatti assistito alla nascita del c.d. individualismo agrario, che ha portato con sé l’avversione verso la gestione collettiva delle terre agricole ed ai fenomeni della liquidazione degli usi civici gravanti su terre private (in natura, tramite lo scorporo, o in denaro) e della quotizzazione delle terre. Tramite la L. 1766/1927, dunque, una parte di territorio agricolo è stato riportato nell’ambito della proprietà privata individuale. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 46 AmbienteDiritto - Editore© osserveranno le norme stabilite nel capo 2° del titolo 4° del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267. I Comuni e le associazioni non potranno, senza l'autorizzazione del Ministero dell'economia nazionale (ora Ministero dell'agricoltura e foreste), alienarli o mutarne la destinazione. I diritti delle popolazioni su detti terreni saranno conservati ed esercitati in conformità del piano economico e degli articoli 130 e 135 del citato decreto, e non potranno eccedere i limiti stabiliti dall'art. 521 del Codice civile (ora art. 1021 c.c. 1942). In tale direzione, pertanto, i beni di uso civico sono di norma inalienabili, incommerciabili ed insuscettibili di usucapione e, conseguentemente riconducibili al regime giuridico della demanialità. In sostanza le collettività – sia nel loro insieme sia in capo al singolo uti civis – vantano nei confronti dei relativi beni un diritto collettivo di natura reale. In tale contesto, non si può non fare accenno alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 ‘’Protezione delle bellezze naturali’’ (ora abrogata) che aveva sottoposto a vincolo intere categorie di beni a causa del loro notevole interesse pubblico. Tale legge ha rappresentato il momento finale di un vivace e articolato dibattito sulle modalità di tutela più adatte alla disciplina del paesaggio giunto al termine con la decisione di separare le discipline della tutela dei beni storico-artistici e delle bellezze naturali in due leggi (l. 1089 del 1939 e l. 1497 del 1939), sebbene l’Amministrazione deputata alla tutela rimanesse, in entrambi i casi, la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, presso l’allora Ministero dell’Educazione Nazionale. La legge 8 agosto 1985, n. 431 o cosiddetta Legge Galasso (ora abrogata) approvava, in sede di conversione, il D.L. n. 312/1985 che nella sua premessa recitava: ‘’ Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni dirette alla tutela dei territori costieri e contermini ai laghi, dei fiumi, dei torrenti, dei corsi d’acqua, delle montagne, dei ghiacciai, dei circhi glaciali, dei parchi, delle riserve, dei boschi, delle foreste, delle aree assegnate alle università agrarie, delle zone gravate da usi civici, delle zone umide e dei vulcani’’. Il decreto-legge suindicato ha rappresentato, come anche evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, che il decreto legge suindicato ha introdotto una tutela del paesaggio integrale e globale implicante una riconsiderazione assidua nazionale alla luce del valore estetico-culturale, come previsto dall’art. 9 della Costituzione. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 47 AmbienteDiritto - Editore© Da ultimo, la recente legge posta a tutela dei beni civici che è la legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi ) ha enfatizzato ancor di più rispetto al passato – laddove per passato ci si riferisce alla legge 16 giugno 1927, n. 1766 nonché al successivo d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 – i principi di indisponibilità, imprescrittibilità e inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo pastorale, come previsto dall’art. 3, comma 3 della legge suindicata. Inoltre, il successivo comma 6 ribadisce che il vincolo paesaggistico gravante ex lege sui beni civici, ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), del d.lgs. 142, comma 1, lettera h) ‘’ garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio’’. Ne discende che, per quanto riguarda la fattispecie in esame, non è stato modificato il procedimento di sclassificazione e mutamento di destinazione contemplato dalle richiamate disposizioni dello scorso secolo. Per chiarire la portata delle norme concernenti la competenza statale e/o regionale della disciplina degli usi civici – facendo particolare riferimento al loro regime di destinazione d’uso – è opportuno ripercorrere l’evoluzione normativa che si è susseguita nel tempo. L’articolo 29 della legge n. 1766 del 1927 stabilisce che i commissari procederanno, su istanza degli interessati od anche di ufficio, all’accertamento ed alla rivendica delle terre, inoltre, si stabilisce anche che ‘’i commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni a cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate’’. Tale norma è stata più volte oggetto di questioni di legittimità costituzionale a seguito del trasferimento delle funzioni commissariali. In particolare, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 48 AmbienteDiritto - Editore© le sentenze 345/199783, 46/199584, 133/199385 hanno evidenziato che la giurisdizione ufficiosa in via principale riceve nuova autonoma giustificazione dall’interesse della collettività nazionale alla conservazione dell’ambiente, per la cui tutela le zone gravate da usi civici sono sottoposte al vincolo paesaggistico. Tale argomento è stato, in seguito, ripreso e posto alla base della declaratoria di illegittimità costituzionale – da parte della sentenza n. 345/1997 – del menzionato articolo 29, comma secondo, della legge 1766 del 1927 ‘’nella parte in cui non consente la permanenza del potere del 83 In Corte Cost., 21 novembre 1997, n. 345 si stabiliva che è costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3, comma 1 cost. (canone della ragionevolezza), la Legge Regionale Abruzzo 27 aprile 1996 n. 23 (Impianti pubblici o di pubblico interesse) - ove si stabiliva, al comma 1 dell'art. unico, che gli impianti a rete pubblici o di pubblico interesse ‘’ si configurano come opere di urbanizzazione e pertanto non necessitano di conformità urbanistica e non sono soggette a concessione edilizia, ma a semplice autorizzazione da parte delle amministrazioni comunali ’’, e si prevedeva, al comma 3, che, ‘’ nei casi in cui le predette opere o impianti e relativi accessori debbano insistere su terreni di natura civica, il provvedimento autorizzatorio del sindaco "determina l'immediata utilizzabilità dei suoli, concretando una diversa esplicazione del diritto collettivo di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni, non ricorrendo la fattispecie di cui agli art. 12 Legge n. 1766 del 1927 nonché art. 41, R.D. n. 332 del 1928 e art. 6 L. reg. n. 25 del 1988 ’’ - in quanto la legge impugnata si pone in irrimediabile contrasto con la legislazione nazionale, perché le norme statali contenute nella Legge 16 giugno 1927 n. 1766, sul riordinamento degli usi civici nel regno, e nell'art. 41 R.D. 26 febbraio 1928 n. 332 e il principio democratico di partecipazione alle decisioni in sede locale, corrispondente agli interessi di quelle popolazioni, di cui sono diventate esponenti le Regioni ai sensi degli art. 117 e 118 Cost. La legge censurata frustra entrambi gli interessi in giuoco, generali (laddove la disciplina statale prevede l'obbligatorietà del procedimento di assegnazione a categoria dei terreni civici da alienare o mutare nella destinazione e postula la compatibilità del programma di trasformazione con le valutazioni paesistiche) e locali (laddove la legislazione regionale, incentrata sul procedimento successivo di autorizzazione, implica necessariamente la consultazione delle popolazioni interessate), escludendo espressamente questi procedimenti sul presupposto, astratto e generalizzato, che la realizzazione degli impianti a rete, destinati alle telecomunicazioni, al trasporto energetico, dell'acqua, del gas e allo smaltimento dei liquami, costituisca una diversa esplicazione del diritto collettivo di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni, mentre tali valutazioni, per gli interessi di rango costituzionale che vi sono sottesi, non possono non essere concrete, e cioè formulate e apprezzate attraverso il coinvolgimento, di volta in volta, delle popolazioni interessate di esecuzione Legge n. 1766 del 1927, richiedono che le limitazioni o la liquidazione dei diritti di uso civico siano precedute dall'assegnazione dei suoli alla categoria sub lett. a) dell'art. 11 l. n. 1766 del 1927 e, qualora inclusi in questa, alienati o mutati nella destinazione previa l'autorizzazione ministeriale - art. 12 - ora regionale - art. 66 D.p.R. n. 616 del 1977 - autorizzazione che non assorbe le valutazioni del Ministro per i beni culturali e ambientali ai sensi dell'art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497; nonché con la legislazione riguardante i territori montani (l. 31 gennaio 1994 n. 97, nuove disposizioni per le zone montane), che ha dettato alcuni principi fondamentali, ai sensi dell'art. 117 Cost., per la salvaguardia e la valorizzazione di dette aree, le quali, conformemente all'art. 44 Cost., rivestono carattere di preminente interesse regionale; sicché - essendovi stretta connessione fra l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici, nella misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio, in ragione del vincolo paesaggistico di cui alla l. n. 1497 del 1939, sancito dall'art. 1, lett. h), l. 8 agosto 1985 n. 431 e garantito dal potere di iniziativa processuale dei commissari, e il principio democratico di partecipazione alle decisioni in sede locale, corrispondente agli interessi di quelle popolazioni, di cui sono diventate esponenti le regioni ai sensi degli art. 117 e 118 cost. - la legge censurata frustra entrambi gli interessi in giuoco, generali (laddove la disciplina statale prevede l'obbligatorietà del procedimento di assegnazione a categoria dei terreni civici da alienare o mutare nella destinazione e postula la compatibilità del programma di trasformazione con le valutazioni paesistiche) e locali (laddove la legislazione regionale, incentrata sul procedimento successivo di autorizzazione, implica necessariamente la consultazione delle popolazioni interessate), escludendo espressamente questi procedimenti sul presupposto, astratto e generalizzato, che la realizzazione degli impianti a rete, destinati alle telecomunicazioni, al trasporto energetico, dell'acqua, del gas e allo smaltimento dei liquami, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 49 AmbienteDiritto - Editore© Commissario agli usi civici di esercitare d’ufficio la propria giurisdizione, pur dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative previste dal primo comma dell’articolo medesimo’’. la Corte, infatti, ha scelto di salvaguardare il potere di iniziativa processuale dei Commissari in attesa che il legislatore riordinasse la materia. L’articolo 5 della legge 491 del 1993, tuttavia, è stato abrogato dall’articolo 1 del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143 ( Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell’Amministrazione centrale). Non solo, la Corte Costituzionale, investita nuovamente della legittimità costituzionale dell’art. 29 della legge n. 1766 del 1927 ha ritenuto che il novellato art. 111 Cost. non costituisse un nuovo parametro costituzionale idoneo al superamento del criterio di ‘’legittimità provvisoria’’ della norma suindicata. Premesso ciò, preme evidenziare uno degli aspetti maggiormente problematici della disciplina de qua rappresentato dall’area di maggiore scontro tra la competenza esclusiva statale e quella concorrente/residuale delle Regioni, da un lato e, tra la costituisca una ‘’diversa esplicazione del diritto collettivo di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni’’, mentre tali valutazioni, per gli interessi di rango costituzionale che vi sono sottesi, non possono non essere concrete, e cioè formulate e apprezzate attraverso il coinvolgimento, di volta in volta, delle popolazioni interessate. 84 Si veda Corte Cost., 20 febbraio 1995, n. 46 secondo la quale ‘’ la nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, espressa nella sentenza 28 gennaio 1994, n. 858, secondo cui la giurisdizione d'ufficio originariamente attribuita al commissario per gli usi civici è "in toto" cessata in seguito all'attribuzione alle Regioni delle funzioni amministrative già esercitate dal commissario, ascrive all'art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, un significato normativo che non ammette un organo statale ad agire in via preventiva davanti ai commissari agli usi civici per la salvaguardia dell'interesse della comunità nazionale alla conservazione dell'ambiente naturale nelle terre civiche soggette a vincolo paesistico. Tale significato normativo non è consono con l'art. 24, primo comma, Cost., coordinato con l'art. 3 Cost., nonché con l'art. 9, che il detto interesse garantisce insieme con l'art. 32 (che l'art. 1 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, (legge quadro sulle aree protette) accoppia al primo). Ed invero, anche se dagli artt. 9 e 32 Cost. non discende, come soluzione costituzionalmente obbligata, l'attribuzione al commissario di un potere di impulso processuale, tra la situazione ordinamentale attuale e la situazione anteriore nella quale - con incerta legittimità dal punto di vista dell'art. 24, secondo comma, Cost., ma in aderenza alle esigenze di tutela ambientale poste dagli artt. 9 e 32 Cost. - il potere di iniziativa processuale era attribuito agli stessi commissari, è preferibile allo stato la seconda, giusta un criterio di legittimità costituzionale provvisoria più volte applicato dalla Corte Costituzionale, "in attesa del riordino generale della materia degli usi civici" preannunciato dall'art. 5 della legge 4 dicembre 1993, n. 491. Pertanto - assorbite le censure riferite agli artt. 104 e 108 Cost. - deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 29, secondo comma, della legge n. 1766 del 1927, nella parte in cui - come interpretato dalla Corte di Cassazione - non consente la permanenza del potere di iniziativa processuale in questione ’’. 85 Cfr. Corte Cost., 1 aprile 1993, n. 133 a rigore della quale è il Commissario degli usi civici ad avere il potere di promuovere d'ufficio i giudizi di sua competenza: potere che non può ritenersi venuto meno a seguito del trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative di cui, fino al D.P.R. n. 616 del 1977, era titolare lo stesso Commissario, in quanto il suddetto potere è riferibile all'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici nella misura in cui ciò contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio (art. 1 della Legge n. 431 del 1985), la cui tutela non può essere rimessa esclusivamente a soggetti portatori di interessi locali - quali le Regioni e le popolazioni titolari dei diritti civici - ma postula anche il potere di azione giurisdizionale in capo ad un organo di giustizia, sia pur diverso dal commissario-giudice. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 50 AmbienteDiritto - Editore© competenza pubblicistica in materia e gli interessi dei privati, dall’altro. Si fa riferimento alla cosiddetta sclassificazione o cessazione del vincolo paesaggistico e al mutamento di destinazione dell’uso civico. La Costituzione prevede la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale (art. 117, secondo comma, lett. s) ed a sua volta la normativa statale (in particolar modo gli artt.135, 142 e 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio) affida congiuntamente a Stato e Regione la disciplina del piano paesaggistico: nell’ambito di questa competenza sono inclusi anche la ricognizione, la delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla rappresentazione delle aree assegnate alle università agrarie e delle zone gravate da usi civici nonché la determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione. Tale normativa viene ricondotta – per pacifico orientamento giurisprudenziale – alle norme di grande riforma economico-sociale, le quali rappresentano un limite alla potestà legislativa anche delle regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale. La competenza regionale nella materia degli usi civici deve essere intesa come legittimazione a promuovere, ove ne ricorrano i presupposti, i procedimenti amministrativi finalizzati alle ipotesi tipiche di sclassificazione previste dalla legge 16 giugni 1927, n. 1766 e dal relativo regolamento di attuazione R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, nonché quelli inerenti il mutamento di destinazione86. Tali disposizioni, non essendo state abrogate dalla legge 20 novembre 2017, n. 168, non fanno venire meno il fatto che sia proprio la pianificazione ambientale e paesaggistica, esercitata tra Stato e Regione, la sede nella quale eventualmente può essere modificata, attraverso il mutamento di destinazione, l’utilizzazione dei beni d’uso civico per nuovi obiettivi e – solo in casi di particolare rilevanza – per esigenze di adeguamento a situazioni di fatto meritevoli di salvaguardia sulla base di una valutazione non collidente con gli interessi generali della popolazione locale, infatti, il mutamento di destinazione ha lo scopo di mantenere, pur nel cambiamento d’uso, un impiego utile alla collettività che ne rimane intestataria. La ratio di tale regola sta nell’attribuzione alla collettività e agli utenti del bene d’uso civico, uti singuli et cives, del potere di vigilare a che la nuova utilizzazione mantenga nel tempo caratteri conformi alla pianificazione paesistico ambientale che l’ha determinata. 86 Cfr. M. CENINI, Usi civici e beni collettivi – Diritti collettivi e ambiente: gli usi civici nella recente giurisprudenza costituzionale, in Giurisprudenza italiana, 2018, pt. 8, p. 1838; si veda anche V. CERULLI IRELLI-V. DI MARCO (a cura di), Usi civici. I problemi attuali e le prospettive di riforma , Atti del Convegno di Rocca S. Maria, 8-9 ottobre 1993, Firenze, 1995. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 51 AmbienteDiritto - Editore© Sia il mutamento di destinazione che la c.d. “sclassificazione” dei beni civici, pertanto, possono avvenire solo attraverso un procedimento concertato Stato – Regione; in quest’ultimo caso, l’intervento statale è finalizzato a far valere gli interessi al mantenimento del bene ed a verificare se sussistano o meno delle condizioni per la loro stessa conservazione. La recentissima disciplina legislativa in materia di domini collettivi (L. 20 novembre 2017, n. 168) conferma questa impostazione ed il regime di inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e perpetua destinazione agro-silvo-pastorale dei cd. “beni collettivi”87. Un recente orientamento gurisprudenziale contenuto nelle sentenze 10 aprile 2018, n. 113 e 4 luglio 2018, n. 17888 nel ribadire che il regime civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera della competenza delle Regioni, afferma che la materia ‘’agricoltura e foreste’’ di cui al previgente art. 117 Cost., che giustificava il trasferimento delle funzioni alle Regioni e l’inserimento degli usi civici nei relativi statuti, mai avrebbe potuto comprendere la disciplina della titolarità e dell’esercizio di diritti dominicali sulle terre civiche. Il regime dominicale, pertanto, atterrebbe alla materia ‘’ordinamento civile’’ di competenza esclusiva dello Stato. L’art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha trasferito alle Regioni soltanto le funzioni amministrative in materia di usi civici, non ha mai consentito alla Regione – e non consente oggi, nel mutato contesto del Titolo V della Parte II della Costituzione – di invadere, con norma legislativa, la disciplina dei diritti, estinguendoli, modificandoli o alienandoli. Per concludere, dall’analisi appena prospettata, emerge dunque che mediante la tutela dei beni civici si attua anche, se non soprattutto, la tutela dell’ambiente. Ne consegue la possibilità, pertanto, di elevare le terre civiche a veri e propri beni ambientali come tra l’altro confermato dalla nuova disciplina sui domini collettivi che conferisce a tali beni grande rilevanza per la vita e lo sviluppo delle collettività locali. Nel dover dar conto di tutti questi elementi appena menzionati, il quadro che sta emergendo e che, salvo scelte sostanziali diverse, dovrebbe trovare un riordino razionale, sembra sostanzialmente rovesciato e ruotare invece direttamente (cosa che oggi avviene in modo estremamente complicato, lacunoso e discutibile) attorno ai 87 88 Cfr. L. PRINCIPATO, Attualità degli usi civici e competenza legislativa: conflitti e composizioni degli interessi (Osservazione a Corte cost. 11 maggio 2017 n. 103) , in Giurisprudenza costituzionale, 2017, Fasc. 3, Vol. 62, pp. 1051-1063. Con sentenza n. 178/2018, la Corte Costituzionale accoglie il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, dichiarando l’incostituzionalità degli artt. 13, 29, 37, 38 e 39 della L.R. Sardegna n. 11/2017 per contrasto con l’art. 117 co. 2 lett. s) della Costituzione. In particolare, la Consulta sancisce che alla Regione Sardegna non spetta la competenza di mutare la destinazione degli usi civici. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 52 AmbienteDiritto - Editore© procedimenti propri dei singoli titoli abilitativi, declinati e proporzionati in ragione delle specificità del singolo intervento e dell’interesse, privato e pubblico, ad una sua realizzazione in tempi adeguati, assicurando un risultato stabile all’investimento effettuato. Ciò che, purtroppo, viene sacrificato o che comunque oggi non trova adeguata protezione è certamente l’interesse pubblico all’uso equilibrato del territorio; fatto che, peraltro, richiederebbe anche un’appropriata riflessione sugli strumenti da utilizzare per assicurare una risposta ai bisogni che gravano sul territorio e per evitare il consumo di suolo. Dall’altro lato però, ciò che bisogna controbilanciare – mentre manca – è la garanzia fondamentale e imprescindibile della certezza del diritto. Il quadro si complica se si pensa alla totale assenza di coordinamento tra normativa statale e normativa regionale89. O meglio, tra quel potere statale preposto alla apposizione del vincolo paesaggistico ed il rispettivo potere regionale. La normativa di riferimento, e cioè gli articoli 138 comma 3 e 141 del D.Lgs. 42/2004, dovrebbe essere di per sé sufficiente a fornire una risposta esaustiva ed univoca in merito alla qualificazione attribuita dal legislatore alla potestà amministrativa che sfocia nel potere ministeriale di imposizione dei vincoli paesaggistici. Tali riferimenti normativi appena menzionati demarcano in modo netto come, all’interno del complessivo e complesso sistema di amministrazione del paesaggio un’area di intervento statale ( recte, il potere ministeriale) di dichiarare il notevole interesse pubblico, sotto il profilo paesaggistico, di immobili ed aree riconducibili alle tipologie di cui all’art. 136 del Codice, risulta manifestamente connotato dalla più ampia autonomia rispetto all’omologo e concorrente potere regionale. Il semplice richiamo alle norme di cui agli artt. 138, comma 3, e 141 del Codice sarebbe in grado da solo di palesare la connotazione del potere statuale di imposizione del vincolo. A dispetto della rubrica dell’art. 138, è nel terzo comma che il legislatore delle ‘’ seconde correzioni ed integrazioni’’ al Codice ha 89 A tal proposito, si verifica non di rado che associazioni come le c.d. Università agrarie si scontrano con i diritti vantati dalle società che svolgono la propria attività su terreni gravati da usi civici. In particolare, val la pena ricordare il caso della Società Rocchetta S.p.A.; quest’ultima è titolare di una concessione per la coltivazione del giacimento dell’acqua minerale denominata ‘’Rocchetta’’, sita in Gualdo Tadino. È accaduto che con Deliberazione della Giunta Regionale dell’Umbria n. 701 del 17 febbraio 1993, è stata accordata alla Rocchetta S.p.A. la proroga anticipata per vent’anni, a decorrere dal 16 febbraio 2002, fino al 16 febbraio 2022. Successivamente, la stessa Giunta Regionale ha concesso un ampliamento della superficie con un ulteriore deliberazione. La Comunanza Agraria Appennino Gualdese, ai fini del perseguimento dei suoi scopi di salvaguardia e conservazione del patrimonio gravato da uso civico e di tutela dei diritti della popolazione relativi agli stessi terreni, contesta la proroga della concessione di acqua minerale di cui la società Rocchetta S.p.A. è destinataria. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 53 AmbienteDiritto - Editore© collocato la ’’norma costituiva del potere’’ di imporre – ex parte Status – vincoli paesaggistici a salvaguardia dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici, espressi da immobili od aree individuabili sul territorio nazionale e riconducibili ad una (o più) delle species contemplate dall’art. 136 del Codice. Ciò che senza dubbio, però, non è dato in essa riscontrare è la presenza di una norma d’azione che subordini l’attivazione del potere statale di individuazione dei beni paesaggistici, ad una qualche ‘’vicenda’’ concernente l’esercizio – o il mancato esercizio – dell’omologo potere regionale90. Né, tantomeno, è possibile imbattersi in una disposizione che imponga al MiBAC di acquisire il previo consenso della Regione (territorialmente interessata), sulla determinazione statale di tutela paesaggistica. La mera sussistenza di una norma di azione costitutiva, in capo al Ministero, del dovere di richiedere, preventivamente, un motivato parere alla Regione sul cui territorio graverà il vincolo, non pare in grado infatti, di determinare una tale conformazione restrittiva del potere ministeriale. E ciò in ragione di un’ulteriore constatazione legislativa, supportata da una considerazione del sistema: da un lato, il parere regionale risulta legislativamente configurato come prescindibile per decorrenza del termine di trenta giorni dalla richiesta ministeriale; dall’altro trattandosi di un parere non vincolante, il Ministero potrà disattendere le eventuali rimostranze regionali all’apposizione del vincolo, facendo leva sull’asserito valore primario ed assoluto dell’interesse pubblico alla salvaguardia del paesaggio. Nell’attività di produzione normativa finalizzata alla c.d. codificazione del diritto del paesaggio, il legislatore statale ha conclusivamente optato – nonostante le opposizioni 90 Si vedano ex multiis Corte Cost., 11 maggio 2017, n. 103, secondo cui la destinazione di beni civici può essere variata solo nel rispetto della vocazione dei beni e dell'interesse generale della collettività, all'esito di un procedimento tecnico-amministrativo, rispettoso dell'art. 41 del R.D. n. 332/1928. Le autorità competenti devono essere oggi individuate nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e nella regione. I beni d'uso civico sono inalienabili, inusucapibili ed imprescrittibili e la loro sclassificazione, che è finalizzata a sottrarre in via definitiva alla collettività di riferimento il bene, è un evento eccezionale subordinato alle specifiche condizioni di legge ed equiparabile alla sdemanializzazione. Oltre alle ipotesi di mutamento di destinazione, che sostanzialmente rimodellano il vincolo ambientale verso una nuova finalità comunque conforme agli interessi della collettività, devono assolutamente soggiacere al meccanismo concertativo le ipotesi di sclassificazione, che sottraggono in via definitiva il bene alla collettività ed al patrimonio tutelato; oppure Corte Cost., 24 luglio 2012, n. 207 in cui si afferma, sebbene con riguardo alla Provincia Autonoma di Trento, che il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, come regolato dall'articolo 6, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), rientra nella materia della tutela del paesaggio e, pertanto, riconducibile alla finalità di definire i livelli essenziali delle prestazioni, che trascende l'ambito delle materie per assurgere a competenza idonea a investire ogni settore assicurando sull'intero territorio nazionale il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 54 AmbienteDiritto - Editore© ed i tentativi regionalisti91 - per una duplicazione perfetta del potere amministrativo di imposizione dei vincoli paesaggistici, ritenuta forse più rispettosa del principio fondamentale di cui all’art. 9 della Costituzione, che assegna alla repubblica il precipuo compito di tutelare il paesaggio della Nazione92. Un siffatto assetto dei poteri vincolistici è il prodotto di un revirement legislativo ripristinatorio di quella equilibrata distribuzione tra Stato e Regioni della funzione di individuazione dei beni paesaggistici, che ha caratterizzato il sistema italiano di amministrazione del paesaggio dalla prima regionalizzazione delle funzioni di tutela paesaggistica, sino alla riforma codicistica del 2004. 5. Emergenza e attività edilizia funzionale alla ricostruzione. Volendo e tentando di contestualizzare tali premesse normativo-giuridiche in quella che è l’attualità (purtroppo) costellata da eventi ambientali spiacevoli che hanno comportato un’incresciosa sovrapposizione di fonti legislative, creando una iperregolamentazione frastagliata di norme d’urgenza, inizieremo col ricordare del decreto legge 28 aprile 2009 n. 39 ‘’Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile’’ convertito dalla Legge 24 giugno 2009 n. 77, art. 2 bis. Essa contiene, oltre all’obbligo di trasmissione annuale da parte del Governo al Parlamento di una relazione informativa sullo stato di avanzamento del processo di ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 6 aprile del 2009 in Abruzzo, prevede anche una serie di interventi in materia di ricostruzione privata e pubblica, sviluppo del territorio e delle attività produttive, spese obbligatorie successive alla fase di 91 92 Si veda, Parere sullo schema di D.lgs. ai sensi dell’art. 10, comma 4 della legge 6 luglio 2002, n. 137 . A proposito delle problematiche connesse alla competenza – ai limiti della conflittualità – tra Stato e Regioni, si vedano A. BERLUCCHI, Il parere tardivo espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ex art. 146 d. lgs. n. 2004/42: spunti di riflessione , Nota a Cons. Stato, Sez. VI, 9 agosto 2016, n. 3561 in Rivista giuridica dell'edilizia, 2017, Fasc. 1, pt. 1, pp. 128-138; C. P. SANTACROCE, Sul potere ministeriale di imposizione dei vincoli paesaggistici , Relazione al Convegno sul tema Gestione dei vincoli paesaggistici e semplificazione dei regimi autorizzatori , Padova, 16 settembre 2010 in Rivista giuridica di urbanistica, 2011, Fasc. 1, pt. 2, pp. 92-123; si veda anche ex multiis Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 210 secondo cui è incostituzionale l'art. 1 della legge regionale della Sardegna 2 agosto 2013 n. 19, nella parte in cui: a) non prevede la tempestiva comunicazione del piano straordinario di accertamento e degli altri atti modificativi dei vincoli di destinazione ai competenti organi statali, affinché lo Stato possa far valere la propria competenza a tutelare il paesaggio con la conservazione dei vincoli esistenti o l'apposizione di diversi vincoli, e affinché, in ogni caso, effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del piano paesaggistico regionale e b) prevede che i comuni possano attuare processi di transazione giurisdizionale, invece che proporre tali processi. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 55 AmbienteDiritto - Editore© emergenza ed altri interventi relativi all’emergenza ed al primo soccorso delle popolazioni colpite. Con la cessazione dello stato di emergenza e il ritorno alla gestione ordinaria, l’art. 67 ter della Legge 134/2012 ha assegnato agli Uffici Speciali, tra l’altro, il compito di curare l’istruttoria finalizzata all’esame delle richieste di contributo per la ricostruzione degli edifici privati. La governance e l’organizzazione attuale dell’intervento di ricostruzione in Abruzzo sono state definite dal Decreto Legge n. 83/201293 e precisate da diversi atti successivi. Quanto alle competenze istituzionali, reimpostando il sistema di governance su principi di centralità socioeconomica del da territorio parte dei nei processi Comuni, di delle ricostruzione Province, delle e rivitalizzazione Regioni e delle Amministrazioni Centrali all’interno di un contesto strutturale di coordinamento nazionale, esse si connotano da una piena responsabilizzazione nell’assunzione degli obiettivi di ricostruzione, rilancio dell’attrattività e sviluppo delle aree colpite dal sisma come pratica ordinaria della propria azione politica ed amministrativa. Tra i programmi di sviluppo, il comma 12 D.L. 78/2015 94 ha destinato una quota fissa degli stanziamenti annuali di bilancio ad interventi di sviluppo, da coordinare in un programma capace di assicurare effetti positivi di lungo periodo in termini di valorizzazione delle risorse territoriali, produttive e professionali95. Con particolare riguardo alla ricostruzione privata, al fine di garantire il tempestivo rientro dei proprietari nelle loro abitazioni, il comma 7 ter ha disposto la facoltà di eseguire lavori di riparazione/ricostruzione di edilizia privata in regime di anticipazione finanziaria da parte dei proprietari o degli aventi titolo, nel rispetto dei limiti e dell’ordine di priorità di erogazione del contributo, concesso dai comuni e senza oneri aggiuntivi per l’ente locale, il cui credito non può essere a nessun titolo ceduto o offerto in garanzia. Per quel che invece concerne i beni culturali, quali le chiese e gli altri edifici di culto, si prevede che in tali casi la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo assuma la veste di stazione appaltante, restando ferma la necessità del parere, obbligatorio e non vincolante, della Diocesi competente, nel procedimento di approvazione e ricostruzione degli edifici. Dunque, l’autorità pubblica Si veda Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83. Decreto-Legge 19 giugno 2015, n. 78. 95 Cfr. Relazione XVI Legislatura sullo stato di avanzamento del processo di ricostruzione postsismica nella regione Abruzzo in www.senato.it. 93 94 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 56 AmbienteDiritto - Editore© di riferimento può acquisire le progettazioni già redatte alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e depositati presso gli uffici competenti, verificandone la conformità alla normativa degli appalti pubblici e la compatibilità con i principi della tutela, nonché la rispondenza con le caratteristiche progettuali ed economiche definite nel Programma pluriennale di ricostruzione pubblica del settore specifico, e l’idoneità, anche finanziaria, alla ristrutturazione e ricostruzione degli edifici. Dal punto di vista dei costi, che rappresentano sicuramente uno degli aspetti da non sottovalutare, è bene ricordare che alla data del 31 dicembre 2016 sono stati stanziati per la ricostruzione 17.856 milioni di euro. Alla determinazione di questo importo, ha concorso nell'ultimo periodo, il rifinanziamento di 5.100 milioni di euro fino al 2020 disposto dalla Legge di stabilità per il 2015. Al 31 dicembre 2016, invece, le risorse stanziate per la ricostruzione privata sono paro a 8.016 milioni di euro. Tali risorse comprendono gli stanziamenti pluriennali previsti dai vari interventi legislativi che si sono succeduti dal 2009 ad oggi, per un totale di 6.015 milioni di euro. Accanto a questi importi, vanno anche considerati i contributi concessi sul canale Credito di Imposta pari a 878 mila euro. Quanto alle tempistiche relative alla ricostruzione privata essi si connotano naturalmente per incertezza. In particolare, i tempi della ricostruzione potrebbero essere influenzati dalla sovrapposizione dei danni generati dagli eventi sismici del 2016 che hanno prodotto danni considerevoli anche nelle zone abruzzesi già colpite dal terremoto del 2009. Anche il fattore temporale, dunque, rappresenta un elemento che ha un’incisività negativa sul coordinamento attività edilizia/vincoli paesaggistici ed idrogeologici. Si pensi al fatto che solo per quanto riguarda l’Aquila e le sue frazioni, il completamento dell’attività istruttoria è prevista per la fine del 2018. La fine dei lavori di ricostruzione privata avverrà entro l’anno 2022. Mentre, per gli altri comuni del cratere e fuori cratere, secondo le valutazioni dell’URSC il completamento delle istruttorie dovrebbe completarsi nel 2023, con una consistente accelerazione nel prossimi anni. Il completamento della ricostruzione privata, con il ripristino dell’agibilità di 26.000 abitazioni danneggiate dal sisma ed una spesa complessiva di oltre quattro miliardi di euro, dovrebbe chiudersi entro il 2025. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 57 AmbienteDiritto - Editore© Entrando nel vivo delle modalità attraverso le quali la procedura di ricostruzione privata sta avvenendo: le risorse stanziate vengono assegnate ai comuni interessati con delibera del CIPE in relazione alle effettive esigenze di ricostruzione, previa presentazione del monitoraggio sullo stato di utilizzo delle risorse allo scopo finalizzate e ferma restando l’erogazione dei contributi nei limiti degli stanziamenti annuali iscritti al bilancio. Altri gravi episodi che bisogna ricordare sono rappresentati dagli eventi sismici che hanno colpito le aree di Amatrice, Norcia, e Camerino nell’agosto e nell’ottobre 2016. In tale occasione, un’apposita delegazione dei deputati membri della Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati, avendo raggiunto il luogo dei territori summenzionati ha avuto modo di ‘costruire’ un livello di coordinamento territoriale, dando adito alle indicazioni delle autorità locali. In quella occasione, si è rilevato che la parte storica di Amatrice ne è uscita totalmente distrutta con l’unica eccezione della torre civica e analoga situazione si è verificata nella gran parte delle 69 frazioni del comune. Il contesto emergenziale che ne è emerso ha riguardato scuole e case per le quali si è provveduto alle Soluzioni Abitative d’Emergenza (SAE) a seconda del fabbisogno emerso. In tale contesto è emersa una lunga riflessione per il futuro sul meccanismo emergenziale nonché gestionale di intervento sui beni culturali tanto in fase di emergenza quanto in fase di ripristino. Sono, infatti, stati stigmatizzati la lentezza ed il ritardo con cui il Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo (MiBACT) ha avviato il recupero e la ricognizione delle opere e dei beni da sottoporre a verifica, lamentando che con la riforma del 2012 tale competenza sia stata sottratta alla Protezione civile per trasferirla al ministero che non ha una cultura dell’emergenza. Il maggiore contributo, dunque, in tale contesto, è stato fornito dai volontari della Legambiente che è l’unica organizzazione ad avere un gruppo specializzato nel recupero e nella messa in sicurezza dei beni culturali. E ciò che ci porta tristemente a riflettere sull’effettiva portata delle norme e sul funzionamento delle stesse è anche quanto accaduto a Genova in conseguenza del crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018. Tralasciato l’aspetto economico della questione che ha comportato, per il capoluogo ligure, lo stanziamento complessivo di 630 milioni di euro (di cui 360 milioni per la ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 58 AmbienteDiritto - Editore© ricostruzione del ponte e le nuove case degli sfollati, oneri che secondo il decreto dovrà comunque pagare Autostrade per l'Italia, o subito o più in là) e 270 milioni per minori tasse, zona franca urbana, e sostegni alle imprese, ci soffermeremo, per quel che ci interessa, alla delineazione delle linee guida fondamentali previste nel Decreto Legge 28 settembre 2018, n. 10996. Obiettivo del decreto è la ricostruzione del Ponte Morandi crollato e le misure di indennizzo e rilancio dei cittadini e le imprese di Genova. In particolare, vengono previsti gli interventi per il sostegno e la ripresa economica della città di Genova. Altre misure riguardano, poi, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli interventi a favore dei comuni di Ischia interessati dal sisma del 21 agosto 2017 e dei territori dell’Italia centrale interessati dagli eventi sismici del 2016 e del 2017 e le ulteriori misure emergenziali. Il Capo I riguarda le disposizioni in materia di interventi urgenti per il sostegno e la ripresa economica del territorio del Comune di Genova. È prevista la nomina di un Commissario Straordinario per l’emergenza al fine di garantire in via d’urgenza, le attività per la demolizione e lo smaltimento dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l’affidamento e la ricostruzione dell’infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario. Dopo dieci giorni dall’entrata in vigore del Decreto Genova, è stato nominato quale commissario straordinario Claudio Andrea Gemme. Inoltre, per gli affidamenti del Commissario, essi potranno avvenire senza gara97. Ciò su cui, però, conviene focalizzare l’attenzione è la misura in cui viene garantito il diritto all’abitazione per il quale all’articolo 1-bis è prevista una procedura finalizzata a garantire la celere immissione in possesso, da parte del Commissario, delle unità immobiliari oggetto delle ordinanze di sgombero emanate in seguito al crollo del c.d. ponte Morandi e, di conseguenza, ad accelerare le operazioni dell’infrastruttura crollata. In particolare, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, può stipulare con i proprietari e gli usufruttuari delle unità immobiliari. 96 97 Per completezza, Decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 recante ‘’D isposizioni urgenti per la citta' di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze’’. Il comma 7 dell’articolo 1 prevede che ‘’Il Commissario straordinario affida, ai sensi dell'articolo 32 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, la realizzazione delle attività concernenti il ripristino del sistema viario, nonché quelle propedeutiche e connesse, ad uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate, anche al fine di evitare un indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali. L'aggiudicatario costituisce, ai fini della realizzazione delle predette attività, una struttura giuridica con patrimonio e contabilità separati’’. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 59 AmbienteDiritto - Editore© Il decreto in discorso, all’art. 25, disciplina anche la definizione delle istanze di condono pendenti relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017. Preliminarmente, si voglia ricordare che il Governo aveva chiesto un emendamento, e più precisamente il 25.12, in relazione all’articolo 25 per l’appunto, col quale si chiedeva di sopprimere la parte facente riferimento alla legge 28 febbraio 1985, n. 47. L’emendamento è stato approvato con 23 voti contro 22. Dunque, il riferimento alla legge suindicata non ci sarà più prevedendo che le procedure pendenti di condono seguiranno comunque la legge ma tenendo conto dei vincoli paesaggistici. In maniera più dettagliata, per la definizione delle istanze di condono si applicheranno, dunque, le disposizioni relative al primo condono edilizio, dettate dai capi IV e V della legge 47/1985. Inoltre, a seguito di modifiche già introdotte nel corso dell’esame alla Camera al testo originario del decreto, sono state inserite disposizioni concernenti la necessità del previo rilascio del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico per la definizione delle istanze di condono presentate ai sensi del decreto-legge 269/2003 (c.d. terzo condono edilizio) e, per le istanze indicate, l'esclusione della sanatoria per le opere eseguite da soggetti condannati con sentenza definitiva, per alcuni delitti, tra cui quello di associazione mafiosa. Inoltre, sempre l’articolo 25 del c.d. Decreto Genova prevede l’indizione di apposite conferenze di servizi per assicurare la conclusione dei procedimenti entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. In particolare, i comuni colpiti dal sisma nell’isola di Ischia dovranno decidere entro sei mesi sulle istanze di condono ancora non risolte relative agli immobili distrutti dal terremoto e presentate ai sensi di tre leggi successive. Ciò che, a tal proposito, però è stato rilevato è il riferimento all’applicazione di criteri che si applicavano oltre trent'anni fa, quando non esistevano ancora molte norme di tutela del territorio, del paesaggio, di contrasto del rischio sismico, vulcanico e idrogeologico. L'art. 32 della legge 47/1985 disciplina, infatti, la sanabilità delle opere costruite su aree sottoposte a vincolo, disponendo, tra l’altro, che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 60 AmbienteDiritto - Editore© L’art. 33 disciplina, invece, le opere non suscettibili di sanatoria, stabilendo che sono tali le opere in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima dell’esecuzione delle opere stesse. Tali sono i vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici; vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali; vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna; ogni altro vincolo che comporti l’inedificabilità delle aree. Sono altresì escluse dalla sanatoria, sempre in base all’art. 33, le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela del D.Lgs. 42/2004, e che non siano compatibili con la tutela medesima. Per concludere, il quadro normativo e sociale che ne viene fuori non eccelle sicuramente per certezza del diritto data la reiterata sovrapposizione di norme. L’interesse al regolare funzionamento dell’attività edilizia, da un lato, e l’interesse alla tutela del paesaggio e delle bellezze naturali in genere, dall’altro, rappresentano ex se due tipologie di interessi incompatibili, o comunque, difficili da coordinare. A ciò, si aggiunge l’ampolloso quadro normativo che di certo non aiuta a fornire delle soluzioni pratiche, dimenticando quel buon funzionamento che deve essere assicurato costituzionalmente dalla pubblica amministrazione. Forse il vero problema del coordinamento tra i due interessi all’apparenza contrapposti sta in quanto veniva già anticipato dall’illustre giurista Guicciardi, all’epoca dell’allora vigente legge 29 giugno 1939, n. 1497 ‘’Protezione delle bellezze naturali’’, secondo il quale ‘’un grosso difetto della legge stia in ciò: che quando si impone il vincolo paesisitico su una determinata località, non si sa in che cosa il vincolo consiste: esso è del tutto indeterminato. Si sa soltanto che, a partir da quel momento, gli interessati sono posti nelle mani delle Sovrintendenze, alle quali spetta decidere, caso per caso, se non si può costituire, o se si può, e come. Tutto quindi è rimesso alle Sovrintendenze, con una discrezionalità amplissima, che, data la particolare materia, si risolve in una valutazione squisitamente personale di colui che si trova ad essere titolare dell’ufficio in quel momento’’. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 61 AmbienteDiritto - Editore© 6. Conclusioni. Il coordinamento delle attività amministrative volte alla protezione e conservazione di un patrimonio culturale che, per la sua ampiezza e peculiarità, è il patrimonio più importante a livello mondiale, impone una gestione unitaria e centralizzata che consideri le problematiche afferenti alla tutela sotto un profilo complessivo. Lo Stato, le regioni e gli antri enti pubblici territoriali dovrebbero assicurare la fruizione e la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura di propria appartenenza. I cittadini, infatti, dovrebbero riconoscersi nel patrimonio ambientale e culturale che li circonda e, per fare ciò, bisognerebbe anche far tesoro delle esperienze passate in materia di prevenzione ed emergenza. Non solo, le amministrazioni pubbliche dovrebbero tentare – sebbene nei limiti – di favorire l’integrazione della Comunità nello Stato. E ciò, potrebbe essere favorito, ad esempio, tramite una semplificazione delle procedure relative alle autorizzazioni paesaggistiche per le quali si è fatto un passo in avanti mediante l’entrata in vigore del Decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 ‘’Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata’’. Tuttavia, per far sì che tutto ciò venga attuato, è necessario che si metta in pratica e si migliori, allo stesso tempo, un sistema di vigilanza connesso ad un parallelo efficiente meccanismo sanzionatorio. La funzione di vigilanza, intensa in senso lato, è preventiva e repressiva ma è anche strumentale alla tutela e ad una corretta valorizzazione. Il compito è affidato alle Regioni che vigilano sull’ottemperanza alle disposizioni contenute nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, da parte delle amministrazioni da loro individuate per l’esercizio delle competenze in materia di paesaggio. A livello comunale, a giudizio di chi scrive, dovrebbe essere introdotta nei piani regolatori una specifica individuazione e selezione di aree destinate alle emergenze abitative già idonee – per la preventiva valutazione dei vincoli ambientali e paesaggistici – per l’avvio della nuova realtà edilizia. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 62 AmbienteDiritto - Editore© LE RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN CASO DI ABBANDONO RIFIUTI: Sentenze contrastanti o diversi valori costituzionali in gioco? Giacomo Vivoli Abstract (it) Nel contributo vengono analizzate le posizioni che la giurisprudenza ha assunto nei confronti del curatore fallimentare in caso di abbandono rifiuti derivanti dalla precedente attività dell’impresa fallita; rispetto a posizioni oscillanti della giurisprudenza, il contributo cerca di offrire una prospettiva più ampia che si fonda sui diversi valori costituzionali che possono e in alcuni casi impongono posizioni differenziate. Abstract (en) The article analyzes the different stances that the jurisprudence has taken on the official receiver, in case he deals with waste abandonment originated from previous operations of the bankrupt company; because of varying stances present in the jurisprudence, the article seeks to offer a broader perspective founded on the different constitutional values that can consequently result, and in some cases force, different stances. SOMMARIO: 1. Introduzione e delimitazione dell’analisi giuridica; 2. Le peculiarità della figura del curatore nella giurisprudenza ordinaria; 3. Il curatore come soggetto subentrante; 4. Il curatore come soggetto detentore dei rifiuti; 5. Il caso dell’amianto; 6. Conclusioni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 63 AmbienteDiritto - Editore© 1. Introduzione e delimitazione dell’analisi del contributo. In materia di rifiuti la posizione dei soggetti che risultano incolpevoli rispetto alla loro produzione ma che per diversi motivi hanno una “prossimità” con i rifiuti stessi è stata da tempo oggetto di numerose pronunce 98, nonché di documenti di prassi 99; tuttavia in virtù anche delle multiformi sfaccettature cui la realtà fattuale può presentarsi, in alcuni casi la giurisprudenza, specie amministrativa, è ancora alla ricerca di un approdo sicuro. Non è intenzione del presente contributo analizzare l’ampia questione generale quanto invece limitare la trattazione alle responsabilità del curatore fallimentare a fronte di abbandono rifiuti che siano il risultato del ciclo di produzione passato dell’impresa o, comunque, davanti a situazioni in cui in nessun modo lo stato di abbandono sia imputabile a comportamenti attivi del curatore. Fissato così il perimetro principale dell’indagine si segnalano però due sconfinamenti. In primis l’analisi e le considerazioni possono travalicare strettamente l’ambito dell’abbandono rifiuti (art. 192 del TUA) ed entrare nella contigua 100 disciplina della bonifica siti contaminati ex artt. 229 e ss del TUA. 98 Il più noto è il caso del proprietario del terreno non responsabile dell’inquinamento in presenza delle condizioni che impongono la bonifica. Cfr. Sentenza CGUE causa C-534/13 del 2015. G.ATZORI, Chi (non) inquina paga? La giurisprudenza più recente sugli obblighi del proprietario incolpevole, Ambiente & Sviluppo, n. 10/2015, pp. 557-564; F.GRASSI, La Corte di Giustizia conferma che sul proprietario “incolpevole” non grava l’obbligo di effettuare le attività di bonifica , Riv. Quadr. di diritto dell’ambiente, n. 1/2015, pp. 206-229; E. MASCHIETTO, La Corte di Giustizia dell’Unione europea conferma la compatibilità della disciplina italiana sul “proprietario incolpevole” dell’inquinamento con i principi comunitari in materia ambientale, Riv. giur. ambiente, n. 1/2015, pp. 33-41 B.POZZO, Misure di riparazione del danno ambientale in capo al proprietario non colpevole e applicazione ratione temporis della direttiva 2004/35: note a margine della recente sentenza 4 marzo 2015, nella causa C-534/13 , Riv. giur. ambiente, n. 1/2015, pp. 41-46. 99 Si veda ad esempio la nota del MATTM del 23 gennaio 2018 emessa dalla Divisione III – Bonifiche e risanamento. 100 E’ evidente che le due discipline mantengono dei punti in comune vista la loro funzione di strumenti entrambi a tutela dell’ambiente e strutturate per affrontare una situazione di inquinamento; tali comunanze aumentano se dal puntuale si risale ai principi generali della disciplina, basti pensare al principio di derivazione unionale chi inquina paga; tuttavia le due discipline mantengono approcci, logiche e regole di risoluzione dei casi profondamente diverse e l’analisi giuridica deve pertanto mantenerle separate; sia sufficiente richiamare da un lato il contenuto dell’art. 239 co. 2 del TUA dove chiaramente viene esplicitato che le disposizioni del titolo V sulla bonifica di siti contaminati non si applicano all’abbandono dei rifiuti e dall’altro, a valle del sistema della bonifica, lo strumento della costituzione dell’onere reale previsto dall’art. 253 per gli interventi effettuati d’ufficio dall’autorità competente che non trova spazio nel caso dell’abbandono rifiuti ex art 192 del TUA. L’istituto dell’onere reale è finalizzato a costituire una garanzia reale a tutela del recupero delle spese di bonifica sostenute dalla pubblica amministrazione nell’ipotesi, tutt’altro che marginale, che il responsabile dell’inquinamento non venga individuato oppure, anche se individuato, non provveda o non riesca a farlo per in capienza economico patrimoniale; sotto altro punto di vista evita un ingiusto arricchimento per il proprietario del terreno che, seppur incolpevole, vedrebbe un ingiusto incremento del proprio patrimonio ottenuto con uso di risorse pubbliche (ex multis Consiglio di Stato, sent. 5580 del 6 agosto 2019); inoltre tale separazione tra abbandono e bonifica non deve far dimenticare di quanto le due situazioni possano comunque essere connesse in quanto il primo può essere la condizione per cui si concretizza la seconda; difatti, sempre l’art. 239 co. 2 del TUA precisa che se a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, viene accertato il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell'area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 64 AmbienteDiritto - Editore© Tale invasione di campo diventa a volte quasi inevitabile in quanto non è raro che i contenuti ed i richiami nelle ordinanze sindacali e delle sentenze oscillino e, in alcuni casi, confondano101 le due discipline che hanno una loro ben precisa differenza ontologica chiaramente esplicitata anche sul piano normativo102. Il secondo sconfinamento riguarda l’estensione dello studio anche al caso di presenza di materiali contenenti amianto che quasi mai rappresentano il risultato del ciclo di produzione passato dell’impresa e la cui natura di rifiuti presenta profili decisamente peculiari. Questo approfondimento assume rilevanza in quanto utile a supportare quello che è lo scopo principale del contributo: tentare di offrire una chiave di lettura unificante sul piano dei valori costituzionali a quelle che possono sembrare posizioni giurisprudenziali contraddittorie. 2. Le peculiarità della figura del curatore nella giurisprudenza ordinaria. Nell’affrontare la delicata questione, il primo elemento di ordine logico è quello di attribuire alla posizione ricoperta dall’organo preposto alla procedura concorsuale 103 il corretto inquadramento giuridico104. 101 102 103 104 A titolo esemplificativo la recente sentenza del Consiglio di Stato del 6 agosto 2019, n. 5580 da un lato, in premessa, precisa come l’amministrazione comunale abbia adottato una ordinanza di bonifica ex art. 17 co. 3 D.Lgs. 22/1997 e non di abbandono rifiuti ex art. 14 del D.Lgs, 22/199 per poi però affermare, a quel punto in maniera contraddittoria, che: «nessun ordine di ripristino può essere imposto dal Comune alla curatela fallimentare quale mera responsabilità di posizione in assenza dell’individuazione di una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso sull’abbandono dei rifiuti». I due riferimenti normativi citati fanno riferimento al quadro normativo precedente al D.Lgs. 152/2006 ma ciò non rileva ai fini delle considerazioni in quanto, peraltro, le due discipline non hanno subito sostanziali modifiche nel nuovo testo. Infatti l’art. 239 co. 2 relativo alla bonifica dei siti contaminati stabilisce chiaramente che le disposizioni del titolo V della parte IV del D.Lgs, 152/2016 non si applica all’abbandono dei rifiuti. Per semplicità espositiva si farà riferimento da ora in poi al fallimento in quanto procedura che si presenta con maggior casisitica; le considerazioni trovano piena valenza anche per la liquidazione coatta amministrativa in quanto, salvo alcuni aspetti procedurali non rilevanti ai fini della questione analizzata, il curatore fallimentare ed il commissario liquidatore sono figure pressoché analoghe. In tal senso con la sentenza Tar Trento 9 marzo 2018, n. 56 è stato recentemente chiarito che «… sul piano normativo, non vi è motivo per differenziare la posizione del commissario liquidatore nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa da quella del curatore fallimentare. Difatti, come puntualmente evidenziato dal ricorrente, dal confronto tra la disposizione dell’art. 214 della legge fallimentare….e quella dell’art. 31 della medesima legge… si evince che il commissario liquidatore – al pari del curatore del fallimento – non essendo né rappresentante, né successore della società in liquidazione, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitogli dalla legge, non è destinatario di specifici obblighi di sorveglianza del patrimonio stesso». Il curatore ai sensi dell’art. 31 della L.F. «ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato o del comitato dei creditori» e per quanto attiene l’esercizio delle funzioni è pubblico ufficiale. Come noto con il D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza destinato a sostituirsi alla vecchia legge fallimentare; nel presente contributo si farà riferimento sempre alla procedura del fallimento e non alla nuova procedura della liquidazione giudiziale d’impresa; tuttavia ciò non sembra porre molti problemi di coordinamento con il nuovo testo in quanto da un lato in quest’ultimo non c’è l’introduzione di alcuna norma specifica sulla gestione dei rifiuti e dall’altro, per gli articoli della L.F. utili ai fini del presente lavoro, a parte modifiche terminologiche formali, il nuovo testo non presenta alcuna innovazione rispetto a quello previgente; ad esempio il nuovo art. 133 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 65 AmbienteDiritto - Editore© Anche se le oscillazioni più evidenti, come vedremo, sono rilevabili nella giurisprudenza amministrativa si ritiene opportuno comunque analizzare, seppur sinteticamente, le posizioni assunte nel tempo da quella civile e penale anche in funzione della loro reciproca influenza e circolarità. Sul piano civilistico una prima posizione è rintracciabile sin dalla sentenza della Corte di Cassazione fallimento 5 aprile 1974, n. 955 nella quale viene chiarito come il curatore del «quale organo investito di una pubblica funzione nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, svolge un’attività distinta da quella del fallito o dei creditori, ed agisce imparzialmente non in rappresentanza o in sostituzione del fallito o dei creditori, ma per far valere, di volta in volta, e sempre nell'interesse della giustizia, le ragioni dell'uno o degli altri o della massa attiva fallimentare». Con la sentenza del 23 giugno 1980, n. 3926 fu precisato che il curatore, pur potendo succedere a specifiche posizioni negoziali del fallito ex art. 72 della L.F., non è, come regola generale, «rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio» per l’esercizio dei poteri che gli sono stati conferiti dalla legge. Tale posizione viene confermata nella successiva sentenza del 14 settembre 1991 n. 9605 dove viene così osservato: «Il fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16/03/1942, n. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo intitolato gestione della procedura - in stretta comunanza con l’art. 31 della L.F. - riporta che il curatore ha l'amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione giudiziale e compie tutte le operazioni della procedura rientranti nell’ambito delle sue funzioni sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. Nel valutare la posizione del curatore vanno considerate anche la facoltà di cui dispone nel gestire i rapporti che alla data del fallimento risultano ancora in essere (art. 72 L.F.) e, seppur non regola ricorrente, la possibilità di richiedere al giudice lo svolgimento dell’esercizio provvisorio con il quale viene, eventualmente, autorizzata la prosecuzione dell’attività. Ai sensi dell’art. 109 della L.F. con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori. Inoltre, successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata. Anche su questo aspetto il D.Lgs. n. 14/2019 non risulta innovativo in quanto i commi 2 e 3 dell’art. 211, ricalcando il testo precedente, dispongono rispettivamente che «con la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, il tribunale autorizza il curatore a proseguire l'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dall'interruzione può derivare un grave danno, purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori» oppure che «successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, l'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 66 AmbienteDiritto - Editore© generale di subentro nelle posizioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito ». Ed ancora chiaramente «poiché il curatore, nell’espletamento della pubblica funzione, non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono né gli obblighi dal fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell'inizio della procedura concorsuale ». E’ opportuno precisare che le sentenze sin qui succintamente richiamate non trattavano casi legati alla gestione dei rifiuti; nonostante ciò esse mantengono intatte ancora oggi la loro portata giuridica in quanto affrontavano comunque la posizione di legittimazione passiva del curatore che risulta un nodo cruciale della questione. La loro attualità trova conferma nel fatto che vengono ancora citate a supporto di posizioni giurisprudenziali molto recenti. A titolo esemplificativo, recentemente e specificatamente nell’ambito dei rifiuti, è da segnalare una recente decisione del tribunale di Milano del 2017105 che - citando proprio anche la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 23/06/1980, n. 3926 - ha escluso la responsabilità del curatore quale soggetto obbligato alla gestione dei rifiuti prodotti dall’impresa fallita in quanto non è né l’autore della condotta di abbandono incontrollato del rifiuto, né l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore in quanto la società dichiarata fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio. Dalla breve analisi condotta è osservabile che la giurisprudenza civile non ha mai esitato nel sancire una netta demarcazione tra società in bonis e curatela fallimentare e nel ritenere, quindi, non possibile qualificare la seconda quale soggetto subentrante della prima (se non nel senso di subentrante nell’amministrazione del patrimonio); tale posizione determina, di conseguenza, la carenza di legittimazione passiva del curatore e quindi l’illegittimità di ogni ordinanza emessa dalla pubblica amministrazione con la quale si richiedono obblighi di rimozione di rifiuti ex art. 192 del D.Lgs. 152/2006. Passando al piano penale la Corte di Cassazione, sez. III ha affrontato la responsabilità del curatore fallimentare nella gestione dei rifiuti dell’impresa fallita nella sentenza del 1 ottobre 2008 n. 37282106. 105 106 Decreto 8 giugno 2017, Tribunale di Milano – sez. fallimentare. A.COVIELLO, Abbandono dei rifiuti e responsabilità del curatore fallimentare, Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, 2009, fasc. n. 5, p. 343-345; F.PERES, La responsabilità del curatore per l’abbandono dei rifiuti prodotti dall’impresa fallita, Riv. giur. Ambiente, n. 1/2009, p. 180 e ss. Quest’ultimo segnala la precedente sentenza del 14 dicembre 2004, n. 48061 dove la Corte di Cassazione, sez III penale aveva riconosciuto la responsabilità del curatore fallimentare rilevando che «nel merito esisteva la prova che l’area in questione era stata sgomberata da rifiuti e materiali riscontrati nei precedenti sopralluoghi (nota del NOE n. 11/05 del 3 ottobre 2000) e comunque la società S. era fallita a partire dal 26 gennaio ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 67 AmbienteDiritto - Editore© Il caso era il seguente: il tribunale di Cosenza, in sede di riesame, aveva confermato il sequestro preventivo disposto dal GIP avente ad oggetto aree e alcuni capannoni industriali abbandonati appartenenti ad un fallimento dichiarato nel 1998 nei quali erano stati rinvenuti rifiuti di vario genere; veniva ravvisata sia la fattispecie di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti ex art. 256, co. 2 del D.Lgs. 152/2006, sia la configurabilità della contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. per la dispersione nell’ambiente di fibre di amianto . Ricorrendo per Cassazione il curatore produceva a sua difesa due argomentazioni a contestazione del fumus, entrambe volte ad evidenziare le differenze tra soggetto gestore attivo e curatore fallimentare. Con una prima linea difensiva sosteneva che il deposito incontrollato di rifiuti è un reato che potrebbe essere ascritto solo a “titolari di imprese” o “responsabili di enti” - figure funzionalmente non assimilabili a quelle del curatore fallimentare – e chiedendone conseguentemente l’estinzione del reato per avvenuta prescrizione vista l’interruzione dell’attività nell’anno 1998. L’altra linea difensiva, che parrebbe strettamente in linea con quella assunta dalla Cassazione civile, cerca di marcare la differenza tra amministrazione dei beni del fallito ex art 31 della LF (attività chiaramente di competenza del curatore) e gestione ambientale dei rifiuti sorti in precedenza al fallimento (che non potrebbe invece essere esigibile dal curatore); richiesta rafforzata dalla considerazione che non sarebbe rinvenibile nell’ordinamento una disposizione specifica per la gestione ambientale dei rifiuti che ponga il curatore in posizione di garanzia ai sensi e per gli effetti dell’art. 40, comma 2, c.p. Tuttavia il Collegio rigetta il ricorso confermando l’esistenza del fumus sia per la fattispecie di cui all’art. 674 c.p. sia per quella ex art. 256 comma 2 del D.Lgs. 152/2006. In particolare per quest’ultima il Collegio non ha dubbi né sulla materialità oggettiva del reato (rilevato l’abbandono di rifiuti) né sulla qualificazione del curatore quale soggetto a cui possa essere ascritto il reato come proprio. Difatti viene affermato che «…quando l’impresa sia dichiarata fallita (…) la responsabilità del suo titolare si trasferisce sul curatore fallimentare, che da una parte è pubblico ufficiale e dall’altra ha il compito di amministrare il patrimonio dell’impresa in sostituzione del suo titolare (ex artt. 30 e 31 Legge fallimentare). Si tratta non già di 1999, sicchè la responsabilità nella custodia gravava sul curatore fallimentare». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 68 AmbienteDiritto - Editore© estensione analogica, ma di interpretazione teleologica della norma incriminatrice, secondo la quale, nella soggetta materia, il ruolo del curatore non può ridursi a quello di soggetto “comune”». Per tali motivazioni non si potrebbe negare l’astratta ricorribilità dell’art. 256 co. 2 D.Lgs. 152/2006 né tantomeno affermarsi l’estinzione del reato per decorso del termine di prescrizione. Tale posizione del giudice penale risulta pertanto diametralmente opposta a quella formatasi lungo il binario civile che invece sin da subito, in funzione dell’inesistenza di un fenomeno successorio, ha marcato la differenza tra la posizione, il ruolo, le responsabilità e gli obblighi del curatore fallimentare rispetto a quelle degli organi amministrativi societari nel periodo in bonis. Tuttavia preme mettere in evidenza che nel caso in questione tra i rifiuti abbandonati risultavano anche parti di eternit; in particolare si legge nella sentenza che « i capannoni presentavano le coperture in cemento-amianto (eternit) in uno stato molto avanzato di degrado per effetto della corrosione atmosferica, tanto che le fibre di amianto, non più inglobate nella matrice cementizia, affioravano in superficie e si disperdevano nell’ambiente circostante, con grave pericolo per la salute pubblica»107. Per quanto si cercherà di argomentare meglio successivamente, l’esigenza di tutela della salute pubblica, che trova una sua evidenza nei pericoli all’esposizione dell’amianto, è la condizione che spostando la gravità dei valori da proteggere sottesi può costituire la base costituzionale per giustificare una differenziazione tra obblighi esigibili dal curatore fallimentare in materia di rifiuti. In discontinuità con la precedente decisione si esprime invece la successiva sentenza n. 40318 del 28.09.2016 della Corte di Cassazione penale le cui statuizioni ritornano in armonia con quelli della giurisprudenza civile. Il PM ricorre avverso la sentenza di non luogo a procedere del GUP a favore del curatore imputato del reato ex art. 256, comma 4 del D.Lgs. 152/2006 perché il fatto non sussiste. La contestazione era le seguente: la società fallita aveva svolto in precedenza l’attività di gestione di una discarica; la provincia aveva rilasciato nel 2008 apposita 107 Il grave pericolo per la salute pubblica risulterebbe, si legge sempre nella sentenza, anche da una nota del comune interessato in base alle quale nel raggio di 10 Km rispetto alla struttura si sarebbero registrati 74 decessi in 10 anni per patologie prevalentemente correlate all’esposizione dall’amianto. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 69 AmbienteDiritto - Editore© autorizzazione ambientale in relazione all’esercizio dell’impianto di rifiuti inerti con prescrizioni che, però, il curatore non avrebbe osservato. A giudizio del PM ricorrente, la dichiarazione di fallimento della società avrebbe comportato il subentro del curatore fallimentare nell’autorizzazione rilasciata dalla provincia con relative prescrizioni; in altri termini gli obblighi che nel periodo in bonis gravano sull’organo amministrativo si riverserebbero sul curatore nel momento della nomina perché con la sentenza di fallimento le responsabilità del titolare si trasferirebbero su di lui in quanto pubblico ufficiale (e avendo questi il compito di amministratore il patrimonio dell’impresa in sostituzione del suo titolare ex artt. 30, 31 e 42 della L.F.). Del resto, la stessa autorizzazione ambientale, rilasciata dalla provincia, avrebbe precisato che gli obblighi di informazione e comunicazione dovessero riguardare anche la fase post-operativa della discarica e, quindi, dovessero sussistere anche dopo che l’attività dell’impianto si fosse conclusa. A sostegno di tale posizione viene citata ovviamente la sentenza n. 37282 del 12 giugno 2008 sopra succintamente commentata evidenziando come con tale arresto sia stato chiarito che l’effetto successorio, realizzandosi in base ad una interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice contestata, fa venir meno l’esigenza di una norma specifica che ne perfezioni esplicitamente gli effetti. Tuttavia il Collegio non condivide il percorso ricostruttivo prospettato dal ricorrente sulla base sia di considerazioni specifiche per il caso in questione (si tratta di una discarica), sia su argomentazioni con portata più ampia. In primis il Collegio pone subito l’attenzione sulla possibilità di attribuire al curatore fallimentare la qualifica soggettiva di gestore di una discarica autorizzata. Difatti la fattispecie contestata risulta dall’integrazione dei commi 3 e 4 dell’art. 256 D.Lgs. 152/2006 che sanziona la condotta di inosservanza di regole contenute nel provvedimento amministrativo autorizzatorio da parte di un soggetto che può essere qualificato gestore di discarica autorizzata. Il nodo nevralgico pertanto risulta sempre il momento genetico in cui il curatore viene nominato con la sentenza e accetta l’incarico e gli effetti che l’ordinamento fa conseguire sia in termini di poteri che di obblighi. Sullo status di gestore della discarica autorizzata, per il Collegio, tenuto conto che la fase operativa risulta cessata con il fallimento della società - in assenza quindi di ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 70 AmbienteDiritto - Editore© esercizio provvisorio d’impresa -,non vi sono i presupposti per attribuire al curatore tale qualifica. Ma estendendo l’impianto argomentativo giunge a rimarcare la differenza ontologica e giuridica tra società in bonis e fallimento ricostruendo quella barriera a fenomeni successori che la precedente sentenza aveva ipotizzato essere permeabile. Perentoriamente in tal senso e facendo propri gli approdi della giurisprudenza civile e amministrativa: «Tale successione, infatti, è pacificamente negata dalla giurisprudenza, sia civile che amministrativa, la quale rileva come la società dichiarata fallita conservi la propria soggettività giuridica e rimanga titolare del proprio patrimonio, perdendone unicamente la facoltà di disposizione secondo quanto stabilito dall'art. 42 R.D. n. 267/1942, a mente del quale "la sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento", secondo un meccanismo riconducibile allo schema dello spossessamento dei beni». A differenza della giurisprudenza civile che è salda storicamente sulla sua posizione, quella penale dopo una decisione quantomeno discutibile del 2008, anche se caratterizzata dalla presenza di amianto, sembra essersi riorientata nel solco di quella civile. Passando adesso ad analizzare la giurisprudenza amministrativa due sono le questioni giuridiche controverse che sono state affrontate nel caso di abbandono rifiuti: la prima è se il curatore possa essere considerato soggetto subentrante ai sensi dell’art. 192 co. 4 del D.Lgs. 152/2006; la seconda è invece se possa essere considerato soggetto detentore dei rifiuti ai sensi dell’art. 183, co 1, lett. h) del D.Lgs. 152/2006. 3. Il curatore come soggetto subentrante ex art. 192 co. 4 D.Lgs. 192/2006. Affrontare la prima questione significa chiarire se la curatela possa essere, al momento della sua nomina, qualificata come soggetto subentrante all’organo amministrativo della società in bonis; in questo specifico caso il concetto di “soggetto subentrato” ha un sua precisa collocazione nella regolazione ambientale ed un suo preciso significato. Per comprendere il punto occorre analizzare i contenuti di cui all’art. 192 commi 3 e 4 del D.Lgs. 152/2006 in materia di abbandono rifiuti. In base al comma 3, salvo l'applicazione della sanzioni di cui agli artt. 255 e 256 del D.Lgs. 152/2006, chiunque violi i divieti di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo o ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 71 AmbienteDiritto - Editore© quello di immettere rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee «è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo». Il Sindaco può disporre con ordinanza le operazioni che si rendono necessarie assegnando un termine decorso il quale potrà procedere all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. Ma per il punto in trattazione è delicato il passaggio contenuto nel successivo comma 4 dell’art. 192 dove viene stabilito che nel caso in cui la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, «sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati108 nei diritti della persona stessa in base a quanto disposto dal D.Lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni». Dal combinato disposto delle due norme si comprende la rilevanza della corretta qualificazione giuridica della posizione del curatore fallimentare in quanto se considerabile soggetto subentrato ex art. 192 co. 4 rientrerebbe nella responsabilità solidale e quindi, in termini pratici, ne deriverebbe il poter essere destinatario di ordinanze sindacali con le quali gli si impone di gestire e risolvere lo stato di abbandono dei rifiuti. Tuttavia tale ipotesi, decisamente forte, non ha trovato accoglimento in sede giudiziaria; difatti sulla possibilità di considerare il curatore soggetto subentrante si è formata una giurisprudenza amministrativa consolidata109 che, facendo proprie le considerazioni della sentenza della Cassazione civile n. 3926/1980, esclude che il curatore possa essere considerato soggetto subentrante ex art. 192 co. 4 del TUA; la società fallita conserva quindi la propria soggettività giuridica e resta titolare del 108 109 Ns il corsivo. Tar Toscana 26 febbraio 2019, n. 312; cfr. anche sentenze del Consiglio di Stato 30 giugno 2014, n. 3274, 16 giugno 2009, n. 3885, 12 giugno 2009, n. 3765, Tar Lombardia 3 marzo 2017, n. 520, Tar Trentino 20 marzo 2017, n. 93; tutte richiamano il contenuto dellla sentenza della Corte di Cassazione n. 23 giugno 1980, n. 3926 . Sulla sentenza del Consiglio di Stato 30 giugno 2014, n. 3274 cfr. V.VITIELLO, Obbligo di bonifica e fallimento dell’inquinatore, Riv. giur. ambiente, n. 6/2014, p. 758. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 72 AmbienteDiritto - Editore© proprio patrimonio - perdendone solo la disponibilità - subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento. In base a tale orientamento il fallimento non acquista quindi alcuna titolarità sui beni ma ne è solo amministratore con facoltà di disposizione; situazione che marca una profonda differenza con il subentro ex art 192 co. 4 che presupporrebbe invece un fenomeno di successione in senso tecnico110. La netta distinzione tra società in bonis e fallimento è di natura tale da concludere che la curatela fallimentare non possa essere destinataria di ordinanze sindacali ex art 192 per effetto del precedente comportamento commissivo od omissivo dell’impresa fallita. E ancora, recentemente111, tenuto conto che il curatore non può essere considerato successore dell’imprenditore fallito, non possono verificarsi effetti traslativi di diritti e responsabilità per fatti commessi in precedenza dall’imprenditore fallito in base al principio eiuscommoda eius et incommoda. Per giungere ad attribuire una responsabilità al curatore è necessario che sia accertato in maniera univoca un suo contributo diretto e causale rispetto all’abbandono dei rifiuti. Tutto cambierebbe davanti all’esercizio provvisorio d’impresa fallita come previsto dall’art. 104 della L.F.112 oppure in caso comunque di attività svolta in concreto; difatti, tale scelta da parte del curatore, evidentemente valutata in considerazione della sua utilità nella ricerca della massima valorizzazione dell’attivo fallimentare, assumerebbe in materia di rifiuti una rilevanza determinante in quanto il curatore decide di assumere la veste dell’imprenditore e di gestire attivamente l’impresa - non limitandosi quindi ad una statica liquidazione dell’attivo - con le conseguenti responsabilità in caso di abbandono rifiuti. Resta il fatto comunque che, salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio da considerarsi comunque condizione di natura eccezionale, all’interno della casistica più usuale dei fallimenti in cui il curatore si limita a vendere gli assets cercando di ricavare le maggiori somme possibili per soddisfare i creditori nel rispetto della par condicio creditorum, sembra difficile ricavare spazi giuridici per legittimare la pubblica 110 111 112 E’ il caso per esempio di operazioni straordinarie quali fusione o acquisizione di azienda o di rami di essa. Tar Piemonte, 18 marzo 2019, n. 309. Caso diverso potrebbe essere quello nel quale sia direttamente il tribunale con la stessa sentenza dichiarativa di fallimento a disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa avendo valutato che l’interruzione dell’attività possa arrecare un danno grave, purché ciò non arrechi pregiudizio ai creditori; difatti, in tal caso, la valutazione sulla possibilità dell’esercizio provvisorio viene risolta direttamente dall’organo giurisdizionale ed il curatore viene nominato senza che abbia partecipato alla decisione e quindi senza che abbia potuto esprimere una sua manifestazione di volontà. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 73 AmbienteDiritto - Editore© amministrazione ad imporre obblighi a carico della curatela per inquinamento da rifiuti già esistenti prima della sua nomina ed imputabili esclusivamente all’organo amministrativo precedente. E difatti i tentativi dei Comuni di addossare alla curatela ordinanze ex art. 192 in qualità di soggetto subentrante per risolvere situazioni di abbandono rifiuti formatisi prima della procedura, sono stati sistematicamente respinti dalla giurisprudenza amministrativa113. Situazione più oscillante è invece da registrarsi quando le ordinanze sindacali ricercano profili di responsabilità del curatore non in qualità di soggetto subentrante ma come detentore dei rifiuti. 4. Il curatore come soggetto detentore dei rifiuti. Anche se minoritario occorre infatti evidenziare un orientamento tendente ad ammettere la legittimazione passiva del curatore in base ad argomentazioni centrate sullo status di detentore dei rifiuti. Decisamente rilevante sul punto è stata 114 la sentenza del Consiglio di Stato 25 luglio 2017, n. 3672115 che ha rigettato l’appello della curatela fallimentare di una società prima ammessa a concordato preventivo con cessione dei beni – autorizzata con AIA 116 a gestire un impianto di fusione e lega di metalli non ferrosi contro la sentenza del Tar Marche 6 maggio 2016, n. 290; quest’ultima ha ritenuto legittima un’ordinanza extra ordinem ex art. 50 co. 5 del D.Lgs. 267/2000 (preceduta da diffida regionale) con la quale si imponeva alla curatela di provvedere alla urgente messa in sicurezza dei rifiuti117 derivanti dalla precedente attività dell’impresa fallita. Senza poter ripercorre tutta la complessa questione sottostante è sufficiente porre in evidenza i punti centrali che caratterizzano il caso in questione e gli approdi innovativi 113 114 115 116 117 Cfr Tar Milano, 3 marzo 2017, n. 520, Consiglio di Stato, 29 luglio 2003, n. 4328 e 16 giugno 2009, n.3885. Si precisa che la prima sentenza di questo filone è quella del Tar Brescia del 12 maggio 2016, n. 669 che poi sarà riformata da quella del Consiglio di Stato del 4 dicembre 2017, n. 5668. F.VANETTI – C.FISCHETTU, Cambio di rotta: il curatore fallimentare è obbligato a rimuovere i rifiuti abbandonati dal fallito, Riv. giur. ambiente, n. 4/2017, p. 727-730. Si evidenzia tale aspetto perché l’assoggettamento ad AIA ha dei precisi riflessi nella decisione finale per cui, per quanto si analizzerà successivamente, tale sentenza potrebbe non essere considerata così contraddittoria rispetto alla successiva posizione del Consiglio di Stato (sentenza del 4 dicembre 2017, n. 5668) che in situazione simile giunge a conclusioni opposte; vedi infra. Tali rifiuti individuati dai Commissari durante le operazioni di inventario consistevano in tre tipologie principali: scorie saline, polveri e particolati, polveri da abbattimento fumi. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 74 AmbienteDiritto - Editore© cui sono giunti i giudici partendo, anche, da una breve analisi della sentenza di primo grado. I giudici di prime cure sono ben consapevoli della giurisprudenza che esclude il subentro negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito, per cui, in assenza di autorizzazione all’esercizio provvisorio118, non si possa imporre alcun obbligo al curatore. Tuttavia l’autorizzazione AIA in essere risulterebbe elemento decisivo per far risultare la curatela titolare degli obblighi previsti dall’art. 29- decies co. 9 del d.lgs 152/2006 sullo smaltimento dei rifiuti oggetto dell’attività autorizzata. Quindi, mentre la curatela sosteneva che per i rifiuti derivanti dalla precedente attività avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 192 del D.Lgs 152/2006 - e relativa giurisprudenza che nega la legittimazione passiva per le ordinanze sindacali per l’abbandono dei rifiuti -, i giudici di prime cure hanno ritenuto il rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA preliminari all’applicazione dell’art. 192119. Aprendo ad una considerazione di più ampio respiro, il rispetto dell’AIA viene considerato come «espressione del principio di precauzione stabilito dalla normativa europea, per la tutela dell'ambiente e quindi in ultima analisi per la difesa della salute umana, valore questo che nella gerarchia dei principi costituzionali viene collocato al vertice». Inoltre, tenuto conto della necessità di dover tener conto degli impatti sociali e ambientali dell’impresa, la precedente diffida regionale e la successiva ordinanza comunale vanno inserite tra “quelle attività amministrative che implicano un rapporto non solo di controllo ma in ultima analisi di continua collaborazione tra pubblico e privato, al fine di tutelare l'ambiente e la salute, in piena e concreta applicazione dei principi europei e costituzionali”; premessa che porta a concludere come a parere del collegio gli oneri non possono che ricadere sul titolare dell’autorizzazione che, a quel tempo, risultava il fallimento. Da qui l’infondatezza del ricorso introduttivo (sulla diffida regionale) e di quello per motivi aggiunti (sull’ordinanza comunale) in quanto se vi era un obbligo per la curatela di seguire le prescrizioni dell’AIA, «non può che ricadere sotto la sua responsabilità 118 119 Tar Milano 3 novembre 2014, n. 2623. Più precisamente: “La circostanza dirimente è, si ripete, stabilire se il caso in esame riguardi prevalentemente la violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione o la violazione delle norme sullo smaltimento di rifiuti. A quanto risulta dall’istruttoria eseguita da Arpam i rifiuti sono il frutto delle lavorazioni effettuate dall’azienda, e quindi si configurano come mancato rispetto della autorizzazione, e non come abbandono incontrollato di rifiuti medesimi o discarica. Ne consegue che il fallimento è responsabile per le prescrizioni contenute nella diffide regionali.” ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 75 AmbienteDiritto - Editore© l’esecuzione dell’ordinanza contingibile e urgente scaturente dalla mancata esecuzione della diffida». Il Consiglio di Stato con la sentenza 25 luglio 2017, n. 3672 rigetta l’appello della curatela che insisteva per l’applicabilità dell’art. 192 in luogo dell’art. 29- decies sempre del TUA; due sono le considerazioni della sentenza da mettere in evidenza, entrambe volte a confermare la posizione assunta dai giudici di primo grado. In primis, per quanto concerne i rifiuti presenti sul sito, in base alla relazione dell’Arpa, essi derivano inequivocabilmente dalla produzione (quando l’industria era ancora attiva) nonché da materiali che sarebbero stati utilizzati nel ciclo produttivo ma che l’interruzione dell’attività ha fatto assumere loro lo status di rifiuti. Da ciò se ne dedurrebbe l’inapplicabilità nel caso in specie dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006 perché ciò presupporrebbe la presenza di rifiuti abbandonati da terzi sconosciuti. Lasciando in disparte tale ultima affermazione che non sembra esente da criticità, maggior portata innovativa giunge con il secondo approdo della sentenza che in realtà sembra godere di una propria autoconsistenza ed a prescindere quindi dalle precedenti considerazioni sull’applicabilità o meno del 192 o del 29-decies. Difatti così viene affermato: “Rilevante è, invece, la presenza dei rifiuti nel sito industriale e la posizione di detentori degli stessi che i curatori hanno assunto dal momento della dichiarazione di fallimento”120. Fulcri del ragionamento sono sia l’art. 29- decies co. 9121 che, in caso di inosservanza della prescrizioni autorizzatorie, consente e impone all’autorità competente (in questo caso la Regione) una serie di interventi progressivi sempre più invasivi e penetranti che vanno dalla diffida ad adempiere sino anche alla chiusura, sia l’art. 29- sexies, comma 9- quinquies, lett. e) dove viene previsto che, al momento di cessazione definitiva dell’attività, l'autorità competente garantisca che il gestore 122 «esegua gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere o ridurre le sostanze pericolose pertinenti in modo che il sito, tenuto conto dell'uso attuale o dell'uso futuro approvato del medesimo non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l'ambiente a causa della contaminazione del suolo o delle acque sotterranee in conseguenza delle attività autorizzate». 120 121 122 Par. 14.2 della sentenza Consiglio di Stato 25 luglio 2017, n. 3672. Tra la prima diffida della Regione rivolta ai commissari e la seconda rivolta alla curatela l’articolo è stato oggetto di modifiche non significative ex art. 7, co. 9, lett. d) del D.Lgs. 46/2014. Che sarebbe il “detentore” ai sensi della sentenza. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 76 AmbienteDiritto - Editore© Il ragionamento porterebbe a concludere che, in presenza i rifiuti non gestiti, la nomina della curatela non farebbe perdere alcun potere all’autorità competente; arebbe quindi la presenza di rifiuti in costanza di autorizzazione che consentirebbe alla Regione di adottare diffide nei confronti della curatela. Infine sempre nell’art. 29 - decies è contenuta una norma di chiusura al comma 10 dove viene previsto che se l’inosservanza delle prescrizioni giunge a determinare una situazione di pericolo o di danno per la salute, l’autorità competente ne dà comunicazione al sindaco ai fini dell’adozione delle misure ex art 217 del RD 1265/1934; ed è proprio su tali basi che è stata emanata l’ordinanza contingibile e urgente ex art. 50 del D.Lgs. 267/2000 che si sovrappone al potere previsto dall’art. 217 del RD 1265/1934123. Oltre ai riferimenti legislativi interni, il Consiglio di Stato, facendo proprie conclusioni a cui era giunto in precedenza il Tar Lombardia – sez. Brescia con la sentenza 12 maggio 2016, n. 669124, ritiene possibile fondare l’obbligo di gestione dei rifiuti abbandonati in capo al detentore anche nel diritto comunitario che non distingue tra detenzione e possesso, ritenendo la prima compresa nel secondo. Più precisamente lo status di detentore attribuibile alla curatela deriverebbe dal combinato disposto degli artt. 3 e 14 della Dir. n. 2008/98/CE. In particolare l’art. 3 par. 1 punto 6 della Dir. n. 2008/98/CE definisce il detentore come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti 125; quindi per il diritto comunitario ciò che rileva sarebbe il fatto materiale della detenzione risultando irrilevante il titolo giuridico sottostante. Inoltre, ai sensi dell’art 14 par. 1, in applicazione del principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti126. Seguendo questa linea interpretativa, semplice nel meccanismo quanto poco convincente nella bontà delle premesse, il curatore con la nomina assumerebbe anche la detenzione materiale dei rifiuti presenti; da tale situazione di fatto sorgerebbe 123 124 125 126 La dottrina ha ritenuto che la competenza straordinaria del sindaco ex art. 217 RD 1265/1934 appare oggi superflua poiché si va a sovrapporre con il potere più ampio previsto dall’art. 50, co. 5 del TUEL, cfr. G.MARAZZITTA, Il conflitto tra autorità e regole: il caso del potere di ordinanza, Rivista AIC, n. 4/2010, p. 18. Come vedremo però le statuizioni in merito alla possibilità di qualificare il curatore come detentore dei rifiuti verranno successivamente ribaltate con la sentenza del Consiglio di Stato 4 dicembre 2017, n. 5668. Definizione che risulta letteralmente trasposta dal legislatore italiano nell’art. 183 co. 1 lett. h) del D.Lgs. 152/2006. Definizione anch’essa trasposta pedissequamente dal legislatore italiano nell’art. 188 co. 5 del D.Lgs. 152/2006 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 77 AmbienteDiritto - Editore© l’obbligo, in attuazione del principio chi inquina paga, di accollarsi i costi della gestione dei rifiuti derivanti dall’attività svolta dall’impresa prima del fallimento. Il semplice sillogismo sarebbe quindi il seguente: il detentore (del momento) deve sostenere i costi della gestione; il curatore è detentore del momento; quindi il curatore deve sostenere i costi della gestione127. Numerose sono le criticità di tale posizione le cui conclusioni si pongono in evidente contrasto con la giurisprudenza precedente128. Tra le più evidenti il realizzarsi di un deciso stravolgimento del principio chi inquina paga che si trasformerebbe piuttosto in “chi detiene paga”; inoltre la portata delle argomentazioni non potrebbero a quel punto limitarsi al caso del curatore ma investirebbero qualsiasi soggetto si trovi nella condizione, volontaria o meno, di “detenere” rifiuti. Infine, nel caso del curatore, tale interpretazione (e l’obbligo che ne consegue) si porrebbe in contrasto con la legittimità di optare per la non inventariazione dei rifiuti oppure, sempre in funzione dell’eccesso dei costi di gestione rispetto ai ricavi realizzabili, anche se prima inventariati, decida poi di abbandonarli in quanto beni con valore economico negativo (cd derelictio ex art. 104-ter, co. 8). In argomento si è recentemente espresso il Tribunale di Milano – sez. fallimentare con decreto dell’8 giugno 2017 a fronte di reclamo ex art. 26 L.F. contro il decreto del giudice delegato che aveva autorizzato il curatore del fallimento a rinunciare all’inventariazione dei residui di lavorazione e conseguente abbandono di tutti i rifiuti speciali presenti all’interno dell’impianto previo deposito di un programma di liquidazione contenente tale proposta tenuto conto del valore economico negativo di tali beni vista l’entità dei costi per la loro gestione. Il reclamante è la società proprietaria dell’immobile presso il quale la società fallita esercitava la sua attività consistente nella gestione di un impianto di trattamento e lavorazione di rifiuti speciali non pericolosi il cui interesse nascerebbe, si legge nel decreto, dal ruolo di coobbligato ex art. 192 co. 3 del D.Lgs. 152/2006 a procedere alla rimozione, all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. 127 128 Il passaggio centrale della sentenza è dove afferma che “l’unica interpretazione compatibile con il sistema delineato dal c.d. codice dell’ambiente e con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente misure appropriate nei confronti dei detentori dei rifiuti prodotti dall’impresa stessa.» F.VANETTI – C.FISCHETTU, Cambio di rotta: il curatore fallimentare è obbligato a rimuovere i rifiuti abbandonati dal fallito, Riv. giur. ambiente, n. 4/2017, pp. 727-730; L. D’ORAZIO, Il curatore fallimentare e lo smaltimento dei rifiuti. Un sospiro di sollievo, Fallimento, 5, 2018, pp.593-601. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 78 AmbienteDiritto - Editore© I motivi del reclamante nel ritenere illegittima la mancata inventariazione dei rifiuti rivenuti presso l’immobile si fondano essenzialmente sugli obblighi in capo al curatore in qualità di detentore dei rifiuti; in particolare l’obbligo deriverebbe dall’art. 188 del D.Lgs. 152/2006 in base al quale «Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti129 provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti». Tuttavia il tribunale aderisce all’orientamento prevalente in giurisprudenza che esclude, salvo il caso di esercizio provvisorio, la responsabilità del curatore per gestione dei rifiuti prodotti dal fallito non essendo egli l’autore del loro abbandono, «né l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore, posto che la società fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, attribuendosi la facoltà di disposizione al medesimo curatore»130. Viene chiarito inoltre che il curatore non assume lo status di “altro detentore” qualificato dei beni se omette l’inventariazione o decida successivamente di abbandonarli a causa del loro valore negativo per evitare effetti deprimenti sull’attivo fallimentare. La questione sembrerebbe inoltre già ridimensionata in quanto con la successiva sentenza del Consiglio di Stato del 4 dicembre 2017, n. 5668 131 viene riformata la sentenza del Tar Brescia n. 669/2016, le cui posizioni erano state fatte proprie dalla sentenza del Consiglio di Stato 25 luglio 2017, n. 3672. Nella sentenza n. 5668/2017 il Consiglio di Stato definisce infatti come non appagante l’approdo a cui è giunto il giudice di prime cure in quanto «collide con dati normativi specifici e non appare in linea con i principi generali, anche di derivazione comunitaria ». Oltre a rilevare alcune contraddizioni intrinseche nella sentenza di primo grado viene anche posto in evidenza come tale decisione non sia per niente in linea con il principio chi inquina paga ma anzi, scaricando i costi sui creditori sociali che non sono ovviamente responsabili dell’inquinamento, ne determinerebbe un sovvertimento 132. Per la prospettiva che si vorrebbe seguire merita però di essere posto in evidenza che, nel caso specifico della sentenza n. 3672/2017, il presupposto giuridico su cui si fonda l’ordinanza sindacale è l’art. 50 co. 5 del TUEL (e non l’art. 192 del D.Lgs. 152/2006) a cui si giunge in funzione dell’art. 29-decies comma 10 del TUA in quanto impianto 129 130 131 132 Ns il corsivo. Cid 2.2. F.VANETTI, Conflitto giurisprudenziale sugli obblighi del curatore per l’abbandono di rifiuti, Riv, giur. ambiente, n. 1/2018, pp. 157-160. Cfr Tar Salerno sentenza 11 settembre 2015, n. 1987. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 79 AmbienteDiritto - Editore© soggetto ad AIA. Non siamo pertanto davanti ad una ordinanza ambientale ordinaria (ex art. 192) ma contingibile e urgente per affrontare emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale. Questo significa che la situazione di fatto stia, in ipotesi, creando rischi per la salute umana; quindi si applica la regolazione ambientale - e in particolare la disciplina AIA - ma si giunge a diffide regionali e ordinanze sindacali volte a proteggere prevalentemente la salute della persone. Ora, se è vero che l’ambiente può essere anche considerato un valore in sé a prescindere da altre considerazioni – e a livello internazionale questa non è certo una novità – pare altrettanto pacifico che, almeno allo stato attuale, è difficile, nel nostro ordinamento, mettere profondamente in discussione la sua concezione antropocentrica. In una storica sentenza la Corte Costituzionale ha affermato come l’ambiente sia un “valore primario e assoluto”133 ma non per affermarne l’incondizionata prevalenza sugli altri ma piuttosto, in termini relativi, per riconoscere alla protezione dell’ambiente piena cittadinanza all’interno degli altri valori protetti e riconosciuti pur in assenza di un riferimento esplicito in Costituzione salvo, sino alla riforma del 2001, quello alla tutela del paesaggio contenuto nell’art. 9. Valore primario quindi ma con necessità di bilanciamento con altri valori in gioco. In tempi più recenti, sempre in un caso di impresa soggetta ad AIA, sia sufficiente ricordare il caso drammatico dell’ILVA e la nota sentenza 9 maggio 2013, n. 85134 in cui la Corte ha ricordato la necessità del bilanciamento dei valori senza che nessuno di essi diventi “tiranno”135. 133 134 135 Corte Costituzionale sentenza 31 dicembre 1987, n. 641. Il passaggio completo della sentenza è il seguente: “L'ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”. Tra i numerosi commenti e note alla sentenza cfr. V.ANGIOLINI, Costituzione e danno all’ambiente: grande problema per una piccola contesa, Dir. regione, 1988, p. 91 e ss; A. POSTIGLIONE., Il recente orientamento della corte costituzionale in materia di ambiente, Riv. giur. ambiente, 1988, pp. 104108; B. CARAVITA., Il danno ambientale tra corte dei conti, legislatore e corte costituzionale, Riv. giur. ambiente, 1988, pp. 108-112; F.GIAMPIETRO, Il danno all’ambiente innanzi alla Corte Costituzionale, Foro It., 1988, pp. 695-705; S.MILETO, Giurisdizione della corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica e interpositio del legislatore, Giur. cost., 1987, I, 3788; R.ARRIGONI, Danno all’ambiente e giurisdizione della corte dei conti: un binomio impossibile? in Riv. amm., 1988, 220; E.FERRARI, Il danno ambientale in cerca di giudice e... d’interpretazione: l’ipotesi dell’ambiente-valore, Regioni, 1988, 525 e ss.. Tra i numerosi commenti e note alla sentenza cfr. R.BIN, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire i reati ambientali. Note alla sentenza ILVA, Giur. Cost., 2013, p. 1525 ss; V. CAVANNA, Ilva: criterio di ragionevolezza e bilanciamento dei diritti (nota a Corte cost. n. 85/2013), in Ambiente & sviluppo, 2013, n. 7, p. 631 ss; L. GENINATTI SATÈ, “Caso Ilva”: la tutela dell’ambiente attraverso la rivalutazione del carattere formale del diritto (una prima lettura di Corte cost., sent. n. 85/2013), in www.forumcostituzionale.it, 16 maggio 2013; U. SALANITRO, Il decreto Ilva tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, Corriere giur. III, 2013, p. 1047 ss; V.ONIDA, Un conflitto tra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte Costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, Giur. Cost., 2013, p. 1424 ss. Il passaggio completo è il seguente:«Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 80 AmbienteDiritto - Editore© Per tornare al caso di analisi quello che preme in questo momento osservare è che, a prescindere dalle considerazioni sullo status di subentrante o di detentore e degli eventuali obblighi conseguenti, è forse possibile ipotizzare una distinzione ben precisa in merito alla legittimazione passiva del curatore che tutto sommato, se non addolcisce tutte le spigolature della posizione assunta dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3672/2017, la rende quantomeno meno distante. La risposta a ciò che può determinare la legittimazione passiva del curatore andrebbe ricercata non tanto nelle virgole delle singole disposizioni - con il rischio di capziose interpretazioni – quanto sul piano dei valori in gioco: salute e ambiente 136. La sentenza del Consiglio di Stato n. 3672/2017 affronta un caso dove, sul piano dei valori in gioco, la tutela della salute sembra assumere maggior rilevanza rispetto alla tutela dell’ambiente; tale posizione potrebbe non essere interpretata come oscillazione giurisprudenziale se viene analizzata nella prospettiva del quadro dei valori costituzionali in gioco e del loro bilanciamento; semplificando al massimo gli obblighi contro il curatore potrebbero essere ammissibili nei casi in cui la salute diventa il destinatario prevalente della protezione; se invece è la tutela dell’ambiente l’oggetto prevalente di protezione potrebbe restare valida la regola generale della carenza di legittimazione passiva del curatore. Tuttavia, se presa isolatamente, la sentenza n. 3672/2017 rischia di essere episodica per costruirci un paradigma più ampio. Al fine di provare ad arricchire la prospettiva si ritiene utile approfondire la giurisprudenza, sempre in tema di abbandono rifiuti all’interno di procedure fallimentari, ma in presenza di materiali contenenti amianto. 5. Il caso dell’amianto. La disciplina dell’amianto ha una propria normativa speciale la cui fonte primaria è la legge n. 257 del 12 marzo 1992. La sua specialità risulta confermata anche nella normativa attuale in quanto il TUA attribuisce allo Stato la competenza per la determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto137; inoltre, tra le disposizioni speciali, nazionali e (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Sui plurimi bilanciamenti relativi al caso Ilva vedi V.I.GIGANTE, I principi «costituzionalmente» tutelati e la loro contrapposizione, Riv.giur. Amb.Dir., fasc. 4/2019. 136 Con tutte le complessità che derivano dal “pesare” e distinguere il valore ambiente dalla tutela della salute tenendo conto delle profonde interconnessione e di come la salubrità dell’ambiente determini e condizioni la salute, se non la vita, delle persone. 137 Art. 192, co. 5, lett. d) del D.Lgs. 152/2006. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 81 AmbienteDiritto - Editore© comunitarie che restano valide per alcune tipologie di rifiuti, il legislatore ha indicato anche quelle relative al recupero dei rifiuti dei beni e prodotti contenenti amianto138. La questione giuridica da approfondire è se la regola della carenza di legittimazione passiva del curatore conservi la propria solidità anche in presenza di materiale contenente amianto. A differenza delle analisi giurisprudenziali sin qui condotte in cui è stato possibile individuare posizioni consolidate o almeno orientamenti comunque prevalenti, in questo caso il risultato appare più incerto. Parte della giurisprudenza ritiene non vi siano ragioni per discostarsi dalle posizioni già assunte nei confronti del curatore in caso di abbandono rifiuti della società fallita; ribadendo quindi che il curatore non subentra negli obblighi derivanti da responsabilità del fallito e negando la possibilità di ritenerlo detentore dei rifiuti si conclude per la validità delle argomentazione anche in caso di rifiuti di amianto in quanto altrimenti « si avrebbe una legittimazione passiva della curatela oltre i limiti che contraddistinguono l'assolvimento del munus pubblico che la connota, individuato nella gestione dei beni del fallito sotto la vigilanza e direzione degli organi fallimentari, in primis del giudice delegato, ma solo ai fini della liquidazione del patrimonio secondo le regole stabilite dalla legge fallimentare volte alla soddisfazione paritetica dei creditori, e per il resto negherebbe l'effettiva applicazione del principio di derivazione comunitaria del "chi inquina paga", in quanto prescinderebbe dall'individuazione dell'effettivo responsabile dell'inquinamento»139. In altri casi140 è stato ritenuto applicabile l’art. 12 comma 3 della legge n. 257/1992 141, norma speciale rispetto alla disciplina generale dettata dal Codice dell'ambiente; elementi rilevanti ai fini della decisione sono risultati sia il fatto che i commissari liquidatori - compatibilmente con le risorse a disposizione - avessero comunque 138 139 140 141 Art. 227, co. 1 lett. d del D. Lgs. 152/2006. Tar Catania, sent. 17 del 5 settembre 2018, Tar Trento, sent. n. 93 del 20 marzo 2017. Tar Toscana, sent. 786 del 15 maggio 2015, Tar Toscana 118 del 20.1.2014 resa tra le stesse parti. Posizione confermata con la recente Tar Toscana, sent. 312 del 26 febbraio 2019. Da segnalare che mentre le prime due sentenze si riferivano ad ordinanze comunali ex art. 50 del TUEL, quest’ultima accoglie l’appello della curatela annullando un’ordinanza ex art. 192. Da puntualizzare che risulta pacifico come il degrado dell’area e delle strutture sia riconducibile al periodo precedente la nomina del curatore. L’art. 12 co. 3 della L. 257/92 così dispone: “Qualora non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”. Dalla lettura della disposizione se ne deduce quindi che non sempre la rimozione è obbligatoria ma lo diventa solo se non è praticabile il fissaggio e che al proprietario non è imposta l’attività di rimozione bensì solo il costo delle operazioni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 82 AmbienteDiritto - Editore© adottato misure per tentare di evitare che terzi estranei potessero entrare nell’area e sia che il deterioramento dei materiali risalisse al periodo precedente la nomina142. Parte della giurisprudenza ritiene invece che vi siano motivi per abbandonare la regole della carenza di legittimazione passiva del curatore. Apripista può essere considerata la sentenza del Tar Marche n. 467 del 5 giugno 2015 con la quale è stato respinto il ricorso di una curatela contro ordinanza ex art. 50 del TUEL che imponeva la messa in sicurezza delle parti della copertura in fibrocemento del fabbricato industriale dismesso danneggiate e di recintare il sito143. Il punto centrale su cui si sviluppano le argomentazioni dei giudici è che la disciplina speciale in materia di amianto « contiene principi in parte diversi da quelli applicabili al settore dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale»144 e ha pari dignità di quella sulla quale si è formato il principio chi inquina paga. In particolare assume rilevanza la constatazione che l’amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto in quanto l’eternit diventa pericoloso per la salute pubblica solo a determinate condizioni 145. Ma allora diventa importante il monitoraggio in continuo della situazione in quanto è solo da tale attività che può emergere il verificarsi di quelle condizioni che fanno diventare l’eternit pericoloso per la salute umana. Rispetto all’analisi sviluppata in precedenza assume pertanto rilevanza diversa la figura del detentore in quanto l’unico che può sorvegliare i manufatti in amianto o comunque contenenti amianto; unico soggetto che quindi può monitorare la situazione al fine di rilevare tutti quegli eventi, dipendenti o meno dall’azione umana, che rendono improvvisamente pericolosi per la salute quei materiali che sino ad allora potevano definirsi sicuri ai sensi della L. n. 257/1992. In base a tale argomentazioni la membrana che nega la legittimazione passiva del curatore non lo potrebbe proteggere per la mutata prospettiva interpretativa; l’obbligo nascerebbe infatti dalla situazione di fatto di semplice detentore attuale del bene in quanto unico soggetto posto nella condizione di poter effettuare il monitoraggio sullo stato dei 142 143 144 145 I giudici sono consapevoli del fatto che le condizioni di degrado, anche se precedenti l’insediamento dei commissari, siano nel tempo peggiorate ma non ravvisano in ciò una condizione decisiva per la decisione. Da segnalare che il caso trae origine da una ordinanza contingibile ed urgente ex art 50 del TUEL e non ex 192 del TUA. Pur non ritenendo di esservi tenuto, il curatore aveva ottemperato a precedenza ordinanza e fatto eseguire un intervento di rimozione delle coperture danneggiate da una ditta specializzata ma, successivamente, un sopralluogo dell’ASUR riscontrava la mancata ottemperanza all’ordinanza precedente per quanto concerne la recinzione e accertava un grave danneggiamento di una copertura interna in fibrocemento; in forza di tale situazione è stato ritenuto verosimile un rischio per la salute pubblica derivante dalla dispersione nell’aria delle fibre di amianto. Par. 7. 1 Tar Marche del 5 giugno 2015, n. 467. L’allegato 2 “Valutazione del rischio” al D.M. 6 settembre 1994 puntualizza che «la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto…». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 83 AmbienteDiritto - Editore© materiali contenenti amianto146. Né tantomeno troverebbe applicazione il principio chi inquina paga in quanto si tratta di salvaguardare la salute pubblica e non di accollare responsabilità per l’abbandono di rifiuti causati dall’attività precedente. Sul fatto che l’attivazione del curatore comporterebbe dei costi che di fatto sarebbero posti a carico dei creditori della procedura, i giudici ritengono che «la comprensibile esigenza del curatore fallimentare di preservare al massimo le ragioni dei creditori ammessi alla procedura va contemperata con interessi pubblici di rango uguale se non superiori»147. Aderisce pienamente a tale impostazione la successiva sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia n. 441 del 12 ottobre 2015 sul ricorso di una curatela a cui il Comune con ordinanza ex artt. 50 e 54 del TUEL imponeva, a seguito di una tromba d’aria, di provvedere alla verifica delle coperture dell’immobile e a monitorare l’evoluzione della situazione; il curatore, in precedenza, aveva già ottemperato ad altra ordinanza che imponeva la rimozione di detriti contenente amianto. Anche in questo caso il ricorso viene rigettato in quanto per i giudici l’onere della sorveglianza non può che ricadere sul curatore in quanto detentore attuale dell’immobile e, a fortiori, in un caso in cui gli eventi che hanno prodotto lo stato di pericolo (la tromba d’aria) siano successivi alla nomina. Centrale anche in questo caso sono le considerazioni sulla diversità dei valori in gioco tra tutela della salute e dell’ambiente; nelle parole dei giudici va osservato «come la presenza e soprattutto il pericolo di diffusione di materiali contenenti amianto in un edificio comporta per sua stessa natura la necessità d’interventi urgenti a tutela della salute, in maniera molto più incisiva rispetto a un semplice abbandono di rifiuti o all’inquinamento ambientale». L’orientamento ha trovato successiva conferma con la sentenza del Tar Piemonte n. 562 del 9 maggio 2018 dove si afferma che l’ordine di rimozione, quale misura di sicurezza a fronte di una situazione di pericolo di dispersione dell’amianto, non può che essere rivolto a chi ha la disponibilità del bene. 146 147 Questa linea interpretativa troverebbe sostegno anche nell’analisi economica del diritto considerando il detentore del bene quale cheapest cost avoider; ovvero come soggetto in grado di ridurre al minimo le esternalità negative nel modo più efficiente. Tuttavia sembrano poter esservi argomenti contrari a poter considerare tale allo stesso modo anche il curatore nel caso dell’abbandono dei rifiuti; anche in questo caso sembra emergere la necessità di ricercare una giustificazione diversa come base di legittimazione di scelte differenziate che non sembra poter che essere il terreno dei valori in gioco; nel momento in cui siano realmente accertate le condizioni di rischio per l’incolumità pubblica, nella bilancia dei valori costituzionali il peso tutela della salute prevale su quello della tutela dell’ambiente facendo venire meno tutti i principi si cui si fondano le posizioni giurisprudenziali che in funzione della peculiarità della figura del curatore negano la possibilità delle legittimazione passiva; ovviamente, in tali casi, per coerenza provvedimentale le ordinanze non devono fondarsi sull’art. 192 del D.Lgs. 152/2006 bensì sull’art. 50 co. 5 del TUEL (o art. 54). Sul concetto di cheapest cost avoider cfr G.CALABRESI, The cost of accidentis: a legal and economic analysis, 1970. La successiva sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 441/2015 preciserà invece la gerarchia tra i valori in quanto nel riprendere l’affermazione del Tar Marche preciserà che «le ragioni dei creditori ammessi alla procedura va contemperata con interessi pubblici di rango superiore quale la tutela della salute» (ns il corsivo). ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 84 AmbienteDiritto - Editore© Tale posizione parte dal presupposto che «la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l'individuazione dell'eventuale responsabile »148. Più recentemente il Tar Toscana con la sentenza n. 166 del 4 febbraio 2019 ha respinto il ricorso di due curatele contro un’ordinanza ex art 50 co. 5 del TUEL 149 con la quale si richiedeva la rimozione dell’amianto presente nell’area presentando un piano di lavoro all’ASL, di bonificare tramite rimozione i materiali contenenti amianto, di effettuare la messa in sicurezza dei rifiuti abbandonati ancora presenti e di farli rimuovere da ditta specializzata. Tale sentenza tuttavia, appellata e in attesa di giudizio 150, presenta qualche profilo di ambiguità in quanto la decisione non sembra distinguere i rifiuti abbandonati non contenenti amianto (per i quali non sembrano esservi ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza consolidata che nega la legittimazione passiva del curatore) dal rischio salute pubblica per il deterioramento dei materiali contenenti amianto (che secondo la giurisprudenza analizzata invece giustifica la legittimazione passiva del curatore). Inoltre, in maniera contraddittoria, da un lato, correttamente, precisa che l’ordinanza non è di bonifica ex art. 242 e ss del D.Lgs. 152/2006 ma dall’altro poi inquadra le misure di sicurezza richieste tra quelle di prevenzione ex art. 240 co. 1 lett. l) che, ai sensi dell’art. 245 co 2, possono essere imposte anche al proprietario o possessore anche se non responsabile dell’inquinamento. Da segnalare inoltre l’ordinanza del Tar Veneto n. 109 del 16 marzo 2019 che, in sede cautelare, a fronte di ricorso promosso da una curatela contro ordinanza ex art 50 TUEL, ha ritenuto “maggiormente persuasivo” l’orientamento giurisprudenziale che, vista la differenza tra la disciplina speciale sull’amianto rispetto a quella generale sull’abbandono rifiuti, legittima l’applicazione di tale strumento quando si tratti di prevenire ed evitare pericoli connessi alla presenza di amianto. Interessante anche la recente posizione del Ministero dell’ambiente sul parere del Consiglio di Stato n. 2064 del 16 luglio 2019 per ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da 148 149 150 Consiglio di Stato 1509 del 14 aprile 2016. Questo il riferimento nell’ordinanza anche se la sentenza riqualifica il fondamento in base all’art. 54 co 4 TUEL. Con ordinanza n. 3217 del 21 giugno 2019 il Consiglio di Stato ha, in sede cautelare, respinto l’appello sulla considerazione che gli elementi di valutazione evidenziati dall’appellante hanno ad oggetto questioni articolate e controverse e ritenuto che gli interessi coinvolti nel contenzioso appaiono, allo stato, recessivi a fronte degli interessi pubblici generali sottesi agli atti impugnati. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 85 AmbienteDiritto - Editore© una curatela su un caso che riguarda anche la presenza di amianto. Per quel che interessa ai fini del presente contributo il Ministero sposa la tesi della differenza ontologica tra interventi urgenti a tutela della salute (amianto) rispetto all’abbandono dei rifiuti o della bonifica; inoltre, in linea con l’ultima giurisprudenza commentata, partendo dal presupposto che l’amianto non è sempre un rifiuto ma che è necessario monitorare in continuo lo stato di fatto dei materiali, l’onere della sorveglianza non può che ricadere sul soggetto che detiene il bene; e su di lui non possono che ricadere anche gli obblighi di attivarsi per porre in essere quanto necessario per scongiurare ogni rischio di salute pubblica. Nelle parole del Ministero « … mentre nel caso dell'inquinamento da attività industriale sarebbe facilmente dimostrabile da parte della curatela fallimentare la propria estraneità alla condotta illecita, visto che di solito la curatela "gestisce" impianti già dismessi o inattivi da tempo, nel caso dell'amianto ciò che si richiede al detentore attuale del bene si risolve in un’attività di sorveglianza e di monitoraggio sui manufatti in amianto (tettoie, coperture, etc.) o contenenti amianto (tubature, etc.), che deve essere svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri. Per tali sue caratteristiche, la suddetta attività di sorveglianza sarebbe… esigibile anche nei confronti di chi risulti possessore dell’area nel momento in cui vengono rilevate le problematiche connesse alla possibile presenza di amianto». 6. Conclusioni E’ possibile, in conclusione, tirare le fila dell’ipotesi da cui abbiamo preso le mosse; ovverosia, ricostruire l’area di responsabilità della curatela come espressione della tutela differenziata dei diversi valori costituzionali in gioco e del bilanciamento tra la protezione della salute e dell’ambiente. Con i limiti fisiologici ed inevitabili di ogni teorizzazione troppo perentoria, l’ipotesi della distinzione ontologica a monte tra tutela dell’ambiente e tutela della salute offre una chiave di lettura ed una prospettiva più adeguata per spiegare le posizioni giurisprudenziali che riconoscono responsabilità al curatore. L’approfondimento dell’analisi dei casi in presenza di amianto – e i relativi rischi salute - pone maggiormente in evidenza la presenza di principi diversi da quelli applicabili alla disciplina dei rifiuti nonché di interessi pubblici di rango superiore a quelli, seppur legittimi, dei creditori sociali a veder preservate le proprie ragioni di ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 86 AmbienteDiritto - Editore© credito senza che siano intaccate da spese in prededucibilità. E’ stato anche notato 151 come nel caso della sentenza della Corte di Cassazione penale n. 1 ottobre 2008 n. 37282 - che ammette la responsabilità del curatore - siamo in presenza di gravi rischi di tutela della salute pubblica a causa della presenza di amianto. Infine, la presenza di interessi pubblici superiori, legati alla tutela della salute, sono presenti anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3672/2017 che, in contrasto con la giurisprudenza precedente, legittima provvedimenti che impongono obblighi al curatore 152; in tal caso l’appoggio normativo su cui si fonda la responsabilità del curatore è rintracciabile nella disciplina AIA. Dall’analisi giurisprudenziale è quindi individuabile un filo rosso che lega tutte le sentenze che riconoscono una specifica responsabilità del curatore: nel bilanciamento dei valori una prevalenza della tutela della salute rispetto all’esigenza di protezione dell’ambiente che risulta più evidente in presenza di amianto e più velatamente - tramite l’art. 29-decies co. 10 del TUA - nel caso della sentenza del Consiglio di stato n. 3672/2017. In assenza di amianto, ovvero, in generale, di rischi per la salute pubblica, nel bilanciamento tra i valori costituzionali, l’ambiente può invece conservare la prevalenza rispetto alla tutela della salute; in tal caso non vi sono motivi per discostarsi dagli approdi cui è giunta la giurisprudenza in tema di ordinanze sindacali ex art. 192 rivolte al curatore. E la regola generale – come si è visto - è la seguente: il curatore non autorizzato all’esercizio provvisorio non è responsabile per i rifiuti prodotti in precedenza dall’impresa fallita e non può essere destinatario di ordinanze sindacali ex art. 192 per mancanza di legittimazione passiva. Nel caso del subentro (da intendersi ex art. 192 co. 4), la giurisprudenza amministrativa è consolidata nel negarlo; nel caso del curatore obbligato in quanto detentore, la giurisprudenza che ha ammesso tale possibilità153 sembra già stata superata con argomenti più convincenti 154. Nel caso dell’amianto, invece, non sembra possibile individuare una posizione giurisprudenziale sufficientemente consolidata anche se le ultime decisioni sembrano orientarsi verso una legittimazione delle ordinanze in funzione di valori superiori in gioco. Ovviamente, la ricerca della più corretta qualificazione giuridica non può risolvere la condizione economica di scarsità di risorse che caratterizza comunque la situazione. 151 Supra par. 2. Supra par. 4. Sentenza del Consiglio di Stato 25 luglio 2017, n. 3672; cfr supra par. 4. Sentenza del Consiglio di Stato 4 dicembre 2017, n. 5668; cfr supra par. 4. 152 153 154 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 87 AmbienteDiritto - Editore© Non si può, infatti, negare che, a prescindere da valide posizioni di diritto, siamo comunque davanti ad una vera e propria “guerra tra poveri” tra curatele fallimentari e comuni: le prime che, per situazione “di nomina”, sono alle prese con carenze finanziarie rispetto ai debiti accumulati dalla fallita e la delicatezza della scelta di attivarsi con spese in prededucibilità che (ammesso la presenza di fondi sufficienti) si accollerebbero, di fatto, i creditori della fallita; i secondi che, per situazione di finanza pubblica, versano in generale già in condizioni di scarsità e rigidità finanziaria con le conseguenti difficoltà ad attivarsi di propria iniziativa per l’esecuzione degli interventi e con il rischio di vedersi ripagare solo con moneta fallimentare. Il rapporto conflittuale tra curatore ed ente locale potrebbe anche trasformarsi in una “guerra tra ordinanze” al limite del paradossale, con il primo che, in presenza di rifiuti abbandonati prodotti dalla fallita e in assenza di una sua chiara responsabilità o esercizio provvisorio, potrebbe richiedere l’intervento del comune - ritenendosi non responsabile ex art 192 ed il secondo che, invece, potrebbe ordinare al curatore la rimozione dei rifiuti abbandonati ex art 50 del TUEL 155. Ovviamente, in tal caso, il conflitto sarebbe solo apparente vista la diversità dei presupposti applicativi. Non va infatti dimenticato che la giurisprudenza ha chiarito quali siano le condizioni per il legittimo esercizio del potere sindacale extra ordinem156 che dev’essere giustificato sia sul piano della contingibilità che dell’urgenza 157. Pertanto, tenuto conto della presenza nell’ordinamento dell’art. 192 del TUA, in caso di abbandono rifiuti, l’eventuale ordinanza extra ordinem dovrà spiegare, sulla base di una adeguata istruttoria svolta dagli organi tecnici competenti, le motivazioni per cui la situazione non appare fronteggiabile con gli strumenti ordinari. Non si potrà, quindi, prescindere da una valutazione caso per caso, al fine di evitare distorsioni applicative legate all’incentivo per l’amministrazione comunale a ricorrere, in assenza dei presupposti, all’ordinanza ex art. 50 del TUEL piuttosto che ex art. 192 del TUA. Talvolta si deve registrare in giurisprudenza una sorta di “contaminazione” tra la disciplina dell’abbandono e quella della bonifica; se da un lato vi sono elementi unificanti, per altro la loro distinzione dovrebbe risultare più netta di quanto emerge dalle posizioni 155 156 157 Ipotesi recentemente affrontata con la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 5125 del 22 luglio 2019. Quali la presenza di situazioni non già tipizzate dal legislatore, la sussistenza di una adeguata istruttoria ed una congrua motivazione che giustifichi l’adozione eccezionale di una tipologia provvedimentale residuale deviando dalla regola della tipicità degli atti amministrativi, cfr. Consiglio di Stato 25 maggio 2012, n. 3077. Da intendersi la prima come impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e la seconda come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, cfr. Consiglio di Stato 21 novembre 1994, n. 926. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 88 AmbienteDiritto - Editore© della giurisprudenza amministrativa, influenzata, occorre precisarlo, anche da ordinanze sindacali che, nel dubbio, citano indistintamente gli artt. 192 e 242 del TUA e gli artt. 50 e 54 del TUEL, quasi che vi sia omogeneità dei presupposti legittimanti. Sulla questione niente aggiunge di rilevante sul punto il nuovo codice d’impresa e dell’insolvenza, approvato con D.Lgs. 14/2019158. Nell’attesa di verificare se la giurisprudenza futura delineerà con maggior precisione, o viceversa, smentirà la nostra ipotesi, resta comunque l’esistenza di diverse basi costituzionali che giustificano – ed anzi richiedono – un differente trattamento in funzione del valore prevalente da tutelare. 158 Cfr. note 7 e 9. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 89 AmbienteDiritto - Editore© LE VARIABILI AMBIENTALI NELLA DISCIPLINA DEGLI APPALTI PUBBLICI. Storia di un difficile equilibrio tra tutela dell’ambiente e promozione dello sviluppo economico. Giuseppe Quinto Abstract (it) Il tema oggetto del presente contributo è il rapporto tra il settore della contrattualistica pubblica e quello della tutela dell’ambiente. Queste due realtà, in passato, non hanno avuto molti punti di contatto, poiché la normativa relativa agli ap palti pubblici, tanto a livello nazionale quanto a livello comunitario, risultava sostanzialmente orientata al perseguimento di obiettivi di natura economica, nonché alla tutela dei principi di imparzialità e della concorrenza. Col tempo, tuttavia, il legislatore ha compreso l’importanza di tutelare adeguatamente l’ambiente anche nell’ambito degli appalti pubblici. Egli è divenuto, infatti, consapevole dell’effetto estremamente positivo che avrebbe potuto avere l’acquisto, da parte delle pubbliche amministrazioni, di prodotti ecocompatibili in quantità sempre maggiori. Nasce, così, l’istituto degli Appalti Verdi, che consiste proprio nell’integrazione delle variabili ambientali all’interno delle procedure ad evidenza pubblica. Il settore degli appalti e quello dell’ambiente iniziano così a “cooperare”, seppur non senza difficoltà, per il perseguimento di un fine comune, ossia quello di promuovere percorsi di sviluppo economico salvaguardando l’ambiente per le gene razioni future, in ossequio al principio dello sviluppo sostenibile. Abstract (en) The subject of this contribution is the relationship between the sector of public contracts and that of environmental pro tection. These two themes have not had many common points in the past, because the legislation about public procurement, both national and European level, was essentially focused on the pursuit of economic aims and the protection of impartiality and competition principles. Nevertheless, over time, legislator has properly understood the importance of environment protection, in the field of public procurement too. Legislator, in fact, has become aware of the positive effect of purchasing of more and more environmentally friendly products from public administrations. Hence the Institute of Green Public Procurement was established and consists in environmental variables integration in public procedures. In this way, procurement and environment sector begin to cooperate, albeit with difficulties, to pursue a common goal which is the promotion of economic development safeguarding the environment for future generations, according to sustainable development principle. SOMMARIO: 1. Il Green Public Procurement: inquadramento storico e normativo - 2. Il riconoscimento normativo del Green Public Procurement a livello comunitario: le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. - 2.1. La direttiva 2014/24/UE - 3. Le clausole ambientali nell’esperienza italiana: il d.lgs. n. 163/2006 - 3.1. Il d.lgs. n. 50/2016 e l’incremento degli obblighi ambientali - 3.2. I criteri di aggiudicazione e il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti - 4. Conclusioni: criticità e prospettive dell’istituto. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 90 AmbienteDiritto - Editore© 1. Il Green Public Procurement: inquadramento storico e normativo. Il tema degli appalti pubblici e quello della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile non hanno avuto, in passato, molti punti di contatto, né in termini di disciplina, né in termini di tutela. Ciò poiché, tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale, la normativa relativa agli appalti pubblici era principalmente improntata al perseguimento di obiettivi economici, alla tutela della concorrenza e del favor partecipationis, alla massima pubblicità, trasparenza ed imparzialità nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, dalla fase di iniziativa, a quella istruttoria, fino a quella decisoria e dell’aggiudicazione. I primi contatti tra queste due realtà, ossia tra l’ambiente e il mercato, sono strettamente connessi al concetto di sviluppo sostenibile, dal momento che quest’ultimo riflette il carattere essenziale del diritto ambientale159. Tale principio, infatti, impone che qualsiasi attività debba garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non comprometta la possibilità per le generazioni future di soddisfare egualmente i propri e pone al centro dell’attenzione i rapporti tra la tutela dell’ambiente e lo sviluppo economico 160. Il principio dello sviluppo sostenibile161 rappresenta il punto di collegamento tra il tema dell’ambiente e la disciplina degli appalti pubblici, dal momento che un’efficace tutela dell’ambiente la si ottiene soltanto spingendo il mercato a lavorare per quest’ultimo, conducendo la pubblica amministrazione ad acquistare “verde” e a ricorrere a strumenti con finalità di protezione ambientale162. Come osservato anche dalla Commissione Europea, tenuto conto del notevole potere di acquisto delle stazioni appaltanti, queste ultime sono chiamate ad assumersi la responsabilità di “fungere da traino nel processo di gestione ecologica e nel riorientamento dei consumi verso prodotti più verdi” 163. Proprio per l’ingente mole di contratti pubblici che normalmente vengono stipulati, infatti, un aumento della domanda di prodotti eco-compatibili da parte delle pubbliche amministrazioni avrebbe senz’altro l’effetto di stimolare la produzione industriale con tali caratteristi159 Così F. FRACCHIA, Principi di diritto ambientale e sviluppo sostenibile, in P. DELL’ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Padova, 2012, Vol. I, pp. 571 ss.. In materia di sviluppo sostenibile, si vedano, tra gli altri: P. COSTA, Dal conflitto alla sostenibilità ambientale, in Economia della cultura, 1997, II, pp. 111 ss.; A. LANZA, Lo sviluppo sostenibile, Bologna, 2002; V. PEPE, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. giur. amb., 2002, pp. 209 ss.; 160 Per approfondimenti sul punto sia consentito rinviare a: B. CARAVITA DI TORITTO, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005; A. CROSETTI, Diritto dell’ambiente, Roma, 2008; S. NESPOR, Il governo dell’ambiente. La politica e il diritto per il progresso sostenibile, Milano, 2009; F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana , Napoli, 2010; F. FRACCHIA, Il principio dello sviluppo sostenibile, in M. RENNA, F. SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 433 ss.; P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente: commento sistematico al d.lgs. 152/2006, integrato dai d.lgs 4/2008, 128/2010, 205/2010, 121/2011, Padova, 2011; M. POLITI, Tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’Ambiente, Torino, 2011; M. MONTINI, Profili di diritto internazionale, in P. DELL’ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, Padova, 2012; F. FRACCHIA, Principi di diritto ambientale e sviluppo sostenibile, cit.; M. CAFAGNO, F. FONDERICO, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela dell’ambiente, in P. DELL'ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, Padova, 2012; G. FIDONE, Ecoefficienza e sviluppo sostenibile nell’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, in P. DELL’ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. III, Padova, 2015. 161 Peraltro “il principio dello sviluppo sostenibile può essere ricercato nella Costituzione italiana anche negli artt. 41 e 42. L’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e la stessa proprietà privata è riconosciuta e garantita a condizione che abbia una funzione sociale. Il riconoscimento della funzione sociale dell’ambiente ha giustificato molte limitazioni al diritto di proprietà, così come ha condizionato l’uso del suolo: lo stesso legislatore può imporre restrizioni allo sfruttamento delle risorse naturali onde consentirne l’utilizzo alle generazioni future.” Si veda V. PEPE, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, cit. p. 238. 162 Per approfondimenti, Comunicazione interpretativa della Commissione, 4 luglio 2001, Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici, COM(2001) 274 def., in GUCE del 28 novembre 2001, C 333, pp. 12 ss. 163 Comunicazione interpretativa della Commissione, cit., in GUCE del 28 novembre 2001, C 333, pp. 12 ss. A proposito dell’incidenza degli acquisti pubblici, basti pensare che “in Europa gli enti pubblici rappresentano la categoria più ampia di consumatori. La spesa da questi sostenuta per la stipulazione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture oscilla tra il 16% ed il 17% del PIL. “ Così B. FENNI, Il Green Public Procurement come strumento di sviluppo sostenibile, in www. Ambientediritto.it – Rivista Giuridica, 2014, p. 2. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 91 AmbienteDiritto - Editore© che. In questo modo, anche le preferenze dei consumatori verrebbero orientate verso scelte ecologiche, con prospettive di sviluppo del mercato sul medio e lungo periodo 164. Di questa nuova esigenza di integrazione tra mercato e ambiente si fa portavoce per prima la Comunità Europea, che comprende la connessione tra il tema della sostenibilità e lo sviluppo del mercato attraverso lo studio della Green Economy165. Giova premettere che l’iniziale assenza di riferimenti alla tutela ambientale nella normativa europea sugli appalti pubblici trova giustificazione nella circostanza che l’inserimento del requisito ambientale nelle singole procedure ad evidenza pubblica si sarebbe potuto concretizzare in una misura discriminatoria e lesiva della concorrenza e del principio del favor partecipationis, traducendosi in maggiori costi da sostenere per l’operatore economico, con conseguente penalizzazione nella partecipazione alla gara per coloro i quali non fossero stati in grado di far fronte a tali impegni di spesa166. Quando si parla di ambiente e di rispetto della concorrenza, in buona sostanza, si cerca di operare un bilanciamento tra due valori differenti ma egualmente rilevanti, ossia la tutela dell’ambiente e la necessità di perseguire lo sviluppo economico, che costituisce interesse pubblico soprattutto nel suo significato di sviluppo sostenibile 167. In materia di contrattualistica pubblica, il “prodotto” di tale bilanciamento di valori è rappresentato, senza dubbio, dall’istituto degli “Appalti Verdi”. Con la denominazione “Appalti Verdi” o Green Public Procurement è indicato l’insieme degli strumenti giuridici volti a promuovere la graduale integrazione degli interessi ambientali nella disciplina legislativa dei contratti pubblici 168. Tale espressione non richiama una tipologia autonoma di contratto ma si riferisce ad un criterio generale, da adottarsi indistintamente per tutti i tipi di appalti, che dovrebbe orientare spontaneamente il settore pubblico verso scelte di acquisto di beni e servizi caratterizzati da un minor impatto ambientale rispetto ad altri beni o servizi ad essi fungibili169. 164 Per approfondimenti: M. OCCHIENA, Norme di gestione ambientale, in M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, R. GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, II, pp.1465 ss. Secondo l’autore, “ [...] acquistando dal mercato verde le amministrazioni finirebbero non solo con lo sviluppare la circolazione dei beni e servizi ecocompatibili o a basso impatto ambientale, ma anche con l'incentivare la produzione verde, orientando e modificando i cicli produttivi delle imprese”. Altri autori hanno sostenuto che “con l’adozione degli appalti verdi si metterebbe in moto un circolo ecologicamente virtuoso, poiché le imprese che producono beni ad alto impatto ambientale, vendendo meno e per dendo quote di mercato a favore delle imprese verdi, sono costrette a convertirsi alla realizzazione di beni a più basso impatto ambientale.” Così M. PENNASILICO, Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, in Rassegna di diritto civile, XXXV, 3, 2014 p. 758. 165 La letteratura in materia di green economy è vasta. A titolo meramente esemplificativo: M.S. CATO Green economics: putting the planet and politics back into economics, in Cambridge Journal of Economics, 2012, pp. 1033 ss.; P.A. VICTOR, P. JACKSON, A commentary on UNEP’s Green Economy Scenarios, in Ecological Economics, 2012, pp.11 ss. 166 L’importanza del valore concorrenza, a livello europeo, è dovuta probabilmente all’enorme impatto che ebbe nel 1992 la crea zione del Mercato Unico Europeo, circostanza che interessò non solo la politica della concorrenza in senso stretto, desumibile dall’Atto Unico Europeo e dai Trattati sulle Comunità Europee, ma anche tematiche diverse, quale la formulazione del concetto di servizio di interesse generale (economico e non economico), degli obblighi di servizio pubblico, delle politiche di liberalizzazione e delle politiche di privatizzazione. In dottrina si veda: G.F. CARTEI, Il servizio universale, Milano, 2002; G. CAGGIANO, La disciplina dei servizi di interesse economico generale. Contributo allo studio del modello sociale europeo, Torino, 2008; F. GIGLIONI, L’accesso al mercato nei servizi di interesse generale. Una prospettiva per riconsiderare liberalizzazioni e servizi pubblici, Milano, 2008; E. BRUTI LIBERATI, F. DONATI, La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2010; L. CERASO, I servizi di interesse economico generale e la concorrenza «limitata». Profili interni, comunitari e internazionali, Napoli, 2010; D. GALLO, I servizi di interesse economico generale. Stato, mercato e welfare nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2011; E. PICOZZA, V. RICCIUTO, Diritto dell’economia, Torino, 2017. A. DI GIOVANNI, L’ambiente sostenibile nel nuovo Codice degli appalti: Green Public Procurement e certificazioni ambientali in Il diritto dell’economia, vol. 31 n. 95 (1 2018) p. 10. 167 Sul bilanciamento di tali valori costituzionali, si veda R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo VIII Edizione, Neldiritto Editore, 2015, pp. 1401 ss. 168 Sia consentito rinviare a G. FIDONE, Gli appalti verdi all’alba delle nuove direttive: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, pp. 819 ss. Si confrontino F. SCHIZZEROTTO, I principali provvedimenti europei ed italiani in materia di Green Public Procurement, in Riv. giur. ambiente, 2004, p. 967; C. GUCCIONE, L. PALATUCCI, Profili ambientali nelle procedure ad evidenza pubblica, in P. DELL’ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. II, Padova, Cedam, 2013, pp. 727 ss. 169 G. FIDONE Gli appalti verdi all’alba delle nuove direttive: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit, 2012, p. 820. Viene, dunque, superata l’idea che la tutela dell’ambiente possa essere perseguita attraverso l’utilizzo di stru menti di c.d. “command and control” ossia, ad esempio, “imponendo” agli operatori economici privati di adeguare i propri sistemi produttivi a de^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 92 AmbienteDiritto - Editore© L’istituto degli appalti verdi nasce all’interno della Comunità Europea che, concepita inizialmente come comunità economica, inizia gradualmente a trasformarsi in una comunità politica, attenta non solo a problematiche prettamente economiche ma anche a questioni di carattere politico e sociale170. Ed infatti, se le direttive in materia di evidenza pubblica degli anni novanta (ovvero la n. 92/50/CEE sull’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, la n. 93/36/CEE sull’aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e la n. 93/37/CEE sull’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici) non contenevano alcun riferimento alle variabili ambientali e nessun profilo che potesse ritenersi ecologicamente rilevante,171 col passare del tempo l’inserimento di criteri ambientali nelle procedure di acquisto della pubblica amministrazione cominciò a divenire un tema dibattuto e a trovare un crescente interesse in seno all’allora Comunità Europea172. In questa prospettiva, la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea (ex “C.G.C.E.” ora “C.G.U.E.”), sin dalla fine degli anni ottanta, ha iniziato ad occuparsi specificamente dell’integrazione della variabile ambientale e sociale nella terminati standard di tutela ambientale o costringendoli a dotarsi di certificazioni specificamente richieste per legge. Al contrario, la tutela dell’ambiente può essere garantita attraverso il mercato, che deve essere orientato spontaneamente verso scelte eco-compatibili, dando maggior valore economico a nuovi beni e servizi con caratteristiche verdi, che si vanno a differenziare da quelli che ne sono privi. Sugli strumenti di Command and control, A. BONOMO Poteri autoritativi e strumenti di mercato nella tutela amministrativa dagli inquinamenti in Appunti sulla tutela amministrativa dagli inquinamenti ambientali, a cura di D. MASTRANGELO, 2014, Roma, Aracne Editrice. 170 “Del resto, per la materia dei contratti pubblici, più volte la Commissione Europea ha ricordato che le norme dell’Unione Europea in tale settore, pur avendo natura essenzialmente economica, devono essere lette e applicate conformemente al principio dello sviluppo soste nibile.” G. FIDONE, F. MATALUNI, Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici, in Rivista Quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n. 3 2016, p. 7. 171 Invero, i primi interventi del legislatore comunitario in materia risalgono agli anni ’70, quando con le direttive 71/305 e 77/62 venne introdotta una disciplina essenzialmente centrata sul perseguimento di obiettivi di natura economica, senza alcun riferimento alla tutela dell’ambiente. Si tratta della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971 n. 71/305/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavo ri pubblici, in G.U.C.E., 16 agosto 1971 n. 185 e della direttiva 21 dicembre 1976 n. 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, in G.U.C.E., 15 gennaio 1977 n. L13. Sul sistema delineato da tali direttive e dalle successive, precedentemente alle n. 2004/17/CE e 2004/18/CE, si veda G. MORBIDELLI, M. ZOPPOLATO, Appalti pubblici, in M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 213 ss. 172 F. SPAGNUOLO, Il Green Public Procurement e la minimizzazione dell’impatto ambientale nelle politiche di acquisto della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2006, pp. 397 ss. Ad esempio, già il Trattato di Maastricht, sottoscritto il 7.2.1992 ed entrato in vigore il 1.11.1993, sanciva il dovere della Comunità Europea di garantire uno sviluppo equilibrato delle attività economiche e una crescita sostenibile, compatibile con le istanze ambientali. G. FIDONE, F. MATALUNI, Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici, cit. p. 9. Inoltre, la Comunicazione su “Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici”, COM(2001) 274, dopo aver premesso che “...la Commissione non può, in un documento di carattere interpretativo come questo, proporre soluzioni che esulino dall’attuale regime degli appalti pubblici. Inoltre, l’interpretazione del diritto comunitario resta di esclusiva competenza della Corte di Giustizia”, si proponeva di individuare gli spazi entro i quali le pubbliche amministrazioni avrebbero potuto dare il giusto risalto, nell’aggiudicazione delle proprie commesse, alle variabili ambientali, operando in modo ecologicamente virtuoso e applicando i principi degli ap palti verdi. “Tuttavia, è con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1997 che le istanze di tutela dell’ambiente iniziano ad integrarsi nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie(…). Vi è, come si vede, uno specifico riconoscimento del principio di integrazione, particolarmente sentito nel diritto comunitario, in forza del quale le questioni attinenti alla tutela dell’ambiente devono essere considerate sia nella fase di elaborazione che di successiva attuazione delle altre politiche dell’Unione. In seguito, nel 1998 la Commissione Europea emanava il Libro Bianco “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea” nel quale, oltre ad evidenziare una serie di iniziative indirizzate all’accrescimento della compe titività in materia di appalti pubblici e concessioni, rilevava la necessità di coordinare la disciplina sugli appalti con la politica ambientale e socia le. Qualche anno dopo, la stessa Commissione adottava il Sesto Programma d’Azione per l’Ambiente in cui, in linea con l’obiettivo di “sganciare l’impatto ed il degrado ambientale dalla crescita economica”, si prefissava l’obiettivo di garantire una migliore efficienza e una miglio re gestione delle risorse e dei rifiuti, nonché la promozione di modelli di consumo più sostenibili. Proprio al fine di ridurre produzione e pericolosità dei rifiuti, la Commissione menzionava nel Programma il G reen Public Procurement quale utile strumento che le pubbliche amministrazioni avrebbero potuto utilizzare al fine di orientare i propri acquisti verso beni e servizi in gra do di produrre già a monte un minor quantitativo di rifiuti. Nella medesima direzione può essere collocato anche il Libro Verde “Sulla politica integrata relativa ai prodotti" , che individuava nell’incremento indiscriminato dei consumi principale causa di fenomeni quali l’inquinamento e il depauperamento delle risorse. La soluzione della questione, secondo la Commissione, risiedeva nell’adozione, da parte delle pubbliche amministrazioni, di politiche ambientali improntate alla promozione, alla incentivazione ed alla produzione di beni più ecologici, abbandonando progressivamente l’uso di strumenti ritenuti tradizionali, quali i controlli amministrativi e le sanzioni, rivelatisi poco efficaci nella pratica.” Così B. FENNI Il Green Public Procurement come strumento di sviluppo sostenibile cit. pp. 3 ss., ma si vedano anche F. POCAR, Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione Europea, Padova, Cedam, 2001, p. 112; F. DE LEONARDIS, La disciplina dell’ambiente tra Unione Europea e WTO, in Riv. dir. amm., 3, 2003; L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, vol. I, Milano, Giuffrè, 2002, p. 90 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 93 AmbienteDiritto - Editore© contrattualistica pubblica. Inizialmente, la Corte si è occupata, della compatibilità delle clausole c.d. “sociali”, volte all’integrazione di categorie di lavoratori svantaggiati per poi passare, in un secondo momento, ad interessarsi specificamente della possibilità di inserire i criteri ambientali nei bandi di gara. Con riferimento ai profili sociali ricordiamo la sentenza “Beentjes”173 con cui la C.G.C.E., pronunciandosi sulla compatibilità con la direttiva n. 71/305 dell’esclusione di un offerente non dimostratosi in grado di provvedere all’impiego di disoccupati stabili, ha affermato la possibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di imporre, quale condizione supplementare, proprio l’impiego di lavoratori disoccupati stabili, purché tale condizione non comportasse effetti discriminatori, fosse adeguatamente pubblicizzata e non si traducesse in una lesione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Una delle pronunce più significative in tema di integrazione delle variabili ambientali con la disciplina della libera concorrenza è, invece, la sentenza “Concordia Bus Finland”174 del 17 settembre 2002. Il caso riguardava un bando di gara per la fornitura di autobus destinati al trasporto pubblico locale di Helsinki, nel quale la stazione appaltante aveva previsto l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo ai concorrenti in possesso di determinati requisiti ambientali, così suscitando la reazione di un’impresa che asseriva di non aver potuto aggiudicarsi l’appalto proprio a causa della presenza di tali requisiti. La Corte dopo aver evidenziato come i criteri di aggiudicazione previsti dalle direttive europee fossero, in realtà, elencati in maniera solo esemplificativa, aveva osservato come gli stessi non dovessero avere necessariamente natura economica in ossequio al principio di integrazione, allora contemplato all’ art. 6 del Trattato CE. L’amministrazione aggiudicatrice, secondo il ragionamento della Corte, ben avrebbe potuto tenere in considerazioni criteri non meramente economici nella valutazione dell’offerta, con la costante precisazione che la legittimità della valutazione dei criteri ambientali e sociali avrebbe dovuto essere subordinata alla condizione che questi ultimi fossero stati pertinenti all’oggetto dell’appalto, previamente pubblicati, adeguatamente pubblicizzati e rispettosi dei principi fondamentali del diritto comunitario, come la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, la parità di trattamento, la non discriminazione, il principio di trasparenza e proporzionalità175. Successivamente, con la sentenza “EVN AG”176 del 4 dicembre 2003, la Corte, affrontando il problema della “misura” entro la quale i criteri ambientali potessero legittimamente incidere nella scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa, aveva avuto modo di precisare che le amministrazioni aggiudicatrici, così come avrebbero potuto scegliere liberamente i criteri di aggiudicazione dell’appalto, avrebbero potuto anche stabilire la ponderazione di questi ultimi, purché tale ponderazione avesse consentito una valutazione sintetica dei criteri adottati per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa e non si fosse tradotta in irragionevoli discriminazioni tra tutti i partecipanti alla gara pubblica177. Alle pronunce sin qui esaminate, in ogni caso, ne sono seguite altre 173 Corte di giustizia, 20 settembre 1988, causa C-31/87, Beentjes c. Netherlands State, in G. CAGGIANO, V. DI COMITE, I. INGRAVALLO, A..M. ROMITO, R. VIRZO, Studi sull’integrazione europea, Cacucci Editore, Bari, 2009. Sul punto di veda anche M. BROCCA, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti, in Urbanistica e Appalti, 2003, 2, 168 ss. 174 Corte Giust. CE, 17 settembre 2002, causa C-513/99, Concordia Bus Finland. Per una nota alla sentenza si veda, tra gli altri, M. BROCCIA, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti, in Urbanistica e Appalti, 2003, p. 168; M. LOTTINI, Appalti comunitari: sulla ammissibilità di criteri di aggiudicazione non prettamente economici, in Foro amm. CDS, 2002, p.1936. 175 Per un approfondimento sul punto, si veda C. COLOSIMO, L’oggetto del contratto, tra tutela della concorrenza e pubblico interesse , in D. COMPORTI, Le gare pubbliche: il futuro di un modello, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011. 176 Corte di Giustizia, sentenza 4 dicembre 2003, causa C-448/01, EVN AG et Wienstrom GmbH c. Republik Österreich. in www.eurlex.europa.eu. . 177 G. GARZIA, Bandi di gara per appalti pubblici e ammissibilità delle clausole c.d. ecologiche, in Foro Amm., 2003, p. 3515; D.U. GALETTA, Vizi procedurali e vizi sostanziali al vaglio della Corte di giustizia, in Riv. it. dir. pub. com., 2004, p. 317; V. DE FALCO, L’utilizzo di fonti di energia rinnovabili come criterio di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in Dir. pub. comp. eur., 2004, p. 889. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 94 AmbienteDiritto - Editore© che hanno affermato i medesimi principi 178. Ciò che emerge, alla luce del percorso su illustrato, è che la giurisprudenza della C.G.C.E. ha focalizzato l’attenzione sul rapporto tra la tutela dell’ambiente e quella della concorrenza, per poi arrivare alla conclusione che l’inserimento e la valorizzazione delle variabili ambientali nelle procedure d’appalto non comporta l’automatica prevalenza di tale interesse a discapito delle altre politiche comunitarie, ma rende necessario un bilanciamento di tutti gli interessi in gioco. 2. Il riconoscimento normativo del Green Public Procurement a livello comunitario: le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Se tale era il quadro delineato dalla giurisprudenza della C.G.C.E., il legislatore comunitario è intervenuto con le direttive 2004/17/CE (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture) e 2004/18/CE (relativa al coordinamento delle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua, energia e servizi di trasporto e postali) che hanno riconosciuto per la prima volta ed esplicitamente la possibilità degli enti aggiudicatori di prendere in considerazione fattori di ordine non economico, quali quelli ambientali e sociali, al fine della selezione del contraente della pubblica amministrazione 179. In particolare, la direttiva 2004/18/CE ha il merito di aver racchiuso in un unico corpus normativo le precedenti direttive che regolavano le procedure di aggiudicazione degli appalti di servizi, lavori e forniture180. L’influenza della giurisprudenza della C.G.C.E. sull’impianto normativo delineato dalle direttive in questione è significativo. Infatti, al considerando1 della direttiva 2004/18/CE, si afferma che la stessa si fonda sulla giurisprudenza della C.G.C.E. e, in particolare, su quella relativa ai criteri di aggiudicazione, che chiarisce le “possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di soddisfare le esigenze del pubblico interessato, tra l’altro in materia ambientale e sociale, purché tali criteri siano collegati all’oggetto dell’appalto, non conferiscano all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati e rispettino i principi fondamentali di cui al considerando 2.” Ancora, nel considerando 5, è richiamato il principio di integrazione, laddove si sostiene che “conformemente all’articolo 6 del trattato, le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente sono integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’articolo 3 del trattato, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.” Lo stesso considerando aggiunge che “la presente direttiva chiarisce dunque in che modo le amministrazioni aggiudicatrici possono contribuire alla tutela dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile garantendo loro al tempo stesso di poter ottenere per i loro appalti il miglior rapporto qualità/prezzo”. 178 Si veda Corte di giustizia, 28 marzo 1995, C-324/93 Evans Medical Ltd e Macfarlan Smith Ltd in www.eurlex.europa.it. nella quale il giudice comunitario ha ribadito la compatibilità di criteri non prettamente economici con la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, a condizione che non siano forieri di discriminazione e siano oggetto di un’adeguata pubblicità; Corte di giustizia, 26 settembre 2000, causa C225-98, Commissione c. Francia, Commissione vs. Repubblica Francese, in www.eurlex.europa.it. La Corte precisa che un criterio di aggiudicazione privo di un valore economico diretto potesse essere determinate nella scelta dell'aggiudicatario solo nel caso di offerte economicamente equivalenti, rispetto alle quali il requisito sociale sarebbe stato un quid pluris. 179 B. FENNI, Il Green Public Procurement come strumento di sviluppo sostenibile cit. pp. 6-7. Peraltro, prosegue l’autrice, la direttiva “ha offerto, così, la possibilità di integrare la dimensione ambientale fra le variabili di valutazione della migliore offerta, inserendola nel contesto della tutela della concorrenza” e ha stabilito un collegamento ed un doveroso bilanciamento tra efficienza economica e tutela ambientale, avviando un percorso di valorizzazione della variabile ambiente attraverso l’utilizzo degli stessi meccanismi del mercato concorrenziale per la promozione delle politiche di sostenibilità ambientale. 180 Si veda, tra gli altri, F. SAITTA, Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Cedam. 2008; M.A. SANDULLI, Trattato sui contratti pubblici, Giuffrè, 2008; R. DE NICTOLIS, I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Giuffrè, 2007. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 95 AmbienteDiritto - Editore© Altra previsione rilevante è quella del considerando 44 della direttiva 2004/18/ CE, laddove si ammette la possibilità, per le stazioni appaltanti, “nei casi appropriati, in cui l’applicazione di misure o sistemi di gestione ambientale durante l’esecuzione dell’appalto pubblico è giustificata dalla natura dei lavori e/o dei servizi” di richiedere agli operatori economici partecipanti alla gara l’applicazione di siffatte misure o sistemi. Tali sistemi di gestione ambientale possono, quindi, dimostrare la capacità tecnica dell’operatore economico di realizzare l’appalto. Peraltro, ai sensi dell’art. 50 della medesima direttiva, deve essere accettata come mezzo di prova alternativo ai sistemi di gestione ambientale registrati una descrizione delle misure applicate dall’operatore economico per assicurare lo stesso livello di protezione dell’ambiente. Vi è poi la possibilità di utilizzare i criteri di aggiudicazione ambientali al fine di determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa181. Ed infatti, l’art. 53 della direttiva 2004/18/CE contempla espressamente le “caratteristiche ambientali” tra i criteri per la selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, purché (come espressamente affermato anche con riferimento agli altri criteri) collegate all’oggetto del contratto pubblico da aggiudicarsi. Dunque, appare pienamente legittimo inserire nell’offerta economicamente più vantaggiosa criteri ambientali di scelta a condizione, ancora una volta, che anche essi siano pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto e purché siano rispettati i noti principi comunitari di pubblicità, non discriminazione, par condicio, concorrenza e proporzionalità. Come ha osservato la Commissione Europea, infatti, “non è necessario che ciascun criterio di aggiudicazione comporti un vantaggio economico per l’ente aggiudicatore, ma che l’insieme dei criteri di aggiudicazione (cioè economici e ambientali) consenta di determinare l’offerta con il miglior rapporto qualità/prezzo”182. Nell’impianto delineato dalla direttiva 2004/18/CE, anche nella fase dell’esecuzione del contratto possono venire in rilievo le variabili ambientali. In forza di quanto previsto dall’art. 26, infatti, le stazioni appaltanti “possono esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto”, purché siano individuate espressamente nel bando di gara, e a condizione che le medesime condizioni siano compatibili con i principi di imparzialità, trasparenza, par condicio e favor partecipationis. Ebbene, la disposizione prevede che tali condizioni possono basarsi anche su considerazioni ambientali. Secondo autorevole dottrina183, peraltro, si dovrebbe trattare di condizioni esecutive aggiuntive rispetto all’oggetto del contratto in senso stretto, altrimenti esse verrebbero a coincidere con le specifiche tecniche legate alle modalità esecutive dello stesso. In buona sostanza, l’inserimento dei criteri ambientali all’interno dei bandi di gara, tanto nella fase dell’aggiudicazione quanto in quella dell’esecuzione, è legittimo a condizione che essi siano pertinenti rispetto all’oggetto dell’appalto, previamente pubblicati, e rispettosi dei principi fondamentali del diritto comunitario, ossia la libera cir181 Sul tema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in dottrina, si confrontino: G. FONDERICO, La selezione delle offerte e la verifica dell’anomalia, in M. CLARICH (a cura di) Commentario al codice dei contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 449 ss.; P. DE NICTOLIS - R. DE NICTOLIS, Criteri di selezione delle offerte, in R. DE NICTOLIS (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Ambito oggettivo e soggettivo. Procedure di affidamento, vol. I, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 960 ss.; P. FALLETTA, Discrezionalità della p.a. e criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici, in Foro amm. CdS, 2005, pp. 1157 ss.; L. PONZONE, Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: problemi teorici e pratici, in Studium iuris, 2003, pp. 832 ss.; A. TABARRINI-L. TABARRINI, La predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte, in www.appaltiecontratti.it; M.G. VIVARELLI, L’offerta economicamente più vantaggiosa, in Riv. trim. appalti, 2007, pp. 385 ss. 182 COMMISSIONE EUROPEA, Acquistare Verde! Un manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2005, pp. 33 ss. 183 Cfr. G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit. p. 20. Secondo gli autori, “Al riguardo potrebbe essere anche fatto riferimento agli elementi accessori del contratto che si distinguono da quelli essenziali e caratterizzanti dello stesso, poiché hanno un carattere accessorio o complementare e sono imposti dall’oggetto stesso del contratto.” Si veda anche Corte di Giustizia, Seconda Sez., 21 febbraio 2008, Commissione c. Repubblica Italiana, causa C-412/04, in Raccolta, 2008, pp. I-619 ss ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 96 AmbienteDiritto - Editore© colazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, la parità di trattamento, il favor partecipationis, la non discriminazione, il principio di trasparenza e proporzionalità. La direttiva 2004/18/CE si propone, dunque, di creare un sistema di mercato nel quale le pubbliche amministrazioni, mediante l’inserimento dei criteri ambientali all’interno dei bandi di gara, cercano di stimolare gli operatori economici privati a competere nella realizzazione di lavori, servizi o forniture a carattere di ecoefficienza, orientando la produzioni verso obiettivi ecologici 184. Gli appalti verdi divengono così uno strumento per consentire alle amministrazioni acquisizioni di lavori, servizi e forniture ecologicamente orientati. 2.1. La direttiva 2014/24/UE. Il processo di integrazione delle istanze ambientali e sociali all’interno dell’evidenza pubblica prosegue con la direttiva 2014/24/UE185 che, partendo dagli obiettivi già raggiunti, ha cercato di realizzarne di nuovi. Può dirsi, innanzitutto, che le considerazioni di carattere ambientale trovano uno spazio ancora maggiore nel nuovo testo normativo. Volendo tracciare un breve quadro delle disposizioni della direttiva strettamente connesse all’integrazione delle variabili ambientali all’interno dell’evidenza pubblica, può segnalarsi immediatamente, con riguardo alla fase dell’aggiudicazione, il superamento dell’equivalenza tra i due tradizionali criteri del prezzo più basso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Quest’ultimo, come è noto, consiste nell’individuazione dell’offerta recante il miglior rapporto qualità/prezzo, oppure seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il c.d. “costo del ciclo della vita” del bene. Nell’impianto delineato dalla direttiva, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa acquista valore preminente, mentre quello del prezzo più basso diviene sostanzialmente residuale. Nell’ambito della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come si diceva, è compresa quella del costo dell’intero ciclo di vita del bene (c.d. “life-cycle costing”). Il life-cycle costing, così come inteso nella direttiva in esame, comprende tanto i costi interni sostenuti dall’amministrazione aggiudicatrice (costi di consegna, installazione, consumo energetico, manutenzione, smaltimento ecc.), quanto quelli legati alle esternalità ambientali, come quelli determinati dalle emissioni di gas ad effetto serra o provenienti da altre sostanze inquinanti. Con riferimento poi, alle specifiche tecniche - ossia a quei criteri minimi di conformità la cui funzione è quella di fungere da attrazione per eventuali concorrenti e di consentir loro di conoscere le caratteristiche principali dell’appalto - la direttiva 2014/24/UE, al considerando 95, afferma che “Tenuto conto delle sensibili differenze tra i singoli settori e mercati, non sarebbe tuttavia opportuno fissare requisiti obbligatori generali per gli appalti in materia ambientale, sociale e di innovazione. Il legislatore dell’Unione ha già fissato requisiti obbligatori in materia di appalti volti ad ottenere obiettivi specifici nei settori dei veicoli per il trasporto su strada (direttiva 2009/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio) e delle apparecchiature da ufficio (regolamento CE n. 106/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio)... Pertanto, appare opportuno proseguire su questa strada, lasciando che sia la normativa settoriale specifica a fis184 M. CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Dir. pubbl., 2007, n. 1, p. 219 e ss, ma si veda anche G. FIDONE, L’integrazione degli interessi ambientali nella disciplina dei contratti pubblici, in Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile, Giappichelli, Torino, 2013, p. 140. 185 Si veda R. CARANTA, D.C. DRAGOS, La minirivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urb. App., 2014, p. 493 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 97 AmbienteDiritto - Editore© sare obiettivi e prospettive vincolanti in funzione delle particolari politiche e condizioni vigenti nel settore pertinente...”. Come si vede, il legislatore europeo ha ritenuto di dover lasciare alle amministrazioni di volta in volta coinvolte il compito di definire le specifiche tecniche di riferimen to per ciascuna categoria di appalto credendo, probabilmente, che un intervento comunitario particolarmente invasivo avrebbe potuto comportare una limitazione della concorrenza, la riduzione del margine di apprezzamento delle stazioni appaltanti, nonché un aumento del carico amministrativo per la parte pubblica e per i gli operatori economici privati186. Inoltre, l’art. 42, par. 1, con una formula particolarmente “flessibile”, afferma che le specifiche tecniche “...possono inoltre riferirsi allo specifico processo o metodo di produzione o fornitura dei lavori, delle forniture o dei servizi richiesti, o a uno specifico processo per un’altra fase del suo ciclo di vita anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale, purché siano collegati all’oggetto dell’appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi.” In ordine alla condizione della proporzionalità con il valore dell’appalto, la disposizione appare coerente con i già menzionati principi della par condicio e del favor partecipationis, laddove afferma che le specifiche tecniche richieste non devono, in ogni caso, comportare oneri economici sproporzionati rispetto al valore dell’appalto richiesto per gli operatori privati che partecipano alla gara. Con riguardo alla condizione della proporzionalità con gli obiettivi dell’appalto, invece, la norma ha inteso precisare che le specifiche tecniche non devono spingersi oltre il necessario per perseguire gli obiettivi prefissati dalla stazione appaltante, sempre nell’ottica di un bilanciamento tra la tutela dell’ambiente e i summenzionati principi della par condicio e del favor partecipationis. Infine, il par. 2 dell’art. 42 della direttiva 2014/24/UE conferma testualmente il par. 2 dell’art. 23 della direttiva 2004/18/CE, prevedendo che “le specifiche tecniche consentono pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non comportano la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza ”. Volendo chiudere la trattazione circa le principali novità della direttiva 2014/24/UE, si segnala la previsione di cui all’art. 57, par. 4, lett. a) che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla procedura tutti quei soggetti che si siano resi autori di violazioni di disposizioni di carattere ambientale, nonché da quella di cui all’art. 69, comma 2, lett. d), in forza del quale le precisazioni ed i chiarimenti che le stazioni appaltatrici generalmente richiedono in caso di offerte anormalmente basse possono riguardare anche l’adempimento ed il rispetto di normative europee in materia di ambiente. In conclusione, come è stato osservato, la nuova direttiva è certamente fioriera di novità e testimonia un evidente passo in avanti nella tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, ma non si spinge sino al punto di prevedere l’obbligatorietà dell’inserimento delle clausole verdi nei bandi di gara187. 3. Le clausole ambientali nell’esperienza italiana: il d.lgs. n. 163/2006. In Italia, l’inserimento delle clausole ambientali all’interno dei bandi era inizialmente facoltativo, anche se esistevano già alcune previsioni che ne favorivano l’applicazione stabilendo dei requisiti ambientali specifici per l’acquisto e/o utilizzo di determinati prodotti o servizi188. 186 Si veda anche T. KOTSONIS, Green paper on the modernisation of EU public procurement policy, PPLR, n.3/2011, pp. 51 ss. Cfr. M. PENNASILICO Contratto e uso responsabile delle risorse naturali cit. pp. 758 ss. 187 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 98 AmbienteDiritto - Editore© Tuttavia, solo con il “Codice dei contratti pubblici”, ossia con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che ha recepito le direttive CE 2004/17 e 18, la “cura ambientale ha fatto il suo ingresso ufficiale” nella normativa nazionale sugli appalti pubblici189. Può dirsi, certamente, che con il Codice del 2006 vi sia stato il reale superamento dell’idea che la contrattualistica pubblica debba, sempre e comunque, perseguire obiettivi di riduzione della spesa pubblica. Ed infatti, all’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 è espressamente previsto che “il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile.” Il principio di economicità rappresenta, come è noto, uno dei principi cardine del diritto europeo in materia di contrattualistica pubblica. Eppure, nel nuovo quadro appena delineato, il suddetto principio diviene cedevole rispetto all’esigenza di tutela dell’ambiente e di salvaguardia della sostenibilità e alle esigenze di carattere sociale, in ossequio ai quali devono realizzarsi l’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici. Tale cedevolezza, a ben vedere, riguarda il solo principio di economicità e non già quelli di trasparenza, non discriminazione, favor partecipationis e proporzionalità, i quali continuano a conservare valore preminente190. Nell’impianto delineato dal Codice del 2006, il primo momento utile nel quale le amministrazioni possono tener conto del requisito ambientale è quello della scelta dell’oggetto dell’appalto, ossia dell’individuazione del prodotto, dell’opera o del servizio che le amministrazioni stesse intendono procurarsi mediante l’indizione della procedura di gara pubblica 191. Tale scelta è rimessa, in sostanza, alla discrezionalità delle stazioni appaltanti, le quali non sono tenute ad adeguarsi a disposizioni comunitarie obbligatorie in merito alla definizione dell’oggetto del contratto pubblico. Tuttavia, qualora nell’esercitare tale scelta decidano di tener conto della variabile ambientale, quest’ultima non deve comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura della procedura di gara alla massima concorrenza. E’ necessario, pertanto, che i criteri ambientali eventualmente inseriti siano espressamente menzionati nel capitolato d’appalto o nel bando di gara, affinché gli operatori privati siano effettivamente messi nelle condizioni di conoscerli e di comprenderne la portata192. Una volta definito l’oggetto dell’appalto, esso va tradotto in specifiche tecniche che, come si è già accennato, consistono in criteri minimi di conformità, la cui funzione è quella di fungere da attrazione per eventuali concorrenti e di consentir loro di conoscere le caratteristiche principali dell’appalto, cosicché possano valutare li188 A titolo meramente esemplificativo, l’art. 19 d.lgs. n. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi), così come modificato dalla l. n. 448/2001, prevedeva l’acquisto di almeno il 40% del fabbisogno totale di carta riciclata; il d.m. 27 marzo 1998 stabiliva che una quota del parco autoveicolare doveva essere costituito da veicoli elettrici, ibridi o ad alimentazione a gas naturale dotati di dispositivi di abbattimento delle emissioni; la Legge Finanziaria del 2002 (l. n. 448/2001) sanciva, all’art. 52, l’obbligo di riservare almeno il 20% del totale all’acquisto di pneumatici ricostruiti. Il d.m. n. 203 dell’8 maggio 2003 invitava le Regioni a definire specifiche norme affinché gli enti locali coprissero il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura comunque non inferiore al 30%; detto decreto prevedeva, inoltre, l’adozione, da parte delle amministrazioni interessate, in sede di formulazione di gare per la fornitura e l’installazione di manufatti e beni, e nella formulazione di capitolati di opere pubbliche, di criteri tali da ottemperare al rispetto delle quote previste dal decreto. A. DI GIOVANNI L’ambiente sostenibile nel nuovo Codice degli appalti: Green Public Procurement e certificazioni ambientali cit. p. 169. 189 G. MASTRODONATO, Gli strumenti privatistici nella tutela amministrativa dell’ambiente, in Riv. Giur. ambiente, 2010, V, pp. 707 e ss. 190 Peraltro cfr. Il documento interpretativo del Ministero dell’Ambiente Acquisti verdi per la pubblica amministrazione: lo stato dell’arte, evoluzione normativa e indicazioni metodologiche del 2006, il quale a proposito dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 163/2006 chiarisce che “è legittimo considerare prioritaria l’esigenza di proteggere ambiente e salute umana, di promuovere lo sviluppo sostenibile e tutelare le esigenze sociali anche a scapito di non garantire sempre e in ogni caso un rapporto conveniente tra i risultati ottenuti e le risorse impiegate, purch é ciò avvenga nel rispetto della trasparenza, della par condicio e della concorrenza” 191 Per un approfondimento si veda, ex multis, A. CONCAS, Le caratteristiche del contratto di appalto, in diritto.it, 192 M. CALABRÒ, Le certificazioni di qualità ambientale di prodotto quali fattori di competitività per il made in Italy, in Foro amm. TAR, 2009, 9, p. 2639. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 99 AmbienteDiritto - Editore© beramente l’opportunità di partecipare o meno alla gara. Le specifiche tecniche in questione vengono prese in considerazione all’art. 68 del d.lgs. n. 163/2006 che, conformemente a quanto già previsto dalle direttive 17/2004/CE e 18/2004/CE, dispone espressamente che “le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza.” Inoltre, al comma 4, il medesimo art. 68 precisa che “le stazioni appaltanti non possono respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente prova (…) con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche.” Anche in questo caso, quindi, possiamo osservare una pratica applicazione del principio di equivalenza193, in forza del quale, in ossequio anche ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e favor partecipationis, è consentito a ciascun partecipante alla gara di dimostrare che i propri modelli produttivi e le soluzioni adottate, sebbene non strettamente conformi alle specifiche tecniche individuate dalla stazione appaltante, sono comunque in grado di soddisfare i requisiti richiesti e per i quali erano sta te dettate quelle specifiche. Quando questa equivalenza è dimostrata, non è consentito all’amministrazione respingere l’offerta194. D’altra parte il principio di equivalenza, nell’accettare soluzioni produttive alternative, oltre a favorire la massima partecipazione alla gara, può spingere le imprese a ricercare e a sviluppare tecnologie e metodologie produttive eco-compatibili sempre diverse, così stimolando una maggiore propensione del mercato verso la sostenibilità. Si vede, quindi, come l’istituto degli appalti verdi sia perfettamente compatibile con le esigenze di salvaguardia della concorrenza e come esso possa avere l’effetto di stimolare la domanda e l’offerta di nuove tecnologie e, conseguentemente, la ricerca scientifica nel settore. Passando, poi, ai criteri di aggiudicazione presi in considerazione dal Codice del 2006, questi ultimi risultano essere quello del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa195, in ossequio a quanto previsto dall’impianto normativo europeo. Ai sensi dell’art. 81 del d.lgs. n. 163/2006, la stazione appaltante è tenuta a scegliere il criterio di volta in volta più idoneo con riferimento alle caratteristiche dell’appalto. Qualora scelgano di orientarsi verso il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 prevede espressamente la possibilità, per le stazioni appaltanti, di valutare criteri diversi rispetto a quelli meramente economici, purché essi siano “ pertinenti alla natura, oggetto e caratteristiche del contratto”e tra tali criteri espressamente menziona alla lettera e) del primo comma “le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell'opera o del prodotto. ” Come si vede, il Codice del 2006 guarda con estremo favore all’inserimento della variabile ambientale nella fase dell’aggiudicazione e consente all’amministrazione di tenere in maggior considerazione i criteri ecologici rispetto a quelli economici, purché tali criteri siano sempre collegati all’oggetto dell’appalto e non conferiscano alla stazione appaltante una eccessiva discrezionalità nella scelta dell’aggiudicatario. 193 Sul principio di equivalenza cfr., tra gli altri, R. MANSERVISI, Principio di equivalenza del prodotto oggetto di fornitura, in Italiappalti.it. 194 Sul punto, si veda, ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 maggio 2009, n. 3758, in Foro Amministrativo (Il) 2016, 6, 1553 per il quale, ai sensi dell’art. 68 comma 4 del codice “non è consentito alle stazioni appaltanti respingere un’offerta per il motivo che i prodot ti ed i servizi offerti non sono conformi alle specifiche di riferimento, se nell’offerta stessa è data prova, con qualsiasi mezzo appropriato, che le so luzioni proposte corrispondano in maniera equivalente ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche.” 195 In materia di offerta economicamente più vantaggiosa si veda, tra gli altri, M. LIPARI, L’offerta economicamente più vantaggiosa, in Urb. e app., n. 1/2007, p. 7 e ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 100 AmbienteDiritto - Editore© Le variabili ambientali, d’altra parte, trovano spazio anche nella successiva fase dell’esecuzione del contratto aggiudicato, sebbene quest’ultima risulti regolata, come è noto, da norme privatistiche. Ed infatti, secondo quanto previsto dall’art. 69 d.lgs. n. 163/2006, le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari a contenuto ambientale per l’esecuzione del contratto, quali, ad esempio, il recupero, il riciclaggio o il riutilizzo dei materiali adoperati dall’appaltatore, purché compatibili con i principi di trasparenza, non discriminazione, proporzionalità e parità di trattamento, nonché con il diritto comunitario. L’art. 68 bis d.lgs. n. 163/2006, poi, prende in considerazione i c.d. “Criteri ambientali minimi” (o “C.A.M”). Questi ultimi, consistono in “misure volte all’integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti”196. Individuano, dunque, gli strumenti specifici in materia ambientale da integrare all’interno degli appalti pubblici. La loro disciplina specifica è contenuta in alcuni Decreti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ciascuno relativo ad una particolare categoria merceologica197. Si definiscono “minimi” perché, pur essendo derogabili da parte delle stazioni appaltanti attraverso la previsione di requisiti più stringenti per l’aggiudicazione, affinché un appalto possa qualificarsi come “verde”, è necessario che almeno le indicazioni di base fornite da questi ultimi siano recepite nel bando di gara. Nello specifico, l’art. 68 bis stabilisce l’obbligo per le amministrazioni, con riferimento ad alcune categorie di forniture e affidamenti specificamente indicate, di inserire nella documentazione di gara proprio i criteri ambientali minimi individuati nei decreti del Ministero dell’Ambiente. Al comma secondo, tuttavia, la norma precisa che, per ulteriori categorie di forniture tassativamente indicate, tale obbligo è limitato al 50% del valore della gara. Infine, è appena il caso di segnalare che l’art. 38 del Codice del 2006 prevede l’esclusione dalla gara per l’operatore economico condannato con sentenza passata in giudicato o altro provvedimento del giudice penale equiparato, per “ reati gravi” e che “incidono sulla moralità professionale”, ovvero in presenza di reati inerenti l’attività professionale svolta e idonei a testimoniare il mancato rispetto dei principi di deontologia professionale198. Dall’analisi dell’impianto delineato dal d.lgs. n. 163/2006, emerge come l’ambiente non venga più percepito quale limite alla iniziativa economica ed alla concorrenza, ma quale interesse pubblico e un valore da integrare e controbilanciare con quello espresso dalle logiche economiche e concorrenziali. Alcuni commentatori hanno ritenuto, tuttavia, che il Codice del 2006 si fosse limitato al mero recepimento di quanto già previsto dalle direttive CE nn. 17 e 18 del 2004 e non avesse tenuto conto delle specificità del sistema legislativo e sociale italiano. Tutto ciò avrebbe avuto l’effetto di rendere particolarmente difficoltosa l’applicazione pratica dei principi e delle disposizioni previste dallo stesso Codice199. 196 Cfr. PAN GPP 2013, punto 4.1. A titolo meramente esemplificativo: apparecchiature elettroniche per uso ufficio, arredi per ufficio, carta, cartucce per stampan ti, illuminazione pubblica, pulizia e prodotti per l’igiene, rifiuti urbani, ristorazione collettiva e derrate alimentari, serramenti esterni, servizi energe tici per gli edifici (illuminazione, climatizzazione), tessili, veicoli, verde pubblico, arredo urbano. 198 A tal proposito, autorevole dottrina si è interrogata sulla possibilità di ricondurre all’interno di queste ipotesi anche la condanna per reati ambientali. Bisogna rilevare, in ogni caso, che rientra nella discrezionalità delle singole stazioni appaltanti la valutazione della moralità dell’offerente che abbia riportato tali condanne, pur dovendo queste ultime motivare compiutamente le loro scelte. Sul punto, G. L. ROTA e G. RUSCONI, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, 2009; AA.VV., Commento al codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture, a cura di M. SANNINO, Utet Giuridica. 199 Invero, secondo alcuni commentatori “il principio generale contenuto nel citato art. 2, comma 2, d.lgs. 163/2006, appariva largamente inattuato e le ragioni dell’economicità finivano con l’essere pur sempre prevalenti nell’orientare le decisioni delle pubbliche amministra 197 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 101 AmbienteDiritto - Editore© Inoltre, nell’impianto normativo appena analizzato, l’inserimento dei requisiti ambientali non è mai configurato in termini di obbligatorietà, ma resta sempre rimesso alle scelte discrezionali delle stazioni appaltanti. Tale circostanza è stata da alcuni interpretata quale indice di una chiara mancanza di coraggio da parte del legislatore, il quale non avrebbe mostrato di credere, fino in fondo, che gli appalti verdi potessero costituire una reale opportunità di sviluppo economico e sociale, specie nel periodo di crisi a cavallo del quale si è sviluppata la loro disciplina200. 3.1. Il d.lgs. n. 50/2016 e l’incremento degli obblighi ambientali. Circa dieci anni dopo l’emanazione del d.lgs. n. 163/2006, con il nuovo Codice degli appalti, ossia con il d.lgs. n. 50/2016, lo sviluppo sostenibile e l’ambiente assumono un ruolo ancor più centrale nelle procedure di aggiudicazione degli appalti 201. In generale, il legislatore ha implementato le regole oramai acquisite a livello comunitario , sia per ciò che riguarda i criteri per l’aggiudicazione degli appalti, sia per ciò che attiene ai c.d. criteri ambientali minimi (C.A.M.), che le stazioni appaltanti, come si è detto, sono tenute a rispettare. Si ha l’impressione, in sostanza, che l’ordinamento italiano abbia finalmente preso atto delle enormi potenzialità che il settore della contrattualistica pubblica, forte della sua grande rilevanza economica, ha quale traino per il sostegno delle politiche ambientali202. Passando al dettaglio delle disposizioni del d.lgs. n. 50/2016, l’art. 30, nel richiamare al comma 1 i principi ispiratori del Codice, ossia quelli di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, favor partecipationis, imparzialità, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, specifica che il principio di economicità, nei limiti di quanto previsto dal Codice stesso e dalle disposizioni del bando di gara, può essere subordinato a esigenze di tutela dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico. Come si vede, il nuovo art. 30 riprende la formulazione già contenuta all’art. 2 d.lgs. n. 163/2006, ribadendo, in sostanza, la preminenza dell’esigenza di tutela dell’ambiente rispetto alle esigenze di economicità, che da sempre avevano permeato la materia della contrattualistica pubblica a livello nazionale ed europeo. Una prima novità la si rinviene, invece, nel comma 3 dell’art. 30, il quale prescrive che “nell’esecuzione degli appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X.” La suddetta norma differisce sensibilmente dal precedente art. 69 d.lgs. n. 163/2006, in quanto quest’ultimo si limitava a prevedere la “possibilità”, per le stazioni appaltanti, di esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto e, tra le suddette condizioni, faceva espresso riferimento zioni nella la scelta degli appaltatori, senza spazio per l’utilizzo di criteri ambientali. Tale tendenza, a maggior ragione nella fase di crisi economi ca che, ancora oggi, si protrae, era confermata dai successivi interventi emendativi al Codice, orientati quasi esclusivamente al simultaneo perseguimento della crescita economica e dei tagli di spesa. Non senza evidenziare, peraltro, come i due obbiettivi appaiono difficilmente conciliabili fra loro e, anzi, possono considerarsi perfino in contrasto, dal momento che appare difficile ipotizzare uno sviluppo senza spesa.” G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit. p. 23. 200 Sul punto cfr. G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit. pp. 24 ss. 201 Tale volontà, peraltro, trova una espressa conferma nella L. 28/01/2016, n. 11 (Legge delega) che all’art. 1 co. 1, lett. p) tra i principi e criteri direttivi della delega individua: “previsione di misure volte a garantire il rispetto dei criteri di sostenibilit à energetica e ambientale nell’andamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, facendo ricorso anche al criterio di aggiudicazione basato sui costi del ciclo di vita e stabilendo un maggiore punteggio per i beni, i lavori e i servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ ambiente.” A. DI GIOVANNI L’ambiente sostenibile nel nuovo Codice degli appalti: Green Public Procurement e certificazioni ambientali cit. p. 171. 202 In tal senso, sebbene prima dell’entrata in vigore del Codice 2016, si pronunciava anche G. MARCHIANÒ, La regolamentazione nella domanda pubblica alla luce della legge delega di recepimento delle nuove direttive: il ruolo dell’Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2016, pp. 1 ss ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 102 AmbienteDiritto - Editore© a quelle sociali e ambientali. Tale possibilità, peraltro, era subordinata al parere dell’Autorità competente, alla quale la stazione appaltante doveva comunicare la propria intenzione di esigere le suddette particolari condizioni. Ancora più innovativa è la previsione contenuta nell’art. 4 del Codice, che disciplina i contratti esclusi dalla sua applicazione. Contrariamente a quanto previsto dalla disciplina precedente, infatti, la disposizione in esame prescrive che i contratti pubblici esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione oggettiva del Codice 2016 devono essere affidati, in ogni caso, nel rispetto non solo dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità (come era già previsto dall’art. 27 d.lgs. n. 163/2006), ma anche nel rispetto dei principi in materia di tutela dell’ambiente nonché di efficienza energetica. Ancora una volta, come si vede, l’esigenza di tutela dell’ambiente diviene valore imprescindibile nell’affidamento dei contratti pubblici, tanto da permeare anche le fattispecie espressamente escluse dal Codice, finendo, di fatto, “per uscire dalla porta e rientrare dalla finestra.” Pertanto, anche nelle fattispecie espressamente dall’applicazione della disciplina del Codice dei contratti, le amministrazioni aggiudicatici sono tenute, nel momento della scelta del contraente, al rispetto delle esigenze di tutela ambientale e di efficienza energetica che, dunque, assurgono al rango di interessi pubblici superiori203. Un’altra novità rilevante è che con l’art. 34 del nuovo d.lgs. n. 50/2016 (così come modificato dal d.lgs. n. 56 del 19 aprile 2017) scatta l’obbligo da parte di tutte le pubbliche amministrazioni di acquistare una quota di prodotti e di servizi secondo i criteri ambientali minimi stabiliti dai decreti del Ministero dell’Ambiente (c.d. C.A.M.). Tale obbligo riguarda le categorie merceologiche appositamente menzionate nei medesimi decreti. In sostanza, le stazioni appaltanti sono tenute ad inserire nella documentazione progettuale e di gara (bandi, capitolati, lettere di invito ecc.) un contenuto minimo costituito quantomeno dalle specifiche tecniche e dalle clausole contrattuali contenute nei Criteri Minimi Ambientali. Come è noto, i C.A.M. stabiliscono delle indicazioni “minime” in materia ambientale da integrare nei bandi di gara, sicché rimane fermo il principio in forza del quale le stazioni appaltanti possono, nell’ambito della propria discrezionalità e nel rispetto dei principi dell’evidenza pubblica, indicare ulteriori criteri ambientali. Peraltro, nel testo originario del Codice, l’obbligo di inserire i C.A.M. per l’intero valore della gara era limitato a determinate categorie di appalti che, secondo quanto previsto dallo stesso Codice, erano da ritenersi idonee a conseguire l’efficienza energetica negli usi finali. Negli altri casi, ossia per forniture e affidamenti non connessi agli usi finali di energia e oggetto dei criteri ambientali minimi, invece, l’obbligo dei C.A.M. era posto con riferimento solo ad almeno il 50% del valore a base d’asta. Era anche previsto, però, che il Ministero dell’ambiente avrebbe dovuto disporre un progressivo aumento percentuale di tale obbligo sino al 100% del valore di base d’asta anche per questi ultimi contratti entro il 2020. A tal proposito, tuttavia, vi era il rischio che potessero sorgere alcuni problemi pratici applicativi per le stazioni appaltanti proprio con riferimento alle fattispecie in cui l’obbligo dei C.A.M. era limitato solo al 50%. In tali ipotesi, come osservato da autorevole dottrina 204, la stazione appaltante avrebbe dovuto suddividere l’importo a base d’asta, specificando anche le modalità con le quali vi aveva provveduto, distinguendo espressamente la parte del contratto sottoposta 203 Si tratta di una disposizione importante, non solo per la novità introdotta rispetto alla disciplina previgente, ma anche per la sua collocazione. Tale art. 4, infatti, è collocato nella Prima parte del Codice, contenente la disciplina relativa ad “Ambito di applicazione, Principi, Disposizioni comuni ed esclusioni”. In altri termini, è come se il citato art. 4 segnasse una sorta di nuovo avvio del Codice dei contratti, a dimostrazio ne che lo stesso è divenuto più incline – fin da principio e fin dai principi – a garantire una maggiore attenzione al tema della protezione dell’ambiente e, quindi, degli appalti verdi. Così G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit., pp. 40-41. 204 Per approfondimenti si veda, tra gli altri, G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit. pp. 42 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 103 AmbienteDiritto - Editore© all’obbligo dei C.A.M. da quella che, invece, ne risultava esclusa. Una simile suddivisione, evidentemente, sarebbe stata certamente più semplice in caso di acquisto dei beni, ma avrebbe creato non pochi problemi in caso di acquisto di lavori e di servizi. Anche per questo motivo, attraverso il d.lgs. n. 56 del 19 aprile 2017, sono state soppresse le quote obbligatorie dei C.A.M. rispetto al valore posto a base d'asta, nonché le connesse categorie di servizi cui si applicavano gli stessi205. La nuova formulazione, infatti, non distingue più fra categorie di appalti nelle quali l’utilizzo dei C.A.M. si applica per l’intero importo e categorie nelle quali tale applicazione è limitata al 50% del valore complessivo. E’ poi opportuno segnalare la previsione, all’interno del nuovo Codice, delle c.d. “clausole ecologiche fisse” come ad esempio le specifiche tecniche di cui all’art. 68, le quali stabiliscono le caratteristiche di un lavoro, servizio, fornitura206. La vera novità - con riferimento alle specifiche tecniche ed in base a quanto previsto dal medesimo art. 68 d.lgs. n. 50/2016 - consiste nel fatto che tali caratteristiche possono riferirsi allo specifico processo o metodo di produzione o prestazione dei lavori, delle forniture o dei servizi richiesti, o a uno specifico processo per un’altra fase del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale; è richiesto, tuttavia, che gli stessi siano collegati all’oggetto dell’appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi. Non viene meno, in altri termini, il necessario collegamento con l’oggetto del contratto, che, come visto, è ribadito anche a livello europeo, in ossequio ai principi di proporzionalità e di ragionevolezza. Le specifiche tecniche, pertanto, non devono pregiudicare la possibilità, da parte di tutti gli operatori economici interessati, di partecipare alla gara, in ossequio ai già noti e citati principi di concorrenza, imparzialità e favor partecipationis. In applicazione di tali principi, il Codice obbliga le stazioni appaltanti a non escludere né dichiarare inammissibile l’offerta presentata da un operatore economico che, pur non allineandosi perfettamente alle specifiche tecniche ambientali inserite nel bando di gara, recepisce specifiche di carattere europeo o internazionale che risultino sostanzialmente equipollenti. In questo caso, sarà l’offerente a dover dimostrare che il lavoro, il servizio o il prodotto oggetto dell’offerta siano idonei, in quanto compatibili alla norma europea o internazionale, a realizzare le prestazioni e i requisiti funzionali di carattere ambientale richiesti dalla stazione appaltante. Come mezzo di prova per il rispetto di queste particolari specifiche tecniche ambientali, le stazioni appaltanti possono anche richiedere un’etichettatura specifica, ai sensi dell’art. 69 d.lgs. n. 50/2016. In ossequio ai richiamati principi di concorrenza e non discriminazione, nel caso in cui un operatore economico non riesca ad ottenere l’etichettatura richiesta in tempo, per cause a lui non imputabili, la stazione appaltante deve accettare anche altri mezzi di prova che siano idonei a dimostrare che i lavori, i servizi o i beni oggetto dell’offerta presentata soddisfino i requisiti dell’etichettatura o quelli richiesti dal bando di gara. In ogni caso, il Codice incentiva la diffusione delle etichettature ambientali 207, riconoscen- 205 “Oltre a ciò, l'art. 34 tenta di collegare: Piano d'azione per la sostenibilità ambientale e CAM da una parte, specifiche tecniche e offerta economicamente più vantaggiosa dall'altra. Il collegamento indicato risulta tuttavia più forte per quanto concerne le specifiche tecniche, poiché si impone alle stazioni appaltanti di inserire i CAM nella documentazione di gara relative alle prime; obbligo per altro ribadito all'ultimo comma dell'art. 34; invece, per quanto concerne l'offerta economicamente più vantaggiosa, il rapporto fra CAM (e connesso Piano d'azione cit.) dovrà essere tenuto solo in considerazione dalle stazioni appaltanti sottoforma di criteri premianti. " Così S. VILLAMENA, Codice dei contratti pubblici 2006. Nuovo lessico ambientale, clausole ecologiche, sostenibilità, economicità in Rivista Giuridica dell'Edilizia, fasc.3, 1 giugno 2017, p. 101 206 S. VILLAMENA Codice dei contratti pubblici 2006. Nuovo lessico ambientale, clausole ecologiche, sostenibilità, economicità cit. pp. 101 ss. 207 Per approfondimenti sul tema delle certificazioni ambientali e delle “ecoetichettature” si veda A. BENEDETTI, Profili di rilevanza giuridica delle certificazioni volontarie ambientali in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’ambiente, 2012, numero 1-2 pag. 5. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 104 AmbienteDiritto - Editore© do numerose agevolazioni per le imprese c.d. ecocertficate; questo vale, in modo particolare, con riferimento alla certificazione di qualità delle imprese. 3.2. I criteri di aggiudicazione e il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti. Con riguardo ai criteri di aggiudicazione, si rileva che l’art. 36 co. 9 bis d.lgs. n. 50/2016, così come modificato dalla L. n. 55/2019, dispone che, “fatto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.” L’art. 95 co. 2 del d.lgs n. 50/2016, dal canto suo, precisa che “fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici, le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono all'aggiudicazione degli appalti e all'affidamento dei concorsi di progettazione e dei concorsi di idee, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all'articolo 96”.208 L’offerta economicamente più vantaggiosa può essere individuata, quindi, sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo oppure, in alternativa, sulla base dell’elemento prezzo o del costo, attraverso il criterio del costo del ciclo di vita. Per ciò che attiene, invece, alle ipotesi in cui l’art. 95 d.lgs. n. 50/2016 consente alle stazioni appaltanti di ricorrere al criterio del prezzo più basso, autorevole dottrina209 ritiene che vi sarebbe - a ben vedere - una prevalenza del principio di economicità su quello della tutela dell’ambiente, contrariamente a quanto affermato in via di principio dall’art. 30 d.lgs. n. 50/2016. Inoltre, l’aver voluto “cristallizzare” le fattispecie in cui risulta essere ammesso l’utilizzo del criterio del prezzo più basso è stato ritenuto in contrasto con la disciplina europea, la quale rimetteva tale scelta alla discrezionalità della stazione appaltante caso per caso. A ciò può ben obiettarsi, tuttavia, che la previsione di un’eccessiva discrezionalità in capo alle stazioni appaltanti rischia di alimentare il contenzioso dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, dovuto ai ricorsi da parte degli operatori che, di volta in volta, si ritengono pregiudicati da un asserito uso distorto di tale discrezionalità. In ordine all’individuazione del miglior rapporto qualità/ prezzo, l’art. 95 d.lgs. n. 50/2016 consente alle stazioni appaltanti di valutare la qualità dell’offerta anche tenendo conto di criteri oggettivi, quali gli aspetti ambientali. Inoltre, lo stesso art. 95 co. 6 inserisce espressamente, fra i criteri di valutazione, il possesso di un marchio di qualità ecologica dell’Unione Europea (Ecolabel UE) e “il costo di utilizzazione e manutenzione avuto anche riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio, con l’obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di un’economia circolare che promuova ambiente e occupazione.” 208 Per un approfondimento anche sulla disciplina previgente, sia consentito rinviare a G. CREPALDI, Gli acquisti eco-sostenibili nel nuovo codice dei contratti pubblici italiano: considerazioni sul Life cycle costing, in Revista do direito, Santa Cruz do Sul, v. 1 n. 54, p. 89. 209 Così S. VILLAMENA Codice dei contratti pubblici 2006. Nuovo lessico ambientale, clausole ecologiche, sostenibilità, economicità cit. p. 111. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 105 AmbienteDiritto - Editore© Il criterio del costo del ciclo di vita (o life-cycle costing), dal canto suo, è disciplinato dall’art. 96 d.lgs. n. 50/2016. Il life-cycle costing ricomprende, come già accennato, tutte le spese che un prodotto, servizio o fornitura determina a partire dall’acquisizione delle materie prime necessarie alla sua produzione, nonché i costi connessi al suo utilizzo (quelli relativi, ad es., al consumo di energia e/o di altre risorse), alla manutenzione e al fine vita, quali quelli relativi al suo smaltimento o riciclaggio. 210 Non si riduce, pertanto, al mero prezzo di acquisto del bene. Come è oramai ovvio, giunti a questo punto della trattazione, l’utilizzo del criterio del costo del ciclo di vita non può mai tradursi in un meccanismo di discriminazione tra i vari partecipanti ad una procedura ad evidenza pubblica. E' necessario, allora, che le amministrazioni indichino, nei documenti di gara, la metodologia utilizzata per il calcolo dei costi del ciclo di vita, la quale, ai sensi dell’art. 96 d.lgs. n. 50/2016, deve essere stata elaborata sulla base di criteri scientifici obiettivi e deve poter essere accessibile a tutti211. Infine, è opportuno segnalare che il d.lgs. n. 50/2016 ha introdotto un particolare sistema di qualificazione per le stazioni appaltanti e per le centrali di committenza212, che si affianca a quello che già gli operatori economici devono seguire per la partecipazione alle gare pubbliche. L’art. 38, infatti, ha previsto l’istituzione, presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), di un apposito elenco pubblico delle stazioni appaltanti, comprese le centrali di committenza, che risultano essere qualificate. Tale sistema di qualificazione è di fondamentale importanza in quanto, dal momento della sua entrata in vigore, l’ANAC non rilascia più il codice identificativo gara (CIG) – necessario per procedere all’acquisizione di beni, servizi o lavori – alle stazioni appaltanti che non dimostrano di rientrare nella specifica qualificazione conseguita. Per ciò che attiene ai requisiti necessari al conseguimento della qualificazione, l’art. 38 prescrive che questi ultimi siano individuati anche sulla base di parametri ambientali, in particolare connessi alla “applicazione di criteri di sostenibilità ambientale nell’attività di progettazione e affidamento” dei contratti pubblici. Tali criteri ambientali, quindi, rappresentano dei requisiti premianti che, assieme ai requisiti di base, costituiscono gli elementi su cui valutare la qualificazione delle stazioni appaltanti. In altri termini, una stazione appaltante che vuole qualificarsi al fine di conseguire l’idoneità a procedere autonomamente all’acquisizione dei beni, dei servizi e dei lavori di cui necessita, deve dimostrare di avere una particolare sensibilità al tema ambientale nonché di attenersi, nello svolgimento della propria attività, ai criteri di sostenibilità ambientale. Giova segnalare, per completezza espositiva, che ad oggi il sistema di qualificazione così delineato non risulta essere entrato in vigore, sicché trova applicazione quanto previsto dall’art. 216 co. 10 d.lgs. n. 50/2016, in forza del quale “Fino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all’articolo 33 - ter del decreto - legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.” Da ultimo, in ordine 210 Si veda, tra gli altri, L. CARBONARA, Le nuove direttive sui contratti pubblici e la tutela dell’ambiente. I criteri di aggiudicazione in giustamm.it, 2016. 211 G. CREPALDI Gli acquisti eco-sostenibili nel nuovo codice dei contratti pubblici italiano: considerazioni sul Life cycle co sting, cit. p. 92. L’autore sostiene altresì che “ancora una volta il Codice dei contratti pubblici finisce per rivolgersi al settore privato richiedendo collaborazione al mercato, alle imprese che operano nel settore e che, meglio di qualunque soggetto pubblico, conoscono gli aspetti produttivi e quelli successivi relativi alla manutenzione, al mantenimento ed al fine vita.” Sul punto si veda anche L. DE PAULI, I costi del ciclo di vita nel nuovo codice degli appalti, in Urbanistica e appalti, 2016, p. 630 il quale, in senso critico, ritiene che “i costi e i dati che le imprese dovranno fornire, che si immaginano complessi, potrebbero essere forniti solo dalle imprese più grandi e strutturate a sfavore delle medio-piccole e micro im prese; il sistema finirebbe allora per impedire di fatto la partecipazione alle gare da parte di quelle situazioni dimensionali imprenditoriali che il Codice si propone, invece, di favorire.” 212 Sulla qualificazione ambientale delle stazioni appaltanti, si veda, per approfondire, C. LAMBERTI, La qualificazione delle stazioni appaltanti, in Urbanistica e appalti, 2016, pp. 1293 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 106 AmbienteDiritto - Editore© al sistema di qualificazione delle “CUC” (Centrali Uniche di Committenza), di cui all’art. 37 d.lgs. n. 50/2016, si evidenzia che quest’ultimo risulta sospeso sino al 31/12/2020 in forza di quanto previsto dall’art. 1 co. 1 lett. a) L. 55/2019. 4. Conclusioni: criticità e prospettive dell’istituto. Per tutto quanto illustrato nel presente contributo può dirsi che, nel panorama nazionale e sovranazionale, il tema dell’ecoefficenza dei contratti pubblici abbia assunto, col passare del tempo, un ruolo sempre meno marginale. La promozione della tutela dell’ambiente si inserisce in un mutato contesto giuridico, sociale e culturale in cui il perseguimento della crescita economica passa necessariamente attraverso lo sviluppo sostenibile, che implica che ogni attività economica possa essere considerata apprezzabile solo se comporta un miglioramento della qualità dell’ambiente, della vita, della salute, e qualora garantisca un uso razionale delle risorse 213. Tale posizione culturale, sebbene non universalmente condivisa, appare ormai da anni prevalente in seno alle istituzioni nazionali e sovranazionali che legiferano in materia di contrattazione pubblica214. Essa trova attuazione nella sempre maggiore applicazione del principio dell’integrazione degli interessi ambientali nelle discipline che regolano i diversi settori, in particolare quello dell’evidenza pubblica. L’obiettivo, quindi, resta sempre quello di conciliare la tutela dell’ambiente con quella del mercato e della concorrenza. Solo in questo modo l’ambiente può diventare lo strumento per la creazione di un nuovo mercato ecosostenibile, indispensabile per il superamento dell’attuale scenario di crisi economica e finanziaria. E’ necessario, dunque, far si che le pubbliche amministrazioni acquistino “verde” e rivolgano la propria attenzione verso prodotti a basso impatto ambientale, considerata anche la dimensione rilevante del mercato degli appalti, al fine di stimolare il mercato ad offrire sempre di più prodotti e servizi ecocompatibili. Questo è stato, in buona sostanza, lo scopo che le direttive europee e le leggi nazionali sin qui esaminate hanno cercato di perseguire nel corso degli anni. Il quadro normativo che è venuto così a delinearsi, tuttavia, presenta almeno una criticità. Il problema che si intende sollevare riguarda, specificamente, l’integrazione “pratica” delle variabili ambientali negli appalti pubblici. A ben vedere, la considerazione di tali criteri negli appalti contribuisce ad aumentarne la complessità, dal momento che aumenta il numero delle variabili che dovranno essere considerate nelle varie fasi della procedura ad evidenza pubblica215. Tale aumento di complessità comporta, quasi fisiologicamente, problemi di tipo informativo relativi all’applicazione pratica dei criteri ambientali che riguardano tanto la pubblica amministrazione quanto gli operatori economici privati. 213 G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit pp. 60 ss. Tale impostazione culturale è stata, tuttavia, fortemente criticata nelle opere di S. LATOUCHE, scettico verso l’idea della ricer ca spasmodica, da parte dei governi, della crescita economica. Egli ritiene, invece, che il benessere dei singoli aumenterebbe se si adottassero misure volte ad una decrescita “felice”, sostenendo altresì che occorra smettere di utilizzare l’indicatore del PIL come indicatore di benessere. Proprio per questo, critica il concetto di sviluppo sostenibile dal momento che esso è sempre fondato sull’assunto che lo “sviluppo”, inteso nell’accezione di “crescita economica” sia alla base del benessere dei collettivo. Latouche sottolinea che i maggiori problemi ambientali, paradossalmente, sono dovu ti proprio agli effetti della costante ricerca della crescita. Per salvaguardare l’ambiente, secondo l’autore, è indispensabile promuovere una strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà e sul senso del limite, attraverso il riciclo, la riutilizzazione dei prodotti, ecc.. Per approfondimenti: S. LATOUCHE, Breve trattato sulla decrescita serena, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 2008; ID., La scommessa della decrescita, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2009; 215 Per approfondimenti sui contratti complessi si veda G. FIDONE, Le concessioni come contratti complessi: tra esigenze di flessibilità e moltiplicazione dei modelli, in M. CAFAGNO - A. BOTTO-G. FIDONE-G. BOTTINO (a cura di), Negoziazioni Pubbliche. Scritti su Concessioni e Partenariati Pubblico Privati, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 279 ss. 214 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 107 AmbienteDiritto - Editore© Come rilevato dal documento di approfondimento dal titolo “L’applicazione del Green Public Procurement a un anno dal nuovo Codice degli appalti” , promosso dagli “Stati Generali della Green Economy 2017” , sono emerse alcune rilevanti criticità proprio nell’applicazione di alcune norme del nuovo Codice dei contratti pubblici, specie di quelle che riguardano l’inserimento dei requisiti ambientali nei bandi di gara. Tra le tante, si segnalano la presenza di disposizioni poco chiare e talora configgenti in materia di applicazione ed inserimento dei C.A.M. nelle procedure, l’eccessiva complessità delle stesse, l’assenza di direttive e linee giuda per il calcolo dei costi del ciclo di vita e delle esternalità ambientali. Ciò che maggiormente rileva, tuttavia, è la riscontrata carenza informativa, tanto della P.A. quanto delle imprese private216 (soprattutto medie e piccole, che costituiscono la maggioranza del tessuto produttivo italiano), in materia di acquisti verdi e di applicazione dei C.A.M. In sostanza, il contenuto dei C.A.M. appare articolato e disomogeneo e la loro corretta applicazione risulta in concreto tutt’altro che agevole per gli operatori. L’interpretazione e l’attuazione dei C.A.M. e, più in generale, delle disposizioni di carattere ambientale in materia di evidenza pubblica richiedono competenze tecniche specifiche che spesso gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti e delle imprese non possiedono. Di fatto, il personale a disposizione dell’amministrazione è insufficiente e non dispone delle competenze idonee a gestire adeguatamente le varie fasi delle procedure ad evidenza pubblica che coinvolgono variabili ambientali. Si è altresì sottolineato come, talvolta, perfino le commissioni aggiudicatrici siano composte perlopiù da personale poco informato, sicché vi è il rischio che queste ultime finiscano per privilegiare prodotti e servizi falsamente ritenuti eco-compatibili a scapito di altri che presentano davvero un basso impatto ambientale. Ciò riflette non soltanto una scarsa conoscenza delle norme relative alla disciplina degli appalti, ma anche di quelle che, più in generale, riguardano la tutela dell’ambiente. Spesso la P.A. non è nemmeno a conoscenza delle novità in materia ambientale o ne sottovaluta le potenzialità, anche per quanto riguarda le possibili conseguenze giuridiche ad esse associate. Dal canto loro, anche le imprese private necessitano di approfondire la loro conoscenza della normativa in materia di ambiente e di essere coinvolte nel processo formativo per poter meglio adempiere alle richieste della P.A., per esempio segnalando alle stazioni appaltanti la mancata o la non corretta applicazione dei C.A.M nei capitolati. Peraltro, una non corretta applicazione dei C.A.M. non fa altro che aumentare il già rilevante contenzioso amministrativo sviluppatosi in materia. Sempre più spesso, infatti, le imprese escluse dalle procedure di gara perché non ritenute in possesso dei requisiti ambientali richiesti, di volta in volta, dalle stazioni appaltanti, si rivolgono ai Tribunali Amministrativi Regionali cercando di dimostrare l’illegittima applicazione di tali criteri ambientali. E’ di fondamentale importanza, allora, pensare ad un serio percorso di accompagnamento e di formazione che coinvolga la P.A. come pure le imprese. A tal proposito, pare che qualcosa si stia finalmente “muovendo”. Infatti, alcune amministrazioni locali hanno cercato di promuovere progetti aventi ad oggetto proprio il dialogo con le imprese finalizzato alla reciproca formazione nell’ambito della promozione della tutela dell’ambiente. 216 Alcuni autori hanno invece rilevato la presenza di una asimmetria informativa a vantaggio delle imprese private ed a danno del la P.A., affermando che “esiste una fisiologica asimmetria informativa a danno della parte pubblica e a vantaggio del privato, essendo quest’ultimo di regola più informato sui servizi e lavori che egli stesso offre rispetto all’amministrazione che li domanda. Tale asimmetria informativa a danno dell’amministrazione aumenta quanto più è complesso il contratto e, dunque, quando nell’operazione si considerino anche variabili ambientali (che spesso coinvolgono anche l’innovazione tecnologica) il fenomeno si amplifica. Su tale base, profittando della carenza informativa del committente/amministrazione, il privato può trovare ampi spazi per realizzare il proprio interesse, anziché quello del suo committente. La pratica ci dimostra che i contratti complessi sono spesso stati visti dal privato come momenti di grande vantaggio, con ampi spazi di realizzazione dell’interesse privato, perché i privati possono ottenere condizioni molto convenienti di aggiudicazione. Un rischio è che anche gli appalti verdi divengano uno strumento che si presti alla realizzazione di tale effetto indesiderato.” Così G. FIDONE, F. MATALUNI, Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit. pp. 61-62. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 108 AmbienteDiritto - Editore© A titolo meramente esemplificativo, la Città di Torino, nell’ambito del progetto Innocat “Procurement of Eco-Innova on in the Catering Sector” ha realizzato attività di coinvolgimento dei fornitori con l’obiettivo di redigere il nuovo appalto eco-innovativo nel settore della ristorazione collettiva scolastica. Inoltre, nell’ambito del medesimo progetto, sono stati organizzati momenti di incontro - laboratorio, scambio e dialogo tra gli operatori privati lungo le catene di fornitura (produttori e distributori di prodotti e servizi per la pulizia, produttori di imballaggi, aziende che operano nella logistica, produttori e distributori di stoviglie, produttori di elettrodomestici, fornitori di derrate alimentari). Ancora, la Città metropolitana di Roma ha promosso il progetto “New monitoring system per il G.p.p.”, che consiste in un sistema di monitoraggio degli acquisti verdi nella pubblica amministrazione. Tale sistema è stato poi integrato nel Sid (Sistema informativo determine) dell’amministrazione e prevede l’interazione tra i funzionari responsabili degli acquisti, i responsabili del Dipartimento IV (Gruppo di coordinamento G.P.P.) e i responsabili della ragioneria. Il Dipartimento IV utilizza i dati estrapolati dal Sid per effettuare un check periodico sull’attuazione del G.P.P. e svolge controlli a campione per verificare la correttezza dell’utilizzo dei criteri ambientali e dell’inserimento delle informazioni sugli acquisti verdi. Il Dipartimento può anche intervenire sul Sid e modificarne le informazioni, oltre a fornire supporto tecnico per l’inserimento dei criteri ambientali nella documentazione di gara. I responsabili della ragioneria verificano, poi, la correttezza delle procedure. Infine, il Ministero dell’Ambiente e le Regioni hanno da poco sottoscritto un Protocollo di Intesa, della durata di 5 anni, allo scopo di avviare una più organica collaborazione istituzionale in tema di promozione degli acquisti e di realizzazione di opere pubbliche sostenibili, e in generale sul tema degli appalti verdi, tra gli enti locali e le stazioni appaltanti, coinvolgendo altresì gli operatori privati. Un’iniziativa che nasce da una presa d’atto di un’applicazione dei C.A.M., da parte delle P.A. e delle centrali di acquisto, ancora non sufficientemente diffusa, nonché di un numero limitato di Regioni con un Piano di azione regionale sul G.P.P. adottato. Obiettivo principale del Protocollo è il rafforzamento delle competenze sul G.P.P. degli operatori delle P.A. responsabili degli appalti e delle centrali di acquisto, per la reale integrazione dei criteri ambientali attraverso la definizione di una piattaforma comune di azione. Per questo le parti si sono impegnate a condividere le proprie competenze e le necessarie risorse umane e strumentali 217. In conclusione, può senz’altro affermarsi che l’istituto degli appalti verdi abbia delle forti potenzialità nell’ambito del miglioramento della tutela dell’ambiente, della promozione dello sviluppo sostenibile e dell’orientamento del mercato verso soluzioni eco-compatibili. La piena espressione e valorizzazione di tali potenzialità, tuttavia, passa necessariamente attraverso la formazione costante degli operatori pubblici e privati del settore, nonché attraverso il dialogo ed il confronto tra la pubblica amministrazione e il mondo delle imprese. Diversamente, prescindendo da questi due elementi, a nulla potrà valere l’inserimento obbligatorio dei criteri ambientali minimi e, più in generale, dei requisiti ambientali all’interno dei bandi di gara, in quanto la loro concreta applicazione risulterà sempre e comunque frustrata da operatori disinformati. Si tratta, quindi di una nuova sfida per la pubblica amministrazione, alla quale sono richieste sempre maggiori competenze, informazione e trasparenza, nel tentativo di operare quel difficile contemperamento, da anni ricercato ma mai completamente realizzato, tra la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo economico218. 217 Per un esaustivo approfondimento dei progetti summenzionati e di altri previsti da diverse amministrazioni locali, sia consentito rinviare a L’applicazione del Green Public Procurement a un anno dal nuovo Codice degli appalti, documento promosso dagli “Stati Generali della Green Economy 2017.” 218 G. FIDONE, F. MATALUNI Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici cit p. 62. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 109 AmbienteDiritto - Editore© EDUCAZIONE AMBIENTALE E VALORI COSTITUZIONALI IN PORTOGALLO E IN ITALIA. La legge n. 92 del 2019 tra educazione civica e cittadinanza ecologica. Luigi Colella* SOMMARIO: 1. Educazione ambientale e sviluppo sostenibile: genesi e sviluppo del processo evolutivo - 2. Tutela dell’ambiente ed educazione ai valori ambientali: profili costituzionali - 3. L’educazione ambientale nella Costituzione portoghese - 4. La legislazione statale sull’educazione ambientale in Portogallo - 5. La Strategia nazionale dell’educazione ambientale portoghese (ENEA 2020) e gli obiettivi di sviluppo sostenibile Agenda 2030 - 6. Costituzione ed educazione ambientale in Italia - 7. Le recenti proposte di legge sull’educazione ambientale - 8. L’educazione civica e l’ insegnamento obbligatorio dei valori ambientali: i principi della legge n. 92 del 2019 - 9. Conclusioni comparative. Abstract L'educazione ambientale è un principio fondamentale delle attuali politiche ambientali. In ambito europeo la costituzione portoghese è sicuramente un modello per l'educazione ambientale inteso come dovere costituzionale. Questo principio costituzionale ha ispirato la legislazione statale in materia di istruzione scolastica che contempla l'educazione trasversale all'ambiente. In Italia solo la legge n. 92 del 2019 ha previsto l'insegnamento trasversale dell'educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole. Nel concetto di educazione civica è inserita anche l'educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile come principio guida per la costruzione di una nuova cittadinanza ecologica. Abstract Environmental education is a fundamental principle of current environmental policies. In Europe, the Portuguese constitution is certainly a model for environmental education as a constitutional duty. This constitutional principle inspired the state legislation on school education, which contemplates environmental education. In Italy only the law n. 92 of 2019 provided for the transversal teaching of civic education as a compulsory subject in schools. The concept of civic education also includes environmental education and sustainable development as a guiding principle for the construction of a new ecological citizenship. _______________ * Assegnista di Ricerca in Diritto pubblico comparato Università degli Studi della Campania “L. Vanvitelli” ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 110 AmbienteDiritto - Editore© Educazione ambientale e sviluppo sostenibile: genesi e sviluppi del processo evolutivo. Il rapporto tra diritto ambientale ed educazione allo sviluppo sostenibile ha una genesi primaria nel diritto internazionale e ha costituito un impegno assunto dalle Nazioni Unite attraverso un percorso evolutivo iniziato nei primi anni settanta e che può essere distinto, anche ai fini di chiarezza espositiva, in tre tappe. La prima tappa di questo processo inizia sicuramente con la Conferenza sulla conservazione della natura di Bankog del 1965, organizzata dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN); in questa occasione, per la prima volta, l’educazione ambientale viene indirizzata prioritariamente verso la conservazione del patrimonio naturale. Successivamente, nel 1970, l’IUCN definisce meglio il concetto di educazione ambientale intesa come “quel processo di riconoscimento dei valori e concetti utili a chiarire e a sviluppare quelle attitudini e tecniche necessarie alla comprensione e all’apprezzamento delle interrelazioni esistenti tra l’uomo, la sua cultura e l’ambiente biofisico circostante”. Un momento importante di questa prima fase del processo evolutivo è rappresentato dalla Conferenza ONU sull’ambiente di Stoccolma (1972) in cui viene introdotto il concetto di eco-sviluppo; in questa occasione le problematiche ambientali sono considerate come parte integrante dello sviluppo economico e l’educazione ambientale assume il compito di mettere in evidenza le relazioni tra ambiente e attività antropiche. Questa prima fase si conclude con la Carta di Belgrado (1975) 219, con cui viene adottato un documento di sintesi al fine di definire ed individuare le finalità, i principi e i metodi dell’educazione ambientale. Una seconda fase del processo di evoluzione della politica internazionale, basata sull’educazione ambientale, coincide con la Conferenza di Tbilisi (1977) 220. Si tratta della prima conferenza intergovernativa sull’Educazione ambientale a livello ministeriale, organizzata proprio dall’UNESCO, secondo cui l’educazione ambientale deve trovare collocazione e promozione a livello regionale e nazionale durante tutto l’arco degli studi scolastici 221. In questa fase temporale si celebra l’appuntamento di grande importanza mondiale della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio del 1992 sull’ Agenda 21; l’educazione ambientale viene così indicata come elemento essenziale per la promozione dello sviluppo sostenibile a livello internazionale. Qualche anno dopo nella Conferenza internazionale di Salonicco (1997) viene approvata la dichiarazione conclusiva su "Ambiente e società: educazione e sensibilizzazione per la sostenibilità” e, successivamente, con il Decennio dell’Educazione per lo Sviluppo UNESCO-UNEP, Carta di Belgrado. Belgrado, 1975. Disponibile all’indirizzo: http://www.arpa.veneto.it/educazione_sostenibilita/docs/carte/Carta_Belgrado.pdf. 220 UNESCO-UNEP, Dichiarazione di Tbilisi, Tbilisi, 1977. Disponibile all’indirizzo: http://www.isprambiente.gov.it/it/formeducambiente/educazione-ambientale/file-educazione ambientale/eos/dichiarazione-tbilisi.pdf/view. 221 UNESCO (1980). Environmental education in the light of Tbilisi conference. Paris: United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization. 219 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 111 AmbienteDiritto - Editore© Sostenibile- DESS (2005), si vuole assicurare l’integrazione dei principi, dei valori e delle pratiche dello sviluppo sostenibile in tutti gli aspetti dell’educazione e dell’apprendimento. In questo quadro, l’UNECE (United Nations - Economic Commission for Europe) ha definito l’educazione allo Sviluppo Sostenibile come un “processo permanete che interessa l’individuo nell’intero arco della vita”; essa non si limita all’apprendimento “formale”, ma si estende anche a quello non formale e informale. Ecco perché l’educazione, oltre ad essere un diritto dell’uomo, è un “prerequisito” per raggiungere lo sviluppo sostenibile, ovvero uno strumento essenziale per il buon governo, per i processi decisionali consapevoli e per la promozione della democrazia. Per consolidare i risultati raggiunti durante il Decennio di Educazione allo Sviluppo Sostenibile, e offrire un contributo concreto ad Agenda 2030 delle Nazioni Unite, l’UNESCO ha elaborato il GAP (Global Action Program) indicando obiettivi ad aree d’azione prioritarie da realizzare in tema di educazione allo sviluppo sostenibile. La necessità di insistere sull’educazione ambientale come viatico per edificare società sostenibili e improntate alla cittadinanza ecologica, si ricava anche dai documenti internazionali 222, come l’Accordo di Parigi sul Clima del 2015 ed, in particolare, dal progetto di Global Pact of Environment che dedica alcune disposizione proprio all’educazione ambientale 223. La conquista dell’educazione ambientale - come principio politico e giuridico 224 - costituisce un processo ancora in itinere che vede gli Stati delle Nazioni Unite impegnati per rispettare gli obiettivi strategici di sviluppo sostenibile ritenuti oggi più che mai necessari (nell’era dell’antropocene 225) per assicurare il rispetto dell’ambiente, la sostenibilità globale e la lotta ai cambiamenti climatici. Tutela dell’ambiente ed educazione ai valori ambientali: profili costituzionali. G. CORDINI, P. FOIS, S. MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati , Torino, 2017; si veda anche A. CROSETTI, R. FERRARA, F. RACCHIA, N. OLIVETTI RASON Introduzione al diritto dell’ambiente, Roma-Bari, 2018. 223 Si pensi gli Articoli da 9 a 13 del progetto di Global Pact of Environment che rispondono all’esigenza di avvicinare i cittadini all’ambiente: si tratta dei principi in materia di accesso all’informazione ambientale, di partecipazione pubblica, di accesso alla giustizia, dell’educazione e della formazione, della ricerca e della innovazione. Sulle recenti novità in materia di diritto ambientale internazionale e sul progetto di Global pact of Environment cfr. D. AMIRANTE, Un Patto mondiale per l’ambiente, A Global pact for the Environment, testo di presentazione del Patto mondiale in lingua italiana tenutosi presso l’Università Suor Orsola Benincasa, Napoli, il 29 ottobre 2018. Vedi anche L. COLELLA, Il principio di «non regressione ambientale» al centro del Global Pact of Environment. Il contributo dell’esperienza francese al diritto ambientale comparato, in rivista Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, n. 2/2019, pp. 1-10. 224 W.B. STAPP, D. BENNETT., J. WILLIAM BRYAN, R. WALL, S. HAVLICK (1969), The concept of environmental education. The Journal of Environmentale Education, 1(1), 30-1. 225 P. CRUTZEN, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era , Mondadori, Milano, 2005. S. L. LEWIS, M. A. MASLIN, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l'Antropocene , Torino, 2019. 222 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 112 AmbienteDiritto - Editore© L’accresciuta sensibilità ambientale dell’opinione pubblica mondiale, il problema della urgenza ecologica e climatica, posta in evidenza anche dalla recente COP 25 di Madrid 226 e il suo impatto sulle abitudini di vita, hanno giustificato l’interesse per una tutela giuridica e costituzionale di un bene primario per la stessa garanzia della vita sul pianeta. La dottrina che si è recentemente occupata di analizzare, anche sul piano comparativo, i profili costituzionali dell’ambiente (Amirante)227 ha notato come negli ultimi tempi l’universo costituzionale sia stato interessato da un sostanziale rinnovamento che ha portato ad un consistente incremento del numero delle Costituzioni democratiche in cui si può ricavare la tutela dell’ambiente come “diritto umano fondamentale” dallo straordinario valore educativo 228. In questo quadro il rapporto tra Costituzioni e ambiente rappresenta un binomio imprescindibile per assicurare l’effettività giuridica della tutela ambientale sia a livello nazionale che globale. Secondo un autorevole insegnamento, relativamente al rapporto tra Costituzione e ambiente possiamo distinguere tre distinte famiglie di Costituzioni; seguendo, infatti, l’approccio sincronico, la prima categoria risulta quella delle Costituzioni che possiamo definire «ambientali», cioè Carte costituzionali che contengono fin dalle origini una caratterizzazione in senso ambientale e che prevedono specifici articoli dedicati all’ambiente (si pensi tra i modelli europei alla Costituzione spagnola e a quella portoghese). Nella seconda si possono ricomprendere le Costituzioni «revisionate», nelle quali cioè sono stati inseriti uno o più «articoli ambientali» che devono quindi armonizzarsi all’interno di una struttura e di un contesto costituzionale già dati (si pensi alla Costituzione tedesca e alla Costituzione francese dopo l’approvazione della Charte de l’Environment del 2005). Nella terza categoria rientrano invece quegli ordinamenti, come l’Italia, nei quali lo status costituzionale dell’ambiente, in mancanza di specifici 226 Tale preoccupazione è emersa di recente anche a Madrid durante la conferenza sul clima (Cop 25) terminata il 13 dicembre 2019 in cui si è evidenziato il ritmo dell'aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra che "non ha precedenti nella storia del clima negli ultimi 66 milioni di anni", cfr. Cop 25, corsa contro il tempo per evitare la catastrofe del clima , reperibile su https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-12/cop-25. 227 Sul rapporto tra ambiente e Costituzione cfr. in primis D. AMIRANTE, L’ambiente preso sul serio. Il percorso accidentato del costituzionalismo ambientale, in Rivista DPCE, fascicolo speciale, maggio 2019. Secondo questa dottrina l’insensibilità e l’indifferenza delle istanze di governo nei confronti degli equilibri ambientali hanno infatti portato l’«impronta ecologica» del modello politico economico occidentale (diffuso in tutto il mondo con il fenomeno della globalizzazione) a mettere a repentaglio le basi della vita. Da qui la necessità di riconsiderare seriamente la tutela ambientale attraverso una rilettura costituzionale delle disposizioni valoriali e di principio a tutela dell’ambiente a livello globale; G. CORDINI, Diritto ambientale e comparato, in P. DELL’ANNO, A. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Padova, 2012. D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I, Padova, 2013. G. CORDINI, P. FOIS, S MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Torino, 2017; si veda anche A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Introduzione al diritto dell’ambiente, Roma-Bari, 2018. 228 S. MANSERVISI, Ambiente: valore giuridico e valore educativo. Una prospettiva sinergica per la piena realizzazione di uno sviluppo, in Annali online della Didattica e della Formazione Docente , Vol. 10, n. 15-16/2018, pp. 151-166. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 113 AmbienteDiritto - Editore© riferimenti testuali, può essere ricostruito soltanto sulla base della giurisprudenza, prevalentemente delle Corti costituzionali, e per questo definite Costituzioni «non ambientali». Negli ultimi decenni nel panorama internazionale sono emersi testi Costituzionali che presentano ab origine una disciplina specifica, organica e dettagliata in materia di ambiente; si pensi a quelle esperienze di testi relativamente giovani, sviluppatesi solo verso la fine del Novecento, grosso modo intorno agli anni Settanta. Come afferma Amirante, nella prima decade degli anni Duemila il costituzionalismo ambientale ha avuto un’accelerazione decisiva sia in termini quantitativi che qualitativi nel senso che la tutela ambientale si avvia a passare da «periferia» del costituzionalismo mondiale a tema centrale ed imprescindibile e, soprattutto, a valore primario per gli ordinamenti costituzionali contemporanei. In relazione a quest’ultimo aspetto, ha suscitato grande interesse il cosiddetto nuevo constitucionalismo andino, in particolare con le Costituzioni di Ecuador e Bolivia 229. In verità l’America latina ha rappresentato il terreno di studio di un costituzionalismo di impronta ecologica anche grazie alla Costituzione del Brasile del 1988 che ha previsto un‘ampia parte alla tutela dell’ambiente (Capitolo V - art. 225); a queste Costituzioni sud americane si aggiunge la più recente Costituzione cubana del 2019 che ha dedicato una ampia considerazione all’ambiente e ai temi dello sviluppo sostenibile e dei cambiamenti climatici. In questo quadro, nell’epoca c.d. dell’antropocene, il rapporto tra ambiente ed educazione ai valori ecologici costituisce un tema nevralgico per il diritto costituzionale contemporaneo. Si tratta di un principio che trova dimora specie nelle Costituzioni delle democrazie più giovani e soprattutto di quei paesi in cui il rapporto uomo-natura costituisce un elemento culturale essenziale per l’esistenza stessa delle comunità autoctone o indigene. Ciò posto, in questo studio si è inteso ricercare il rapporto tra Costituzione, ambiente ed educazione alla sostenibilità . Nelle costituzioni dell’america latina troviamo in particolare il riferimento al valore primario dell’educazione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile. La Costituzione Brasialiana all’art. 225, per esempio, stabilisce che è compito del Governo promuovere l’educazione ambientale in tutti i livelli di insegnamento e formare una coscienza pubblica per la preservazione dell’ambiente. Come ha sottolineato un parte della dottrina (Cordini) già l’articolo 107 della Costituzione venezuelana del 1999 presenta un diretto riferimento all’educazione ambientale come “obbligo” da assegnare al 229 M. CARDUCCI, La Costituzione come “ecosistema” nel nuevo constitucionalismo delle Ande , in S. BAGNI (cur.), Dallo Stato del biene star allo Stato del buen vivir. Innovazione e tradizione nel costituzionalismo latino-americano, Bologna Filodiritto, 2013, p.11. Cfr. S. BAGNI, Dal welfare state al caring state?, in Id. (cur.), Dallo stato del biene star allo stato del buen vivir. Innovazione e tradizione nel costituzionalismo latino-americano, Filodiritto, Bologna, 2013, p.34. Per un approfondimento su modello della Bolivia cfr. C. SILVA PORTERO, ¿Qué es el buen vivir?, in R. ÁVILA SANTAMARÍA (ed.), La constitución del 2008 en el contexto andino. Análisis desde la doctrina y el derecho comparado, Ministerio de Justicia y Derechos Humanos , Quito, 2008, pp.116-119; J. ESTERMANN, “Vivir Bien” como utopía política. La concepción andina del “vivir bien” (suma qamaña/allin kawsay) y su aplicación en el socialismo democrático en Bolivia , reperibile in http://csh .xoc.uam.mx/produccioneconomica/Coloquio_nuevoparadigma. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 114 AmbienteDiritto - Editore© sistema educativo. Pertanto, nella prima parte di questo lavoro si è inteso analizzare l’esperienza di un modello europeo di Costituzione ambientale che ha dedicato ampio spazio alla educazione alla sostenibilità e ai valori ecologici. Si tratta della Costituzione portoghese, un testo costituzionale che può rappresentare, nel contesto europeo, un modello costituzionale “precursose” di environmental policy education avendo introdotto l’educazione ambientale come principio green di rango costituzionale. Nel panorama europeo, la Costituzione della Repubblica portoghese del 1976, che sicuramente deve farsi rientrare tra le Costituzioni ambientali, sancisce il diritto fondamentale all'ambiente e alla qualità della vita, indicando la promozione dell'educazione ambientale e il rispetto dei valori dell'ambiente come valori fondamentali che devono essere assicurati dallo Stato con il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini. Nella seconda parte del contributo si è inteso brevemente illustrare l’esperienza italiana in materia di educazione ambientale, partendo da alcune proposte di legge presentate nel corso delle recenti legislature parlamentari sino ad illustrare i caratteri di novità e i punti di forza della legge n. 92 del 2019 che ha introdotto (a partire dall’anno scolastico 2020/2021) nelle scuole di ogni ordine e grado - l’obbligatorietà dell’insegnamento “trasversale” 230 dell’educazione civica intesa anche come educazione ad una nuova cittadinanza ambientale e allo sviluppo sostenibile. L’educazione ambientale nella Costituzione portoghese. La Costituzione della Repubblica portoghese, adottata in un contesto rivoluzionario e turbolento, dopo un periodo di forte dittatura, ha costituito un traguardo importante per la democrazia sociale ed ambientale. Come affermato nel suo preambolo, il citato testo costituzionale, entrato in vigore il 25 aprile 1976 231, costituisce una svolta nella storia della società portoghese, riconoscendo apertamente che la rivoluzione dovesse restituire al popolo e al paese i diritti e le libertà fondamentali. Il testo originale della Carta costituzionale portoghese già affronta le questioni ambientali, riservando nell'articolo 66 un chiaro riferimento all'ambiente e alla qualità della vita; in questa disposizione si afferma che tutti hanno il diritto ad un ambiente umano sano, ecologicamente equilibrato e contestualmente tutti hanno il dovere di difenderlo232 (comma 1). Come ha fatto notare la dottrina 233, secondo il A. BACHIORRI, A. MORONI, Trasversalità ed interdisciplinarietà nell’educazione ambientale , Annali della Pubblica Istruzione, luglio-agosto 1993. 231 La Costituzione del 1976 composta da 312 articoli, ha subito sette revisioni, la prima il 30 settembre 1982 e la più recente il 12 agosto 2005. 232 C. CARAPETO, Educação Ambiental, Lisboa, Universidade Aberta, 1998. 233 Cfr. M. M MORAIS, P. ALVES PEREIRA, A. DURÃO , Panorama da Educação Ambiental em Portugal , Rev. Eletrônica Mestr. Educ. Ambient, v. 32, n. 2 pp. 97-411, 2015. Reperibile in https://dspace.uevora.pt/rdpc/bitstream/10174/17791/1/5553-15752-1-PB.pdf, ultimo accesso agosto 2019. Cfr. J. GUERRA, L. SCHMIDT, J.G. NAVE, Educação Ambiental em Portugal: Fomentando uma Cidadania Responsável, VI Congresso Português de Sociologia. Mundos Sociais: Saberes e Práticas. 25 a 28 de Junho, 230 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 115 AmbienteDiritto - Editore© comma 2 dell’art. 66, al fine di garantire il diritto all'ambiente, nel contesto dello sviluppo sostenibile, spetta allo Stato, anche attraverso i propri organi e con il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini. La vigente disposizione costituzionale stabilisce che spetta allo Stato adottare tutte le misure necessarie a garantire la tutela ambientale ed in particolare: a) prevenire e controllare l'inquinamento, i suoi effetti e le forme dannose di erosione; b) ordinare e promuovere la pianificazione del territorio, in vista della corretta localizzazione delle attività, un equilibrato sviluppo socioeconomico e valorizzazione del paesaggio; c) creare e sviluppare riserve e parchi naturali e per il tempo libero, nonché classificare e proteggere paesaggi e siti per garantire la conservazione della natura e la conservazione dei valori culturali di interesse storico o artistico; d) promuovere l'uso razionale delle risorse naturali, salvaguardandone la capacità di rinnovamento e stabilità ecologica, rispettando il principio di solidarietà tra generazioni; e) promuovere, in collaborazione con le autorità locali, la qualità ambientale delle città e della vita urbana, in particolare in termini di architettura e protezione delle aree storiche; f) promuovere l'integrazione degli obiettivi ambientali nelle varie politiche settoriali; g) promuovere l'educazione ambientale e il rispetto dei valori ambientali; h) garantire che la politica fiscale corrisponda allo sviluppo con la protezione dell'ambiente e la qualità della vita. Con la quinta revisione costituzionale del 20 settembre 1997, il Portogallo ha compiuto passi avanti in materia ambientale essendo stato modificato l'articolo 66, che - al comma 2, lettera g) - ha conferito allo Stato la responsabilità di promuovere l'educazione ambientale e il rispetto dei valori ambientali. Strettamente collegato all’art. 66 è la disposizione costituzionale prevista dall’art. 64 della legge fondamentale dedicata al diritto alla protezione dalla salute. Nell’articolo 64 della Costituzione portoghese, infatti, si legge: “tutti hanno il diritto alla protezione della salute e il dovere di difenderla e di promuoverla”. Secondo il dettato costituzionale il diritto alla salute è realizzato “tramite la creazione di condizioni economiche, sociali, culturali e ambientali che garantiscano, in particolare, la protezione dell’infanzia, della gioventù e della vecchiaia, mediante il miglioramento sistematico delle condizioni di vita e di lavoro, nonché per mezzo della promozione della cultura fisica e sportiva, scolastica e popolare e infine attraverso lo sviluppo dell’educazione sanitaria del popolo e di una pratica di vita salutare”. In questi termini l’avvento della Costituzione portoghese segna l’inizio di una nuova fase del costituzionalismo ambientale fondato su di una profonda impronta ecologica che fa di questa Carta costituzionale un modello green, tra i più originali del panorama europeo. La legislazione statale sull’educazione ambientale in Portogallo. Faculdade de Ciências Sociais e Humanas da Universidade Nova de Lisboa, 2008. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 116 AmbienteDiritto - Editore© In Portogallo, l'educazione ambientale (EA) si è sviluppata concretamente a partire dagli anni '90, allorquando sono state introdotte le prime reali politiche pubbliche volte alla educazione civica, alla tutela ambientale e sviluppo sostenibile 234. Tuttavia, già dagli anni '70 in poi l’educazione ambientale ha ottenuto una prima visibilità istituzionale attraverso gli sforzi della Commissione nazionale per l'ambiente, e dal National Environment Institute (INamb), sostituito dall'Institute for Environmental Promotion (IPAMB)235 e, dal giugno 2002, dall'Ambiente Institute (IA). Gradualmente nei programmi del Ministero della Pubblica Istruzione sono stati introdotti alcuni riferimenti all'educazione civica e alla cittadinanza, elementi che hanno contribuito, secondo la dottrina 236, alla realizzazione di progetti di educazione ambientale all'interno del sistema educativo curriculare. Sul piano legislativo, la prima legge fondamentale in materia di ambiente, ovvero la legge n. 11/87 del 7 aprile 1987, in attuazione dei principi costituzionali richiamati negli artt. 9 e 66 della Costituzione, faceva già riferimento, nell’articolo 39, proprio, all’educazione ambientale come uno dei compiti dell’lnstituto Nacional do Ambiente. L'attuale legislazione sulla politica ambientale statale, inserita nella legge n. 19 del 14 aprile 2014, intende perseguire una politica ambientale che miri alla realizzazione dei diritti ambientali promuovendo così lo sviluppo sostenibile e contribuire allo sviluppo di una società a basse emissioni di carbonio fondata su una "economia verde", sull’uso razionale ed efficiente delle risorse naturali al fine di garantire il benessere e il progressivo miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Questa normativa, molto ambiziosa, intende fornire ai cittadini le competenze ambientali in un processo continuo che miri a promuovere la cittadinanza partecipativa e richiedere comportamenti responsabili, anche attraverso il volontariato, al fine di proteggere e migliorare l'ambiente in tutta la sua dimensione umana. La Legge portoghese n. 19 del 14 aprile del 2014, all’articolo 4 - recante i Principi delle politiche ambientali pubbliche - prevede taluni principi guida della tutela ambientale, quali: a) la trasversalità e l’integrazione; b) la cooperazione internazionale; c) la conoscenza e la scienza; d) l’educazione ambientale; e) l’ informazione e la partecipazione. Tra questi principi, come si è detto, è inserita proprio l’ educazione ambientale (EA), intesa come uno degli obiettivi della politica ambientale nazionale. L’educazione ambientale prevede l’attuazione di politiche di istruzione finalizzate alla maggiore coscienza ambientale, all'educazione per lo sviluppo sostenibile e a fornire ai cittadini competenze ambientali in modo J. RAMOS-PINTO, Educação Ambiental em Portugal: Raízes, influências, protagonistas e principais acções, Educação, Sociedade & Culturas . Porto, 21,2004, pp.151-165; C. CUNHA, C. VIEIRA, F. TEIXEIRA, I. RAPOSO, J. SOBRINHO, A Educação Ambiental na Política Pública de Ambiente, um historial e uma bibliografia de referência, IPAMB, 1999. 235 Cfr. Instituto de Promoção Ambiental A educação ambiental na política pública de ambiente: Um historial e uma bibliografia de referência, Lisboa, IPAMB, 1999. 236 H. SPÍNOLA, Forty Years of Environmental Education in the Portuguese Democracy, in The Online Journal of New Horizons in Education Volume 4, Issue 3, reperibile su www.tojned.net. 234 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 117 AmbienteDiritto - Editore© da promuovere la cittadinanza partecipativa e la responsabilità collettiva. Tutto ciò risulta possibile anche attraverso il volontariato e il patrocinio ambientale allo scopo di proteggere e migliorare l'ambiente in tutta la sua dimensione umana (art. 4, lettera d) della legge 19/2014). Nonostante lo Stato abbia la “responsabilità costituzionale” di promuovere l'educazione ambientale, la legislazione nazionale in materia di istruzione scolastica non contiene alcun diretto riferimento all’educazione ambientale 237. In altri termini l’educazione ambientale non costituisce una materia di insegnamento autonoma 238 ma viene intesa in senso trasversale e costituisce un’attività complementare del curriculum tradizionale in quanto è inserita all'interno della educazione alla cittadinanza. Con la risoluzione n. 157/2018239, l’Assemblea della Repubblica - ai sensi dell'articolo 166, paragrafo 5, della Costituzione - ha invitato il Governo a promuovere l'educazione ambientale nei cicli di istruzione primaria e secondaria. In particolare l’Assemblea della Repubblica ha richiesto la creazione di un programma di formazione continua degli insegnanti di Educazione ambientale e ha richiesto di definire le condizioni necessarie affinché le scuole perseguano pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale, specie nei settori del riciclaggio, dell'uso efficiente delle risorse naturali ed energetiche, della riduzione del consumo di carta e dei materiali di consumo. Al fine di creare una mobilitazione sinergica tra istituzioni, scuola e cittadini - e allo scopo di assicurare la partecipazione di tutti gli attori della comunità al progetto di edificare una educazione ambientale coerente, efficace e partecipata - nel 2017 è stata adottata la Strategia nazionale per l'educazione ambientale (ENEA 2020), con l'obiettivo di stabilire un impegno efficace e consolidato per la costruzione di un solido paradigma di educazione ambientale. Va segnalato, inoltre, che già dal 2017, l’educazione ambientale in Portogallo costituisce una mission anche della più ampia educazione civica. La Strategia nazionale sull’educazione alla cittadinanza del 2017 (Despacho n. 6173/2016)240 contiene, infatti, i Principi, le aree di competenza e i valori definiti prioritari per la formazione di un modello di cittadinanza attiva e partecipativa. A sua volta, l'apprendimento di base delinea le conoscenze, le abilità e le attitudini che devono essere 237 La legge quadro (di base) del sistema educativo portoghese è stata approvata il 14 ottobre 1986 legge n. 46/86, successivamente modificata nel 1997, 2005 e 2009 (si vedano le leggi n. 115/97, n. 49/2005, n. 85/2009, nonché n. 65/15. 238 Sul punto cfr. Referencial de Educação Ambiental para a Sustentabilidade para a Educação Pré-Escolar, abril de 2018, reperibile su o Ensino Básico e o Ensino Secundário, https://www.dge.mec.pt/sites/default/files/ECidadania/Educacao_Ambiental/documentos/ reas_consulta_publica.pdf, ultimo accesso 9 agosto 2019. 239 Cfr. Resolução da Assembleia da República n.º 157/2018, reperibile sul sito https://dre.pt/home/-/dre/115652954/details/maximized. 240 Despacho n.º 6171/2016, Diário da República, 2.ª série — N.º 90 — 10 de maio de 2016. Nell'ambito delle priorità definite nel 21 ° programma costituzionale del governo per l'educazione, è stata prodotta la strategia nazionale per l'educazione alla cittadinanza (ENEC), che è risultata dalla proposta preparata e presentata dal gruppo di lavoro sull'educazione alla cittadinanza (cfr. Ordine n. 6173/2016, del 10 maggio). Per un approfondimento dei principi e i valori della Strategia nazionale si veda il testo reperibile sul sito https://www.dge.mec.pt/sites/default/files/Projetos_Curriculares/Aprendizagens_Essenciais/ estrategia_cidadania_original.pdf ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 118 AmbienteDiritto - Editore© sviluppate da tutti gli studenti, portando allo sviluppo delle competenze nell'ambito di un processo di promozione dell'autonomia e della flessibilità del curriculum. Secondo la Strategia nazionale è prevista una organizzazione dei vari campi dell'educazione alla cittadinanza in tre gruppi: nel primo gruppo si fanno rientrare le materie previste per tutti i livelli di istruzione (poiché si tratta di aree trasversali e longitudinali); nel secondo gruppo rientrano le materie da insegnare almeno in due cicli di istruzione di base; nel terzo gruppo si fanno rientrare le materie con applicazione opzionale in qualsiasi anno scolastico. La Strategia nazionale sull’educazione alla cittadinanza ha previsto nel primo gruppo di materie proprio lo sviluppo sostenibile e l’educazione ambientale, intese come discipline obbligatoria per tutti i livelli e i cicli di istruzione. Questi due temi centrali del percorso formativo, sebbene siano concepiti come campi di insegnamento trasversale241, risultano necessari alla formazione attiva dei cittadini. 4.1 La Strategia nazionale dell’educazione ambientale (ENEA 2020) e gli obiettivi di sviluppo sostenibile Agenda 2030. Come si è detto - al fine di creare una mobilitazione sinergica tra istituzioni, scuola e cittadini e allo scopo di assicurare la partecipazione di tutti gli attori della comunità al progetto comune inteso a edificare una educazione ambientale coerente, efficace e partecipata - nel 2017 è stata adottata la Strategia nazionale per l'educazione ambientale (ENEA 2020)242, con l'obiettivo di stabilire un impegno efficace e consolidato per la costruzione di un solido paradigma di educazione ambientale, in cui tutti partecipano in modo collaborativo per la protezione ambientale in tutte le dimensioni. Secondo le istituzioni governative, il Portogallo ha adottato una articolata Strategia nazionale di educazione ambientale (ENEA) che consentirà nel prossimo futuro di combinare esperienze, aggiungere priorità e condividere risorse in materia di educazione ambientale. L'adozione di una strategia nazionale di educazione ambientale (ENEA 2020) per il periodo 2017-2020 rappresenta una grande sfida per il futuro del Paese. La strategia si fonda su tre assi tematici: 1) decarbonizzazione della società; 2) economia circolare; 3) valorizzazione del territorio; si tratta di un processo unico di dibattito e partecipazione pubblica che corrisponde agli impegni assunti dalle istituzioni portoghesi nel campo della sostenibilità in linea con l'accordo di Parigi del 2015 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030243. Cfr. Estratégia Nacional, Educação para a Cidadania, in https://www.dge.mec.pt/estrategia-nacional-deeducacao-para-cidadania. 242 J. RAMOS PINTO, De uma política pública de Ambiente e Educação Ambiental em Portugal a uma Estratégia Nacional de Educação Ambiental: sucessos e fracassos. AmbientalMente Sustentable – Revista Científica Galego‐Lusófona de Educação Ambiental, (2006), Vol. 1 n.ºs 1 e 2: 75‐101. 243 L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile costituisce un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Tale strategia, 241 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 119 AmbienteDiritto - Editore© L’educazione ambientale è intesa come uno strumento fondamentale per sensibilizzare i cittadini e le comunità ad una maggiore responsabilità e attenzione alle questioni ambientali e al buon governo del territorio. L’interconnessione tra dinamiche ambientali, sociali ed economiche ha portato ormai da tempo ad elaborare il concetto, più ampio, di educazione allo sviluppo sostenibile. La stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite tra i suoi 17 obiettivi di Agenda 2020 dedica attenzione all’educazione, con particolare riferimento all’educazione allo sviluppo sostenibile. Si vedano a questo proposito due obiettivi specifici dell’Agenda 2030, ovvero l’obiettivo 4.7 che intende garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile. Altro punto di riferimento è l’obiettivo 13.3 di Agenda 2020 che intende migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva. Sulla scorta di questi principi, in Portogallo, la strategia in materia di educazione ambientale e la sostenibilità ha fissato dei principi guida che dovrebbero mirare alla formazione della cittadinanza e così responsabilizzare i bambini e i giovani, ma anche la società civile, gli attori economici, i responsabili delle decisioni e i tecnici del governo centrale, regionale e locale. Queste sfide richiedono a tutti noi una capacità critica di promuovere una risposta efficace a comportamenti mutevoli, più consapevoli e più sostenibili, perché solo così sarà possibile ripensare e riequilibrare il modo in cui agiamo come cittadini responsabili del Pianeta. Sulla base di questi principi, le azioni previste nell'ENEA 2020 contribuiranno alla cittadinanza attiva nel campo dello sviluppo sostenibile e alla costruzione di una società equa, inclusiva e a basse emissioni di carbonio, razionale ed efficiente nell'uso delle risorse, combinando l'equità intergenerazionale, qualità della vita e lo sviluppo economico. Costituzione ed educazione ambientale in Italia. ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals, SDGs - in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Tali Obiettivi mirano a realizzare pienamente i diritti umani di tutti e a raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze. Essi sono interconnessi e indivisibili e bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale ed ambientale. Secondo la Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 , Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile - risultante dal vertice delle Nazioni Unite - gli Obiettivi e i traguardi stimoleranno nei prossimi 15 anni interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta: Persone; Pianeta, Prosperità, Pace, Collaborazione. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 120 AmbienteDiritto - Editore© Come ha avuto modo di segnalare la dottrina italiana, solo con la revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione (legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001), il termine “ambiente” e il termine “ecosistema” hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento positivo (nell’art. 117, secondo comma, lettera s, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema»). Prima della riforma del Titolo V, la tutela dell’ambiente poteva ricercarsi negli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione che riguardavano espressamente alcuni diritti e libertà fondamentali che conferiscono priorità al principio personalista244. Al principio personalista previsto nell’art. 2 si deve affiancare il principio di solidarietà, momento funzionale allo sviluppo della personalità e diretto a stabilire l’obbligo di assumere la responsabilità rispetto ai problemi che investono l’intera collettività, come quello dell’ambiente (artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). A partire da questa impostazione, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha riconosciuto l’ambiente prima come un “interesse fondamentale” e poi come un “valore costituzionalmente garantito e protetto” e una “materia trasversale”, sulla base dell’interpretazione di alcune norme particolarmente innovative della Costituzione del 1948. In verità un altro importante riferimento per la tutela costituzionale dell’ambiente era richiamato nell’art. 32, che riconosce il diritto alla salute come «diritto fondamentale» e «interesse della collettività» che ha permesso, dapprima alla giurisprudenza (Cassazione civile e alla stessa Corte costituzionale) di affermare il diritto all’ambiente salubre (si pensi a Cass. S.U. 6.10.1979, n. 5172 e a Corte cost. n. 167 del 1987)245. Anche l’art. 9 della Costituzione, che tutela il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della nazione, che ha permesso di riconoscere il valore costituzionale dell’ambiente, quando la Corte costituzionale ha accolto, come afferma Grassi, l’interpretazione data da Predieri246 del paesaggio come l’«ambiente naturale modificato dall’uomo» (si veda al riguardo la sentenza della Corte cost. n. 94 del 1985 e n. 151 del 1986). Come è noto, al fine di operare un equilibrato bilanciamento tra opposti interessi, la tutela dell’ambiente è stata vista anche come un “limite” da inserire tra quelli di sicurezza e di tutela sociale che devono essere rispettati dall’iniziativa economica e dal diritto di proprietà (artt. 41 e 42); nello stesso tempo l’uso razionale del suolo è diventato una norma in grado di giustificare l’affermazione dell’ambiente come valore primario, come previsto dalla sentenza della Corte Cost. n. 641 del 1987. Solo con la riforma del titolo V della Costituzione, ovvero con la legge Costituzionale del 2001, è stato inserito per la prima volta la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» nel testo dell’art. 117, comma secondo, lettera s, che “costituisce quindi un Si veda M. DEL PINTO, La conservazione dell’ambiente come diritto della personalità , Aracne, 2009, pp. 349 e ss. 245 R. FERRARA, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, in R. FERRARA (a cura di), Salute e sanità, Milano, 2010. 246 A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio , in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969, Vol. II, p. 387. Cfr. A. PREDIERI, Paesaggio, in Enc. Giur., cit. p. 152. 244 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 121 AmbienteDiritto - Editore© punto di arrivo di uno sviluppo giurisprudenziale già molto ampio e consolidato” (Grassi) 247. Oggi non si può non riconoscere alla tutela ambientale un riferimento costituzionale di primo piano atteso che proprio la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato la trasversalità della materia ambientale248. Come ha avuto modo di evidenziare la Corte Costituzionale nella storica sentenza n. 407 del 2002 l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998). La Costituzione italiana, contrariamente al modello portoghese, non prevede alcuna norma che riconosca espressamente il diritto soggettivo all’ambiente come diritto umano fondamentale, né alcuna disposizione che impone alle autorità statali un chiaro dovere di educazione ambientale per i cittadini. Un diritto-dovere all’educazione ambientale si può ricavare dall’art. 2 della Costituzione nel comma 1 in cui si fa riferimento ai diritti della personalità, ma anche nel secondo comma del medesimo articolo in cui si fa un esplicito riferimento ai doveri inderogabili di solidarietà. Il valore costituzionale dell’educazione ambientale e della sensibilizzazione dei cittadini alla tutela dell’ambiente va ricercato anche nelle disposizioni della Costituzione che direttamente o indirettamente sono riferite all’ambiente salubre e alla tutela della salute pubblica (art. 32 della Costituzione). Un interessante contributo sul punto giunge dalla giurisprudenza che ha avuto modo di evidenziare l’importanza per la popolazione delle campagne di sensibilizzazione e di educazione ambientale, specie in ragione del prevalente interesse alla tutela della salute pubblica (si veda sul punto la sentenza del Tar Lazio n. 500 del 2019 in parte riformata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5887 del 27 agosto 2019). L’educazione alla sostenibilità è dunque un valore primario fondamentale per la formazione di una coscienza ambientale matura e una nuova costruzione della cittadinanza. Le recenti proposte di legge sull’educazione ambientale. 247 248 S. GRASSI, Ambiente e Costituzione, in Rivista quadrimestrale in diritto dell’ambiente, n. 3/2017. B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2005. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 122 AmbienteDiritto - Editore© Fino ad oggi le scuole italiane hanno trattato la materia ambientale in modo assolutamente volontario, in assenza di una norma che la rendesse obbligatoria. La Circolare Ministeriale n. 86 del 27 ottobre 2010 (del Ministero dell’Istruzione), nel ribadire la dimensione integrata e trasversale dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, ha inteso richiamare l’importanza dei temi della legalità e della sensibilità ambientale e dell’educazione allo sviluppo sostenibile, con particolare riguardo allo sviluppo di competenze sociali e civiche quali le condotte attente al risparmio energetico, alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e ambientale. Oggi, nessun dubbio vi è ormai sul valore pedagogico e giuridico che assume l’educazione ambientale per la formazione della personalità umana e per la costruzione della cittadinanza ecologica di ciascun membro della comunità. L’educazione ambientale costituisce, dunque, una costante preoccupazione sia sul piano politico-giuridico, ma anche etico e religioso come dimostra l’attenzione della Chiesa cattolica e di Papa Francesco nei confronti di una conversione ecologica che non può prescindere da un impegno educativo ai valori della tutela del Creato e della natura 249. Essa è ormai considerata una finalità e un obiettivo prioritario delle più evolute politiche nazionali e nello stesso tempo un principio ispiratore delle strategia di sviluppo sostenibile, sia a livello internazionale, europeo e nazionale. In questo contesto, nel corso degli ultimi anni diverse sono state le proposte di legge presentate dai parlamentari italiani, anche di diversi schieramenti politici, a dimostrazione di una forte sensibilità del Parlamento nei confronti di un tema trasversale, come l’educazione ambientale, ritenuta fondamentale per migliorare la qualità della vita delle generazioni presenti e future. Con l’atto n. 1595250 è stata presentata nel corso della XXVII legislatura, in data 17 settembre 2013, la proposta di legge parlamentare per la “istituzione dell’insegnamento obbligatorio dell’educazione ambientale nelle scuole del primo ciclo di istruzione”. Secondo tale proposta, l’educazione ambientale doveva essere intesa come primo, fondamentale passo di sensibilizzazione dei giovani e dei giovanissimi verso temi che ormai da tempo sono considerati, nel resto del mondo, importanti tanto quanto la conoscenza delle lingue straniere o l’alfabetizzazione informatica, che in Italia infatti sono ancora sottovalutate. Il valore dell’educazione ambientale costituisce una preoccupazione forte anche per la Chiesa cattolica come si evince dalla lettura dei documenti papali ed in particolare dall’Enciclica Laudato Si di Papa Francesco; sul punto di veda. L. COLELLA, Persona e ambiente nel pensiero di Papa Francesco. L’impegno educativo alla sostenibilità ambientale nell’anno del turismo sostenibile , in Rivista Persona, 2017, 1-2. Per una lettura guidata dell’Enciclica Laudato Si cfr. PAPA FRANCESCO, Laudato Si. Enciclica sulla cura della casa comune , con guida alla lettura di C. Petrini, Edizioni San Paolo, 2015. Per una lettura guidata dell’Enciclica cfr. A. SPADARO, “Laudato Si”. Guida alla lettura dell'enciclica di papa Francesco, in La Civiltà cattolica, Quaderno 3961, Vol. III, 2015, pp. 3-22, si veda anche DE GREGORIO, Laudato si’: per un’ecologia autenticamente cristiana , in Stato, Chiese e pluralismo confessionale , n. 41 del 2016. 250 Cfr. Proposta di legge, proposta dall’On.le A. CESARO E ALTRI, recante il titolo "Introduzione dell'insegnamento dell'educazione ambientale nei programmi didattici delle scuole del primo ciclo di istruzione" (atto n. 1595), reperibile sul sito istituzionale https://www.camera.it/leg17/126? tab=2&leg=17&idDocumento=1595&sede=&tipo=, ultimo accesso 6 novembre 2019. 249 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 123 AmbienteDiritto - Editore© Una disciplina che doveva porsi come scopo principale la trasmissione allo studente della possibilità concreta di vivere in maniera ecosostenibile, ovvero senza alterare completamente gli equilibri naturali. Un aspetto di particolare interesse che veniva richiamato nella premessa del testo della proposta presentata nel 2013, era il significato dell’ educazione ambientale intesa anche come educazione alimentare, considerata la tradizione enogastronomica italiana riconosciuta come un patrimonio pari a quello monumentale e culturale . Questa proposta prevedeva, in sostanza, un solo articolo strutturato in due commi dal seguente tenore: ART. 1. 1. Al fine di rendere consapevoli i giovani dell’importanza della conservazione di un ambiente sano e del rispetto del territorio, nonché della realizzazione di tutte le pratiche utili per l’attuazione di uno sviluppo sostenibile, è previsto che nei programmi didattici del primo ciclo di istruzione dell’ordinamento scolastico sia inserito l’insegnamento dell’educazione ambientale come disciplina obbligatoria. 2. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono definite le modalità attuative delle disposizioni del comma 1, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il dibattito parlamentare su questa prima proposta ha subito un arresto e il percorso della discussione parlamentare non ha portato ad alcun impegno da parte del Parlamento italiano. Nel nostro paese, un'altra proposta di legge in materia di introduzione dell’educazione ambientale nelle scuole, certamente più articolata di quella del 2013, è stata presentata da alcuni deputati nel corso della XXVIII legislatura, con atto n. 258 251 presentato il 23 marzo 2018, e finalizzata questa alla “Introduzione dell’insegnamento dell’educazione ambientale nei programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado ”. Tale ultima proposta, richiamando l’importanza della sensibilizzazione delle tematiche ambientali per la formazione dei giovani, nella premessa, ha posto l’accento su un elemento di particolare significato per la qualità dell’educazione impartita precisando che l’insegnamento dovrebbe essere fornito da laureati in possesso delle dovute conoscenze ed esperienze o da professionisti che svolgono attività di tutela ambientale, anche favorendo l’impiego di molti giovani che attraverso varie associazioni sono attualmente in prima linea per la protezione dell’ambiente 252. La presente proposta di legge, tenendo conto dell’autonomia organizzativa e didattica degli istituti scolastici, intende 251 Cfr. la proposta di legge n. 258 di iniziativa dei Deputati GUIDESI, FEDRIGA E ALTRI, presentata il 23 marzo 2018, sulla Introduzione dell'insegnamento dell'educazione ambientale nei programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado, il cui testo è reperibile su http://documenti.camera.it/leg18/pdl/xhtml/leg.18.pdl.camera.258.18PDL0003740.html#FR. 252 Nella premessa del testo della proposta si legge che “Nel 2014 furono redatte le linee guida sull’educazione ambientale per lo sviluppo sostenibile, che già prevedevano specifiche competenze per i docenti educatori, tra-mite l’elaborazione di un piano di sviluppo concordato tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; purtroppo non risulta che tale iniziativa abbia avuto un seguito concreto nei programmi scolastici”. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 124 AmbienteDiritto - Editore© garantire programmi di educazione ambientale in forma obbligatoria, di almeno 3 ore settimanali, consistenti in didattica, laboratori e uscite formative, almeno su alcune tematiche ritenute fondamentali, come l’emergenza mondiale sull’inquinamento provocato dalle plastiche, l’abbandono dei rifiuti che incide anche sul decoro urbano, il risparmio idrico, la riduzione del consumo del suolo e l’importanza della conservazione della biodiversità. Siffatta proposta di legge è stata articolata in un due articoli. Il primo articolo della proposta di legge è dedicato all’insegnamento dell’educazione ambientale obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado e ha previsto (all’art. 1) che: “Al fine di sensibilizzare i bambini e i giovani sulle problematiche ambientali e rendere gli stessi informati sull’importanza della salvaguardia e del miglioramento delle condizioni ambientali e dell’utilizzazione razionale delle risorse naturali, nonché di renderli partecipi della promozione della qualità della vita umana e dello sviluppo sostenibile, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell’ambito dell’attuazione della propria autonomia organizzativa e didattica, di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, introducono l’insegnamento obbligatorio dell’educazione ambientale, per almeno 3 ore settimanali di didattica, laboratori e uscite formative”. Secondo questa proposta di legge l’insegnamento dell’educazione ambientale deve comunque esaminare diverse problematiche e cioè quelle relative: a) alla gestione dei rifiuti e alla raccolta differenziata, con particolare riferimento all’emergenza mondiale sull’inquinamento provocato dalle plastiche; b) all’arresto del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti, con particolare riferimento al decoro urbano; c) alla tutela delle acque dall’inquinamento e alla gestione delle risorse idriche, con particolare riferimento alla riduzione dei consumi; d) alla difesa del suolo, con particolare riferimento alla riduzione del con-sumo del suolo e del rischio idrogeologico nonché alla manutenzione dei corsi d’acqua; e) alla tutela delle aree protette, con particolare riferimento all’importanza della conservazione della biodiversità. Il secondo articolo della proposta di legge n. 258 è dedicato alla necessità di avviare campagne di sensibilizzazione ambientale, informazione e comunicazione anche per far fronte alle emergenze in materia di gestione dei rifiuti. L’articolo 2, infatti, ha previsto che “ Al fine di rendere consapevoli i cittadini sulle conseguenze nocive per l’ambiente derivanti dall’abbandono dei rifiuti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in collaborazione con le regioni, con gli enti locali, con le associazioni di protezione ambientale, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, con le organizzazioni di volontariato, con i comitati e con le scuole locali attivi nell’educazione ambientale, attraverso appositi accordi con i gestori delle strade e delle autostrade comunali, provinciali, regionali e statali, da stipulare entro novanta giorni dalla data dell’entrata in vigore della presente legge, promuove campagne di sensibilizzazione e di informazione contro l’abbandono dei rifiuti, con cartelloni inseriti nella segnaletica stradale verticale, anche ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 125 AmbienteDiritto - Editore© attraverso l’utilizzo di immagini shock con avvertenze combinate relative alle conseguenze per l’ambiente e per la vita umana. Ad oggi, l’iter di discussione della legge non è ancora entrato nel vivo e si attendono sviluppi sostanziali da parte degli organi parlamentari essendo la proposta assegnata alla Commissione VII Cultura in sede referente il 26 giugno 2018 253. Nonostante le numerose proposte legislative presentate in Parlamento e intese ad introdurre l’educazione ambientale nelle scuole di ogni ordine e grado come materia autonoma e obbligatoria, solo a dicembre 2018 i Ministeri dell’Ambiente e dell’Istruzione hanno firmato un protocollo d’intesa in materia di educazione ambientale e sviluppo sostenibile nelle scuole, impegnandosi a collaborare nell’attuazione di un programma comune a favore delle scuole di ogni ordine e grado. In questa direzione, nel nostro paese - con l’obiettivo di far crescere nella società italiana la consapevolezza dell’importanza dell’educazione ambientale e sensibilizzare l’opinione pubblica, coinvolgere tutti i cittadini - è stato avviato il progetto Scuola 2030254 che nasce dalla collaborazione fra Ministero per l’Istruzione (Miur), l’Istituto Nazionale per la Documentazione e la Ricerca Educativa (Indire) e l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (AsviS). Tale progetto intende contribuire al Goal 4 dell’Agenda 2030 delle nazioni Unite - Istruzione di qualità - ed in particolare al Target 4.7 secondo cui entro il 2030 si vuole assicurare che “tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l’educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile. L’educazione civica e l’insegnamento obbligatorio dei valori ambientali: i principi della legge n. 92 del 2019. Nel sistema scolastico italiano, la legge 20 agosto 2019, n. 92255, entrata in vigore il 5 settembre 2019256, ha introdotto l’obbligatorietà dell’insegnamento dei valori ambientali attraverso la materia dell’educazione civica. L’educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile, pur rappresentando un aspetto centrale per la formazione della coscienza civica, della personalità e della cittadinanza, non costituisce ancora una materia autonoma di insegnamento, ma una dimensione della più ampia materia Per verificare e approfondire l’iter parlamentare della proposta di legge n. 258 cfr. https://www.camera.it/leg18/126?tab=1&leg=18&idDocumento=258&sede=&tipo=. 254 Cfr. il sito http://www.indire.it/2019/06/04/nasce-il-portale-scuola-2030-per-leducazione-allo-svilupposostenibile/ 255 Legge pubblicata in G.U. n. 195 del 21 agosto 2019. 256 Sull’iter di discussione e approvazione della legge cfr. atto n. C. 682 - "Introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica", reperibile su 253 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 126 AmbienteDiritto - Editore© dell’educazione civica. A partire, infatti, dall’anno scolastico 2020/2021, nelle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione italiano, sarà inserito l’insegnamento “trasversale” dell’educazione civica, che comprende anche l’educazione ambientale. Secondo il testo della legge (art. 1) l'educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri. L'educazione civica, così concepita, sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell'Unione europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona. Come recita l’art. 2 della legge n. 92, si tratta di avviare l'insegnamento trasversale dell'educazione civica che sviluppa la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società. Secondo l’art. 3 della legge n. 92/2019 sono definite alcune linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica e che devono prendere in considerazione alcune tematiche fondamentali, quali: a) Costituzione, istituzioni dello Stato italiano, dell'Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell'inno nazionale; b) Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015; c) educazione alla cittadinanza digitale, secondo le disposizioni dell'articolo 5; d) elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro; e) educazione ambientale, sviluppo eco-sostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari; f) educazione alla legalità e al contrasto delle mafie; g) educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; h) formazione di base in materia di protezione civile. Come si può ben vedere la tematica dell’educazione ambientale si presenta molto ampia e trasversale, inserita in un contenitore più ampio e complesso che è rappresentato dalla educazione civica. In diversi punti della legge viene richiamato il dover di trattare alcune tematiche fondamentali, che vanno dagli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sino alla educazione ambientale in senso stretto, intesa non solo come educazione allo sviluppo eco-sostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari, ma anche come educazione alla legalità e al contrasto delle mafie. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 127 AmbienteDiritto - Editore© L'insegnamento trasversale dell'educazione civica è comunque integrato con esperienze extra- scolastiche, a partire dalla costituzione di reti anche di durata pluriennale con altri soggetti istituzionali, con il mondo del volontariato e del Terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva. Un ruolo importante viene poi attribuito ai Comuni che, in virtù dell’art. 8 comma 2, potranno promuovere iniziative in collaborazione con le scuole, con particolare riguardo alla conoscenza del funzionamento delle amministrazioni locali e dei loro organi, alla conoscenza storica del territorio e alla fruizione stabile di spazi verdi e spazi culturali. Una novità di grande pregio per il sistema scolastico nazionale è rappresentata dal fatto che il Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca dovrà costituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'Albo delle buone pratiche di educazione civica. La nuova legge ha previsto che in questo albo siano raccolte le buone pratiche adottate dalle istituzioni scolastiche, nonché accordi e protocolli sottoscritti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'attuazione delle tematiche relative all'educazione civica e all'educazione alla cittadinanza digitale, al fine di condividere e diffondere soluzioni organizzative ed esperienze di eccellenza. In attesa di definire la redazione delle Linee guida previste dall’articolo 3 della legge 92/2019 e avviare così le opportune attività di accompagnamento per le scuole al fine di preparare in modo adeguato ed efficace l’introduzione dell’educazione civica nei percorsi scolastici di ogni ordine e grado a partire da settembre 2020 - per quest’anno in corso in tutte le scuole continuerà ad essere impartito l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse (Legge 169/2008 art. 1)257. Secondo il testo legislativo del 2019, il monte ore assegnato a tale insegnamento obbligatorio dell’educazione civica è di un’ora alla settimana, ovvero non meno di 33 ore annue che non si aggiungono ma sono da intendersi ricomprese nell’ambito del monte orario obbligatorio già previsto dagli ordinamenti vigenti. La finalità della nuova materia è quella di sviluppare la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civili e ambientali della società. Nonostante alcuni abbiano già individuato nella nuova normativa alcune criticità strutturali e siano in atto dibattiti istituzionali finalizzati a modificarne i contenuti 258, a nostro avviso, il nuovo impianto normativo del 2019 può costituire sicuramente un primo passo necessario per assicurare la costruzione di una nuova cittadinanza ecologica. 257 258 Sul punto si veda Educazione civica, mondo accademico e parlamentari d’accordo: Legge necessaria ma da aggiustare reperibile nel sito https://www.orizzontescuola.it/educazione-civica-mondoaccademico-e-parlamentari-daccordo-legge-necessaria-ma-da-aggiustare/, ultimo accesso 7 novembre 2019. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 128 AmbienteDiritto - Editore© Conclusioni comparative. Il valore costituzionale riconosciuto all’educazione ambientale nel sistema portoghese costituisce un modello sicuramente originale e altrettanto ambizioso che viene guardato con interesse da più parti. A prescindere dal riconoscimento costituzionale dell’educazione ambientale, l’importanza dell’insegnamento dei valori della tutela dell’ambiente a scuola costituisce ormai una necessità istituzionale, oltre che un presupposto per la formazione di una rinnovata personalità civica e della costruzione di una nuova cittadinanza ecologica. A tal fine risulta necessario recuperare una nuova “relazione” con la natura ,sulla base di una ecologia integrale capace di vincere l’eccesso di antropocentrismo e ripristinare il rapporto di reciprocità tra uomo e ambiente. C’è bisogno in altri termini di atteggiamenti nuovi fondati sull’umiltà, sulla gratitudine dinanzi alla vita e alla natura, sulla responsabilità ecologica, ovvero sulla necessità di diffondere nuove abitudini, nuovi stili di vita e modelli educativi, tra cui sobrietà, solidarietà globale, giustizia intra-generazionale e intergenerazionale. Questi in sostanza possono essere considerati gli obiettivi intrinseci dell’educazione civica e della sostenibilità ambientale. Come si ricorderà, il giurista Calamandrei nel suo intervento al terzo Congresso dell’ADSN, Associazione per la Difesa della Scuola Nazionale, tenutosi in Roma l’11 febbraio 1950 affermava “La scuola, come la vedo io, è un organo costituzionale” ed essa “è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue ”259. Non è un caso che proprio Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato Si, abbia affermato che “l’educazione e la formazione” restano sfide centrali per recuperare il rapporto tra persona e ambiente; il Papa ricorda che «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo» ed in questa sfida sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi». L’educazione ambientale e il suo insegnamento obbligatorio nella scuola dell’obbligo, come dimostra il modello portoghese, costituisce dunque un presupposto e un fondamento per la formazione della personalità dei futuri cittadini, ma costituisce anche un elemento necessario per la costruzione della cittadinanza ecologica nell’era dell’antropocene e dei cambiamenti climatici260. 259 Cfr. Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma 11 febbraio 1950.. Si veda altresì M. TIRITICCO, La scuola come quarto potere costituzionale, reperibile sul sito http://m.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/la-scuolacome-quarto-potere-costituzionale.flc 260 A. SOFO, E. NAPOLEONE, L'educazione ambientale come patrimonio per le generazioni future, Feltrinelli, 2013; A. SOFO, A. PETRINO, Educazione alla sostenibiità, Lulu Press, 2015. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 129 AmbienteDiritto - Editore© Il modello portoghese, con una esperienza ultradecennale, sembra aver interpretato al meglio lo spirito del principio costituzionale dell’educazione ambientale previsto all’art. 66 della Costituzione che impone allo Stato di promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile e ai valori ambientali. Il riferimento costituzionale dell’educazione ambientale costituisce, infatti, una prima vera garanzia per il sistema educativo di istruzione portoghese. In attuazione della previsione costituzionale la legge quadro fondamentali della politica ambientale. Nell’esperienza portoghese il sistema di educazione alla cittadinanza prevede proprio che l’educazione ambientale sia costruita sulla triade principi, valori e aree di competenza - ben evidenziati nella Strategia nazionale dell’educazione alla cittadinanza - secondo un modello circolare e che possiamo definire a cerchi concentrici 261. Nel cerchio più grande dedicato ai principi trova dimora, la sostenibilità. Questo primo cerchio contiene tante altre sfere, intese come aree di competenza tra cui trova spazio il benessere e l’ambiente salubre. Al centro di tutto vi sono, infine, i valori che troviamo contenuti un unico cerchio e tra cui scorgiamo la libertà, la responsabilità e la partecipazione. Diversamente da quanto accaduto in Portogallo, solo nel 2019 il legislatore italiano ha previsto l’insegnamento dell’educazione ambientale nelle scuole, ma nell’ambito della più ampia materia dell’educazione civica attraverso. Questa previsione, che entrerà in vigore dall’anno scolastico 2020/21, costituisce solo un primo passo verso la costruzione di una cittadinanza ecologica più matura, la sola in grado di segnare una rivoluzione ecologica sul piano giuridico, culturale e sociale. A nostro avviso l’educazione ambientale oggi non dovrebbe più essere relegata al rango di materia trasversale e complementare contenuta nell’educazione civica. La trasversalità e la multidisciplinarietà della educazione ambientale potrebbe rappresentare ancora il vero limite della proposta educativa: solo il tempo e l’esperienza sul campo potrà dare risposte adeguate al fine di migliorare i curricula e i piani didattici delle scuole di ogni ordine e grado. Tuttavia la straordinaria attenzione del Governo italiano alle tematiche dell’educazione ambientale nel corso del 2019 è dimostrata, da ultimo, dall’invito rivolto proprio dal Ministro dell’Università agli Atenei italiani i quali sono chiamati a valutare la possibilità di riservare un numero adeguato di crediti formativi universitari sulle tematiche della salvaguardia dell’ambiente, dei contrasti ai cambiamenti climatici e della sostenibilità ambientale da acquisire al primo anno dei corsi e di dare rilievo alle stesse tematiche nel’ambito dei corsi di dottorato di ricerca o di specializzazione262. Cfr. Estratégia Nacional, Educação para a Cidadania, p. 8, in https://www.dge.mec.pt/estrategianacional-de-educacao-para-cidadania. 262 Sul punto cfr. la Circolare del Ministro dell’Università e ricerca n. 0033521 del 7 novembre 2019. 261 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 130 AmbienteDiritto - Editore© In questa direzione, per far fronte alla emergenza climatica, nel Decreto clima263 - convertito in legge con alcune modifiche264 - è stato previsto ed istituito un fondo denominato “Programma #iosonoAmbiente”, con una dotazione di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022. L’articolo 1-ter prevede che tale Fondo sia finalizzato ad avviare campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione sulle questioni ambientali nelle scuole di ogni ordine e grado. A nostro avviso, l’educazione ai valori ambientali è alla base del cambiamento culturale richiesto oggi più che mai per tutelare la biodiversità ambientale e culturale, vincere la sfida dei cambiamenti climatici e realizzare gli obiettivi di economia circolare. Questi obiettivi ecologici richiedono come fondamento costituzionale il valore della sostenibilità ambientale intesa come manifestazione della solidarietà intergenerazionale. Le istituzioni, infatti, hanno l’onere di educare le generazioni presenti e future alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente; nello stesso tempo il cittadino ha bisogno di riscoprire il valore costituzionale dell’ambiente attraverso una proposta educativa che parta dalla scuola dell’obbligo e che riconosca nell’educazione ambientale il nuovo “formante pedagogico” della persona chiamata responsabilmente alla costruzione di una nuova “cittadinanza ecologica” della Casa comune 265. 263 E' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 241 del 14-10-2019 il D.L. 14 ottobre 2019, n. 111 recante "Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria e proroga del termine di cui all'articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229". 264 La Camera ha votato in data 10 dicembre 2019 la fiducia posta dal Governo sul decreto Clima. Sono stati 305 i sì, 215 invece i voti contrari. Il decreto clima - inizialmente di 9 articoli portati a 18 a seguito del dibattito parlamentare - contiene una serie di provvedimenti che hanno come obiettivo la difesa dell’ambiente, la riduzione delle emissioni e il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva comunitaria 2008/50/CE. Si tratta di misure di natura programmatica, incentrate non solo sul presente ma anche sul prossimo futuro in un’ottica di vision “destinata ad incidere su una programmazione economica con una visione pluri-generazionale”, come l’ha definita il Ministro dell’ambiente Sergio Costa, sul punto cfr. Decreto clima: arrivano il bonus rottamazione e gli scuolabus green, di A. Tartaglia, reperibile su https://www.gazzetta.it/motori/la-mia-auto/09-122019/dl-clima-bonus-rottamazione-legge-bilancio-3501753812436.shtml?refresh_ce-cp. 265 "Serve una cittadinanza ecologica", per salvare l'Amazzonia, l'intero Creato e, quindi, anche l'uomo. Ma per fare questo occorre un'umanità e, in particolar modo, una classe politica mondiale in grado di cambiare strada. Ciò è quanto è emerso nel corso dei lavori della 7° Congregazione generale del Sinodo Speciale per la Regione Panamazzonica. Lavori che hanno visto la partecipazione, nell'Aula del Sinodo in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco, di 175 Padri Sinodali, cfr. Sinodo Amazzonico. Educazione integrale per una “cittadinanza ecologica”, in https:// www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-10/sinodo-amazzonia-educazione-integralecittadinanza-ecologica.html, ultimo accesso 10 dicembre 2019. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 131 AmbienteDiritto - Editore© LA COSTITUZIONE DI FRANCOFORTE: UN SOGNO INFRANTO. Giovanni Giannotti Abstract (It) L’articolo esamina un periodo complesso per la storia tedesca, vale a dire quello che va dal 1806 al 1849. Dopo un excursus sulle strutture istituzionali della Confederazione del Reno, della Confederazione Germanica, il saggio prosegue con l’analisi della rivoluzione del 1848 e con le relative conseguenze che essa ebbe sul panorama tedesco: l’elezione di un’Assemblea Costituente e la Costituzione di Francoforte. Il lavoro termina con il bilancio del biennio ’48 – 49 e dei suoi effetti sul costituzionalismo tedesco. Abstract (En) The article examines a complex period for German history, namely the one from 1806 to 1849. After an excursus on the institutional structures of the Reno Confederation and the Germanic Confederation, the essay continues with the analysis of the revolution of 1848 and its consequences on the German landscape: the election of a Constituent Assembly and the Constitution of Frankfurt. The work ends with the two-year budget '48 – 49 and its effects on German constitutionalism. SOMMARIO: 1. La Germania tra la prosecuzione del riformismo settecentesco e la dominazione napoleonica. – 2. La Confederazione Germanica. – 3. Assetto del Detuscher Bund. – 4. Le Costituzioni tedesche della Restaurazione. – 5. Il 1848. - 6. La Costituzione di Francoforte. - 7. Conclusioni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 132 AmbienteDiritto - Editore© 1. La Germania tra la prosecuzione del riformismo settecentesco e la dominazione napoleonica. Georg Wilhem Friedrich Hegel ne La costituzione della Germania osservava: «L’ostinazione del carattere tedesco non si è lasciata sopraffare sino al punto che le singoli parti sacrificassero le loro particolarità alla società, che si riunissero tutte in un universale e trovassero la libertà nella comune libera sottomissione sotto una forza statale suprema 266». Il filosofo dunque aveva evidenziato come l’irremovibile attaccamento dei tedeschi alle tradizionali libertà avesse precluso la nascita di un’entità unitaria in grado di svolgere funzioni sia di sicurezza interna che esterna. L’analisi di Hegel per un verso stigmatizzava la mancata evoluzione in senso unitario del Sacro Romano Impero, per un altro verso evidenziava l’inconsistenza delle riforme introdotte dai principi tedeschi nel corso del Settecento. Le vittorie di Napoleone contro le potenze della Terza Coalizione provocarono una radicale trasformazione nel panorama germanico, infatti con il Trattato di Parigi del 12 luglio 1806 sedici principi tedeschi si staccarono dall’Impero per costituire la Confederazione del Reno 267, mentre il 6 agosto dello stesso anno Francesco d’Asburgo rinunciò al titolo di sacro romano imperatore, ponendo fine al Sacro Romano Impero della nazione tedesca e assumendo il titolo di Imperatore d’Austria 268. Questa scelta puntava a marcare la sovranità territoriale del sovrano, depurandola delle componenti universalistiche che l’avevano contrassegnata fino a quel momento; nell’impero austriaco fu intrapresa una politica di riforme sul solco del riformismo settecentesco, senza arrivare però all’abolizione delle tradizionali libertà cetuali; sostanzialmente fu rafforzata l’uniformità istituzionale dell’impero ma non si arrivò ad adottare il modello francese, esportato invece in quelle regioni sottratte al dominio asburgico e cadute in mano francese, quali Tirolo, Vorarlberg, Salisburgo, Innviertel e le Province Illiriche 269. La politica del re di Prussia Federico Guglielmo III proseguì sulla falsariga delle riforme settecentesche: nel 1804 fu proclamata la libertà personale dei contadini dalle terre demaniali; con editto del 1807 fu proclamata anche la libertà dei contadini delle signorie fondiarie e disposta la liberalizzazione delle vendite di queste terre; il 19 aprile 1808 fu approvato il nuovo ordinamento municipale; nel novembre dello stesso anno fu riformato il governo centrale, che fu suddiviso in cinque sezioni – finanze, interni, giustizia, esteri, esercito – dirette da ministri responsabili verso il sovrano e tenuti a controfirmare i regi decreti; inoltre furono aboliti sia il Direttorio generale che le Camere 266 267 268 269 G. HEGEL, Scritti politici (1798 – 1806) a cura di A. PLEBE, Laterza, Bari, 1961, p. 16. G. NEGRELLI, L’età contemporanea, Palumbo, Padova, 1992, p. 552. G. NEGRELLI, op. loc. ult. cit. «L’ultimo imperatore romano Francesco II – scrive Golo Mann – dichiarava il legame imperiale disciolto, liberava tutti gli stati prima esistenti dai loro obblighi e si accontentava del titolo, già istituito nel 1804, d’imperatore d’Austria». G. MANN, Deutsche Geschichte des 19. und 20. Jahrhunderts, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main 1958, tr. it. Storia della Germania moderna 1789 – 1958, Sansoni, Firenze, 1964, p. 43. M. CARAVALE, Storia del Diritto nell’Europa moderna e contemporanea, Laterza, Roma – Bari, 2012, p. 260. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 133 AmbienteDiritto - Editore© provinciali di guerra e del demanio e fu razionalizzata la macchina amministrativa 270. La Confederazione del Reno – era stata creata nel 1806 dai principi tedeschi che si erano distaccati dal Sacro Romano Impero – stipulò un’alleanza con Napoleone, in forza della quale fu attribuito all’imperatore francese la direzione della politica estera e il comando dell’esercito; facevano parte del Rheinbund i principati tedeschi dell’area occidentale insieme ad altri di recente creazione, quali il Regno di Westfalia e il Granducato di Berg, le cui corone furono assegnate dall’Empereur ai propri familiari271. I successivi eventi bellici e politici comportarono da un lato l'adesione di altri Stati, dall’altro lato l’assorbimento delle entità politiche più piccole e la semplificazione del pluralismo politico tedesco 272. Bonaparte concesse nel 1807 una costituzione al Regno di Westfalia e un’altra l’anno successivo al Granducato di Berg. Queste costituzioni si innestavano nel solco del riforme del secolo precedente e tendevano ad uniformare sotto l’aspetto istituzionale le regioni sottoposte al dominio del sovrano, non certo all’abolizione del sistema cetuale273. Tali Carte costituzionali prevedevano sì la rappresentanza dei ceti, senza inquadrarle però nei Läntage dei singoli Länder, ma in un’assemblea cetuale unitaria, dotata principalmente di compiti finanziari, si trattava della prima apparizione, per usare le parole di Mario Caravale, «di un’istituzione neocetuale che si distingueva dalle tradizionali assemblee perché in essa la rappresentanza cetuale assumeva un respiro unitario, superando la frammentazione unitaria e presentandosi come unica in tutto il regno 274». Un modello analogo fu applicato anche al Regno di Baviera, mentre nel Regno di Prussia nel 1811 fu istituita una Notabelnversammlung, ovvero un’assemblea dei notabili, di cui facevano parte i delegati dei funzionari regi, dei nobili, dei cittadini e dei contadini, mentre l’anno successivo fu creata una Landesräpresentanten Versammlung ossia un’assemblea di cui facevano parte i delegati del ceto signorile; in ogni caso entrambi i consessi svolgevano semplici funzioni consultive275. 2. La Restaurazione. Deutsche Bundesakte e la Confederazione Germanica. In seguito al crollo di Napoleone la Confederazione del Reno si sciolse; in luogo del Rheinbund fu decretata la nascita della Confederazione Germanica, istituita con Deutsche Bundesakte dell’8 giugno 1815 sulla base dell’art. 6 comma 2 della Prima pace di Parigi del 30 maggio 1814276 e dell’atto finale del Congresso di Vienna, con il quale appunto fu convenuta la 270 271 272 273 274 275 276 M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. M. CARAVALE, op.loc. ult. cit. G. NEGRELLI, L’età contemporanea, p. 552. M. CARAVALE, Storia del Diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 261. M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. Trattato di pace di Parigi del 30 maggio 1814 in Actes Diplomatiques. Traités, conventios & C signès à Paris le 20 novembre 1815, Londres, 1815, p. 82. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 134 AmbienteDiritto - Editore© creazione di una «confédération perpétuelle, qui portera le nom de Confédération Germanique277» e che avrebbe dovuto «maintien de la sûreté extérieure et intérieure de l’Allemagne, de l’indépendance et le inviolabilité des Étas confédérés 278». Il Deutscher Bund rappresentava, per usare le parole di Antonio Padoa Schioppa, uno degli elementi «più significativi dell’ordine, nuovo e antico al tempo stesso, instaurato in Europa dopo la caduta di Napoleone279». 3. Assetto del Deutscher Bund. Facevano parte della Confederazione trentanove Stati tedeschi – ne erano membri le città Stato di Francoforte, Amburgo, Brema e Lubecca e 35 principi tedeschi - tra questi gli Stati più importanti dell’area germanica, vale a dire Austria e Prussia; vi era un organo assembleare comune agli Stati membri ̶ il Bundestag ̶ con sede a Francoforte sul Meno e presieduto dall’Imperatore d’Austria280; ciascuno componente aveva un peso uguale - ossia disponeva di un voto - in seno alla Dieta Federale per le decisioni ordinarie 281 e un peso differenziato per le leggi che andavano a modificare l’atto costitutivo o le istituzioni della Confederazione 282 . Nel Bundestag sedevano i rappresentanti degli Stati e le sue deliberazioni vincolavano gli Stati stessi, non i cittadini; inoltre l’assemblea deliberava a maggioranza dei due terzi le questioni più importanti, comprese la dichiarazione di guerra e la stipulazione dei trattati di pace 283, mentre le decisioni ordinarie erano prese da un organo ristretto, ove contavano gli stati di dimensioni maggiori284; come spiega Mario Caravale la «Confederazione Germanica era una organizzazione del tutto nuova sia rispetto all’antico impero germanico, sia alla Confederazione 277 278 279 280 281 282 283 Art. 6 comma 2: «Les États de l'Allemagne seront indépendants, et unis par un lien fédératif». Actes du Congrès de Vienne, Paris, Imprimerie Royale, 1816. Art. 53 «Les Princes souverains et les villes libres d’Allemagne, en comprenant dans cette transaction LL. MM. l’Empereur d’Autriche, les Rois de Prusse, de Danemarck et des Pays-Bas, et nomménent. L’Empereir d’Autriche et le Roi de Prusse, pour toutes celles de leurs qui ont anciennement appartenu à l’Empire germanique; Le Roi de Danemarck, pour le duché de Holstein; Le Roi des Pays-Bas, pour le grand-duché de Luxembourg; établissent entre eux une confèdération perpétuelle, qui portera le nom de Confèdération Germanique». Ivi, art. 54 «Le but de cette confederation est le maintien de la sûreté extérieure et intérieure de l’Allemagne, de l’indépendance et le inviolabilité des Étas confédérés». A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, il Mulino, Bologna, 2007, p. 480. La Confederazione per un verso avrebbe dovuto contrastare eventuali tentativi di rivincita francesi, quasi una sorta di stato-cuscinetto, per un altro verso le potenze europee cercarono di semplificare il panorama tedesco. Scrive A.J.P.TAYOLR «Gli alleati desideravano semplicemente una nuova aggressione francese. […] Le grandi potenze che fissarono la costituzione della Confederazione Germanica tentarono di conciliare due princìpi contradditori; da un lato desideravano rispettare e consolidare l’indipendenza degli Stati tedeschi; dall’altro lato promuovere in Germania, mediante accordi volontari quelle misure di azione unitaria che Napoleone aveva imposto con la forza». A.J.P. TAYLOR, The course of german history, tr. it Storia della Germania, Longanesi, Milano, 1971, pp. 51 – 52. Sulla Confederazione germanica cfr. G. PARODI, La Germania e l’Austria in P. CARROZZA – A. DI GIOVINE – G. F. FERRARI, Diritto Costituzionale Comparato, Laterza, Roma – Bari, 2014, p. 149. Actes du Congrès de Vienne, Paris, 1815. «Art. 57: L’Autriche présidera à la diète fédérative. Chaque État de la conféderation a le droit de faire des propositions, et celui qui préside est tenu à kes mettre en délibération dans un espace de temps qui sera fixé». Ivi, art 56. Ivi, art. 58. A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età moderna, p. 480. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 135 AmbienteDiritto - Editore© del Reno285», dal momento che comprendeva sia principi che città libere e ne unificava le decisioni in politica estera, mentre rimaneva intatta la sovranità dei membri nella altre materie286, in sostanza «principati e città tedesche non davano vita ad uno Stato federale»; l’unica istituzione unitaria infatti era la Dieta Federale, con sede a Francoforte e presieduta dal delegato austriaco, che appoggiò la politica antiliberale perseguita dai governi degli stati aderenti287. 4. Le Costituzioni tedesche. La Deutsche Bundesakte prescriveva inoltre all’art. 13 che ciascuno Stato della Confederazione avrebbe dovuto promulgare una Costituzione 288; questa disposizione era di enorme importanza poiché consacrava per la prima volta nella storia tedesca l’autonomia territoriale dei Länder289; come ha osservato Mario Caravale l’espressione landständische Verfassung adoperata dall’art. 13 «per i firmatari dell’atto stava ad indicare una costituzione fondata sulla tradizionale articolazione cetuale dei singoli territori di ciascun regno o principato, mentre i liberali la vollero intendere come propositiva dell’istituzione di rappresentanze nazionali 290». Nei successivi anni furono approvati testi costituzionali in numerosi Stati della Confederazione Germanica: l’8 gennaio 1816 nel principato di Schwarzbourg – Rudolstadt; il 5 maggio dello stesso anno in Sassonia; il 26 maggio 1818 in Baviera e il 22 agosto seguente in Palatinato; il 25 settembre 1819 in Württemberg; il 7 dicembre 1819 in Hannover; il 17 dicembre 1820 in 284 285 286 287 288 289 290 A. PADOA SCHIOPPA, op. loc. ult. cit. È il caso di trascrivere l’articolo 7 del Deutscher Bund, consultabile sul sito http://www.documentarchiv.de/nzjh/dtba.html Deutscher Bundesakte Art. 7«In wie fern ein Gegenstand nach obiger Bestimmung für das Plenum geeignet sey, wird in der engern Versammlung durch Stimmen-Mehrheit entschieden. Die der Entscheidung des Pleni zu unterziehenden Beschluß-Entwürfe werden in der engern Versammlung vorbereitet und bis zur Annahme oder Verwerfungen zur Reife gebracht; sowohl in der engern Versammlungen als in Pleno werden die Beschlüsse nach der Mehrheit der Stimmen gefaßt, jedoch in der Art, daß in der ersteren die absolute, in letzterer aber nur eine auf 2/3 der Abstimmung beruhende Mehrheit entscheidet. Bey Stimmen-Gleichheit in der engern Versammlung stehet dem Vorsitzenden die Entscheidung zu. Wo es aber auf Annahme oder Abänderung der Grundgesetze, auf organische Bundes Einrichtungen, in jura singulorum oder Religions-Angelegenheiten ankommt, kann weder in der engern Versammlung noch in Pleno ein Beschluß durch Stimmenmehrheit gefaßt werden. Die Bundesversammlung ist beständig, hat aber die Befugniß, wenn die ihrer Beratung unterzogenen Gegenstände erlediget sind, auf eine bestimmte Zeit, jedoch nicht auf länger als vier Monate, sich zu vertagen. Alle nähern die Vertagung und die Besorgung der etwa während derselben vorkommenden dringenden Geschäfte betreffenden Bestimmungen weden der Bundesversammlung bey Abfassung der organischen Gesetze vorbehalten». M. CARAVALE, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 262. M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. E. DI SALVATORE, Appunti per uno studio sulla libertà nella tradizione costituzionale europea in A.A.V.V., Itinerari giuridici per il quarantennale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Abbruzzo, Giuffré, Milano, 2007, pp. 364. Riporto l’articolo 13 del Bundesakte, DBA (Deutsche Bundesakte), art. 13 «In allen Bundesstaaten wird eine Landständige Verfassung stattfinden». M.D. POLI, Bundesverfassungsgericht e Landesverfassungsgerichte: un modello “policentrico” di giustizia costituzionale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 59. M. CARAVALE, Storia del Diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 262. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 136 AmbienteDiritto - Editore© Hesse – Darmstadt; il 23 agosto 1829 in Sassonia. Erano costituzioni ottriate, vale a dire concesse dai sovrani– unica eccezione la Carta costituzionale del Württemberg, discussa ed approvata da un’assemblea costituente – che la storiografia ha incluso nella fase iniziale dell’esperienza costituzionale tedesca ovvero il Frühkonstitutionalismus, collocata nell’arco di tempo compreso tra il 1815 e il 1830 e distinta dagli stadi successivi del Hochkonstiutionalismus del 1848 e del Spätkonstiutionalismus degli anni successivi al 1850 291. In proposito è opportuno ricordare che le strutture istituzionali delineate dalle Costituzioni testè menzionate riguardavano regni e territori ove era ancora vigente il pluralismo cetuale e territoriale. La promulgazione di questi testi in ogni caso manifestava sia l’inadeguatezza della tradizione come fonte di legittimazione istituzionale sia l’intenzione di creare un nuovo ordinamento che, anche se non sconfessava in toto quello precedente, ne modificava alcuni elementi. Queste costituzioni erano imperniate sul principio monarchico e sul sovrano come rappresentante e simbolo della nazione; competeva al re in via esclusiva sia il potere esecutivo sia la guida dell’esercito sia il potere legislativo, vi era però un limite all’autorità regia, dal momento che la promulgazione di leggi che incidevano sulla libertà personale e sul diritto di proprietà richiedeva il consenso delle assemblee rappresentative. Le camere erano due: una aristocratica, l’altra eletta a suffragio censitario e formata dai rappresentanti dei ceti e degli ordini professionali; tali consessi erano espressione dell’indirizzo «neocetuale» e per lo più svolgevano funzioni consultive e partecipavano all’esercizio del potere legislativo – questo era attribuito al monarca – solamente per l’approvazione delle leggi tributarie, ove il loro consenso era indispensabile. Con la Wiener Schlußakte – approvato nel 1820 per completare l’assetto istitutivo della Confederazione Germanica – all’art. 57 292 fu perfezionato il meccanismo previsto dal Deutsche Bundesakte; il già citato art. 57 statuiva “Poiché la Confederazione tedesca, se si escludono le città libere, risulta costituita da principi sovrani, così il complessivo potere dello Stato – conformandosi al succitato principio – deve rimanere concentrato nelle mani del Capo dello Stato. Il Sovrano può attraverso una Costituzione cetual-territoriale essere limitato solo nell’esercizio di determinati diritti dalla collaborazione dei ceti ”. Questa disposizione non era certamente di matrice progressista, dal momento che, come ha osservato Fulco Lanchester, stabiliva «l’inalterabilità della previsione che il complessivo potere dello Stato dovesse rimanere concentrato nel sovrano che, tramite una costituzione cetual-territoriale – la 291 292 M. CARAVALE, op. loc. ult. cit. Sulle costituzioni tedesche della Restaurazione cfr. P.BISCARETTI DI RUFFIA, Introduzione al Diritto Costituzionale Comparato. Le forme di stato e le forme di governo. Le Costituzioni moderne, Giuffrè, Milano, 1980, pp. 515 – 516; F. RUGGE, Il governo delle città prussiane tra ‘800 e ‘900, Giuffré, Milano, 1989. Wiener Schlußakt, Art. 57: «Da der deutsche Bund, mit Ausnahme der freien Städte, aus souverainen Fürsten besteht, so muß dem hierdurch gegebenen Grundbegriffe zufolge die gesammte Staats-Gewalt in dem Oberhaupte des Staats vereinigt bleiben, und der Souverain kann durch eine landständische Verfassung nur in der Ausübung bestimmter Rechte an die Mitwirkung der Stände gebunden werden». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 137 AmbienteDiritto - Editore© landständliche Verfassung - consentiva di collaborare nell’esercizio di taluni diritti 293». Da un lato vi era una netta cesura rispetto alla monarchia di diritto divino, dall’altro lato il principio monarchico si poneva in continuità con il leopoldismo 294, infatti Otto Brunner rilevava come l’auctoritas regia fosse stata in sostanza laicizzata 295. La separazione rispetto al periodo prerivoluzionario rimarcava tuttavia la debolezza del principio monarchico «con la perdita quindi di quegli attributi magici che stavano alla base della formula e la sua conseguente riduzione a vuota ideologia incalzata dai tempi 296». 5. Il 1848. Durante l’età della Restaurazione era sempre stata presente, seppur in maniera confusa la paura verso il “comunismo” – inteso come rovesciamento rivoluzionario dell’ordine costituito e scomparsa della proprietà privata – timore che portò appunto ad additarne il pericolo dietro a qualunque idea innovativa o movimento insurrezionale297. La paura del resto era alimentata, secondo Giorgio Negrelli, per un verso dall’adozione di confuse istanze di riforma sociale da parte delle opposizioni – erano frequenti i collegamenti tra le forze radicali e quelle operarie – e per l’altro verso dai progetti utopistici che si erano diffusi nel Vecchio continente 298. Le tensioni sociali e i motivi di preoccupazione si intensificarono tra il 1846 e il 1847; in quel biennio l’Europa fu colpita da una profonda crisi economica, che dapprima investì il settore agricolo, successivamente quello industriale e commerciale, causando carestie, miseria, disoccupazione e creando ovunque un clima di malcontento 299. 293 294 295 296 297 298 299 F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzioni e testi, p. 32. Il testo del Schlußakte der Wiener Ministerkonferenzen si può consultare al sito http://www.documentArchiv.de/nzjh/wschlakte.html. Art. 57 «Da der deutsche Bund, mit Ausnahme der freien Städte, aus souverainen Fürsten besteht, so muß dem hierdurch gegebenen Grundbegriffe zufolge die gesammte Staats-Gewalt in dem Oberhaupte des Staats vereinigt bleiben, und der Souverain kann durch eine landständische Verfassung nur in der Ausübung bestimmter Rechte an die Mitwirkung der Stände gebunden werden». F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, p. 24. V.O. BRUNNER, Vom Gottesgnademtum zum Monarchischen Prinzip in Die Entstehung des modernen souveränen Staates, cur. H. HOFFMANN, Kiepenheuere, Koln - Berlin, 1967, p. 64. F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, p. 25. G. NEGRELLI, L’età contemporanea, Palumbo, 1992, p. 121. G. NEGRELLI, op. loc. ult. cit. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento si sviluppò il socialismo in senso moderno e appunto la prima del pensiero socialista è stata definita socialismo utopistico. «In linea generale il Socialismo – scrive Cesare Pianciola – come un programma politico delle classi lavoratrici che si sono formate nel corso della rivoluzione industriale. La base comune delle molteplici varianti di socialismo può essere individuata nella trasformazione sostanziale dell’assetto giuridico ed economico fondato sulla proprietà private dei mezzi di produzione e di scambio, in direzione di un’organizzazione sociale nella quale: a. il diritto di proprietà sia fortemente limitato; b. le principali risorse economiche siano sotto il controllo delle classi lavoratrici; c. la loro gestione sia finalizzata a promuovere l’eguaglianza sociale […] attraverso l’intervento dei pubblici poteri». C. PIANCIOLA, voce Socialismo in Dizionario di Politica diretto da N.BOBBIO – N. MATTEUCCI – G. PASQUINO, Utet, 1983, p. 1074. Al riguardo è possibile distinguere tra il socialismo utopistico e quello scientifico. Il primo si sviluppò sulla scorte delle idee di Claude – Henri de Saint Simon, Charles Fourier e Robert Owen; il secondo fu elaborato da Karl Marx e Friedrich Engels. G. SABBATUCCI – V. VIDOTTO, Il mondo contemporaneo dal 1848 ad oggi, Laterza, Roma – Bari, 2008, p.4. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 138 AmbienteDiritto - Editore© Il disagio economico, unito al malessere sociale e all’azione portata avanti dai gruppi democratici nel Vecchio continente furono le cause delle insurrezioni che sconvolsero l’Europa300. La miccia che accese l’incendio rivoluzionario fu innescata in Francia nel febbraio 1848, ove la lotta per estendere il suffragio si era scontrata con la resistenza del sovrano Luigi Filippo d’Orléans contro il divieto di manifestazioni politiche imposte dal governo fu portata avanti la «campagna dei banchetti» con raccolte di firme e forte affluenza popolare 301, volta appunto ad ottenere l’ampliamento del corpo elettorale 302. Il divieto di un «banchetto» nel 12° arrondissement fu la causa della rivoluzione, che portò all’abdicazione di Luigi Filippo. Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi si propagò in breve in tutta l’Europa; nell’Impero asburgico, nella penisola italiana e nella Confederazione Germanica gli echi della rivolta di Parigi fecero esplodere una situazione già tesa, dal momento che il malcontento per la crisi economica si saldò con le istanze costituzionali e con le questioni nazionali lasciate irrisolte dal Congresso di Vienna303. Gli eventi francesi ebbero ripercussioni anche in Germania; in Prussia il 18 marzo 1848, dopo una serie di sanguinosi scontri, il re Federico Guglielmo IV fu costretto a concedere la libertà di stampa e a promettere una costituzione 304; nel resto della Germania le istanze costituzionali si unirono ben presto alle aspirazioni all’unità politica 305. 6. La Costituzione di Francoforte. Divisa in molteplici realtà statuali, la Germania aveva cecato di costruire un mercato interno unificato, libero da dazi e dogane; nel 1834 diciotto Stati tedeschi con una popolazione totale di 23 milioni di abitanti crearono un’Unione doganale – lo Zollverein - sotto la presidenza della Prussia306, altri stati capeggiati dall’Austria scelsero di non aderire 307. Lo Zollverein rappresentò un significativo stimolo per lo sviluppo economico tedesco e il ruolo di guida economica assunto dalla Prussia consentì a questa di guadagnare credito agli occhi dei patrioti, che guardarono pertanto ad essa come stato guida per realizzare l’unificazione politica. 308 Nel 1848 in un clima rivoluzionario diffuso in tutta l’Europa emerse nel panorama tedesco un movimento per la convocazione di una Costituente309; peraltro il movimento rivoluzionario richiese l’unità nazionale, oltre alla concessione della libertà di riunione, di stampa e alle 300 301 302 303 304 305 306 307 308 309 G. SABBATUCCI – V. VIDOTTO, op. loc. ult. cit. G. NEGRELLI, L’età contemporanea, p. 124. Sulla rivoluzione di febbraio del 1848 in Francia cfr. A. M. BANTI, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, Laterza, Roma – Bari, p. 184; G. SABBATUCCI – V. VIDOTTO, Storia contemporanea. L’Ottocento, Laterza, Roma – Bari, 2009, p. 154. C. MORTATI, Le forme di governo. Lezioni, Cedam, Padova, 1973, p. 131. G. SABBATUCCI – V. VIDOTTO, Il mondo contemporaneo dal 1848 ad oggi, p. 10. G. SABBATUCCI – V. VIDOTTO, op. loc. ult. cit. G. NEGRELLI, L’età contemporanea, p. 130. G. CORNI, Introduzione alla storia della Germania contemporanea, Mondadori, Milano, p. 84. G. CORNI, op. loc. ult. cit. G. CORNI, op. loc. ult. cit. C. MORTATI, Le forme di governo. Lezioni, p. 144. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 139 AmbienteDiritto - Editore© libertà “borghesi”310 in una sovrapposizione di “questione nazionale” e “questione costituzionale”311. I liberali tedeschi avevano tre obiettivi: in primo luogo sottrarre gli stati germanici all’influenza austriaca; in secondo luogo ottenere – specialmente in Prussia – moderne Costituzioni; infine fare delle Costituzioni il comune vincolo statale del popolo germanico312. Il marzo del 1848 per le regioni austriache e tedesche fu decisivo, perché provocò una profonda trasformazione degli assetti politico-istituzionali, non a caso infatti è proprio il marzo 1848 che rappresenta una cesura tra il Vormärz, vale a dire il periodo precedente la Restaurazione, dal Nächmarz, ovvero la seconda metà del secolo. Il 5 marzo 1848, su iniziativa dei democratici e liberali di alcuni principati dell’area sudoccidentale, si riunì ad Heidelberg un’assemblea, che fece proprie sia le istanze costituzionali che quelle dell’unità politica del popolo tedesco e deliberò di eleggere a suffragio universale un Parlamento, rappresentativo dell’intera Germania. Al riguardo va osservato che i liberali moderati, per nulla inclini a rompere radicalmente con le istituzioni vigenti, chiesero al Bundestag di legittimare l’elezione dell’assemblea preparatoria, il Vorparlament, tuttavia né i principi della Confederazione né il Bundestag diedero una risposta a queste richieste 313. Il Vorparlament si radunò il 31 marzo a Francoforte sul Meno nella Chiesa di S. Paolo – la Paulskirche – per predisporre la convocazione di un parlamento nazionale con funzioni di costituente; si trattava di un’assemblea – per usare le parole di Golo Mann - «rivoluzionaria […] dal punto di vista giuridico 314», dal momento che non era stata convocata da «nessuna delle autorità esistenti315», privo dunque di legittimazione istituzionale e con un carattere eversivo estraneo alla volontà dei moderati, che erano la maggioranza dei deputati. Il Bundestag della Confederazione Germanica convocò nello stesso giorno un’assemblea, che avrebbe dovuto esaminare la questione del rapporto tra rappresentanza popolare e potestà monarchica. La situazione era complessa: da un lato vi era l’assemblea di Francoforte, priva di legittimazione istituzionale ma sostenuta dal favore popolare; dall’altro lato vi era un’assemblea legittima dal punto di vista istituzionale, ma priva del consenso popolare e di autorità morale. Successive sollevazioni in Prussia e Austria spinsero i sovrani a promettere concessioni e riforme e favorirono l’accettazione da parte dei principi tedeschi delle decisioni prese dal Vorparlament di Francoforte sia sulla legge elettorale per l’assemblea nazionale che sull’abolizione della Confederazione germanica316. 310 F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, p. 33. F. LANCHESTER, op. loc. ult. cit. G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, Laterza, Roma – Bari, 2003, p. 262. M. CARAVALE, Storia del Diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 301. G. MANN, Deutsche Geschichte des 19. und. 20 Jahrhunderts, tr. it Storia della Germania moderna 1798 – 1958, 311 312 313 314 p. 136. 315 G. MANN, op. loc. ult. cit. M. CARAVALE, Storia del Diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 301. 316 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 140 AmbienteDiritto - Editore© Il Vorparlament deliberò l’elezione di un’Assemblea Nazionale Costituente che prese il nome di Nationalversammlung - avvenuta l’1 maggio a suffragio prevalentemente universale maschile317; la tornata elettorale per la precisione avvenne negli Stati che avevano già una costituzione «in base al suffragio vigente; negli Stati privi di Costituzione, e tra questi erano sia la Prussia che l’Austria, a suffragio universale 318». La Costituente si radunò il 18 dello stesso mese a Francoforte sul Meno; i componenti dell’assemblea appena eletta provenivano in maggioranza dalla classe media; come osserva A. J. P. Taylor dalle urne era uscita «un’assemblea di notabili […]. Non c’era un solo operario e soltanto un contadino […]. Quindici, per di più impiegati delle poste e delle dogane […] figuravano come classe media inferiore. Tutti gli altri erano i prodotti per bene dell’istruzione universitaria: 49 professori d’università; 57 insegnanti di scuola secondaria; 157 di grado elevato; 18 medici; 43 scrittori; 16 pastori protestanti; un prete cattolico tedesco e 16 sacerdoti cattolici. Cento e sedici non indicarono professione alcuna, e fra questi v’erano pochi nobili; ma anche fra questi 116, di gran lunga la maggior parte apparteneva alla borghesia facoltosa. C’erano soltanto sedici ufficiali dell’esercito, e questi provenienti dagli Stati liberali dell’ovest. La Germania del concetto era diventata un organismo collettivo 319». Tuttavia, come ha chiarito Gianni Ferrara, la composizione sociale impedì all’Assemblea di assumere una funzione rivoluzionaria, dato che la maggior parte dei componenti apparteneva alla burocrazia amministrativa dei vari Stati, o all’apparato giudiziario, oppure ancora alla categoria di docenti e insegnanti, mentre in misura minore vi erano anche ufficiali ed ecclesiastici 320. L’Assemblea quindi era composta in maggioranza da funzionari statali, leali alle istituzioni esistenti, paradossalmente «proprio […] quelle che avrebbe dovuto rovesciare 321». La composizione dell’assemblea fu conseguenza, come ha osservato Maria Serena Piretti, del meccanismo di selezione all’interno di quelle associazioni che si sarebbero trasformate in partiti politici nel corso del XIX secolo; queste associazioni agirono da vere e proprie formazioni pre-partitiche ed ebbero grande influenza nella definizione delle candidature, al riguardo va evidenziato come a partire dal 1848-49 e per lungo tempo la selezione dei candidati riguardò solo i notabili, inoltre per il sistema elettorale adoperato per l’elezione dell’Assemblea nazionale tedesca fu adottato il dell’«indipendenza e fu lasciato ai singoli stati il compito di chiarirne il significato 317 318 319 320 321 322 requisito 322 , dunque C. GHISALBERTI, Istituzioni e società nell’Italia del Risorgimento, p. 142. «In generale –scrive T. Kühne – si può affermare che nel 1848 l’Assemblea nazionale tedesca e le sue equivalenti negli stati furono elette in base ad un sistema elettorale relativamente democratico. Per l’elezione all’Assemblea nazionale tedesca si adottava generalmente il ballottaggio segreto e uguale per tutti gli adulti che fossero “indipendenti” e di sesso maschile. Veniva solitamente lasciata agli stati federati il compito di definire il requisito dell’indipendenza e di decidere se la votazione dovesse svolgersi in modo diretto o indiretto». T. KÜHNE, Il caso tedesco in I sistemi elettorali in Europa tra Otto e Novecento, cur. M.S. PIRETTI, Laterza, Roma – Bari, 1997, p. 45. A.J.P. TAYLOR, The course of german history, tr. it Storia della Germania, p. 87. A. J. P. TAYLOR, op. cit. p. 88. G. FERRARA, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli, 2006, p. 159. G. FERRARA, op. loc. ult. cit. T. KÜHNE, Il caso tedesco in I sistemi elettorali in Europa tra Otto e Novecento, cur. M.S. PIRETTI, Laterza, Roma – Bari, 1997, p. 44 – 45. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 141 AmbienteDiritto - Editore© sia la selezione interna nelle embrionali forme di partito ad opera dei notabili che la discrezionalità nel definire l’«indipendenza» dei candidati da parte degli stati tedeschi furono la causa dell’elezione di un’ assemblea moderata e fedele alle istituzioni. Secondo Carlo Ghisalberti la Costituente di Francoforte aveva caratteristiche sui generis per due motivi; in primo luogo perché «era la conseguenza delle iniziative e appelli di un Vorparlament che ne avrebbe dovuto indicare l’oggetto e il metodo di lavoro 323»; in secondo luogo per i limiti alle sue possibilità di operare causati dall’oggettiva difficoltà di creare uno Stato tedesco unificato, dal momento che i principali paesi del panorama germanico, vale a dire Austria e Prussia, avevano ordinamenti costituzionali separati324. Il 18 maggio l’Assemblea Nazionale iniziò i suoi lavori, venne eletto presidente del consesso Heinrich von Gagern, proveniente dall’Assia ed esponente del “centro”. Si costituirono infatti “partiti” in seno al parlamento appena eletto: la sinistra; la destra; il centro; e sparuti gruppi di centro-destra e centro-sinistra 325. La destra era portatrice degli interessi delle classi facoltose e aveva come obiettivo la promulgazione di una costituzione moderata e rispettosa delle autonomie dei singoli principati; la sinistra era favorevole alla creazione di un governo centrale dotato di vasti poteri e puntava alla riduzione delle diseguaglianze sociali; l’estrema sinistra voleva instaurare una repubblica; infine il centro tentava di mediare tra le posizioni della destra e della sinistra 326. I membri dell’assemblea da un lato si proponevano di dare una Costituzione alla Germania; dall’altro lato volevano dimostrare che un governo liberale tedesco era in grado di difendere l’ordine sociale all’interno e gli interessi tedeschi all’estero327. I componenti del Nationalversammlung pertanto decisero di creare un governo centrale; al riguardo va osservato che si confrontarono due posizioni opposte: la destra era favorevole a un direttivo costituito da principi; di contro la sinistra era propensa alla creazione di un comitato esecutivo, nominato dalla stesso consesso 328. L’Assemblea si orientò per una terza soluzione: l’elezione a reggente di un principe che animato da idee liberali, individuato nell’Arciduca Giovanni d’Austria, fratello del precedente imperatore Francesco II329 e sostenuta sia dalla destra romantica che dalla sinistra radicale; per un verso una rappresentava una reviviscenza del Sacro Romano Impero, per un altro verso affermava l’idea democratica di una Grande Germania 330. L’Austria, indebolita dalla crisi interna, dalla rivoluzione ungherese e dal conflitto con il Regno di Sardegna non intervenne nello scacchiere germanico; per di più la debolezza asburgica paralizzò il partito austriaco nel 323 C. GHISALBERTI, Istituzioni e società nell’età del Risorgimento, Laterza, Roma – Bari, 2005, p. 142. C. GHISALBERTI, op. loc. ult. cit. G. MANN, Deutsche Geschichte des 19. und. 20 Jahrhunderts, tr. it Storia della Germania moderna 1798 – 1958, 324 325 p. 141. 326 G. MANN, op. loc. ult. cit. A.J.P. TAYLOR, The course of german history, tr. it Storia della Germania p. 88. G. MANN, Deutsche Geschichte des 19. und. 20 Jahrhunderts, tr. it Storia della Germania moderna 1798 – 1958, 327 328 141. 329 A.J.P. TAYLOR, The course of german history, tr. it Storia della Germania p. 88. A. J. P. TAYLOR, op. cit. p. 89. 330 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 142 AmbienteDiritto - Editore© Parlamento di Francoforte, la fazione filo-austriaca era favorevole ad un programma grandetedesco, vale a dire all’inclusione dell’Austria in una Grande Germania. Posto in minoranza, il partito austriaco si eclissò e restarono padroni del campo i fautori del programma piccolotedesco331. I primi mesi dell’attività dell’Assemblea Costituente furono intensi, vi fu un dibattito che si avvalse dei contributi e delle elaborazioni di una serie di commissioni cui presero parte uomini provenienti da diversi schieramenti politici 332 e il risultato fu l’approvazione del Grundrecht des deutschen Volks , ovvero i diritti fondamentali del popolo tedesco, entrati in vigore il 27 dicembre 1848. Il testo constava di nove articoli e prevedeva: il diritto di cittadinanza, di soggiorno, di residenza, l’eguaglianza davanti alla legge, la libertà personale di domicilio, il segreto epistolare, la libertà di stampa, di associazione, di confessione religiosa, di insegnamento333. 331 332 333 G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, p. 262. G. VALERA in T. MOMMSEN, Die Grundrechte des deutschen Volkes, tr. it I diritti fondamentali del popolo tedesco. Commento alla costituzione del 1848 cur. G. VALERA tr. di Benedetta Giordano, il Mulino, Bologna, 1994, p. XV F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, p. 33. Ritengo opportuno riportare gli artt. I – IV de I diritti fondamentali, vale a dire quelli relativi alla cittadinanza, l’uguaglianza davanti alla legge, l’inviolabilità della persona e la libertà di stampa. Ho consultato T. MOMMSEN, Die Grundrechte des deutschen Volkes, tr. it I diritti fondamentali del popolo tedesco. Commento alla costituzione del 1848 cur. G. VALERA tr. di Benedetta Giordano, pp. 1 47. Articolo I Diritto di cittadinanza §. 1. Il popolo tedesco è costituito dai cittadini degli stati che formano il Reich tedesco. §. 2. Ogni Tedesco ha il diritto di cittadinanza del Reich e può esercitare in tutti i territori tedeschi i diritti che da esso gli derivano. Sul diritto a votare per l’Assemblea del Reich disporrà una legge elettorale emanata dal Reich. §. 3. Ogni Tedesco ha il diritto di soggiornare e di risiedere in qualsiasi luogo del Reich, di acquistare e disporre in tale luogo di beni immobili di qualsiasi tipo, di praticarvi qualsiasi arte o mestiere e di acquisirvi il diritto di cittadinanza. Le condizioni per il soggiorno e la residenza verranno stabilite per tutta la Germania dal potere del Reich con una legge specifica sul diritto patrio, quelle per le attività produttive con un regolamento in materia di professioni e mestieri. §. 4. Nessuno stato tedesco può operare distinzioni nel diritto penale, processuale e civile tra i propri cittadini e gli altri Tedeschi, ponendo i secondi, come stranieri, una posizione di inferiorità. §. 5. La pena della morte civile non deve essere più applicata e, dove sia già stata inflitta, ne dovranno cessare gli effetti, salvo che ciò non comporti la lesioni di diritti privati già acquistati. §. 6. La libertà di emigrazione non è limitata dallo Stato. Non si possono riscuotere tasse di emigrazione. Su tutte le questioni concernenti l’emigrazione vige la tutela e l’assistenza del Reich. Articolo II Uguaglianza davanti alla legge §. 7. Davanti alla legge non vige nessuna differenza di ceto. È abolita la nobiltà in quanto ceto. Tutti i privilegi di ceto sono aboliti. Tutti i Tedeschi sono uguali davanti alla legge. Sono soppressi e non possono essere più introdotti, tutti i titoli che non siano legati ad una carica. Nessun cittadino può accettare decorazioni da uno stato straniero. Tutti gli idonei, indistintamente, possono accedere alle cariche pubbliche. Il servizio militare è obbligatorio per tutti. Non sono consentite sostituzioni nell’assolvimento dello stesso. Articolo III Inviolabilità della persona §. 8. La libertà personale è inviolabile. L’arresto di una persona può aver luogo, salvo che nei casi di cattura in flagranza di reato, soltanto in forza di un decreto giudiziario motivato. Tale decreto deve essere notificato all’arrestato al momento dell’arresto o entro le ventiquattr’ore successive. L’autorità di polizia deve rilasciare o rimettere alle autorità giudiziarie chiunque sia stato preso in custodia, nel corso della giornata successiva al fatto. Ogni accusato deve essere rilasciato dietro prestazione della cauzione o di una fideiussione, che verrà stabilita dal tribunale, a meno che a carico dello stesso non sussistano seri indizi di un grave delitto penale. In caso di carcerazione disposta o prolungata arbitrariamente, il responsabile delle stessa, e, ove necessario, lo Stato, sono obbligati al risarcimento dei danni morali e materiali. Si riserva a leggi speciali la possibilità di apportare le modifiche necessarie a queste disposizioni per quanto concerne la marina e l’esercito. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 143 AmbienteDiritto - Editore© La svolta reazionaria dei primi mesi del 1849 non impedì all’Assemblea di elaborare un testo costituzionale. La Frankufrter Reichsverfassung - nota anche come Paulskirchenverfassung fu infatti approvata il 28 marzo 1849. Il Parlamento constava di due camere: la Camera degli Stati e la Camera del Popolo (§85); della Camera degli Stati facevano parte i rappresentanti dei principati tedeschi (§86) mentre la Camera del Popolo era elettiva (§87) e restavano in carica per tre anni (§94)334. Per quanto riguardava i diritti economici la Costituzione riconosceva l’inviolabilità della proprietà, abolizione della servitù e del vassallaggio di origine feudale; erano prevista inoltre la tutela delle minoranze linguistiche 335. Gli stati membri mantenevano completa libertà in materia di legislazione generale, imposizione diretta, polizia ed istruzione, oltre che la guida degli eserciti e la direzione dell’amministrazione e si impegnavano a darsi una costituzione. Erano attribuite inoltre ampie competenze al Reich, al cui vertice vi era il Kaiser, cui spettavano: il potere esecutivo, la rappresentanza internazionale sia del Reich che dei singoli stati, la stipulazione dei trattati internazionali, il comando delle forze armate, la dichiarazione di guerra, la stipula di accordi commerciali ed economici, lo scioglimento del §. 9. È abolita la pena di morte, eccezion fatta per i casi in cui essa sia prescritta dalla legge marziale, o, in caso di ammutinamento, ammessa dal diritto marittimo; sono abolite inoltre le pene della berlina, della bollatura e delle sanzioni corporali. §. 10. Il domicilio è inviolabile. La perquisizione domiciliare è consentita soltanto: 1) in forza di un decreto giudiziario motivato, che dovrà essere notificato alla parte interessata immediatamente, o entro le ventiquattr’ore successive; 2) in caso di inseguimento in flagranza, da parte del funzionario legalmente autorizzato; 3) nei casi e nelle forme in cui sia eccezionalmente consentita dalla legge ad alcuni funzionari anche senza decreto giudiziario. La perquisizione domiciliare deve essere effettuata, ove possibile, previa consultazione degli inquilina della casa. L’inviolabilità del domicilio non costituisce ostacolo all’arresto di una persona su cui gravi un procedimento giudiziario. §. 11. Il sequestro di lettere e documenti – salvo in caso di arresto o perquisizione domiciliare – può essere effettuato solo in forza di un mandato giudiziario motivato, che deve essere notificato all’interessato immediatamente, oppure entro le ventiquattr’ore successive al fatto. §. 12. È garantito il segreto epistolare. Le restrizioni necessarie in caso di guerra e di inchiesta penali verranno stabilite dalla legge. Articolo IV Libertà di stampa §. 13. Tutti i Tedeschi hanno il diritto di esprimere liberamente la propria opinione con la parola, lo scritto, la stampa e le immagini. La libertà di stampa non può essere limitata, sospesa o abolita in nessun caso e in nessun modo attraverso misure preventive quali censure, licenze, costituzioni di garanzia, imposte statali, limitazioni alle tipografie o al commercio librario, divieti postali ed altri ostacoli alla libera circolazione. I reati commessi con il mezzo della stampa perseguibili d’ufficio vengono giudicati dalle Corti d’Assise. Una legge sulla stampa verrà promulgata dal Reich”. 334 Costituzione di Francoforte del 28 marzo 1849, Titolo IV, Il Reichstag «§86. La Camera degli Stati è composta dai rappresentanti degli Stati tedeschi». «§88. I membri della Camera degli Stati vengono nominati per metà dal governo e per metà dall’organo rappresentativo popolare degli Sati interessati. Negli Stati composti da più province o Länder con Costituzione o amministrazione propria, i membri della Camera degli Stati non vanno nominati dall’organo rappresentativo generale dello Stato, ma dalle rappresentanze dei singoli Länder o delle singole province. La ripartizione del numero dei membri di questo Stato tra i singoli Länder o le singole province resta di competenza della legislazione dello Stato. Ove non ci siano due camere e non esista una rappresentanza delle province, le due camere votano in seduta comune a maggioranza assoluta». Per consultare la Frankfurter Reichsverfassung ho adoperato F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, pp. 155 – 182. La Costituzione di Francoforte è stata tradotta da Andrea De Petris. 335 F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn, Introduzione e testi, p. 34. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 144 AmbienteDiritto - Editore© Reichstag, il veto sospensivo sulla decisioni del Parlamento e la nomina del governo 336. Nell’aprile 1849 fu poi approvata la legge elettorale per l’elezione dei parlamentari alla Camera del Popolo (Gesetz, betreffend die Wahlen der Abgeordneten zum Volkshause, "Frankfurter Reichswahlgesetz” del 12 aprile 1849), che attribuiva il diritto di voto a ciascun tedesco che avesse raggiunto i 25 anni; erano eleggibili coloro che, oltre al requisito dell’età, risiedevano da tre anni in uno Stato della Confederazione 337, non fossero sottoposti a tutela o curatela o avessero ricevuto sussidi di povertà nell’anno precedente le elezioni 338. Per quanto concerne la legge elettorale va osservato che nello stesso anno in cui furono promulgate le disposizioni sull’elezione della Camera del Popolo fu riformato il sistema elettorale per la camera elettiva del Landtag prussiano. Il meccanismo introdotto in Prussia era stato mutuato dalla legge elettorale a tre classi introdotta in Renania nel 1845 339 e prevedeva l’attribuzione del «diritto di voto all’interno di un sistema di carattere plutocratico e con un contenuto criptocorporativo340». In base a questo meccanismo in ogni comune gli elettori furono suddivisi in tre diverse classi, questo meccanismo presentava due caratteristiche fondamentali: in primo luogo era plutocratico, in secondo luogo corporativo. La ripartizione degli elettori in ciascuna classe avveniva sulla base dell’imposizione fiscale e secondo gli ideatori di tale modello questo sistema elettorale «avrebbe riunito le persone accomunate dallo stesso punto di vista e dagli stessi desideri a causa della condivisione del medesimo stile di vita e dei medesimi bisogni 341». È stato calcolato che tra il 1848 e il 1918 la prima classe fu costituita da circa il 3 -5% degli elettori, la seconda dall’11% - 16%, infine la terza dall’80 – 86%, inoltre una stima approssimativa ha consentito di rilevare come il voto della prima classe avesse un peso superiore circa 25 volte quello terza e in alcuni casi addirittura maggiore. A questo va aggiunto che la procedura elettorale era indiretta e si svolgeva in modo collettivo, dato che ciascuna classe votava i propri delegati secondo una sequenza predeterminata: dapprima gli elettori della terza classe, poi quelli della seconda e in ultimo quelli della prima, di conseguenza i lavoratori, che appartenevano alla terza classe, votavano sotto l’occhio vigile dei loro datori di lavoro. Ogni elettore votava oralmente dinnanzi agli altri e ciascuna classe eleggeva per distretto un numero fisso di delegati, che avrebbero poi avuto un peso uguale nell’elezione diretta dei rappresentanti342. L’attività parlamentare dell’Assemblea di Francoforte ebbe termine con un fallimento, il consesso offrì infatti la corona imperiale al Re di Prussia Federico Guglielmo IV. Il sovrano tuttavia, ancorato al posizioni conservatrici, subordinò la propria accettazione al consenso degli altri principi, dal momento che tale consenso mancò, il 28 aprile 336 M. CARAVALE, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, pp.304 – 305. F. LANCHESTER, Le Costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn, Introduzione e testi, p. 34. Gesetz, betreffend die Wahlen der Abgeordneten zum Volkshause, "Frankfurter Reichswahlgesetz, Art.I §2. T. KÜHNE, Il caso tedesco in I sistemi elettorali in Europa tra Otto e Novecento, cur. M.S. PIRETTI, p. 39 T. KÜHNE op. cit. p. 40. T. KÜHNE, op. loc. ult. cit. T. KÜHNE, op. cit. pp. 40 – 41. 337 338 339 340 341 342 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 145 AmbienteDiritto - Editore© il monarca prussiano rifiutò la proposta. 343 La Costituzione di Francoforte era sostanzialmente di natura liberal – borghese e tentò di risolvere il problema nazionale orientandosi verso la soluzione piccolo – tedesca344, la Carta costituzionale tuttavia non fu mai applicata e la Costituente fu sciolta dalla reazione345. Conclusioni. Il 1848 è stato analizzato con estrema attenzione della storiografia, come dimostra la definizione Vormärz, adoperata per individuare il periodo antecedente la rivoluzione. Secondo la storiografia nazional – liberale gli eventi rivoluzionari rappresentarono la prima tappa verso l’unificazione della Germania; questa approccio ha sottolineato il ruolo svolto dal Parlamento di Francoforte nell’elaborare una Costituzione per la Germania ma ha messo in secondo piano le agitazioni sociali avvenute nel biennio ‘48 – ‘49, oltre a trascurare la divergenza tra i movimenti sociali e manovre politiche. Altra parte della storiografia ha posto al centro dell’analisi i movimenti di massa e ne ha interpretato lo sviluppo in prospettiva marxista – leninista secondo la teoria della lotta di classe; questo punto di vista evidenzia il ruolo della masse nella rivoluzione del 1848, ma sopravvaluta da un lato il ruolo delle avanguardie socialiste e comuniste, dall’altro lato rappresenta una composizione dei fronti in lotta molto diversa da quella reale, infatti presero parte alla rivoluzione contadini impoveriti, piccoli commercianti, artigiani, vale a dire figure sociali appartenenti al mondo preindustriale, mentre non è del tutto certa la presenza di un elevato numeri di operai 346. Esaminate le teorie sulla rivoluzione del 1848, è necessario analizzare ora quali furono le cause del fallimento rivoluzionario. «Né come dialettico di opposti, né come dialettico di distinti – scrive Gianni Ferrara ̶ poteva configurarsi il rapporto del costituzionalismo con il potere politico in Germania per tutta la prima metà dell’Ottocento 347»; l’autore mette in risalto la situazione dello scenario 343 344 345 346 347 M. CARAVALE, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, p. 305. F. Lanchester, Le costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzioni e testi, p. 35. «Nel Parlamento Germanico si affollano e contrastano le idee più diverse: generosi patriottismi convivono con aspirazioni pangermanistiche rivolte a spazi misurati e ad indefinite egemonie; esigenze democratiche di riforme radicali trapassano in progetti di integrazione economica commerciale e industriale dell’intera area centroeuropea; principi generali in termini di Repubblica o Monarchia, centralismo o federalismo, si stemperano in sottili disquisizioni giuridiche o in calcoli di futuri equilibri politici; etc. Tutte queste tendenze si confondono e confluiscono in due alternative: quella grande – tedesca, che abbraccia anche l’Impero asburgico e ne vuole la prevalenza, e quella piccolo – tedesca che lo esclude e accetta la supremazia prussiana. La carica innovatrice va così ma mano affievolendosi, assieme allo spirito unitario ed alle concrete prospettive politiche di una Germania unificata: il 28 marzo 1849 la proposta piccolo – tedesca di stretta misura ottiene la maggioranza; l’Austria ritira i suoi rappresentanti. La Corona di un Impero Germanico è offerta al Re di Prussia Federico Guglielmo IV: questi rifiuta ciò che gli viene da un’Assemblea di salumai e bottegai. Il tentativo di unificazione tedesca si spegne così, mentre gli Stati «regionali» riprendono la loro vita indipendente. Le manifestazioni contrarie che si hanno in varie parti della Germania, ad opera di gruppi di tendenza democratica e repubblicana, sono represse con durezza senza grossi problemi. Anche ciò che resta del Parlamento (trasferitosi a Stoccarda) è sciolto con la forza (18 giugno 1849)» G. NEGRELLI, L’età contemporanea, p. 133 – 134. C. MORTATI, Le forme di governo, Padova, Cedam, 1973, p. 144. G. CORNI, Introduzione alla storia della Germania contemporanea, pp. 86 – 87. G. FERRARA, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli, 2006, p. 151. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 146 AmbienteDiritto - Editore© tedesco nella prima metà dell’Ottocento; il panorama teutonico era caratterizzato dalla frammentazione del potere politico: singoli regni da un lato; autorità imperiale dall’altro lato; per di più la questione dell’unificazione nazionale oscillava tra due tendenze: quella grossdeutsch e quella kleindeutsch348. L’illustre studioso ha evidenziato l’assenza degli elementi essenziali, ovvero una classe dirigente compatta e la volontà di compiere una rivoluzione politica affinché il costituzionalismo tedesco potesse trovare la sua dimensione e la mancanza di tali presupposti è evidenziata dal raffronto con l’esperienza nordamericana 349. Nelle colonie americane, soggiogate all’Inghilterra, erano sbocciate le condizioni essenziali perché potesse sorgere uno Sato e di conseguenza una nazione, vale a dire: una società civile compatta e consapevole delle sue peculiarità, in grado di esprimere sia una classe dominante che una classe dirigente e abile nel guidare la creazione di un nuovo Stato – seppure inizialmente nella forma della confederazione – muovendo guerra alla madrepatria inglese e conquistando l’indipendenza350. L’assetto istituzionale tedesco era però profondamente diverso da quello americano; non era infatti immaginabile – prosegue Ferrara – una guerra rivoluzionaria in Germania, dal momento che mancava nel panorama tedesco una soggetto idoneo a ergersi a fattore rivoluzionario. Karl Marx in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel aveva escluso una rivoluzione politica in Germania, anche un semplice rivolgimento idoneo ad incidere sulla struttura economica e sociale teutonica. Come ha messo efficacemente in risalto il filosofo, mancava nel panorama germanico una classe politica in grado di compiere sia un’emancipazione generale che un’emancipazione parziale 351. Scriveva Marx: «In Germania l’emancipazione dal medioevo è solo possibile come emancipazione simultanea dai parziali superamenti del Medioevo. In Germania nessuna specie di servitù potrà essere spezzata senza che sia spezzata qualsiasi specie di servitù. La profondamente solida Germania non potrà fare la rivoluzione senza farla nel profondo352». Anche Benedetto Croce nella Storia d’Europa nel secolo decimonono riscontrava l’assenza sia di una cultura che di una classe rivoluzionaria tedesca 353; questo difetto del resto era già stato messo in risalto da Balzac, che non a caso affermava « Les Allemandes, s’ils ne savent pas jouer des grandes instruments de la liberté savent jouer naturellement de tous les instruments de musique354». Il 1848 dunque, pur differenziando il Vormärz – il periodo precedente al 1848 – dal Nachmärz, ovvero la fase successiva ai rivolgimenti di quell’anno, palesò secondo Gianni Ferrara «l’eguale inadeguatezza a corrispondere interamente allo spirito del secolo, lo spirito 348 349 350 351 352 353 354 Per un quadro generale sulle posizioni kleindeutsch e grossdeutsch cfr. J. BREUILLLLY, La formazione dello stato nazionale tedesco, il Mulino, Bologna, 2004, p. 13 ss. G. FERRARA, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, p. 151. G. FERRARA, op. cit. pp. 151 – 152. K. MARX, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel in Scritti politici giovanili a cura di L. FIRPO, Einaudi, Torino, 1950, p. 410. K. MARX, op. cit. p. 412. B. CROCE, Storia d’Europa nel secolo decimonono, (cur. G. GALASSO), Adelphi, Milano, 1993, p. 156. H. BALZAC, Les Cousin Pons, La Gibecière à Mots, 2019. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 147 AmbienteDiritto - Editore© del costituzionalismo che era liberale e nazionale insieme 355». Questa inidoneità era stata causata per un verso dall’assenza di una borghesia rivoluzionaria, per l’altro verso dalla mancanza di cultura e di un Volksgeist corrispondente al progetto perseguito dal liberalismo europeo356 e provocò il fallimento della Costituzione di Francoforte e del movimento liberale, fermando inoltre per altri vent’anni il progetto di unificazione nazionale, realizzato poi da Bismarck con «sangue e ferro». Bibliografia BALZAC H., Les Cousin Pons, La Gibecière à Mots, 2019. BANTI A. M., L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo , Laterza, Roma – Bari, 2009. BISCARETTI DI RUFFIA P., Introduzione al Diritto Costituzionale Comparato. Le forme di stato e le forme di governo. 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Il dibattito costituzionalistico tedesco tra il 1900 e il 1918, Giuffrè, Milano, 1985, pp. 43 – 44. C. MORTATI, La Costituzione di Weimar, Sansoni, Firenze, 1946, pp. 8 ss. G. FERRARA, op. loc. ult. cit. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 148 AmbienteDiritto - Editore© MARX K., Per la critica della filosofia del diritto di Hegel , in Scritti politici giovanili, cur. L Firpo, Einaudi, Torino, 1950. MOMMSEN T., Die Grundrechte des deutschen Volkes, tr. it I diritti fondamentali del popolo tedesco. Commento alla costituzione del 1848 cur. G. Valera, il Mulino, Bologna, 1994. MORTATI C., Le forme di governo. Lezioni, Cedam, Padova, 1973. MORTATI C., La Costituzione di Weimar, Sansoni, Firenze, 1946. NEGRELLI G., L’età contemporanea, Palumbo, Padova, 1992. PADOA SCHIOPPA A., Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea , il Mulino, Bologna, 2007. PARODI G., La Germania e l’Austria in P. CARROZZA – A. DI GIOVINE – G. F. 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Lgs. n. 22 del 1997 che ha introdotto l’istituto della bonifica nell’ordinamento giuridico. Abstract (en) The decisions of the Plenary Meeting of the State Council n. 10 of 22 October 2019 unravel the legal contrast about the remediation order’s legitimacy of the Administration against a company that has no responsability for the pollution but that had taken over, by means of fusion operation, the company which caused pollution in time before the legislative decree n. 22 of 1997 that introduced the remediation in Italian legal system. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La nozione di ambiente: gli indirizzi dottrinali. - 3. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: la natura della condotta di inquinamento ambientale prima dell’introduzione della bonifica. - 4. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: la natura della condotta di inquinamento ambientale prima dell’introduzione della bonifica. - 5. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: la trasmissibilità degli obblighi e responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito per effetto di operazioni societarie straordinarie. - 6. Brevi considerazioni conclusive. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 150 AmbienteDiritto - Editore© 1. Premessa. Con la sentenza n. 10 del 22 ottobre 2019, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha dipanato il contrasto giurisprudenziale in punto di legittimità dell’ordine di bonifica emesso dalla Pubblica Amministrazione verso una Società non responsabile dell’inquinamento ma subentrata nella posizione della Società responsabile per effetto di una fusione per incorporazione e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi, tuttavia, permangono al momento dell’adozione del provvedimento. Il deferimento della questione all’Adunanza Plenaria trae origine dal giudizio di impugnazione promosso dalla Società Alfa contro l’ordine impartitole dalla Pubblica Amministrazione di procedere alla bonifica di uno stabilimento industriale in cui, da diverso tempo, venivano prodotti materiali per l’assemblaggio di automobili e treni, la cui produzione aveva determinato un inquinamento ambientale. In primo grado il T.A.R. per il Piemonte aveva respinto il ricorso. Il Consiglio di Stato respingeva, con sentenza definitiva, tutte le censure dell’appellante ad eccezione di una in relazione alla quale riteneva necessaria la devoluzione all’Adunanza Plenaria. In particolare l’ordinanza di rimessione 357 ha individuato talune questioni attinenti, seppure in parte, ambiti di diritto civile e commerciale, riproponendo le censure formulate dalla Società Alfa appellante: nel dettaglio quest’ultima rappresentava di non aver mai gestito direttamente il sito industriale ove si era determinato l’inquinamento ed, inoltre, che lo stesso fosse imputabile ad altre Società in quanto proprietarie dello stabilimento industriale negli anni in cui si è verificato l’inquinamento contestato, sebbene le stesse fossero state incorporate, nel 1991, nella Società Alfa appellante. Inoltre la stessa Società Alfa evidenziava come l’istituto dell’obbligo di procedere alla bonifica in capo al soggetto responsabile di eventi di contaminazione fosse stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento con l’art. 17 del D.Lgs. n. 22 del 1997 358 (c.d. Decreto Ronchi) e che, pertanto, lo stesso non potesse applicarsi ad episodi di inquinamento precedenti alla propria vigenza. In altre parole l’ordine di bonifica era da ritenersi illegittimo in quanto rivolto ad una Società che non risultava aver mai posto in essere alcuna condotta inquinante e, inoltre, tale condotta risultava posta in essere in un momento in cui non vi era alcun disvalore giuridico ascrivibile alla stessa atteso che la legislazione vigente ratione temporis non prevedeva tale istituto. La IV sezione del Consiglio di Stato rimetteva pertanto la seguente questione all’Adunanza Plenaria: se sia legittimo l’ordine di bonifica di siti inquinati ex art. 244 c.d. 357 358 L’ordinanza n. 2928 del 7 maggio 2019 della IV Sezione del Consiglio di Stato. Per un primissimo commento si veda ROVETA S., La Società incorporante risponde per l’inquinamento dell’incorporata? Osservazioni a margine della rimessione all’adunanza plenaria – nota a Consiglio di Stato ord. n. 2928/2019, in Ambiente e sviluppo, 2019, 7, 525. Poi sostituito in sostanziale continuità normativa dagli artt. 242 e ss. del D.Lgs. n. 152 del 2006. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 151 AmbienteDiritto - Editore© codice dell’ambiente359 per un inquinamento di origine industriale risalente ad epoca antecedente a quella in cui l’istituto di bonifica è stato introdotto nell’ordinamento giuridico e, inoltre, nei confronti di una società non responsabile dell’inquinamento ma subentrata a quella responsabile per effetto di successive operazioni di fusione di società per incorporazione nel regime antecedente alla riforma del diritto societario. Nel trattare e risolvere le questioni di diritto deferite al Supremo Consesso, la sentenza in esame affronta tre punti controversi, posti in rapporto di consecuzione logica tra loro: in primo luogo svolge un’analisi sulla natura illecita o meno della condotta di inquinamento ambientale prima dell’introduzione della bonifica dei siti inquinati; in secondo luogo, una volta verificato se la condotta di inquinamento possa inquadrarsi tra le fattispecie illecite, analizza il rapporto sussistente tra la suddetta condotta e l’istituto della bonifica ed, in particolare, se, incontestata la discontinuità normativa tra i due istituti, sia possibile ordinare la bonifica per fatti risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione a livello legislativo; da ultimo, affronta l’ulteriore profilo connesso alla trasmissibilità per effetto di operazioni societarie straordinarie, nel caso de quo di fusione, degli obblighi e responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito. Motivi di chiarezza espositiva impongono di trattare i suddetti punti separatamente, previa la necessaria disamina dei principali orientamenti dottrinali in ordine alla nozione di ambiente. 2. La nozione di ambiente: gli indirizzi dottrinali. Le teorizzazioni dottrinarie in materia di ambiente 360 hanno trovato un’ampia proliferazione in ragione dell’assenza di una puntuale ed espressa definizione di ambiente da parte del Legislatore italiano quale autonomo oggetto di tutela 361. Invero, le norme costituzionali che si occupano, seppur indirettamente, di ambiente sono tre: l’art. 32 nel quale si stabilisce che « la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività», l’art. 9 nel quale si prevede che « la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione» e l’art. 117 che ascrive allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente»362. 359 360 361 362 Di cui al D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 recante “Norme in materia di ambiente”. Si sottolinea come l’opera di accertamento dell’esistenza dell’ambiente come materia autonoma è stata di per sé oggetto di riflessioni dottrinali. Si veda CECCHETTI M., La disciplina giuridica della tutela ambientale come “diritto dell’ambiente”, in Federalismi.it, p.2 secondo il quale «si dovrebbe ragionare più propriamente, almeno allo stato attuale, di un “diritto per l’ambiente” volendosi esprimere con tale formula l’intrinseca “trasversalità” della tutela giuridica dell’ambiente rispetto a tutti i settori tradizionali del diritto (internazionale, comunitario, costituzionale, amministrativo, tributario, civile, penale, ecc), trasversalità che impone una specifica conformazione e, in molti casi, una vera e propria torsione degli istituti e degli strumenti propri di tali discipline». Un primo riferimento normativo può essere rinvenuto nella l. n. 1089 del 1939 la quale nel tutelare “le collezioni o serie di oggetti” individuava tra i loro elementi di interesse storico o artistico anche le caratteristiche ambientali, intese tuttavia in significato assai lontano dalla nozione di ambiente in senso tecnico. Sul punto risulta di interesse evidenziare come talune Costituzioni abbiano invece previsto espressamente l’ambiente quale bene giuridico oggetto di tutela. Si pensi alla Costituzione argentina nella quale viene ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 152 AmbienteDiritto - Editore© Tuttavia, attesa la mancanza in Costituzione di riferimenti diretti alla definizione di ambiente in quanto tale, a partire dagli anni ’70 si sono sviluppati differenti e spesso contrastanti orientamenti dottrinali mossi dall’unico obiettivo di fornire una nozione giuridica unitaria di ambiente, desumendola anche dal contesto normativo. Le correnti dottrinarie sviluppatesi in tale periodo possono ricondursi, semplificando, in due grandi insiemi. Il primo autorevole orientamento363 ha escluso che i beni ambientali possano essere ricondotti ad una categoria unitaria ritenendo la tutela dell’ambiente un risultato dell’azione amministrativa volta alla cura di altri beni e interessi. In tale prospettiva l’ambiente è stato concepito, in una trilogia eterogenea per finalità, principi direttivi e procedimenti, come insieme di beni costituenti le bellezze naturali, i beni culturali, le foreste e i parchi, protetti dalle diverse disposizioni dell’ordinamento giuridico poste a difesa del paesaggio; come complesso degli spazi in cui si manifestano le condotte inquinanti dell’uomo sanzionate da specifiche norme antinquinamento; infine “ambiente” inteso in senso urbanistico disciplinato dalla relativa normativa di settore ovvero, in altri termini, riferito al governo del territorio 364. In questa tripartizione viene pertanto in rilievo la tutela del paesaggio 365, inteso quale insieme di interessi e valori che, seppur riferiti alla territorio in senso naturalistico, appartengono alla sfera della cultura intesa in senso ampio; la tutela dell’ambiente intesa quale conservazione della biosfera e, dunque, quale mantenimento delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche tali da garantire la vita dell’uomo e delle comunità animali e vegetali; in via residuale, infine, il governo del territorio inteso quale pianificazione e gestione dello stesso in ragione delle esigenze di natura economica e sociale svincolate dalla tutela del paesaggio o dell’ambiente così come tratteggiati nelle due accezioni sopra descritte 366. Secondo altra impostazione367 la tripartizione poc’anzi richiamata mal si concilierebbe con una tutela dell’ambiente dovendosi ravvisare, al contrario, una molteplicità di aspetti dell’ambiente tali da determinare altrettante tutele. Alla base di tale orientamento vi è la 363 364 365 366 367 espressamente previsto lo sviluppo, l’informazione e l’educazione ambientale ovvero alla Costituzione del Perù nella quale si parla di vivere in un ambiente sano, ecologicamente equilibrato ed appropriato allo sviluppo della vita. Si veda, in generale, ANASTASI A., Premesse ad uno studio per la qualificazione dell’ambiente naturale come bene giuridico, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978. GIANNINI M.S., Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1971 in cui l’autore definiva la «tutela dell’ambiente» come una funzione «occulta e adespota» in quanto priva di specifici riferimenti normativi. GIANNINI M.S., Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973 Sul tema si veda anche PREDIERI A., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, secondo cui «il paesaggio è un fatto fisico, oggettivo ma, al tempo stesso, un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà o dato immobile; è il modo di essere del territorio nella sua percezione visibile. Il paesaggio è la forma del territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo ». Per un’ulteriore disamina sul punto si veda CARPENTIERI P., Paesaggio, ambiente, urbanistica: interrelazioni e distinzioni, in Ambiente e sviluppo, 2003, 7. CAPACCIOLI E., DAL PIAZ F., Ambiente (tutela dell’). Parte generale e diritto amministrativo, in Noviss. Dig. It., App., I, Torino, 1980. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 153 AmbienteDiritto - Editore© considerazione delle diverse normative esistenti in materia di agricoltura, bonifiche, forestazione, di caccia ed altre, tutte rivolte alla tutela di un aspetto dell’ambiente. Il secondo autorevole orientamento368, contrapposto a quelli poc’anzi richiamati, ha al contrario inteso l’ambiente quale bene giuridico in senso proprio, unitariamente considerato e tutelato in quanto tale dall’ordinamento. Tale impostazione, alla luce degli interventi normativi dei decenni successivi, non più disorganici e settoriali ma maggiormente omogenei, segno di un’acquisita organicità della materia 369, ha trovato riscontro negli orientamenti giurisprudenziali370, favorendo il superamento della nozione non unitaria di ambiente 371. 3. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: la natura della condotta di inquinamento ambientale prima dell’introduzione della bonifica. Riprendendo l’analisi dei tre punti individuati in premessa, l’Adunanza Plenaria ha fugato ogni dubbio in ordine alla natura illecita della condotta di inquinamento ambientale prima dell’introduzione nell’ordinamento, con il citato art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 1997, dell’istituto della bonifica. Il ragionamento giuridico seguito dai Giudici di Palazzo Spada ha preso le mosse dalla considerazione degli orientamenti dottrinali sopra richiamati che, nel corso degli anni ’70, hanno portato all’elaborazione del concetto di ambiente come bene giuridico autonomo ed unitario meritevole di tutela contro le aggressioni umane. L’individuazione di tale “nuovo” bene giuridico è anche derivata, come rilevato dalla stessa Adunanza Plenaria, da un’opera di riduzione ad unità delle normative che all’epoca, in modo settoriale, salvaguardavano gli elementi costitutivi del paesaggio e delle bellezze naturali, invero come visto già oggetto di tutela in epoca antecedente alla Costituzione372. 368 369 370 371 372 CORASANITI A., Profili generali di tutela giurisdizionale contro il danno ecologico, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa per i danni all’ambiente e ai consumatori, Milano, 1978 e PATTI S., La tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979. Sul punto si veda GIUSTAPANE A., Tutela dell’ambiente, Voce in Enc. Dir. XLV, Milano, 1992. Ci si riferisce alla storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione n. 5172 del 6 ottobre 1979 nella quale la Corte, riconoscendo alla tutela ambientale una funzione di garanzia della salute umana, come espressione degli artt. 2 e 32 della Costituzione, ha affermato che tale protezione « si estende alla vita associata dell’uomo nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione, in quei luoghi, delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla sua salute… la strumentazione giuridica è quella del diritto soggettivo, anzi del diritto assoluto». Inoltre con la successiva sentenza n. 239 del 29 dicembre 1982 la Corte ha fornito una prima definizione di ambiente affermando che la tutela a questo prestata comprende «la protezione ambientale collegata all’assetto urbanistico del territorio, anche la tutela del paesaggio, la tutela della salute, nonché la difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua dall’inquinamento». Tale orientamento ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza contabile che aveva inteso l’ambiente quale «b ene immateriale in senso giuridico, destinato a beneficio della collettività» con la conseguenza che la sua lesione configura a tutti gli effetti un danno per lo Stato, «sia sotto il profilo del depauperamento di un bene che costituisce patrimonio per la collettività, sia sotto il profilo degli oneri finanziari che lo Stato stesso può essere chiamato a sostenere in dipendenza dell’evento lesivo». Così la Corte dei Conti, 8 ottobre 1979, n. 61. In questo senso si veda CARAVITA B., Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005. In ulteriore aggiunta a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo, si richiama la l. del 9 giugno 1939 n. 1497 recante Protezione delle bellezze naturali, abrogata soltanto nel 1999. Per una disamina delle diverse e ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 154 AmbienteDiritto - Editore© L’elaborazione dottrinale testé richiamata, come detto, ha trovato riscontro nella giurisprudenza373 che, sulla base di quanto previsto dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, ha elevato l’ambiente a diritto individuale tutelabile attraverso la tecnica della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ.. Parallelamente si è sviluppata la tutela della proprietà contro le immissioni intollerabili come previsto dall’art. 844 cod. civ. intesa tuttavia secondo una logica non più meramente dominicale, ma in funzione del benessere dell’individuo e del suo interesse personale a godere di un habitat naturale salubre ed incontaminato. Dal punto di vista normativo, in tale quadro si inseriva l’art. 18 della l. 8 luglio 1986 n. 349 374, disposizione che ha positivizzato il danno all’ambiente qualificando come fatto illecito « qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base alla legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte». Al fianco degli orientamenti giurisprudenziali e degli interventi normativi appena richiamati l’Adunanza Plenaria dà conto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 641 del 31 dicembre 1987 nella quale i Giudici della Consulta hanno evidenziato come con la nuova fattispecie di illecito ambientale si è avuto il recepimento a livello normativo della concezione dell’ambiente come bene immateriale unitario, pur se caratterizzato da varie componenti, ciascuna oggetto di specifiche cure e tutela, ma nell’insieme tutte riconducibili ad unità. Sul piano delle tutele azionabili la Corte ha sottolineato come l’ambiente debba essere elevato a bene protetto attraverso l’azione dei pubblici poteri « imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.)» per cui assurge a valore primario ed assoluto 375. In questo senso, ad avviso della Consulta, viene in rilievo l’art. 2043 cod. civ. inteso quale fonte di obblighi risarcitori posti a tutela di beni giuridici di rango primario in quanto previsti direttamente dalla Carta Costituzionale376. Ebbene, la tutela di questi “nuovi” beni giuridici è resa possibile dalla natura 373 374 375 376 più recenti posizioni giurisprudenziali e normative poste a tutela dell’ambiente si veda SABATO G., La tutela dell’ambiente di fronte alle corti, in Giorn. Dir. Amm., 2016, 6, 815. Per completezza rispetto a quanto già evidenziato nel paragrafo precedente si veda sul punto Cass. Civ., Sez. III, 19 giugno 1996, n. 5650 secondo cui «L’ambiente, inteso in senso unitario come bene pubblico complesso, caratterizzato da valori estetico – culturale, igienico – sanitario ed ecologico – abitativo, assurge a bene pubblico immateriale, la cui natura non preclude la doppia tutela patrimoniale e non patrimoniale, relativa alla lesione di quell’insieme di beni materiali e immateriali determinati, in cui esso si sostanzia e delimita territorialmente». Recante «Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale». Tale disposizione risulta oggi abrogata. Si sottolinea come la Corte Costituzionale abbia riconosciuto rilievo costituzionale alla nozione di ambiente già nella precedente sentenza n. 210 del 28 maggio 1987 nella quale la Consulta ha affermato esplicitamente che l’ambiente debba essere considerato un valore costituzionale di competenza dello Stato, che comprende «la conservazione, la razionalizzazione gestionale ed il miglioramento delle condizioni naturali» dichiarando altresì che quello dell’ambiente è un diritto della persona ed interesse dell’intera collettività. La pronuncia della Corte Costituzionale n. 631 cit. si colloca nel solco della concezione dell’istituto della responsabilità civile extracontrattuale “aperta” ai valori costituzionali espressa dalla precedente pronuncia della Corte Costituzionale in materia di danno biologico n. 184 del 14 luglio 1986. In forza di questa concezione è considerato illecito civile qualunque fatto ingiusto lesivo di un beni giuridicamente tutelati, compresi quelli « per i ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 155 AmbienteDiritto - Editore© atipica della fattispecie prevista dall’art. 2043 cod. civ. che disciplina l’ipotesi generale di “danno ingiusto” provocato da “qualunque fatto doloso o colposo” che, in via sanzionatoria, “obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”377. In base alla descritta concezione dell’illecito civile extracontrattuale l’Adunanza Plenaria fa proprio l’assunto cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità nel senso di escludere la portata innovativa, sul piano della considerazione dell’ambiente come bene giuridico protetto, dell’art. 18 della l. n. 349 del 1986. La fonte genetica della tutela ambientale, infatti, è individuata direttamente nella Costituzione378. Tutela che si concreta – richiamando la citata pronuncia della Corte Costituzionale – in un risarcimento di natura patrimoniale pari ai costi dell’azione pubblica volta alla conservazione e tutela del bene giuridico protetto, il che « consente di dare all’ambiente e quindi al danno ambientale un valore economico »379. Le considerazioni sin qui svolte lasciano intravedere una funzione riparatoria dell’illecito ambientale estesa a tutti i costi necessari per ripristinare il complessivo pregiudizio inferto all’ecosistema naturale. La risarcibilità del danno all’ambiente anche attraverso una somma di denaro assume pertanto i connotati della reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 cod. civ., con la differenza che il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile non soggiace al limite della eccessiva onerosità ma solo a quello della possibilità, con un rafforzamento, quindi, della tutela dell’ambiente rispetto agli ordinari strumenti dell’illecito civile. A conclusione del ragionamento teorico sin qui ripercorso, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che, anche prima dell’introduzione dell’istituto della bonifica ad opera dell’art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 1997, il danno ambientale costituisse un illecito civile sottoposto pertanto alla tutela ex art. 2043 cod. civ.. Chiarito il primo dei tre punti controversi posti dall’Adunanza Plenaria, è necessario procedere con l’analisi del rapporto sussistente tra la suddetta condotta e l’istituto della bonifica ed, in particolare, se, incontestata la discontinuità normativa tra i due istituti, sia possibile ordinare la bonifica per fatti risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione a livello legislativo. 4. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: il rapporto tra il danno ambientale e l’istituto della bonifica. 377 378 379 quali il bisogno di protezione matura sulla base delle spinte emergenti dall’esperienza, ispirata a valori, personali, esplicitamente garantiti dalla Carta Costituzionale». Così l’Adunanza Plenaria Par. 6.5.. Sulla base della qualificazione dell’art. 2043 cod. civ. quale norma sanzionatoria la Suprema Corte ha affermato la risarcibilità per equivalente dell’interesse legittimo: Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500. In questo senso Cass. Civ., Sez. III, 19 giugno 1996, n. 5650 secondo cui «la tutela ambientale deve essere considerata dinamicamente, come diritto vigente e vivente, attraverso il combinato disposto di quelle disposizioni (gli artt. 2, 3, 9, 41 e 42 della Costituzione) che concernono l’individuo e la collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale». Cosi Corte Costituzionale, sent. n. 641 cit. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 156 AmbienteDiritto - Editore© Recependo le osservazioni contenute nella ordinanza di deferimento della IV Sezione del Consiglio di Stato380, l’Adunanza Plenaria ha posto l’attenzione sulla funzione ripristinatoriareintegratoria della responsabilità civile e della bonifica così da ammettere la possibilità di ordinare quest’ultima anche per fenomeni di inquinamento risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione nell’ordinamento giuridico. Il Supremo Consesso giunge a tale conclusione svolgendo dapprima un’analisi sul dettato normativo introdotto con l’art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 1997 (c.d. Decreto Ronchi). Tale disposizione ha infatti previsto il rimedio della messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento nei confronti di situazioni anche solo di pericolo concreto ed attuale di superamento dei livelli di concentrazione di sostanze inquinanti 381, causate anche in maniera accidentale, ascrivendo la relativa competenza all’autorità amministrativa e mantenendo comunque il precedente obbligo di ripristino dello stato dei luoghi e di risarcimento del danno ambientale ai sensi dell’art. 18 della l. dell’8 luglio 1986 n. 349382. Sulla base degli elementi normativi sopra evidenziati, un precedente orientamento del Consiglio di Stato 383, poi recepito dalla giurisprudenza di legittimità, aveva evidenziato un’assenza di continuità normativa tra la disposizione introdotta nel 1997 e la figura generale di illecito civile, concludendo nel senso di escludere la portata retroattiva dell’art. 17 citato a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore 384. Tale orientamento, ragionando sul concetto di continuità normativa 385 e ponendo a confronto l’art. 17 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043 e 2058 cod. civ., aveva valutato le numerose differenze tra gli istituti in esame tanto profonde, tali, per l’appunto, da non consentire un giudizio di continuità tra gli stessi386. 380 381 382 383 384 385 386 In particolare deve sottolinearsi come la Sezione IV non abbia inteso contestare il rapporto di discontinuità normativa affermato nella precedente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055. Livelli fissati con decreto interministeriale del 25 ottobre 1999 n. 471. Così disponeva l’art. 18 comma 4 del regolamento approvato con decreto ministeriale n. 471 cit. Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055 e, più recentemente, Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 2016 n. 2809. Si veda Cass. Civ., Sez. I, 21 ottobre 2011 n. 21887; Secondo la Sez. V del Consiglio di Stato cit. «sussiste continuità normativa tra due prescrizioni normative quando la disposizione temporalmente posteriore si presenti diretta alla tutela di identici beni giuridici e isomorfica rispetto alla precedente; l’isomorfismo non viene poi meno nei casi in cui la norma successivamente entrata in vigore contenga tutti e gli stessi elementi strutturali di quella precedente con, in più, l’inserimento di elementi “specializzanti”, secondo il consueto schema delle relazioni logico-giuridiche intercorrenti tra norma generale e norma speciale». La V Sez. del Consiglio di Stato ha inoltre precisato che «laddove sia riscontrabile una continuità, la legge successiva potrebbe trovare applicazione anche a fattispecie perfezionatesi prima della sua entrata in vigore». Nella menzionata sentenza n. 6055 è stato inoltre chiarito come «non sia concludente il richiamo di molteplici formanti normativi i quali [prima dell’entrata in vigore del Decreto Ronchi] erano obiettivamente posti a presidio della conservazione del valore ambiente, con finalità di contrasto delle varie condotte suscettibili di ingenerare inquinamento. Le fonti citate dalle amministrazioni appellanti contemplavano essenzialmente divieti o doveri, taluni dei quali pure rinforzati da sanzioni amministrative o penali, nondimeno nessuna delle previsioni invocate conteneva specifici obblighi di fare del genere di quelli prescritti dall’art. 17 del decreto Ronchi. La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede, infatti, nella sua natura di misura ablatoria personale, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 157 AmbienteDiritto - Editore© Sul punto, l’Adunanza Plenaria pur non rinnegando le differenze strutturali esistenti tra i due istituti, ha evidenziato come le norme di cui al D. Lgs. 22 del 1997, poi trasfuse nel codice dell’ambiente attualmente vigente, non abbiano introdotto un nuovo fatto illecito offensivo di un bene in precedenza non meritevole di protezione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma abbiano semmai rafforzato la tutela del bene ambiente, già oggetto di protezione legislativa con i rimedi concorrenti ex art. 2043 e ex art. 18 della l. dell’8 luglio 1986 n. 349. Tutte le disposizioni sin qui richiamate hanno la medesima funzione (ripristinatoria-reintegratoria) di protezione dell’ambiente e, pertanto, assumono nel loro complesso una finalità di salvaguardia del bene ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, senza alcuna natura sanzionatoria nei confronti del relativo autore. In altri termini, le misure in questione si concretizzano in obblighi di fare a carico del responsabile sotto la vigilanza della Pubblica Amministrazione al fine di ottenere il ripristino della situazione di fatto antecedente all’inquinamento ambientale rimuovendone altresì gli effetti 387. Letta in questi termini la bonifica assume la funzione di reintegrazione del bene giuridico leso dall’illecito propria della responsabilità civile, richiamando così il rimedio della reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 nella forma del «ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile » previsto, come detto, dall’art. 18 della l. 349 del 1986. Da tali conclusioni, l’Adunanza Plenaria arriva ad escludere la valenza punitiva delle disposizioni in esame operando un richiamo agli orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui, a prescindere dalla formale qualificazione giuridica da parte del diritto nazionale, occorre avere riguardo alla natura, scopo e gravità delle conseguenze sull’autore dell’illecito non avendo, pertanto, natura di sanzione penale quella misura che soddisfi pretese risarcitorie o che sia essenzialmente diretta a ripristinare la situazione di legalità e restaurare l’interesse pubblico leso388. In tal senso i Giudici di Palazzo Spada hanno rilevato l’errore nelle premesse operato dalla V Sezione in ordine alla continuità normativa: non trattandosi di norme di natura punitiva non dominano i principi di irretroattività della norma incriminatrice o sanzionatoria e di applicazione della norma più favorevole in caso di successione di norme, propri del diritto penale o punitivo a corollario del principio di legalità. Data, inoltre, la natura permanente del danno ambientale389, perdurante cioè fintanto che persista l’inquinamento, 387 388 389 consentita in apicibus dall’art. 23 della Costituzione, la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati. Le norme ricordate dalle appellanti non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17». Come rilevato nell’ordinanza di deferimento della IV Sez. la bonifica costituisce «uno strumento pubblicistico teso non a monetizzare la diminuzione del relativo valore (in ciò sostanziandosi la tutela per equivalente), ma a consentirne il recupero materiale a cura e spese del responsabile della contaminazione». In questo senso si veda Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel v. Paesi Bassi; Corte EDU, 7 luglio 1989, Tre Traktorer Aktiebolag c. Svezia. Sul carattere permanente del danno ambientale si veda Cass Civ., Sez. III, 19 febbraio 2016 n. 3259 secondo cui «in materia di danno ambientale, la condotta antigiuridica consiste nel mantenimento dell’ambiente ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 158 AmbienteDiritto - Editore© deriva la conseguenza che l’autore dell’inquinamento, potendovi provvedere, rimanga per tutto il tempo soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita secondo la successione delle norme di legge nel frattempo intervenuta, nel caso de quo fino all’obbligo di provvedere alla bonifica del sito inquinato attualmente in vigore. A risoluzione della seconda questione controversa, dunque, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto legittima l’applicazione da parte della competente Autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge (l’ordine di bonifica) al momento in cui sia accertata una situazione di pregiudizio in atto390. 5. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019: la trasmissibilità degli obblighi e responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito per effetto di operazioni societarie straordinarie. Da ultimo l’Adunanza Plenaria ha affrontato la questione giuridica attinente alla trasmissibilità degli obblighi di fare connessi alla bonifica ad un soggetto non qualificabile come responsabile dell’inquinamento in quanto non proprietario né tanto meno gestore dell’impianto industriale da cui è scaturito l’inquinamento, nel caso de quo addirittura oggetto di trasferimento a terzi mediante cessione di ramo d’azienda prima della fusione per incorporazione e che, pertanto, mai abbia potuto provvedere a rimuovere gli effetti di condotte illecite altrui sull’ambiente circostante. Nell’analisi della suesposta questione il Supremo Consesso ha toccato, seppur marginalmente, tematiche attinenti al diritto commerciale, nello specifico l’istituto della fusione per incorporazione nel regime antecedente alla riforma del diritto societario di cui al D. Lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 391. I Giudici di Palazzo Spada, riprendendo in toto il ragionamento svolto nella risoluzione del secondo quesito sopra sviluppato, hanno evidenziato come le osservazioni mosse dall’appellante volte ad escludere la prosecuzione degli obblighi delle società estinte in capo alla società che risulta dalla fusione o incorporazione, risultino errate nelle premesse. L’Adunanza Plenaria, infatti, ha ribadito come la bonifica, seppure introdotta nell’ordinamento solo nel 1997, sia tuttavia un istituto volto alla reintegrazione o 390 391 nelle condizioni di danneggiamento, sicché il termine prescrizionale dell’azione di risarcimento inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal danneggiante ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilità del bene da parte di quest’ultimo». In questo senso si veda inoltre Cass. Civ., Sez. III, 6 maggio 2015 n. 9012. Sul punto si richiama Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283 in cui il Consiglio di Stato ha ritenuto che la normativa introdotta con l’art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 1997 fosse applicabile a qualunque situazione di inquinamento dei suoli in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo stesso. «Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001 n. 366» in G.U. n. 17 del 22 gennaio 2003 – Suppl. Ord. n. 8 – Entrata in vigore il 1 gennaio 2004. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 159 AmbienteDiritto - Editore© ripristino dello stato dei luoghi applicabile retroattivamente, a nulla rilevando pertanto le osservazioni mosse dalla parte appellante. Da tale premessa il Supremo Consesso svolge un’articolata analisi volta a chiarire se gli obblighi in questione siano trasmissibili in virtù di fusione per incorporazione dalla società responsabile del danno incorporata alla società incorporante. Nel fornire una risposta positiva al quesito poc’anzi formulato 392, l’Adunanza Plenaria opera un primo richiamo al dato letterale dell’art. 2504 bis comma 1 cod. civ393. Tale disposizione stabilisce che gli obblighi delle società estinte o, come nel caso de quo, di quelle incorporate proseguano in capo alla società incorporante. Sul punto la giurisprudenza di legittimità si era espressa nel senso di ritenere tra gli obblighi oggetto della vicenda traslativa in questione, anche quelli derivanti da responsabilità civile e, dunque, dalla commissione di un illecito394. Alla medesima conclusione può pervenirsi qualora l’accertamento dell’illecito ambientale fosse intervenuto in un momento successivo rispetto all’operazione straordinaria di fusione. Infatti, anche nell’ipotesi in cui l’illecito ambientale risulti essere un presupposto per l’emanazione del provvedimento amministrativo che ordina la bonifica costituendo in capo al destinatario del provvedimento degli obblighi di provvedere, l’accertamento del danno ambientale risale per sua natura all’epoca della sua commissione 395. Le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di Palazzo Spada vanno nella direzione di assicurare la miglior tutela possibile per il bene giuridico ambiente che, come detto, rientra tra i beni di rango costituzionale. La continuazione, dal punto di vista civilistico, dei rapporti tra società incorporata e società incorporante trova ulteriore giustificazione nella possibilità da parte di quest’ultima di avere effettiva conoscenza di fatti pregressi che interessino la società incorporata prevedendo opportune garanzie (ad esempio per sopravvenienze passive) in grado 392 393 394 395 Contrariamente a quanto precedentemente ritenuto nella sentenza n. 6055 cit. nella quale il Consiglio di Stato propendeva per la mancata responsabilità della incorporante per fatti attribuibili all’incorporata. Si veda inoltre ROMANELLI C., nota a Cons. Stato, Sez. V, n. 6055, in Dir. e Giur. agr. e ambiente, 2009, n. 4, 279. In questo senso, in epoca antecedente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 2054 bis cod. civ., si veda inoltre Cass. Civ., Sez. I, 22 settembre 1997, n. 9349 secondo cui «in caso di fusione per incorporazione di due società di capitali, la società incorporante non risponde del pagamento delle sanzioni amministrative irrogate per violazioni al codice della strada commesse da veicoli di proprietà della società incorporata, qualora al momento della notificazione del verbale di accertamento fosse già avvenuta l’incorporazione». Rubricato «Effetti della fusione». In questo senso si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, Sez. III, 11 novembre 2015, n. 22998 riferita ad un’ipotesi di responsabilità derivata da custodia ex art. 2051 cod. civ.. Sul punto l’Adunanza Plenaria ha inteso sottolineare come, dal punto di vista dogmatico, la responsabilità civile «è espressione che designa l’insieme delle conseguenze cui un soggetto deve sottostare per legge in conseguenza di un fatto illecito da lui commesso, che nel caso dell’illecito civile consistono nell’obbligo (...) a risarcire il danno o nell’alternativa della reintegrazione in forma specifica, anch’essa pertanto oggetto di obbligo, rispettivamente ai sensi dei più volte richiamati artt. 2043 e 2058 cod. civ., oltre che della più generale norma contenuta nell’art. 1173 cod. civ. che pone il fatto illecito tra le fonti di obbligazione». Così l’Adunanza Plenaria par. 8.4. Sul punto, inoltre, l’Adunanza ha sottolineato che alla successione nel citato obbligo non osti il fatto che lo stabilimento industriale da cui è provenuto l’inquinamento oggetto dell’ordine di bonifica non sia mai stato acquistato dalla società destinataria del suddetto ordine, né rileva che lo stesso sia stato oggetto di cessione di ramo d’azienda prima della fusione per incorporazione. Infatti, evidenzia l’Adunanza, «in base all’art. 2560 comma 1 cod. civ. la cessione d’azienda non libera il cedente dei debiti dallo stesso contratti, tra cui quelli da fatto illecito civile». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 160 AmbienteDiritto - Editore© di mantenere indenne la società incorporante. Ragionare in senso contrario aprirebbe la strada a prassi finalizzate ad eludere gli obblighi maturati nel corso della gestione di una società, rischiando così di compromettere un bene di rango costituzionale come l’ambiente senza poter porre in essere alcun effettivo rimedio, dal punto di vista amministrativo, contro l’inquinamento. 6. Brevi considerazioni conclusive. L’Adunanza Plenaria giunge dunque ad affermare il seguente principio di diritto: « la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento». Il principio di diritto così enunciato risponde all’esigenza di preservare il “bene giuridico ambiente” che, come ampiamente evidenziato, è oggetto di tutela che trova il suo fondamento direttamente nel dettato costituzionale. Tale considerazione si pone alla base dell’intero ragionamento seguito dall’Adunanza Plenaria volto ad affermare la legittima retroattività dell’istituto della bonifica quale strumento per reintegrazione ovvero il ripristino dello stato dei luoghi. Sul punto deve allora ribadirsi che l’introduzione degli obblighi di bonifica ad opera dell’art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 1997 non ha esteso l’area dell’illiceità rispetto a condotte che in precedenza erano considerate conformi al diritto, ma ha ampliato i rimedi rispetto alle aggressioni dell’ambiente già considerate lesive di un bene giuridico meritevole di tutela. Alla reintegrazione per equivalente monetario, consentita dagli artt. 2043 cod. civ. e art. 18 della l. n. 349 del 1986, la norma ora richiamata ha introdotto gli ulteriori obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati. Tali misure non devono intendersi quali sanzioni di carattere afflittivo, per le quali operano i principi propri del diritto penale o punitivo in generale, quale il principio di legalità e di irretroattività della norma incriminatrice o sanzionatoria oltre al principio del favor rei; diversamente occorre ragionare secondo gli schemi propri dell’illecito civile, in relazione al quale la tutela prevista dall’ordinamento contro il danno procurato è dominata dall’esigenza di assicurare la reintegrazione del bene giuridico leso e non di punizione, non trovando così applicazione i principi testé richiamati propri delle norme incriminatrici. Da tale inquadramento deriva la conseguenza che l’autore dell’inquinamento rimane per tutto il tempo soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, secondo la successione di norme di legge nel frattempo intervenute ed i relativi rimedi previsti dall’ordinamento giuridico: quindi dall’originaria obbligazione avente ad ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 161 AmbienteDiritto - Editore© oggetto l’equivalente monetario del danno cagionato o, in alternativa, la reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 cod. civ., poi più precisamente identificata con il ripristino dello stato dei luoghi ad opera della l. 249 del 1986, sino agli obblighi di fare connessi alla bonifica del sito. Diversamente ragionando, infatti, si aprirebbe la strada a condotte inquinanti poste in essere da una società, poi con successive operazioni societarie straordinarie estinta, che conseguentemente non risulterebbero né perseguibili né rimediabili. Da tali premesse, emerge come non si possano neppure invocare i principi generali di affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e nella certezza del diritto, apparentemente elisi dalla previsione della retroattività dell’istituto della bonifica anche a situazioni inquinanti verificatisi in tempi in cui la società incorporante non aveva neppure la disponibilità del sito destinatario dell’ordine di bonifica. Sul punto deve infatti evidenziarsi come in ogni operazione societaria straordinaria sia la società incorporante a doversi interessare di approfondire i fatti e le attività svolte dalla società incorporata prevedendo eventualmente rimedi civilistici in caso di eventuali eventi sottaciuti e/o non riscontrabili da cui derivino profili di responsabilità. Un bene di rango costituzionale e l’interesse pubblico alla sua tutela non può certo essere compromesso in ragione della poca attenzione ovvero diligenza nelle valutazioni sottese alle operazioni societarie operate da un soggetto privato, ancorché l’applicazione retroattiva dell’istituto della bonifica determini non poche implicazioni di natura economica sul soggetto tenuto a porre in essere l’attività di ripristino della situazione di fatto antecedente all’inquinamento ambientale. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 162 AmbienteDiritto - Editore© LE CERTIFICAZIONI AMBIENTALI ED IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI Roberta Cadenazzi Abstract (it) La consapevolezza e l’emergenza delle problematiche ambientali hanno spinto gli Stati ad elaborare politiche e normative ispirate al principio della sostenibilità ed al modello economico dell’economia circolare. Gli Stati, per realizzare concretamente le azioni previste sia a livello politico che legislativo verso la tutela ambientale, dispongono di diversi strumenti fra cui gli schemi di certificazione ed etichettatura e sistemi di gestione ambientale in particolare Ecolabel ed EMAS. Lo Stato italiano ha recepito le politiche ambientali dell’UE che favoriscono tali certificazioni ambientali ed è divenuto uno degli Stati membri in cui queste certificazioni ambientali sono più diffuse. Inoltre l’Italia, ha volutamente compiuto un passo ulteriore poiché ha codificato e favorito lo sviluppo delle certificazioni ambientali attraverso le disposizioni inserite nel Nuovo Codice dei Contratti, il D. lgs. n. 50/2016. Nei successivi paragrafi si provvederà, innanzitutto, a tracciare le caratteristiche più rilevanti delle certificazioni ambientali contemplate dalla legislazione italiana, poi si procederà ad individuare, negli articoli del Nuovo Codice dei Contratti, il ruolo e lo spazio dedicati alle certificazioni ambientali all’interno delle fasi di gara degli appalti con un’attenzione particolare agli istituti dell’equivalenza e dell’avvalimento. Infine, una riflessione conclusiva proverà a mettere in luce il legame fra certificazioni ambientali ed economia circolare quale nuovo modello a cui tende l’economia italiana ed europea. Abstract (en) The awareness and the emergence of environmental issues has led States to develop policies and regulations inspired by the principle of sustainability and the economic model of the circular economy. The Member States have a number of instruments at their disposal, including certification and labelling schemes and environmental management systems, in particular the Ecolabel and EMAS, in order to implement in practice the actions planned at both political and legislative level towards environmental protection. The Italian State has transposed the environmental policies of the EU that promote such environmental certifications and has become one of the Member States where these environmental certifications are most widespread. In addition, Italy has deliberately taken a further step since it has codified and promoted the development of environmental certifications through the provisions inserted in the New Code of Contracts, the D. lgs. n. 50/2016. In the following paragraphs we will first trace the most important characteristics of the environmental certifications provided by Italian legislation, then we will proceed to identify, in the articles of the New Code of Contracts, the role and the space dedicated to environmental certifications within the tender phases of the contracts with particular attention to the institutions of the equivalence and the reliance on the capacity of other entities. Finally, a conclusive reflection will try to highlight the link between environmental certifications and circular economy as a new model for the Italian and European economy. INDICE: - 1. Introduzione - 2. Le caratteristiche delle certificazioni ambientali volontarie - 3. Lo sviluppo delle certificazioni nel nuovo codice - 4. Le certificazioni ambientali negli articoli del nuovo codice - 5. Equivalenza e avvalimento - 6. Conclusioni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 163 AmbienteDiritto - Editore© . Introduzione. La consapevolezza e l’emergenza delle problematiche ambientali hanno spinto gli Stati, negli ultimi anni, ad elaborare politiche e normative ispirate al principio della sostenibilità 396 ed al modello economico dell’economia circolare 397. Gli Stati, per realizzare concretamente le azioni previste sia a livello politico che legislativo verso la tutela ambientale, dispongono di una serie di strumenti che vengono ben individuati in uno studio condotto dall’OCSE, per conto del G7, in occasione del vertice di Schloss Elmau nel giugno del 2015. In questo studio dal titolo “ Policy guidance on resource efficiency”, volto ad elaborare orientamenti politici sull'efficienza delle risorse, si individuano, per la realizzazione delle politiche ambientali: strumenti di regolazione (Command and Control) 398; strumenti economici399; schemi di certificazione ed etichettatura e sistemi di gestione ambientale. Questi ultimi sono rappresentati dalle certificazioni ambientali, in particolare Ecolabel ed EMAS, che, ben definiti legislativamente, non vengono comunque imposti dalla legge ma la loro applicazione è affidata alla volontà degli operatori economici all’interno delle relazioni di mercato. Infatti, in quanto strumenti di mercato, gli schemi di certificazione ed etichettatura rafforzano l’immagine del prodotto e dell’azienda, rendendo verificabile la tracciabilità del processo produttivo mentre i sistemi di gestione ambientale agiscono sulla struttura organizzativa del soggetto e la sua capacità di organizzare processi in grado di realizzare il costante adeguamento delle performances agli obiettivi di politica ambientale, informandone il pubblico e le altre parti interessate attraverso la dichiarazione ambientale. La capacità di offrire informazioni sul processo produttivo e di agire nelle fasi dello stesso, nell’ottica di una correzione verso un miglioramento nella razionalizzazione ed efficienza delle risorse, per un minore impatto con l’ambiente, permettono alle certificazioni di divenire strumenti a supporto della realizzazione di un’economia circolare e sostenibile 400. 396 Come è ampiamente noto, il principio dello sviluppo sostenibile, regolato dal diritto internazionale, trova la sua definizione più classica nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Bruntland); per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Il concetto di sostenibilità viene cosi collegato alla compatibilità tra sviluppo delle attività economiche e salvaguardia dell’ambiente. A livello comunitario si fa ampio riferimento allo sviluppo sostenibile: art.3 del Trattato di Amsterdam; art.3 Trattato Lisbona, art.37 Carta diritti fondamentali dell'Unione Europea, e art.191 Trattato funzionamento UE. In Italia troviamo un importante riferimento allo sviluppo sostenibile nell'art.3 quater del D.lgs n.152/2006 “Norme in materia ambientale” 397 Secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation l’ economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella bio sfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». L’economia circolare è dunque un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi. Diversi sono i documenti europei che fanno riferimento all'economia circolare: Settimo programma d'azione per l'ambiente del 2013 “Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta” (Decisione n.1386/2013/ UE del Parlamento Europeo e del Consiglio); Comunicazione della Commissione del 2014”Verso un'economia circolare. Programma per un'Europa a zero rifiuti” (COM(2014) 398 final); Comunicazione della Commissione del 2015 “Nuovo piano d'azione su Economia circolare” (COM(2015) 614 final) ; Pacchetto economia circolare del 2018( Direttiva 2018/849/Ue; 2018/850/Ue; 2018/852/Ue;2018/851/Ue). In Italia i documenti che fanno riferimento all'economia circolare sono: Legge n.221 /2015 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali” ; “Piano d’azione nazionale produzione e consumo sostenibili” del 2017; Documento del MATTM e del MISE “Verso un modello di economia circolare per l'Italia” del 2017. 398 “Regulatory instruments include laws or regulations stipulating environmental quality standards (performance standards), limits on emissions from various pollutants (emission caps), bans on certain products or practices, requirements for the application of certain “best available” techno logies (technology standards), and obligations for all polluters to obtain environmental permits from pollution control authorities .” “Policy Guidance on Resource Efficiency”, OECD Publishing, Paris, 2016 (http://dx.doi.org/10.1787/9789264257344-en). Gli strumenti di regolazione si accentrano nelle mani del decisore pubblico e si esplicano attraverso provvedimenti amministrativi ( ad esempio permessi, autorizzazioni ecc.) Sono efficaci ma non sempre economici poiché decisioni scorrette in effetto o eccesso possono produrre ef fetti inquinanti o sprechi di risorse ed è difficile per gli apparati pubblici tenere conto delle innumerevoli variabili ed ottenere le informazioni neces sarie per affrontare le varie situazioni. Cosi si generano costi a causa dell'imposizione generalizzata di un obbligo o uno standard. 399 Gli strumenti economici sono anch'essi frutto di decisioni collettive istituzionali ed attraverso essi le istituzioni pubbliche reclamano il pagamen to di un prezzo da parte di chi fa uso di servizi o risorse naturali. “Policy Guidance on Resource Efficiency”, OECD Publishing, Paris, 2016 (http:// dx.doi.org/10.1787/9789264257344-en). 400 Secondo lo studio “Il percepito delle certificazioni ambientali” condotto da Fondazione Symbola mediante IPSOS del febbraio 2016 “Le certificazioni di sistema, ISO 14001 ed EMAS, incidono in maniera significativa, come dimostrano anche molti degli studi, sull’efficienza energetica delle organizzazioni, generando miglioramenti anche nelle emissioni di CO2 come sull’efficienza nell’uso dei materiali (es. sostanze chimiche e materie prime), sul consumo idrico, sul quantitativo di rifiuti prodotti. E producono effetti positivi anche sulla prevenzione dei rischi di incidenti o di incorrere in sanzioni per il mancato rispetto della legislazione ambientale.”… “Altrettanto evidente, visto che si tratta di uno ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 164 AmbienteDiritto - Editore© Infatti, l’utilizzo delle certificazioni ambientali è favorito dall’UE, come si evince dai Programmi quinquennali attraverso cui si definiscono le proposte legislative e gli obiettivi futuri della Comunità, nonché gli strumenti per realizzarli. L'attuale programma, il Settimo 401, “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta ”, adottato nel 2013 ed in vigore fino al 2020, è un importante documento di programmazione politica che definisce obiettivi comuni e azioni chiare per la realizzazione di una politica di competenza concorrente e sussidiaria fra i vari livelli di governo degli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione. Il Settimo programma prevede 9 obiettivi402, sviluppati e corredati di suggerimenti su azioni e strumenti per il loro raggiungimento. Proprio nei considerando 34403 e 35404 si mette in evidenza come gli strumenti delle certificazioni ambientali e di qualità, in particolare EMAS ed Ecolabel 405, possano contribuire alla realizzazione dell'obiettivo n. 2 “...trasformare l’Unione in un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva”. Lo Stato italiano, oltreché far proprie le indicazioni contenute nei documenti dell'Ue ed agire nell'ottica del principio della sostenibilità ambientale e dell'economia circolare 406, come risulta dal documento della Commissione Europea di Riesame dell'attuazione delle politiche europee in Italia, è lo Stato membro in cui viene maggiormente utilizzato lo strumento delle certificazioni ambientali e di prodotto. Infatti, dall'annuario dei dati ambientali ISPRA si ricava che le registrazioni EMAS, aggiornate al 2018, sono 1917 ed i settori produttivi nei quali si riscontra la maggiore adesione appartengono alle categorie di servizi: Rifiuti, Pubblica Amministrazione ed Energia a pari merito. Invece, riguardo all'Ecolabel, al 2018, sono 322 le licenze in vigore in Italia, per un totale di 9552 prodotti/servizi, distribuiti in 19 gruppi di prodotti. Il gruppo di prodotti con il maggior numero di licenze Ecolabel UE, in Italia, rimane il “servizio di ricettività turistica” con 166 licenze. L’Italia, però, ha volutamente compiuto un passo ulteriore poiché ha codificato e favorito lo sviluppo delle certificazioni ambientali attraverso le disposizioni inserite nel nuovo Codice dei Contratti, il D. lgs. n. 50/2016, che stimolano gli acquisti pubblici in ottica ambientale cercando di innescare un processo virtuoso che conduca a generare processi e prodotti a basso impatto ambientale, in linea con le politiche di sviluppo dell’economia circolare e della sostenibilità. schema fondato sul rispetto di criteri e soglie minime di prestazione ambientale, il contributo dell’Ecolabel al miglioramento degli impatti sull’ecosistema dei prodotti certificati” 401 Il Sesto programma comunitario di azione per l'ambiente intitolato "Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta" che ha coperto il periodo compreso tra il il 2002 e il 2012, già favoriva lo strumento delle certificazioni ambientali. Affermava che per far fronte alle sfide ambientali era necessario superare l’approccio legislativo per un approccio strategico. Dunque, auspicava l’utilizzo di strumenti e provvedimenti per influenzare le decisioni prese dagli ambienti imprenditoriali, dai consumatori, dai responsabili politici e dai cittadini. Nell’ambito degli assi di azione strategica riguardo alla collaborazione con il mercato indicava i seguenti punti: incoraggiare una più ampia adozione del sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS); promuovere l'uso e la valutazione dell'efficacia del marchio ecologico. 402 I 9 obiettivi previsti dal Settimo programma d'azione per l'ambiente “ Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” sono: 1. proteggere, conservare e migliorare a basse emissioni di carbonio, efficiente nell'impiego delle risorse, verde e competitiva; 2. trasformare l'Unione in un'economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell'impiego delle risorse, verde e competitiva; 3. proteggere i cittadini da pressioni e rischi ambientali per la salute ed il benessere; 4. sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione dell'Unione in materia di ambiente; 5. migliorare le basi scientifiche della politica ambientale; 6. garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di ambiente e clima e farlo al giusto prezzo; 7. migliorare l'integrazione ambientale e la coerenza delle politiche; 8. migliorare la sostenibilità delle città dell'Unione; 9. aumentare l'efficacia dell'azione UE nell'affrontare le sfide ambientali a livello regionale e mondiale. 403 Nel considerando n.34 si legge che il miglioramento dei modelli di utilizzo delle risorse e la riduzione delle emissioni dei principali impianti industriali sarà incoraggiato “...con la messa in atto di sistemi di gestione ambientale, come l’EMAS , da parte dell’industria.” 404 Nel considerando n.35 si afferma che “...I consumatori dovrebbero ricevere informazioni precise, facilmente comprensibili e affidabili sui prodotti che acquistano, attraverso un’etichettatura chiara e coerente, anche in relazione alle asserzioni ambientali ….. La legislazione sui prodotti in vigore, …. il regolamento sull’Ecolabel saranno riviste con l’obiettivo di migliorare la performance ambientale e l’efficienza nell’impiego delle risorse dei prodotti nel corso del loro intero ciclo di vita …” 405 Le certificazioni EMAS riguardano l’ organizzazione di un’impresa nel suo sistema di gestione e/o della sua attività e i processi produttivi; si focalizzano sulla corretta gestione delle attività che rientrano sotto il controllo gestionale dell'organizzazione o che possono influenzarla in misura significativa mentre le certificazioni relative ai prodotti (ECOLABEL) si concentrano su una singola linea di prodotto, bene manufatto o servizio, considerando l’intero suo ciclo di vita, come l’insieme delle attività che vengono svolte al fine di produrre il bene o il servizio e che si sviluppano “dalla culla” (es.: estrazione delle materie prime) sino “alla tomba” (es.: gestione dei rifiuti che si produrranno nel fine uso o loro recupero). 406 Si pensi al documento “Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile” ( SNSvS), previsto dal D.lgs 221/2015 che definisce il quadro di riferimento nazionale per i processi di pianificazione, programmazione e valutazione di tipo ambientale e territoriale, in attuazione dell’art. 34 del D.lgs 152/2006 e costituisce lo strumento di coordinamento dell’attuazione dell’Agenda 2030 in Italia. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 165 AmbienteDiritto - Editore© Nei successivi paragrafi si metterà in rilievo il ruolo che rivestono le certificazioni ambientali all’interno delle procedure di gara codificate nel nuovo Codice dei contratti e gli istituti giuridici che ne permettono un ulteriore sviluppo finalizzato alla realizzazione degli obiettivi della politica ambientale nonché dell’economia circolare. Pertanto, si provvederà, innanzitutto, a tracciare le caratteristiche più rilevanti delle certificazioni ambientali contemplate dalla legislazione italiana, poi si procederà ad individuare, negli articoli del Nuovo Codice, il ruolo e lo spazio dedicati alle certificazioni ambientali all’interno delle fasi di gara degli appalti con un’attenzione particolare agli istituti dell’equivalenza e dell’avvalimento per sottolineare l’attuale e l’eventuale ulteriore possibilità di diffusione delle certificazioni. Infine, una riflessione conclusiva proverà a mettere in luce il legame fra certificazioni ambientali ed economia circolare quale nuovo modello a cui tende l’economia italiana ed europea. . Le caratteristiche delle certificazioni ambientali volontarie. Le certificazioni ambientali volontarie sono strumenti di mercato della politica ambientale degli Stati, regolate dal legislatore ma a carattere volontario. Infatti, escono dalla logica di “comando e controllo” per entrare in una dimensione di collaborazione con il mondo imprenditoriale e di valorizzazione, anche competitiva, delle performances ambientali. Imprese e organizzazioni ricevono uno stimolo a migliorarsi per raggiungere una certificazione, senza l'imposizione legislativa, da cui otterranno vantaggi sul mercato o benefici nei rapporti con i clienti o con la comunità locale. In questo modo, si instaura un ciclo virtuoso secondo cui la certificazione diviene un mezzo di comunicazione e di trasparenza poiché fornisce informazioni su chi sceglie volontariamente di rispettare determinati parametri ambientali relativi al proprio processo di produzione o al ciclo di vita del prodotto. Infatti, il soggetto che avvia il procedimento per ottenere la certificazione adotta un sistema di gestione ambientale o di etichettatura del prodotto conforme alle disposizioni di legge, provvede a migliorare le prestazioni aziendali o del prodotto, amplifica la visibilità all’esterno, accresce l'efficienza interna e si sottopone a verifica periodica da parte di un ente accreditato. Tale verifica rappresenta il livello di garanzia relativamente al possesso degli standard ed ai parametri utilizzati per raggiungere la certificazione e conseguentemente rassicura il consumatore e gli altri stakeholder interessati sulla veridicità delle informazioni 407 fornite riguardo ai processi messi in atto dai soggetti che si sottopongono a certificazione. L’adesione ad uno schema di certificazione verificata da un ente terzo accreditato dall’ente di accreditamento nazionale, seguita da ulteriore verifica (in genere pubblica), rappresenta, come nel caso di EMAS 408 ed ECOLABEL, il livello massimo di garanzia fra le certificazioni. Le certificazioni ambientali409 volontarie, EMAS ed ECOLABEL410, sono le due tipologie di 407 Cfr. A. Benedetti – Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010 – Cap I-III- V Nel caso di EMAS, ad esempio, se il verificatore, dopo sopralluogo in situ, convalida la Dichiarazione Ambientale, il Comitato EMAS, con il supporto tecnico di ISPRA, la esamina e chiede un parere alle ARPA regionali relativamente al rispetto della pertinente legislazione ambientale. Se l’esito è positivo, segue l’iscrizione nell’Elenco Nazionale delle Organizzazioni Registrate EMAS. 409 Oltre alle certificazioni EMAS ed Ecolabel vi sono altre certificazioni ambientali fra cui :ISO 14001:la certificazione è disciplinata dallo standard ISO 14001:2015. E' una certificazione internazionale di sistema, volontaria, che si applica alla gestione delle attività e dei processi produttivi di qualsiasi organizzazione. EPD: la dichiarazione ambientale EPD (Environmental Product Declaration - Dichiarazione ambientale di prodotto) si basa su parametri stabiliti che contengono una quantificazione degli impatti ambientali del prodotto, per alcune categorie fissate e soggette a un controllo indipendente da parte di organismo accreditato. L’EPD si rivolge principalmente ai consumatori poiché la sua finalità principale è di evidenziare le performance ambientali di un prodotto o servizio, aumentandone la visibilità. Carbon footprint: basata sullo standard internazionale 14064, riguarda la quantificazione, il monitoraggio e la rendicontazione delle emissioni di gas serra e delle riduzioni delle emissioni ottenute da un’organizzazione, di qualsiasi settore, nell’ambito delle proprie attività. Water footprint : si basa su uno standard internazionale ISO, che misura l’impatto ambientale potenziale di un prodotto, processo o di un’organizzazione sulla risorsa idrica. Lo standard è verificabile da un ente terzo ma non certificabile. Esso si basa sulla metodologia LCA (Life Cy cle Assessment) e pertanto, considera tutti gli impatti ambientali di un prodotto. https://www.remadeinitaly.it/wp-content/uploads/2016/09/Albo-delle-Certificazioni-ambientali-conformi-al-GPP.pdf 410 Si veda a tal proposito il documento “Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Riesame dell'attuazione delle politiche ambientali dell'UE Relazione per paese – ITALIA”, 3.2.2017 SWD(2017) 47 final e i dati forniti da ISPRA sulle certificazioni EMAS 408 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 166 AmbienteDiritto - Editore© certificazione più diffuse411 nel contesto italiano e vengono espressamente richiamate negli articoli della legislazione vigente. In particolare, la certificazione EMAS412 - Eco Management Audit Scheme - rientra nelle certificazioni dei Sistemi di gestione che attestano la conformità di una impresa o un ente alla norma a cui fa riferimento, secondo la metodologia PDCA 413, nell’ottica del miglioramento e della razionalizzazione di risorse ed energie. Infatti, il modello EMAS, secondo l'art 1 del Regolamento n. 1221/09, promuove: il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali delle organizzazioni mediante l’istituzione e l’applicazione di sistemi di gestione ambientale, che implicano una sistematica e periodica valutazione del sistema; una seguente offerta di informazioni sull’impatto ambientale delle prestazioni; un dialogo aperto con il pubblico e le altre parti interessate; il coinvolgimento attivo e un’adeguata formazione del personale414. Invece, Ecolabel è il marchio europeo ufficiale di qualità ecologica ed è normato dal Regolamento dell’Unione europea n. 66/2010. Il marchio Ecolabel, nato nel 1992, rappresenta il tentativo dell'Unione Europea di contrassegnare con un unico simbolo i prodotti fabbricati nel rispetto dei criteri ambientali stabiliti fra tutti i paesi dell'UE. Il sistema per l'assegnazione del marchio di qualità ecologica a partecipazione volontaria è stato creato “…. per promuovere prodotti con minore impatto sull'ambiente durante l'intero ciclo di vita e per offrire al consumatore informazioni accurate e non ingannevoli e scientificamente fondate sull'impatto ambientale dei prodotti .” come da Considerando 1 del Regolamento n.66/10. È inoltre da mettere in luce come il Considerando appena citato comprenda l’espressione “ciclo di vita” - LCT – Life Cycle Thinking che sottende un modo di pensare che caratterizza la politica di prodotto sviluppata dall’UE e che entra nella logica dell’economia circolare volta a considerare le fasi di produzione di un bene. Il ciclo di vita è un approccio promosso nel documento Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo “Politica integrata dei prodotti” “Sviluppare il concetto di “ciclo di vita ambientale” del 18.6.2003 COM (2003) 302 def. parte integrante della strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile. In esso si mette in evidenza che tutti i prodotti e servizi hanno un impatto ambientale sia durante la produzione che l'uso e lo smaltimento finale di difficile quantificazione ma capace di influenzare la crescita economica ed il benessere. Perciò si mette http://www.isprambiente.gov.it/it/certificazioni/emas/statistiche; ed Ecolabel http://www.isprambiente.gov.it/it/certificazioni/ecolabel-ue/materiale-informativo/grafici-e-dati/anno-2019/26-luglio-2019-aggiornamentonumero-prodotti-e-licenze-ecolabel-ue 411 Seppur non rappresentando il focus della riflessione di queste pagine è necessario ricordare che vi è anche un’altra certificazione ambientale volontaria molto diffusa in Italia, come mettono in evidenza i dati del Rapporto ISPRA 2018 (https://annuario.isprambiente.it/ada/basic/6957) e nel mondo (si veda lo studio “Il percepito delle certificazioni ambientali” condotto da Fondazione Symbola mediante IPSOS” del febbraio 2016) e presupposto per ottenere la certificazione EMAS: la certificazione ISO 14001. Le Norme internazionali ISO 14000 sono uno strumento volontario mediante cui migliorare un SGA all´interno di un'organizzazione. In particolare, la ISO 14001 determina i requisiti guida per l ´attuazione e implementazione di un Sistema di Gestione Ambientale (SGA) che un’organizzazione può utilizzare per migliorare le proprie prestazioni ambientali e contribuire alla sostenibilità dell'ambiente. La norma ISO pubblicata per la prima volta nel 1966 è stata revisionata nel 2004 e nel 2015. 412 EMAS, che rientra tra gli strumenti volontari attivati nell’ambito del V Programma d’azione europeo a favore dell’ambiente e successivamente ricompresi nel VI e nell´attuale VII programma, è stato istituito con regolamento nel 1993 dalla Comunità Europea ed era originariamente concepito solo per i siti industriali. Nel 2001, con il Regolamento CE n.761 è stato esteso a tutte le tipologie di enti e aziende che svolgono attività e generano un impatto ambientale. Da gennaio 2010 è entrato in vigore il Regolamento CE n.1221/09 detto EMAS III che fra i requisiti del sistema di gestione ambientale racchiude la Norma ISO 14001 all'allegato II. Mediante il Regolamento 1505/2017 la Commissione europea ha aggiornato le prescrizioni riguardanti l’analisi ambientale (All. I), l’audit ambientale interno (All. III), gli elementi del Sistema di Gestione Ambientale (All. II) adeguandoli ai requisiti della nuova ISO 14001:2015. 413 Il metodo PDCA è una tecnica che ha validità universale e che deriva dalle iniziali delle quattro fasi in cui si divide il processo di soluzione dei problemi: Plan:stabilire gli obiettivi e progettare i processi aziendali per giungere a risultati conformi a quanto stabilito nella politica dell’organizzazione; Do:consiste nell’attivare le risorse, umane, tecniche e finanziarie, per raggiungere gli obiettivi con interventi migliorativi della struttura aziendale; Check: sorvegliare e monitorare le modalità di sviluppo dei processi aziendali; Act: porre in essere le azioni necessarie per correggere e migliorare in continuo le prestazioni del sistema di gestione che prevede che la gestione ambientale di un ente o di un'azienda non si limiti alla soluzione dei problemi nel breve periodo ma predisponga azioni con cadenza regolare che siano di prevenzione a lungo corso secondo un impegno programmatico rivolto al futuro capace di innescare una spirale virtuosa verso un miglioramento continuo. 414 Il percorso per ottenere la certificazione EMAS prevede diversi passaggi, descritti nell'articolato del Regolamento n.1221/09: Analisi ambientale iniziale, Sistema di Gestione Ambientale , Audit interno effettua gli audit almeno una volta all'anno; Dichiarazione ambientale oggetto dell’allegato IV del Regolamento, rivista con Regolamento UE 2026/2018. A questi specifici documenti si aggiungono: la politica ed il programma ambientale. Infine, affinché il processo per ottenere la certificazione EMAS sia completo sono necessari la verifica e convalida e la registrazione presentati all'organismo competente dello Stato in cui ha sede l'organizzazione che richiede la registrazione. In Italia la domanda per la registrazione EMAS va rivolta al Comitato – sezione EMAS del Comitato Ecolabel Ecoaudit istituito ai sensi del D.m. n. 413/95. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 167 AmbienteDiritto - Editore© in luce come “… occorre trovare soluzioni vincenti … in cui il miglioramento ambientale vada di pari passo con il miglioramento delle prestazioni dei prodotti e favorisca la competitività dell’industria a lungo termine.” Quindi, è necessario adottare “... una politica che prenda in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto” intervenendo in modo appropriato nelle varie fasi per ridurre l'impatto ambientale. In questa ottica di LCT415 si muove l'approccio europeo IPP- Integrated Product Policy, tenendo conto anche della collaborazione con il mercato, del coinvolgimento con le parti interessate, della logica del miglioramento continuo e della molteplicità degli strumenti di azione. Il possesso delle principali caratteristiche delle certificazioni ambientali (volontarietà, trasparenza e terzietà) permette di comprendere il loro valore quali strumenti di mercato per la politica ambientale poiché incoraggia il consumatore sensibile ad un comportamento sostenibile e permette all’impresa di conquistare ulteriori fette di mercato senza impattare negativamente sull’ambiente. Inoltre, le certificazioni sostengono il modello dell’economia circolare attraverso la loro filosofia di azione che le porta sia ad un utilizzo ragionato delle risorse che ad una internalizzazione dei costi per una concreta sostenibilità ambientale. In particolare, riguardo all’economia circolare, il modello EMAS permette: di verificare il razionale utilizzo delle risorse nel processo produttivo, la gestione degli scarti e la quota di utilizzo delle materie prime seconde; di ripensare a tutta la catena di utilizzo della risorsa per incrementare notevolmente l’uso efficiente dei materiali. Invece, l’etichetta Ecolabel, nell’ottica dell’economia circolare, stimola la sensibilità e la consapevolezza dei consumatori ad acquistare prodotti più sostenibili sotto il profilo ambientale e indirizza i produttori verso una produzione più sostenibile. Rimane un’ultima considerazione, relativamente al carattere di volontarietà delle certificazioni ambientali, che, come si avrà modo di comprendere, attraverso la disciplina contenuta nel Nuovo Codice, con l’art. 34 diviene indirettamente quasi obbligatoria. . Lo sviluppo delle certificazioni nel nuovo codice. Il nuovo Codice, nella sua impostazione, volta ad applicare le direttive europee 416 ed a realizzare gli obiettivi ambientali stabiliti dai documenti governativi, attraverso la sua disciplina, dà un impulso ed un incentivo allo sviluppo ed all’utilizzo delle certificazioni ambientali417. Infatti, secondo il nuovo Codice418 le amministrazioni aggiudicatrici possono 415 Il modello LCT si lega anche ai modelli LCM e LCA LCM – Life cycle management è la metodologia secondo cui viene ridisegnato il sistema prodotto/servizio secondo il ciclo di vita con il perseguimento della sostenibilità economica, sociale e ambientale ed ha come obiettivo la gestione dell’intero ciclo di vita del prodotto attraverso una produzione e un consumo sostenibili. Principale strumento operativo del LCM è il LCA LCA – Life Cycle Assesment è un metodo oggettivo di identificazione e di quantificazione dei consumi di materia, energia ed emissioni nell’ambiente e di valutazione degli impatti potenziali in termini fisici che queste generano nel corso dell’intero ciclo di vita del prodotto. Questa procedura è standardizzata dalle norme UNI EN ISO 14040-2006. Il suo approccio consiste nel valutare tutte le fasi di un processo produttivo, che comportano dei potenziali impatti sull’ambiente diversi a seconda della fase del ciclo di vita, come correlate e dipendenti, fornendo un quadro completo delle interazioni con l’ambiente. In questo modo si può intervenire sulle fasi critiche del processo produttivo associate all’intero ciclo di vita per migliorarne la prestazione ambientale. 416 Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE; Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sui contratti di concessione; Direttiva 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE 417 Le ricerche statistiche effettuate dall’ISPRA, hanno confermato l’accresciuta diffusione delle certificazioni ambientali. Le registrazioni EMAS sono aumentate dal 2016 (1794) al 2018(1917) di 123 unità http://www.isprambiente.gov.it/it/certificazioni/emas/statistiche. La pagina dedicata alle ricerche statistiche Ecolabel aggiornate al 2019 premette che il 25 settembre 2018 è scaduta la validità di tutte le licenze rilasciate per strutture turistiche e campeggi perciò si è registrata una marcata diminuzione delle licenze per questo gruppo di prodotti e il 31 giugno 2019 è scaduta invece la licenza per i prodotti multiuso e per servizi sanitari, di conseguenza, vi è stata una flessione delle licenze totali che comunque ammontano a 8560. Le elaborazioni grafiche mostrano un generale trend positivo di crescita nel tempo sia del numero totale di licenze Ecolabel UE rilasciate, sia del numero di prodotti e servizi etichettati. http://www.isprambiente.gov.it/it/certificazioni/ecolabel-ue/materiale-informativo/grafici-e-dati/anno2019/26-luglio-2019-aggiornamento-numero-prodotti-e-licenze-ecolabel-ue 418 Il testo del D.lgs 50/2016 si applica a tutti gli appalti di lavori, servizi e forniture banditi dalle Pubbliche amministrazioni e sostituisce il D.lgs n.163/06. Il nuovo Codice è stato poi rivisto con il D.lgs n.56/2017 “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 168 AmbienteDiritto - Editore© introdurre considerazioni ambientali, attestate da certificazioni, sia nelle fasi preliminari l’appalto, sia nell’ambito della procedura di gara, sia nell’esecuzione del contratto di appalto. Prima, però, di percorrere le disposizioni del nuovo Codice, a conferma di quanto affermato, è bene soffermarsi su due aspetti caratterizzanti il nuovo Codice e complementari alla concreta applicazione delle certificazioni. Il nuovo Codice, nel confermare la sua attenzione verso l’ambiente419, adotta un approccio nuovo dal punto di vista della tecnica normativa che si fonda sulla flessibilità e molteplicità degli strumenti applicativi. Infatti, per esso, non è stato previsto un regolamento di esecuzione e di attuazione, ma l'emanazione di atti di indirizzo, di linee guida420 di carattere generale (soft law) e di decreti, da approvare a cura di diversi soggetti tra i quali, in particolare, l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT). L’obiettivo perseguito dal legislatore era di giungere a una regolamentazione sintetica e unitaria, ma flessibile, soft law 421, e quindi più facilmente e velocemente adeguabile all’evoluzione del mercato rispetto al classico regolamento di attuazione422. Proprio in termini di soft law l'ANAC 423, a fronte del nuovo Codice 424, adotta n.50” e recentemente con il D.l. n. 32/2019 “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici.” convertito dalla L. n. 55 del 14 giugno 2019. 419 Si riportano qui di seguito una serie di articoli del Nuovo Codice a conferma della sua attenzione verso l’ambiente: l'art 4 individua i criteri da seguire per gli affidamenti che non rientrano nell'ambito di applicazione del codice fra cui la tutela dell'ambiente; l'art.23, nella fase di progettazione delle opere, richiede una particolare attenzione alla tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza oltre a richiedere un limitato consumo del suolo, il rispetto del principio del risparmio, di efficientamento energetico, di valutazione del ciclo di vita, di manutentabilità delle opere, accessibilità e adattabilità per tutti gli utenti; l'art.30 esplicita la possibilità di subordinare il principio di economicità ai criteri previsti nei bandi di appalto ispirati ad esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile anche dal punto di vista energetico. 420 Nel Nuovo Codice sono stati introdotti modelli diversi di linee guida, classificati dal Consiglio di Stato in tre tipologie: a) quelle approvate con decreto ministeriale, b) quelle vincolanti adottate dall’ANAC e c) quelle non vincolanti (sempre adottate dall’ANAC). C. Deodato, “Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto?”, in www.giustizia-amministrativa.it, 29 aprile 2016; G. Morbidelli , “Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?” Diritto Amministrativo, fasc.3, settembre 2016, pag. 273. 421 Soft law che è' un termine di elaborazione dottrinale di diritto internazionale con cui si indica un insieme di atti, documenti o altri strumenti utilizzati dalle istituzioni comunitarie o internazionali e che pur non essendo vincolanti producono effetti nell'ordinamento giuridico. Si collocano fra gli strumenti del soft law: pareri, raccomandazioni, carte di diritti, comunicazioni della Commissione, libri bianchi e verdi, gli action plans, codici di condotta e atti delle autorità indipendenti. Cfr Paola Ficco (a cura di), “Il nuovo corso del Codice appalti e il rilancio del Green Public Procurement(Gpp) per scelte eco- compatibili”, Manuale operativo per gli appalti verdi – Gpp nella gestione dei rifiuti urbani, Edizioni Ambiente, Milano,2016 422 Cfr. Documento dell ‘ Ufficio Parlamentare di Bilancio - Flash n.2 – Il Codice degli appalti pubblici: la difficile ricerca di un punto di equilibrio, Giugno 2019 423 Si veda il comma 2, art.213 del D.lgs 50/16 “L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, gli atti di regolazione e gli altri atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti. Resta ferma l’impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa. L'ANAC, per l'emanazione delle linee guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n.11 del 2016 e dal presente codice”. 424 Attualmente la legge n. 55/19 ( cd. Sblocca Cantieri) effettua una inversione di tendenza ritornando al Regolamento Unico e superando di fatto l'approccio soft law che ha caratterizzato il Nuovo Codice. La legge n.55/19 aggiunge all'art.216 il comma 27 octies in cui si prevede, entro 180 giorni, l'introduzione di un Nuovo Regolamento di esecuzione, attuazione e integrazione del Codice ( si ricorda il precedente Regolamento Unico, D.p.r. n.207/10 ) che recherà disposizioni,in particolare, nelle seguenti materie: a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e dell’esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i) lavori riguardanti i beni culturali. Pertanto a decorrere dalla stessa data cesseranno di avere efficacia anche le linee guida cd. “non vincolanti” di cui all’articolo 213, comma 2, relative alle materie sopra elencate nonché quelle che comunque siano in contrasto con le disposizioni recate dal regolamento. Il legislatore in questo modo ha probabilmente voluto soddisfare le richieste ed i dubbi sollevati da imprese e funzionari pubblici sull'effettiva capacità vincolante delle Linee Guida. Nel mese di novembre 2019 una bozza del Nuovo Regolamento è già stata consegnata alla commissione di 13 esperti appositamente nominata dalla ministra delle Infrastrutture e dei trasporti. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 169 AmbienteDiritto - Editore© numerosissimi atti che declinano il nuovo sistema nel dettaglio. Questi atti rappresentano una fonte-atto atipica, ma legittimata (volta per volta) a creare diritto cogente 425. L’altro aspetto riguarda il Green Public Procurement – Gpp (appalto verde) in quanto appalto pubblico particolare perché rivolge la sua attenzione alla tutela dell’ambiente. Una definizione di Gpp si trova nel Libro Verde per gli acquisti pubblici della Commissione Europea “... approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. Il Gpp è uno strumento di politica ambientale 426 il cui obiettivo è lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale mediante domanda pubblica. Quindi, le istituzioni pubbliche, che agiscono mediante il GPP, mirano a razionalizzare acquisti e consumi e ad incrementare la qualità ambientale delle proprie forniture, servizi e lavori. 427 In Italia, il Piano di Azione per la Sostenibilità Ambientale dei Consumi della Pubblica Amministrazione (Piano di Azione Nazionale per il GPP), approvato nel 2008 e aggiornato nel 2013428, ha ben definito il contesto per lo sviluppo delle politiche per gli acquisti pubblici verdi, indicando, attraverso l’adozione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), le operazioni per la realizzazione di procedure di acquisti verdi. I CAM, nel PAN – GPP, sono in effetti definiti come “...le “indicazioni tecniche”… che consistono in indicazioni specifiche di natura ambientale e, quando possibile, etico-sociale, collegate a diverse fasi che caratterizzano le procedure di gara...” Nella revisione del 2013 si stabilisce che i CAM429sono applicabili nelle procedure d’appalto sopra e sotto la soglia comunitaria delle categorie d’appalto a cui fanno riferimento; si definiscono “minimi” poiché permettono di dare un’indicazione omogenea ai vari operatori economici privati e pubblici. Tali aspetti permeano lo sviluppo del nuovo Codice nelle disposizioni dedicate alle certificazioni come si avrà modo di mettere in evidenza nel successivo paragrafo. . Le certificazioni ambientali negli articoli del nuovo codice. Il percorso fra gli articoli del nuovo Codice che riguardano le certificazioni, è volto ad individuare: quali spazi esse ricoprono nello svolgersi delle fasi degli appalti, la loro capacità di realizzare gli obiettivi ambientali e dell’economia circolare nonché i loro eventuali sviluppi futuri. Si parte dall'art. 71 che dispone che i bandi di gara siano redatti in conformità ai bandi 425 Paola Ficco (a cura di), “Manuale operativo per gli appalti verdi – GPP – nella gestione dei rifiuti urbani”, Edizioni Ambiente, Milano 2016, pag.24ss 426 Nelle politiche europee il ruolo ricoperto dai Gpp è messo in evidenza nel documento della Commissione europea “ Piano d’azione su Consumo e produzione sostenibili” COM (2008) 397 ; rafforzato nella Strategia Europa 2020 in particolare nella Comunicazione “ Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, COM (2011) 571 e ripreso dalla Comunicazione sull’economia circolare COM (2014) 398 427 Ogni anno oltre 250.000 amministrazioni pubbliche in Europa spendono una cifra che rappresenta circa il 18% del PIL per l’acquisto di beni e servizi e in numerosi settori (energia, trasporti, gestione dei rifiuti, sanità, settore sociale ed educativo) le amministrazioni pubbliche sono i primi acquirenti. Si vedano i dati riportati nel documento “ Dal Green Public Procurement al Circular Green Procurement – Promuovere l'economia circolare attraverso l'evoluzione degli acquisti verdi” e gli studi. Http://ec.europa.eu/internal_market/scoreboard/performance_per_policy_area/public_procurement/index_en.htm Si vedano anche i dati ufficiali EU dichiarati al WTO disponibili online all’indirizzo http://www.wto.org/english/tratop_e/gproc_e/notnat_e.htm#statPro (gli ultimi dati disponibili fanno riferimento all’anno 2011). 428 Il PAN - gpp è stato adottato con D.I. dell'11 aprile 2008 dal MATTM di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello Sviluppo economico e revisionato con D.M. del MATTM il 10 aprile 2013. Lo scopo del PAN- GPP è: “ … di promuovere la diffusione del GPP presso gli enti pubblici e intende favorire le condizioni necessarie per far sì che il GPP possa dispiegare in pieno le sue potenzialità come strumento per il miglioramento ambientale.” Nella sua revisione conferma lo scopo e apporta modifiche relativamente alla gestione del Piano stesso e la procedura e definizione insieme alla approvazione e divulgazione dei CAM – Criteri Ambientali Minimi. 429 I CAM vengono adottati con decreto del MATTM sulla base di una procedura definita nel PAN – GPP come indicato nel D.M. del MATTM il 10 aprile 2013 al punto 4.3. Nel Pan - gpp le categorie merceologiche menzionate per i CAM sono 17 ma per il 2019 sono divenute 19, si veda https:// www.minambiente.it/pagina/i-criteri-ambientali-minimi#3. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 170 AmbienteDiritto - Editore© tipo adottati dall'ANAC e contengano i CAM indicati nell'art. 34 430 che titola: “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale”. Il comma 3 dell’art. 34 sancisce l'obbligo di inserire i CAM nei documenti di gara degli appalti e afferma, nei commi precedenti, che le stazioni appaltanti, attraverso l’inserimento nella documentazione progettuale di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei CAM, adottati con decreto del MATTM, contribuiscono a realizzare gli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della PA. In merito alle specifiche tecniche, che si inseriscono nell’appalto sia nella stesura per l’individuazione dell’oggetto sia nell’aggiudicazione che nell’esecuzione dei lavori, possono essere provate con le certificazioni ambientali. Perciò, le certificazioni ambientali divengono mezzo di prova e di conformità dell’offerta per partecipare ad una gara, per l’aggiudicazione e per l’esecuzione di quanto richiesto nell’appalto. La stazione appaltante, attraverso le specifiche tecniche431, definite dall’art. 68432, determina l’oggetto contrattuale e fissa appositi standard di prestazione che ritiene maggiormente idonei per il soddisfacimento delle proprie esigenze, attuando una certa discrezionalità che incontra comunque un limite nel comma 4 secondo cui le specifiche tecniche devono consentire pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare ostacoli ingiustificati all'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. I commi 7 ed 8 dell’art. 68 prevedono che un’offerta non possa essere esclusa o non ammessa se l’oggetto non è conforme alle specifiche tecniche determinate nel bando, pertanto l’offerente può provare, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’art. 86 433 del nuovo Codice, che le soluzioni 430 Il contenuto dell’art.34 trova la sua cornice nel considerando 92 della direttiva 24/ 2014 che a sua volta fa riferimento all'art.11 TFUE e afferma: “L’articolo 11 TFUE impone che le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente siano integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. La presente direttiva chiarisce in che modo le amministrazioni aggiudicatrici possono contribuire alla tutela dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile, garantendo loro la possibilità di ottenere per i loro appalti il migliore rapporto qualità/prezzo “ 431 Nella legislazione comunitaria le specifiche tecniche sono contenute nell'art. 42 della Direttiva 24/2014 e definite all'allegato VII che corrisponde all'allegato XIII del Nuovo Codice dei Contratti. Nell’allegato XIII del Codice al punto 1 viene operata una distinzione fra specifiche tecniche relative ai lavori e specifiche tecniche relative a servizi e forniture “a) nel caso di appalti pubblici di lavori: l'insieme delle prescrizioni tecniche contenute, in particolare, nei documenti di gara, che definiscono le caratteristiche richieste di un materiale, un prodotto o una fornitura in modo che rispondano all'uso a cui sono destinati dall'amministrazione aggiudicatrice; tra queste caratteristiche rientrano i livelli della prestazione ambientale e le ripercussioni sul clima, la progettazione che tenga conto di tutti i requisiti (compresa l'accessibilità per persone con disabilità) la valutazione della conformità, la proprietà d'uso, la sicurezza o le dimensioni, incluse le procedure riguardanti il sistema di garanzia della qualità, la terminologia, i simboli, il collaudo e metodi di prova, l'imballaggio, la marcatura e l'etichettatura, le istruzioni per l'uso, nonché i processi e i metodi di produzione in qualsiasi momento del ciclo di vita dei lavori. Esse comprendono altresì le norme riguardanti la progettazione e la determinazione dei costi, le condizioni di collaudo, d'ispezione e di accettazione dei lavori nonché i metodi e le tecniche di costruzione come pure ogni altra condizione tecnica che l'amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore può prescrivere, mediante regolamentazione generale o particolare, in relazione all'opera finita e ai materiali o alle parti che la compongono;b) nel caso di appalti pubblici di servizi o di forniture, le specifiche contenute in un documento, che definiscono le caratteristiche richieste di un prodotto o di un servizio, tra cui i livelli di qualità, i livelli di prestazione ambientale e le ripercussioni sul clima, una progettazione che tenga conto di tutte le esigenze (compresa l'accessibilità per le persone con disabilità) e la valutazione della conformità, la proprietà d'uso, l'uso del prodotto, la sicurezza o le dimensioni, compresi i requisiti applicabili al prodotto quali la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, il collaudo e i metodi di prova, l'imballaggio, la marcatura e l'etichettatura, le istruzioni per l'uso, i processi e i metodi di produzione ad ogni stadio del ciclo di vita della fornitura o dei servizi, nonché le procedure di valutazione della conformità…;” 432 Si riporta qui di seguito la definizione delle specifiche tecniche contenuta nell’art.68 “... definiscono le caratteristiche previste per lavori, servizi o forniture. Tali caratteristiche possono inoltre riferirsi allo specifico processo o metodo di produzione o prestazione dei lavori, delle forniture o dei servizi richiesti, o a uno specifico processo per un'altra fase del loro ciclo di vita anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale, purché siano collegati all'oggetto dell'appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi.” 433 Si riporta qui di seguito Art. 86. (Mezzi di prova) 1. Le stazioni appaltanti possono chiedere i certificati, le dichiarazioni e gli altri mezzi di prova di cui al presente articolo e all'allegato XVII, come prova dell'assenza di motivi di esclusione di cui all'articolo 80 e del rispetto dei criteri di selezione di cui all'articolo 80. Le stazioni appaltanti non esigono mezzi di prova diversi da quelli di cui al presente articolo, all'allegato XVII e all’articolo 87. Gli operatori economici possono avvalersi di qualsiasi mezzo idoneo documentale per provare che essi disporranno delle risorse necessarie. 2. Le stazioni appaltanti accettano i seguenti documenti come prova sufficiente della non applicabilità all'operatore economico dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80: a) per quanto riguarda i commi 1, 2 e 3 di detto articolo, il certificato del casellario giudiziario o in sua mancanza, un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato membro o del Paese d'origine o di provenienza da cui risulta il soddisfacimento dei requisiti previsti; b) per quanto riguarda il comma 4 di detto articolo, tramite apposita certificazione rilasciata dalla amministrazione fiscale competente e, con riferimento ai contributi previdenziali e assistenziali, tramite il Documento Unico della Regolarità Contributiva acquisito d'ufficio dalle ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 171 AmbienteDiritto - Editore© proposte siano equivalenti ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche. L’art. 86 precisa appunto, al comma 1, che le stazioni appaltanti possono chiedere certificati e dichiarazioni ammessi nel medesimo articolo e nell’Allegato XVII 434 quali prove per evitare l’esclusione da una gara e il rispetto dei criteri di selezione 435. Nel caso di un CAM la certificazione può servire come prova della conformità dello specifico prodotto ai requisiti ambientali fissati negli stessi e previsti dalle specifiche tecniche di gara. L’art. 69436, in modo esplicito, afferma che le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre nelle specifiche tecniche, nei criteri di aggiudicazione o nelle condizioni relative all'esecuzione dell'appalto, un'etichettatura specifica come mezzo di prova. In alcuni casi il riferimento ai requisiti di un'etichettatura, da parte della stazione appaltante, potrebbe non essere discrezionale ma necessario nel caso in cui l’etichettatura costituisca il mezzo di prova, relativamente all'oggetto dell'appalto, del rispetto dei criteri ambientali di cui all'art. 34 del Codice. Infatti, la stessa ecoetichetta può essere qualificata come mezzo di presunzione di conformità ai decreti ministeriali che determinano i CAM per le singole categorie di beni e di servizi. Ancora, a sostegno dell’etichettatura, quale mezzo di prova di conformità verso i requisiti o le condizioni stabiliti nelle specifiche tecniche, nell’art.82437 si legge che le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che gli operatori economici presentino, come mezzi di prova di conformità ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all'esecuzione dell'appalto, una relazione di prova o un certificato rilasciati da un organismo di valutazione della conformità438. Infine, al comma 2 dell’art. 87 si aggiunge che le stazioni appaltanti, nel caso in cui richiedano certificati rilasciati da terzi indipendenti per attestare il rispetto di determinati sistemi o di norme di gestione ambientale, fanno riferimento al sistema EMAS o a altri sistemi di gestione ambientale conformi all'articolo 45 del regolamento (CE) n. 1221/2009 o ad altre norme di gestione ambientale fondate su norme europee o internazionali in materia, certificate da organismi accreditati secondo il regolamento (CE) n. 765/2008. Il successivo art. 93, in sede di gara d’appalto, prevede la riduzione delle garanzie fideiussorie 439 ed agevolazioni stazioni appaltanti presso gli istituti previdenziali ai sensi della normativa vigente ovvero tramite analoga certificazione rilasciata dalle autorità competenti di altri Stati. 434 In particolare l’Allegato XVII prevede i mezzi di prova dei criteri di selezione per le capacità economico finanziarie e le capacità tecniche e per queste ultime, quali mezzi di prova, prevede un'indicazione dei sistemi di gestione della catena di approvvigionamento che l'operatore economico potrà applicare durante l'esecuzione del contratto e certificati che attestino la conformità di prodotti ben individuati mediante riferimenti a determinate specifiche tecniche o norme 435 Si ricordi la modifica apportata dalla Legge n.55/19 al nuovo Codice degli Appalti che prevede l'inserimento del comma 2bis all'art.86 in cui si afferma che “...Ai soli fini della prova dell’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80 in capo all’operatore economico che partecipa alla procedura, ai soggetti di cui l’operatore economico si avvale ai sensi dell’articolo 89 nonché ai subappaltatori, i certificati e gli altri documenti hanno una durata pari a sei mesi dalla data del rilascio...” ne rimane esente il DURC. Il comma si completa aggiungendo che per i certificati e documenti già acquisiti e scaduti da non oltre sessanta giorni e qualora sia pendente il procedimento di acquisto, la stazione appaltante può procedere alla verifica dell’assenza dei motivi di esclusione con richiesta diretta agli enti certificatori di eventuale conferma del contenuto dell’attestazione già rilasciata. 436 Questo articolo riproduce integralmente e senza modifiche il contenuto dell'art.43 della direttiva 2014/24 identico peraltro a quanto previsto per i settori speciali dall'art.61 delle direttiva 25/2014. Si veda art. 43 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0024&from=IT Si veda anche Art.61 Direttiva 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE ; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32014L0025 437 L'articolo riproduce integralmente il contenuto dell'art.62 della direttiva UE n. 24/2014 438 Lo stesso comma definisce che le stazioni appaltanti accetteranno una attestazione di conformità rilasciata da un organismo accreditato secondo il regolamento CE 765/08 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti. Tale Regolamento 765/08 all’art. 4 stabilisce che ogni Stato membro designa un unico organismo nazionale di accreditamento il quale a ricevimento di una domanda da parte di un organismo di valutazione della conformità, dopo aver accertato che quest’ultimo sia in grado di svolgere una determinata attività di valutazione della conformità, gli rilascia un certificato di accreditamento. In Italia l’organismo nazionale di Accreditamento è individuato in ACCREDIA- Ente italiano di accreditamento operativo dal 2009. ACCREDIA nasce dal’unione di SIT, Sinal e Sincert con Decreto del 22 dicembre 2009 – “Designazione di «Accredia» quale unico organismo nazionale italiano autorizzato a svolgere attivita' di accreditamento e vigilanza del mercato.” 439 Dunque, secondo la normativa contenuta nell’art.93, la garanzia è ridotta del 50% per gli operatori economici provvisti di certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 ottenuto da organismi accreditati. Una pari riduzione, ma non cumulativa, è accordata alle microimprese ed alle piccole e medie imprese ovvero ai raggruppamenti e consorzi ordinari costituiti da esse a sostegno delle PMI. Una ulteriore riduzione del 30% va ai soggetti registrati al sistema EMAS di ecogestione e del 20% per quelli in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 172 AmbienteDiritto - Editore© premiali per il possesso delle certificazioni ambientali che l’operatore economico deve segnalare di aver conseguito in sede di offerta. Diverse sono probabilmente le ragioni che hanno spinto il legislatore in tale direzione 440: i soggetti che acquisiscono determinate certificazioni sono considerati affidabili; dotarsi di certificazioni per gli operatori economici genera risparmio e innalza il livello qualitativo dei medesimi. Invece, l’art. 95 441 del Nuovo Codice, che riguarda i Criteri di aggiudicazione dell’appalto, va letto in modo sistemico con l’art. 96 “Costi del ciclo di vita” e le Linee Guida dell’ANAC n. 2 del 2016. Fra i criteri di aggiudicazione di un appalto l’art. 95 accorda la preferenza all’offerta economicamente più vantaggiosa442, supportata dalle indicazioni operative dettate dall’ANAC. Quest’ultima, nelle Linee Guida, dispensa suggerimenti operativi sulle modalità di valutazione in termini quantitativi e qualitativi dei criteri di valutazione e definisce il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sottolineando che la PA nei suoi acquisti “ … non deve badare esclusivamente a un risparmio sui costi ma deve anche considerare la qualità di ciò che viene acquistato”. Quindi, nei documenti di gara vanno inserite tutte le informazioni sui criteri di aggiudicazione necessarie agli operatori economici per potervi partecipare mentre la stazione appaltante definisce gli obiettivi e l’importanza attribuita a ciascuno di essi individuando i criteri che intende valutare e il relativo peso o fattore di ponderazione443. Poi, secondo le Linee Guida, le stazioni appaltanti individuano criteri di valutazione che mettano in evidenza le caratteristiche migliorative delle offerte presentate dai concorrenti e differenzino le stesse in ragione della rispondenza alle esigenze della stazione appaltante per consentire un effettivo confronto concorrenziale sui profili tecnici dell’offerta. Pertanto i requisiti premianti faranno stretto riferimento alle caratteristiche e alle prestazioni ambientali444 dei prodotti/servizi oggetto dell’appalto ( richiesta di etichette) o al loro processo di produzione (richiesta di certificazioni SGA) anche per una fase successiva del loro ciclo di vita. ENI ISO 14001. Le disposizioni stabilite in questo articolo spingono ad una maggiore ecologizzazione degli operatori economici poiché per i contratti di servizi e forniture è concesso un ulteriore 20% cumulabile con le precedenti riduzioni, agli operatori in possesso del marchio Ecolabel per i beni e servizi che costituiscano almeno il 50% dei beni e servizi oggetto del contratto. 440 Cfr., Luca R. Perfetti (a cura di) , Codice dei contratti pubblici, II edizione, Wolkers Kluwer, 2017, pag. 819 -826 441 L’art.95 titola “Criteri di aggiudicazione dell’appalto” nel contenuto fa riferimento all’art. 67 della Direttiva 24/14 che indica quale criterio di aggiudicazione da privilegiare quello dell’offerta economica più vantaggiosa capace di valutare l’offerta migliore non solo sulla base di un prezzo/costo ma anche di parametri qualitativi connessi all’oggetto dell’appalto sempre nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento. 442 Si ricorda la modifica inserita con la legge n.55/19 nell'art. 36 con il comma 9bis “ Fatto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa” Pertanto nella lettura complessiva dell'articolo per l'aggiudicazione dei contratti “sottosoglia” il criterio del minor prezzo diventa alternativa sempre possibile anziché l'offerta economicamente più vantaggiosa. Mentre per i contratti sopra soglia vale il criterio dell'oepv quale unico criterio per l'aggiudicazione a disposizione della stazione appaltante. 443 La ponderazione viene richiamata nell’art.95 ( commi 8 – 9) ai fini del peso da attribuire ai criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa. Nelle linee guida N.2 dell'ANAC la ponderazione è descritta come: “ I “pesi” o “punteggi” (e i sub pesi o sub punteggi) di ponderazione sono il valore attribuito dalla stazione appaltante a ciascun criterio (o sub criterio). La determinazione dei punteggi da attribuire a ciascuna componente dell’offerta, a ciascun criterio o subcriterio è rimessa alla stazione appaltante che deve tener conto delle specificità dell’appalto e, dunque, dell’importanza relativa della componente economica, di quella tecnica e dei relativi profili oggetto di valutazione ” Relativamente all'attribuzione del punteggio dopo una serie di indicazioni operative le Linee guida ANAC riportano che “In generale si deve attribuire un punteggio limitato alla componente prezzo quando si ritiene opportuno valorizzare gli elementi qualitativi dell’offerta o quando si vogliano scoraggiare ribassi eccessivi che si ritiene difficilmente perseguibili dagli operatori economici; viceversa si deve attribuire un peso maggiore alla componente prezzo quando le condizioni di mercato sono tali che la qualità dei prodotti offerti dalle imprese è sostanzialmente analoga. Limitato deve essere, di regola, il peso attribuito ai criteri di natura soggettiva o agli elementi premianti, ad esempio non più di 10 punti sul totale, considerato che tali elementi non riguardano tanto il contenuto dell’offerta ma la natura dell’offerente. Tuttavia si può attribuire un punteggio maggiore in relazione alla specificità dei servizi come avviene per quelli relativi all’ingegneria e all’architettura in ordine ai quali è alta l’interrelazione tra la capacità dell’offerente e la qualità dell’offerta.” 444 Il comma 6 dell’art 95 prevede che “...l'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all'oggetto dell'appalto.” Successivamente a titolo esemplificativo fornisce una serie di aspetti che possono entrare nei criteri e fra questi: a) qualità fra cui certifica zioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici ; b) posses so di un marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto, in misura pari o superio re al 30 per cento del valore delle forniture o prestazioni oggetto del contratto. Appare chiaro che, fra gli aspetti che rientrano nei criteri per indivi duare l’offerta economicamente più vantaggiosa, nei punti a) e b), vengono individuate le certificazioni che sostengono l’aspetto oggettivo- qualitativo. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 173 AmbienteDiritto - Editore© A proposito del ciclo di vita il Codice dispone che l’elemento costo, nell’offerta economicamente più vantaggiosa, vada valutato sui costi del ciclo di vita come regolato dall’art. 96445 che consente: di apprezzare i costi connessi alle varie fasi del ciclo di vita dei lavori/beni/servizi oggetti dell’appalto; di procedere a una valutazione complessiva dell’impatto economico sia dei costi che ricadono più direttamente sulla stazione appaltante sia di quelli legati ad esternalità ambientali. Infatti, la sostituzione del prezzo più basso con l’offerta economicamente più vantaggiosa che si basa sul costo più basso, offre la possibilità di valutare le offerte considerando, insieme al prezzo di acquisto, i costi anche relativi alle esternalità ambientali connessi al ciclo di vita dell’oggetto dell’appalto (Life cycle costing o LCA). Infine, l’amministrazione aggiudicatrice, attraverso la definizione delle condizioni di esecuzione contrattuali, secondo l’art. 100 del Codice, può includere aspetti ambientali che i partecipanti alla gara alla presentazione delle offerte sono tenuti a soddisfare 446. Le condizioni esecutive, però, devono essere aggiuntive rispetto all’oggetto del contratto, altrimenti vanno a coincidere con le “specifiche tecniche”, legate alle modalità esecutive dello stesso. “ In concreto, le stazioni appaltanti possono acquistare prodotti e servizi preferibili in ordine agli aspetti ecologici, per esempio richiedendo ai fornitori l’utilizzo di un sistema di gestione ambientale o la certificazione della qualità ecologica dei beni e dei servizi erogati …. ”447 Una veloce rilettura del paragrafo mette in evidenza almeno 10 articoli del nuovo Codice che, in modo diretto o indiretto, fanno riferimento alle certificazioni ambientali a supporto della considerazione che le politiche ambientali dello Stato hanno adottato questi strumenti che, sebbene volontari, possono effettivamente supportare i cambiamenti previsti a salvaguardia dell’ambiente. Pertanto, a partire dall’obbligo contenuto nell’art. 34 riguardo all’inserimento nella documentazione progettuale di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei CAM e dal fatto che le specifiche tecniche possono essere provate mediante certificazioni ambientali e che le stesse specifiche tecniche possono essere inserite anche nelle altre fasi delle gare d’appalto, si evidenzia chiaramente il ruolo delle certificazioni ambientali in sede selettiva, premiante, aggiudicante ed esecutiva. In seguito, l’adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, e l’art. 95 che suggerisce che fra gli aspetti che rientrano nei criteri per individuarla vengano indicate anche le certificazioni ambientali, che sostengono l’aspetto oggettivo-qualitativo, mostrano un chiaro legame di queste con il modello dell’economia circolare. Dunque, le certificazioni ambientali nel Nuovo Codice si pongono a salvaguardia dell’ambiente ed a sostegno dell’economia circolare. Però l’analisi delle disposizioni del nuovo Codice, mediante cui si rileva l’importanza e lo spazio accordato alle certificazioni ambientali, non è completa senza un’indagine specifica sugli istituti dell’equivalenza e dell’avvalimento. 445 L’art.96 prevede espressamente che possano essere valutati fra i costi del ciclo di vita i costi sostenuti dall'amministrazione o da altri utenti quali: i costi relativi all'acquisizione, i costi connessi all'utilizzo quali consumo ed energia e di altre risorse, i costi di manutenzione, i costi relativi alla fine di vita come i costi di raccolta, smaltimento e riciclaggio e i costi imputabili a esternalità ambientali legate ai prodotti ed ai servizi o ai lavori nel corso del ciclo di vita a condizione che il loro valore possa essere determinato e certificato. Secondo il comma 2 del medesimo articolo la stazione appaltante indicherà nei documenti di gara i dati che gli offerenti dovranno fornire e il metodo che la stazione appaltante impiegherà per determinare i costi del ciclo di vita sulla base di tali dati e per i costi legati alle esternalità ambientali il metodo dovrà soddisfare le seguenti condizioni: “…. essere basato su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori;….. essere accessibile a tutte le parti interessate; i dati richiesti devono poter essere forniti con ragionevole sforzo da operatori economici normalmente diligenti…” 446 Si riporta a tal proposito l’art.100 del Dlgs 50/16 “1. Le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l'esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto europeo e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione e siano precisate nel bando di gara, o nell'invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d'oneri. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali. 2. In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare i requisiti particolari nell'ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari.” 447 Guida pratica agli acquisti verdi - Regione Emilia Romagna - Servizio Valutazione Impatto e Promozione Sostenibilità Ambientale Elaborazione a cura di ERVET S.p.a., Bologna, Marzo 2018. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 174 AmbienteDiritto - Editore© . I principi di equivalenza e di avvalimento. Il rilievo del principio di equivalenza, riguardo all’importanza acquisita dalle certificazioni, si evidenzia, all’interno del Codice, in particolare nell’art. 68, nella modalità di formulazione delle specifiche tecniche. Al comma 5 punto b), che fa riferimento alle norme internazionali e nazionali, è prescritto che ciascun riferimento contenga l’espressione “ o equivalente” e ancora, al comma 6, la menzione o il riferimento mediante le specifiche tecniche ad un preciso marchio è ammesso, in via eccezionale, ma va accompagnato dall’espressione “ o equivalente”. Poi, al comma 2 dell’art. 69 si dice che le amministrazioni aggiudicatrici che chiedono un’etichettatura specifica, conseguentemente, accettano tutte le etichettature che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti. Infine, all’art. 87, comma 1, si afferma che “Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri” e che, nel caso in cui gli operatori economici non abbiano la possibilità di ottenere i certificati richiesti448 dalla stazione appaltante per motivi da loro indipendenti, le medesime stazioni ammettono “… altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità…”. I contenuti degli articoli del D.lgs. n. 50/16, sopra menzionati, riproducono il contenuto del considerando 74 e dell’articolo 42 449 della Direttiva n. 24/2014, riguardanti il principio di equivalenza. Ad ogni modo, la rilevanza del concetto di equivalenza era stata già enunciata, nell’ordinamento interno, con la circolare del 29 aprile 2004 del Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, successivamente, anche con determinazione del 29 marzo 2007, n. 2 dell’AVCP. Il rilievo del principio di equivalenza emerge anche nella giurisprudenza, ad esempio in una controversia relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione e di conduzione dell'impianto di depurazione e trattamento di rifiuti liquidi pericolosi e non, il TAR Molise, con la sentenza n. 281 del 2017, ha stabilito che, qualora le stazioni appaltanti chiedano l'indicazio ne delle misure di gestione ambientale, le stesse riconoscono i certificati equivalenti in materia rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri ed accettano anche altre prove, relative a misure equivalenti, in materia di gestione ambientale, prodotte dagli operatori economici. Poi, nel caso in cui i servizi certificati dal concorrente, con apposita certificazione volontaria ambientale ISO 14001, siano equivalenti e non identici a quelli oggetto di appalto, ciò non può de terminare l'esclusione dalla procedura per carenza del requisito di qualità in quanto il possesso della certificazione "equivalente" garantisce il minimo di organizzazione ritenuto dall'Amministrazione necessario per l'efficace realizzazione della commessa. Ancora sul principio dell’equivalenza emerge, a differenti fini, ossia di incrementare la concorrenza, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2991/2019 laddove si afferma che il prin cipio dell’equivalenza trova applicazione vincolante per l’amministrazione solo qualora il bando di gara, il capitolato d’oneri o i documenti complementari menzionino nel dettaglio un marchio, un brevetto o un tipo, un’origine o una produzione specifica che avrebbero come effetto di favo rire o di eliminare talune imprese o taluni prodotti; questa indicazione 450 deve essere accompagnata, già nel bando, dall’espressione “o equivalente”. Una precedente giurisprudenza afferma, con la sentenza del Consiglio di Stato n. 1316/2018, che “ Il precetto di equivalenza delle specifiche tecniche è un presidio del canone comunitario dell'effettiva concorrenza (come tale vincolante per l'Amministrazione e per il giudice) ed impone che i concorrenti possano sempre dimo448 Si ricorda che Il comma 2 dell’art.87 prevede il caso in cui sia richiesta le certificazione di sistema gestione ambientale per cui le amministrazioni sono tenute a fare riferimento prioritario ad EMAS, eventualmente ad altri sistemi di gestione conformi al regolamento 1221/09 oppure ai sistemi nazionali espressamente riconosciuti come equivalenti in tutto o in parte al sistema EMAS da parte della Commissione Europea o ancora ad altre norme di gestione ambientale basate su norme europee o internazionali il cui rispetto sia certificato da organismi accreditati. 449 A tal proposito si vedano i contenuti del Considerando n.74 e dell’Articolo n.42 della Direttiva n.24/2014 al seguente indirizzo https://eurlex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0024&from=IT 450 Si veda anche Sentenza Corte Cost. n. 3029/2016 punto 2.5 “Quanto al principio di equivalenza di cui all’art. 68 …. va osservato, infatti, che la norma è concepita a tutela della concorrenza (comma 2) e trova applicazione nel senso che qualora siano inserite nella lex di gara specifiche tecniche a tal punto dettagliate da poter individuare un dato prodotto in maniera assolutamente precisa (con una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare, con riferimento a un marchio, a un brevetto), ipotesi che qui non ricorre, per favorire la massima partecipazione, deve essere data la possibilità della proposta che ottemperi in maniera equivalente agli stessi requisiti” ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 175 AmbienteDiritto - Editore© strare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto” e ancora una prevalente giurisprudenza ammette che il principio di equivalenza “ permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica e la possibilità di ammettere a seguito di valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione”451 e “…trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica ”452. In questo modo il principio di equivalenza sembra acquisire un raggio di applicazione assolutamente generalizzato nei contenuti delle gare di appalto, al di là del rilievo assegnato all’utilizzo delle certificazioni ma al fine di favorire l’affermazione della concorrenza nei contratti pubblici. Tale valenza più generale appare confermata anche dalla successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 5258/2019, secondo cui “… il principio trova ragione di applicazione in presenza di specifiche tecniche aventi un grado di dettaglio potenzialmente escludente, a fron te cioè di uno standard tecnico-normativo capace d’impedire la partecipazione alla gara proprio perché – atteso il livello della sua specificità – presenta un portato selettivo:al fine d’impedire che tale selezione si risolva in termini irragionevolmente formalistici, finendo con il produrre un effetto anticompetitivo, la previsione di un siffatto standard deve essere affiancata dalla necessaria clausola d’equivalenza”. Dunque, l’applicazione del principio di equivalenza negli appalti favorisce l’utilizzo della certificazione che, nel rispetto dei principi normativi nelle fasi di gara per l'aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni 453, diviene un mezzo: per la partecipazione alle gare d’appalto, per la verifica dei requisiti di qualità ambientale e conseguentemente di sensibilizzazione degli obiettivi a salvaguardia dell’ambiente. Infine, anche l’Istituto dell’avvalimento454, che nasce come strumento per favorire la massima apertura del mercato dei contratti pubblici, contribuisce all’incentivazione della certificazione e al suo utilizzo negli appalti. L’avvalimento455 , istituto contrattuale volto a consentire ad un operatore economico privo dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, richiesti dalla stazione appaltante (impresa ausiliata o avvalente), di partecipare, comunque, alla procedura comprovandone il possesso mediante ricorso alla capacità di un terzo soggetto (impresa ausiliaria o avvalsa), è stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria 456, poi seguita da quella nazionale. Nel nuovo Codice l’avvalimento è disciplinato dall’art. 89 che indica le modalità mediante cui un operatore economico o un raggruppamento di operatori economici prende a “prestito” i requisiti economico, finanziario, tecnico e professionale, secondo determinate condizioni dettate dall’articolo medesimo, di un’altra impresa per partecipare ad una gara d’appalto. Infatti, l’art. 89, riportato nella sua dicitura, prevede che “… L'operatore economico, singolo o in raggruppamento … può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale … necessari per partecipare ad una procedura di gara, …avvalendosi delle capacità di altri soggetti, (anche partecipanti) al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. " Quindi, l’avvalimento consente ad un’impresa di partecipare ad una gara prendendo a prestito da un'altra i suoi requisiti, in questo modo anche le imprese di piccole e medie dimensioni possono parteci451 Cfr. Cons. Stato, III, n. 4364/2013; n. 4541/2013; n. 5259/2017; n. 6561/2018 Cfr. Cons. Stato, III, n. 6721/2018 453 Si vedano art.30 e 4 del D.lgs 50/16 454 In “Principio di avvalimento” articolo di Fabio Salierno in https://www.diritto.it/pdf_archive/21301.pdf “Tradizionalmente, nel diritto amministrativo, il termine di “avvalimento” indica la modalità con le quali un organo della Pubblica amministrazione utilizza capacità organizzative e tecniche insediate in un apparato organizzativo di un’altra Pubblica amministrazione, pur conservando la titolarità e l’esercizio della propria funzione. In questo modo si crea tra le due strutture un particolare tipo di aggregazione che, appunto, va sotto il nome di “rapporto di avvalimento” 455 Inizialmente l’avvalimento ha trovato posto nel diritto positivo comunitario con la previsione dell’art. 47 della Direttiva n. 18/2004 e in seguito nell’art. 63 della Direttiva appalti settori ordinari n.24/2014; nell’art. 38 della Direttiva concessioni n. 23/2014 e nell’art. 79 della Direttiva appalti settori speciali n.25/2014 recepite poi, queste ultime Direttive, dal D. lgs. n.50/16 con l’art. 89. 456 L’Istituto dell’Avvalimento ha origine dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 14-04-1994, n. 389 (Ballast Nedam groep nv c. Regno Belgio)”. 452 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 176 AmbienteDiritto - Editore© pare alle procedure d’appalto. Il prestito dei requisiti tecnici o economici deve essere messo per iscritto. Le parti, infatti, devono addivenire a un contratto ed è importante che dalle dichiarazioni delle parti emerga, per l'impresa che concede in prestito la sua organizzazione e i suoi mezzi tecnici, la volontà e l'impegno di farlo effettivamente. Attraverso il contratto l'ausiliaria si impegna a fornire quanto necessario all'ausiliata per consentirle di partecipare alla gara e, in caso di vincita, di svolgere concretamente le opere previste. Infine, il comma 9 dell’art. 89 prevede che “La stazione appaltante trasmette all'Autorità tutte le dichiarazioni di avvalimento, indicando altresì l'aggiudicatario, per l'esercizio della vigilanza, e per la prescritta pubblicità .” Il rapporto fra l’istituto dell’avvalimento e le certificazioni di qualità e ambientali, in particolare, si costituisce per il fatto che anch’esse possono essere oggetto dell’avvalimento per accedere ai requisiti necessari alla partecipazione di una gara d’appalto. A supporto di quanto affermato nella lettura della “Rassegna ragionata delle massime di precontenzioso in tema di “avvalimento” e “soccorso istruttorio” relative all’anno 2017 ” emessa dall’ANAC si apprende che la medesima Autorità non ammetteva l’Istituto dell’avvalimento per le certificazioni di qualità457 caratterizzate da soggettività poiché la certificazione di qualità si riteneva strettamente correlata “alla capacità di un operatore economico di organizzare i propri processi produttivi e le proprie risorse conformemente a standard riconosciuti ottimali, non è cedibile ad altre organizzazioni se disgiunta dall’intero complesso aziendale in capo al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità”. La recente giurisprudenza 458 ha permesso all’Autorità di rivedere il proprio orientamento in merito considerando, invece, ammissibile l’avvalimento della certificazione della qualità “….a condizione che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione ”459. A sostegno di questa posizione si può citare la precedente sentenza Consiglio di Stato n. 2903 sez. V, 28/06/2016, in cui si afferma che in una gara di appalto pubblico è legittimo l’avvalimento della certificazione Emas ancorché riferibile a un requisito soggettivo. La sentenza dopo avere preso atto dell’orientamento oscillante della giurisprudenza e del fatto che le distinzioni fra requisiti soggettivi e requisiti oggettivi, riferite alle imprese partecipanti alle gare, « perdono la loro chiarezza ed intellegibilità ed entrano in una zona di indeterminazione una volta che il loro referente fondamentale sia divenuto la capacità tecnica » esprime parere positivo. Per risolvere tale contrasto i giudici dichiarano che è l’articolo 44 dell’abrogato decreto 163/2006 a richiamare l’art. 42, comma 1, lett. f) dello stesso precedente Codice dei contratti del 2006 che individuava i modi attraverso i quali fornire « la dimostrazione delle capacità tecniche » e l’indicazione «delle misure di gestione ambientale che l’operatore potrà applicare durante la realizzazione dell’appalto» (disposizione confluita nel citato allegato XVII, parte II, lettera g del Nuovo Codice dei contratti) e il bando, a sua volta, fa espresso riferimento alla certificazione EMAS genericamente indicata. Perciò la sentenza conclude che « la normativa applicabile iscrive la certificazione Emas fra i requisiti di capacità tecnica suscettibili d’avvalimento ». Infine, anche la Delibera ANAC n. 1129 del 5 dicembre 2018 in cui l’istante richiede parere rilevando che il disciplinare di gara non consente il ricorso all’avvalimento per le certificazioni di qualità (anche in questo caso EMAS), dopo una disamina della precedente giurisprudenza, che riconosce la certificazione EMAS quale requisito di capacità tecnica, ritiene che “ il possesso della certificazione relativa al sistema di gestione ambientale è requisito di capacità tecnica suscettibile di avvalimento”. 457 458 Si veda il Parere di Precontenzioso n. 837 del 27/07/2017 - ANAC Si veda sentenza Cons. di Stato, sez. V, 27/07/2017, n. 3710 e in termini analoghi: sentenza Cons. Stato, 17 maggio 2018, n. 2953 459 Si veda Parere di Precontenzioso n. 1085 del 25/10/2017 – ANAC ed anche più recente Deliberazione ANAC, n. 2 del 10/01/2018, bando-tipo n.2 del 2018 che al punto 8, dedicato all’avvalimento, riporta: « Il ricorso all’avvalimento per la certificazione… comporta che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata l’organizzazione aziendale in coerenza col requisito prestato, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente, le hanno consentito di acquisire la certificazione prestata». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 177 AmbienteDiritto - Editore© . Conclusioni. Le certificazioni ambientali, secondo quanto messo in evidenza nei paragrafi precedenti, sono chiaramente uno strumento nelle mani delle politiche di governo che hanno indirizzato il legislatore, nel nuovo Codice, ad incoraggiare gli operatori economici ad adottarle anche al fine di favorire il decollo dell’economia circolare460. Il legislatore italiano già aveva colto le potenzialità delle certificazioni, ad esempio, con la legge 221/2015 “ Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” che nell'art.17 aveva disposto agevolazioni e finanziamenti per gli operatori economici in possesso del marchio Ecolabel - EMAS per prodotti o servizi oggetto di un contratto pubblico di acquisto cosi da stimolare il mercato nell’ambito della domanda e creare un circuito virtuoso verso l’offerta finalizzato a sensibilizzare il tessuto sociale alla salvaguardia dell’ambiente. Il D. lgs. n. 50/16 prosegue su questa strada e crea, per entrambe le tipologie di certificazioni citate, una notevole opportunità di sviluppo legata alla possibilità, concessa all'acquirente pubblico, di valorizzare le medesime certificazioni ambientali nei bandi di gara. Nel Nuovo Codice le certificazioni ambientali caratterizzano le fasi di svolgimento di una gara d’appalto dall’aggiudicazione, all’esecuzione, all’assegnazione di premialità quando specificano il valore aggiunto a salvaguardia dell’ambiente. Poi, le certificazioni, quali mezzo di prova della conformità alle specifiche tecniche, presumono il rispetto del criterio ambientale senza bisogno di ulteriori verifiche da parte delle stazioni appaltanti evitando ad esse la presentazione di una minuziosa documentazione da parte degli operatori economici e contribuendo cosi ad una vera semplificazione delle procedure di appalto.Ancora, il principio dell’equivalenza e l’istituto dell’avvalimento nel favorire le certificazioni ampliano la possibilità di partecipazione alle gare da parte degli operatori economici garantendo il principio della concorrenza. Indirettamente, l’adozione delle certificazioni ambientali nelle procedure delle gare d’appalto, oltreché realizzare gli obiettivi ambientali posti dal Governo nazionale, agisce sul mercato poiché propone, nei suoi acquisti, prodotti di elevata qualità ecologica e sistemi di gestione a basso impatto ambientale, stimolando il tessuto sociale verso comportamenti ecologici che si riflettono sulle scelte di mercato e che spingono gli operatori economici verso una maggiore produzione garantita da eco etichette. Le procedure di certificazione codificano poi standard che contribuiscono alla realizzazione del principio della sostenibilità inteso come basso impatto ambientale dei prodotti e gestione organizzativa ecologica delle imprese, cosi da favorire la riduzione degli sprechi e il recupero delle produzioni 461. In questo modo, le certificazioni intervengono anche sul ciclo di vita dei prodotti, ciò è ben evidenziato dall’art. 96 del Nuovo Codice che, nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, lega il calcolo dei costi al ciclo di vita del prodotto permettendo di apprezzare la qualità dei medesimi prodotti nell’impatto economico-ambientale e determinando il legame con lo sviluppo dell’economia circolare. Essa favorisce nuovi modelli di produzione e consumo, circolari e sostenibili, dove il prodotto viene ripensato nel suo ciclo di vita produttivo finalizzato al riutilizzo. Quindi, l’efficienza nell’uso delle risorse fa si che EMAS ed Ecolabel, uno per la gestione produttiva e l’altro relativamente ai prodotti, favoriscano il modello dell’economia circolare. Infatti, EMAS certifica modelli di eco-gestione nelle aziende o organizzazioni che hanno introdotto: un’innovazione con benefici ambientali interni all’impresa; un’innovazione con benefici ambientali per gli utilizzatori finali. Invece, sempre nell’ottica della circolarità dell’economia, Ecolabel contraddistingue prodotti e servizi che pur garantendo elevati standard prestazionali sono caratterizzati da un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita462. Infine, i provvedimenti del Nuovo Codice che contribuiscono a favorire la 460 461 462 Si ricordi a tal proposito che nel 2017 (dati al 31 dicembre) erano 19.049 le organizzazioni italiane con Sistema di Gestione Ambientale certificato dai 40 Organismi accreditati da ACCREDIA. https://annuario.isprambiente.it/ada/macro/22 Si veda ad esempio la dichiarazione ambientale Commissione Europea del 2015 https://ec.europa.eu/environment/emas/pdf/other/KT0216609ITN.pdf; si vedano i dati nello studio condotto da ISPRA – EMAS ed Economia circolare - http://www.isprambiente.gov.it/files2019/pubblicazioni/rapporti/R_299_18_Emas_Econ_circolare.pdf Si veda il “Rapporto sull’economia circolare in Italia 2019”- ENEA- Fondazione per lo sviluppo sostenibile- Roma. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 178 AmbienteDiritto - Editore© diffusione delle certificazioni ambientali, attraverso la strutturazione dei bandi di gara, incidono anche nella dimensione delle Pubbliche amministrazioni territoriali. A tal proposito uno studio dell'ISPRA ha svolto un’attività di rassegna dei provvedimenti normativi emanati a livello locale a favore di organizzazioni in possesso della registrazione EMAS e/o del marchio Ecolabel UE, pubblicata nel Rapporto “ Benefici ed incentivi a livello locale per l’adesione ad EMAS ed Ecolabel UE. Analisi dello stato dell’arte, valutazione di efficacia e buone pratiche”463 a sottolineare quanto anche a livello locale sia importante la certificazione ambientale per la realizzazione degli obiettivi di miglioramento ambientale nonché a sostegno del modello di economia circolare locale. A conclusione del percorso fin qui delineato, che mette in luce il favore positivo delle norme del Nuovo Codice dei contratti verso le certificazioni ambientali, in particolare EMAS ed Ecolabel, bisogna considerare alcuni limiti evidenziati in queste seguenti brevi riflessioni. Riguardo al principio dell’equivalenza e all’istituto dell’avvalimento, la diffusione delle certificazioni ambientali, mediante tali istituti normativi, premia sicuramente la logica della partecipazione ma rischia di collocare in secondo piano la principale finalità che dovrebbe spingere gli operatori economici all’adozione delle certificazioni: la salvaguardia dell’ambiente. Riguardo agli incentivi normativi, un eventuale cambiamento di prospettiva, secondo cui gli stessi possano essere ridotti o venir meno, potrebbe scoraggiare l’adesione degli operatori economici verso le certificazioni ambientali interrompendo il circolo virtuoso che finora ha permesso di porre una concreta attenzione verso l’ambiente. 463 Si veda sito http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/pubblicazioni-del-sistema-agenziale/benefici-e-incentivi-a-livello-locale-perladesione-ad-emas-ed-ecolabel-ue. Si vedano anche i dati sulle certificazioni rilasciate dalle due Regioni Italiane economicamente ed ecologicamente più innovative: Lombardia ed Emilia–Romagna. https://www.lombardiaspeciale.regione.lombardia.it/wps/portal/LS/Home/News/ Dettaglio-News/2018/01-gennaio/nws-certificazione-ambientale-imprese-lombarde-virtuose;https://ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/svilupposostenibile/temi-1/sviluppo-sostenibile/certificazioni-ambientali ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 179 AmbienteDiritto - Editore© REGIONALISMO DIFFERENZIATO E PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VERTICALE. Artt. 116, co. 3 Cost., e 118, co. 1, Cost. due facce, ma, in fondo, una sola medaglia* Ludovico A. Mazzarolli ** Abstract (It) Il lavoro, premessa una particolare lettura dell’art. 117 Cost. ed esaminate le azioni finora intraprese da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, ragiona degli "slogans" comunemente adoperati dagli oppositori dell’autonomia ex art. 116, co. 3, Cost., concludendo con un parallelismo tra quanto lì previsto e ciò che è stabilito nell’art. 118, co. 1, Cost. Abstract (En) The work, given a particular reading of art. 117 Cost. and examined the actions until now undertaken by Veneto, Lombardia and Emilia Romagna, reasons about the «slogans» commonly used by opponents of autonomy ex art. 116, co. 3, Cost., concluding with a parallelism between what is there exposed and what is established in art. 118, co. 1, Cost. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Per leggere correttamente l’art. 116, co. 3, Cost., non si può che farlo alla luce dell’art. 117 ... letto correttamente. - 3. L’azione delle Regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e di altre Regioni: ragionando di numeri. - 4. Di «slogans» e loro fondatezza. - 5. Di «slogans» propagandistici, alla luce della concreta proposta della Regione Veneto. - 6. Di preoccupazioni ... inutili, quando non pretestuose. - 7. Conclusioni: artt. 116, co. 3 Cost., e 118, co. 1, Cost.: due facce, ma, in fondo, una sola medaglia. - 8. Bibliografia essenziale. __________________________ * Il lavoro, rivisto per la pubblicazione, riprende il contenuto della Relazione tenuta nel corso del Convegno intitolato «Regionalismo differenziato: opportunità e criticità», organizzato dalla prof.ssa Paola Bilancia per il Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’Università statale di Milano e il Centro Studi sul Federalismo, e svoltosi a Milano l’ 8 ottobre 2019. Idealmente, va collocato nel mezzo dei due altri lavori che l’A. ha dedicato all’argomento e che figurano nella «Bibliografia essenziale» di cui infra, sub § 8. ** Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Udine e componente del Comitato scientifico di questa Rivista. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 180 AmbienteDiritto - Editore© 1. Premessa. Da che ho accettato di fare parte della c.d. «delegazione trattante» per il Veneto, deputata, appunto, a trattare con il Governo centrale per vedere attuato, per la prima volta, il disposto di cui all’art. 116, co. 3, Cost., mi è capitato, con un’ inversione dell’onere della prova affatto peculiare, di essere da alcune parti riguardato, anziché come uno studioso di diritto costituzionale attirato dall’idea di vedere realizzata - anche con il suo contributo - la prima attuazione di un articolo della Costituzione, fino ad allora mai utilizzato, come un facinoroso arruffapopoli, da taluno qualificato addirittura come «terrorista». Càpita, si potrà dire; ma ciò che invece non è digeribile è che la maggior parte delle critiche sono venute da chi, con tutta evidenza, NON ha mai letto una riga di quello che noi della delegazione si era scritto, muovendo quindi da un preconcetto di fondo, preconfezionato e, poi, via via sempre più amplificato, con criteri assai più giornalistici che giuridici. 2. Per leggere correttamente l’art. 116, co. 3, Cost., non si può che farlo alla luce dell’art. 117 ... letto correttamente. Ora, il mio modo di ragionare circa l’art. 116 Cost. ha sempre preso le mosse dalla struttura della disposizione che lo segue e cioé dall’art. 117 Cost. che - è cosa nota - non è quello varato dall’Assemblea costituente, ma quello che risulta dalla riforma costituzionale di cui all’art. 3 della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, dall’approvazione della quale, lo sottolineo adesso, una volta per tutte, sono dunque già passati esattamente 18 anni . Poco meno, cioé, almeno sino ad ora, di quanto ci volle per vedere attuati, a partire dal 1948, gli articoli della Carta Cost. che concernevano il referendum abrogativo (l. n. 382/1970) o le Regioni a Statuto ordinario che videro eletti i loro Consigli regionali solo il 7-8 giugno 1970. Riforma costituzionale - quella del 2001 - della quale, per comprenderne a fondo i molti vizi e le - per me - poche virtù, vanno sempre ricordati tempi e modi di approvazione, rilevando soprattutto come il Senato approvò definitivamente la legge nella seduta antimeridiana dell’8 marzo 2001, cioè lo stesso giorno in cui il Presidente della Repubblica sciolse le Camere con d.P.R. n. 42, ponendo così fine alla XIII^ Legislatura repubblicana. Ma, avendolo fatto a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il testo poté essere sottoposto al referendum sospensivo di cui all’art. 138 Cost.. Questo si svolse il 7 ottobre 2001; vinsero i « sì» e la l. cost. venne così promulgata il 18 ottobre e pubblicata nella Gazz. uff. del 24.10.2001, n. 284, ovviamente con la controfirma dei nuovi reggitori del Governo che avevano nel frattempo vinto le elezioni politiche e che furono Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri e Bossi, Ministro per le Riforme istituzionali e ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 181 AmbienteDiritto - Editore© la devoluzione, con il visto del Guardasigilli Castelli. Erano cioè gli stessi che avevano talmente avversato la legge da condurre gli Italiani alle urne contro la sua approvazione, e quindi, more molto italico, la legge passerà alla storia con le loro sottoscrizioni. Non si dica, allora, tanto per cominciare, che l’attuale formula del 116 non abbia visto la partecipazione di un po’ tutte le forze politiche e, pure, quella del corpo elettorale. Ebbene, la struttura dell’articolo 117 (il parametro di riferimento per comprendere appieno la potata dell’art. 116) è, per la verità cristallìna; ma il contenuto in buona parte ... no! Il co. 1 dell’art. 117 Cost., nella sua nuova (si fa per dire) formulazione dispone che: « La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ». Ora, è evidente come esso aveva (e ha) certamente l’intento di parificare la potestà legislativa regionale a quella statale, il che ha fatto specificando che l’una e l’altra sono soggette agli stessi limiti, il primo dei quali (che vengano entrambe esercitate nel «rispetto della Costituzione») è talmente ovvio che non necessita di commento alcuno. Ma sono i due limiti che seguono ad avere destato sin da subito in me più di una perplessità. Il rispetto dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» e il rispetto dei «vincoli derivanti ... dagli obblighi internazionali » sono ... due vincoli, o si tratta di un vincolo solo, così esplicitato per una ragione diversa che non ha nulla a che fare con i limiti comuni della potestà legislativa statale e di quella regionale? L’appartenenza dell’Italia all’U.E. non deriva forse da una pluralità di «obblighi internazionali»? Dal Trattato di Roma del 25.3.1957, a quello di Maastricht del 7.2.1992, a quello di Lisbona del 13.12.2007, per limitarsi alle tappe ad oggi fondamentali, non si tratta sempre e comunque di «obblighi internazionali» dai quali nascono «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario », il quale ultimo deriva, appunto, da ... «obblighi internazionali»? Ma, se così fosse, perché menzionare il genere («vincoli derivanti ... dagli obblighi internazionali ») e una tra le tante specie («vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»)? E perché quest’ultima - specie - prima di quello - genere - ? Se ci si fa caso, nell’art. 117, co. 3, Cost., compaiono siccome attribuite alla competenza legislativa regionale «concorrente» le materie (sulle quali quindi «spetta alle regioni» legiferare, eccezion fatta «che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato ») «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», dov’è evidente che gli attributi «grandi», per la prima e «nazionale», per la seconda, sono per così dire rimasti nella penna del legislatore costituzionale in un passaggio/ slittamento dell’ultimo momento dal co. 2 (quello che reca le materie di « legislazione esclusiva» statale) al co. 3 (quello che reca le materie di «legislazione concorrente»). E’ un evidente problema di c.d. drafting legislativo, dato dalla fretta di procedere fino all’ultimo istante. Così, è sempre stata mia impressione che la stesura del co. 1 dell’art. 117 Cost. doveva essere, più o meno, del seguente tenore: « La ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 182 AmbienteDiritto - Editore© potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e, in particolare, da quelli che discendono dall’appartenenza dell’Italia all’ordinamento comunitario ». Nel dirlo non dimentico, infatti, che la legge cost. n. 3/2001 cit. è intitolata « Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», né che detto titolo è interamente dedicato a « Le Regioni, le Provincie, i Comuni», nell’ambito di una parte rubricata « Ordinamento della Repubblica». Parificare, quanto a limiti, potestà legislativa statale e regionale era un conto . Sottoporre la prima a limiti «nuovi» ... no. Con il che il riferimento all’« ordinamento comunitario», approfittando della prima riforma costituzionale per così dire «organica» della storia repubblicana, doveva costituire quella base costituzionale, fino ad allora sempre mancante, di ciò che per l’innanzi doveva essere ricavato per via interpretativa esclusivamente dall’art. 11 Cost., a mente del quale l’«Italia ... consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni ... ». Il predetto riferimento non doveva cioè costituire una norma innovativa atta a consentire ciò che prima non lo era, bensì una norma meramente ricognitiva di quel che era già possibile in base all’ordinamento che previgeva rispetto alle innovazioni apportate a «... Regioni, ... Provincie, ... Comuni» nel 2001464. Ciò detto e tornando alla struttura dell’art. 117 Cost., si ha: ● un primo comma che reca i limiti comuni alla potestà legislativa statale e a quella regionale; ● un secondo comma che reca la c.d. potestà legislativa esclusiva; ● un terzo comma che tratta della potestà bipartita, ripartita o concorrente tra Stato e Regioni e ● un quarto comma che fa riferimento ad una potestà legislativa regionale siffatta: « Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». 464 Questa mia lettura dell’art. 117, co. 1, Cost., accompagnata a una scarsissima, per non dire nulla, credenza nel c.d. «primato» del Diritto dell’U.E., specie da dopo il «Trattato di Lisbona» che lo ha defalcato dall’articolato, prevedendo altresì il « diritto di recesso» dall’Unione stessa (diritto che nega in radice il «primato» stesso, ché, se esso fosse realmente tale, non potrebbe funzionare « a singhiozzo»), nonché alla circostanza che i cc.dd. « contro-limiti» siano in realtà molti di più di quelli che comunemente vengono citati come tali e, infine, a una particolare lettura - per così dire italocentrica - delle tre pronunce sul c.d. « caso Taricco» [sent. della Corte di giustizia, Grande sezione, 8.9.2015 in causa C-105/14; ord. della Corte cost. 23.11.2016 - 26.1.2017, n. 24; sent. della Corte di giustizia (Grande sezione), 5.12.2017, nella causa C-42/17], è antecedente alla debolezza dell’Unione Europea che connota l’attuale momento storico ed è, da sempre, volta al tentativo di ridisegnare la linea di confine tra ordinamento interno e ordinamento dell’U.E. in senso più favorevole al primo. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 183 AmbienteDiritto - Editore© Ora, il co. 1 tratta dei limiti, ma lo fa, a mio avviso malissimo, ingenerando molteplici problemi quanto al sistema delle fonti interne in relazioni a quelle comunitarie, con particolare riguardo per la posizione nel sistema da attribuire alle sentenze della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U.: il tutto, a mio modestissimo parere, senza ragione alcuna. Il co. 2 non si limita a elencare le materie di potestà esclusiva dello Stato che, solo quando sono, per così dire, «materie-materie» (difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; ... moneta; sistema tributario e contabile dello Stato ; ... cittadinanza, stato civile e anagrafi; pesi e misure ecc. ...) non provocano problemi; ma ne reca pure alcune che usiamo chiamare « trasversali» perché, per loro natura, sono capaci di incidere su quale che sia potestà, da chiunque esercitata. Quattro esempi, per tutti: tutela della concorrenza; ordinamento civile; ordinamento penale; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale . Quando c’è di mezzo una materia quale che sia, all’interno della quale vi sono profili di tutela della concorrenza; di ordinamento civile; di ordinamento penale; di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale , quella materia può essere in astratto attribuita alla legislazione di qualunque ente, ma lo Stato non può essere comunque tagliato fuori. Si rilegga il co. 4 dell’art. 117 (« Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato ») alla luce di ciò. L’agricoltura, gli appalti, la caccia e la pesca, l’edilizia e l’urbanistica non sono «espressamente riservati alla legislazione dello Stato»: spettano dunque alla legislazione della Regione ? Niente affatto, se si considerano tutti i profili che, nelle menzionate materie, attengono rispettivamente all’ordinamento civile, o alla tutela della concorrenza, o, di nuovo, all’ordinamento civile, o, infine, all’ordinamento penale. Allora, ancora: ● l’art. 117, comma 1, Cost. non vuole dire quello che sembra a prima lettura; ● l’art. 117, comma 2, Cost. non vuole dire quello che sembra a prima lettura; ● l’art. 117, comma 4, Cost. non vuole dire quello che sembra a prima lettura; ● resta l’art. 117, comma 3, Cost. che, in tema di competenza concorrente, elenca una serie di materie circa le quali «... spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato ». E’ questo il quadro in cui, nell’ambito della stessa riforma costituzionale del 2001, il legislatore costituzionale ha introdotto la novità costituita dal co. 3 dell’art. 116 che, a determinate condizioni, consente l’attribuzione di « Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ... » alle Regioni a Statuto ordinario nelle « materie di cui al terzo comma dell’articolo 117» e nelle materie indicate dal co. 2 del medesimo articolo alle «lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)». Le materie di cui al co. 3 dell’articolo 117 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 184 AmbienteDiritto - Editore© sono tutte quelle di potestà concorrente, per un totale di 20, più le 3 indicate dal co. 2 (cioè tra quelle di potestà esclusivamente statale) e cioè: «giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa » (ma, come s’è già ricordato, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace ); «norme generali sull’istruzione»; «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali ». 3. L’azione delle Regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e di altre Regioni: ragionando di numeri. Il primo, preteso, torto grave del Veneto? Avere chiesto, fin da sùbito, l’applicazione e l’attuazione dell’art. 116, co. 3, Cost. su tutte e ventitré le materia menzionate dallo stesso 116. Ma in molti, forse in troppi, hanno già dimenticato ciò che ha preceduto l’inizio delle trattative tra Regione e Stato. Solo in Veneto e in Lombardia è stata scelta la strada di un referendum preventivo e di carattere consultivo (non solo ai sensi di quanto consentito dallo Statuto regionale, ma pure siccome avallato - quanto alla formulazione del quesito - dalla pronuncia della Corte cost. 29.4 - 25.6.2015, n. 118, che in troppi tralasciano di considerare, o di cui fingono di ignorare l’esistenza) che interrogasse il corpo elettorale sulla volontà di vedere attribuita alla Regione «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia », ai sensi del dettato dell’art. 116 Cost. Ma solo in Veneto l’esito di quel referendum è stato subordinato al raggiungimento del quorum di partecipazione del 50% degli aventi diritto . E solo in Veneto, allora, il Presidente, dopo il 22 ottobre 2017, ha potuto vantare una legittimazione a trattare con una derivazione di diretto carattere popolare che non gli viene dalle consultazioni regionali del 31 maggio 2015 che lo hanno visto (ri-)eleggere Presidente; bensì da una consultazione popolare ad hoc che, avrà anche avuto carattere consultivo, ma che ha visto partecipare al voto 2.328.947 elettori su un totale di 4.019.628, pari al 57,9% degli aventi diritto. 98,1% dei voti validi i «sì» (2.273.985: pari al 97,6% dei votanti e al 56,6% degli elettori), 1,9% dei voti validi i «no» (43.938), affatto irrilevanti essendo state le percentuali di schede bianche (5.163), nulle (5.865) e contestate (9). Non solo, ma i 2.273.985 «sì» dei Veneti, sommati ai 2.875.438 «sì» dei Lombardi dà un totale di 5.149.443 «teste» favorevoli alla concessione delle «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia » di cui all’art. 116 Cost.. E 5.149.443 «teste» rappresentano - considerate quelle due sole Regioni - più di 1 elettore italiano su 10, se raffrontate ai 50.782.650 elettori per la Camera dei deputati alle elezioni del 4.3.2018. Ma, come è noto, anche l’Emilia Romagna ha intrapreso quel cammino, sin da subito e unitamente alle prime due. E, a febbraio di quest’anno, a me risultavano già aperti i tavoli anche con Liguria, guidata dal centro-destra, Toscana, Piemonte, Marche e Umbria (queste due con richiesta congiunta), in allora guidate tutte dal centro-sinistra, a dimostrare che la questione della bandiera politica centra poco. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 185 AmbienteDiritto - Editore© Considerando la popolazione residente (dati aggregati ISTAT) al primo gennaio di quest’anno, allora, su un totale di 60.359.546 soggetti, ma dovendo togliere i 9.052.644 residenti nelle Regioni a Statuto speciale che, con il co. 3 dell’art. 116 non c’entrano, e arrivando quindi a 51.306.902, sono 31.469.878 (residenti in Lombardia; Veneto; Emilia Romagna; Piemonte; Toscana; Liguria; Marche; Umbria), cioè ben più della metà, anzi, quasi 2/3, quelli attualmente interessati, a opera delle amministrazioni che li rappresentano, all’applicazione dell’art. 116, comma 3, Cost. Se, come pare da un pezzo, anche la Puglia, con i suoi 4.029.053 abitanti, dovesse sciogliere le riserve e cercare la propria via all’autonomia differenziata, si arriverebbe a 35.498.931 residenti in Regioni interessate al 116, co. 3, sul totale di 51.306.902. La differenza? 15.807.971: cioé i 5.801.692 campani, più i 1.947.131 calabresi, più i 5.879.082 laziali, per un totale di 13.627.905 abitanti. Avanzano 2.180.066 che sono i tutto sommato indifferenti, o non particolarmente appassionati al problema, 1.311.580 abruzzesi, 562.869 lucani e 305.617 molisani, anche se, in realtà in Basilicata, Calabria e Puglia sono già stati approvati atti di indirizzo. Ma allora, in definitiva, sulle 15 Regioni in astratto interessate dall’applicazione dell’art. 116, comma 3, quelle ad oggi apparentemente contrarie quante sono? Due, tre o nessuna? 4. Di «slogans» e loro fondatezza. Vengo, quindi, ad una prima duplice conclusione che traggo dalla ragione di essere di tutti questi numeri. Due degli slogans che sono stati maggiormente usati per avversare le trattative instaurate da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna (ma poi iniziate anche da altre cinque Regioni) con il Governo, sono stati i seguenti: dover combattere contro la c.d. « secessione dei ricchi» e dovere assolutamente evitare la « disarticolazione dello Stato». Ma: (a) che ipotetica «secessione» può mai essere quella di 35.498.931 persone contro (mi si passi il termine) 13.627.905 ? E (b) come fanno a disarticolare lo Stato 8 o 9 o ... 13 Regioni su 15, che si muovono seguendo il dettato di una disposizione costituzionale, mentre sono 2 quelle che, per ora, non ne vogliono sentir parlare? E ancora: ( c) come si fa a invocare una pretesa lesione del «principio di uguaglianza» se il principio costituzionalmente stabilito nell’art. 3 Cost. non impone solo di trattare in maniera eguale o simile le situazioni eguali o simili, ma del pari impone (non consente!) di trattare in maniera diversa o dissimile le situazioni diverse o dissimili? Infine, (d) come si fa ad accusare 8 o 9 o ... 13 Regioni su 15 di voler « spaccare l’Italia in due», quando rappresentano i 2/3 degli Italiani e, soprattutto, quando chiedono di vedere attuato un articolo scritto, approvato e inserito in Costituzione oramai quasi vent’anni or sono? ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 186 AmbienteDiritto - Editore© 5. Di «slogans» propagandistici, alla luce della concreta proposta della Regione Veneto. In più, abbandonando i numeri, perché si insiste con il recitare « slogan» su un (solo preteso, ma dato chissà mai perché per assunto) « egoismo del più forte» e non ci si misura con un testo che pure esiste ed è disponibile per la lettura e l’eventuale citazione da parte di chiunque ? Mi riferisco, qui, oggi, all’ultima versione del progetto di legge statale di iniziativa della Regione Veneto consegnato all’on. Boccia, neo Ministro per gli Affari regionali e le autonomie del Governo Conte II, lo scorso 16 settembre, cioè meno di un mese fa. L’art. 1, comma 1, del progetto fa un testuale riferimento e rinvio al: --- «rispetto dei principi posti dagli artt. 3, 5, 81, 117, 118, 119, 120 della Costituzione»; --- ad un’attuazione dell’art. 116 che dovrà avvenire « nel contesto di unità ed indivisibilità della Repubblica», --- «nonché nel rispetto dei principi di solidarietà, perequazione e coesione sociale, tenuto altresì conto di quanto previsto dalla l. 5 maggio 2009, n. 42 » che è quella che contiene la «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione». (Nove i decreti legislativi emanati nel corso della XVI legislatura: 29.4.2008 - 14.3.2013). Il comma 2, sempre dell’art. 2, menziona espressamente: --- il «rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; --- quello «dei principi generali dell’ordinamento giuridico»; --- quello - lo si noti bene, visto quanto ricordato prima - « delle competenze legislative statali di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, anche relative a materie trasversali»; --- nonché il rispetto «del principio di leale collaborazione, posto a fondamento delle relazioni tra istituzioni che, ai sensi dell’art. 114 della Costituzione, compongono la Repubblica». Infine, il comma 3, ancora dell’articolo di apertura fa riferimento, sempre esplicito, a: --- «disposizioni di attuazione della legge di approvazione della presente Intesa [che dovranno assicurare] il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione ». ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 187 AmbienteDiritto - Editore© 6. Di preoccupazioni ... inutili, quando non pretestuose. Non mi sembra manchi nulla per tranquillizzare chiunque ... o, meglio, chiunque dimentichi che comunque la legge rinforzata va approvata dal Parlamento nazionale, a meno che non si intenda fare finta che l’art. 116, comma 3, non esista o che non contenga ciò che contiene, come fa chi pretende un’autonomia « uniforme, non differenziata su base regionale ». E perché parlare, anche assai di recente, del pericolo rappresentato da una legge « destinata ad avere effetti permanenti», a fronte del dettato dell’art. 9 della legge d’approvazione dell’Intesa proposta dal Veneto, ove testualmente si prevede che, al «... fine di verificare lo stato di attuazione della presente Intesa e l’eventuale necessità di adeguamento, lo Stato e la Regione, su richiesta di una delle due parti, effettuano, per il tramite della Commissione paritetica, un monitoraggio periodico sull’esercizio delle competenze attribuite nonché verifiche su specifici aspetti o settori di attività». E, poi, il fatto che, almeno in linea tendenziale, e salvo realtà di eccezione presenti al Centro e al Sud Italia, alcuni servizi (sanitari, scolastici, universitari ecc. ...) o talune opportunità (come quella di trovare lavoro) siano di standard o di quantità più elevati al Nord, è una invenzione o una realtà? Tanto per semplificare e per capirci meglio, il fenomeno della c.d. «emigrazione sanitaria» dal Sud al Nord esiste o non esiste? E, se esiste, perché esiste? Ora, posto che esiste, si pensa intelligente fermare l’aspirazione a un ulteriore margine di miglioramento per quelle Regioni che pensano di poterne avere uno, con l’argomento capzioso che ciò non farebbe che aumentare il divario, per cui è bene che il Nord stia immobile, o favorire il processo con l’argomento, virtuoso, che solo agevolando il miglioramento di una parte si può confidare in un effetto traino dell’altra? Una battuta, infine, sulle polemiche suscitate dalla previsione di una norma finanziaria del siffatto tenore. Semplifico di molto, ma il meccanismo proposto dal Veneto è il seguente: --- si inizia seguendo il criterio della « spesa storica» sostenuta dallo Stato nella Regione, riferita alle funzioni trasferite o assegnate nel momento del trasferimento / assegnazione. Con il che è assai difficile ipotizzare venga speso un euro in più di quello che viene speso, oggi, dallo Stato in e per la Regione. La differenza ? E’ la Regione che spende, assumendosi piena responsabilità su come e quanto spendere; --- si prosegue, poi, con il tentativo di superare il criterio della spesa storica, facendo leva sui cc.dd. «fabbisogni standard»; il che non è affatto eversivo, come sostiene chi non sa, ma frutto dell’applicazione di quanto già previsto da una vigente legge dello Stato, la già cit. n. 42/2009, di cui si invita a considerare, in particolare, l’art. 2, co. 2, lettere f) e m 1), ov’è definito quale «... fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica ...»; ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 188 AmbienteDiritto - Editore© --- se, entro un anno dall’entrata in vigore della legge di approvazione dell’Intesa e sempre fatti salvi i livelli essenziali delle prestazioni, non saranno stati determinati i «fabbisogni standard», e decorsi tre anni dall’approvazione della legge senza che siano stati approvati e in concreto applicati «fabbisogni standard», l’ammontare delle risorse assegnate alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui alla presente Intesa non potrà essere inferiore al valore medio nazionale (si badi: nazionale !) pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse, a parte andando considerato il settore sanitario che già funziona con un meccanismo a sé stante. Ebbene: cosa c’è che non va in tutto ciò ? Cos’è che crea tanto spavento e scompiglio? «E’ vero, negli anni successivi le risorse riconosciute alle regioni potrebbero aumentare perché la Costituzione permette alle regioni di finanziarsi solo grazie alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, che quindi consentiranno di usufruire di maggiori entrate qualora il gettito dei tributi erariali riferibile al territorio aumenti. E’ vero anche però che se il gettito diminuisce le regioni avranno meno risorse con cui finanziare le spese che si sono addossate e, soprattutto, è vero che, se aumenta il Pil ed il gettito, anche lo Stato “ comparteciperà” ad esso e potrebbe così disporre di maggiori entrate, eventualmente utilizzabili per effettuare “ redistribuzioni” a beneficio del mezzogiorno, grazie ai benefici effetti sul Pil regionale del riconoscimento di funzioni e poteri che consentano alle regioni di influire concretamente sui percorsi di crescita dei territori» [Stevanato – Giovanardi]. Ma, soprattutto, cosa c’è da capire, se si ragiona partendo da un dato che già c’è, che è a disposizione di tutti e che caratterizza l’attuale stato dell’arte, solo che lo si voglia leggere con un po’ di onestà intellettuale ? 7. Conclusioni: artt. 116, co. 3 Cost., e 118, co. 1, Cost.: due facce, ma, in fondo, una sola medaglia. Insomma, e per chiudere, l’art. 116 Cost., siccome « costruito» nel 2001, nell’ambito della complessiva riforma del Titolo V, a me appare come l’altra faccia della medaglia del c.d. «principio di sussidiarietà verticale» di cui al 118, comma 1, Cost.. Così come in questo, si stabilisce che le «funzioni amministrative sono [... sì ...] attribuite ai Comuni [... a meno che ...] che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza », seguendo la logica per cui ciò che non riesce possibile fare al meglio ai Comuni DEVE passare, via via a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, in quello, cioè nel 116, co. 3, Cost., si scrive che ciò che riesce “male”, o in modo “insoddisfacente”, o “inefficace”, o “troppo costoso” allo Stato, PUO’ essere assunto, su istanza, da quelle Regioni che si sentano in grado di fare … meglio, assumendosene tutte le responsabilità. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 189 AmbienteDiritto - Editore© 8. Bibliografia essenziale. 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Tentativi di attuazione dell’art.116, comma 3, Cost. e limiti di sistema , Torino, 2019 (con ampia, esaustiva e aggiornata BIBLIOGRAFIA, pp. 185 - 198); FELICE E., L’autonomia contro il sud unisce destra e sinistra , in L'Espresso, 28 luglio 2019; LUCIANI M., I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117 comma 2, lett. m della Costituzione), in Politica del diritto, n. 3, 2002; MANGIAMELI S., Appunti a margine dell'art. 116, comma 3, della Costituzione , in Le Regioni, n. 4, 2017; MAZZAROLLI L.A., Annotazioni e riflessioni sul referendum in materia di «autonomia» che si terrà in Veneto il 22 ottobre 2017, in Federalismi.it, n. 17, 2017 (13 settembre 2017); MAZZAROLLI L.A., Considerazioni a prima vista di diritto costituzionale sulla «bozza di leggequadro» consegnata dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie del Governo Conte II, Francesco Boccia, ai Presidenti Zaia, Fontana e Bonaccini, in materia di articolo 116, co. 3, Cost., in Federalismi.it, n. 21, 2019 (27 novembre 2019); MONE D., Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art.116, comma 3 Cost., conforme a Costituzione, in rivistaaic.it, n. 1, 2019; MORRONE A., Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione , in Federalismo fiscale, n. 1, 2007; NAPOLITANO A., Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata, in Federalismi.it, n. 21, 2018; NICOTRA I., Le Regioni tra uniformità e differenze: autonomia responsabile o egoismi dei territori ?, in dirittiregionali.it, n. 1, 2019; PATRONI GRIFFI A., Regionalismo differenziato e uso congiunturale delle autonomie , in Diritto Pubblico Europeo Rassegna online, giugno 2019; POGGI A., Qualche riflessione sparsa sul regionalismo differenziato , in Diritti regionali, n. 2, 2019; RUSSELLO A., Cottarelli apre all’autonomia uniforme. «Ma la vera emergenza è la burocrazia» , in Il Corriere di Verona, 28 luglio 2019; ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 190 AmbienteDiritto - Editore© STEVANATO D. e GIOVANARDI A., Opposizione all’autonomia differenziata, quando arrivano i veri argomenti ? Stiamo sempre aspettando, in http://noisefromamerika.org/articolo/... (9.8.2019); TUBERTINI C., La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116, comma 3 della Costituzione , in Federalismi.it, n. 18, 2018; VANDELLI L., Il regionalismo differenziato, in Rivista AIC, n. 3, 2019; VIESTI G., Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale , Roma-Bari, 2018. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 191 AmbienteDiritto - Editore© IL DIRITTO ALL’AMBIENTE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA. Camilla Della Giustina Abstract ita: Lo scopo del contributo è quello di evidenziare l’evoluzione di tutela costituzionale apprestata all’ambiente. Precisamente si evidenzia che il diritto all’ambiente salubre trovi espressa menzione nella Carta costituzionale italiana solamente a partire dall’entrata in vigore della L. cost. 3/2001. In precedenza l’unico articolo ritenuto idoneo a fondare la tutela ambientale era l’art. 9 Cost. L’aspetto saliente in questo percorso è rappresentato dall’elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale italiana la quale, attraverso la lettura congiunta dell’art. 2, 9 e 32 Cost. è arrivata ad assegnare alla tutela ambientale il rango di diritto protetto costituzionalmente. Abstract eng: The aim of the contribution is to highlight the evolution of constitutional protection of the right to the environment. It is specifically pointed out the right to the healthy environment is only mentioned in the Italian Constitutional Charter since the entry into force of L. Cost. 3/2001. eviously the only article deemed suitable to found the environmental protection was art. 9 Cost. The salient aspect of this process is represented by the jurisprudence of the Italian Constitutional Court which, through the joint reading of’art. 2, 9 and 32 Cost. has come to assign to the environmental protection the rank of right protected constitutionally. Sommario: 1. Introduzione - 2. La tutela dell’ambiente prima dell’entrata in vigore della Costituzione - 3. L’ambiente nella Costituzione - 3.1. L’ambiente come valore costituzionale - 3.2. Lo status costituzionale dell’ambiente - 3.3. Le sfide ambientali per il diritto costituzionale - 4. Il bilanciamento tra tutela dell’ambiente e libertà di iniziativa economica - 4.1. Libertà di iniziativa economica: cenni - 4.2. Il bilanciamento costituzionale - 4.3. Il caso Ilva - 5. Diritto all’ambiente: un esempio di interesse diffuso - 6. Etica ambientale. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 192 AmbienteDiritto - Editore© 1. Introduzione. La questione ambientale risulta essere oggi una tra le più dibattute e centrali che coinvolge diversi saperi siano essi giuridici, filosofici o scientifici. In questo contributo si è voluto affrontare la questione ambientale partendo dalla protezione che alla stessa accorda la nostra Carta costituzionale. Il cuore pulsante della riflessione prospettata concerne la considerazione secondo cui, nonostante non vi sia un espresso riferimento al diritto all’ambiente nelle disposizioni costituzionali, detto diritto sia stato riconosciuto grazie a due fattori indispensabili. Il primo concerne le caratteristiche tipiche e proprie della Costituzione italiana ossia la sua capacità di futuro465. Il secondo riguarda l’attività di elaborazione portata avanti dalla Corte costituzionale italiana la quale, attraverso la tecnica di giudizio del bilanciamento, ha sempre fornito una lettura attuale e concreta delle disposizioni costituzionali. Nella parte finale la riflessione è dedicata, a fini di completezza, prima allo studio dei cd. interessi diffusi e alla riflessione etica, che vuole fungere anche da conclusione, per quanto concerne l’approccio alle problematiche ambientali. 2. La tutela dell’ambiente prima dell’entrata in vigore della Costituzione. La prima forma circa la tutela dell’ambiente si rinviene, all’interno del territorio italiano, nel 1900. Si tratta di una tutela indiretta poiché riconducibile solamente alla tutela delle bellezze naturali e degli immobili di interesse storico. Oggetto di tutela, in questa prima fase, è solamente il “bello” ossia il patrimonio italiano 466. Durante il periodo fascista vengono tutelate le bellezze individuate quali singolarità geologiche, parchi, giardini e le bellezze d’insieme, ossia le bellezze panoramiche. Queste divengono un limite al diritto di proprietà poiché espressive della funzione sociale. La tutela viene ad essere apprestata solamente all’aspetto estetico dei beni e, in relazione ad esso, si impone il vincolo di non edificare nel luogo o di non modificare l’aspetto. Si tratta di divieti preordinati ad assicurare il godimento estetico e spirituale dei beni all’interesse della nazione 467. Sempre durante l’epoca fascista vengono adottate le prime leggi istitutive dei parchi nazionali. Dette leggi descrivono le aree oggetto di tutela come territori che, per il particolare pregio faunistico e floristico, per le bellezze paesaggistiche o per il rilievo geomorfologico, risultano meritevoli di tutela giuridica. Lo scopo della regolamentazione è quella di vietare in modo assoluto l’esercizio di alcune attività, come la caccia, e di dettare un regime autorizzatorio per l’esercizio di altre attività come per l’agricoltura468. Dalle leggi istitutive dei parchi iniziava ad emergere che accanto alla finalità conservativa vi era anche quella relativa allo sviluppo industriale e turistico del territorio. Nel momento in cui la Costituzione italiana entra in vigore essa non contiene disposizioni che in modo esplicito intendano l’ambiente come un valore, diritto o interesse della collettività. Questo è stato dovuto da due fattori principali. In primo luogo nel momento storico in cui è entrata in vigore la Costituzione italiana l’attenzione era tutta rivolta sulla prevalenza della democrazia e sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. In secondo luogo alla fine della seconda guerra mondiale il Paese presentava un’urbanizzazione limitata e l’economia dominante in quel momento era quella agricola 469. Nonostante ciò si deve evidenziare come la Costituzione italiana possieda tutte le caratteristiche per adeguare le proprie disposizioni al mutamento dei problemi e delle necessità che emergono dal contesto sociale 470. Si ricorda che solamente con la L. cost. 3/2001 nella Carta costituzionale rinveniamo le locuzioni “ambiente” 465 S. GRASSI, Ambiente e Costituzione, in Rivista Quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n.3/2017, pag. 5, cit. Legge Croce n. 778/1922. L. 1497, 29.6.1939. D. SERRANI, La disciplina normativa dei parchi nazionali, Giuffrè, Milano 1971. N. LUGARESI , Diritto dell’ambiente, V, Cedam, Padova 2017, pag. 57. S. GRASSI, Ambiente e costituzione, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n.3/2017, pag. 9. 466 467 468 469 470 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 193 AmbienteDiritto - Editore© ed “ecosistema” in modo esplicito senza tuttavia avere una definizione delle stesse. Risulta quindi necessario partire dalla definizione di ambiente stesso. La prima nozione di ambiente si deve a Galileo Galilei il quale, nel 1673, definisce l’ambiente come lo spazio circostante l’uomo. È evidente come sia una nozione molto riduttiva in quanto considera l’ambiente in modo indeterminato. Successivamente sono state proposte due nozioni giuridiche di ambiente che si contrappongono tra di loro in quanto una appartiene alla teoria pluralista, l’altra alla teoria monista. La teoria pluralista ritiene che l’ambiente sia una mera espressione convenzionale nella quale far rientrare diversi e differenti beni giuridici. L’altra dottrina sostiene invece che nella definizione di ambiente si debba prestare attenzione a tre fattori. In particolare si tratta delle bellezze paesaggistiche e culturali, della difesa del suolo e infine del territorio ossia l’ambiente quale oggetto della disciplina urbanistica 471. Si rinviene una sentenza della Cassazione nella quale la Suprema Corte adotta la teoria monista dell’ambiente. In particolare gli Ermellini definiscono l’ambiente come un insieme unico di beni, quali, flora, fauna, suolo, acque ecc, il quale, distinguendosi ontologicamente da essi, si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo costituente specifico oggetto di tutela da parte dell’ordinamento472. Al di là di queste due teorie vi è anche chi ha definito l’ambiente come un diritto soggettivo alla integrità del territorio e della salute 473. Altri ancora lo qualificano come bene giuridico unitario partendo dalla concezione secondo cui esistono tanti e diversi beni ambientali a seconda della molteplicità degli interessi tutelati dall’ordinamento giuridico474. Infine, un’altra corrente di pensiero, parla di ambiente come bene economicamente unitario ritenendo e valutando le singole cose che compongono il bene ambiente strettamente collegate tra di loro. In conclusione si può rinvenire come il concetto di ambiente non abbia carattere unitario e che quindi non possa essere definito come bene unitario nonostante lo stesso sia costituito da varie componenti ciascuna meritevole di tutela. La stessa Corte costituzionale ha definito l’ambiente come un diritto fondamentale della persona e interesse della collettività . In detto modo il giudice delle leggi adotta una concezione di unitaria del bene ambiente comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali comprendenti la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (acqua, aria, suolo e territorio in tutte le sue componenti) l’esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni475. 3. L’ambiente nella Costituzione. Venendo alla Carta costituzionale si possono individuare due articoli collegabili al concetto di ambiente. Il primo articolo, l’art. 9 dispone che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione. Detto articolo pone quindi una distinzione tra ambiente e paesaggio 476. In sede costituente la tutela del paesaggio era stata interpretata come il recepimento costituzionale del quadro normativo di conservazione dei luoghi aventi particolare pregio naturalistico. La stessa Corte costituzionale all’inizio della propria attività ha utilizzato il termine “ambiente” quale sinonimo di un determinato contesto (di lavoro, sociale). Solamente nel 1971 si rinviene una traccia nella giurisprudenza costituzionale del termine ambiente utilizzato quale tutela 471 472 473 474 475 476 M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui diversi aspetti giuridici, in Rivista di diritto pubblico, 1973, pag.15-35. Cass. Civ., sez. III, 9.4.1992, n. 4362. G. COCCO, Tutela dell’ambiente e danno ambientale. Riflessioni sull’art. 18 dalla Legge 8 luglio 1986, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1986, pag. 485. M. LIBERTINI , La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi generali del diritto all’ambiente in Rivista di Critica del Diritto Privato, 1987, pag. 556-565. Corte cost., 30.12.1987, n. 641. G. ROSSI, Diritto dell’ambiente, III, Giappichelli, Torino, 2015, pag.26 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 194 AmbienteDiritto - Editore© dell’ambiente e, precisamente quando la Consulta sostiene che l’ambiente consista nelle formazioni geologiche e le loro spontanee manifestazioni; gli adunamenti di flora e fauna di particolare rilevanza, la peculiare bellezza che caratterizza il paesaggio 477. Nel corso degli anni l’art. 9 co.2 Cost. venne interpretato come la forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata, in modo intensivo o estensivo, nella città o nella campagna, che agisce sul suolo, che produce segni della sua cultura478. Emergeva quindi una nuova idea di bene culturale comprendente il paesaggio e l’ambiente in quanto legato alla storia della civiltà del paese 479. Il nuovo significato attribuito al concetto “paesaggio” risulta essere maggiormente conforme al dettato dell’art. 9 co.2 Cost. e ha indotto la dottrina costituzionale a rinvenire quale oggetto di tutela il territorio e l’ambiente. Quest’ultimo è stato definito un fatto fisico e oggettivo ma anche un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà o dato immobile, è il modo di essere del territorio nella sua forma visibile, il paesaggio coincide con la forma e l’immagine dell’ambiente, come ambiente visibile ma inscindibile dal non visibile480. È evidente quindi che l’art. 9 co.2 Cost. alla luce dell’interpretazione avvenuta nel corso del tempo risulta comprendere sia i profili estetici circa la conservazione delle bellezze naturali ma anche aspetti estremamente complessi relativi all’ambiente. La tutela apprestata dalla disposizione de qua consta anche nella promozione dello sviluppo del territorio, nella valorizzazione e governo dello stesso. Nelle attività appena descritte è necessario prestare attenzione agli interessi e alle esigenze di vita che trovano la propria soddisfazione in esso 481. Sulla scia di questa interpretazione evolutiva nel 2004 sono state avanzate delle proposte di revisione dell’art. 9 Cost. consistenti nell’inserimento di un nuovo comma, proposte che successivamente non sono state accolte. Detto nuovo comma aveva il seguente tenore la Repubblica tutela l’ambiente, gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Protegge le biodiversità e promuove il rispetto degli animali 482. Si deve ricordare, infine, come dalla lettura completa dell’art. 9 Cost. il giudice delle leggi sia arrivano a sostenere che i principi di sviluppo sostenibile e di precauzione, che presuppongono la ricerca continua di un aggiornamento dei dati scientifici in grado di consentire la tempestiva conoscenza dello stato delle risorse naturali e del relativo equilibrio, e l’acquisizione delle conoscenze tecniche per affrontare e risolvere i problemi posti dagli equilibri ambientali 483. 3.1. L’ambiente come valore costituzionale. Se l’art. 9 co.2 Cost. rappresenta la disposizione dalla quale è iniziata la riflessione circa la tutela dell’ambiente vi sono anche altre disposizioni di rango costituzionale che portano a considerare l’ambiente prima con valore costituzionale e poi come un diritto fondamentale. La Corte costituzionale partendo dalla lettura congiunta degli art.2 e 3 Cost. è arrivata a ritenere riconoscere l’ambiente come un interesse fondamentale, un valore costituzionalmente garantito e protetto. Nonostante l’evoluzione interpretativa di cui è stato oggetto l’art. 9 co.2 Cost. si deve sottolineare come la stessa risulti insufficiente al fine di far emergere ulteriori connotati costituzionali. La tutela apprestata per il paesaggio non arriva a risaltare alcuni fenomeni essenziali per le politiche ambientali come il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera, l’inquinamento fisico e chimico dell’aria, l’inquinamento delle acque a causa 477 478 479 480 481 482 483 Corte cost., 21.4.1971, n. 79. Predieri, 1969. A. CROSETTI - R. FERRARA - F. FRACCHIA - N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, nuova edizione, Laterza, Bari, 2008, pag.68 R. FERRARA - C.E. GALLO (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè,Milano,2014, pag. 279, cit. R. FERRARA - C.E. GALLO (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè,Milano, 2014, pag. 280. B. CARAVITA , Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 31 Corte cost. 19/26.6.2002, n.282 e 116/2006. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 195 AmbienteDiritto - Editore© dell’utilizzo dei diserbanti agricoli. Sono fenomeni che incidono circa l’esistenza e la conservazione di un habitat ideale per lo sviluppo della vita umana484. Da queste considerazioni si rinviene come l’art. 32 Cost. divenga la disposizione costituzionale maggiormente rilevante. La stessa Consulta ha evidenziato come il precetto dell’art. 9 secondo una scelta operata al più alto livello dell’ordinamento assume il detto valore come primario cioè come insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro 485. La correlazione esistente tra l’art. 9 e 32 Cost. risulta essere chiara. È lapalissiano come l’inquinamento dell’ambiente incida in maniera significativa sulla vita e salute degli individui che vivono nelle zone colpite da detti fattori ambientali. Alla luce di questo il disposto dell’art. 32 Cost. richiede che la Repubblica ponga in essere degli interventi idonei a garantire la salute dei cittadini nonché la salubrità dei luoghi in cui i soggetti vivono. Letto in combinato disposto con l’art. 9 Cost. l’art. 32 non deve essere interpretato come mera disponibilità di cure mediche per il caso di malattia ma anche come attenzione necessaria da prestare all’insieme dei fattori ambientali idonei ad incidere in modo negativo sullo stato di salute fisica e psichica dell’individuo 486. L’interpretazione appena fornita poggia su tre disposizioni aventi rango costituzionale ossia l’art. 2, 9 e 32. In questo modo l’art. 2 Cost. è l’articolo che consente di interpretare il diritto alla salute anche come garanzia alla salubrità dell’ambiente. In questo modo l’effettività del diritto alla salute presuppone il mantenimento di una salubrità ambientale tale da garantire l’integrità fisica e la vita degli individui487. Questo stretto legame intercorrente tra la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute ha fatto si che l’iniziale approccio ai temi appena indicati potesse essere definito come episodico-emozionale. Ci si rapportava, infatti, nel momento in cui si manifestavano determinate patologie ambientali e/o quando queste ultime mettevano a rischio la salute degli individui. I primi interventi giurisprudenziali e normativi, di conseguenza, possiedono essenzialmente natura negativa e soggettiva. Oltre a questo sono preordinati a tutela il singolo individui piuttosto che la salubrità dell’ambiente quale interesse diffuso. Sul punto dottrina autorevole ha evidenziato che in questo quadro, se l’atteggiamento di sovrana indifferenza palesato dallo stato di diritto nei riguardi della salute dei cittadini origina intuitivamente da un comprensibile deficit culturale, sono per altro verso, le filosofie utilitaristiche e liberiste del tempo a fondare e legittimare concettualmente,e culturalmente, l’ambientazione valoriale e sistemica che porta gli ordinamenti statali di impianto liberale dell’Ottocento a chiamarsi fuori dalle politiche socialmente rilevanti488. Dagli anni ’70 sia la dottrina che la giurisprudenza rinvengono l’esistenza di un diritto soggettivo all’ambiente e di un interesse della collettività. Precisamente la dottrina definisce il diritto soggettivo dell’ambiente quale fondamento delle azioni pubbliche di tutela oggettiva dell’ambiente; la salubrità deve essere intesa sia come assenza di danno sia come assenza di alterazioni irreversibile dei fattori ambientali 489. La nozione di ambiente che viene elaborata in questa occasione è quella di ambiente quale spazio all’interno del quale l’individuo possa svolgere la propria personalità. La giurisprudenza formatasi sul punto ha ampliato la riflessione appena descritta. Si rinvengono due pronunce delle Sezioni Unite 490 grazie alle quali è stata superata la tutela dell’ambiente quale approccio meramente patrimoniale per approdare alla configurazione della tutela ambientale quale espressione di valori personalistici costituzionali. Risulta estremamente innovativa il dictum della Suprema Corte in base al quale il diritto alla salute, piuttosto e oltre che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre. Nonostante sia un’affermazione estremamente generica ha come aspetto positivo quello di evidenziare il rapporto di reciprocità esistente tra ambiente e salute. La 484 485 486 487 488 489 490 R. FERRARA - C.E. GALLO (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 281. Corte cost. 27.6.1986, n. 151. R. FERRARA - C.E. GALLO (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 282-283. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Cedam, Padova, 1976, pag. 1134, cit. R. FERRARA, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, in R. FERRARA, Salute e sanità, Feltrinelli, Torino, 2010, pag. 8, cit. A. SIMONCINI - E. LONGO , Articolo 32, in R. BIFULCO- A. CELOTTO- M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Utet, Torino 2005, cit. 9.3.1979, n. 1463 e 6.10.1979, n. 5172. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 196 AmbienteDiritto - Editore© salubrità dell’ambiente, infatti, risulta essere condicio sine qua non per la tutela del benessere psico-fisico dell’individuo e della collettività e assurge quindi il rango di diritto dell’individuo e interesse delle collettività ex art. 32 Cost491. La dottrina costituzionalistica ha collocato il diritto all’ambiente all’interno del genus diritti della personalità insieme al diritto alla salute facendolo di conseguenza assurgere al rango di diritto fondamentale inviolabile dell’uomo. E’ stato altresì ritenuto compatibile l’accostamento tra diritto soggettivo all’ambiente e la concezione oggettiva dell’ambiente stesso. Precisamente si è osservato che nella tutela dell’ambiente può evidenziarsi senza alcuna contrapposizione o contrasto, questo duplice profilo di qualificazione del bene, ora come oggetto di un diritto soggettivo fondamentale dell’uomo, che potrà essere garantito dalle azioni consentite al soggetto, ora come oggetto di protezione da parte dei poteri pubblici, sia sotto l’aspetto amministrativo che sotto quello penale492. È grazie all’articolato dell’art.2 Cost., ossia la disposizione che consente l’ingresso di nuovi diritti nel sistema costituzionale italiano, se il diritto all’ambiente salubre assume la valenza di elemento all’interno della diade integrità fisica-diritto alla salute. Al giorno d’oggi, infatti, la salute non può che coincidere con una situazione tendenzialmente generale di benessere dell’individuo derivante dal godimento di un complesso di opportunità, tra le quali quella di poter usufruire di un ambiente salubre si pone come preminente493. Questa affermazione trova le proprie radici nella concezione secondo cui i diritti fondamentali della persona, sanciti a livello costituzionale, possono rientrare nell’ambito anche dei diritti sociali qualora essi richiedano e presuppongano l’esistenza di strumenti idonei da adottare per rendere effettivo il disposto dell’art. 2 Cost. (lo sviluppo della personalità dei singoli individui). Questi strumenti richiedono non solo l’astensione da parte dello Stato ma anche un intervento pubblico preordinato a elevare le condizioni economiche e sociali dei singoli individui494. Il diritto all’ambiente possiede sia un aspetto statico che uno dinamico. Partendo dal primo risulta necessario citare una sentenza della Corte Costituzionale secondo la quale la tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell’individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo sue bene essenziale: tale tutela implica non soltanto situazioni attiva di pretesa, ma comprende, oltre a misure di prevenzione, anche il dovere di non ledere o porre a repentaglio con il proprio comportamento la salute altrui, con la conseguenza che, di fronte al contrasto tra il diritto alla salute costituzionalmente protetto e altri liberi comportamenti, privi di diretta copertura costituzionale, la prevalenza va necessariamente al primo495. L’aspetto dinamico consiste in una pretesa positiva circa l’intervento concreto di organi statali diretto a promuovere la tutela ambientale. Alla luce di questo si può sostenere che la visione dinamica del diritto all’ambiente si allinei con il diritto ad un ambiente salubre. In detto modo quindi si sottolinea la diretta (e dinamica) corrispondenza del diritto fondamentale a quel sistema di misure di pianificazione, di promozione e di sostegno nei campi della politica economico-sociale, della politica della cultura e dell’istruzione, di quella della sanità e della famiglia, che caratterizza il moderno stato sociale496. Nonostante quanto appena sostenuto si può osservare che il diritto all’ambiente salubre rappresenta un aspetto parziale della tutela ambientale la quale non può essere ricondotta alla sola salute umana. E’ evidente che pur sussistendo tra tutela dell’ambiente e tutela della salute taluni punti di contatto si tratti di ambiti che teoricamente e praticamente devono essere mantenuti distinti poiché la prevenzione sanitaria non è in grado, già in astratto, di risalire la scala delle cause sino agli 491 492 493 494 495 496 L. MEZZETTI , La Costituzione dell’ambiente, in L. MEZZETTI, Manuale di diritto dell’ambiente, Cedam, Padova, pag. 117. M. COMPORTI, Tutela dell’ambiente e tutela della salute, in Rivista giuridica dell’ambiente, n. 1/1990, pag. 196, cit. M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980,pag. 792, cit. L. MEZZETTI, La Costituzione dell’ambiente, in L MEZZETTI., Manuale di diritto dell’ambiente, Cedam, Padova, pag. 85-95. Corte cost., 20.12.96, n. 399. L.,MEZZETTI , Manuale di diritto ambientale, Cedam, Padova, 2001, pag. 130, cit. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 197 AmbienteDiritto - Editore© interventi di tutela ambientale; effettuerà tali interventi solo quando si saranno create emergenze ambientali, sarà portatrice di un’ottica dimidiata 497. 3.2. Lo status costituzionale dell’ambiente. Prima della Riforma del Titolo V, come ricordato più volte, non si rinveniva all’interno della nostra Carta costituzionale la parola “ambiente”. Questa assenza ha avuto quale conseguenza uno status debole e frammentato circa la tutela costituzionale dell’ambiente nonostante l’attività interpretativa svolta dalla Consulta 498. Grazie a detta attività interpretativa l’ambiente è entrato a far parte dei valori costituzionali, precisamente, il Giudice delle leggi ha affermato la necessità di tutelare la salute in tutte le condizioni in cui si svolge la vita di ogni persona 499. Attraverso la già citata riforma del Titolo V della Costituzione si rinviene il sostantivo “ambiente” all’art. 117 Cost. qualificato come una materia tecnica per quanto concerne la divisione delle competenze tra gli organi legislativi statali e regionali 500. Alla luce di questa modifica costituzionale la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali viene assegnata in toto alla competenza legislativa dello Stato, alle Regioni, invece, viene assegnata all’interno delle competenze concorrenti, la valorizzazione dei beni ambientali e culturali. La modifica appena descritta ha indotto la giurisprudenza e la dottrina costituzionale a interpretare ex novo la Costituzione sulla base di un testo che annulla la precedente ripartizione delle competenze legislative. Prima della L.cost. 3/2001, infatti, il diritto vivente 501 aveva improntato la salvaguardia dell’ambiente come oggetto di una leale collaborazione istituzionale tra Stato e Regioni502. Nonostante il dettato costituzionale introdotto nel 2001 la Consulta continuando l’orientamento appena descritto e ignorando il nuovo art. 117 Cost. ha qualificato la materia tutela dell’ambiente come una materia trasversale. In altri termini nonostante il legislatore costituzionale abbia definito la materia ambiente come appartenente all’elenco di materie di legislazione esclusiva statale detta previsione, secondo il ragionamento della Corte costituzionale, non eliminerebbe la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato503. Detto orientamento giurisprudenziale sembrava aver trovato una soluzione definitiva circa i rapporti tra Stato e Regioni ma nel 2007 subisce un vero e proprio cambiamento. Precisamente la Corte costituzionale ha superato il concetto di materia trasversale per approdare alla distinzione circa il concetto di intreccio e concorso del riparto tra legislazione statale e regionale. Il primo concetto fa riferimento alla nozione esistente al 2007, ossia si riferisce al concetto di trasversalità della materia ambiente. Il secondo, invece, inaugura il nuovo orientamento e concerne il concorso, appunto, tra più competenze sul medesimo oggetto, l’ambiente appunto. In questo modo viene delineato il percorso che lo Stato e le Regioni devono adottare circa la suddivisione delle competenze ambientali 504. La corte rinviene nella materia ambiente un bene della vita individuabile in modo concreto e affida la tutela dello stesso in via esclusiva allo Stato. A quest’ultimo spetta quindi la tutela e la 497 498 499 500 501 502 503 504 B. CARAVITA- L. CASSETTI- A. MORRONE, Diritto all’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2016, pag. 42, cit D. AMIRANTE, La forza normativa dei principi. Il contributo del diritto ambientale alla teoria generale, Cedam, Padova, 2006, pag. 254-257. Corte cost., n. 210 e 641 del 1987. V.M. CARRER, Il legislatore competente, Milano, 2012, pag.20-30. Si tratta dell’orientamento stabilmente consolidato nella giurisprudenza in base al quale la norma come interpretata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è difficile ipotizzarne una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. Corte cost. 350/1997. C. VENTIMIGLIA, La smaterializzazione dell’ambiente: la prevalenza statale offusca la leale collaborazione in Urbanistica e appalti, n. 1/2016, pag. 61, cit. Corte cost. 407/2002. A. GUSMAI, La tutela costituzionale dell’ambiente tra valori (meta-positivi), interessi (mercificatori) e (assenza di) principi fondamentali, in Diritto pubblico europeo, 2015, pag. 1-19. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 198 AmbienteDiritto - Editore© conservazione del bene ambiente, mentre, alle Regioni in concorso con lo Stato la valorizzazione del medesimo bene505. Il nuovo approdo giurisprudenziale, conforme al dettato costituzionale, non è esente da dubbi relativi all’effettiva tenuta circa la ripartizione delle competenze. È evidente come sia assai complicato distinguere tra conservazione e fruizione dell’ambiente o tra intreccio e concorso di materie in quanto non è possibile circoscrivere in modo oggettivo competenze normative alla materia ambiente. In concreto può capitare che sia lo Stato che le Regioni oltrepassino, anche in maniera involontaria, i limiti indicati dalla legislazione statale e regionale circa l’effettivo esercizio delle proprie funzioni. Oltre a questo si potrebbero rinvenire casi di inerzia legislativa a carico dello Stato centrale circa la tutela di beni costituzionalmente meritevoli e bisognosi di tutela. Qualora non fosse consentito alle Regioni di intervenire iure proprio almeno in occasione dello stato di necessità verrebbero compromesse seriamente le sorti delle popolazioni e dei territori interessati506. Si deve precisare come la necessità può assolvere nel diritto costituzionale e amministrativo un ruolo più vasto di quello che lo stato di necessità assolve nel diritto civile o penale. Lungo questa direttrice, la nozione di necessità del diritto pubblico, si allarga in confronto a quella propria di altri rami del sistema giuridico. Il fatto necessitato è per i giuspubblicisti quello che imponendo un’alterazione del sistema delle fonti e dell’ordinamento giuridico, per definizione, non può essere disciplinato compiutamente dal diritto normalmente vigente, non può trarre la propria forma e i propri contenuti da manifestazioni di volontà pertinenti la gerarchia ordinaria degli atti e delle norme 507. Una soluzione, avanzata in dottrina, è quella di rendere, almeno in materia ambientale, la ripartizione delle competenze in modo flessibile. Secondo questa proposta non si vuole escludere una pluralità di interventi a carico tanto dello Stato tanto delle Regioni ma consentire una tutela ampia e multilivello 508. Questo orientamento avrebbe altresì un aggancio costituzionale. L’art. 117 co. 2 e 3 Cost. nell’elencare le materie fa riferimento a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema che risultano essere solo apparentemente materie in quanto esse indicato lo scopo da perseguire e non la competenza. In altre parole si tratta di “materie non materie”, le quali identificano competenze legislative dello Stato costruite in termini finalistici: in funzione cioè del fine e non dell’ambito di incidenza e si presentano, di conseguenza, come competenze senza oggetto, chiamate a definire se stesse mediante il proprio esercizio509. Da questo discende quale corollario che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, anche se assegnata allo Stato quale competenza esclusiva, non esclude l’intervento delle fonti legislative regionali. La stessa Corte costituzionale ha affermato, infatti, che le leggi statali disciplinanti l’ambiente e l’ecosistema hanno solamente la funzione di dettare standard minimi uniformi derogabili dalle Regioni in melius. Precisamente in materia di tutela dell’ ambiente e del paesaggio, la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni ordinarie o a statuto speciale e dalle Province autonome in quanto lo Stato stabilisce standard minimi di tutela intendendosi tale espressione nel senso che lo Stato assicura una tutela adeguata e non riducibile dell’ambiente 510. Conclusivamente emerge come la tutela dell’ambiente non possa essere concepita in modo assoluto o rigido poiché si tratta di una materia fluida e per questo non suscettibile di essere chiusa all’interno della classificazione dogmatica ex art.117 Cost.. La riflessione condotta fino a questo momento fa emergere come il diritto costituzionale ambientale abbia quale fonte principale per la propria ricostruzione la giurisprudenza costituzionale. Grazie all’evoluzione giurisprudenziale della Corte è stato possibile approdare ad una nozione di ambiente quale valore rispetto ai riferimenti presenti nella Carta costituzionale. Detto altrimenti la Consulta 505 506 507 508 509 510 P. MADDALENA, L’interpretazione dell’art. 117 e dell’art. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e fruizione dell’ambiente, in Federalismi, n. 9/2010. A. RUGGERI, A proposito di (impossibili?) discipline legislative regionali adottate in sostituzione delle discipline legislative mancanti (nota a Corte cost. n. 373/2010) in Federalismi,n. 1/2011. V. ANGIOLINI, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Cedam, Milano, 1986, pag. 102, cit. M. MAZZAMUTO, Diritto dell’ambiente e sistema comunitario delle libertà economiche, in Rivista italiana di diritto pubblico, 2009, pag. 1571-1598. A. D’ATENA, Diritto regionale, Il Mulino, Bologna, 2013, pag.163,cit. Corte cost. n.234/2010, 272/2009, 378/2007. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 199 AmbienteDiritto - Editore© utilizzando i vari casi di specie sottoposti alla sua attenzione e riguardanti indirettamente l’ambiente, ha tratto elementi per elevare la tutela dell’ambiente stesso a valore costituzionale. Sembra che la Corte nel tempo abbia desunto norme da disposizioni costituzionali idonee a far assumere rango costituzionale al bene giuridico ambiente e costruendo le norme inespresse ossia norme nascenti da una congiunzione di norme espresse di assunzioni dogmatiche 511. Detta attività della Consulta non è andata esente da critiche in quanto parte della dottrina ha sostenuto, rifacendosi alle tradizionali categorie ottocentesche, come solamente all’interno delle codificazioni si trovavano riunite ed esaltate tutte le caratteristiche della legge, cioè la volontà positiva del legislatore, capace di imporsi indifferenziatamente su tutto il territorio dello Stato e operante per la realizzazione di un progetto giuridico di ragione; il carattere deduttivo dello svolgimento delle norme; la sistematicità, completezza, la generalità e l’astrattezza512. Oltre a questo si deve ricordare come al momento dell’entrata in vigore della Costituzione si riteneva che solamente al legislatore fosse assegnata la competenza ad attuare in maniera concreta i principi costituzionali. La Consulta, invece, sin dalla sentenza n. 1/1956, accogliendo la conclusioni cui era giunto Crisafulli, ha sostenuto come i principi costituzionali fossero criteri di giudizio circa la validità delle leggi 513. A questo si può obiettare che all’interno dello Stato costituzionale di diritto le soluzioni interpretative sono ancorate all’intento originario del Costituente, cristallizzate, aperte ad esiti evolutivi, qualche volta anticipatrici di bisogni futuri, esclusive o inclusive di esigenze di giustizia sostanziale, aperte o chiuse rispetto ai valori costituzionali metatestuali514. È evidente quindi che grazie all’interpretazione costituzionale risulta possibile perfezionare il significato delle disposizioni al fine di renderla maggiormente rispondenti alle esigenze fisiologiche e mutevoli esistenti nella realtà 515. 3.3. Le sfide ambientali per il diritto costituzionale. Le problematiche attinenti alla questione ambientale hanno imposto una serie riflessione circa le conseguenze che lo sviluppo sta producendo sulle risorse ambientali. È evidente come la crescita demografica esistente nelle economie emergenti induce a riflettere sui limiti delle risorse e degli equilibri naturali516. Le criticità richiedono non solo un approccio interdisciplinare ma rappresentano una sfida all’interno dell’ambito giuridico per tutti i saperi appartenenti ad esso dato che è necessario affrontare le problematiche all’interno di un contesto multidisciplinare. Qualora si riconosca l’esistenza di una correlazione tra diritto umano e diritto naturale è evidente che la problematica attenga propriamente al diritto costituzionale. Oltre a ciò si deve ricordare come l’ambiente, per costante giurisprudenza costituzionale, sia un valore ma anche un presupposto per l’effettiva tutela degli altri diritti. La sfida consiste nel rinvenire strumenti idonei per bilanciare i valori e gli interessi esistenti rispetto alle nuove problematiche esistenti in questi ultimi anni 517. 4. Il bilanciamento tra tutela dell’ambiente e libertà di iniziativa economica. Prima di affrontare il problema relativo al bilanciamento tra la tutela dell’ambiente e la libertà di iniziativa economica è necessario indicare brevemente gli aspetti salienti della seconda e 511 512 513 514 515 516 517 L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. 112, cit. C. FARALLI, Stato, in A. BARBERA, Le basi filosofiche del costituzionalismo, Laterza, Bari, 2011, pag. 189, cit. V CRISAFULLI., Sull’efficacia normativa delle disposizioni di principio della Costituzione, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffrè, Padova, 1952, pag. 12-22. G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 240, cit. A. BALDASSARRE, Interpretazione e argomentazione nel diritto costituzionale, in F. BILANCIA, Costituzionalismo. It, Archivio 2006-2008, Editoriale scientifica, 2011, pag. 57-67. La questione verrà affrontata più avanti con la riflessione circa l’etica ambientale. S. GRASSI, Ambiente e costituzione, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente – saggi-, n. 3/2017, pag. 79. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 200 AmbienteDiritto - Editore© fornire una breve definizione circa il concetto di bilanciamento all’interno del diritto costituzionale. 4.1. La libertà di iniziativa economica: cenni. L’articolo cardine circa l’iniziativa economica privata è l’art. 41 Cost. il quale garantisce e limita la libertà di iniziativa economica ma allo stesso tempo è la disposizione fondante la cd. Costituzione economica518. Quando ci si approccia allo studio dell’art. 41 Cost. si devono analizzare sia le tutele apprestate all’iniziativa economica privata ma anche i limiti posti ad essa. Per quanto concerne le prime si deve innanzitutto sottolineare che nessuno può essere costretto ad iniziare un’attività economica nemmeno per disposizione di legge. Il primo comma recita infatti che l’iniziativa economica privata è libera . L’ambito dell’iniziativa economica non comprende solamente il macro-settore delle attività imprenditoriali ma anche tutte le specie di lavoro non subordinato indirizzate alla produzione. In questo insieme delineato la Consulta è arrivata a far rientrare anche l’autonomia contrattuale in materia commerciale519. La seconda garanzia concerne il rapporto esistente tra libertà di iniziativa economica privata e i limiti posti ad essa. Lo stesso art. 41 co.2 Cost. enuncia che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Nell’interpretazione questo disposto costituzionale il Giudice delle leggi ha sempre sostenuto che detti limiti non devono essere tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio e che gli operatori economici non vanno sottoposti a sacrifici intollerabili o irragionevoli privandoli di qualunque margine di utile 520. Oltre a questo la Corte ha sempre sostenuto che i limiti appena enunciati costituiscano oggetto di una riserva relativa di legge521. Nella ricostruzione giurisprudenziale è evidente come sia solamente l’organo rappresentativo del popolo legittimato a dettare disposizioni poiché questo ha presente il quadro complessivo degli interventi statali nell’economia e in detto modo si evita che la regolamentazione sia affidata alle discrezionali valutazioni delle autorità amministrative 522. Analizzando gli aspetti delle limitazioni autorevole dottrina ha asserito che queste consistono per lo più in concetti giuridici indeterminati quali l’utilità sociale e i fini sociali523. Questi rappresenterebbero il precipitato costituzionale dell’idea secondo cui il governo della sfera economica non può essere lasciato solo al mercato o all’autonomia dei privati ma deve essere guidato e controllato. L’interesse individuale all’iniziativa privata economica diviene recessivo in alcune ipotesi particolari idonee a giustificare la creazione di monopoli legali o la riserva di attività economiche a favore dello Stato o di enti pubblici aventi fini di utilità generale. In 518 519 520 521 522 523 Si parla di costituzione economica in senso lato facendo riferimento all’insieme delle norme costituzionali che riguardano i rapporti economici. Detta definizione potrebbe essere riformulata prendendo in considerazione anche principi non inclusi nella Costituzione italiana ma derivanti dai Trattati europei o dalla giurisprudenza europea o infine dai principi generali di diritto in materia di diritti umani. M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto, V, voce Costituzione economica, 1990, pag. 373-376. Corte cost. 23.4.1965, n.30. Corte cost. 3.6.1970, n.78; Corte cost. 10.7.1975, n. 200. Si tratta delle riserve in relazione alle quali il legislatore deve dettare solamente la disciplina di principio o fornire la base legislativa delle attività amministrative necessarie per applicare il disposto legislativo. L’esempio tipico è l’art. 23 Cost. in base al quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Sia in giurisprudenza che in dottrina è pacifico che la disciplina legislativa possa essere solamente parziale riguardando l’oggetto e i soggetti passivi dell’imposizione ma non esattamente il quantum della stessa. Altra disposizione coperta da riserva relativa di legge è l’art. 97 co. 2 Cost. Si deve ricordare come non si debbano confondere con le riserva relative i meri rinvii costituzionali alle leggi ordinarie attraverso i quali la Costituzione indica al legislatore un fine da raggiungere. Un esempio è l’art. 44 Cost. il quale afferma che la legge aiuta la piccola e media proprietà ma questa previsione non è idonea ad alterare il sistema delle fonti. A.L. MAZZAROLLI, D. GIROTTO, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2018, pag.203-204. Corte cost. 14.12.1962, n.4 e 5. A.L. MAZZAROLLI, D. GIROTTO, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2018, pag. 674-677. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 201 AmbienteDiritto - Editore© questo modo il Costituente ha ancorato la libertà di iniziativa economica al rispetto della legge e al rispetto dei principi di solidarietà sociale. L’art. 41 ,come l’art. 42 e 43 Cost., richiama infatti i concetti dell’utilità sociale, della funzione sociale e dell’interesse generale. È evidente quindi il collegamento stesso esistente all’interno della Carta costituzionale tra l’aspetto economico e quello sociale che induce a sostenere come la normativa costituzionale dettata in materia economica sia ispirata alla logica caratterizzante l’intera Costituzione italiana524. La tutela dell’ambiente e del paesaggio è uno dei beni suscettibile di entrare in conflitto con il disposto dell’art. 41 Cost. Durante gli anni ’90 in paesi industrializzati e non sono nate istanze accusatorie nei confronti delle società multinazionali private in quanto queste avrebbero imposto sia ai propri consumatori sia a paesi terzi uno sviluppo economico incontrollato dannoso sia per l’ambiente stesso che per le economie dei paesi in via di sviluppo. Da questa premessa si deve capire in che modo la protezione dell’ambiente sia uno dei limiti all’art. 41 co.2 Cost. ricordando che l’art.9 co. 2 Cost. ossia la tutela del paesaggio appartiene al novero dei principi fondamentali della Costituzione e che l’art. 32 Cost. enuncia che la salute sia un diritto fondamentale dell’individuo. Più volte è emerso detto contrasto all’interno della Giurisprudenza costituzionale con riferimento sia alla sicurezza 525 sia all’utilità sociale526. I parametri utilizzati dalla Consulta nel dirimere i conflitti appena indicati sono stati quello della ragionevolezza intesa quale proporzionalità tra bene tutelato e strumenti adottati per apprestare tutela, e l’adozione di pareri tecnico-scientifici utilizzati per confermare l’esistenza di una pericolosità delle attività economiche in relazione ai beni oggetto di sindacato. Oltre a questo la Corte spesso riprende il concetto di sviluppo sostenibile come elaborato nella Commissione Brundtland527 e pubblicato nel rapporto del 1987. In detto contesto si riteneva che lo sviluppo sostenibile dovesse essere definito come uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri. Se si adottasse questa definizione in maniera rigida si arriverebbe alla conclusione secondo cui ogni iniziativa economica non potrebbe essere conciliabile con l’utilità sociale e la sicurezza umana in quanto la stessa si basa essenzialmente sullo sfruttamento delle risorse. Aderendo a detta interpretazione l’art. 41 co. 1 Cost. verrebbe totalmente eluso. Probabilmente la soluzione per riuscire a rendere operativo l’art.41 Cost. e apprestare tutela all’ambiente è quella di intendere il concetto di utilità sociale come funzionalizzazione dell’attività economica piuttosto che come suo limite 528. In quest’ottica potrebbe essere la ricerca scientifica lo strumento attraverso il quale venga permesso all’uomo di intraprendere iniziative economiche e migliorare il proprio benessere materiale, da un lato, e tutelare la conservazione dell’ambiente, del paesaggio e l’utilizzazione delle risorse in modo limitato, dall’altro. Nonostante questa appena esposta fosse una delle possibili soluzioni si deve osservare come nel corso del tempo il rapporto esistente tra impresa ed ambiente sia sempre stato diretto ad una maggiore considerazione delle esigenze, quanto mai drammatiche, occupazionali ed economiche, in relazione ad un modello di sviluppo sostenibile 529. 4.2. Il bilanciamento costituzionale. Con l’espressione “bilanciamento” si fa riferimento ad un’operazione diretta a comporre una sintesi tra i vari principi costituzionali che in apparenza sembrano essere contrastanti tra di 524 B. RAGANELLI, Frontiere di diritto pubblico dell’economia, Cedam, Padova, 2019, pag. 42-44. Corte cost. ord., 31.5.1996, n. 186. 526 Corte cost. 17.3.2006, n. 116, Corte cost. 16.6.2001, n. 190, Corte cost. 3.6.1998, n. 196. 527 Si tratta della commissione mondiale per l’ambiente nota come commissione Brundtland dal nome del Presidente. 528 G. LEMME, Articolo 41 Cost. e sviluppo sostenibile: contrasto o concordanza? Note minime sulla modernità del concetto di utilità sociale, in Gazzetta Ambiente, 2007, pag. 85-91, pag. 91 cit 529 M. DI FRANCESCO TORREGROSSA, Il valore ambientale nel bilanciamento costituzionale e gli interessi sensibili nella nuova conferenza di servizi, in Nomos, le attualità del diritto. Rivista quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico e comparato e storia costituzionale, 3/2016, pag. 8 cit. 525 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 202 AmbienteDiritto - Editore© loro. Attraverso il bilanciamento vengono perseguiti essenzialmente due obiettivi. In primo luogo si riconosce l’eventuale superiorità di un valore rispetto ad un altro e, in secondo luogo, si verifica che la scelta compiuta dall’organo legislativo non sacrifichi in modo eccessivo l’interesse tralasciato530. All’interno del diritto costituzionale l’operazione di bilanciamento presuppone la distinzione tra principi e regole consistente, fondamentalmente nella discrezionalità riconosciuta al legislatore di tutelare con forza maggiore o minore gli interessi contenuti nei precetti531. Si deve segnalare che circa la qualificazione dei principi vi sono due teorie presenti. La prima, denominata distinzione forte tra regole e principi ritiene che tra essi vi sia una differenza categoriale ossia i principi possiedono caratteristiche proprie non appartenenti alle regole e dette caratteristiche sarebbero idonee a distinguere i principi dalle regole 532. I principi sarebbero dotati delle seguenti caratteristiche: Essi possono essere definiti come le norme fondamentali dell’ordinamento e di conseguenza questi non necessitano di ulteriore giustificazione e che giustificano l’esistenza di altre norme533. A contrario le regole sono il risultato della specificazione di un dato principio. I principi proclamano un valore mentre le regole non fanno riferimento in modo esplicito al valore ad esso sottostante534. Dal punto di vista assiologico ai principi si aderisce mentre alle regole si ubbidisce 535. I principi possiedono un grado elevato di genericità, vaghezza e indeterminatezza e vengono classificati come norme categoriche. A contrario le regole collegano conseguenze giuridiche a fattispecie determinate e proprio per questo vengono definite norme ipotetiche 536. I principi sono suscettibili di un’applicazione graduale o flessibile, a contrario le regole si applicano in toto se si verificano le circostanze previste dalla fattispecie, altrimenti non si applicano537. I principi possono essere definiti come immanenti all’ordinamento mentre le regole derivano da un procedimento deliberativo. Qualora si dovesse verificare un conflitto tra principi la soluzione sarebbe la disapplicazione del principio ritenuto in quella circostanza meno importante. A contrario nell’ipotesi in cui si dovesse verificare un conflitto tra regole questo verrebbe risolto mediante la dichiarazione di invalidità, abrogazione di una delle regole in conflitto538. I sostenitori della teoria della distinzione debole ritengono che i sostenitori della teoria forte evidenzino delle caratteristiche proprie dei principi ma le caratteristiche distintive rinvenute tra regole e principi non siano sempre proprie dei principi ma, a volte, anche delle regole. Secondo detta impostazione tutte le norme, a prescindere che siano regole o principi, sembrano possedere almeno alcune delle caratteristiche appena menzionate 539. Quello che emerge è che la misura in cui una determinata caratteristica è posseduta determina lo status di regola o principio: se certe norme possiedono certe caratteristiche in misura maggiore allora verranno definite come principi. In questo ambito la distinzione viene effettuata analizzando tre diversi ambiti operativi ossia le caratteristiche, la funzione che viene svolta e l’operatività. Adottando lo schema appena indicato emerge che i principi possiedono quali caratteristiche la 530 531 532 533 534 535 536 537 538 539 A. CERRI, Sindacato di costituzionalità – Ordinamento italiano, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXVIII, 1991, pag.23-30. C. PINELLI, Principi, regole, istituti, in Diritto pubblico, 1/2015, pag. 35-50. A. BALDASSARRE, L’interpretazione della costituzione, in A. PALAZZO, (a cura di) L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, ESI, Napoli 2001, pag. 215-230. L. MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in Diritto del lavoro, 1992, pag. 3-12. E. BETTI , Teoria generale dell’interpretazione, vol.II, Giuffrè, Milano, 1990, pag. 851-890. F. SCHAUER, Le regole del gioco. Un’analisi filosofica delle decisioni prese secondo regole nel diritto e nella vita quotidiana (1991), Il Mulino, Bologna, 2000. G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Leggi, diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992, pag.148-150. D. MARTINEZ ZORILLA, Conflictos constitucionales, ponderacion e indeterminacion normativa, Edicions Juridicas y Sociales, 2007, pag. 81-84. S. 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Per quanto concerne l’operatività si deve capire il modo di funzionare dei principi. In maniera estremamente schematica si indicano le possibili modalità mediante le quali i principi operano nel mondo giuridico: Conflittualità deriva dalle caratteristiche proprie dei principi ossia della genericità e indeterminatezza. Precisamente questi sono destinati ad entrare in collisione tra di loro e nella maggior parte delle ipotesi sarà difficile prevedere le varie ipotesi di collisione possibili 542. Bilanciamento, il metodo di risoluzione dei conflitti tra principi e il risultato di detta operazione sarà la produzione di una regola di conflitto. Defettibilità, partendo dalla definizione una norma viene definita tale quando è soggetta ad eccezioni implicite che non sono disciplinate né dalla norma stessa né da altre norme. Per le caratteristiche dette in precedenza i principi sono considerati norme defettibili. Forza espansiva, ossia i principi richiedono di essere applicati nella misura maggiormente possibile in quanto sono precetti di ottimizzazione 543. Possiedono una dimensione normogenetica ossia hanno l’attitudine di giustificare altre norme già esistenti e rispetto ad esse il principio rappresenta la ratio544. In detto rapporto le prime saranno chiamate regole mentre le seconde principi e quindi le regole saranno considerate specificazione dei principi. Questa relazione si definisce assiologica poiché le regole dovranno essere rese conformi al principio di cui sono specificazione a prescindere da un criterio strettamente cronologico. I principi contribuiscono alla concretizzazione del sistema dato che offrono una giustificazione unitaria dell’insieme delle norme di dettaglio o di principi specifici, richiedono un’interpretazione conforme a principio ed infine rendono defettibili le norme che contrastano con il principio545. Se questa è la posizione della dottrina la giurisprudenza costituzionale ha sempre dimostrato estrema prudenza circa la previsione di una scala gerarchica tra valori costituzionali. A questo fanno eccezione i principi supremi dell’ordinamento i quali, per natura propria intrinseca, richiedono un condizionamento maggiore nelle scelte discrezionali operate dal legislatore. I principi supremi sono i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che pur non essendo espressamente menzionati fra quelli assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana546. I principi supremi sono quei principi indefettibili e dunque incancellabili senza compromettere il nucleo del sistema medesimo547. Posta questa riflessione preliminare è necessario ora analizzare il concetto di bilanciamento. Con il termine bilanciamento sul piano descrittivo si suole far riferimento ad una tecnica di composizione di interessi o diritti in conflitto ed evoca l’idea della pesatura. Con riguardo all’ambito giuridico il bilanciamento possiede caratteristiche tipiche e particolari e richiede operazioni metodologiche svolte dagli organi giudiziari nel decidere controversie concrete. Il bilanciamento tuttavia non si rinviene in qualsiasi attività giudiziaria in quanto assume i connotati propri nel momento in cui entrano in conflitto interessi, diritti, principi e beni di rango costituzionale e che vengono affidati per la 540 541 542 543 544 545 546 547 R. GUASTINI, Interpretare e argomentare, Giuffrè, Milano, 2011, pag. 179-182. B. CELANO, Come deve essere la disciplina costituzionale dei diritti? In S. POZZOLO (a cura di) La legge e i diritti, Giappichelli, Torino, 2002, pag. 89, cit. G. 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Da questo emerge che il funzionamento del bilanciamento presupponga una idea di Costituzione determinata e allo stesso tempo si accompagna ad una precisa attuazione della Costituzione stessa. Il bilanciamento, infatti, affonda le proprie radici nell’ordinamento giuridico definibile come Stato liberal-democratico. In esso i concetti di legge e di Costituzione sono distinti sotto il profilo materiale poiché essa esprime i principi e diritti fondamentali e fondanti i quali richiedono per la propria realizzazione l’esistenza di un processo aperto e pluralistico. In detto contesto la voluntas contenuta nella lex deve essere conforme alla ratio espressa dalle varie disposizioni costituzionali. L’espressione “bilanciamento” sembra evocare un’attività decisionale guidata da una capacità, almeno in parte di carattere intuitivo, di individuare una linea di condotta che risponda in modo adeguato alle peculiarità del caso in esame. Nel caso del bilanciamento tra principi in conflitto sembra si possa affermare, la deliberazione giudiziale assume direttamente, senza mediazioni, i tratti del giudizio morale, il giudice si pronuncia per così dire direttamente senza essere soggetto a gran parte dei vincoli che abitualmente orientano la sua decisioni su questioni di giustizia. La metafora del bilanciamento insomma suggerisce un’immagine quasi sapienziale della decisione giudiziale 549. Da detta definizione di bilanciamento si ritiene che detto modello possa definirsi discrezionale per due motivi. In primis nel caso concreto viene attribuito preferenza ad un diritto o principio rispetto ad un altro nonostante entrambi possiedano la medesima posizione “gerarchica”. In secundis non si può garantire che in futuro si giungerà alla medesima conclusione e preferenza. Proprio per questi due aspetti dottrina autorevole ha sostenuto che il bilanciamento consiste nell’istituire tra principi o diritti in conflitto una “gerarchia assiologica mobile”: la gerarchia prodotta all’esito del bilanciamento giudiziale tra i due diritti o principi in conflitto è assiologica in quanto istituita tramite un giudizio di valore dell’interprete, mobile in quanto relativa al caso concreto e non necessariamente riprodotta in casi futuri. Aderendo a detta ricostruzione teorica bilanciare non vuol dire ponderare o trovare un punto di equilibrio ma piuttosto sacrificare, accantonare un principio a favore di un altro seppur soltanto in relazione ad uno specifico caso concreto 550. La tesi appena esposta fa riferimento al ad hoc balancing ma non al definitional balancing. La differenza tra queste due species consiste nel fatto che la prima fa riferimento ad una soluzione del conflitto operata volta per volta alla luce degli interessi e delle circostanze specificatamente prospettate dalla parti e prescindendo dall’applicazione di una regola di soluzione stabile 551. Nel ad hoc balancing il giudice non dichiara di seguire una regola determinata precostituita al giudizio e non dice che il criterio utilizzato in quel determinato giudizio sarà applicabile a tutti i casi futuri aventi elementi simili. Nel definitional balancing, a contrario, il conflitto tra diritti o principi viene risolto mediante l’individuazione di una regola generale e astratta tendenzialmente applicabile ai casi futuri. Questo ragionamento non può applicarsi nell’ipotesi di un ordinamento giuridico avente i caratteri propri e tipici dello Stato liberale. In esso non si rinviene una differenza tra la ratio e la voluntas e il concetto di legge coincide con quello di costituzione. La legge infatti rappresenta la ragione universale e non ammette lacuna. Di conseguenza l’operazione di bilanciamento non trova occasioni di applicazione vera e propria poiché ogni eventuale conflitto di interessi è sempre risolto attraverso una regola giuridica. Detta regola giuridica risulta essere pre-determinata e viene applicata in modo asettico da parte dell’interprete552. Il bilanciamento, in detta ricostruzione, viene inteso quale dialettica o 548 F. PIERANDREI, Voce Corte costituzionale in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. II, tomo II, 2008, pag. 784790. 549 550 551 552 B. CELANO, Giustizia procedurale pura e teoria del diritto, in M. BASCIU, (a cura di) Giustizia e procedure. Dinamiche di legittimazione tra Stato e società internazionale, in Quaderni della Rivista internazionale di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, 2002, pag. 101-142, cit. R. GUASTINI, Principi di diritto e discrezionalità giudiziale, in Diritto pubblico, 1998, pag. 651.659, cit. P. CHIASSONI, La giurisprudenza civile. Metodi di interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè, Milano,1999, pag. 287, cit. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, pag. 65-71. A. MORRONE, Voce Bilanciamento (giustizia costituzionale) in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. II, tomo II, 2008, pag. 185-204. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 205 AmbienteDiritto - Editore© processo decisionale politico parlamentare ossia il compromesso tra maggioranza e minoranza. Si tratta della concezione kelseniana del bilanciamento. Si ricorda infatti che Kelsen ricostruisce il controllo giurisdizionale di costituzionalità preordinato a verificare il rispetto delle regole contenute nella Costituzione da parte del legislatore 553. A livello comparatistico si deve ricordare che negli USA il balancing test è stato lo strumento che ha consentito una trasformazione della società e che ha consentito di superare un determinato formalismo giuridico. E’ necessario anche ricordare che esistono diversi approcci interpretativi: attraverso il bilanciamento la Corte Suprema è arrivata ad affermare interessi a favore del potere politico e altre volte ha limitato il potere politico al fine di estendere tutela a diritti fondamentali 554. Dette criticità sono state superate dal modello tedesco. Il tribunale federale infatti ha elaborato delle tecniche di giudizio aventi caratteri scientifici. Attraverso detto modello di giudizio sarebbe possibile controllare l’esito dei conflitti ma anche in detta ipotesi parte della dottrina ritiene che il bilanciamento costituisca il presupposto per trasformare lo Stato di diritto in uno Stato di bilanciamento555. L’esperienza italiana è stata caratterizzata da una riflessione giuridica incline a distinguere tra i giudizi di eguaglianza, ragionevolezza e bilanciamento 556 anche se si rinvengono ricostruzioni dottrinarie volte a individuare un generale principio di ragionevolezza557. Il bilanciamento richiede quale presupposto l’esistenza concreta di un conflitto tra interessi costituzionali e questi si possono classificare a seconda che i beni in contrasto possano essere riferiti a valori omogenei o non omogenei. Da qui la distinzione tra conflitti inter-valore e intra-valore558. I primi fanno riferimento a diritti o interessi suscettibili di essere ascritti al nucleo di valori costituzionali qualificabili come eterogenei. Esempi possono essere l’interesse dell’adottato a conoscere le proprie origini e il diritto alla riservatezza circa l’anonimato della madre biologica559. Altro esempio concerne il diritto alla socialità della persona disabile che si declina nel diritto di accesso alla pubblica via attraverso la costituzione di una servitù coattiva e la disciplina del codice civile che ammette la costituzione coattiva di una servitù solo per perseguire finalità di produzione agricola o industriale 560. Tuttavia detta categoria non esaurisce il novero degli interessi ascrivibili all’insieme dei conflitti inter-valore. Appartengono a detta categoria dogmatica anche i conflitti che si pongono in essere tra situazioni giuridiche soggettive e interessi obiettivi dell’ordinamento costituzionali. Un esempio può essere il diritto allo status filiationis per i figli incestuosi e la protezione prevista per la famiglia legittima 561. Infine conflitti inter-valore sono anche quelli esistenti tra soggetti e organi nei giudizi intersoggettivi e interorganici ma anche quelli che si instaurano tra diritti fondamentali e interessi di enti territoriali o poteri dello Stato 562. Con l’espressione conflitti intra-valore, invece, si fa riferimento a quei conflitti caratterizzati dall’esistenza di interessi omogenei e 553 554 555 556 557 558 559 560 561 H. KELSEN, Reine Reichtslehere, Lineamenti della dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino, 1952. H. KELSEN, Der Hüterder Verfassung trad. Ita La garanzia giurisdizionale della costituzione, in G. ZAGREBELSKY, La Giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1981, pag.145-160. D. SCHEFOLD, Aspetti della ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale tedesca, in S. AGRO- A. ANZON -G. BOGNETTI -A. CERRI - A.A. CERVATI - S. FOIS - M. LUCIANI -V. ONIDA -R. ROMBOLI -C. ROSSANNO D. SCHEFOLD - R. TOSI - G. VOLPE - G. ZAGREBELSKY, Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della corte costituzionale-Riferimenti comparatistici, Cedam, Padova, 1994, pag. 121-151. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992. M.P. VIPIANA, Introduzione allo studio della ragionevolezza nel diritto pubblico, Cedam, Padova, 1993, pag. 6080. Si deve ricordare come parte della dottrina ritenga che il concetto di valore sia diverso da quello di principi. R.M. DWORKING, Takin Right Seriously, 1977, trad. ita N. MUFFATO I diritti presi sul serio, Il Mulino, Bologna, 1982, pag. 90-110. Altri ritengono che non si possa rinvenire detta differenza ma definiscono valori la sintesi di una pluralità di interessi nel senso ampio di situazioni giuridiche soggettive comprensive di situazioni attive e passive ma anche beni collettivi o esigenze obiettive che l’ordinamento costituzionale tutela. A. CORASANATINI ,Note in tema di diritti fondamentali, in Diritto societario, 1990, pag. 189-208. Corte cost., 25.11.2005, n.425. Corte cost., 10.5.1999, n.167. Corte cost., 28.11.2002, n. 494 e D. TEGA, Il principio di verità della nascita e il diritto all’identità personale del figlio incestuoso: le colpe dei padri non ricadono sui figli, in Giurisprudenza costituzionale, 2003, pag. 1076-1088. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 206 AmbienteDiritto - Editore© imputabili a soggetti aventi posizione antagonista. Ad esempio l’art. 41 Cost. appresta tutela a interessi economici esistenti nei contratti di impresa limitando la responsabilità dell’impresa di trasporto e assicurando il risarcimento del danno per colpa grave o dolo a favore dell’impresa che si avvale dei servizi di trasporto del vettore563. I conflitti intra-valore possono rinvenirsi anche nell’ipotesi in cui il contrasto sorga tra la dimensione oggettiva e soggettiva di interessi ascrivibili ad un medesimo valore. Ad esempio il conflitto esistente tra diritto alla salubrità ambientale e l’esigenza oggettiva di tutela del bene ambiente 564. Se questo è il presupposto del giudizio di bilanciamento si deve ora indicare l’oggetto di detto giudizio. Dottrina e giurisprudenza ritengono che oggetto del bilanciamento possono essere solo beni aventi rango costituzionale. Questi comprendono non solo diritti e doveri fondamentali ma anche meri interessi, soggettivi o oggettivi, a condizione che vengano ritenuti rilevanti costituzionalmente. La Consulta ammette non solo i diritti espressamente menzionati dal testo costituzionale ma anche diritti o interessi ulteriori che vengono desunti dalla lettura aperta dell’art. 2 Cost. Grazie a detta disposizione costituzionale sono stati riconosciuti il diritto alla libertà sessuale, il diritto del minore ad essere inserito in una famiglia, il diritto alla privacy, all’identità personale, il diritto alla vita, alla libertà sociale, il diritto all’abitazione, ecc 565. In questo modo sono stati ricompresi nell’oggetto del bilanciamento tutti gli interessi emergenti dalla realtà sociale. Il bilanciamento comprende anche gli interessi costituzionali propri delle controversie relative alla delimitazione delle competenze sancita a livello costituzionale quindi tra Stato e Regioni, tra Regioni o tra poteri dello stato. Il cuore pulsante di detti giudizi è rappresentato dalla ponderazione degli interessi di cui è portatore ciascun soggetto in conflitto 566. 4.3. Il caso Ilva. Lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto è ubicato nel quartiere Tamburi a Nord-Ovest della città di Taranto occupando un’area di circa quindici milioni di metri quadri. La scelta era ricaduta sulla città di Taranto per un insieme di ragioni: presenza di aree pianeggianti e vicino al mare, disponibilità di calcare, possibilità di creare posti di lavoro. L’attività dell’ILVA consiste nella lavorazione del minerale di ferro, nella trasformazione dello stesso in ghisa e successivamente in acciaio. Lo stabilimento è specializzato nella produzione di acciaio, ossia lamiere, tubi, coils, mediante la trasformazione di materie prime. La vicenda giudiziaria che vede quale protagonista l’ILVA affonda le proprie radici in anni di disinteresse circa i dati che venivano registrati dagli enti regionali e locali preposti al controllo dell’ambiente. I dati dimostravano infatti la presenza di benzoapirene e di livelli inaccettabili di diossina nell’area di Taranto. Alla luce di detti risultati a livello centrale veniva adottato il primo decreto “SalvaILVA567 consiste in cinque articoli estremamente sintetici alcuni riferibili a qualsiasi stabilimento, altri adottati per applicare le disposizioni generali al caso di specie. Precisamente il decreto de quo prevedeva, in primo luogo, la facoltà per il Ministro dell’Ambiente di autorizzare, in sede di riesame dell’AIA la prosecuzione dell’attività produttiva per un tempo non superiore a trentasei mesi. Detta prosecuzione era condizionata all’adempimento delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA applicando le migliori tecniche disponibili. Si deve sottolineare che le prescrizioni idonee a consentire la prosecuzione dell’attività produttiva sono esclusivamente quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale. Oltre a ciò il decreto legge conteneva un elenco di 562 563 564 565 566 567 A. MORRONE, Corte costituzionale e costituzione finanziaria in A. PACE (a cura di) Corte costituzionale e processo costituzionale, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 671-691. Corte cost., 22.11.1991, n. 420. Corte cost., 30.12.1987, n. 641. A. BARBERA, Commentario della Costituzione in G. BRANCA, (a cura di) Principi fondamentali (art. 1-12), 1975. A. MORRONE, Voce Bilanciamento (giustizia costituzionale) in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. II, tomo II, 2008, pag. 191,cit. D.L. 207/2012. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 207 AmbienteDiritto - Editore© adempimenti e obblighi che, se osservati, avrebbero portato a un sostanziale e progressivo miglioramento delle prestazioni ambientali dell’azienda. Il provvedimento in esame prevedeva una serie di aggiornamenti successivi e di riesami al fine di perseguire l’obiettivo del miglioramento permanente568. La complessa vicenda decisa dalla Corte costituzionale nel 2013569 prende le mosse proprio dal decreto-legge appena menzionato per quanto concerne il diritto alla salubrità dell’ambiente. La ratio del decreto-legge era quella di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante gli impianti fossero stati posti sono sequestro giudiziario il tutto a condizione che l’impresa adottasse le prescrizioni indicate con l’AIA. Emerge quindi il problema cruciale: dinnanzi a un intervento giurisdizionale preordinato a impedire l’esercizio dell’attività che si sospetta compromettere il diritto alla salute delle persone e la salubrità dell’ambiente, un’autorità amministrativa può far proseguire detta attività? Si deve evidenziare come sia lo stesso provvedimento amministrativo che autorizzi la produttività dell’impresa nonostante vengano lesi beni protetti sia a livello legislativo che costituzionale. La Procura di Taranto nella propria ordinanza di remissione considerava che l’effetto prodotto dall’art. 1 Dl. 207/2012 fosse quello di consentire ad una impresa produttiva ritenuta dannosa per la salute e l’ambiente la prosecuzione della propria attività. Il remittente sosteneva quindi l’illegittimità costituzionale della disposizione in quanto violativa dell’art. 32 e 41 Cost. nella parte in cui contiene il divieto per l’esercizio dell’attività economica qualora essa contrasti con la sicurezza, la libertà e la dignità umana 570. Il Leitmotiv delle ordinanze di remissione concerne la considerazione secondo cui il rispetto delle prescrizioni contenute dell’AIA non esclude un danno un per l’ambiente e per la salute. L’adempimento esatto di dette indicazioni di fatto avrebbe quale conseguenza la lesione dell’ambiente e della salute delle persone. Altro aspetto rinvenibile nelle ordinanze di remissione concerne l’esclusione dei rimedi giurisdizionali e ordinari contro le condotte lesive dell’ambiente. Il decreto-legge, infatti, escludeva la possibilità per i provvedimenti cautelari di impedire l’esercizio dell’attività di impresa. La questione prospettata alla Corte costituzionale concerne dunque la considerazione secondo cui un’attività esercitata secondo le prescrizioni contenute in un provvedimento autorizzativo possa violare disposizioni legislative e costituzionali. In primis la Consulta ritiene sussistente l’esistenza della presunzione secondo cui il rispetto dell’AIA comporti un’adeguata tutela della salute e dell’ambiente, poiché non può essere ritenuta lesiva della salute e dell’ambiente una condotta che sia conforme ad un’autorizzazione non dichiarata illegittima. Detta tesi viene sostenuta attraverso la valorizzazione del ruolo dell’AIA quale provvedimento preordinato a conformare l’attività di impresa con la tutela dell’ambiente e della salute. Viene poi sottolineato che l’autorità competente rilascia l’AIA solo sulla base dell’adozione, da parte del gestore dell’impianto, delle migliori tecnologie . La tesi sostenuta è quella secondo cui dato che l’AIA è preordinata a tutelare l’ambiente, l’attività che si svolga in modo conforme alle prescrizioni da essa dettate non può essere dannosa, lesiva dell’ambiente. Se si ammettesse il contrario emergerebbe un’incongruenza inaccettabile per il sistema. In secundis il Giudice delle leggi precisa che l’attività produttiva è ritenuta lecita alle condizioni previste dall’AIA riesaminata e che è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate le prescrizioni dell’AIA riesaminata, nelle quali si riassumono le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa . Essendo l’autorizzazione un atto amministrativo contro lo stesso sono azionabili tutti i rimedi previsti dall’ordinamento per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi davanti alla giurisdizione ordinaria e amministrativa. La normativa esaminata, secondo il ragionamento della Corte, risulta apprestare una sufficiente garanzia per l’ambiente dato che nel decreto-legge il diritto alla salute e alla 568 A. MURATORI, Decreto salva ILVA: scelte difficili, in Disciplina dei sottoprodotti, pag.1-6. Corte cost. 9.4.2013, n. 85. M. LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Cedam, Padova,1983. 569 570 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 208 AmbienteDiritto - Editore© salubrità dell’ambiente sono all’interno di un contesto che non azzera e neppure sospende il controllo di legalità ma lo riconduce alla verifica dell’osservanza delle prescrizioni di tutela dell’ambiente e della salute contenute nell’AIA riesaminata . In questo modo la Consulta aderisce ad una concezione formale del diritto e sulla natura chiusa dell’ordinamento giuridico nel quale gli eventuali dubbi circa la liceità delle condotte devono essere risolti utilizzando i criteri fondanti la validità degli atti normativi. Autorevole dottrina 571 ha sottolineato come detta pronuncia sia esemplificativa circa il carattere non assoluto dei diritti fondamentali. È evidente come il caso ILVA sia un hard case nel quale si contrappongono il diritto alla salute dei lavoratori e dei cittadini e l’esigenza di preservare un’attività economica di grande impatto nel panorama italiano ed europeo. Si contrapponevano quindi il diritto alla salute e all’ambiente, da una parte, e il diritto al lavoro e all’esercizio delle attività economiche, dall’altra. La Corte costituzionale, nel cercare di bilanciare questi due diritti, ha affermato che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette che costituiscono nel loro insieme, espressione della dignità della persona. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali senza pretesa di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorchè costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perchè dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato, dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo, secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale . Si deve altresì indicare, seppur brevemente, come la sentenza 85/2013 abbia altresì risolto un conflitto di attribuzione tra potere giudiziario e politico-amministrativo nella prevenzione dei reati ambientali. Il potere amministrativo sicuramente può stabilire i vincoli e i limiti che un’attività industriale deve rispettare in conformità ai principi costituzionali. Allo stesso tempo appartiene alla competenza del potere giudiziario perseguire e reprimere le condotte che violano le disposizioni e risultano essere lesive dei diritti delle persone. Nelle ipotesi appena descritte i confini possono definirsi certi e determinati ma sono destinati a divenire labili qualora si discuta se una attività futura, nonostante sia conforme alle prescrizioni adottate per l’esercizio della stessa, sia idonea a mettere in pericolo diritti ed interessi ascrivibili alla collettività. Nel caso ILVA si è manifestata quella che la stessa Consulta ha definito l’incerta linea divisoria tra provvedimenti cautelari funzionali al processo, di competenza dell’autorità giudiziaria, e provvedimenti di prevenzione generali spettanti, nel rispetto delle leggi vigenti all’autorità amministrativa. È evidente infatti che nel caso concreto la misura cautelare adottata dall’autorità giudiziaria fosse rivolta essenzialmente a prevenire la futura lesione del diritto alla salute dei lavoratori e della popolazione. Nel momento in cui di detti provvedimenti impedivano lo svolgimento dell’attività produttiva il Governo è intervenuto sia sul piano legislativo che su quello amministrativo. Per quanto concerne il primo è stato adottato un decreto-legge, successivamente convertito in legge ed oggetto della pronuncia n. 85/2013, che consentiva la prosecuzione dell’attività produttiva. Sul piano amministrativo il Governo ha aggiornato l’AIA rilasciata all’ILVA. Di conseguenza la dottrina ha sostenuto che la sentenza 85/2013 dovrebbe appartenere al genus delle pronunce che risolvono conflitti di attribuzione tra poteri nonostante l’oggetto del giudizio fosse la legge. L’attività di apprezzamento e bilanciamento relativa ad un’attività lecita che potrebbe divenire nel futuro fonte di rischi per beni tutelati costituzionalmente richiede un 571 M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana in Intervento presentato a incontro trilaterale tra la Corte costituzionale italiana, la Corte costituzionale spagnola e il Tribunale costituzionale portoghese, pag. 1-19. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 209 AmbienteDiritto - Editore© apprezzamento discrezionale. Si tratta quindi di scelte appartenenti in primis al legislatore e non demandabili in toto all’organo giudiziario572. La sentenza 85/2013 risulta essere estremamente importante anche perchè con essa la Corte costituzionale nell’individuare i criteri attraverso i quali si deve esercitare il controllo di bilanciamento tra i diversi valori costituzionali ha enucleato un test. Questa verifica è articolata in tre diversi e successivi passaggi. Secondo il dictum della Consulta il primo criterio da utilizzare è quello della necessità. Si deve verificare che la scelta di limitare un diritto o interesse costituzionale sia stata giustificata dalla sola necessità di attuare un altro diritto o interesse costituzionale posto sul medesimo piano del primo. Nel caso di specie l’equilibrio tra le esigenze di tutela dell’ambiente e della salute, da una parte, e dell’occupazione e del lavoro, dall’altra, risulta essere equiparata. Il secondo criterio da seguire è quello della sufficienza. È necessario verificare che il rapporto tra i due diritti o interessi costituzionali non venga alterato, ossia non è ammissibile che a causa dell’accrescimento di tutela di uno l’altro risulti estremamente compresso al punto da risultare insufficienti le esigenze di garanzia dell’interesse o diritto costituzionale limitato. Infine, il terzo criterio concerne la valutazione circa la proporzionalità della limitazione o compressione dei diritti o interesse rilevanti sul piano costituzionale. Si richiede che la compressione non venga ritenuta eccessiva a seguito dell’operazione di bilanciamento di quel diritto o valore costituzionale con altri diritti o valori costituzionalmente tutelati. In altre parole affinchè questo terzo criterio venga rispettato è necessario che, secondo un criterio di ragionevolezza, permanga il nucleo essenziale del valore costituzionale compresso. Attraverso il giudizio di bilanciamento il giudice costituzionale è chiamato quindi ad applicare la regola concreta nel conflitto tra valori costituzionali nel caso dinnanzi a lui pendente. È richiesto dunque al Giudice delle leggi di rinvenire il punto di equilibrio tra i diversi valori in gioco. La scelta però rischia di sfociare in una decisione di merito politico soprattutto quando le scelte legislative non risultano essere esplicate e ragionevoli in maniera sufficiente per addivenire ad una conclusione. Se questo rappresenta il rischio è altresì evidente come sia compito della Corte costituzionale entrare nel dettaglio del conflitto esistente tra i valori costituzionali al fine di compiere una duplice operazione. Il giudice costituzionale nel momento in cui deve bilanciare i valori in conflitto e individuare la prevalenza di uno rispetto all’altro deve in prima battuta adottare il test di proporzionalità declinato nei tre diversi passaggi (necessità, sufficienza, proporzionalità). In seconda battuta, precisare le condizioni grazie alle quali il conflitto può essere risolto in maniera specifica e dettagliata 573. Dopo due anni dalla importante pronuncia 85/2013 la Corte costituzionale venne investita nuovamente sempre ad opera della magistratura di Taranto. Alla Corte venne chiesto anche in detta occasione di sindacare la legittimità costituzionale di un decreto-legge con il quale il Governo aveva consentito la prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento ILVA nonostante fosse stato disposto il sequestro di un impianto dello stesso. L’antefatto è rappresentato da un incidente mortale di un operaio dello stabilimento ILVA. In seguito agli accertamenti avvenuti ad opera della magistratura durante la fase delle indagini preliminari venne disposto il sequestro preventivo dell’impianto ordinando lo spegnimento dello stesso al fine di evitare analoghi eventi. La misura cautelare adottata risultava essere riferita ai reati di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro ex art. 437 c.p 574. e cooperazione in omicidio colposo. Gli effetti negativi prodotti dal sequestro sull’attività produttiva dello stabilimento ILVA hanno indotto il Governo ad adottare il decreto-legge 92/2015 con il quale l’Esecutivo autorizzava l’attività dell’impresa a condizione che venissero rispettate le condizioni indicate nel decreto. Alla luce di ciò il GIP di Taranto sollevava questione di legittimità costituzionale del decreto572 V. ONIDA, Un conflitto tra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, in Giurisprudenza costituzionale, n.3/2013. 573 F. GRASSI, Il caso ILVA: ancora un conflitto tra legislatore e giudici, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n.2/2015, pag. 187-189. 574 Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 210 AmbienteDiritto - Editore© legge sospendendo in questo la decisione sulla richiesta avanzata dai legali dell’ILVA circa la restituzione del bene sequestrato fino alla conclusione dell’incidente di costituzionalità. Con sentenza 58/2018 la Consulta adotta una decisione estremamente significativa per due motivi essenzialmente575. In primo luogo dichiara l’illegittimità costituzionale della disciplina adottata dal Governo, in secondo luogo chiarisce i limiti della tecnica del bilanciamento legislativo circa i beni costituzionali coinvolti. Con questa seconda pronuncia la Consulta ha approfondito dettagliatamente i rapporti esistenti tra l’esercizio dell’attività economica, esigenze della produzione, la dignità dei lavoratori, dei cittadini e i diritti fondamentali della persona umana. Rispetto alla sentenza 85/2013 il giudice delle leggi fa assumere fondamentale importanza ai diritti della persona. In particolare nella motivazione viene sottolineato come il diritto alla salute comprendente la sicurezza, la libertà e la dignità non possa soccombere al bilanciamento con altri interessi costituzionali. Alla base di detto ragionamento vi è la considerazione secondo cui il diritto alla salute è l’unico definito come fondamentale dalla Costituzione italiana. La Corte costituzionale evidenzia come il legislatore con la normativa contenuta nel decreto impugnato e con la successiva legge che ne ha recepito le disposizioni non abbia bilanciato in modo proporzionale e ragionevole i valori costituzionali coinvolti. Il Giudice delle leggi ha sostenuto che con il decreto de quo il legislatore non ha evitato il sacrificio di diritto fondamentali poiché non ha garantito una tutela unitaria, sistematica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati . Per la Corte infatti le disposizioni sottoposte al suo sindacato non contengono misure idonee in quanto definite come non immediate e non tempestive per rimuovere il pericolo per i lavoratori, precisamente ha ritenuto che il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della vita stessa . In relazione a detti beni la disciplina non contiene specifici contrappesi che consentono di non rendere tiranni gli interessi economici e sociali che, pure in astratto, al legislatore non è precluso perseguire, quando intenda salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e garantire i correlati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività di impresa. Nella parte finale della sentenza è stato precisato che con il decreto-legge 92/2015 il legislatore ha finito con il privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (art. 2 e 32 Cost.) cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in un ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.) . Nel ragionamento svolto dalla Consulta il diritto alla salute espresso dall’art. 32 Cost. deve essere corroborato dalla lettura congiunta di altre due disposizioni costituzionali ossia l’art. 2 e 3 Cost. cioè con il diritto alla vita e la dignità umana576. Sembra quindi richiamare una decisione della Suprema Corte la quale evidenziò come il bene della salute è assicurato all’uomo come uno ed anzi il primo dei diritti fondamentali anche nei confronti dell’Autorità pubblica, cui è negato il potere di disporre di esso. Nessun organo della collettività e del resto neppure l’intera collettività generale con unanimità di voti potrebbe validamente disporre per qualsiasi motivo di pubblico interesse 575 576 Si deve segnalare come la Corte costituzionale si pronunci anche in relazione agli antefatti rappresentati dall’abrogazione ad opera del Governo del decreto-legge 92/2015 facendone salvi gli effetti durante il periodo di vigenza dello stesso. Oltre a questo si deve segnalare come nonostante l’ordinanza di remissione in Corte costituzionale sia data 14.7.2015 la stessa sia stata trasmessa alla Corte solamente il 7.2.2017. Questa discrasia deriva dal fatto che all’inizio di Settembre 2015 la Procura e l’ILVA avessero trovato un accordo circa il dissequestro: a fronte della revoca del da parte del pm l’ILVA si sarebbe impegnata ad adottare prescrizioni idonee a far cessare il pericolo prospettato nel provvedimento cautelare nonché a mettere in sicurezza l’impianto nel quale si era verificato l’incidente. È evidente come l’intervento governativo abbia condizionato in modo pregiudizievole detto accordo. Per una trattazione completa D. SERVETTI, Il fattore tempo nel bilanciamento tra lavoro e salute. Alcune note alla nuova sentenza della Corte costituzionale sull’ILVA di Taranto, in Giurisprudenza italiana, Corti supreme e salute, n.2/2018 pag. 194-210. C. D’ARRIGO, voce Salute (diritto alla), in Enciclopedia del diritto, vol V., Giuffrè, Milano, 2001, pag. 10091015. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 211 AmbienteDiritto - Editore© della vita o della salute di un uomo o di un gruppo minore 577. È evidente come il Giudice delle leggi sia arrivato a dichiarata fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione al decreto-legge 92/2015 ritenuto lesivo dei limiti indicati all’art. 41 Cost. Secondo il dettato costituzionale l’efficienza economica non è, in sé, un valore e la disciplina relativa all’economia che la nostra Fonte di vertice vuole sia dettata dal legislatore ordinario non può essere ispirata solo dall’intento di perseguire scopi immediatamente economici (aumento della produzione, equilibrio finanziario) ma deve essere, invece, guidata dalla necessità di attivare e favorire il processo di trasformazione sociale le cui grandi linee sono tracciate dall’art.3 co.2 Cost578. Con detta pronuncia la Corte non ha tentato di far assumere una nuova posizione al diritto alla salute e non ha nemmeno introdotto una gerarchia tra valori costituzionale. Nel bilanciamento tra il diritto alla salute e la libertà di iniziativa economica questa seconda soccombe perchè essa non può essere ritenuta un diritto fondamentale se si ritiene che possono definirsi come fondamentali solo i diritti che svolgono una funzione unificante nella comunità politica e integrante delle sue componenti 579. L’ultima pronuncia relativa al caso ILVA concerne la sentenza della Corte Edu Cordella e altri c. Italia del 24.1.19580. La Corte Edu con detta decisione ha riunito i ricorsi presentati nel 2013 e nel 2015 da cittadini che risiedevano a Taranto e nelle zone limitrofe. Con detto ricorso i ricorrenti lamentavano la lesione del diritto alla vita o al rispetto della vita privata disciplinata dagli art. 2 e 3 CEDU in quanto la Corte europea per costante giurisprudenza ha sempre riconosciuto il diritto alla salute nella sua declinazione di diritto ad un ambiente salubre. La Corte EDU infatti sembrerebbe qualificare il diritto all’ambiente salubre come una declinazione ed estensione naturale del diritto alla salute. Prima di analizzare il merito della decisione si deve evidenziare come la Corte EDU, nonostante l’eccezione proposta dal Governo italiano, ritenga che i ricorsi incardinati dai cittadini non debbano ritenersi generici o privi di un valore probatorio diretto. Sottolinea la Corte che il proprio sindacato non persegue quale obiettivo fondamentale la protezione dell’ambiente in quanto tale ma solo quando il danno ambientale possa essere idoneo a cagionare un effetto sfavorevole nella sfera personale ex art. 8 co.1 CEDU 581. In secondo luogo la Corte EDU respinge anche la tesi prospettata dal Governo nazionale secondo la quale i cittadini prima di adire detta Corte avrebbero dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale oppure presentare denuncia penale per disastro ambientale e costituirsi parti civili in quella sede. La stessa Corte sottolinea, in primis, che nell’ordinamento italiano è precluso il ricorso diretto alla Corte costituzionale qualora sia prospettato da un cittadino singolo. In secundis la Corte evidenzia che secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti alcune circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di esaurire i ricorsi interni che gli sono offerti . Analizzando il merito della questione la Corte ricorda, come sopra accennato, che il danno ambientale rileva solo quando il rischio ecologico derivante dallo stesso possieda un livello idoneo a incidere negativamente sul benessere e sulla qualità della vita dei ricorrenti. Precisamente la Corte ricorda che i vincoli derivanti dall’art. 8 CEDU non constano solamente nell’astensione da ingerenze arbitrarie ma in obblighi positivi diretti ad assicurare un rispetto effettivo della vita privata dei ricorrenti . Nella propria decisione la Corte ricorda, infatti, che l’elemento cruciale che permette di determinare se nelle circostanze di una causa, il danno ambientale abbia comportato violazione di uno dei diritti garantiti dal paragrafo 1 dell’articolo 8 è l’esistenza di un effetto nefasto nella vita privata o familiare di una persona, e non semplicemente il degrado generale dell’ambiente . Alla luce di questo detta pronuncia ritiene esistente una violazione dell’articolo poc’anzi menzionato. Per la Corte è evidente l’esistenza del nesso di causalità tra l’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico e l’aumento della mortalità nella città di Taranto e nelle zone 577 578 579 580 581 Corte di Cassazione, Sez. Unite, 6.10.1979, n. 5172. M. LUCIANI, Voce Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V., Utet, Torino, 1990, pag. 378, cit. M. LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Cedam, Padova,1983, pag. 67, cit. Corte EDU, ricorsi n. 54414/13 e 54264/15. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 212 AmbienteDiritto - Editore© limitrofe. Oltre a ciò ritiene che la mancata attuazione delle misure prescritte dall’AIA, la proroga del piano ambientale abbiano inciso negativamente nel processo di risanamento ambientale.Oltre alla violazione dell’art. 8 CEDU la Corte ritiene che le condotte appena descritte siano altresì idonee a fondare una violazione dell’art. 13 CEDU 582dato che il Governo nazionale non ha provveduto ad adottare misure idonee a garantire la diminuzione dell’inquinamento delle aree interessate dalle emissioni. Per il Giudice di Strasburgo la lesione dell’art. 13 deriverebbe dal susseguirsi della decretazione d’urgenza che ha caratterizzato la vicenda ILVA rispetto alla quale qualsiasi azione sia essa civile, penale o amministrativa potrebbe essere considerata adeguata a rispondere alle richieste di tutela avanzate dai ricorrenti583. La sentenza de qua sembra quindi valorizzare il diritto alla salute dei residenti nella città di Taranto e nelle zone limitrofe continuando il percorso inaugurato dalla sentenza 58/2018 della Corte costituzionale. 5. Diritto all’ambiente: un esempio di interesse diffuso. La tematica relativa al diritto all’ambiente chiama in gioco la riflessione circa la tutela degli interessi diffusi. Questi ultimi si riferiscono a beni fondamentali garantiti e riconosciuti dalla Carta costituzionale italiana ossia il diritto alla salute, all’ambiente, all’istruzione, alla cultura, alla libertà di pensiero, alla libertà religiosa, al non essere discriminati, ecc. La violazione di detti beni appena indicati in modo esemplificativo creerebbe danni incalcolabili per l’intero assetto sociale. Con l’espressione interesse diffuso si suole fare riferimento all’interesse circa il conseguimento o il mantenimento di un bene alla vita riferibile ad una collettività indifferenziata e non a un singolo soggetto predeterminato. Si tratta di un interesse giuridicamente rilevante ma non personalizzato poiché ogni individuo si trova rispetto all’interesse diffuso nella medesima posizione degli altri appartenenti alla collettività 584. La caratteristica tipica dell’interesse diffuso è la sua impersonalità, caratteristica che si traduce come impossibilità di tutela in giudizio a causa dell’assenza di un soggetto dotato della legittimazione ad agire ex art. 100 c.p.c585. Si tratta di un problema idoneo a produrre i propri effetti anche nel processo amministrativo nel quale l’esistenza di pubblici interessi non è di per sé idonea a mutare in senso oggettivo il modello di giurisdizione. Quest’ultima risulta attivabile, infatti, solo nell’ipotesi in cui venga dedotto come illegittimo un atto della P.A 586. Alla luce di dette considerazioni la conclusione alla quale si dovrebbe arrivare sarebbe quella secondo cui, almeno apparentemente, discutere di tutela giurisdizionale di interessi diffusi rappresenterebbe un ossimoro. Si tratterebbe però di una conclusione in netta discordanza con il comune sentire. Non sarebbe accettabile, in altre parole, ammettere che atti amministrativi violativi di interessi percepiti come fondamentali dalla collettività non vengano sottoposti al controllo giurisdizionale a causa dell’impossibilità di individuare un soggetto legittimato a far valere una posizione di vantaggio personale e differenziata. Partendo da codesta riflessione la giurisprudenza e la dottrina a partire dagli anni ’70 hanno cercato di superare la concezione meramente personalistica del processo al fine di individuare modelli utili per approdare ad una 582 583 584 585 586 Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. S. SOLIDORO, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo certifica (e condanna) il fallimento delle autorità italiane nel caso ILVA, in Cammino Diritto, n.2/2019. N. DURANTE, La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, Lectio magistralis c/o Università della Calabria 29.4.2015, pag. 1-16. R. FERRARA, Interessi collettivi e diffusi, in Digesto delle discipline pubblicistiche, VIII, Utet, Torino, 1993, pag. 482. Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avere un interesse. G. ALPA, Interessi diffusi, in Digesto civile, IX, Utet, Torino, pag. 611. N. TROCKER, Gli interessi diffusi nell’opera della giurisprudenza in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1987, pag. 1114. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 213 AmbienteDiritto - Editore© protezione dell’interesse sovra-individuale587. In particolare l’interesse diffuso è stato ricostruito come diritto soggettivo, interesse legittimo ed infine come interesse collettivo. Partendo dal primo la dottrina e la giurisprudenza hanno ricostruito dei modelli definibili come mediati. La tutela riconosciuta al diritto soggettivo si è sviluppata quale conseguenza della tutela di altre posizioni soggettive aventi tutela in quanto possedenti la struttura di diritto soggettivo, interesse legittimo o interesse collettivo. L’esempio maggiormente paradigmatico concerne la tutela della salute ex art.32 Cost. La Consulta ha definito quest’ultimo un bene tutelato non solo nell’interesse della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicchè si configura come un diritto primario e assoluto, pienamente operante nei rapporti tra privati 588. Partendo da questo dictum è stata elaborato il diritto alla salubrità ambientale. In continuità con l’affermazione del Giudice delle leggi le Sezioni Unite 589 hanno sostenuto che dalla lettura congiunta di alcune disposizioni costituzionali emerge una linea di tendenza dell’ordinamento, costituente poi sviluppo della tutela garantistica, nel senso di configurare addirittura un diritto alla salute come “diritto sociale”, inteso come diritto del privato ad un’attività positiva della pubblica amministrazione a favore della salute, sia in via preventiva che in via recuperatoria. Tale configurazione espressamente data del resto al diritto alla salute da alcune costituzioni straniere, sembra trovare attenzione in leggo ordinarie e in particolare nella recente legge n. 833 del 1979 sul servizio sanitario nazionale . Oltre a questo la Suprema Corte sottolinea che il diritto alla salute rappresenta uno, ed anzi il primo, dei diritti fondamentali che il singolo può far valere incondizionatamente anche nei confronti dell’autorità pubblica, cui è negato il tal modo di disporre di esso. La protezione accordata alla tutela della salute si declina altresì alla vita associata dell’uomo, nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione, in quei luoghi, delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla salute . È evidente quindi che il diritto alla salute possiede un contenuto di socialità e di sicurezza, per cui, piuttosto (o oltre) che come mero diritto alla vita, all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre, la cui tutela appartiene al giudice ordinario 590. Quello che viene consentito alle parti di dedurre in giudizio è il diritto assoluto e primario dell’individuo all’integrità psico-fisica, tutelato in Costituzione e non suscettibile di essere compromesso dai provvedimenti della P.A.. In altre ipotesi il giudice amministrativo ha ritenuto esistenti all’interno di una stessa fattispecie posizioni di interesse legittimo insieme a posizioni di interesse diffuso. L’aspetto valorizzato in maniera significativa dalla giurisprudenza amministrativa concerne la considerazione secondo cui il ricorrente risulta essere titolare di un bene insediato nel luogo interessato dall’attività amministrativa591 e nella denuncia di un danno concreto che potrebbe derivare nell’ipotesi in cui l’atto impugnato venisse eseguito 592. La fattispecie appena descritta è idonea a realizzarsi ogni volta in cui l’attività conformativa della P.A. incida su un determinato ambito spazio-territoriale, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche urbanistiche, edilizie e paesaggistiche, monumentali, ecologiche, di salubrità o mutando in senso deteriore le possibilità infrastrutturali o organizzative di usufruire dei servizi essenziali, garantiti da una norma costituzionale, o ritenute necessarie dalle norme ordinarie in materia 593. 587 588 589 590 591 592 593 S. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, in L. LANFRANCHI (a cura di) La tutela degli interessi collettivi e diffusi, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 569 -580. Corte cost., 26.7.1979, n. 88. Cass. Civ., sez. Unite, 6.10.1979, n. 5172. Sulla scorta di detto ragionamento è stato riconosciuto, di conseguenza, il diritto del titolare di un’abitazione privata di chiedere l’inibizione di uno stabilimento industriale; il diritto del titolare di una tenuta agricola a chiedere un accertamento tecnico preventivo circa le condizioni ambientali dei luoghi interessati in vista della localizzazione di una centrale nucleare; il diritto del titolare di un’abitazione di chiedere il risarcimento dei danni alla salute in quanto esposto al campo elettromagnetico di un acquedotto. Cons. Stato, sez. IV, 30.5.2013, n. 2974. Cons. Stato, sez. V, 27.4.2012, n. 2460. B. CARAVITA, Interessi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Diritto e società, 1982, pag. 196, cit. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 214 AmbienteDiritto - Editore© Il Leading case è rappresentato dalla giurisprudenza formatasi sulla Legge Ponte 594. L’art. 10 di detta legge prevedeva che chiunque può ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione . L’elaborazione giurisprudenziale ha escluso che si trattasse di un’ipotesi di azione popolare legittimante qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento edilizio non rispettoso delle norme specifiche. La giurisprudenza amministrativa ha invece ritenuto che la disposizione de qua consentisse al privato di agire nei confronti di titoli edilizi illegittimi senza far riferimento al concetto di interesse diffuso. È stato ritenuto meritevole di tutela solamente quel soggetto che fosse titolare di diritti sull’immobile sito nella zona interessata o posto in stabile collegamento con la stessa. Qualora ricorrano le condizioni appena indicate si può rinvenire l’esistenza di interesse legittimo qualificato e differenziato 595. Si deve rammentare che nonostante le elaborazioni compiute dalla giurisprudenza civilistica e amministrativa la tecnica di tutela specifica dell’interesse diffuso ha quale presupposto l’individuazione di soggetti collettivi esponenziali. Si tratta di soggetti idonei ad assumere la legittimazione ad causam. Se l’interesse diffuso per definizione risulta essere privo di titolare in quanto latente nella comunità, l’interesse collettivo, a contrario, è riferibile ad un ente esponenziale, rappresentativo di un gruppo stabile, autonomamente individuabile ed avente eterogenea natura giuridica596. Risulta quindi essere ricostruibile come interesse legittimo, idoneo quindi a ricevere tutela giurisdizionale597. Si deve ricordare il caso relativo alla legittimazione ad agire dell’associazione Italia nostra contro provvedimenti amministrativi lesivi dell’ambiente. Inizialmente il potere di proporre ricorso era stato riconosciuto in capo a detta associazione quale logica conseguenza della qualità della stessa di soggetto dotato di personalità giuridica e quindi rappresentativo dell’interesse di una collettività locale ed organizzata 598. In seguito la Corte di Cassazione ha ritenuto carente di legittimazione attiva detta associazione posto che il diritto all’ambiente possiede natura diffusa e che in assenza di disposizioni eccezionali in materia non si può accordare tutela giurisdizionale ad associazioni dotate di personalità giuridica599. In seguito a detta pronuncia il Consiglio di Stato è intervenuto dichiarando, in primis, l’inammissibilità del ricorso azionato da Italia nostra a favore dell’ambiente. In secundis ha puntualizzato che gli appartenenti ad una collettività insediata su un territorio definito possono vantare una posizione differenziata, in forma singola o associata, nei confronti di provvedimenti che incidono sul godimento concreto, da parte loro, del paesaggio e delle bellezze naturali di quella specifica zona. La legittimazione processuale quindi essere sottoposta ad una verifica concreta valutando quindi se gli appartenenti alla collettività possiedano un interesse specifico, puntuale e localizzabile in un determinato territorio 600. Per cercare di individuare una soluzione alle problematiche appena esposte la legge che ha istituito il Ministero dell’Ambiente601 ha altresì attribuito alle associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni il potere di intervenire nei giudizi per danno ambientale e di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento degli atti illegittimi . Alle stesse organizzazioni l’art. 310 del D.lgs. 152/2006 ha conferito la legittimazione ad agire secondo i principi generali per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta. È evidente quindi che lo strumento adottato per consentire la tutela di interessi diffusi è stato rinvenuto nell’ente esponenziale ossia un aggregazione tangibile e temporalmente persistente, afferente ad una realtà territoriale o ad una medesima manifestazione non occasionale della 594 L. 6.10.1967, n. 765. Cons. Stato, sez.V, 26.9.2013, n. 4755. V. VIGORITI, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Giuffrè, Milano, 1979. Cons. Stato, sez.IV, 16.11.2011, n. 6050. Cons. Stato, sez. V, 9.3.1973, n. 253. Cass. Civ., sez. Unite, 8.5.1978, n.2207. Cons. Stato, Ad. Plen., 19.10.1979, n. 24. L. 8.7.1986, n. 349. 595 596 597 598 599 600 601 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 215 AmbienteDiritto - Editore© vita di relazione602. L’elemento dirimente concerne l’effettività rappresentatività dell’ente rispetto all’interesse di cui esso si assume portatore fondato su disposizioni statutarie ben identificate che prevedono in modo espresso la tutela di interessi determinati. Oltre a questo è necessario che l’interesse azionato per essere tutelato in sede giurisdizionale non deve risultare in contrasto con anche un solo interesse dei consociati o che non si chieda tutela giurisdizionale per una sola parte delle posizioni giuridiche dei consociati stessi 603. Nel momento in cui l’ente esponenziale agisce per chiedere tutela l’interesse diffuso subisce una trasformazione: se prima era definibile come adespota e indifferenziato successivamente diviene soggettivizzato e si differenzia. A seguito di detto cambiamento l’interesse diffuso diviene interesse legittimo proprio dell’ente esponenziale e per questo meritevole di tutela giurisdizionale. A tal proposito il Consiglio di Stato ha definito l’interesse legittimo dell’ente esponenziale come una derivazione dell’interesse diffuso per sua natura adespota, non una superfetazione o una posizione parallela di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività604. 7. Etica ambientale. Il diritto all’ambiente salubre e la tutela dell’ambiente sancita in Costituzione e presente nell’elaborazione giurisprudenziale delle Corti supreme induce ad una riflessione etica circa le risorse ambientali. L’attenzione apprestata all’utilizzo delle risorse naturali e al rispetto dell’ambiente risulta essere un fenomeno che ha iniziato a prendere piede a partire dal XIX secolo. Precisamente la vera presa di coscienza circa il problema ambientale è avvenuta negli anni ’60 del 900 attraverso la pubblicazione del volume Silent Spring ad opera di Rachel Carson. In detta opera l’autrice denuncia il “biocidio” attuato con l’utilizzo indiscriminato di DDT e di altri pesticidi utilizzati in agricoltura. Oltre a questo veniva denunciata la correlazione tra l’utilizzo di questi agenti chimici e l’insorgenza di tumori. Sempre negli anni ’60 venne elaborato il concetto di crisi ecologica senza precedenti causata dall’impatto negativo dell’agire umano sull’ambiente nonché da un determinato modello di sviluppo industriale e di sfruttamento indiscriminato delle risorse605. Attualmente l’etica biologica rappresenta un settore di ricerca e studio indipendente diretto ad analizzare i rapporti e le questioni relative al rapporto tra esseri umani e ambiente allo scopo di adottare un atteggiamento alternativo rispetto ai modelli di sfruttamento tradizionalmente adottati. Si ritiene che una riflessione circa i cambiamenti climatici e la gestione delle risorse naturali sia doverosa oltre che estremamente necessaria. La proposta che si avanza in questo saggio è quella di adottare una cd. etica ecologia 606 consistente in una riflessione morale che prenda le mosse dallo studio dei processi vitali e delle loro interazioni biologiche. Si tratta quindi di un’etica definibile come olistica nella quale la comunità biotica viene prima del singolo individuo e nella quale gli interessi del singolo individuo possono essere perseguiti solo a condizione che gli stessi siano definibili come “cura” per la comunità. La soluzione idonea a rispondere alle sfide ambientali poste oggi dovrebbe adottare un interesse definito come 602 603 604 605 606 Cons. Stato, sez. IV., 18.11.2013, n. 5451. Cons. Stato, sez. IV, 16.11.2011, n. 6050. Cons. Stato, sez. IV, 9.1.2014, n. 36. L. WHITE, The Historical Roots of Our Ecological Crisis, in Science, 155/3767, pag. 1203-1207. La trattazione è estremamente complessa e merita una trattazione autonoma che non è possibile sviluppare in detto contesto. In sintesi si illustra come essenzialmente si contrappongano due impostazioni: una antropocentrica e una antiantropocentrica. La prima aveva quale idea centrale la conservazione delle risorse naturali in quanto idonee a produrre utilità per gli scopi umani. La seconda, invece, ritiene che si debba ampliare la prospettiva etica secondo due direzioni opposte: una prima riguarda l’estensione di alcune categorie morali tradizionali a individui non appartenenti alla specie umana. La seconda, invece, si richiama a una generale re-interpretazione dei criteri di valutazione morale e l’arrivo ad un’etica nuova nascente dal confronto con le scienze biologiche. C. VIAFORA-E. FURLAN- S. TUSINO, Questioni di vita. Un’introduzione alla bioetica, FrancoAngeli, Milano, pag. 456-459. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 216 AmbienteDiritto - Editore© biocentrico il quale pone al centro della tutela la vita intesa come diritto di tutti i viventi a vivere e a realizzarsi pienamente607. 607 A. NAESS, Ecophilosophy, Ecosophy and the Deep Ecology Moviment, trad. Ita A. NAESS, Il movimento ecologico: ecologia superficiale ed ecologia profonda. Una sintesi, in M. TALACCHINI (a cura di), Etiche della terra. Antologia di filosofia dell’ambiente, Vita e Pensiero, Milano, 1988, pag. 144. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 217 AmbienteDiritto - Editore© IL RAPPRESENTANTE UNICO DELLE AMMINISTRAZIONI STATALI IN CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA SIMULTANEA Mario Tocci Abstract The role of the sole representative of the State Administrations inside the decision-making simultaneous conference of the services offers a lot of critical points, some of whom have been resolved by the Italian Council of State with an advice of 29 march 2018. Anyway, many other questions are still unsolved. SOMMARIO: 1. Le problematiche in rilievo. 2. Delimitazione del perimetro delle Amministrazioni statali cui si riferisca la rappresentanza unica. 3. Eventuale inclusione dell’Amministrazione procedente nell’alveo della rappresentanza unica. 4. Estensibilità della rappresentanza unica alle conferenze sottese al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. 5. Modalità e tempistiche di modifica della posizione del rappresentante unico prima del suo consolidamento. 6. Un problema ancora aperto: il profilo soggettivo del rappresentante unico. . Le problematiche in rilievo. A fini certamente esemplificativi, il Legislatore ha introdotto in seno alla conferenza di servizi decisoria simultanea la figura dell’unico rappresentante delle plurime Amministrazioni statali coinvolte, prevista dal disposto del comma 4 dell’art. 14 ter della Legge 07/08/1990 n. 241. Tale rappresentante gode, infatti, della potestà di manifestare inequivocabilmente e con piena efficacia giuridica la posizione di tutte le predette Amministrazioni. Invero la rappresentanza unica “erariale” – se così la si può ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 218 AmbienteDiritto - Editore© definire – era già contemplata nella vecchia formulazione del menzionato disposto normativo. L’intento del Legislatore è sicuramente lodevole e meritorio in considerazione del fatto che la presenza di più rappresentanti di Pubbliche Amministrazioni avrebbe potuto favorire situazioni di stallo a cagione della possibilità di formazione di veri e propri sindacati di voto 608. Va tuttavia criticamente osservato che il meccanismo di designazione del rappresentante unico di cui si discetta non elimina del tutto la discussione “politica”, pur in effetti evitando farraginosità nell’ingranaggio procedurale della conferenza dei servizi in questione 609; come giustamente messo in evidenza610, infatti, il momento istruttorio, ossia la parentesi temporale nel corso della quale si addiviene alla posizione unitaria da assumere, è anticipato nonché decontestualizzato. Vero è pure, comunque, che qualsivoglia intesa preordinata alla fissazione dell’indirizzo di cui rendere latore il rappresentante unico sarebbe vana al lume della constatazione secondo cui – in ossequio all’orientamento del Consiglio di Stato611 – nessun vincolo di mandato imperativo sussisterebbe tra le Amministrazioni rappresentate e costui, tosto dotato di ampio margine di discrezionalità indi caratterizzato da un’agibilità molto ampia e flessibile. Numerose sono le zone d’ombra di una disciplina normativa ancora troppo frammentaria e incompiuta. Un timido intervento del Consiglio di Stato si è registrato di recente, ma molti chiaroscuri perdurano. La risoluzione di talune problematiche è stata compulsata dall’Ufficio per la concertazione amministrativa ed il monitoraggio del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri con nota n. 4821 dell’8 marzo 2018, cui è stato fornito riscontro mediante parere n. 00127 del 29 marzo 2018. Detto documento è di estrema importanza ed ha affrontato i seguenti argomenti: . delimitazione del perimetro delle Amministrazioni statali cui si riferisca la rappresentanza unica; . eventuale inclusione dell’Amministrazione procedente nell’alveo della rappresentanza unica; 608 609 610 611 M. Bombardelli, Le novità della Riforma Madia – La nuova disciplina della Conferenza di servizi, in Giur. it., 2016, 12, p. 2793. G. Vesperini, Superare la frammentazione: la conferenza simultanea e il ruolo del rappresentante unico, in S. Battini (a cura di), La nuova disciplina della Conferenza di servizi, Roma, Nel Diritto Editore, 2016, p. 49. M. Benedetti, Il rappresentante unico delle amministrazioni statali. Chiarimenti interpretativi, in Giorn. dir. amm., 6/2018, p. 801. Cons. di Stato, Adunanza della Commissione Speciale del 15 marzo 2016, parere n. 0890/2016 avente ad oggetto “Schema di decreto legislativo recante norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante Deleghe al Governo in materia di organizzazione delle amministrazioni pubbliche”. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 219 AmbienteDiritto - Editore© . estensibilità della rappresentanza unica alle conferenze sottese al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale; . modalità e tempistiche di modifica della posizione del rappresentante unico prima del suo consolidamento. . Delimitazione del perimetro delle Amministrazioni statali cui si riferisca la rappresentanza unica. L’alveo delle Amministrazioni statali cui deve riferirsi il rappresentante unico non può esser tracciato semplicisticamente mediante l’individuazione degli enti per così dire “nazionali” all’interno del disposto del comma secondo dell’art. 1 del D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165. Secondo il Consiglio di Stato, il criterio da adottarsi per capire quali Amministrazioni centrali possano godere di rappresentanza unica è quello “ordinamentale”, nel senso che – peraltro in ossequio alla già citata disposizione normativa (la quale, appunto, sancisce che le Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo sono soggetti distinti dalle Amministrazioni dello Stato in senso stretto) – gli enti caratterizzati da autonomia statutaria ex lege non sono tenuti ad essere rappresentati in conferenza dei servizi dal rappresentante unico delle altre Amministrazioni statali. La motivazione di tale orientamento poggia, comunque, su due argomenti di ordine teleologico. Il primo concerne la diversità degli interessi pubblici perseguiti dalle Amministrazioni “autonome” rispetto alle altre. Diversità che, talvolta, quanto al contestuale coinvolgimento in conferenza di servizi di enti controllanti ed enti controllati, potrebbe assurgere a contraddittorietà. Il secondo riguarda la necessità di scongiurare, appunto, eventuali conflitti di interesse, che, in dispregio al disposto dell’art. 6 bis della Legge 241/1990, sorgerebbero in ogni frangente di consolidamento delle “qualità di vigilante e di vigilato” in unico soggetto e pur se “per scopi definiti e per un tempo limitato”. L’unitarietà delle posizioni compendiate in capo al rappresentante unico va dunque di pari passo con l’imparzialità dell’azione amministrativa pubblica, di cui al disposto dell’art. 97 della Carta Costituzionale. Sono dunque evidentemente esclusi dalla rappresentanza unica: gli enti pubblici economici, le agenzie fiscali e strumentali, le Autorità Amministrative indipendenti, le Università e gli Enti Parco. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 220 AmbienteDiritto - Editore© . Eventuale inclusione dell’Amministrazione procedente nell’alveo della rappresentanza unica. Quanto all’estensione del potere di rappresentanza del rappresentante unico all’Amministrazione statale procedente, l’interpellante Presidenza del Consiglio dei Ministri prospetta due soluzioni alternative. Secondo la prima, l’Amministrazione statale procedente “non dovrebbe essere attratta dalla rappresentanza unica statale ma dovrebbe partecipare alla conferenza dei servizi autonomamente, attraverso un proprio rappresentante”. Ad avviso della seconda, si potrebbero sovrapporre i ruoli di rappresentanza dell’Amministrazione statale procedente e di tutte le altre Amministrazioni invitate in conferenza, atteso che il rappresentante avrebbe mera funzione consultiva e non anche potere decisionale. In realtà, il Consiglio di Stato mostra di voler aderire, quasi indifferentemente, ad ambedue le ipotesi, in considerazione dell’insussistenza di norme preclusive della prefata sovrapposizione. I giudici di Palazzo Spada ritengono che la coincidenza debba evitarsi soltanto nelle ipotesi di conflitto di interessi. Anzi, l’Amministrazione procedente viene reputata “in quanto responsabile del procedimento…la più adatta ad assumere la rappresentanza unitaria delle altre amministrazioni appartenenti al suo medesimo livello di governo”; nondimeno sarebbe parimenti ammissibile la scelta di un’Amministrazione diversa da quella procedente onde “assicurare la diversità di ruoli tra i diversi soggetti che partecipano alla conferenza compensando, quando c’è stato, il fallimento dell’amministrazione procedente nella conclusione della conferenza semplificata”. . Estensibilità della rappresentanza unica alle conferenze sottese al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Nella terza petizione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri richiede di conoscere se l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) debba essere rappresentato dal rappresentante unico statale all’interno della conferenza dei servizi di cui al disposto del comma quinto dell’art. 29 quater del D. Lgs. 03/04/2006 n. 152 per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, sempre che sia ritenuta ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 221 AmbienteDiritto - Editore© imprescindibile tale partecipazione qualora il piano di monitoraggio e controllo reso dall’Istituto medesimo non sia da considerarsi come preesistente alla conferenza stessa. Il Consiglio di Stato chiarisce anzitutto che il piano di monitoraggio e controllo testé menzionato costituisce parte integrante del decreto autorizzatorio sotteso alla conferenza dei servizi della citata tipologia, talché l’ISPRA è obbligato a parteciparvi. L’alto consesso consultivo soggiunge poi che, essendo un ente economico pubblico ma non statale, l’Istituto fuoriesca dall’alveo della rappresentanza unica di cui si sta discettando. Invero, tuttavia, la qualificazione dell’ISPRA come ente non statale risulta alquanto perplimente. . Modalità e tempistiche di modifica della posizione del rappresentante unico prima del suo consolidamento. Da ultimo, i giudici di Palazzo Spada vengono chiamati a rispondere sulla sussistenza della possibilità in capo al rappresentante unico statale di modificare la propria posizione, dopo averla resa formalmente, entro la fine della conferenza a cagione della sopravvenienza di elementi nuovi addotti dai rappresentanti degli altri soggetti convocati. Condivisibilmente il Consiglio di Stato afferma che l’unica posizione giuridica rilevante del rappresentante unico sia quella risultante dal verbale conclusivo della conferenza; il che significa che essa possa esser modificata sino all’ultimo minuto della riunione conclusiva medesima. In effetti, una siffatta configurazione permette la massima ampiezza del confronto con i rappresentati, a beneficio della più efficace sintesi delle istanze di tutti gli aventi diritto alla partecipazione. Sorge tuttavia un problema di non scarso rilievo nell’ipotesi in cui nuovi elementi dovessero esser addotti proprio nel corso dell’ultima riunione della conferenza, senza lasciare al rappresentante la possibilità di interloquire onde addivenire all’omogeneizzazione necessariamente prodromica all’emissione della dichiarazione di posizione; in tale ipotesi, infatti, il rappresentante unico opererà in modo latamente discrezionale, tuttavia difformemente dal modello paradigmatico voluto con tutta evidenza dal Legislatore, che affida ad esso soggetto il compito di “verificare i punti di accordo e quelli di disaccordo con la proposta presentata dall’amministrazione procedente” al ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 222 AmbienteDiritto - Editore© fine di poter “costruire le basi per una posizione comune a tutte le amministrazioni interessate”612. La migliore declinazione dell’operato del rappresentante unico dovrebbe concretizzarsi nell’indicazione delle diverse esigenze da sintetizzare nella posizione unitaria a monte dell’ultima riunione613. Ulteriore criticità si manifesterebbe poi nell’ipotesi in cui taluna delle Amministrazioni rappresentate dovesse adottare condotte ostruzionistiche preordinate ad impedire la formazione della posizione unitaria614. Sicché sarebbe risolutiva l’applicazione – come suggerito dalla dottrina615 – del meccanismo del silenzio assenso all’uopo. . Resta Un problema ancora aperto: il profilo soggettivo del rappresentante unico. ancora irrisolta la problematica concernente il profilo soggettivo del rappresentante unico, in assenza di specifiche indicazioni normative al riguardo. De iure condendo, si potrebbe pensare ad un regolamento che preveda la designazione secondo criteri di varia tipologia: . comprovata competenza nelle materie sottese alla conferenza dei servizi; . particolare esperienza, data dalla qualificazione professionale o evincibile a livello curriculare, in proposito di funzionamento e disciplina della conferenza di servizi; . significativa anzianità di servizio; . titolarità di livello almeno semi-direttivo all’interno della Pubblica Amministrazione; . assenza di conflitti d’interesse. Specifiche modalità di individuazione del rappresentante unico delle Amministrazioni Regionali coinvolte nelle conferenze dei servizi decisorie sincrone sono previste dalle normative della Lombardia616, della Toscana617, del Veneto618, della Campania (quanto 612 613 614 615 616 617 618 G. Vesperini, op. cit., p. 52. M. Cocconi, La nuova Conferenza di servizi, in GiustAmm.it, n. 8/2016. S. Paparo, La Conferenza di servizi alla prova dei fatti: le nuove soluzioni alla luce dell’esperienza applicativa, in S. Battini, op. cit., p. 155. M. Benedetti, op. cit., p. 806. Delibera della Giunta Regionale n. X/7844/2018. Legge Regionale 23/07/2009 n. 40, come modificata dalla Legge Regionale 30/05/2017 n. 25. Deliberazione della Giunta Regionale 25/09/2017 n. 1503. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 223 AmbienteDiritto - Editore© alle conferenze in materia ambientale)619, del Piemonte (quanto alle conferenze di pianificazione territoriale e paesaggistica)620; in Sicilia, invece, il legislatore regionale si è laconicamente limitato a statuire la competenza alla nomina 621. Alcuna norma preclude l’individuazione del rappresentante unico in soggetti non legati da un rapporto pubblicistico d’impiego alla Pubblica Amministrazione, ma è da ritenersi tendenziale – al lume della considerazione del fatto che costui manifesta esternamente la volontà pubblicistica statale e non ultimo per ragioni di contenimento della spesa – la designazione di un dipendente pubblico, in ispecie chiamato a risolvere il conflitto e la mancanza di aggregazione tra le Amministrazioni partecipanti al procedimento, differenti in quanto afferenti a diversi livelli di governo 622. Se poi si considera che la conferenza dei servizi, in generale, è prodromica alla soddisfazione dell’interesse pubblico primario o prevalente623, è innegabile che la sintesi operata dal rappresentante unico debba a propria volta riverberare tale interesse: ciò valorizza e limita al contempo la discrezionalità di costui. 619 Delibera della Giunta Regionale 06/06/2017 n. 326. Delibera della Giunta Regionale 11/05/2015 n. 11-1409. 621 Legge Regionale 21/05/2019 n. 7. 622 L. Carbonara, La nuova conferenza di servizi: la complessa ricerca della semplificazione, tra composizione degli interessi e celerità decisionale, in GiustAmm.it, n. 10/2016. 623 D. D’Orsogna, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 123 e ss. 620 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 224 AmbienteDiritto - Editore© FISCALITÀ DELL’AMBIENTE, MERCATO E SVILUPPO SOSTENIBILE: UN EQUILIBRIO POSSIBILE? Maria Assunta Icolari Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma Abstract (it) L’analisi del rapporto della tassazione ambientale con il mercato e con lo sviluppo sostenibile muove dalla complessità in cui versa attualmente la fiscalità ambientale per poi introdurre un’efficace descrizione di come la mancanza di un criterio informatore si riverberi sulla possibilità da parte del tributo di finanziare il diritto all’ambiente. In questo discorso nucleo fondamentale di parte della disamina è la mancata corrispondenza tra fattore inquinante e presupposto del tributo a cui si aggiunge il confronto tra risorse naturali, benessere ed economia circolare. Il diritto all’ambiente rappresenta un diritto sociale fondamentale, la cui concretizzazione anche per mezzo di una fiscalità adeguata coniugherebbe l’esigenza della tutela dell’ambiente con quella che rappresenta la sfida principale dell’ordinamento tributario moderno di concorrere alla realizzazione sia del processo di integrazione europea che dello sviluppo del regionalismo. Abstract (en) The analysis of the relationship between environmental taxation and the market and with sustainable development starts from the complexity in which environmental taxation is currently facing and then introduces an effective description of how the lack of an informative criterion reverberates on the possibility for the tax to finance the right to the environment. In this fundamental discussion, part of the discussion is the lack of correspondence between the polluting factor and the assumption of the tax, to which is added the comparison between natural resources, well-being and the circular economy. The right to the environment represents a fundamental social right, the realization of which also by means of adequate taxation would combine the need for environmental protection with that which represents the main challenge of the modern tax system to contribute to the realization of both the European integration and the development of regionalism. SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La fiscalità ambientale nella politica interna e europea: mancanza di criteri giuridici regolatori. – 3. L’ambiente come commodity: la rilevanza del valore ambientale e il principio d’eguaglianza. – 3.1. Il rapporto tra ambiente e mercato: la fiscalità per lo sviluppo sostenibile. - 4. I tributi ambientali locali come una possibile via per l’autonomia impositiva delle regioni – 5. Bibliografia. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 225 AmbienteDiritto - Editore© 1. INTRODUZIONE. Con l’evoluzione del progresso scientifico il timore che l’uomo possa distruggere l’ambiente naturale e, di conseguenza, porre a rischio la stessa protezione dei diritti umani ha comportato il convergere di tutte le discipline giuridiche verso una finalità comune da perseguire, in una sorta di processo di unificazione giuridica. Il tema, molto vasto, si presta ad essere osservato sotto diverse angolazioni, là dove per la fiscalità il fulcro della disamina è, per un verso, la distinta posizione della relativa tassazione nel panorama degli strumenti dediti alla tutela dell’ambiente, per altro, la difficoltà a conciliare tale valore con le regole del mercato nella società del rischio. Muovendo, quindi, da una ricostruzione della dottrina che si è occupata degli strumenti economici a tutela dell’ambiente, a partire dallo schema classico di Pigou sulle esternalità negative, occorre esaminare il collegamento delle politiche a tutela dell’ambiente con il principio di uguaglianza. La consapevolezza, risalente addirittura al Rinascimento, della difficoltà di conciliare tale valore fondamentale con l’evoluzione della scienza, segnala i limiti della lettura esclusivamente economica operata dall’Ocse, alla stregua delle prime applicazioni del tributo ambientale ad opera della Commissione Europea. In questa sede appare necessario evidenziare anche le problematicità legate all’assenza di criteri giuridici regolatori nella fiscalità ambientale. Prima di affrontare questa carenza in termini di ricaduta sia sul processo d’integrazione europea, sia sulla definizione del riparto di competenze tra Stato e regioni, punto nodale della ricerca è, da un lato, la mancanza del presupposto ambientale del relativo tributo, dall’altro l’assenza di un’interpretazione costituzionalmente plausibile dei tributi ambientali come categoria giuridica rivolta a favorire lo sviluppo sostenibile, sulla base del bene ambiente in quanto commodity. Sul difficile connubio mercato-ambiente e sul bisogno di ridurre le diseguaglianze anche per via di una crescita sostenibile che derivi dalla funzione rieducativa del tributo, meritano poi di essere richiamati i recenti indirizzi espressi dall’Agenda ONU 2030 di febbraio di quest’anno. In particolare, evocando l’importanza attribuita alla fiscalità ambientale dal premio Nobel per l’economia 2018, Nordhaus, non solo per risolvere il problema ambientale bensì anche per l’equilibrio tra sostenibilità e equità, il Comitato per la cooperazione fiscale internazionale ha enfatizzato l’esigenza di varare un’imposizione globale sul carbone con caratteristiche simili in tutti i paesi europei e con una struttura fiscale semplificata. Ciò anche allo scopo di evitare costi per l’impresa con evidenti riflessi negativi sulla competitività. Alla luce di siffatte considerazioni, il succitato Comitato, nell’implementazione di regole che realizzino la sostenibilità sociale attraverso il ridisegno della sostenibilità ambientale, aggiunge anche la previsione dell’economia circolare, che, da originaria espressione solo del riutilizzo dei rifiuti come risorsa per l’abolizione della plastica, diventa un nuovo metodo di produzione ecocompatibile624. Raccogliendo i suggerimenti delle organizzazioni internazionali di fare del tributo ambientale uno strumento che, oltre a proteggere il pianeta, riduca anche il divario economico tra i popoli, la prima parte della riflessione avrà ad oggetto la fiscalità ambientale interna e europea, affiancando alla problematica della mancata corrispondenza tra fattore inquinante e presupposto il confronto tra risorse naturali, benessere ed economia circolare. Nella prospettiva di una lettura innovativa del rapporto fra risorse naturali e capacità contributiva tale confronto sarà impostato sia 624 In tema di economia circolare si rinvia a, DE LEONARDIS F., Il futuro del diritto ambientale: il sogno dell’economia circolare, in Studi in tema di economia circolare (a cura di) DE LEONARDIS F., Macerata 2019, pp. 11-37. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 226 AmbienteDiritto - Editore© nella direzione dell’affermazione di un principio di sviluppo sostenibile, sia nella direzione di una possibile evoluzione del regionalismo italiano. Con riferimento, in particolare, all’impegno per la realizzazione dello sviluppo sostenibile si analizzeranno i benefici fiscali per il settore energetico, in bilanciamento costante con le regole del mercato unico. Questa impostazione è suffragata anche dal progetto di finanza sostenibile proposto dall’ONU e sostenuto dai principali istituti bancari internazionali che cercano di gestire il rischio climatico agevolando economicamente coloro che realizzano il business etico. Oltre alla difficoltà di coniugare mercato e ambiente, l’ultimo tratto saliente concerne il confronto con la realtà dei tributi ambientali locali che vede nei prelievi ambientali propri delle realtà locali le manifestazioni più immediate di un equilibrato e compiuto processo di decentramento. 2. LA FISCALITA’ AMBIENTALE NELLA POLITICA AMBIENTALE INTERNA ED EUROPEA: MANCANZA DI CRITERI GIURIDICI REGOLATORI. Preso atto che nel 2001 finalmente anche l’ordinamento costituzionale italiano ha sussunto esplicitamente l’ambiente come valore costituzionale primario, il primo organismo che ha sentito il bisogno di ricorrere alla fiscalità per tutelare il patrimonio a corredo dell’uomo e dei diritti umani è stato l’Ocse. Importante per rafforzare l’essenzialità degli strumenti giuridici tributari all’interno delle politiche ambientali così da favorirne la modernizzazione delle forme in cui si esplicano, tale organismo si è, però, focalizzato esclusivamente sui danni alle risorse naturali, osservandoli solo in quanto costi da eliminare. In particolare, i suoi studi risultano incentrati sulle nozioni di esternalità negativa e sulla concezione pigouviana, poi presa a esempio anche dalla Commissione Europea per delineare, nel 1997, la nozione di tassa ambientale come quella con una base imponibile consistente in una grandezza fisica inquinante con impatto negativo e specifico sull’ambiente. Nella definizione di tali strumenti dediti al contemperamento e alla limitazione di attività economiche dannose, anche la Commissione europea ha usato indistintamente la nozione di tassa, di imposta, tariffa e canone, seguendo una logica che è però molto lontana dalla distinzione classica operata dal diritto tributario. L’organismo sovranazionale, infatti, non solo non ha differenziato le misure disincentivanti o risarcitorie a seconda della loro natura ma, per il versante fiscale, non ha neppure classificato le diverse tipologie di tributo in base alla prevalenza del carattere ricorrente del sacrificio o del beneficio. Pur se non proprio aderente con la tematica osservata, quella della non corrispondenza del nomen juris del tributo con le caratteristiche presenti, rappresenta un’antica diatriba nella materia, peraltro mai del tutto sopita625. Anzi, attualmente si va delineando nell’ordinamento italiano una nozione di tributo omnicomprensiva, nella quale le caratteristiche in base alle quali si opera la classificazione sono in larga parte sovvertite dai giudici, in particolare dal giudice di costituzionalità delle leggi626. Inizialmente per motivi di giurisdizione, ma ora anche per la preminenza del fattore finanziario su una struttura rimasta immutata, che in tempi di crisi economica fa dubitare persino della tenuta dei diritti fondamentali, quali la salubrità ambientale. 625 626 In passato la questione fu affrontata da GALLO F. in Sulla incostituzionalità di alcune imposte c.d. in abbonamento, Riv. dir. fin., n. 2/1971; UCKMAR V., La legge del registro, Padova, Cedam, 1953. V., FEDELE A., La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, Riv. dir. trib., n. 1/2018, p. 3 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 227 AmbienteDiritto - Editore© Dopo l’Ocse, la Commissione Europea ha riletto la tassa ambientale come un prelievo con una base imponibile che manifesta effetti negativi sull’ambiente, anche se dalla sua rilettura non è chiaro se si tratti di un tributo a fronte della possibilità di fruire di un servizio pubblico ovvero esprima una relazione con un servizio indisponibile o ancora se li identifichi entrambi. Tale rilettura, basata sulla coesistenza nello stesso prelievo di prestazioni a carattere risarcitorio con quelle assolte a fronte della prestazione dell’Amministrazione, evidenzia, da un lato, l’inefficacia e l’inefficienza nell’eliminare le diseconomie; dall’altro, richiama fortemente il bisogno di informare tale tassazione intorno a un oggetto ambientale. L’importanza di uno studio giuridico della tassazione ambientale incentrato su di un presupposto che esprima l’attività inquinante in sé, infatti, non solo elimina i problemi odierni di addebitare il costo del danno in maniera adeguata e/o di attribuire precisamente quello del ripristino al vero responsabile, ma riavvicina anche la disciplina dei relativi tributi nei vari paesi europei. Sinora, in effetti, nonostante in ambito nazionale attenta dottrina abbia distinto da anni i tributi ambientali propri (con l’unità fisica inquinante nella fattispecie) dai tributi ambientali funzionali (la finalità ambientale è nello scopo)627, il più delle volte il tributo ambientale, qualificato in virtù della destinazione, risulta distolto persino dall’intento originario per cui sorge. Non è un caso, infatti, che tale tassazione, sorta essenzialmente per educare, influenzando i comportamenti – discorso molto ampio che involge un ripensamento a tutto tondo della materia, soprattutto del rapporto tra funzione fiscale ed extrafiscale nel tributo - venga poi impiegata per altri obiettivi di natura finanziaria, tipo contenere la tassazione del lavoro (doppio dividendo) o per raggiungere obiettivi plurali, ancora e perfino per calmierare la pressione fiscale. In questo discorso le ragioni di uno studio giuridico della tassazione ambientale finalizzato a dettare un criterio guida della materia, armonizzandola all’ordinamento tributario, nascono in parte dall’essenzialità della materia nelle politiche europee e internazionali, in parte dal dilemma della compatibilità di queste misure con l’art. 41 Cost. e la costituzione economica nel suo complesso sistematico. Questo tema della conformità a Costituzione appare fondamentale in special modo dopo che l’applicazione del principio “chi inquina paga” ha dimostrato, oltre ai problemi di conciliabilità con i caratteri della personalità e universalità dell’imposizione, di non poter essere la chiave di lettura per tutelare le risorse ambientali, intese come res communis omunium. Per ovviare a tali storture l’unica soluzione che legittima la tutela del bene ambientale come rimedio alle diseguaglianze e come fonte di sviluppo della persona umana appare quella di legare la fiscalità all’attività inquinante in sé, rinvenendo nello svolgimento della stessa l’idoneità soggettiva a contribuire628. 3. L’AMBIENTE COME COMMODITY: LA RILEVANZA DEL VALORE AMBIENTALE E IL PRINCIPIO D’EGUAGLIANZA. 627 628 GALLO F. e MARCHETTI F., I presupposti della tassazione ambientale, Rass. trib., n. 1/1999, p. 115 ss. In tema di tassazione ambientale, ex multis, PICCIAREDDA F. e P. SELICATO, I tributi e l’ambiente. Profili ricostruttivi, Milano, Giuffrè, 2006, passim; R. ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni e profili europei, Milano, Giuffrè, 2012, passim; DORIGO S. e MASTELLONE P., La fiscalità per l’ambiente. Attualità e prospettive della tassazione, Roma, Aracne, 2013, passim; URICCHIO A., I tributi ambientali e la fiscalità circolare, Dir. prat. trib., n. 5/2017, p. 1849 ss. Per una più ampia trattazione se si vuole, ICOLARI M. A., Per una dogmatica dell’imposta ambientale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 98 ss. In precedenza, cfr. già GALLO F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, II ed., Bologna, IL Mulino, 2011, passim; MICCINESI M., Imposta, Diz. dir. pubblico, CASSESE S. (a cura di), Milano, Giuffrè, 2006, p. 2948 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 228 AmbienteDiritto - Editore© Dopo aver introdotto il problema dell’insufficienza del “chi inquina paga” ad orientare i meccanismi di salvaguardia del pianeta a spingere l’indagine sul prezzo del bene ambiente come commodity sarà la necessità di un approccio giuridico diverso per le responsabilità ambientali sinora appiattite sulla sola dimensione economica del danno. La riflessione, prescindendo da posizioni ideologiche, continua, per un verso, con la necessità che tutti abbiano la stessa chance di trarre benessere dall’ambiente, ovvero con il rapporto tra esternalità e diritto d’eguaglianza, dall’altro con il bisogno di varare misure fiscali informate all’art. 53 Cost. e non solo all’art. 23 Cost. In ordine al primo punto, per trarre benessere dall’ambiente e annullare anche le diseguaglianze occorre prevedere agevolazioni e/o altri strumenti di sostegno fiscale, incentivando, alla stregua di ciò che è già avvenuto per il settore energetico, sia l’economia circolare, sia tutte quelle misure atte a contemperare o a cercare di evitare il mutamento climatico. Premesso che il valore dell’ambiente come fonte di differenziazione delle condizioni umane in ambito europeo trova fondamento nella nozione di persona sociale contemplata già dalla Costituzione di Weimar, nonché di recente anche nell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si” come nuovo paradigma di giustizia sociale, il ricorso a fattispecie fiscali che non tassano l’attività inquinante in sé non solo non elimina la diseconomia, essendo quest’ultima incapace di assurgere a parametro regolatore, ma viola persino alcuni diritti fondamentali come la solidarietà intergenerazionale. Una situazione che si realizza, per esempio, con il ricorso all’istituto dello scambio di quote d’inquinamento: un meccanismo che non assicura la prosperità delle persone, ma anzi aumenta fortemente la forbice della diseguaglianza. Si tratta di uno strumento a base civilistica tra i più ricorrenti che si realizza attraverso la vendita all’asta dei tetti superiori di emissione inquinanti che dai paesi più ricchi vengono ceduti ai paesi più poveri. Governata dalla logica economica dell’efficacia e efficienza tale cessione avviene per mezzo di una delocalizzazione nei paesi poveri di attività inquinanti da parte delle realtà più industrializzate e perciò più prosperose con effetti che si ripercuotono persino sulla sicurezza globale, ponendola costantemente e seriamente in pericolo. Proseguendo nel ragionamento sul valore dell’ambiente e sulle differenze di condizioni di vita che genera, il rapporto tra ricchezza nazionale e equilibrio ambientale è rimarcato anche degli economisti del Copenaghen consensus i quali sin dall’inizio hanno profetizzato una contiguità tra inquinamento e catastrofi, ribadendo che quelle naturali vengono affrontate diversamente a seconda delle condizioni economiche del luogo ove si verificano. Ancora, l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) ha denunciato, sin dal 2008, il collegamento tra migrazioni forzate e mutamenti climatici. Questi ultimi, nonostante gli obblighi a carico di imprese e la responsabilità ambientale personale, impattano sulle condizioni di sicurezza della vita modificando i rapporti socio-economici fra gli Stati, contribuendo a fenomeni di lungo corso come la desertificazione o la scarsità di acqua. Al di là delle prospettive allarmistiche, nelle politiche fiscali ambientali dedite al rapporto tra ambiente come bene comune e innovazioni democratiche, nodo problematico è il rispetto del principio di eguaglianza sostanziale. Pertanto, occorre elevare il diritto all’ambiente a diritto personalissimo e, per evitare conflitti con altri diritti della stessa specie, tipo la proprietà, occorre operare un corretto bilanciamento fra questi. La rilevanza del valore dell’ambiente nel presupposto d’imposta, elemento idoneo anche a giustificare costituzionalmente l’imposta, chiama in causa il confronto con la disciplina della tassazione ambientale degli altri paesi europei, promuovendo sia l’armonizzazione tra i diversi tributi, sia la loro modernizzazione attraverso l’innovazione delle regole di accertamento e di riscossione. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 229 AmbienteDiritto - Editore© Nello studio della materia pregno di significato è, inoltre, il confronto con la disciplina esistente al fine di riscontrare prelievi che colpiscono le fonti inquinanti, pur se il bisogno di statuire nuovi indici rilevatori delle ricchezze moderne ha suggerito ipotesi di modelli originali di imposizione ambientale incentrati sull’attività inquinante, riletti alla luce dell’art. 53 Cost specificazione dell’eguaglianza sostanziale. A tale scopo, dall’analisi di alcune proposte di direttive europee emerge un primo tentativo di realizzare la coincidenza tra diseconomia ambientale e presupposto del tributo nel progetto di tassazione dell’energia elettrica del 2011. Provvedimento questo progetto non è mai stato attuato, per cui le tassazioni nazionali continuano a premiare i grandi produttori di fattispecie inquinanti, incidendo esclusivamente sui consumatori finali. Il progetto, invece, prevedeva lo scopo finale di tassare le fonti inquinanti nei diversi paesi membri inasprendo il prelievo al consumo di fonti inquinanti ed incentivando, attraverso agevolazioni e o esenzioni, l’uso delle fonti rinnovabili 629. Naufragata questa ipotesi, da un sommario confronto con le realtà nazionali in materia di tributi armonizzati, le diverse tassazioni evidenziano pochissimi punti comuni, tipo la fonte oggetto del prelievo che consiste sempre nei prodotti energetici 630, elettricità (ove la riduzione per i grandi produttori la rende poco consona con la sua finalità intrinseca), rifiuti, trasporti e veicoli (qui si tassa per lo più sulla base della potenza degli stessi e non sull’effettiva capacità d’inquinare, anche acusticamente). Svelata l’esigenza di armonizzare soprattutto i tributi ambientali indiretti, differenziando il valore dell’ambiente nella fattispecie, per i tributi ambientali propri, invece, per evitare la confusione con la sanzione occorre tassare l’attività inquinante in sé, ritrovando l’indice di capacità contributiva nel vantaggio rispetto agli altri consociati o nella modifica delle condizioni di vita di questi. Alla luce di ciò, per creare una categoria unitaria che a sua volta favorisca la ripresa del processo d’integrazione europea ma anche anche quello dell’autonomia tributaria bisogna ricorrere solo a prelievi ambientali collegati alla diseconomia ambientale e indipendenti dalla prestazione dell’amministrazione. Prelievi che nell’imposizione ambientale indiretta possono assumere la veste sia di una Carbon tax o anche di un’accisa che, però, per come strutturata non deve essere finalizzata al protezionismo, per evitare quanto è obiettato alla Border tax proposta negli Usa dal governo Trump. 3.1. IL RAPPORTO TRA AMBIENTE E MERCATO: LA FISCALITÀ PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE. Oltre allo stato attuale della fiscalità ambientale, lo studio giuridico del rapporto tra risorse naturali e benessere conduce la riflessione ad analizzare il binomio ambiente ed energia soffermandosi in particolare sulla nozione di sviluppo sostenibile e sui benefici fiscali in materia energetica631. Aspetto fondamentale sia nella definizione di politiche 629 630 631 Al riguardo emblema della traslazione economica sul consumatore finale è stata la Robin Tax che fu salvata anche dalla scure della Corte costituzionale alcuni anni fa. In realtà negli Stati nazionali, come in Italia, all’iniziale tentativo di armonizzare le imposte indirette agendo direttamente sulle risorse inquinanti, come ad esempio nella proposta del 2003 in tema di accise sull’energia elettrica, nella quale si era cercato di differenziare tale tassazione aumentando l’aliquota in base all’uso o alla quantità utilizzata, non è mai seguita un’effettiva tassazione in tal verso o con un’imposta speciale sul consumo. Anzi, che ciò che si è verificato nella realtà è molto lontano dagli intenti iniziali di tassare l’uso della risorsa inserendo il fatto diseconomico nel presupposto. Non a caso per come strutturata la leva fiscale, soprattutto nel settore energetico, ha finito per favorire i grandi produttori addossando i costi ai consumatori finali. Sull’evoluzione del rapporto tra energia e ambiente v., ANTONINI L., Ambiente ed energia, in Il testo unico dell'ambiente a dieci anni dalla sua approvazione, Atti del Convegno tenutosi presso il Consiglio di Stato, 10 e 11 giugno 2016, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 230 AmbienteDiritto - Editore© integrate e sostenibili in tema di cambiamento climatico che nella risoluzione delle diseguaglianze questo profilo d’indagine prende le mosse dalla necessità di fronteggiare l’aumento dei consumi di energie connesso alla crescita economica tanto nell’ordinamento nazionale quanto in quello europeo, apprestando strumenti idonei a conseguire anche gli obiettivi di politica ambientale. Partendo dall’assunto che per evitare il cambiamento climatico ma anche la crisi energetica occorrono strategie congiunte, la disamina si occuperà dei risvolti che si desumono dalla connessione fra sostenibilità e competitività. Pertanto, senza entrare nel merito del complesso rapporto con gli aiuti di stato, un profilo importante è quello che attiene alla riforma degli incentivi dediti alla green economy632, in particolare gli Ets e il regolamento dei Gbrer, nell’ottica dell’incidenza dei principi generali ambientali, anche di diritto europeo, sull’evoluzione della materia. In particolare, oggetto di attenzione è l’individuazione di come questi strumenti si collocano nel rapporto tra l’art. 191, par. 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e gli altri principi di tutela ambientale. Tuttavia, la loro applicazione è sicuramente resa difficile se non impossibile, dal fatto che si tratta di incentivi allo sviluppo sostenibile privi di un parametro informatore dei tributi ambientali quale poteva essere l’oggetto inquinante come presupposto d’imposta. Ciò dipende anche da un rapporto, quello tra ambiente e liberalizzazioni, mai del tutto sviluppato, soprattutto nei suoi termini essenziali che concernono il nodo problematico se l’energia debba essere considerata solo una merce o anche un bene immateriale attraverso il quale concretizzare il principio di solidarietà europea. In questo senso, occorrerebbe una lettura dei diritti economici in Costituzione contemperata con le diverse esigenze di natura non economica valutata caso per caso a seconda del momento storico che ricorre633. Per tali motivazioni, sugli incentivi e sulle forme sussidiarie di intervento sulle energie incide un bilanciamento particolarmente difficile, condizionato da un lato, dai valori legati all’utilità sociale, dall’altro dal diritto all’ambiente. Ed è proprio la mancanza di un criterio europeo unitario che colpisca direttamente i gas inquinanti, magari anche in proporzione alla quota di CO2 sprigionata, ad aver depotenziato strumenti ideati con l’intento di preservare risorse scarse, rendendo di difficile realizzazione il binomio ambiente/energia sostenibile. In questo quadro l’attenzione sulle misure che incentivano il perseguimento della finalità ambientale attraverso aiuti consentiti nasce dagli indirizzi della Commissione Europea in tema di clima ed energia, i quali a loro volta richiamano il bisogno di politiche integrate e sostenibili. A tal riguardo, procedendo brevemente a delineare l’evoluzione dei principi e degli strumenti della tutela ambientale e della questione energetica, occorre rilevare l’attenzione che nel corso degli anni si è focalizzata su questi argomenti: il bisogno sia di ricercare nuove fonti di energia ecocompatibili, dato il progressivo esaurimento di quelle tradizionali, sia di contemperare gli effetti della crisi economica internazionale. Ragion per cui nella costruzione di un binomio possibile tra diritto all’ambiente e sviluppo sostenibile, accanto all’idea che il progresso tecnologico paper. 632 633 Sull’evoluzione delle misure fiscali a favore della green economy v., ROSEMBUJ T., Green economy. Registrazione ambientale sistemica, El Fisco, recensione n. 205, marzo 2014. Con riferimento ai diritti economici il non aver deciso se l’energia è una merce o un bene immateriale valoriale è alla base anche del mancato riconoscimento a diritto fondamentale dell’iniziativa economica privata, nonostante le limitazioni dell’art. 41, comma 2, Cost. La letteratura giuridica sull’iniziativa economica è da sempre molto vasta, fra gli altri, S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, 2008, Bari Laterza, passim; GUARINO G., Pubblico e privato nell’economia. La sovranità tra Costituzione ed istituzioni comunitarie, Annuario AIC, 1991, p. 41, ss; LUCIANI M., Costituzioni, tributi e mercato, Rass. trib., n. 4/2002, p. 831 ss; MICCU’ R., Lo Stato regolatore e la nuova costituzione economica: paradigmi di fine secolo a confronto, in CHIRULLI R.- MICCU’ R. (a cura di), Il modello europeo di regolazione. Atti della giornata di studio in onore del prof. Salvatore Cattaneo, Napoli, Jovene, 2011, p. 137 ss.; ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 231 AmbienteDiritto - Editore© non debba mai subire rallentamenti, compare anche la rilevanza degli incentivi fiscali a favore delle risorse cosiddette verdi. Accanto alla concorrenza le politiche protese allo sviluppo delle energie rinnovabili considerano adeguatamente anche il bisogno di sicurezza nell’approvvigionamento. Prerequisito di un mercato unico concorrenziale e della riduzione delle diseconomie legate all’emissione di gas inquinanti, per aversi una dimensione energetica sostenibile che tuteli l’ambiente ma anche la sua possibilità di essere oggetto di negozi traslativi, sottostanti alla libertà europea di circolazione, è necessario che impresa e ambiente non operino in antitesi. A motivare ulteriormente il ricorso agli strumenti fiscali istituiti per lo sviluppo e l’espansione dei prodotti energetici ecocompatibili c’è inoltre il richiamo alla difficoltà da sempre registrata nel raffronto tra mercato concorrenziale e valori ambientali. In tal verso, un tentativo di trovare la sintesi tra diritti ambientali e iniziativa economica risiede nella differenziazione dei regimi fiscali. In particolare, il riferimento sono le misure cosiddette verdi, quale un’aliquota Iva inferiore in base all’oggetto dell’attività oppure al presupposto soggettivo, la produzione di beni o servizi ecocompatibili tramite gli strumenti societari delle imprese sociali o delle società benefit o ancora al finanziamento di finalità ambientali per il tramite del crowdfunding. Ribadito da più parti che non esiste una gerarchia tra valori fondamentali634, queste misure trovano fondamento sia nella capacità dell’ambiente, considerato come una commodity, di modificare le condizioni di partenza dei consociati635, così come nel principio di precauzione quale parametro di liceità e di valutazione dello sviluppo 636. Tuttavia, le prospettive di sviluppo delle energie rinnovabili devono confrontarsi con l’azione ostativa opposta da coloro che gestiscono le energie tradizionali, l’energia nucleare in 634 635 636 Considerato che l’ambiente e con esso anche le energie sono fonti di ricchezza, per coniugare l’utilità sociale alla tutela un metodo potrebbe consistere nell’indirizzare l’attività economica alla cooperazione incentrandola all’economia dei beni comuni, con formule societarie a carattere sociale che contrastano la povertà e che favoriscono la solidarietà anche nei confronti delle generazioni future. Un esempio potrebbe essere rappresentato da società benefit che impegnano parte del loro profitto nelle aziende per favorire il riciclo. Frutto di quella modalità diversa d’intervento che promuove la capacità dei singoli anche allorquando all’interno di formazioni sociali, per affidare la tutela dell’ambiente a società che utilizzano il loro profitto anche o esclusivamente per scopi sociali è fondamentale sia la presenza dello sviluppo sostenibile in veste di parametro di valutazione e di liceità della libera iniziativa economica sia che nell’esplicarsi, data anche l’incertezza dei confini definitori di tali valori, nessuno prevalga sull’altro. Fin quando l’ambiente è un bene inseparabile dalla persona anche le forme di sussidiarietà orizzontale diventano uno strumento per la realizzazione della sua tutela. Ciò, invero, alla luce degli studi della Ostrom sulla gestione collettiva, come terza via tra Stato e mercato. In merito v., OSTROM E., Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, New York, Cambridge University Press, 1990; trad it. Governare i beni collettivi (2006), Venezia, Marsilio Editori, 2009, passim. Di qui l’affermazione del principio d’integrazione richiamato sia dal Trattato per l’Unione Europea, sia dalla Carta dei diritti, come quel principio valido a incentivare lo sviluppo sostenibile per l’esigenza di conciliare la crescita economica all’equa distribuzione delle risorse, presente anche nella strategia mondiale prevista da ultimo nell’Agenda 2030. Nella descrizione della relazione tra tassazione dell’energia, aiuti di stato e fenomeni globali quali il cambiamento climatico per avvalorare ulteriormente gli strumenti di aiuto delle attività economiche ambientali non possiamo non fare riferimento a quanto nella nostra Costituzione avviene da anni con la libertà dell’iniziativa economica, in cui l’utilità sociale più che limitare il diritto del singolo di fronte a quello fondamentale e collettivo opera affinché tali diritti trovino una sintesi, cioè vivano una dimensione singola e collettiva allo stesso tempo. In quest’ordine di idee è stata la stessa Corte Costituzionale, dopo aver delineato in cosa consiste tale libertà, (con la sentenza del 1958 n. 78) a precisare i confini dell’utilità sociale legandola alla tutela dei beni comuni ed a risolvere il dilemma della loro difficile convivenza ricorrendo all’integrazione e al ragionevole bilanciamento tra i valori in tensione. Per cui, nonostante il forte impatto del mondo giudiziario sulla tutela ambientale, essi vengono “ristretti solo dall’autorità giudiziaria o dal legislatore soltanto nella misura strettamente necessaria alla realizzazione di un interesse costituzionalmente rilevante”. In questa chiave di lettura che attraverso il bilanciamento ha evitato la prevalenza di uno dei valori a discapito dell’altro un emblema è stato il caso ILVA. Nella pronuncia costituzionale n. 85 del 2013, infatti, la Corte, sulla conclamata via del bilanciamento fra integrità delle risorse e libertà di iniziativa economica, operabile dal legislatore e dal giudice, per assicurare che la concorrenza realizzasse anche benessere sociale ha trovato un punto di equilibrio in una situazione di profonda crisi economica tra le emergenze occupazionali e quelle ambientali, contemplando anche la fiscalità come strumento al quale ricorrere per evitare catastrofi. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 232 AmbienteDiritto - Editore© primis. Sulla base di tutto ciò il ricorso alla fiscalità agevolativa a favore delle rinnovabili è l’unico elemento che fa presumere un equilibrio nella crisi che da sempre attanaglia il clima o la disponibilità delle risorse naturali e che ottemperando al problema degli alti costi del settore energetico tradizionale riporta anche un po' di giustizia sociale all’interno del sistema. 4. I TRIBUTI AMBIENTALI LOCALI COME UNA POSSIBILE VIA PER L’AUTONOMIA IMPOSITIVA DELLE REGIONI. Dopo aver tracciato gli sviluppi recenti in materia di energia e ambiente incentrando la riflessione della fiscalità ambientale sull’oggetto del tributo e non solo sui prelievi risarcitori o sulla difficoltà a distinguere tassazione da sanzione, una soluzione è stata avanzata elevando a fondamento il suo valore economico, avvalendosi del contributo teorico – fra gli altri - di Charles Reich637. Partendo dall’assunto che sfida del terzo millennio è riuscire a finanziare quei diritti sociali che sono fondamentali, un ulteriore aspetto centrale è legato allo sviluppo del regionalismo, cioè alla capacità di disegnare il futuro dell’allocazione del potere impositivo studiando i tributi ambientali locali. Prima di esaminare le tipologie di tributo ambientale presenti sui vari livelli di governo, occorre sottolineare come in Italia sin dall’inizio della vita repubblicana l’equilibrio che doveva connotare il trasferimento delle competenze dal potere centrale a quello degli enti locali è sempre stato precario. Ciò è dimostrato dalla diversità dei modelli che si sono avvicendati, per cui a ruota si è passati da forme di potere accentrato, alla cooperazione tra i vari livelli governo, per finire con le richieste attuali di differenziazione che, da un punto di vista comparato evocano modelli che conducono ad una competizione tra regioni lontana dalla nostra tradizione costituzionale 638. Per tale incertezza in questi ultimi anni, in particolare dopo la riforma costituzionale del 2001 che ha ridisegnato lo scenario del trasferimento delle competenze fra Stato e regioni abbiamo assistito a un ricorso continuo al contenzioso costituzionale che sin dall’inizio ha assunto un ruolo diverso da quello che sarebbe dovuto essere, svolgendo talvolta una funzione di supplenza del legislatore costituzionale e svelando l’incapienza del criterio della materia a ricomprendere tutti i rapporti giuridici in un unicum. Invero, in un momento in cui la crisi economica impone di declinare un compromesso tra richieste di solidarietà e di differenziazione, nel senso di responsabilizzare all’efficienza i livelli più prossimi al cittadino, tale incapienza è comprovata dalla presenza di materie cosiddette trasversali, dai confini non netti (C. Cost. sent. nn. 407/2002, 637 638 REICH C. A., La Yale Law Journal, v.73, Aprile 1964, pp. 733-787. L’idea di fondo è quella di adeguare il criterio di riparto del tributo intorno al potere di modificazione ambientale che deriva dall’uso del bene pubblico e che muta le condizioni personali degli altri consociati con presupposto il vantaggio arrecato dall’attività inquinante in sé o dal suo semplice valore economico essa è legittimata in particolar modo dalla considerazione della salvaguardia ambientale come diritto inviolabile della persona (C. Cost. sent. n. 210/1987), in quanto bene protetto e determinativo della qualità della vita, (C. Cost. sent. n. 641/1987). Il fondamento di un tributo originale che si concilierebbe con la diseconomia e rimuovendo anche gli ostacoli economico-sociali esistenti assicurerebbe la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (artt. 2 e 3 della Costituzione) si rinviene sia nel concetto di proprietà secondo la Costituzione tedesca, ovvero come bene funzionale alla crescita della collettività; sia dal contributo della Corte Costituzionale sull’estensione del principio personalistico. Il riferimento in quest’ultimo caso è alle pre-intese stipulate col Governo Gentiloni che poi sono sfociate in alcuni referendum di iniziativa regionale da parte di tre regioni del Nord Italia (Veneto, Lombardia e Emilia Romagna). Invero, nella storia costituzionale italiana il regionalismo, nonostante il dibattito in Assemblea Costituente, montò in maniera preponderante solo negli anni 70 con la legge n. 281del 16 maggio, la quale però risultava mancante proprio del dato dell’autonomia finanziaria degli enti locali. Per un timido cenno alla finanza locale occorrerà attendere quasi un ventennio, nell’ambito dell’emanazione della legge n. 142 del 1990. Sul regionalismo differenziato ex multis, PASTORE F., (a cura di) Il regionalismo differenziato, Milano, 2019, passim. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 233 AmbienteDiritto - Editore© 96/2003). Aspetto, quest’ultimo, di non poco momento perché comporta una potestà che si manifesta in ambiti distinti attraverso competenze diverse. Nel ripensamento della tipologia di regionalismo o federalismo da implementare per realizzare il rapporto diretto tra chi amministra e chi è amministrato in Italia sarebbe però fondamentale prima dare finalmente attuazione alla legge delega n. 42 del 2009 e ai decreti legislativi attuativi del 2010 n. 216, e n. 68 del 2011. Queste scelte eviterebbero, infatti, l’aprirsi di nuovi fronti problematici, tipo la qualifica di ipotesi di tertium genus di prelievo ambientale locale tra i tributi propri e quelli derivati, come emerso nella pronuncia costituzionale n. 122 del 2019 in tema di tassa automobilistica, oppure che finisca per rendersi ancora di più difficoltosa la possibilità del riparto competenziale 639. Fin quando non si deciderà sulla regionalizzazione o municipalizzazione dei tributi statali e sulla potestà impositiva delle autonomie, gli enti substatali potranno continuare a stabilire tributi ambientali sia nella forma dei corrispettivi, sia dei tributi di scopo, seppur nei margini di un federalismo fiscale che per finanziare le funzioni attribuite ricorre ancora solo al parametro della capacità fiscale. Al di là dei disegni futuri della tassazione ambientale anche locale, riportando il tutto all’impostazione che origina dalla ripartizione della potestà impositiva, in materia ambientale la tutela a livello statale è diretta essenzialmente a non far degradare il bene ambiente dalla sua dimensione materiale, mentre la sua valorizzazione è affidata alla competenza concorrente delle regioni, che contempla pure la sua conservazione 640. A questa distinzione di principio è seguita un’applicazione che dal 2001 in poi ha visto però protagonista il giudice delle leggi, il quale si è ritrovato a dirimere moltissimi conflitti di competenza tra lo Stato e le regioni fissando di volta in volta i limiti d’intervento in capo all’uno e alle altre. Il giudice costituzionale in particolare ha contribuito a evidenziare la netta suddivisione tra i tributi regionali in senso lato (devoluti), che alla stregua delle entrate erariali, sono istituiti e regolati dalla legge dello Stato, anche quando il gettito è destinato a un ente territoriale, e i tributi regionali in senso stretto che nell’ambito di operatività della potestà tributaria residuale della riserva dell’art. 23 Cost., (riserva di Assemblea regionale) sono caratterizzati da un presupposto nuovo641. A tal riguardo, primo esempio di imposta con un presupposto del tutto nuovo, è sicuramente stata l’imposta municipale sul soggiorno introdotta da leggi regionali, in Sardegna dalla l. reg. n. 4/2007 642. Tributo regionale con un presupposto 639 640 641 642 E’ ciò che è successo con la pronuncia costituzionale n. 29 del 2018. Lasciando, infatti, che lo Stato potesse decidere strumenti agevolativi che incidono anche su imposte proprie delle regioni, con riferimento alle sanzioni e interessi, il dubbio di aver invaso il potere decisionale proprie di quest’ultime rimane irrisolto. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione la competenza per la tutela ambientale è riservata allo Stato, (art. 117, comma 2 lettera s), mentre la valorizzazione dei beni ambientali e culturali è oggetto di competenza concorrente, comma 3 dello stesso articolo). Per definirsi regionali in senso stretto i tributi ambientali devono necessariamente fare riferimento da un lato alla territorialità, ovvero a dove si realizza l’evento inquinante, dall’altro non devono violare la doppia imposizione, cioè la potestà impositiva ambientale non si deve esprimere sullo stesso presupposto o stesse basi imponibili di quelli erariali. Con un’origine lontana nel tempo tale tributo locale derivato si applica a coloro che non residenti in un periodo dell’anno soggiornano in aziende, strutture ricettive o unità immobiliari. Il primo tributo di soggiorno per i comuni fu istituito dalla legge 11 dicembre 1910 n. 863 ed era a carico di coloro che dimoravano, per motivi di cura, presso stabilimenti idroterapici o stazioni climatiche o balneari. Successivamente, la L. 2 giugno 1939 n. 739, estese l’imposta a tutte le “stazioni di soggiorno, di cura e di turismo, nonché nelle altre località climatiche, balneari o termali o comunque di interesse turistico”. L’imposta fu poi abrogata, a decorrere dall’1 gennaio 1989, dall’art. 10 dal D.L. n. 66/1989 per essere ripristinata nel 2011, con l’articolo 4, D. Lgs. n. 23/2011, prevedendo che i “comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 234 AmbienteDiritto - Editore© territorialmente circoscritto e caratterizzato da una finalità ambientale, esso fu sottoposto al vaglio della Corte costituzionale nel 2008 con la sentenza n. 102. La Corte ritenne legittimo per la Regione stabilire un tal tipo di tributo proprio, che modulava l’autonomia comunale estendendo l’obbligo contributivo pure ai non residenti, purché il carico fiscale risultasse non sproporzionato e soprattutto diretto a ripristinare i beni ambientali. Statuito che il presupposto dell’imposta era l’idoneità a partecipare alle spese pubbliche da parte dei non residenti in virtù del fatto che essi fruivano, al pari dei residenti, sia dei servizi pubblici locali e regionali, sia del patrimonio culturale e ambientale, aumentandone i costi, lo stesso giudice costituzionale però impose che la legittimità di un tal tipo di tributo fosse condizionata dalla mancata violazione delle libertà europee e dalla coerenza del suo presupposto con l’art. 53 della Costituzione. Dal successivo sindacato operato dalla Corte UE tali prelievi, seppur meritori negli intenti, (tassare il consumo di risorse naturali scarse facendo pagare il costo del recupero ambientale ai non residenti) risultarono discriminatori delle libertà comunitarie e in taluni casi anche della concorrenza, configurando degli aiuti di stato illegittimi. Inoltre, in alcune accezioni, quali le seconde case, per come strutturati non risultarono neppure coerenti con il fine ambientale. Tanto è vero che, di nuovo, la Corte cost. italiana nella sentenza n. 102/2008 li derubricò a tributi propri regionali, piuttosto che ad imposte sul turismo o a finalità ecologica 643. Appurato, quindi, che tali prelievi possono contribuire a delineare il modello di regionalismo e con esso quell’equilibrio che sottende la formulazione dell’art. 5 Cost., sinora però l’unico tentativo di riforma compiuta del modello regionale si è avuto solo nel 2016 (con esito peraltro negativo), caratterizzato da un parziale ritorno al centralismo con una impellente motivazione di controllo della spesa pubblica644. Accanto al tributo sul soggiorno anche altri prelievi giustificati dall’uso/consumo del bene pubblico, come le tasse d’ingresso 645, si sono avuti altri tentativi di collegare il problema ambientale allo sviluppo del regionalismo. In taluni casi anche attraverso tributi di scopo il cui gettito consente la partecipazione al finanziamento delle spese del comune per il recupero ambientale di beni e servizi di cui i non residenti fruiscono durante il soggiorno. A mo’ di conclusione, va rimarcato quindi che in assenza della categoria dei prezzi pubblici nel nostro ordinamento tributario, nel rapporto ambiente-regionalismo spiccano più i tributi ispirati dal criterio del beneficio che non dai tributi propri ambientali regionali. Quest’ultimi se ben strutturati possono rappresentare il tassello 643 644 645 Ciò essenzialmente per la motivazione che tassare le seconde case con un’imposta patrimoniale simile all’Ici, solo quando a una certa misura dalla costa, se da un lato avrebbe scoraggiato l’uso del territorio costiero – pur se la vista del mare non è un indice di capacità contributiva - dall’altro avrebbe sicuramente comportato il contrasto del prelievo con i principi che governano l’imposizione sugli immobili, discriminando i non fiscalmente domiciliati in regione. In merito ai tributi propri, frutto della potestà regionale residuale e di quel principio che “condiziona la legittimità del tributo proprio alla previa valutazione della continenza dell’interesse espresso dall’elemento materiale del suo presupposto negli interessi compresi nell’elencazione delle materie attribuite alla competenza regionale (e locale)”, sono limitati dal divieto della doppia imposizione, cioè dal non poter duplicare il presupposto. Tale divieto vale sia per le regioni ordinarie, sia per quelle a statuto speciale, nonostante l’autonomia più ampia e il minor rigore in capo alle regioni a statuto speciale. Nel federalismo fiscale, oltre al rapporto fra la legislazione statale e quella regionale nella disciplina di grado primario, occorre considerare anche il problema della competenza locale. Prima della legge delega n. 42 del 2009 e dei successivi decreti delegati, soprattutto quello sulla fiscalità municipale, l’esercizio della potestà regolamentare degli enti locali era sottomesso al rispetto della legge statale e dei principi fondamentali della Costituzione, successivamente, la potestà normativa degli enti locali è stata ancora più ristretta. Questi ultimi, infatti, ora possono fissare tributi con una nuova base imponibile solo attraverso i regolamenti, mentre non possono intervenire sugli aspetti strutturali della disciplina di tributi già esistenti. In merito, si rinvia al contributo contenuto di SACCHETTO C., La sfida del diritto fiscale nella tutela dell’ambiente. In particolare la regolazione del traffico urbano, in G. LUCHENA MOZO Y M. SANCHEZ LOPEZ, (a cura di), Los retos del Derecho Financiero y Tributario desde una perspectiva internacional, Barcelona, 2020, p. 213 ss. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 235 AmbienteDiritto - Editore© mancante di una nuova forma di regionalismo e possono approntare un criterio giuridico che informi la tassazione ambientale. V. BIBLIOGRAFIA R. ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni e profili europei, Milano, Giuffrè, 2012. ANTONINI L., Ambiente ed energia, in Il testo unico dell’ambiente a dieci anni dalla sua approvazione , Atti del Convegno tenutosi presso il Consiglio di Stato, 10 e 11 giugno 2016. DE LEONARDIS F., Il futuro del diritto ambientale: il sogno dell’economia circolare, in Studi in tema di economia circolare (a cura di) DE LEONARDIS F., Edizioni Università degli Studi di Macerata, Macerata 2019. DORIGO S. e MASTELLONE P., La fiscalità per l’ambiente. 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Tra il 2015 ed il 2017 l’Unione europea è stata messa a dura prova da una crisi migratoria 647 senza precedenti offrendo la percezione di aver smarrito il consolidato di misure di convergenza e cooperazione risalenti al Consiglio Europeo di Tampere del 1999 648. E non a caso il Presidente della Commissione europea, proprio nel programma presentato all’insediamento, abbia voluto sottolineare l’esigenza di costruire un Nuovo patto europeo su migrazione e asilo649. Una nuova politica in questo delicato settore non solo è essenziale, ma risulta addirittura qualificante per l’idea stessa di Unione e per il suo non più rinviabile rilancio, una politica delle migrazioni innovativa e rispettosa dei bisogni dei cittadini europei, ma anche dei diritti umani650, che sappia contemperare "solidarietà interna" e 646 647 648 649 650 Questo lavoro trae spunto dalla relazione introduttiva al Convegno “La Sfida migratoria in Europa e negli Usa- politiche e modelli d’accoglienza a confronto” tenutosi ad Agrigento l’8 ed il 9 giugno 2017 presso il Consorzio universitario di Agrigento ed organizzato dall’Università di Palermo, dalla Stony Brook University di New York e dalla Fondazione Migrantes di Roma. Al testo sono stati apportati alcuni aggiornamenti e le note. Le dinamiche dei flussi migratori verso Italia, Spagna, Grecia Cipro e Malta si è progressivamente ridotto, passando (dati UNHCR-Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) dagli oltre 373 mila arrivi del 2016, ai 185 mila del 2017, agli oltre 141 mila del 2018. Secondo i dati in possesso dell'UNHCR, nel 2019, gli sbarchi complessivi nell'UE al 25 agosto 2019 si attestano a oltre 45 mila, di cui più di 4.800 in Italia (il dato diffuso dal Ministero dell'interno, aggiornato al 30 agosto 2019, si attesta a 5.085 persone), circa 23.700 in Grecia, e oltre 15.000 in Spagna (sono oltre mille gli sbarchi Malta e circa 800 a Cipro); a tali dati devono aggiungersi oltre 3.600 arrivi via terra in Spagna e circa 7.600 in Grecia. Secondo l'UNHCR, nel 2019 sono 894 le persone morte o disperse nel Mediterraneo, cfr. https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1105644.pdf? _1578311357799. Sul quale si veda infra, consultabile in http://www.giustiziapenaleeuropea.eu/pdf/21.pdf Discorso della Presidente Ursula von der Leyen di apertura della seduta plenaria del Parlamento europeo, Bruxelles 16 luglio 2019 (https://ec.europa.eu/italy/news/ursula-von-der-leyen-discorso-di-apertura-della-seduta-plenaria-del-parlamentoeuropeo_it) che preveda solidarietà e condivisione degli oneri tra gli Stati membri, cooperazione con i Paesi d’origine e di transito e superando così il precedente Patto del 2008 lo si veda in https://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&f=ST %2013440%202008%20INIT Sul tema si vedano, nell’ampia dottrina, G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storica costituzionale e prospettive europee, Napoli, 2007; P. BENVENUTI, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, L'Aquila, 2008; A. LIBERATI, La disciplina dell'immigrazione e i diritti degli stranieri, Padova, 2009; AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Napoli, 2010; A. RUGGERI, Note introduttive a uno studio sui diritti e sui doveri costituzionali degli stranieri, in Rivista AIC, 2/2011; M. SAVINO, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 237 AmbienteDiritto - Editore© "responsabilità", politiche di accoglienza, ma anche forme di gestione delle frontiere europee, offrendo una risposta compita alle preoccupazioni dei diversi Stati membri, da un lato, completando la riforma del diritto di asilo e dei meccanismi di ricollocamento (temi particolarmente sensibili per i paesi mediterranei); dall’altro, promuovendo il rafforzamento dei confini esterni, avviando una politica sistematica di rimpatri e creando corridoi legali per migranti altamente qualificati (come sollecitato soprattutto dai paesi del nord e dell’est)651. Questo intervento intende fornire taluni spunti sulla crescente rilevanza delle politiche europee sulle migrazioni e le misure nel tempo adottate sino a quelle più recenti, non prive di contraddizioni e che tanto spazio hanno offerto a polemiche sul ruolo delle istituzioni europee nell’affrontare un’emergenza di crescenti proporzioni a partire dagli accordi di Schengen del 1985 e dalla creazione di uno spazio unico senza frontiere interne che apre il tema del controllo sulle frontiere esterne dell'UE attribuito alla responsabilità degli Stati frontalieri, i quali, in tal guisa, sono chiamati a svolgere la funzione di tutela dei confini anche nell'interesse degli altri Paesi membri652. 2.Com’è noto, gli articoli 77-80 del TFUE costituiscono la base giuridica per la politica comune dell'immigrazione e delle frontiere esterne ed il “ sistema europeo comune di asilo”, la cui regolazione è affidata al Consiglio ed al Parlamento, UE con l’unico limite della competenza degli Stati membri a fissare il numero degli ingressi nel territorio nazionale dei soli migranti economici (ma non dei rifugiati aventi diritto all'asilo o alla protezione internazionale) 653. In guisa da istituire una chiara correlazione tra libertà interna di circolazione e controlli alle frontiere esterne, con la conseguenza che un’efficiente vigilanza sull'attraversamento delle frontiere esterne, in particolare 651 652 653 Milano, 2012; A.M. CALAMIA - M. DI FILIPPO, M. GESTRI (a cura di), Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Padova, 2012; M. IMMORDINO - C. CELONE (a cura di), Diritto degli immigrati e diritto dell'immigrazione, in Nuove autonomie, 2/2013; F. BIONDI DAL MONTE, Dai diritti sociali alla cittadinanza: la condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino, 2013; M. MANETTI, Profili costituzionali in materia di diritto alla cittadinanza degli immigrati, in Rass. parl., n. 3-2014, 515 e ss.; A. PUGIOTTO, La «galera amministrativa» degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quad. Cost., 3/2014, 573 ss.; P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali, Santarcangelo di Romagna, 2015; F. BARTOLINI, Stranieri. Procedimenti per l'accoglimento e l'allontanamento, Milano, 2015; V. MILITELLO, A. SPENA (a cura di), Il traffico di migranti. Diritti, tutele, criminalizzazione, Torino, 2015; M. CARTABIA, Gli «immigrati» nella giurisprudenza costituzionale: titolari di diritti e protagonisti della solidarietà, in C. PANZERA, A. RAUTI, C. SALAZAR, A. SPADARO (a cura di), Quattro lezioni sugli stranieri, Napoli, 2016, 1 ss.; E.V. ZONCA, Cittadinanza sociale e diritti degli immigrati. Profili comparatistici, Padova, 2016; G. VOSA, ‘Cure essenziali'. Sul diritto alla salute dello straniero irregolare: dall'auto-determinazione della persona al policentrismo decisionale, in Dir. pubbl., 2016, 721 ss.; M. SAVINO, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quad. cost., n. 1/2017, 41 ss.; S. D'ANTONIO, Il riparto di giurisdizione in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato italiano, in Dir. proc. amm., 2/2017, 584 e ss.; L. MONTANARI, C. SEVERINO (a cura di), I sistemi di welfare alla prova delle dinamiche migratorie, Napoli, 2018; G. ROMEO, Il cosmopolitismo pragmatico della Corte costituzionale tra radicamento territoriale e solidarietà, in Rivista AIC, 1, 2018; A. DI MURO, L. DI MURO, Il diritto dell'immigrazione, Torino, 2019; M. MIEDICO, G. ROMEO (a cura di), Italia, Europa: i diritti fondamentali e la rotta dei migranti, in www.federalismi.it, 2/2019. Cfr. A. COFELICE, Verso il "Nuovo patto europeo su migrazione e asilo”, in http://www.csfederalismo.it/it/pubblicazioni/commenti/1464-verso-il-nuovo-patto-europeo-su-migrazione-e-asilo Sembra utile richiamare sul punto quanto precisato dal Giudice italiano delle leggi secondo il quale: « è incontestabile, in effetti, che il potere di disciplinare l'immigrazione rappresenti un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio», imponendo di contemperare una pluralità di interessi pubblici (la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione), con la conseguenza di valutare anche la «“sostenibilità” socio-economica del fenomeno», così Corte cost., sent. 250 del 2010, cons. dir. 6.2 e 6.3. Per tutti M. BASSANINI, Immigrazione, banco di prova per l'Unione europea: una proposta, in https://www.bassanini.it/astrid_bassanini_21_04_17/ ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 238 AmbienteDiritto - Editore© da parte dei cittadini di paesi terzi, diviene elemento indispensabile per garantire la sicurezza nell'area di libera circolazione e per impedire che soggetti non autorizzati abusino di quella libertà654. Le politiche europee che rinvengono un nitido riferimento all’art. 77 del TFUE che affida all’UE il compito di sviluppare una politica volta garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne, il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne, ma anche ad “instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne ” con la conseguenza di instaurare una politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata, individuare i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne e le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'UE per un breve periodo, nonché “ qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne”, pur restando impregiudicata la competenza degli Stati membri, in attuazione del principio di sussidiarietà in senso verticale, la “ delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale”655. Come si vedrà la rilevanza delle ambizioni sul piano istituzionale ben presto si infrangerà sull’esplosione del fenomeno migratorio, soprattutto nel Mediterraneo 656, evidenziando, proprio a partire dalla gestione comune delle frontiere esterne, la contraddittorietà delle politiche europee in materia di immigrazione e la farraginosa formazione di una codecisione. Va ricordato che risale al 2004 l’istituzione da parte del Consiglio UE della Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (FRONTEX)657, la quale, mutando l’originaria funzione di semplice coordinamento operativo, dal 2016 658 diviene Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, organismo per il controllo della migrazione alla gestione delle frontiere e la lotta alla criminalità transfrontaliera con l’introduzione della codecisione delle strategie europee in materia di immigrazione e la verticalizzazione del controllo delle frontiere, che tuttavia non priva gli stati membri dei poteri in materia659. La Commissione Europea sostiene che la lotta al traffico di migranti dev’essere condotta attraverso forme di cooperazione con i Paesi terzi 660. Al fine di affrontare i pericoli che i flussi migratori attualmente portano con sé ed attuare 654 655 656 657 658 659 660 Così M. SAVINO, Per una diversa politica dell'Unione in materia di immigrazione e sicurezza, in E. DE CAPITANI e E.PACIOTTI (a cura di), Diritti, immigrazione, sicurezza, Roma 2017, 38 e ss. Ciò nel più generale contesto che affida all’Unione i compiti di sviluppare “in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento“ (art. 78, primo comma, TFUE) ed “una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani” (art. 79, primo comma TFUE). Su tale profilo S. TORELLI, Emergenza Mediterraneo e migrazioni: Come può rispondere l’Europa?, ISPI, 2015, Analysis n 284. Regolamento n 2007/2004 del 26 ottobre 2004, sulla quale si v., nell’ampia dottrina J. JEANDESBOZ, Reinforcing the Surveillance of EU Borders: The Future Development of FRONTEX and EUROSUR, in CEPS, Research Paper No. 11, 2008; S. TREVISANUT, L’Europa e l’immigrazione clandestina via mare : FRONTEX e diritto internazionale, in DUE, 2008, 367 ss.; H. FLAUTRE, F. KELLER, B. LOCHBIHLER (a cura di), Agence FRONTEX: quelles garanties pour les droits de l’Homme?, in Parlamento Europeo, 2010, 22 ss.; G. PACCIONE, La falla del Frontex nel fronteggiare l'immigrazione nel Mediterraneo, in www.diritto.it, 2013. Giusta il Regolamento (UE) 2016/1624 del 14 settembre 2016, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea (GU L 251 del 16.9.2016). Così G. CAGGIANO, Scritti sul diritto europeo dell'immigrazione, Torino, 2016, 82, dello stesso A. si veda, L'integrazione europea "a due velocità" in materia di immigrazione legale ed illegale, in Dir. pubbl. comp. eur., 2008, 1098 ss. European Commission memo/08/86, Brussels, 13 Feb 2008 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 239 AmbienteDiritto - Editore© tutte le misure di contrasto, ai traffici di migranti, il “ Piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020)” sottolinea l’importanza del ruolo dell’Agenzia Frontex per ciò che attiene la fase di raccolta e di condivisione delle informazioni. In particolare si evidenzia la fondamentale funzione che le informazioni sul traffico di migranti possono svolgere ai fini del contrasto agli stessi 661. Nell’inquadrare le molteplici e delicate questioni connesse alle politiche europee sull’immigrazione, tuttavia, vorrei ritornare alle radici del progetto europeo ed in particolare risalire al 9 maggio 1950, quando Robert Schuman, nel proporre alla Repubblica federale di Germania e agli altri paesi fondatori la creazione di una comunità di interessi pacifici, precisava: “ Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano ”. Lo sviluppo dell’Africa ancora non è giunto, e l’Europa non ha svolto uno dei suoi compiti essenziali mirabilmente scolpiti da Schuman e Monnet: lo sviluppo del continente africano. Le migrazioni, almeno quelle che riguardano gran parte del sud-Mediterraneo sono quindi effetto di un fallimento dell’Europa e della sua idea di progresso. Partire da questa consapevolezza, se consente di meglio focalizzare le misure da intraprendere per proseguire l’impegno dei Padri fondatori dell’Europa, impone un approccio al drammatico tema delle migrazioni che tenga conto di tale fallimento, e che, al contempo, consideri le dinamiche demografiche che evidenziano il progressivo spopolamento ed invecchiamento del vecchio continente e l’esigenza di farvi fronte anche attraverso una gestione intelligente del fenomeno migratorio 662. Questa riflessione intende perlustrare le misure adottate dall’Unione Europea 663 attraverso l’Agenda europea sulla migrazione664, attuale disciplina in materia di migrazione, quale esito di un percorso che ha visto quali tappe fondamentali la costituzione del Gruppo 661 662 663 664 Il Piano, inoltre, sostiene utile un ulteriore sviluppo della rete comunitaria di intelligence Africa-Frontex (AFIC), si tratta di una piattaforma per la condivisione di informazioni e per analisi congiunte con i paesi terzi, così come risulta utile sfruttare maggiormente le immagini satellitari, a seguito dell’accordo siglato tra Frontex ed il Centro satellitare SatCen, e rafforzare il monitoraggio della zona prefrontaliera, attraverso strumenti come ad esempio Eurosur. Sul tema il riferimento è a M. LIVI BACCI, L'Europa ha bisogno di un'immigrazione di massa?, in Il mulino, n. 6-2016, 921 e ss., ma sia consentito richiamare anche il mio contributo L'attuazione dell'autonomia differenziata della Regione siciliana attraverso congetture e confutazioni, Napoli, 2013, 71. In merito si v.C. BOTRUGNO, Immigrazione ed Unione europea: un excursus storico ragionato, in Sociologia del diritto, 1-2014, 121 e ss. Consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=IT ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 240 AmbienteDiritto - Editore© Trevi665 e gli Accordi di Schengen666, il vertice di Tampere667, sino al progressivo processo di comunitarizzazione delle politiche di sicurezza e di immigrazione nel tentativo di bilanciare la tutela dell’ordine pubblico e sicurezza ed il rispetto dei principi umanitari, e le diverse direttive emanate a livello comunitario proprio con la finalità di disciplinare le forme di soggiorno, anche temporaneo dei migranti, ai quali non può revocarsi in dubbio che vada riconosciuto anche se irregolari la titolarità di diritti sociali fondamentali, alcuni dei quali, come il diritto alla salute, costituzionalmente garantito nel suo “nucleo duro”668, ma al tempo stesso di tutelare il diritto alla frontiera degli Stati membri669. 665 666 667 668 669 Il Consiglio Europeo ha istituito il Gruppo TREVI (acronimo di terrorismo, radicalismo, estremismo e violenza internazionale) nel dicembre 1975 con il precipuo obiettivo di arginare e contrastare gli atti terroristici attraverso il coordinamento delle diverse forze di polizia degli Stati membri, il primo tentativo di collaborazione tra gli organi investigativi degli Stati europei facenti parte della Comunità Europea. Si trattava tuttavia di un organo della Comunità, ma di un'iniziativa di cooperazione avviata di comune accordo dai governi dei Paesi membri, i cui connotati informali permettevano la salvaguardia degli interessi nazionali. Gli Accordi di Schengen sono stati conclusi nel giugno 1985, il cosiddetto “spazio Schengen” è stato, con il Trattato di Amsterdam, inserito nel quadro giuridico dell’Unione. Lo spazio Schengen è composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione Europea. eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3AI33020. Il riferimento normativo in materia è costituito dal regolamento CE n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, recante il codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), che trae spunto dalla Convenzione di applicazione Schengen del 1990. La stesura di un codice legislativo comune viene puntualmente specificata quale componente essenziale della politica comune di gestione delle frontiere esterne definita nella Comunicazione della Commissione UE «Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione Europea» del 7 maggio 2002 nel cd. Piano per la gestione delle frontiere esterne dell'Unione europea approvato dal Consiglio il 13 giugno 2002 e dai Consigli Europei di Siviglia del 21 e 22 giugno 2002 e di Salonicco del 19 e 20 giugno 2003. Sul sistema di gestione delle frontiere esterne v. per tutti B. NASCIMBENE, Lo spazio Schengen: libertà di circolazione e controlli alle frontiere esterne, in L’Italia e Schengen, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia tra problemi applicativi e prospettive, in AA.VV., Atti del Convegno del Comitato di controllo sull’attuazione e il funzionamento della Convenzione di Schengen, Camera dei Deputati, Roma, 1998, 23 ss. Al fine di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea nell’ottobre del 1999 si è riunito straordinariamente, a Tampere, il Consiglio europeo; obiettivo primario della riunione è stato quello di prevedere un piano per il rafforzamento della politica europea di sicurezza e di difesa. A Tampere è stato istituito il Sistema europeo comune di asilo (CEAS), per garantire che le decisioni riguardanti il diritto d’asilo vengano prese in modo equo e rapido. La garanzia della sicurezza e dell’ordine pubblico è infatti subordinata al rispetto dei principi umanitari sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Come può evincersi da uno dei capisaldi delle conclusioni di Tampere: «L’obiettivo è un’Unione aperta, sicura, pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni umanitari con solidarietà. Deve altresì essere messo a punto un approccio comune per garantire l’integrazione nella nostra società dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente nell’Unione» (Conclusioni di Tampere, 4° caposaldo, 15-16 ottobre 1999) A seguito del Consiglio di Tampere, la Commissione ha trasmesso la “Comunicazione su una politica comune in materia di immigrazione illegale” - Bruxelles, 15.11.2001, COM(2001) 672 - all’interno della quale sono stati individuate sei aree in cui risulta necessario porre in essere misure idonee per la prevenzione e la lotta contro l’immigrazione clandestina, in particolare si tratta di: 1) politiche in materia di visti; 2) infrastrutture per lo scambio di informazioni, cooperazione e coordinamento; 3) gestione delle frontiere; 4) cooperazione di polizia; 5) legislazione sugli stranieri ed il diritto penale; 6) politica di rimpatrio e riammissione. Sul punto si rinvia a M. IMMORDINO, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in www.federalismi.it, 19/2014, della quale si veda anche, La salute degli immigrati tra “certezze” del diritto e “incertezza della sua effettività”, in M. IMMORDINO e C. CELONE (a cura di), Diritto degli immigrati e diritto dell'immigrazione, cit., 197 e ss. L'articolo 6 del codice frontiere Schengen impone che i compiti relativi alle verifiche di frontiera siano svolti nel pieno rispetto della dignità umana (CGUE, sentenza 17 gennaio 2012, causa C-23/12, Mohamad Zakaria). I controlli devono essere eseguiti in modo tale da non discriminare una persona sulla base del sesso, della razza o dell'origine etnica, della religione o delle convinzioni personali, della disabilità, dell'età o dell'orientamento sessuale. Per i cittadini di paesi terzi che godono dei diritti della libera circolazione (articolo 3 e articolo 7, paragrafo 6) esistono norme più favorevoli. L'Unione Europea ha istituito un meccanismo di valutazione e di controllo per verificare l'applicazione dell'acquis di Schengen (regolamento (UE) n. 1053/2013). ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 241 AmbienteDiritto - Editore© 3. In tale contesto riveste un ruolo centrale l’istituzione dell’agenzia decentrata Frontex, della quale si potranno delineare sinteticamente struttura, compiti ed il rapporto con le altre agenzie ed organizzazioni, sino all’operazione Triton670. Non può revocarsi in dubbio che il contrasto alla migrazione irregolare resta uno degli obiettivi e delle priorità della politica europea sulla gestione delle frontiere, in tal senso l’Unione ha emanato due direttive, la direttiva sui rimpatri, 2008/115/CE, e la direttiva 2009/52/CE671. Il Parlamento europeo ed il Consiglio, con il Regolamento (CE) N 767/2008 hanno introdotto il “Sistema di informazione visti”672 (VIS), finalità del sistema è quella di rendere la cooperazione consolare in materia di visti più snella ed agevole; attraverso il VIS è possibile effettuare controlli incrociati in grado di garantire una maggiore sicurezza ed identificare così tutti quei soggetti che non soddisfano le condizioni d’ingresso673. Nel 2011 la Commissione ha stabilito, con l’” Approccio globale in materia di migrazione e mobilità”674, un quadro generale circa i rapporti tra UE e Stati terzi. L’obiettivo di questo documento è quello di facilitare i rapporti tra Stati dell’Unione e paesi d’origine dei migranti, sia per ciò che attiene all’ammissione di questi ultimi all’interno dei territori comunitari e quindi il rilascio del visto di ingresso, sia per ciò che attiene, invece, alle procedure di rimpatrio in caso di immigrazione irregolare. Con Regolamento (UE) n 1052/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, è stato istituito un Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR), con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione operativa tra le autorità nazionali degli Stati membri e Frontex675. L’aumento esponenziale degli sbarchi di immigrati nelle coste degli stati membri dell’Unione ha reso necessaria la revisione della Convenzione di Dublino, un regolamento teso ad individuare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo, siglato per la prima volta nel 1990, modificata poi nel 2003 con il Regolamento (CE) 343/2003, ed in ultimo nel 2013, con il Regolamento (UE) 604/2013, secondo il quale non è possibile, per il richiedente asilo, presentare diverse domande e la domanda dev’essere esaminata dallo Stato in cui il richiedente fa ingresso nell’Unione676. Nell’aprile 2015, si è riunito, in via straordinaria, il Consiglio europeo, a seguito dell’ennesima tragedia in mare in cui hanno perso la vita 670 671 672 673 674 675 676 In dottrina si veda per tutti G. CAGGIANO, op.ult.cit., 61 e ss. e, da ultimo, S. AMADEO, F. SPITALERI (a cura di), Il diritto dell'immigrazione e dell'asilo dell'Unione europea. Controllo delle frontiere, protezione internazionale, immigrazione regolare, rimpatri, relazioni esterne, Torino, 2019, passim. FRONTEX, Operations Division, Concept of reinforced joint operation tackling the migratory flows towards Italy: JO EPNTriton to better control irregular migration and contribute to SAR in the Mediterranean Sea, Varsavia, 2014, 3. La prima disciplina l’iter che gli stati membri sono tenuti ad avviare nel momento in cui riscontrano forme di soggiorni irregolari, la seconda, invece, prevede una serie di sanzioni da porre in essere a capo di quei datori di lavoro che impiegano migranti clandestini. L’attenzione posta da parte dell’Unione, nei confronti delle politiche migratorie, fa risaltare la volontà di quest’ultima di garantire un giusto equilibrio tra integrazione e diritto d’asilo e al contempo contrasto alle forme irregolari di migrazione e tutela del territorio e dei cittadini europei. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Al14517 Nel 2009 si conclude il Programma dell’Aia e si avvia il secondo programma, quello di Stoccolma, gli obiettivi posti sono quelli di rafforzare gli aspetti già affrontati dal precedente programma Eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV %3Ajil0034 www-europaparl.europa.eu/atyourservice/IT/displayFtu.html?ftulf=FTU_5.12.3.html http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32013R1052. Grazie alle più moderne tecnologie a partire dal 2013 è stato avviato il progetto “Frontiere intelligenti”, attraverso il quale è possibile con un Sistema di registrazione in ingresso/uscita (SEO) porre in essere controlli che certamente garantiscono una maggiore sicurezza alle frontiere europee. L’attuale regolamento di Dublino prevede un meccanismo di allerta rapido al fine di evitare disfunzioni dei sistemi d’asilo; prevede poi il colloquio personale obbligatorio, maggiori tutele in ambito di ricongiungimento familiare e garanzie per i minori; l’obbligo di prestare assistenza legale gratuita. Il regolamento prevede che le uniche motivazioni che possono portare al trattenimento dei migranti sono: il rischio di fuga ed il trattenimento di breve durata.http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/elibrary/docs/ceas-fact-sheets/ceas_factsheet_it.pdf, , 2014 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 242 AmbienteDiritto - Editore© almeno 800 migranti. Questo naufragio ha dato un’ulteriore spinta nell’affrontare la sempre più complessa situazione della migrazione, in particolare sono stati individuati 4 settori di intervento677. La Commissione Europea ha inoltre elaborato, il 13 maggio del 2015, un piano di politica dell’immigrazione, si tratta di un’Agenda europea in materia di migrazione attraverso la quale si sottolinea l’importanza della gestione del fenomeno migratorio e quindi la priorità che si attribuisce al fenomeno stesso. Le modalità di gestione proposte dalla Commissione sono la riduzione degli incentivi alla migrazione irregolare, la salvaguardia delle vite umane, il potenziamento delle politiche di integrazione678. Sulla base dell’Agenda europea, il 27 maggio dello stesso anno, è stato proposto un primo pacchetto di proposte per affrontare la crisi migratoria 679 ed incentrato sul meccanismo di ricollocazione, finalizzato ad assistere l’Italia e la Grecia680. Per dare esecuzione al piano d’azione contro il traffico di migranti, nel giugno 2015, il Consiglio ha avviato l’operazione navale “ EUNAVFOR MED”681 , rivolta contro i trafficanti di esseri umani, la cui prima fase consiste nella sorveglianza e nella valutazione delle reti del traffico e della tratta di esseri umani, la seconda fase prevede la ricerca e l’eventuale fermo delle imbarcazioni, la terza fase infine prevede il rendere inutilizzabile l’imbarcazione e la cattura dei trafficanti. Poco dopo la proposta del primo pacchetto, la Commissione europea ne propone un secondo 682. Nel febbraio 2016 le conclusioni, sulla crisi migratoria, del Consiglio europeo si concentrano nell’attuazione del “Piano d’Azione UE-Turchia”, con il quale si cerca di far fronte alla crisi dei rifugiati conseguente alla situazione in Siria;683 nella fornitura di aiuti umani ai rifugiati; nell’assicurare un’effettiva operatività dei punti di crisi nel miglioramento della gestione delle frontiere esterne684. A questo riguardo va sottolineato che il successo delle politiche migratorie dipende da un’efficace risposta alle cause dei flussi migratori, proprio per questo motivo risulta di primaria importanza riuscire ad instaurare, con i paesi terzi e con i paesi di origine dei migranti, rapporti di collaborazione, ma anche 677 678 679 680 681 682 683 684 Il rafforzamento della presenza in mare; la lotta contro i trafficanti; la prevenzione dei flussi migratori illegali; il rafforzamento della solidarietà e delle responsabilità interne, la solidarietà si esplica nei meccanismi di ricollocazione di emergenza che svolgono la funzione di aiutare gli Stati membri che si trovano in prima linea e che non sono in grado di sopportare il crescente peso dei flussi migratori. http://www.consilium.europa.eu/it/policies/migratory-pressures/history-migratory-pressures/ www-europaparl.europa.eu/atyourservice/IT/displayFtu.html?ftulf=FTU_5.12.3.html http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5039_it.htm La ricollocazione consiste nel trasferire i profughi siriani ed eritrei, bisognosi di protezione internazionale, arrivati in Italia o Grecia, in altri Stati membri dell’Unione, attraverso un meccanismo di equa distribuzione, sul meccanismo di reinsediamento, che punta al trasferimento di singole persone sfollate, che si trovano in evidente stato di bisogno di protezione internazionale. Il reinsediamento si avvia a seguito di una proposta dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per il rifugiati, con l’approvazione del paese di reinsediamento, paese in cui ottengono diritto di soggiorno e tutti i diritti che normalmente vengono concessi ai beneficiari di protezione internazionale. Vengono poi declinati il piano d’azione contro il traffico di migranti e le linee guida per il rilevamento delle impronte digitali. EUNAVFORMED è l’acronimo di “Forza Navale Mediterranea dell’Unione Europea” cfr. http://www.consilium.europa.eu/ it/press/press-releases/2015/06/22-fac-naval-operation/ Nel quale articola proposte relative alla ricollocazione d’emergenza e alla ricollocazione permanente; un elenco comune europeo relativo ai paesi d’origine sicuri; provvedimenti volti ad affrontare la dimensione esterna della crisi dei rifugiati, un fondo fiduciario per l’Africahttp://www.consilium.europa.eu/it/policies/migratory-pressures/history-migratory-pressures/ A partire dal marzo 2016 si sta procedendo al rimpatrio di tutti quei migranti irregolari che dalla Turchia sono approdati nelle isole greche. Tali rimpatri saranno comunque attuati nel rispetto dei diritti dell’UE e dei diritti internazionali. Successivamente il Consiglio dell’UE, in risposta alle costanti e sempre più forti pressioni migratorie, ha presentato una serie di proposte e lavori finalizzati ad affrontare la crisi migratoria, in particolare ha evidenziato la necessità di prevedere forme di partenariato con i paesi di origine o di transito, al fine di migliorare le operazioni di rimpatrio rapido dei migranti irregolari. Il Consiglio, nel più recente periodo, per cercare di affrontare adeguatamente il fenomeno migratorio e prevenirlo, si è posto come obiettivo quello di comprendere, e quindi in qualche modo riuscire anche a limitare, i motivi che spingono le persone a migrare. http://www.consilium.europa.eu/it/policies/migratory-pressures/history-migratory-pressures/ ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 243 AmbienteDiritto - Editore© dalla capacità di ridurre i cosiddetti fattori di attrazione, per questo motivo del 2015 il Consiglio si è preoccupato di stilare una strategia di informazione comune volta a dissuadere i migranti dall’intraprendere viaggi pericolosi e dal ricorrere ai passatori685. L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne è stata istituita proprio per attuare un rafforzamento della sorveglianza sulle frontiere esterne e porre in essere attività come il coordinamento delle operazioni di rimpatrio686 . Dalla Convenzione di Ginevra687 discende l’obbligo, all’art.33, del rispetto del principio di non-refoulement, in base al quale nessuno Stato, che ha aderito alla Convenzione, può respingere un rifugiato 688 in luoghi che risultino essere pericolosi per la vita o la libertà del rifugiato stesso, per motivi di razza, religione, nazionalità 689. Fase molto delicata, una volta arrivati nel territorio ospitante, è infatti quella dell’identificazione che comporta una sorta di fermo amministrativo (“ trattenimento”) che consiste in una misura di restrizione della libertà individuale, attuata per motivi di sicurezza, e che sembra infatti stridere con gli artt. 5 e 8 690 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), motivo per cui per potersi attuare una misura che sia limitativa della libertà personale è necessaria la sussistenza di determinate condizioni previste dalla legge, sarà considerata arbitraria qualsiasi limitazione che non sia stata attuata nel rispetto del principio di legalità. La “detenzione amministrativa” risulta essere una delle misure più criticate in materia di politiche sull’immigrazione, proprio perché fa prevalere l’approccio securitario sui diritti umanitari691. 685 Gli sforzi dell’Unione nella risoluzione del fenomeno migratorio sono stati certamente ingenti, ma nonostante ciò la strada risulta essere ancora lunga e tortuosa, e senza dubbio risulta essenziale ed indispensabile l’impegno di tutti gli Stati membri, che spesso, invece, non hanno dato attuazione alla legislazione dell’UE non permettendo così alle politiche sulla migrazione di progredire. Cfr. http://www.consilium.europa.eu/it/policies/migratory-pressures/preventing-illegal-migration-flows/ 686 Il “terreno” sul quale la Frontex si trova ad operare risulta essere molto delicato; il pericolo di ledere i diritti umanitari, nel corso delle attività svolte dall’Agenzia, risulta assai elevato. Ne deriva che il “sistema integrato di gestione delle frontiere esterne” cui fa riferimento il citato art. 77 del TFUE riceve una nuova e più articolata declinazione. Nello svolgere le operazioni, per le quali è stata istituita, l’Agenzia è tenuta a contemperare due aspetti, da un lato il raggiungimento delle missioni e quindi la sorveglianza delle frontiere, il contrasto alle forme di immigrazione clandestina e l’eventuale respingimento dei migranti irregolari, dall’altro è tenuta a svolgere le sue attività nel pieno rispetto dei vincoli giuridici relativi alla tutela dei diritti fondamentali. 687 Adottata il 28 luglio del 1951 ed entrata in vigore il 21 aprile del 1954 688 Giova ricordare che per rifugiato, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, si intende colui che si trova fuori dal suo paese d’origine e non vuole farvi ritorno, per motivi di razza, religione, politica per timore che dal suo ritorno possa derivarne una minaccia per la sua vita o per la sua libertà. 689 Secondo tale principio, l’Agenzia è tenuta a garantire il rispetto del diritto d’asilo, tranne che non vi siano prove valide che portino a ritenere il rifugiato un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico dello Stato. Il principio di non-refoulement viene ribadito anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre del 2000 e modificata nel 2007 a Strasburgo. Il diritto d’asilo e il principio di non respingimento devono essere rispettati in tutte le fasi delle operazioni svolte dall’Agenzia per la gestione delle frontiere, quindi dall’intercettazione delle imbarcazioni, allo sbarco dei soggetti soccorsi e allora loro identificazione. Convenzione di Ginevra, Art. 33 Divieto d’espulsione e di rinvio al confine: 1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese. 690 691 Su tali profili si rinvia a M. INTERLANDI, Fenomeni immigratori tra potere amministrativo ed effettività delle tutele, Torino, 2018, 150 e ss. Sul punto v. per tutti C. CELONE, La “detenzione amministrativa” degli stranieri nell'ordinamento italiano e dell'Unione Europea ed il diritto fondamentale di ogni persona alla libertà ed alla tutela giurisdizionale, in M. IMMORDINO - C. CELONE (a cura di), Diritto degli immigrati e diritto dell'immigrazione, cit., 299, ss, ove ampi riferimenti bibliografici, nonché A. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 244 AmbienteDiritto - Editore© Il legislatore europeo, nel tentativo di bilanciare l’aspetto della sicurezza e dell’ordine pubblico e l’aspetto relativo alla tutela dei diritti fondamentali, ha approvato diverse direttive con l’obiettivo di disciplinare le forme di soggiorno di soggetti provenienti da paese terzi, in modo da garantire loro il rispetto dei diritti fondamentali, e tutelando allo stesso tempo, gli Stati membri 692. Obiettivo prioritario della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 (c.d. direttiva rimpatri) appare quello di prevedere un’armonizzazione ed una disciplina uniforme in materia di rimpatri di tutti quei soggetti che non godono del diritto di soggiornare all’interno dei territori comunitari, garantendo al tempo stesso il rispetto dei diritti fondamentali degli stessi. Secondo il considerandum n. 6 la modalità di rimpatrio deve essere attuata in modo equo e trasparente693. La procedura di rimpatrio del soggetto extracomunitario si fonda sul requisito dell’irregolarità, il rimpatrio volontario è la regola generale, eccezione costituisce, invece, l’allontanamento coattivo; la misura della detenzione amministrativa, diventa extrema ratio, applicabile solo quando il ricorso a misure meno coercitive risulta essere insufficiente694. La volontà di porre in essere una politica efficace in ambito di migrazione ha condotto la Commissione europea, il 23 aprile del 2015,695 a stilare un piano d’azione, articolato in 10 punti, attraverso il quale gli Stati membri si sono impegnati nel mettere in atto misure idonee a rafforzare le politiche già 692 693 694 695 PUGIOTTO, La galera amministrativa degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quaderni costituzionali, n. 32014, 573 e ss. Le misure di sicurezza previste dalle politiche sulla migrazione non devono essere da ostacolo per i soggetti che legalmente cercano di entrare in uno Stato membro o che si trovano in uno stato di vulnerabilità, come viene proprio con la detenzione amministrativa, ma devono essere messe in atto nei confronti di tutte quelle forme di immigrazione clandestina e di criminalità transfrontaliera. Per gli Stati discende l’obbligo di protezione, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Convenzione di Ginevra, la quale all’art. 31 “Rifugiati in situazione irregolare nel Paese di accoglimento” prevede che: “1.Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali, per ingresso o soggiorno irregolare, a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata nel senso previsto dall’art. l, entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza irregolari. 2. Gli Stati contraenti non applicheranno altre restrizioni ai movimenti di questi rifugiati se non quelle necessarie; queste restrizioni verranno applicate solo in attesa che lo status dei rifugiati nel Paese di accoglimento venga regolarizzato o che essi riescano a farsi ammettere in un altro Stato. In vista di quest’ultima ammissione gli Stati contraenti accorderanno a detti rifugiati un periodo di tempo ragionevole e così pure tutte le facilitazioni necessarie.” La Direttiva 2003/109/CE , del Consiglio del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo; la Direttiva 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relativa al diritto di ricongiungimento familiare; la Direttiva 2003/9/CE, del Consiglio del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; la Direttiva 2004/83/CE, del Consiglio del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione della qualifica di cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale e sul contenuto della protezione riconosciuta; la Direttiva Rimpatri 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio UE del 16 dicembre 2008. “Gli stati membri devono, tuttavia, garantire che a detti cittadini siano riservati un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quelle previsti da alcune sue disposizioni in materia di misure coercitive, allontanamento, prestazioni sanitarie e trattenimento”. Sulla complessa tematica di rinvia a L. CORDÌ, L’espulsione dello straniero. Diritti penale sostanziale e processuale, Milano, 2011, passim. Nonostante la legislazione in materia di tutela dei diritti umani, la collaborazione avviata tra la Frontex e l’Agenzia per i diritti fondamentali (FRA) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e l’assunzione, da parte dell’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne, di un “responsabile dei diritti fondamentali” il bilanciamento tra diritti umani ed ordine pubblico e sicurezza risulta ancora una delle note dolenti nelle politiche sulla migrazione e la Frontex viene spesso tacciata di porre in essere azioni volte solo a sostenere la visione securitaria senza preoccuparsi della violazione dei diritti umani. In merito v. S. BEDESSI, F. PICCIONI., Le nuove norme sull’immigrazione. Libera circolazione dei cittadini comunitari e rimpatri degli stranieri dopo la legge 129/2011, Santarcangelo di Romagna, 2012, 115 e ss. e P. FANTOZZI, D. LOPRIENO (a cura di), Profili multilivello di diritto dei migranti, Soveria Mannelli, 2014, 31 Dichiarazione del Consiglio europeo del 23 aprile 2015 “Special meeting of the European Council” www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2015/04/23-special-euco-statement/ ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 245 AmbienteDiritto - Editore© esistenti. Questo intento è stato ribadito il mese successivo, il 13 maggio 2015, nell’Agenda europea sulla migrazione, la cui finalità è prevedere misure, da adottare in modo immediato, per gestire la crisi che negli ultimi anni investe il Mediterraneo 696. Gli interventi di lungo periodo sono stati predisposti, perché, essendo emerse, con i più recenti sviluppi della crisi migratoria nel Mediterraneo, numerose lacune in ambito di politiche migratorie, si è reso necessario attuare nuove e più solide politiche in materia697. La Commissione europea, nell’affrontare la problematica relativa agli ingenti flussi di migranti, ha predisposto, nell’ Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015, la costituzione di “punti di crisi” meglio conosciuti come “hotspot”, che altro non sono che delle zone, nelle frontiere esterne, particolarmente pervase dai suddetti flussi. Questo approccio contribuisce anche ad attuare forme di lotta contro il traffico di migranti. Ritroviamo gli hotspot quindi in quei territori che costituiscono i maggiori punti di ingresso per l’Unione Europea. Negli ultimi decenni i territori particolarmente soggetti alle pressioni migratorie sono stati ad esempio la Sicilia per quanto riguarda l’Italia698 e Lesbo e Kos per quanto riguarda la Grecia 699. Usualmente 696 697 698 699 L’Agenda pianifica due tipologie di intervento, uno immediato, per dare una risposta rapida e decisa nei confronti del dramma che coinvolge ormai quotidianamente tutto il Mediterraneo, ed uno da attuare in modo graduale. L’intervento immediato prevede di: triplicare i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex; l’intensificazione dei mezzi e delle operazioni ha la principale finalità di salvare un maggior numero di vite umane, oltre che coordinare il lavoro svolto alle frontiere, avviare il metodo basato sugli “hotspot”; aumentare finanziamenti aggiuntivi per gli Stati membri coinvolti in prima linea; raccogliere informazioni in modo centralizzato per contrastare le forme di criminalità organizzata; distaccare funzionari di collegamento europei per la migrazione presso Stati membri occupati in prima linea, avviare un programma di reinsediamento per i migranti con diritto alla protezione internazionale. Per ciò che attiene, invece, all’intervento di lungo periodo questo si articola in 4 moduli: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare; salvare vite umane e al tempo stesso rafforzare le frontiere esterne; rafforzare le politiche d’asilo;introdurre nuove e più forti politiche in ambito di migrazione legale L’introduzione di puntuali limiti alle forme di migrazione irregolare è uno degli aspetti principali della politica migratoria prevista dall’Agenda del 2015. Una concreta azione di contrasto può essere attuata, secondo la Commissione, attraverso lo smantellamento delle organizzazioni criminali locali degli Stati terzi che controllano le rotte e grazie alla collaborazione e alle forme di partenariato con i paesi terzi in cui le stesse organizzazioni sono allocate. Tra le misure di contrasto alla criminalità transfrontaliera, inoltre, la Commissione ha previsto un inasprimento delle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che ricorrono all’impiego di migranti irregolari, rendendo l’integrazione nella società di questi ultimi e cercando, invece, di favorire quella dei soggetti in regola con i permessi di soggiorno. Uno strumento che può rendere più agile e semplice la politica migratoria è senza dubbio l’accordo sulla creazione dei punti di crisi, siglato in data 25 e 26 giugno 2015 dal Consiglio europeo. L’accordo ha stabilito la costituzione degli hotspot e le norme giuridiche e finanziarie ad essi collegate. Nel settembre 2015 è stato presentato, da parte della Commissione, un nuovo pacchetto di misure connesse all’Agenda europea sulla migrazione, concernente misure di protezione Internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, misure di ricollocamento in caso di crisi ed infine un elenco comune dell’UE di Paesi di origine sicuri. A qualche mese di distanza dalla pubblicazione dell’Agenda sulla migrazione, la Commissione europea si è espressa in merito ai progressi ottenuti dall’avvio degli interventi predisposti dalla stessa; i risultati risultano ancora essere non del tutto soddisfacenti, anche se si è riscontrato un aumento sostanziale del rilevamento delle impronte digitali e dei dati inseriti all’interno dell’Eurodac : in Grecia dal settembre 2015 al gennaio 2016 si è passati dall’8% al 78% , in Italia dal settembre 2015 al gennaio 2016 si è passati dal 36% all’87% Commissione europea, Attuazione dell’agenda europea sulla migrazione: i progressi delle azioni prioritarie, Bruxelles, 2016. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-271_it.htm, Commissione europea, Agenda europea sulla migrazione: Relazioni della Commissione sui progressi compiuti in Grecia, Italia e nei Balcani occidentali, Bruxelles, 2016. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-269_it.htm Appare di tutta evidenza che il numero di persone, che si trovano ad attraversare le frontiere esterne degli Stati membri, risulta essere sempre maggiore rispetto alle capacità degli Stati stessi di effettuare i controlli e di coordinare l’ingresso delle stesse, e la collocazione geografica di Stati come l’Italia e la Grecia, rende appetibili le frontiere delle stesse per moltissimi migranti provenienti dall’Africa, che considerano le frontiere che si affacciano sul mediterraneo come porte d’ingresso nell’Unione Europea. “La politica migratoria dell’Unione europea” Dossier n 325 www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/972644/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione11-h1_h11 COM(2015) 490 final , allegato della “COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO EUROPEO E AL CONSIGLIO. “Gestire la crisi dei rifugiati: misure operative, finanziarie e giuridiche immediate nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione”. Bruxelles, 23.09.2015 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 246 AmbienteDiritto - Editore© le aree designate per la costituzione degli hotspot sono quelle site in prossimità dei luoghi di sbarco700. Obiettivo primario della creazione degli hotspot è quello di garantire, agli Stati membri coinvolti in prima linea, un supporto nella gestione dei flussi; il ricorso ai punti di crisi permette una più celere conduzione delle attività di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali di tutti i migranti che approdano sulle frontiere esterne. Fino a questo momento, sembra che il lavoro degli hotspot stia contribuendo ad un maggiore ordine nella gestione degli arrivi e migliorando i tassi di rilevamento e registrazione delle impronte digitali 701, anche se gli hotspot non sono stati immuni dalle numerose critiche702. Una delle attività fondamentali che deve essere posta in essere, nei confronti dei migranti, una volta varcate le frontiere dell’Unione è l’identificazione. Giusta il Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, ed in particolare degli artt. 9 e 14 gli Stati membri devono immediatamente provvedere all’identificazione, attraverso il rilevamento delle impronte digitali 703, operazione che ha destato e desta non pochi problemi in fase di attuazione, molte volte infatti le procedure obbligatorie non sono state poste in atto, con conseguente transito di migranti non identificati704. Le impronte digitali rilevate, secondo le previsioni del regolamento (CE) N 2725/2000 del Consiglio, dell’11 dicembre 2000, modificato dal regolamento (UE) n 603/2013705 del Parlamento e del Consiglio, che ha istituito la banca dati “European Dactyloscopie” (EURODAC)706. Le operazioni di rilevamento delle 700 701 702 703 704 705 706 In Italia sono stati previsti in totale 6 hotspots: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta e Taranto (Pozzallo conta 300 posti, è operativo dal 19/01/2016; Porto Empedocle conta 300 posti, Trapani ne conta 400, operativo dal 22/12/2015 e Lampedusa 500, operativo dal 01/10/2015, Taranto 400, operativo dal 29/02/2016). Dei sei punti di crisi previsti però sono attualmente attivi soltanto nei siti di Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto. In Grecia sono stati previsti in totale 5 hotspots: Lesbo, Chios, Lero, Samos e Kos. On the frontline: the hotspot approach to managing migration ,2016, 8. http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/556942/IPOL_STU(2016)556942_EN.pdf Gli hotspot prevedono, dal punto di vista organizzativo, un organico complesso caratterizzato da team multidisciplinari le cui molteplici figure professionali, che vanno dalle autorità dello Stato membro ove i punti di crisi sono siti, al personale sanitario, alle organizzazioni internazionali e non governative collaborano tra loro in un trait d’union. Non possiamo poi non citare il fondamentale ruolo di supporto fornito dalle Agenzie europee, le quali sono tenute a svolgere attività di tipo complementare. Frontex si occupa altresì del controllo dei documenti. Un’altra attività che vede coinvolta l’Agenzia è il debriefing, per poter svolgere la stessa vengono costituiti dei team di Joint Debrifing( JDTs); il debriefing consiste in colloqui con i migranti utili per ottenere informazioni non soltanto sui soggetti interrogati ma anche sul modus operandi degli scafisti. Frontex contribuisce quindi a stabilire l’effettiva nazionalità dei migranti, evitando così gli eventuali scambi di nazionalità; per rilevare la nazionalità può servirsi della cooperazione con le ambasciate dei paesi di origine. Inoltre l’Agenzia si preoccupa non solo di coordinare ma anche di cofinanziare le attività di rimpatrio verso i paesi di origine COM (2015) 453 final, Comunicazione della Commissione “Piano d’azione dell’UE sul rimpatrio”, eur-lex.europa.eu/legalcontent/it/TXT/?uri=CELEX%3°52015DC0453 Lo Stato membro procede tempestivamente “al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di ogni richiedente protezione internazionale di età non inferiore a 14 anni, non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento (UE) n 604/2013, trasmette tali dati al sistema centrale” (art.9) nonché dei “cittadini di paesi terzi o apolidi di età non inferiore a 14 anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti o che rimangano fisicamente nel territorio degli Stati membri e che non siano in stato di custodia, reclusione o trattenimento per tutto il periodo che va dal fermo all’allontanamento sulla base di una decisione di respingimento” (Art. 14). G. CAGGIANO, op. ult. cit., 237. Le modifiche apportate al regolamento consistono in una maggiore celerità dei tempi di ricezione ed invio dei dati e in una maggiore garanzia della compatibilità del sistema EURODAC con la legislazione in materia di asilo; inoltre, oltre che per finalità connesse all’asilo, la banca dati può essere utilizzata dalle forze di polizia nazionali e dall’Europol per svolgere indagini penali. Si tratta di una banca dati UE, operativa dal 2003, gestita a livello centrale dalla Commissione europea, atta a custodire tutte le impronte digitali rilevate ai richiedenti asilo e ai migranti irregolari, di età non inferiore ai 14 anni, fermati ai valichi di frontiera e che permette di effettuare il controllo incrociato dei dati e quindi verificare se il soggetto sottoposto a controllo ha già presentato domanda di asilo o se è entrato in modo irregolare nell’Ue. Oltre alla valenza di banca dati, l’Eurodac ha anche la ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 247 AmbienteDiritto - Editore© impronte e le successive conservazioni e trasmissioni delle stesse devono avvenire sempre nel rispetto della legalità707. I cittadini stranieri che giungono nel territorio italiano in maniera irregolare708 vengono accolti presso i centri per l’immigrazione 709, dove viene prestata loro assistenza, vengono poi identificati e ove si tratti di richiedenti asilo, vengono avviate le procedure per verificare l’idoneità a ricevere la protezione, per coloro i quali, invece, non sussistano i termini per la richiesta di asilo politico debbono essere avviate le procedure di espulsione e permangono nel territorio italiano per il tempo necessario all’espletamento delle pratiche per l’espulsione, particolarmente complesse per i minori non accompagnati 710, fenomeno che ha progressivamente assunto proporzioni sempre più rilevanti, anche per le difficoltà di 707 708 709 valenza di “radicare in un solo Stato membro la competenza per l’esame di una eventuale domanda di asilo. In altre parole, lo Stato membro in questione deve prendersi carico del richiedente, acquisendone l’identità sia trattando la sua eventuale domanda di protezione internazionale. Si v. in merito Doc. XXII-bis, n°6 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione ed espulsione nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, marzo 2016,18. Documenti.camera.it/apps/nuovosito/Documenti/DocumentiParlamentari/parser.asp? idLegislatura=17&categoria=022bis&tipologiaDoc=documento&numero=006&doc=intero Una volta usciti dagli hotspot, i migranti possono essere trasferiti in una struttura- di accoglienza o ,nel caso non abbiano diritto a restare sul territorio nazionale, il Questore potrà emettere nei loro confronti un provvedimento di respingimento o il Prefetto potrà emettere un provvedimento di espulsione; sono emerse però, durante un’intervista con il Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Palermo, una serie di problematiche per ciò che attiene l’esecuzione di tali provvedimenti; in particolare si riscontrano diverse difficoltà nei rapporti con le autorità diplomatiche che raramente confermano la provenienza di un loro cittadino, rendendo cosi ineseguibili i provvedimenti di respingimento o di espulsione. Regolamento (CE) N°2725/2000 del Consiglio, dell’11 dicembre 2000, che istituisce l’EURODAC per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino. Per una ricostruzione del quadro di riferimento in metrica nell’ordinamento italiano, tra i contributi più recenti, oltre a quelli già richiamati di M. IMMORDINO - C. CELONE (a cura di), Diritto degli immigrati e diritto dell'immigrazione, cit., e G. CAGGIANO (a cura di), I percorsi giuridici per l'integrazione: migranti e titolari di protezione internazionale tra diritto dell'Unione e ordinamento italiano, Torino, 2014 si vedano anche L. RONCHETTI (a cura di), La Repubblica e le migrazioni, Atti del Seminario di studi, Roma, 12 luglio 2013, Milano, 2014; M. CONSITO, La tutela amministrativa del migrante involontario: richiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli, 2016; A. DI MURO, L. DI MURO, Il diritto dell'immigrazione, Torino, 2017 Come noto esistono diversi tipi di centri di immigrazione: -CPSA, centri di primo soccorso e accoglienza: come si può ben intuire dalla stessa denominazione, questa tipologia di centro si rivolge ai soggetti appena arrivati in Italia. Nei CPSA vengono fornite le prime cure mediche, effettuati i fotosegnalamenti e possono essere formulate le richieste di protezione internazionale. Da questi centri vengono poi trasferiti presso le altre tipologie in base alle condizioni dei singoli migranti. I CPSA attualmente si trovano a: Lampedusa (AG), Elmas (CA), Otranto (LE), Pozzallo(RG). -CDA, centri di accoglienza: forniscono al migrante una prima accoglienza per tutta la durata dei controlli che vengono svolti sulla sua persona. -CARA, centri di accoglienza per i richiedenti asilo: come i CDA forniscono una prima accoglienza ma si rivolgono ai migranti irregolari che effettuano richiesta di protezione internazionale. I centri CDA e CARA sono presenti sul territorio nazionale a : Gradisca d’Isonzo (GO), Arcevia(AN), Castelnuovo di Porto (RM), Borgo Mezz’anone (FG), Palese (BA), Restinco (BR), Don Tonino Bello (LE), Loc. S. Anna (CR), Mineo (CT), Pozzallo (RG), Contrada Pian del Lago (CL), Lampedusa (AG), Salina Grande (TP), Elmas (CA). -CIE, centri di identificazione ed espulsione: i CIE accolgono, invece, quei migranti irregolari che non effettuano richiesta di protezione internazionale o che non sono stati ritenuti idonei per ricevere protezione internazionale. In questi centri vengono trattenuti, al fine di evitare la dispersione, per un periodo massimo di 18 mesi, tempo massimo disponibile per effettuare tutte le procedure di identificazione e le successive procedure di espulsione e rimpatrio. I CIE si trovano a Torino, Roma, Bari, Trapani e Caltanissetta. E’ stato poi istituito un Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, SPRAR, che realizza un sistema di accoglienza integrata. Il sistema è costituito dalla rete degli enti locali, che possono avviare il progetto SPRAR attraverso l’utilizzo di risorse finanziarie rese disponibili dal Fondo nazionale per le politiche ed i servizi d’asilo. L’accoglienza garantita dagli SPRAR è un’accoglienza diversa rispetto a quella offerta dagli altri centri perché mira all’integrazione. In questi centri vengono accolti tutti quei soggetti che hanno già formalizzato la domanda di asilo ma sono privi di mezzi di sussistenza adeguati. Com’è noto le strutture SPRAR ospitano anche i minori non accompagnati. Infine tra i centri di accoglienza vi sono anche i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), che sono stati istituiti per integrare il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo. I CAS sono ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 248 AmbienteDiritto - Editore© effettivo accertamento dell’età anagrafica in assenza di documentazione, anche quando questi non hanno formalizzato richiesta di asilo711. Non vi è dubbio, tuttavia, che, come ribadito dalla stessa Commissione UE nella Comunicazione sul Piano d’azione dell’UE sul rimpatrio del 9 settembre 2015712, se i migranti, senza diritto di protezione internazionale, avessero la consapevolezza di un alto rischio di essere rimpatriati, più difficilmente metterebbero a repentaglio la loro vita e il loro patrimonio. Obiettivo dell’Unione è quindi porre in essere un piano d’azione sul rimpatrio efficace ed attuato nel rispetto dei diritti fondamentali713. 4. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera ( Frontex) - come ricordato - è stata istituita con il regolamento (CE) 2007/2004 sostiene gli Stati Membri dell'UE ed i paesi associati a Schengen nella gestione delle frontiere esterne dell'UE e nella lotta alla criminalità transfrontaliera e per le attività di controllo alle frontiere esterne dell'UE, al fine di “coordinare la cooperazione operativa attraverso attività di intelligence a livello comunitario per accrescere la sicurezza alle frontiere esterne”714. L’Agenzia opera attraverso la condivisione di informazioni e competenze con tutti gli Stati Membri dell'UE, nonché con i paesi terzi limitrofi interessati dai flussi 710 711 712 713 714 nati come centri temporanei e straordinari in quanto appunto l’intento era quello di sopperire nei momenti in cui i centri di accoglienza ordinaria risultavano sovraccarichi, in realtà i CAS col tempo sono divenuti quasi la colonna portante dei centri di accoglienza italiani, così mentre il sistema SPRAR fornisce un numero marginale di accoglienza, i CAS sembrano accogliere il maggior numero di richiedenti asilo. Quello dei minori non accompagnati è uno dei problemi attuali più grande, infatti solo dal gennaio 2016, secondo quando dichiarato dal Dirigente dell’ufficio immigrazioni della Questura di Palermo sono arrivati a Palermo 800 minori. I numeri sono molto alti e una delle problematiche maggiori consiste nel fatto che non sempre è possibile verificare se si tratti realmente di minori, poiché senza documenti, l’accertamento anagrafico risulta molto complesso. Gli Stati membri non possono opporsi al ricollocamento del richiedente, tranne nei casi in cui vi sono fondati motivi per ritenere che la persona possa arrecare un danno alla sicurezza e all’ordine pubblico dello Stato. Il ricollocamento avviene sulla base di criteri oggettivi, quantificabili e verificabili. Le fasi della relocation prevedono: una prima fase di finger printing e di applicazione della protezione internazionale, alla quale segue una fase in cui vengono inviate, al paese europeo di delocalizzazione (DubliNet/Vestante) e conseguente approvazione dal parte del paese, ed infine una terza fase in cui viene presa e notificata la decisione e poi avviene il trasferimento. Va osservato che la disciplina dei centri di primo soccorso ed accoglienza risulta essere caratterizzata da molte lacune e inoltre spesso la normativa viene interpretata ed applicata in modo errato; più di una volta i centri di accoglienza hanno finito per trasformarsi in strutture per detenzioni arbitrarie. Al fine di affrontare in modo integrato la crescente dimensione del fenomeno migratorio la Commissione Europea, in attuazione del piano d’azione stabilito dall’Agenda europea sulle migrazioni, ha previsto misure idonee ad offrire un sostegno ad Italia, Grecia ed Ungheria, che si trovano a dover gestire il maggior numero di richieste d’asilo e che consistono nella predisposizione di uno scherma di redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Il ricollocamento si applica solo nei confronti dei richiedenti asilo, attualmente le nazionalità dei soggetti che maggiormente hanno beneficiato del ricollocamento sono: Siriani, Eritrei e Iracheni. Commissione europea, Solidarietà Europea: un sistema di ricollocazione dei rifugiati. Per quanto riguarda, invece, le politiche di rimpatrio, la Commissione europea ha evidenziato come uno dei fattori che può contribuire ad una diminuzione delle migrazioni irregolari è la costituzione di un efficiente sistema di rimpatrio. Infatti fino a questo momento uno degli incentivi, per i migranti irregolari, è stato un sistema di rimpatrio mal funzionante che permette agli stessi ,una volta entrati nei confini dell’Ue, di muoversi e restare negli Stati UE. Il piano deve prima di tutto promuovere le forme di rimpatrio volontario, che costituisce la forma di rimpatrio preferibile anche a livello di rapporto costi-benefici. Sugli Stati membri ricade l’obbligo di procedere al rimpatrio di tutti quei soggetti che soggiornano in modo irregolare sul territorio, durante lo svolgimento delle pratiche per il rimpatrio e nel caso di pericolo di fuga dei migranti possono ricorre al trattenimento. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=CELEX%3A52015DC0453. Anche nelle operazioni di rimpatrio un ruolo fondamentale è rivestito da Frontex, la quale è tenuta a fornire, agli Stati membri, assistenza per il rimpatrio dei migranti attraverso ad esempio l’organizzazione di operazioni congiunte di rimpatrio o il sostegno nella fase di acquisizione dei documenti di viaggio dei migranti. Frontex inoltre è tenuta a facilitare i rapporti e la cooperazione tra Stati membri e paesi terzi. Affinché la politica di rimpatrio possa funzionare correttamente è tuttavia necessario che sia accompagnata da una buona politica di riammissione, per questo motivo l’Ue deve assicurarsi che i paesi partner rispettino gli obblighi internazionali in materia di riammissione. “Programma di lavoro di Frontex per il 2016” , 3 in www.frontex.europa.eu. ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 249 AmbienteDiritto - Editore© migratori e dalla criminalità transfrontaliera, coordina il dispiegamento di guardie di frontiera e costiere, oltre a imbarcazioni, aerei, autoveicoli da pattuglia e altre attrezzature, nei paesi dell'UE715. Quale Agenzia decentrata Frontex va riconosciuta quale organismo europeo, avente personalità giuridica ed indipendente per ciò che attiene le questioni tecniche si compone di due organi, il direttore esecutivo ed il consiglio di amministrazione. Essa, infatti, va ricondotta nel paradigma delle agenzie comunitarie, che si caratterizzano per essere dotate di personalità giuridica e per essere titolari di poter specifici, soddisfano la necessità di regolamentazioni e controlli tecnici e specialistici. Il vantaggio derivante dall’istituzione delle agenzie consiste nel fatto che, essendo appunto specializzate in un particolare settore, riescono a raggiungere maggiori livelli di efficienza rispetto ad altri organismi che si trovano ad operare su più settori716. Il ruolo svolto da questi organi permette, inoltre, di garantire una certa uniformità, a livello comunitario, nella regolamentazione di determinati settori senza ledere però gli Stati membri in quello che è il sistema di esecuzione decentralizzata717. Si tratta di organismi dotati, oltre che, come abbiamo già detto, di personalità giuridica, anche di autonomia organizzativa e finanziaria, che procurano, attraverso pareri e raccomandazioni, assistenza agli Stati membri ed agli enti territoriali718. Pur godendo, quindi di autonomia, non possono dirsi del tutto indipendenti e non sono quindi esenti dai controlli attuati dalla Commissione e dal Consiglio719, ai quali le agenzie devono presentare annualmente delle relazioni annuali, 715 716 717 718 719 L’istituzione di Frontex risulta quindi strettamente connessa all’esigenza di garantire, da un lato, all’interno degli Stati membri, la libertà di circolazione, dall’altro di controllare la stessa libertà, al fine di prevenire o contrastare i traffici illegali. Tra le caratteristiche dell’agenzia va ricordato il profilo multifunzionale, infatti durante le operazioni congiunte, ed in particolare nelle fasi di pattugliamento, i compiti della Frontex non si limitano alla lotta all’immigrazione clandestina, ma vengono anche svolte attività finalizzate al contrasto al traffico di stupefacenti, alla pesca illegale e all’inquinamento. Queste attività vengono poste in essere ad esempio a seguito di segnalazioni, o quando, durante un pattugliamento, emergono sospetti su alcune navi mercantili. Il regolamento è stato successivamente modificato prima dal regolamento (CE) n 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, con il quale è stata prevista la costituzione di squadre di intervento rapide alle frontiere ed è stata modificata la disciplina vigente in materia di competenze degli agenti distaccati; un’ulteriore modifica è stata apportata dal regolamento (UE) n 1168/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio ed infine dal regolamento (UE) N 1052/2013, con il quale è stato istituito il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur). A due anni dall’istituzione dei centri ad hoc della SCIFA il Consiglio europeo ha quindi avviato una fase esecutiva nella gestione della cooperazione alle frontiere europee esterne attraverso l’istituzione di un’agenzia decentrata che, pur avendo sede direzionale a Varsavia, svolge la sua attività in diversi paesi dell’Unione a seconda delle esigenze del momento. Va segnalato che con l’istituzione della Frontex, è stata scelta come sede per un’agenzia esecutiva un paese da poco divenuto membro dell’Unione europea. L’Agenzia pur svolgendo attività di sorveglianza e controllo delle frontiere, non è, però, responsabile in via principale di queste attività che restano infatti sempre di competenza degli Stati membri A. DI SCIASCIO, Le politiche europee di coesione sociale tra amministrazione comunitaria e il sistema degli enti territoriali: un’introduzione critica, Torino, 2014, 47. La composizione delle agenzie europee prevede la costituzione di tre diversi organi: il consiglio di amministrazione, formato dai rappresentanti degli Stati membri e della Commissione, è il luogo in cui vengono definite le linee operative dell’agenzia, il direttore generale, nominato dalla Commissione, ha il compito di rappresentare l’Agenzia dinanzi alle istituzioni dell’Unione europea ed è responsabile giuridicamente dell’attività posta in essere dall’Agenzia, uno o più comitati scientifici e tecnici, i quali si occupano di prestare assistenza di tipo tecnico e scientifico per l’Agenzia stessa. Come opportunamente sottolineato da R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di Diritto dell’Unione europea,Torino, 2014, 108 non bisogna pensare che le agenzie europee siano del tutto assimilabili alle agenzie, o “autorità” indipendenti, che molti ordinamenti nazionali, tra cui il nostro, conoscono. Se ad esse le accomuna la funzione regolatoria o esecutiva che sono chiamate a svolgere, sulla base di un’alta qualificazione tecnica, in settori specifici di competenza dell’Unione, non può dirsi altrettanto del carattere di indipendenza, visto che nella struttura gestionale delle agenzie europee sono di regola formalmente rappresentati tanto gli Stati membri che la Commissione europea. Esse rappresentano così nel sistema dell’Unione più l’espressione di un decentramento della funzione amministrativa in capo ad organi tecnici, che una volontà di sottrarre l’esercizio di quella funzione al condizionamento del potere politico Come noto, le “Agenzie europee” si differenziano dalle “Agenzie esecutive” per il più tenue legame organizzativo con l’istituzione sopranazionale e per l’ulteriore funzione di “integrazione amministrativa” G. DELLA CANANEA, Diritto ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 250 AmbienteDiritto - Editore© e dagli Stati membri e dai giudici europei 720. Per ciò che attiene gli atti giuridici emanati dalle Agenzie europee, per lo più si tratta di atti non vincolanti, ma non mancano però agenzie che, invece, emanano atti vincolanti sia nei confronti di persone fisiche e giuridiche che nei confronti di autorità nazionali 721. Il direttore esecutivo è nominato, con la maggioranza di due terzi, dal consiglio di amministrazione tra i candidati che la Commissione ha ritenuto opportuno proporre, in ragione di un accertamento incentrato sulla comprovata esperienza in materia di gestione delle frontiere722. Il vertice dell’Agenzia si avvale, secondo l’impianto organizzativo, di un Vice Direttore, che svolge le funzioni vicarie 723. Le risorse finanziarie a disposizione dell’Agenzia derivano, in parte, da sovvenzione comunitaria ed in parte da contributi 720 amministrativo europeo. Principi e istituti, Milano, 2011, 85. La creazione delle prime agenzie risale al 1975, anno in cui sono state istituite la “Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro” (EUROFOUND), istituita con Regolamento (CEE) 1365/1975, ed il “Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale” (CEDEFOP) Istituita con Regolamento (CEE) 337/1975 e si tratta per lo più di agenzie finalizzate alla raccolta ed allo scambio di informazioni. Negli anni ’90 nuove agenzie sono state istituite, differenziandosi dalle precedenti per essere caratterizzate anche dal ruolo di assistenza e collaborazione da esse rivestite. Fino alla fine degli anni ’90, le agenzie sono state istituite attraverso regolamenti del Consiglio che si sono basati sulla c.d. clausola di flessibilità dell’art.352 TFUE, che prevede la possibilità, in caso di necessità ed a determinate condizioni, che il Consiglio, su proposta della Commissione possa deliberare un’azione dell’Unione, anche in assenza di un’attribuzione specifica di competenza da parte dei Trattati. Un ulteriore sviluppo delle agenzie si è avuto negli anni 2000, periodo in cui il legislatore europeo ha cominciato a considerare gli atti istitutivi delle agenzie europee come fondati sull’articolo (o gli articoli) del TCE concernenti la materia oggetto dell’attività dell’agenzia da istituire. Nell’alveo delle agenzie comunitarie si distinguono le: 1)agenzie esecutive, istituite, con Regolamento (CE) 58/2003, per soddisfare esigenze temporanee e gestire particolari attività relative ai programmi dell’UE, si tratta di organismi comunitari, investiti di una missione di servizio pubblico. Tra le agenzie esecutive ricordiamo: l’agenzia esecutiva del Consiglio europeo della ricerca (CER), l’agenzia esecutiva per la ricerca (REA), l’Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura (EACEA), l’agenzia esecutiva per i consumatori, la salute e la sicurezza alimentare (CHAFEA), l’agenzia esecutiva per le piccole e medie imprese (EASME), l’Agenzia esecutiva per l’innovazione e le reti (INEA). La Commissione europea può, in caso di necessità, decidere di affidare all’agenzia esecutiva dei compiti attinenti alla realizzazione di un programma comunitario, lasciando quindi all’agenzia un potere discrezionale, seppur limitato, nell’attuazione del programma stesso. La responsabilità delle attività svolte dalle agenzie esecutive ricade sulla Commissione ed una delle maggiori differenze tra agenzia esecutiva ed agenzia decentrata consiste nel fatto che, proprio perché sono strettamente legate alla Commissione, sono site presso la sede della Commissione stessa. I compiti possono andare dalla gestione dell’intero ciclo del progetto, all’adozione di atti di esecuzione finanziaria circa le entrate e le spese necessarie per l’attuazione del programma, alla raccolta e analisi di informazioni utili per l’esecuzione del progetto. La struttura dell’agenzia esecutiva, disciplinata da un apposito statuto, prevede la presenza di un comitato direttivo, composto da cinque membri selezionati dalla Commissione, e di un direttore, nominato dalla Commissione. 2) agenzie e gli organismi di Euratom , organismi istituiti per “coordinare i programmi nazionali di ricerca nucleare per scopi pacifici, fornire conoscenze, infrastrutture e finanziamenti per l’energia nucleare e garantire un approvvigionamento sufficiente e sicuro di energia nucleare”; 3) agenzie per la politica di sicurezza e difesa comune; 4) agenzie decentrate, le quali, istituite a tempo indeterminato e situate nei diversi paesi membri, permettono una migliore cooperazione tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e l’UE e si occupano principalmente di questioni attinenti la salute, la sicurezza, la cultura e l’istruzione dei cittadini dell’Unione. A differenza delle prime nascono come agenzie permanenti ma questo non esclude la possibilità che si configuri uno scioglimento o un accorpamento con altre agenzie. In Italia sono presenti due diverse agenzie decentrate, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), con sede a Parma, e la Fondazione europea per la formazione (ETF), con sede a Torino. Tra le agenzie decentrate ricordiamo, oltre Frontex: l’agenzia europea di controllo della pesca (EFCA), l’autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), l’agenzia europea dell’ambiente (EEA), l’ufficio comunitario delle varietà vegetali (CPVO), l’agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), l’agenzia europea per i medicinali (EMA), il centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), la fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (EUROFOUND), il centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP), la fondazione europea per la formazione (ETF), l’agenzia ferroviaria europea (ERA), l’agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA), l’agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA), l’ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (OHIM), il comitato di risoluzione unico (SRB),l’agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER), l’agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA), l’agenzia ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 251 AmbienteDiritto - Editore© dei paesi membri anche attraverso la fornitura di attrezzature tecniche e mezzi, nonché dalla retribuzione per i servizi forniti e dai contributi volontari che gli Stati membri forniscono 724. La necessità di rafforzare il sistema di gestione delle frontiere, che risulta essere già da anni al centro delle politiche europee, deriva anche dalle tragedie che hanno colpito l’Europa negli ultimi mesi, ricordiamo ad esempio i tragici attentati che hanno visto protagonista Parigi nel novembre 2015. Qualche mese dopo la presentazione del pacchetto, il Parlamento europeo, con la Risoluzione del 12 aprile 2016725, riconosce il ruolo svolto da Frontex fino a tale momento ma prende atto che, date alcune debolezze, insite nell’Agenzia, che hanno reso meno efficace le sue stesse capacità di intervento726. Si tratta di un sistema di controllo delle frontiere esterne di stampo più eurocentrico, che funzionerà attraverso la collaborazione tra funzionari dell’agenzia europea e autorità dei paesi membri.727 del GNSS europeo (GSA), l’ufficio europeo di polizia (EUROPOL), l’accademia europea di polizia (CEPOL), l’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA), l’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA), l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea (EUROJUST), l’agenzia europea dei diritti fondamentali (FRA), l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), il centro di traduzione degli organismi dell’Unione europea (Cdt). Cfr. B. Marchetti, L’amministrazione comunitaria: caratteri, accountability e sindacato giurisdizionale: atti del seminario di Trento, 12 maggio 2008, Milano, 2009, 34. 721 L’ingente flusso migratorio, che vede protagonista l’Europa negli ultimi decenni, ha resa necessaria l’introduzione di organismi in grado di gestire le frontiere e di garantire la cooperazione tra gli Stati membri. Nel 1999, proprio in tema di migrazione e sicurezza, il Consiglio Europeo ha cercato di proporre soluzioni che sono poi sfociate nel 2004 nel Regolamento del Consiglio 2007/2004 che ha istituito l’Agenzia Europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne egli stati membri della Comunità Europea, Frontex. 722 Il mandato del Direttore esecutivo ha una durata di cinque anni e può essere rinnovato una sola volta, prevede la definizione degli obiettivi strategici della Frontex, favorire e garantire una buona cooperazione tra l’Agenzia e gli Stati membri e le loro autorità nazionali, favorire i rapporti tra Stati membri e paesi terzi ed infine mantenere buoni rapporti tra Stati membri e le organizzazioni internazionali al fine della cooperazione. 723 Il consiglio di amministrazione - composto dai rappresentanti dei capi delle autorità di frontiera degli Stati membri che hanno aderito a Schengen, ai quali si aggiungono due membri della Commissione europea - va considerato l’organo di vertice ed ha il precipuo compito di governare e controllare l’attività dell’Agenzia, delibera il bilancio ed adotta il regolamento finanziario. Come ricordato al Consiglio spetta anche la nomina del direttore esecutivo e del vice direttore, ha il compito di redigere la Relazione Generale dell’attività di Frontex annuale la quale dev’essere trasmessa alla Commissione, al Consiglio, al Parlamento, al Comitato Economico e Sociale e alla Corte dei conti; ed è tenuto inoltre ad stilare il Programma annuale di lavoro. Il Programma di Lavoro è un documento fondamentale in quanto prevede gli obiettivi che si intendono perseguire nel corso dell’anno e viene stilato attraverso un ciclo di pianificazione istituzionale e in modo tale da essere sottoposto a continue modifiche, seguendo le priorità del momento; gli aspetti principali del programma sono tre: -è lo strumento che permette al Consiglio di amministrazione di controllare le funzioni di Frontex; -è lo strumento che garantisce un alto livello di trasparenza nei confronti non soltanto delle Istituzioni dell’Ue, ma anche nei confronti dei cittadini; -è lo strumento che permette di adottare le più corrette ed adeguate decisioni finanziarie sulle attività che dovranno essere svolte. I compiti, all’interno dell’Agenzia, sono distribuiti orizzontalmente tra sei diverse unità : amministrazione; finanza; ricerca e sviluppo; addestramento; analisi dei rischi ed operazioni. Nel dicembre del 2015 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure in ambito di gestione delle frontiere esterne, con il quale ha avanzato la proposta di costituire una nuova guardia di costiera e di frontiera europea. 724 Il bilancio di Frontex per il 2015 è stato pari a 143,3 milioni di euro, nel 2014 a 98 milioni di euro, nel 2013 a 94 milioni di euro.Ufficio Rapporti con l’Unione Europea , Audizione di Miguel Angelo Nunes Nicolau, Coordinating Officer di Frontex, 2016, (documentazione per le CommissioniAudizioni e incontri con rappresentanti dell’UE), n 31 http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/AU031.htm 725 Risoluzione del Parlamento europeo del 12 aprile 2016 sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione 726 Posizione del Parlamento europeo definita in prima lettura il 6 luglio 2016 in vista dell'adozione del regolamento (UE) 2016/... del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia costiera e di frontiera europea e che abroga il regolamento (CE) n. 2007/2004, il regolamento (CE) n. 863/2007 e la decisione 2005/267/CE e modifica il regolamento (UE) 2016/399) 727 La nuova Agenzia, approvata con una risoluzione legislativa con 483 voti a favore, ha mutato la struttura cosi come anche il mandato, le funzioni e le competenze di Frontex. Da settembre, le autorità nazionali svolgono le loro attività di gestione ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 252 AmbienteDiritto - Editore© Un elemento che occorre sottolineare è quello del rispetto, che può dirsi solo parziale, del principio di trasparenza da parte della Frontex, la quale rende noti i programmi di lavoro, ma non fornisce allo stesso modo una puntuale descrizione delle operazioni in corso e le informazioni risultano frammentarie e sommarie, come altrettanto complesso è risultato ottenere un contatto con l’agenzia per avere ulteriori chiarimenti. 5. L’operazione Triton, ferme restando le esigenze di rafforzamento della collaborazione tra le strutture statali e quelle europee, è subentrata alla precedente operazione italiana Mare nostrum, invero non ha determinato effetti di contenimento del fenomeno migratorio, fallendo l’obiettivo del controllo del flusso migratorio e attuare attività di contrasto alla migrazione (non indifferente la carente disponibilità di mezzi messi disposizione da alcuni Paesi membri che ha imposto il noleggio di mezzi civili) sia tratta di un’attività ancora in corso di sviluppo (quasi il 40% delle persone messe in salvo, sono state soccorse con il contributo di Frontex). Tuttavia per garantire la svolta nella gestione degli sbarchi appare imprescindibile attuare una serie di misure che attengono alla fase antecedente al contrasto ai flussi migratori clandestini, ossia tutte quelle attività che mirano a prevenire le partenze. In tal senso non può che ribadirsi la necessità del rafforzamento dei rapporti di cooperazione con i paesi di origine e di transito dei migranti728. Se sul piano organizzativo risulta accresciuta l’incidenza dell’Unione sulle problematiche determinate dall’incremento dei flussi migratori clandestini verso l’Europa in quella che viene definita la “visione securitaria”, essa si pone l’obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina quale fonte di pericolo per la stabilità dell’Unione; ingenti flussi di migranti, senza adeguati controlli degli ingressi, possono incidere sull’equilibrio di un paese e facilitare l’immigrazione clandestina, risulta pertanto fondamentale riuscire a creare un sistema di politiche che permetta da una parte l’integrazione dei soggetti provenienti da paesi terzi, legalmente presenti in uno degli Stati membri, e dall’altra parte è altrettanto importante far sentire al sicuro i cittadini dell’Unione e tutelare così le frontiere esterne729. Le tragedie in mare e l’intensificazione degli sbarchi 730 hanno evidenziato alcune debolezze dell’operazione, motivo per cui la Commissione europea, vista la continua pressione a cui sono sottoposti i territori italiani, ha deciso di procedere al giornalmente, ma in caso di emergenza possono ottenere l’aiuto della nuova Agenzia che collabora attraverso l’invio di squadre d’intervento. Le principali novità consistono nel diritto di intervenire di cui godrà la stessa Agenzia, che consiste nella possibilità di intervenire, in situazioni di crisi, nel caso di ritardo o di inadeguatezza dell’attività nazionale di uno Stato membro e che vedrà quindi l’Agenzia sostituirsi alle autorità dello Stato membro; La guardia costiera e di frontiera europea è strutturata con una squadra di riserva rapida composta da 1500 esperti e di un centro di monitoraggio e di analisi dei rischi. 728 Cfr. nell’ampia dottrina T. SCOVAZZI, La tutela della vita umana in mare, con particolare riferimento agli immigrati clandestini diretti verso l'Italia, in RDI, 2005, 106 e ss. ; A. CALIGIURI, Le operazioni di contrasto dell'immigrazione clandestina alle frontiere marittime dell'Unione europea e la tutela dei richiedenti asilo, in A. CALIGIURI, G. CATALDI, N. NAPOLETANO (a cura di), La tutela dei diritti umani in Europa tra sovranità statale e ordinamenti sovranazionali, Padova, 2010, 359 e ss. 729 Per più ampie considerazioni in merito si v. S. GAMBINO, G. D'IGNAZIO (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali, Milano, 2010. 730 Servizio studi del Senato, Immigrazione: cenni introduttivi, 2015, n 210 pag 9 ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 253 AmbienteDiritto - Editore© potenziamento e alla proroga dell’operazione componente marittima e una terrestre732. Triton731, caratterizzata da una 6. Le politiche sulle migrazioni al livello europeo costituiscono un vero e proprio segno di contraddizione dell’Unione, della capacità di offrire ai cittadini europei le risposte che attendono rispetto ad un tema cruciale del dibattito politico, anche interno agli Stati membri, ed il loro fallimento, ma ancor più l’incapacità di provvederne una radicale riforma (a partire da Dublino, per passare alla direttiva rimpatri) 733, mette in discussione le fondamenta della costruzione europea. 731 732 Il 23 aprile 2015 il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato il Consiglio europeo straordinario al fine di concordare soluzioni immediate per affrontare la situazione del Mediterraneo. Il Consiglio ha adottato la “Dichiarazione finale del Consiglio europeo straordinario” con la previsione di un rafforzamento della presenza in mare, potenziando le operazioni dell’UE Triton e Poseidon, per il pattugliamento delle coste e la protezione delle frontiere marittime, triplicando le risorse finanziarie a tale scopo nel 2015 e 2016 e incrementando il numero di mezzi, al fine di aumentare le possibilità di ricerca e salvataggio nell’ambito del mandato Frontex, cfr. https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/913218/index.html? stampa=si&part=dossier_dossier1-sezione_sezione3. Con l’operazione Triton si è data risposta alla richiesta di aiuto dell’Italia che più e più volte ha chiesto un intervento dell’Unione. Nel Consiglio di Lussemburgo, il 2 ottobre 2014, è stato redatto un documento finale, da Estonia, Polonia, Germania, Regno Unito, Italia, Finlandia, Francia, Malta, Olanda, Portogallo, Spagna, Austria, Belgio, Romania, Slovenia, Svezia, Svizzera, con il quale è stata stabilita la gestione rinforzata delle frontiere esterne, con esplicito riferimento al Mediterraneo centrale, area in cui si ritiene necessario l’avvio dell’operazione congiunta Triton. In coincidenza dell’avvio di tale operazione è prevista la conclusione della missione italiana Mare-nostrum. Il primo novembre 2014 ha inizio così Triton, che si differenzia da Mare nostrum, prima di tutto per essere un’operazione europea e non italiana, si tratta infatti di una missione messa in atto dall’Agenzia europea delle frontiere. Gli elementi che differenziano la nuova operazione dalla precedente missione sono diversi, infatti obiettivo primo di Triton non è tanto salvare vite in mare quanto salvaguardare e tutelare i confini, naturalmente nei casi di emergenza e necessità vengono attuate operazioni SAR, al contrario nell’operazione Mare nostrum, la salvaguardia delle vite umane rappresentava il focus centrale. La scelta di avviare una missione più improntata alla salvaguardia delle frontiere che alla salvaguardia delle vite umane deriva dalla volontà dell’Unione di evitare che gli interventi di search and rescue si trasformino in fattori di attrazione, in pull factor per i migranti che, consci della possibilità di ricevere soccorsi, possono essere spinti ad intraprendere il viaggio sulle precarie imbarcazioni. Altre differenze si riscontrano nel budget che è pari a circa 2,9 milioni di euro al mese, ma anche nel raggio d’azione delle due operazioni, Mare nostrum aveva infatti un raggio d’azione che si estendeva a ridosso delle coste libiche, mentre ha un raggio d’azione ben più limitato estendendosi soltanto entro 30 miglia dalle coste italiane. La prima ha la finalità di prevenire sbarchi diretti, ovvero l’arrivo dei barconi direttamente sulle coste italiane; la fase marittima quindi prevede il pattugliamento finalizzato all’intercettazione dei migranti, la presa in carico degli stessi e lo sbarco sul territorio italiano che prevede delle precise modalità di identificazione. E’ bene ricordare che, durante le fasi di pattugliamento, sulle navi utilizzate dall’Agenzia, è necessaria la presenza di un Ufficiale di collegamento italiano che svolge l’importante funzione di coordinare le operazioni ed aiutare la Frontex ed i suoi esperti nel rispetto della legislazione italiana. Alla componente marittima segue quella terrestre la quale prevede innanzitutto la fase di screening, durante la quale esperti dell’Agenzia, coadiuvati da un mediatore culturale, svolgono interviste ai migranti atte ad individuare la nazionalità degli stessi. Le interviste si svolgono attraverso la formulazione di domande su personaggi famosi, cibi tipici, politica e tipici dei paesi di cui il migrante dichiara la nazionalità al fine di verificare se realmente il soggetto proviene da quel paese. I migranti sono sottoposti alle interviste quando non sono in possesso di documenti identificativi e questo accade nella maggior parte dei casi; quella piccola percentuale di migranti che, invece, approda sul territorio italiano con un documento viene ricondotto presso un Advanced level document officer (ALDO) , il quale si occupa di esaminare l’autenticità dei documenti. Conclusa la fase identificativa, si avvia la fase di debriefing, un incontro volontario ed anonimo che permette agli esperti Frontex di raccogliere informazioni fondamentali per l’analisi dei rischi, come ad esempio le rotte seguite dai barconi, i soldi, chiesti dalle organizzazioni criminali, per il viaggio ecc.., le dichiarazioni rilasciate dai migranti, nel corso di questa fase, non influiscono ne positivamente ne negativamente sulla domanda di asilo posta dallo stesso perché fornite appunto in modo anonimo. Durante il debriefing possono emergere informazioni che gli esperti dell’Agenzia possono ritenere fondamentali per le autorità locali e in questo caso informano le stesse e le mettono in contatto con il migrante. Il potenziamento dell’operazione prevede prima di tutto una modifica dell’area di intervento che viene estesa fino a 138 miglia nautiche, rispetto alle 30 miglia previste nella precedente fase; la modifica è attuata in risposta alle nuove tecniche poste in essere nell’ultimo periodo dalle organizzazioni criminali che, mentre in passato organizzavano i barconi in modo tale che potessero raggiungere le coste di Lampedusa, adesso sovraccaricano i barconi e chiamano i soccorsi quando ancora i barconi si trovano a ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 254 AmbienteDiritto - Editore© Lungi dal rappresentare la soluzione alle complessità sommariamente descritte l’evoluzione di Frontex nella nuova agenzia “European Border and Coast Guard”, può apportare un significativo miglioramento in tal senso, ha infatti agevolato la cooperazione tra gli Stati membri, attraverso l’armonizzazione delle procedure attuate nel corso delle operazioni ed il coordinamento degli aiuti. Anche se la mancanza di mezzi propri della Frontex il che si traduce in un sistema di dipendenza dalle offerte di aiuto degli Stati membri che costituisce un freno alle potenzialità dell’Agenzia stessa. In questo senso va infine ricordato che il Parlamento europeo 17 aprile 2019 ha adottato la Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga l'azione comune n. 98/700/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio734. Ma occorre ancor più rafforzare la collaborazione tra i paesi membri, il ruolo dell’Agenzia spesso non viene adeguatamente riconosciuto dalle autorità locali che ospitano le operazioni e, soprattutto, la cooperazione con i Paesi terzi735. L’Europa potrà sopravvivere alle spinte centrifughe e distruttive che l’attraversano e per certi versi la dilaniano (a partire dalla c.d. Brexit) soltanto offrendo di se una prospettiva di un’istituzione decidente, capace di comporre le posizioni spesso confliggenti degli Stati membri soltanto ritrovando gli impegni che ne costituiscono le radici e che all’inizio si sono richiamate con le parole di Schuman, offrendo un surplus di efficienza e democrazia. In attesa della necessaria riforma del Regolamento di Dublino la Dichiarazione comune di intenti relativa a una procedura di emergenza controllata736 adottata a Malta nel settembre 2019 segna un passo avanti significativo nel senso di coniugare l’impegno alla tutela delle frontiere ma anche il rispetto dei diritti umani. Essa sottolinea l'impegno, su base volontaria, per gli Stati membri che vorranno aderirvi, a istituire un meccanismo temporaneo di solidarietà prevedibile ed efficiente, la rotazione di porti di sbarco alternativi e su base volontaria, l'introduzione di un meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo tra Stati membri. Mentre rimane centrale la necessità di monitorare attentamente le rotte migratorie attuali e nuove verso l'Europa, e di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione dell'UE (compresi incentivi positivi e negativi nella politica commerciale, di sviluppo e dei visti) per rendere più efficace la politica di rimpatrio, e potenziando gli sforzi e le risorse per il reinserimento dei migranti rimpatriati. L’obiettivo rimane chiaro ed imprescindibile, a partire dal rafforzamento dell'Agenzia europea delle guardie costiera e di frontiera nel sostegno agli Stati membri per il controllo delle frontiere e il rimpatrio dei migranti irregolari: costruire una vera politica europea comune in materia di migrazione. 733 734 735 736 poche miglia dalle coste libiche, in tal modo riescono a far partire più persone, quindi a guadagnare di più, e a far spingere le navi nelle acque libiche. Il potenziamento, inoltre, prevede una bilancio di 18.250.000 euro, 150 milioni di euro erogati all’Italia per il Fondo sicurezza interna per le frontiere e 13,7 milioni di euro in finanziamenti di emergenza per i richiedenti asilo ed i rifugiati. In tal senso, da ultimo, F. ATTINÀ, Building management in the midst of the crisis: EU up ‘against’ the migrants, in La cittadinanza europea, 1-2016, 43 e ss. Presentata dalla Commissione europea nel settembre del 2018, la proposta di regolamento COM(2018)631 mira a potenziare il sistema della Guardia di frontiera e costiera europea, tra l'altro, dotando Frontex di un corpo permanente di 10 mila unità operative abilitate a svolgere compiti che implicano competenze esecutive. Il regolamento rafforza inoltre il mandato dell'Agenzia prevedendo un suo maggior coinvolgimento nel sostegno alle procedure di rimpatrio effettuate dagli Stati membri e nella cooperazione con i Paesi terzi interessati (COM(2018)0631 – C8-0406/2018 – 2018/0330A(COD)), in https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2019-0415_IT.pdf?redirect Sulla necessità di un approccio di governance multilivello delle politiche di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati cfr. S. PIATTONI, The Theory of multi-level governance. Conceptual, empiri-cal and normative challenges, Oxford, 2010. Sottoscritta da Germania, Francia, Italia, Malta ed alla presenza della Presidenza finlandese del Consiglio dell'UE e della Commissione europea, consultabile in http://www.istitutodegasperi-emilia-romagna.it/pdf-mail/428_30092019a2.pdf ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 255 AmbienteDiritto - Editore© Collaborazione con AMBIENTEDIRITTO.IT – Rivista Giuridica La rivista è aperta, in particolare, ad accademici, a studiosi ed esperti delle discipline giuridiche; la collaborazione con AMBIENTEDIRITTO.IT è gratuita e volontaria. Può consistere nell’invio di testi e/ o di documentazione giuridica (sentenze, ordinanze etc.). Gli scritti e quant’altro inviato, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. Le proposte di collaborazione, per l’espletamento della procedura di valutazione, possono essere sottoposte alla redazione di AD a questo indirizzo E-mail: rivista @ ambientediritto.it. I riferimenti agli autori dei lavori pubblicati (articoli, commenti, interventi…) saranno citati all’interno del testo ed in una pagina appositamente creata. E’ inoltre possibile, previo accordo, creare e gestire nuove sezioni del Portale. L’esubero di nuove informazioni continuamente prodotte ed acquisite determina un istintivo atteggiamento collettivo di difesa, come segnalano la frantumazione dei linguaggi scientifici in un gran numero di settori e sottosettori spesso scarsamente comunicanti e, nel più vasto riferimento sociale, una cultura sempre più frammentata in tanti interessi particolari e quasi mai tesa alla ricerca con prospettive globali. La cultura fortemente frammentata e accelerata è sfociata sul piano intellettuale e su quello sociale nel senso dell’effimero, è diventata cultura dell’effimero e ha aumentato l’incapacità di creare sintesi come risposte ai problemi giuridici, sociali e del diritto. Occorre articolare collegamenti e interdipendenze capaci di mettere in relazione e valorizzare a pieno tutta la ricchezza, la fecondità e la capacità autoprogettuale di ogni singola disciplina e sottodisciplina. Occorre una ricerca ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 256 AmbienteDiritto - Editore© interdisciplinare che sia ricerca di globalità come ricerca di relazione fra diversi frammenti e quindi come ricerca di orizzonti di significati. Una comunicazione “certificata del diritto” è il tentativo complesso di localizzare nella storia l’istante dell’originalità primitiva, di indicare lo stadio larvale di ciò che verrà. Le nostre difficoltà, ovviamente, non alla sola effimera modernità sono imputabili: arduo è imparare a farsi esperti, a vivere. AMBIENTEDIRITTO.it - EDITORE©® ^ Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it - ISSN 1974 - 9562 - Anno XX - Fascicolo 1/2020 257