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2019 ANNO XLVIII BOLLETTINO STORICO VERCELLESE 93 SOCIETÀ STORICA VERCELLESE 2019 BOLLETTINO STORICO VERCELLESE ISSN 0391-4550 Autorizzazione del Tribunale di Vercelli, n. 152 del 20 settembre 1972. Gli autori sono i soli responsabili dei contenuti e delle opinioni espresse nei rispettivi saggi. Proprietà riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, del contenuto senza autorizzazione. 2 SOMMARIO Carlo Giraudi Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese. considerazioni sulla strada romana Ticinum-Augusta Taurinorum ..................pag. 5 Gianluca del Monaco Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna: le Decretales e le Institutiones della Biblioteca Capitolare di Vercelli ..............pag. Simone Riccardi Il coltello eucaristico di Guala Bicchieri in un dipinto del Cinquecento in San Sebastiano a Biella ..................................................................................pag. 51 Costantino Gilardi ‘Ut elegantiori architectura instauretur’. La fabbrica di Oropa (1600-1647) .....................................................................pag. 59 27 Dario Michele Salvadeo Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli: una ricognizione .................................................................................................pag. 141 Federico Zorio Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella Grande Guerra ..........................................................................................pag. 169 Giovanni Ferraris Prarolo una terra strappata alla Sesia: interroghiamo i toponimi ....................pag. 233 BRICIOLE Chi ha paura del lupo cattivo? (P. Mazzone) .................................................pag. 273 Restaurata la chiesa della Resurrezione di Crescentino (M. Ogliaro) ...........pag. 281 RECENSIONI E SEGNALAZIONI ..................................................................pag. 287 SPECIALE 800 ANNI DELL’ABBAZIA DI S. ANDREA ...............................pag. 319 VITA DELLA SOCIETÀ STORICA La Società Storica Vercellese sempre più tecnologica ........................................pag. 323 Presentati gli Atti Ordinare il mondo. Diagrammi e simboli nelle pergamene di Vercelli ...............pag. 324 Presentato il Bollettino Storico Vercellese n. 92. Conferenza di Flavio Quaranta su Carlo Salamano (1891-1969) .....................pag. 326 Assemblea Sociale a Gattinara ...........................................................................pag. Scambio di pubblicazioni tra la Società Storica e la Società di Studi Valdesi ................................................................................pag. Ricordo di Giorgio Giordano ..............................................................................pag. Maurizio Cassetti ................................................................................................pag. Antonio Corona ...................................................................................................pag. 3 327 333 335 339 339 Carlo Giraudi TRE MILLENNI DI VARIAZIONI FLUVIALI NEL BASSO VERCELLESE E NEL CASALESE. CONSIDERAZIONI SULLA STRADA ROMANA TICINUM-AUGUSTA TAURINORUM Introduzione La crescente specializzazione che caratterizza l’evoluzione degli studi geologici, archeologici e storici ha ormai raggiunto un punto tale da rendere molto difficile, agli specialisti delle tre discipline, la comprensione dei dati e delle interpretazioni necessari per impostare ragionamenti di carattere interdisciplinare. Ne risulta, forzatamente, una mancanza di reale integrazione tra i dati. La mancanza di integrazione tra i dati, vista dalla parte dell’Autore, geologo, specialista di Quaternario e Geomorfologia, è particolarmente evidente quando archeologi e storici discutono sulle variazioni del paesaggio fisico, su insediamenti antichi, strade, ecc. Con rare, lodevoli eccezioni, la posizione dei fiumi nel periodo protostorico e storico, viene considerata coincidente con quella dei fiumi attuali, anche se tutti sanno, attraverso l’esame della cartografia a partire dal XV secolo, che le variazioni fluviali, sia naturali che innescate dagli interventi umani, sono state molte ed importanti. È ricorrente anche l’uso di considerazioni sulla navigabilità dei fiumi e sul rischio di alluvioni in alcune aree, per lo più basate sul regime idrologico dei fiumi attuali, quando ormai è arcinoto che le variazioni climatiche e l’impatto antropico rendono improbabile una corrispondenza tra la situazione attuale e quella passata e che le fluttuazioni climatiche hanno modificato di continuo il regime idrologico dei corsi d’acqua. I dati per verificare la posizione dei fiumi nei tempi antichi solo in rari casi sono a disposizione, ma la lettura delle carte geologiche fornisce indicazioni circa le fasce di territorio entro le quali i fiumi sono migrati in determinati periodi, suggerendo, a chi sa capire, il verificarsi di cambiamenti di alveo più o meno importanti. Naturalmente, lavori recenti dettagliati e cronologicamente meglio inquadrati rispetto alle ormai superate, ma sempre citate, Carte Geologiche a scala 1:100.000 degli anni ‘60 del XX secolo, forniscono indicazioni più puntuali sulle migrazioni fluviali ma, essendo destinati ad una lettura prevalentemente geologica e pubblicati su riviste specializzate, generalmente in inglese, sono caratterizzati da una terminologia geologica e geomorfologica sempre meno comprensibile agli studiosi di altre discipline. 5 Carlo Giraudi Per rimediare alla sempre maggiore difficoltà di comprensione tra specialisti geologi, archeologi e storici, occorrono quindi lavori di sintesi dei dati delle diverse discipline, che, seppure rigorosi, presentino solo gli argomenti essenziali in maniera da renderne comprensibili i contenuti agli studiosi di diversa formazione. L’invito del Presidente della Società Storica Vercellese a scrivere un articolo, sintetico e leggibile da tutti, sulle variazioni fluviali nel basso Vercellese e sulla loro influenza sul popolamento della zona, è stato stimolante, spingendomi ad illustrare i dati in modo chiaro al fine di permetterne una vasta comprensione e, di conseguenza, di favorire l’uso interdisciplinare dei dati. In particolare, nel presente lavoro verranno illustrate e inquadrate cronologicamente le migrazioni della Dora Baltea e del Po e l’evoluzione di quella parte di pianura percorsa da corsi d’acqua locali che hanno preso il posto dei grandi fiumi alpini quando questi hanno cambiato alveo. Il presente lavoro presenterà solo i risultati e non ci sarà discussione dei dati perché questi sono tratti da una recente ricerca specialistica1 pubblicata su una rivista internazionale (“The Holocene”). Su tale pubblicazione i dati sono largamente presentati e discussi e se qualcuno è interessato potrà fare riferimento al suddetto articolo. La situazione geologica del Basso Vercellese e le variazioni fluviali La zona compresa tra la confluenza nel fiume Po della Dora Baltea (ad Ovest) e della Sesia (ad Est) è costituita da sedimenti fluviali e fluvioglaciali che formano una serie di terrazzi di varia età che possono essere interpretati per ricostruire la successione dei principali eventi deposizionali ed erosivi avvenuti nel recente passato geologico (fig. 1). Nel presente lavoro verrà trascurata la discussione degli elementi morfologici e delle successioni stratigrafiche più antiche, al fine di concentrare l’attenzione sulle variazioni morfologiche e fluviali avvenute negli ultimi tre millenni. L’evoluzione fluviale e i periodi caratterizzati da alluvioni ricorrenti indicati dalla stratigrafia dei sedimenti e dalla morfologia nell’area studiata, sono stati registrati anche in altre zone dell’Italia Settentrionale. La coincidenza cronologica tra fasi alluvionali e avanzate glaciali sulle Alpi, ha permesso di stabilire che il regime dei fiumi Dora Baltea e Po sono stati fortemente condizionati dalle variazioni climatiche. Lo studio dettagliato dell’evoluzione geologica del territorio del basso Vercellese e del Casalese è stato basato su rilievi di campagna, interpretazione di fotografie aeree, stratigrafia dei sedimenti, datati col metodo del radiocarbonio, e sulla presenza di insediamenti archeologici e di manufatti di varia età. 1 6 Giraudi 2019. 7 Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese Fig. 1 - Area indagata nel presente studio compresa tra Dora Baltea, Sesia e Po - Colline del Monferrato. In figura sono rappresentati solo quei tratti di reticolo idrografico locale dove i corsi d’acqua hanno conservato un aspetto naturale. Carlo Giraudi Le fotografie aeree utilizzate sono quelle del Volo GAI 1954 dell’Aeronautica Militare. Le immagini del 1954, sebbene abbiano una minore risoluzione rispetto a quelle aeree e satellitari attuali, ci mostrano un ambiente molto meno influenzato dall’impatto antropico e registrano quindi dettagli morfologici del paesaggio che in seguito sono scomparsi. Nei secoli di coltivazione risicola, ma ancora nelle immagini del 1954, gli spianamenti necessari per la coltivazione delle risaie erano necessariamente limitati a causa della prevalenza dei lavori manuali e dell’assenza di macchine di elevata potenza. Per tale motivo anche gli elementi morfologici minori (bassi terrazzi e piccole scarpate) presenti nel territorio potevano condizionare la forma e l’estensione delle risaie. Attualmente, il territorio mostra un impatto antropico molto maggiore e i potenti mezzi meccanici utilizzati hanno permesso di ampliare le superficie delle singole risaie inglobandone diverse di piccole dimensioni, eliminando o rendendo quasi irriconoscibili gli elementi morfologici minori. La tecnologia attuale, sebbene permetta una risoluzione nettamente superiore rispetto alle immagini del 1954, non può mostrarci i dettagli di un paesaggio scomparso a causa dell’impatto antropico. I corsi d’acqua minori ed i canali non sono stati interamente disegnati nelle figure perché è quasi impossibile rappresentare l’intera rete di canali alla scala adottata. Si è scelto quindi di rappresentare quelle parti dei corsi d’acqua che mostrano ancora andamenti naturali degli alvei (curve grandi e piccole, meandri a piccola e grande scala) e che quindi non possono essere confusi con i corsi d’acqua artificiali caratterizzati per lo più da tratti rettilinei o blandamente curvi. In fig. 1 sono riportati, oltre ai fiumi Dora Baltea e Po, anche i tratti non antropizzati delle rogge Stura e Cornasso e dei corsi d’acqua loro affluenti. I terrazzi fluviali La zona oggetto di studio è costituita da una successione di 9 terrazzi fluviali e fluvioglaciali (denominati con lettere da A, il più antico, ad I, il più recente) di età compresa tra circa 20.000 anni e l’attuale (figg. 2A, 2B, 2C)2 formati dai fiumi Dora Baltea e Po3. In particolare, I terrazzi più elevati (A, B, C, nelle figg. 2A, 2B, 2C) sono formati da sedimenti fluvioglaciali deposti dalla Dora Baltea mentre gli altri (D, E, F, G, H, I) sono stati deposti dai fiumi dopo la fine dell’ultima glaciazione. Nella figura sono citati i termini Pleistocene e Olocene, che indicano le epoche che formano il Quaternario. Il Pleistocene si divide in Inferiore (2,5 - 0,781 milioni di anni), Medio (780.000 - 126.000 anni) e Superiore (126.000 - 11.700 anni). L’Olocene è l’epoca che va da 11.700 anni fa all’attuale.” 3 Montrasio 1969; Dela Pierre 2003a; Dela Pierre 2003b; Giraudi 2014; Giraudi 2019. 2 8 Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese Le scarpate che separano i terrazzi C, D, E, F, G e H sono sempre piuttosto basse, generalmente inferiori a 1- 1,5 m. Le scarpate più evidenti sono presenti dall’area ad Ovest di Fontanetto Po alla zona compresa tra Palazzolo Vercellese e Trino. Ad Est di Trino le scarpate diventano quasi impercettibili ma diventano più evidenti verso l’estremità orientale dell’area in studio. Solo le scarpate che separano i due terrazzi più recenti (H e I) sono particolarmente evidenti in corrispondenza di curve fluviali attuali o dei meandri abbandonati e possono raggiungere l’altezza di 3-4 m o più. Terrazzi A, B, C Questi sono i più alti terrazzi (riportati nelle figg. 2A, 2B, 2C) e formano il limite settentrionale dell’area studiata. Il terrazzo A ha origine fluvioglaciale ed è correlato alle morene dell’anfiteatro morenico di Ivrea databili a circa 21.000 anni fa4. Il terrazzo B è invece il risultato della incisione del precedente terrazzo ad opera dei corsi d’acqua locali5. Anche il terrazzo C ha origine fluvioglaciale ed è collegato alle fasi di ritiro del ghiacciaio della Valle d’Aosta. Terrazzo D Il terrazzo D, è presente solo nella porzione centrale dell’area (fig. 2B) ed è rappresentato da alcune superfici discontinue, isolate tra terrazzi più recenti. La sua quota sommitale è solo leggermente inferiore a quella del terrazzo C. I sedimenti che formano il terrazzo hanno età non ben definita, ma sono successivi all’Ultimo Massimo Glaciale e sono più antichi della necropoli dell’Età del Bronzo di Pobietto6 che si sviluppa su tale terrazzo. Terrazzo E Il terrazzo occupa per lo più la lunga e stretta depressione che separa I terrazzi C e D (figg. 2A, 2B, 2C) nella porzione centrale dell’area e poi si allarga verso Est, ma è presente anche ad Est di Morano Po e presso Palazzolo Vercellese. La superficie sommitale del terrazzo si è formata nel corso del I millennio a.C. poiché i sedimenti sommitali coprono manufatti della media e tarda Età del Bronzo (XIV-XIII secolo a.C.)7 e sul terrazzo sono presenti insediamenti databili al I-II secolo d.C. La morfologia del terrazzo indica che esso fu modellato dalla Dora Baltea. 4 5 6 7 Gianotti 2008; Giraudi 2014. Giraudi 2014. Venturino Gambari - Perotto 1996; Venturino Gambari 2006. Gambari 1989. 9 Carlo Giraudi Terrazzo F Il terrazzo costituisce parte dell’area compresa tra Crescentino e Palazzolo Vercellese, a SW del terrazzo D (fig. 2A). La superficie sommitale del terrazzo si è formata dopo il I secolo d.C., coprendo deposti alluvionali più antichi sui quali sono stati rinvenute necropoli del I secolo a.C. e I secolo d.C.8. La morfologia indica che il terrazzo F fu modellato dalla Dora Baltea. Terrazzo G Il terrazzo si estende dalla zona di Crescentino fino alla estremità orientale dell’area (figg. 2A, 2B, 2C) e forma una striscia parallela al Po; e il suo modellamento può essere attribuito allo stesso corso d’acqua. Il terrazzo si è formato nell’Alto Medioevo. Terrazzo H Il terrazzo non è molto esteso ed è costituito da una serie di alvei abbandonati incisi nel terrazzo G. Il terrazzo è databile al Medioevo. Terrazzo I Il terrazzo è il più recente, è molto esteso, e corre parallelo agli alvei della Dora Baltea e del Po. I depositi che formano la superficie del terrazzo coprono palificazioni databili tra XIII e XVI secolo9. Il terrazzo I comprende tutta la fascia interessata dalle variazioni fluviali deducibili dalla cartografia storica a partire dal XVI-XVII secolo10. Tuttavia occorre segnalare un dato di estremo interesse: i sedimenti che formano il terrazzo I, in qualche località al piede delle colline del Monferrato, appoggiano su depositi più antichi che, a loro volta, coprono il substrato marino terziario che forma le colline. A Sud di Palazzolo Vercellese, a Nord di Camino, a Ovest di Morano e a Nord di Coniolo, alla base dei sedimenti alluvionali o appoggiati sul substrato marino, sono stati rinvenuti manufatti attribuibili all’Età del Bronzo Antico, Medio e Recente11. La correlazione tra i terrazzi suggerisce che nel corso dell’Età del Bronzo o del Ferro, la confluenza della Dora Baltea nel Po sia variata nel tempo, poiché i terrazzi formati dai due fiumi si collegano nella zona tra Casale Popolo e Villanova Monferrato e nella zona a Nord di Morano Po (figg. 2B, 2C). È possibile che, in qualche periodo del II e I millennio a.C. i due fiumi confluissero anche tra Palazzolo 8 9 10 11 10 La Rocca 2000. Fozzati - Giraudi 1983; Giraudi 1998. Crosio - Ferrarotti 1996, nelle tavole fuori testo. Viale 1971, p. 8 e relative schede; Janigro d’Acquino 1989; Facchin 1997; Giraudi 2014. Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese Vercellese e Trino e che anche il Po defluisse a Nord di Trino, verso Balzola e Villanova Monferrato (fig. 2B). Per tale motivo non può essere considerato certo che la necropoli dell’Età del Bronzo di Pobietto fosse ubicata nelle vicinanze del fiume. Morfologia ed età degli alvei che incidono i terrazzi L’esame dettagliato delle morfologie, altrimenti poco evidenti, mostrate dalla geometria delle risaie, ha permesso di stabilire che la superficie dei terrazzi, ad eccezione dei due più antichi, conserva ancora tracce degli alvei fluviali che li hanno modellati. Alcuni di tali paleoalvei sono già stati segnalati12. Le morfologie riconducibili ai paleoalvei consistono in depressioni appena percettibili di forma stretta ed allungata, generalmente in direzione Ovest-Est, di lunghezza variabile tra 1.2 e 12-13 km (figg. 2A, 2B, 2C). L’andamento di alcune depressioni mostra la presenza di curve ad ampio raggio prodotte da alvei con andamento meandriforme. È in tali depressioni che scorrono i corsi d’acqua locali di origine naturale che fanno parte dei bacini delle Rogge Stura e Cornasso. La presenza di una complessa serie di alvei abbandonati, che isolano alcune porzioni dei terrazzi, suggerisce che nel passato i fiumi fossero costituiti da alvei multipli inglobanti isole fluviali, del tutto simili a quelli rappresentati nella cartografia storica. I resti degli antichi alvei sono incisi nei terrazzi da C ad I (figg. 2A, 2B, 2C), ma ai fini del presente lavoro verranno discussi solo quelli che incidono i terrazzi databili agli ultimi 3000 anni. Gli antichi alvei che incidono il terrazzo E sono lunghi vari chilometri e presentano una considerevole continuità: in base alla loro provenienza e direzione, si deduce che essi furono incisi dalla Dora Baltea. In genere l’insieme delle incisioni forma un reticolo complesso. Solo nella zona appena ad Est di Trino il numero di alvei si riduce a due. La Roggia Stura ed i suoi affluenti naturali scorrono tutti all’interno delle depressioni lasciate dai paleoalvei. Nell’area a Est di Balzola ed a Nord di Morano Po, gli antichi alvei della Dora Baltea si uniscono ad altre depressioni di maggiori dimensioni corrispondenti a paleoalvei del Po. In base alla stratigrafia ed alla datazione dei sedimenti che riempiono parzialmente gli alvei abbandonati, è stato possibile stabilire che fino al II-I secolo a.C. la Dora Baltea scorreva a Nord di Fontanetto Po, Palazzolo Vercellese e Trino fino alla zona di Balzola e Villanova Monferrato, dove confluiva nel Po. La stratigrafia ha indicato anche che l’alveo era inciso di almeno 3,5 - 4 m rispetto alla superficie del terrazzo E. 12 Dela Pierre 2003a; Dela Pierre 2003b; Giraudi 2014. 11 Carlo Giraudi L’area archeologica di San Michele a Trino13 doveva sorgere ai margini di uno degli alvei abbandonati dalla Dora Baltea, molto probabilmente su una piccola isola fluviale. L’insediamento deve essere iniziato dopo l’abbandono dell’alveo fluviale: in caso contrario il sito sarebbe stato soggetto alle piene annuali del fiume, quindi inabitabile. Gli antichi alvei che incidono il terrazzo F mostrano continuità dall’area di Crescentino a Palazzolo Vercellese e la loro direzione prevalente è Ovest - Est e NO - SE e sono attribuibili alla Dora Baltea (fig. 2A). Nella zona di Palazzolo Vercellese, uno degli alvei abbandonati dalla Dora Baltea confluisce in un evidente paleoalveo del Po che continua verso Trino. In base alla stratigrafia ed all’inquadramento cronologico, i paleoalvei che incidono il terrazzo F sono databili tra il I e il V secolo d.C. Gli antichi alvei che incidono il terrazzo G iniziano a Nord della attuale confluenza tra la Dora Baltea ed il Po e scorrono da ONO a ESE e da Ovest a Est e appartengono alla Dora Baltea, mentre alcuni alvei abbandonati presenti a Sud e SE di Crescentino sono del Po. A partire da Palazzolo Vercellese e Trino, sono riconoscibili alcuni paleoalvei che continuano fino al margine orientale dell’area studiata. I più recenti tra questi si seguono verso Ovest fino a Crescentino. Alcune date radiocarbonio su resti di tronchi venuti alla luce in cave poste nell’area di Terranova, indicano che i paleoalvei che incidono il terrazzo G sono databili tra VI e IX secolo d.C.14 e che il terrazzo deve essersi formato nell’Alto Medioevo. Un tratto di meandro abbandonato del Po a Sud di Trino, veniva ancora indicato come “lacus” in documenti del XII-XIII secolo15, anche se il lago non esisteva più: si può quindi pensare che fino a quel periodo sia rimasto il ricordo di una “lanca” di età altomedioevale. Gli antichi alvei che incidono il terrazzo H, essendo successivi a quelli del terrazzo G, sono più recenti del IX secolo d.C. In base ai dati storici16 alcuni alvei presso Palazzolo Vercellese e Trino, erano ancora attivi nel XIII secolo. I paleoalvei che incidono il terrazzo H sono quindi databili tra il IX e il XIII secolo. Verso la fine del XV secolo17 cominciò l’ultima forte migrazione verso Ovest della confluenza della Dora Baltea nel Po. Gli antichi alvei collegati al terrazzo I corrispondono a canali ed alvei ben rappreNegro Ponzi Mancini 1999. Charrier - Peretti 1977; Tropeano - Olive 1989a; Tropeano - Olive 1989b. 15 Negro Ponzi Mancini 1999, vol. I, p. 39 fig. 3, dove il lachum Pobleti è altro da quello dei secoli XII-XIII; Pistan 2003, pp. 210-211, 220, 329, Tab. 6 a p. 340 (lacus) e Tab. 8 a p. 331 (lachum Pobleti). 16 Pistan 2003, pp. 220-226. 17 Ogliaro 1976, pp. 42-47. 13 14 12 Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese sentati nella cartografia datata dal XVI al XIX secolo e le variazioni di alveo sono state discusse in altri lavori18. La morfologia del territorio in età romana e altomedioevale Gli antichi alvei abbandonati che incidono i terrazzi E ed F sono quasi totalmente riempiti da sedimenti sabbiosi, limosi e argillosi deposti dai corsi d’acqua locali, che possono raggiungere spessori di 4 m. Ciò indica che i paleoalvei erano incisi di almeno 4 m rispetto alla superficie dei due terrazzi. La porzione di territorio non direttamente bagnata dalla Dora Baltea e dal Po, dal I secolo a.C. fino all’Alto Medioevo, era caratterizzata dalla presenza di terrazzi discontinui separati da incisioni profonde 4 metri o più nelle quali scorrevano la Roggia Stura ed i corsi d’acqua naturali suoi affluenti. L’aspetto della pianura era, quindi, molto meno pianeggiante di quello attuale (fig. 3). La presenza di molti paleoalvei favoriva il deflusso delle acque anche durante i grandi eventi alluvionali. Le superfici dei terrazzi, sulle quali erano presenti insediamenti e strade, non venivano perciò raggiunte dalle acque nemmeno nel caso di forti alluvioni. Nel corso del tempo i sedimenti fini trasportati dai corsi d’acqua locali colmarono quasi totalmente gli antichi paleoalvei, rendendo la morfologia molto più uniforme e togliendo alle depressioni colmate una gran parte della capacità di smaltimento delle acque alluvionali. A partire dall’Alto Medioevo, in corrispondenza di una fase climatica che favoriva i grandi eventi alluvionali, divennero soggette ad allagamento anche 3 - Confronto tra la morfologia attuale e quella del periodo le superfici dei terrazzi D, Fig. romano. Nel disegno, schematico e non in scala, vi è una forte E, che prima non lo erano, esagerazione verticale per rendere più evidenti le differenze. 18 Crosio - Ferrarotti 1996. 13 Carlo Giraudi e quindi anche gli insediamenti presenti su tali terrazzi furono a rischio di alluvioni. Tuttavia, nel periodo compreso tra il X e l’inizio del XIII secolo, in corrispondenza di una fase climatica caratterizzata da precipitazioni regolari e dalla quasi totale assenza di alluvioni, i suddetti terrazzi ritornarono ad essere sicuri dal punto di vista idraulico e su queste superfici si svilupparono o furono fondati i vari insediamenti medioevali. Tuttavia alcuni degli insediamenti furono nuovamente soggetti ad alluvioni in seguito al cambiamento climatico che ebbe luogo a partire dal XIV-XV secolo. Sintesi delle variazioni fluviali Lo studio morfologico di dettaglio del Basso Vercellese mostra chiaramente che nel corso degli ultimi tre millenni sono avvenuti notevoli cambiamenti nel corso dei fiumi Dora Baltea e Po. L’inquadramento cronologico delle variazioni fluviali, abbastanza preciso a partire dal I-II secolo d.C., è invece approssimato per il periodo del II-I secolo a.C. e precedente. Le variazioni di alveo possono essere così sintetizzate. - Nel corso di periodi non ben determinati dell’Età del Bronzo e del Ferro, la confluenza della Dora Baltea nel Po è avvenuta nella zona tra Casale Popolo e Villanova Monferrato, a Nord di Morano e, probabilmente, tra Palazzolo Vercellese e Trino (figg. 2B, 2C). - Nel corso della Età del Ferro e fino al II-I secolo a.C., la Dora Baltea scorreva in corrispondenza dell’attuale abitato di Crescentino e percorreva la depressione che si estendeva da Fontanetto Po, a N di Palazzolo Vercellese e di Trino, fino a Balzola e Villanova Monferrato, confluendo nel Po presso tale località e, successivamente, nella zona di Morano Po (fig. 4). - Nelle fasi finali del I secolo a.C. la Dora Baltea subì un notevole cambiamento di alveo, poiché, mentre ad Ovest continuava a scorrere in corrispondenza dell’attuale abitato di Crescentino, tra Crescentino e Fontanetto Po, deviò verso SE, andando a confluire nel Po nei pressi di Palazzolo Vercellese (fig. 4). - Nel periodo compreso tra il VI ed il XIII secolo, l’alveo della Dora Baltea cambiò, il fiume si posizionò appena a Sud di Crescentino e la confluenza con il Po migrò diverse volte verso Ovest, mantenendosi sempre nell’area a Sud e SO di Fontanetto Po (fig. 4). - Le variazioni fluviali del periodo successivo, rappresentate in fig. 4A derivano essenzialmente dalla cartografia storica e da dati archivistici. 14 Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese La strada Ticinum - Augusta Taurinorum e gli insediamenti Le variazioni fluviali illustrate in precedenza devono avere avuto un impatto notevole sulla occupazione e sullo sfruttamento del territorio in esame. A partire dalla migrazione verso SE della Dora Baltea databile alle fasi finali del I secolo a.C., il terrazzo E era inciso dai paleoalvei profondi 4 m o più, all’interno dei quali scorrevano i corsi d’acqua minori (Roggia Stura e suoi affluenti). La superficie di tale terrazzo (come quella del terrazzo D) non veniva raggiunta dalle acque (fig. 3) nel corso delle pur frequenti alluvioni che caratterizzarono il periodo tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C. Su tali superfici potevano quindi svilupparsi, senza rischi idrogeologici, insediamenti e strade. Avendo a disposizione i nuovi dati morfologici, si può ipotizzare che la strada romana Ticinum-Augusta Taurinorum, che secondo la bibliografia passava nell’area in studio partendo dal ponte di Mantie19, fosse ubicata, da Motta dei Conti fino a Sud di Fontanetto Po sulle zone rilevate dei terrazzi E e D. Le superfici dei terrazzi, in quel periodo non alluvionabili, corrispondono alla zona degli attuali abitati di Balzola, Trino e Palazzolo Vercellese. La strada doveva attraversare solo per brevi tratti le depressioni percorse dai corsi d’acqua locali presso Balzola e ad Est di Trino (fig. 5). La posizione della strada romana qui ipotizzata coincide sostanzialmente con le ipotesi avanzate sulla base di documentazione archeologica da vari autori20. Per quel che riguarda la porzione più occidentale dell’area, la situazione appare più complicata a causa della presenza dei molti alvei della Dora Baltea. Poiché tra I e V secolo tale fiume scorreva tra Crescentino e Fontanetto Po e nei pressi di Fontanetto Po è stato rinvenuto un tratto di strada romana diretta verso NW, appare logico ipotizzare che anche in questa zona la strada corresse sul terrazzo non inondabile, verso San Genuario e da tale località proseguisse poi verso Ovest mantenendosi a Nord di Crescentino. Quanto alla presenza degli insediamenti testimoniati dalle necropoli romane di Crescentino zona Li Galli e Madonna del Palazzo21, occorre osservare che nei primi secoli d.C. dovevano trovarsi tra l’alveo della Dora Baltea, a Nord, e del Po, a Sud. La strada romana, per raggiungere e poi passare oltre tale località, avrebbe dovuto attraversare la Dora ed un’ampia zona alluvionabile compresa tra i due fiumi alpini. Naturalmente non è detto che chi costruì la strada si sia basato solo su criteri di rischio idrogeologico, criteri dei quali aveva tenuto ben conto per il tracciato 19 20 21 Panero 2016, in particolare pp. 40-42. Banzi 1999, in particolare le carte a pp. 268-269; Negro Ponzi Mancini 1999, vol. I, pp. 36-38. La Rocca 2000. 15 Carlo Giraudi stradale più orientale, quindi la deviazione verso NO a partire da Fontanetto Po potrebbe non esserci stata. Tuttavia si può ipotizzare che la presenza di numerosi miliari a San Genuario22 non sia dovuta solo alla esistenza del monastero, e quindi di un importante centro culturale, ma che documenti la prossimità della strada. Altri miliari sono stati trovati più ad Est vale a dire a Balzola e a Trino. Come abbiamo visto, a partire dall’Alto Medioevo, in corrispondenza di una fase climatica che favoriva i grandi eventi alluvionali, divennero soggette ad allagamento anche le superfici dei terrazzi D, E, che prima non lo erano, e quindi anche gli insediamenti presenti su tali terrazzi furono a rischio di alluvioni. È probabile, quindi, che il percorso stradale sia stato danneggiato dalle alluvioni e che siano stati individuati percorsi alternativi situati in aree sicure dal punto di vista del rischio idrogeologico. Le variazioni fluviali e morfologiche furono quindi molto importanti nel condizionare lo sviluppo del Basso Vercellese sia in epoca romana che medioevale. Conclusioni Le variazioni di paesaggio e gli spostamenti dei corsi d’acqua alpini illustrati nel presente lavoro, evidenziano la forte dinamica ambientale nel periodo precedente al controllo idraulico dei corsi d’acqua. I cambiamenti di alveo e l’alternanza di fasi climatiche caratterizzate da frequenti o scarsi eventi alluvionali estremi, hanno influenzato la colonizzazione e lo sfruttamento del territorio del Basso Vercellese e verosimilmente anche la posizione della strada romana TicinumAugusta Taurinorum. L’evoluzione morfologica, ricostruita in dettaglio grazie all’analisi stratigrafica, alle datazioni ed alla morfologia delle risaie osservabile sulle immagini aeree del 1954, permette di stabilire che nei primi secoli d.C., l’area in esame era formata da lembi di terrazzi elevati di circa 4 m rispetto alle depressioni corrispondenti ai paleoalvei dei fiumi alpini e che la strada romana doveva essere situata sui terrazzi dove non poteva essere raggiunta dalle acque alluvionali. Il paesaggio cambiò a partire dall’Alto Medioevo perché le depressioni furono colmate dai sedimenti dei corsi d’acqua locali e da quelli trasportati dalle acque dei fiumi principali che le invadevano nel corso delle alluvioni. L’area sulla quale correva la strada diventò inondabile, ma solo durante periodi climatici che favorivano il verificarsi di eventi meteorologici eccezionali. I frequenti eventi alluvionali nella zona percorsa dalla strada Ticinum-Augusta Taurinorum nel periodo 22 16 Banzi 1999, ad indicem. Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese altomedioevale potrebbero avere reso inagibile il tratto che percorreva il Basso Vercellese. La sintesi finale è che la posizione dei fiumi e il rischio idrogeologico attuali non possono essere presi in considerazione, se non come dato molto generale, nel valutare i possibili itinerari antichi e nell’ipotizzare i fattori che hanno influenzato le scelte per l’ubicazione degli insediamenti antichi. 17 Fig. 2A - Morfologia di dettaglio della bassa pianura Vercellese tra Crescentino e Palazzolo Vercellese che evidenzia terrazzi e antichi alvei abbandonati. Fig. 2B - Morfologia di dettaglio della bassa pianura Vercellese e Casalese, tra Palazzolo Vercellese e Balzola, che evidenzia terrazzi e antichi alvei abbandonati. Fig. 2C - Morfologia di dettaglio della bassa pianura Vercellese e Casalese, tra Morano Po e Terranova che evidenzia terrazzi e antichi alvei abbandonati. Fig. 4 - Alvei fluviali abbandonati della Dora Baltea e del Po, loro datazione e migrazione verso Ovest della confluenza tra i due fiumi. Fig. 5 - Situazione morfologica di sintesi e possibile posizione della strada romana Ticinum - Augusta Taurinorum. Tre millenni di variazioni fluviali nel Basso Vercellese e nel Casalese Bibliografia Banzi 1999 Elena Banzi, I miliari come fonte topografica e storica. L’esempio della XI Regio (Transpadana) e delle Alpes Cottiae, Roma 1999. Charrier - Peretti 1977 Giovanni Charrier - Luigi Peretti, Ricerche sull’evoluzione del clima e dell’ambiente durante il Quaternario nel settore delle Alpi Occidentali Italiane, in “Allionia. Bollettino dell’Istituto ed Orto Botanico dell’Università di Torino”, vol. 22 (1977), pp. 157-192. Crosio - Ferrarotti 1996 Franco Crosio - Bruno Ferrarotti, Trino, gli anni del diluvio, Trino 1996. Dela Pierre 2003a F. Dela Pierre, F. Piana, P. Boano, G. Fioraso, M.G. Forno, R. Polino, P. Clari, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000, Foglio 157 “Trino”, Roma 2003. Dela Pierre 2003b F. Dela Pierre, F. Piana, P. Boano, G. Fioraso, E. Bicchi, M. G. 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Il Po cambiò più volte il suo corso, e le maggiori variazioni avvennero nella zona del Casalese. I cambiamenti di alveo e l’alternanza di fasi climatiche caratterizzate da frequenti o scarsi eventi alluvionali estremi, hanno influenzato verosimilmente anche la posizione della strada romana Ticinum-Augusta Taurinorum. Lo studio della evoluzione morfologica ha permesso di stabilire che nei primi secoli d.C. l’area in esame era formata da lembi di terrazzi elevati di circa 4 m rispetto alle depressioni corrispondenti ai paleoalvei dei fiumi alpini e che la strada romana doveva essere situata sulle superfici dei terrazzi che, al contrario del giorno d’oggi, non potevano essere raggiunte dalle acque alluvionali. Il paesaggio cambiò a partire dall’Alto Medioevo e, dopo il colmamento delle depressioni. L’area sulla quale correva la strada diventò inondabile. I frequenti eventi alluvionali nella zona percorsa dalla strada Ticinum-Augusta Taurinorum nel periodo altomedioevale potrebbero avere reso inagibile il tratto che percorreva Basso Vercellese e Casalese. La posizione dei fiumi e il rischio idrogeologico attuali, quindi, non possono essere presi in considerazione, se non come dato molto generale, nel valutare i possibili itinerari antichi e nell’ipotizzare i fattori che hanno influenzato le scelte per l’ubicazione degli insediamenti antichi. Abstract The landscape variations and the diversions of the alpine rivers highlighted in the present paper, have been produced by the strong environmental dynamics in the period before the hydraulic control of the rivers. The Dora Baltea river, until the 2nd-1st century BC, flowed from Crescentino to the area north of Fontanetto Po, Palazzolo Vercellese, Trino and Balzola and joined the Po river near Villanova Monferrato. From the end of the 1st century BC the Dora Baltea underwent a diversion that led it to flow into the Po near Palazzolo Vercellese and subsequently migrated constantly towards the west. The Po changed its course several times, and the greatest variations occurred in the area North of Casale Monferrato. The riverbed changes and the 25 Carlo Giraudi alternation of climatic phases characterized by frequent or scarce extreme alluvial events, probably also influenced the position of the Roman road Ticinum-Augusta Taurinorum. The study of morphological evolution has allowed us to establish that in the first centuries AD the area under examination was formed by strips of terraces elevated about 4 m with respect to the depressions corresponding to the abandoned river beds of the Alpine rivers and that the Roman road had to be located on the terraces which, unlike today, could not be reached by flood waters. The landscape changed from the early Middle Ages and, after the depressions were filled by sediments, the area on which the road ran became subject to floods. Frequent flood events in the area crossed by the Ticinum-Augusta Taurinorum road may have damaged or distroyed the stretch that ran along the lower Vercelli Plain. The position of the rivers and the current hydrogeological risk, therefore, cannot be taken into consideration, if not as a very general datum, in assessing the possible ancient itineraries and in hypothesizing the factors that have influenced the choices for the location of the ancient settlements. giraudic@libero.it 26 Gianluca del Monaco NUOVE RIFLESSIONI SU DUE MANOSCRITTI GIURIDICI TRECENTESCHI MINIATI A BOLOGNA: LE DECRETALES E LE INSTITUTIONES DELLA BIBLIOTECA CAPITOLARE DI VERCELLI1 Tra i manoscritti giuridici della Biblioteca Capitolare di Vercelli sono ben noti alla letteratura specialistica di ambito piemontese due codici miniati trecenteschi bolognesi delle Decretales di Gregorio IX (cod. V) e delle Institutiones di Giustiniano (cod. XIV) rispettivamente2. La pregevole decorazione dei due volumi è stata già correttamente ricondotta all’interno della miniatura bolognese del terzo decennio del Trecento3 e nel caso delle Decretales è stata individuata anche la personalità del primo miniatore4. Tuttavia, penso sia possibile proporre alcune precisazioni ulteriori sull’identità degli artisti coinvolti. Il codice V, costituito da 262 carte pergamenacee, contiene il testo delle Decretales di Gregorio IX accompagnate dalla glossa ordinaria di Bernardo da Parma in ‘littera Bononiensis’, secondo lo schema caratteristico dei ‘libri legales’ bolognesi denominato ‘glossa cum textu incluso’, dove il testo in due colonne è incorniciato dal commento5. Come ricorda un’iscrizione sul verso della seconda carta di guardia all’inizio del volume, il codice fu donato al capitolo della cattedrale di Sant’Eusebio di Vercelli dall’arcidiacono ed esperto di diritto canonico Martino ‘de Bulgaro’ nel 13506. 1 Una versione preliminare del testo di questo articolo è stata presentata al primo workshop internazionale del gruppo di ricerca ‘IUS ILLUMINATUM’ dal titolo The Illuminated Legal Manuscript: Production, Circulation and Use in Medieval Europe, tenutosi presso l’Universidade Nova de Lisboa il 20 settembre 2019. Ringrazio Maria Alessandra Bilotta per il coordinamento e l’organizzazione del workshop. 2 Sul codice V: Venturi 1904, p. 474; Catalogo 1935, pp. 106-107; Medica 1990, p. 99; Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, pp. 347-350; Rosso 2010, pp. 89-90. Sul codice XIV: Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, pp. 354-355; Rosso 2010, pp. 92-93. 3 Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, pp. 349-350, 354. 4 Medica 1990, p. 99. 5 Sulla produzione dei manoscritti giuridici miniati: L’Engle - Gibbs 2001. Sui codici delle Decretales di Gregorio IX, in particolare: Bertram 2003; Decretales 2012; Pavón Ramírez 2014b. 6 L’iscrizione è riportata integralmente in: Rosso 2010, pp. 89-90 nota 219. Il nostro codice è menzionato come parte di un’unica donazione insieme ad altri manoscritti, tra cui una copia del Liber sextus, e oggetti di oreficeria. Nel suo necrologio Martino è detto “iuris canonici peritus”. Rosso 2010, p. 90 nota 220. 27 Gianluca del Monaco La decorazione miniata principia con due miniature tabellari ampie due colonne affrontate ad apertura di pagina all’inizio del proemio e del Libro I (cc. 1v-2r) (figg. 1-2). Gli altri libri si aprono invece con una miniatura larga una sola colonna (cc. 72r, 188v, 208v) (figg. 3-5). Al principio del proemio e dei Libri dal II al V vi sono iniziali miniate con figure a volte in relazione col testo, mentre l’inizio del Libro I presenta un’iniziale ornata (c. 2v). Purtroppo manca l’inizio del Libro III, in quanto è stata asportata la carta corrispondente. Numerose lettere miniate di dimensioni minori con figure talvolta iconograficamente rilevanti segnalano l’inizio dei titoli all’interno del testo, costellato inoltre da iniziali filigranate alternativamente rosse e blu in corrispondenza dei capitoli che compongono ciascun titolo. Le iniziali filigranate sono collocate all’esterno del corpo del testo secondo un uso che appare diradarsi nella produzione dei ‘libri legales’ bolognesi intorno al 13307. Piccole lettere ornate individuano infine l’inizio dei titoli della glossa, mentre iniziali filigranate alternativamente rosse e blu i capitoli della medesima. Il dittico miniato ad apertura dell’opera (figg. 1-2) è una precoce testimonianza dell’espansione su due colonne dello schema di organizzazione figurativa che appare essere stato introdotto per la prima volta nel Palatino latino 629 (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal.lat.629, cc. 1v-2r), celebre manoscritto bolognese miniato dal Maestro della Bibbia Latina 18 insieme al Guglielmo che firma la Summa Codicis di Azzone della Bodleian Library (Oxford, Bodleian Library, MS. Holkham misc. 47), verso il 12908. Anche i soggetti delle miniature sono i medesimi del codice duecentesco, a sinistra la Presentazione delle Decretali a Gregorio IX, raffigurato al centro in trono, da parte del suo autore, il frate predicatore Raimondo di Peñafort, e la Traditio Legis a destra, iconografia filo-romana scelta come illustrazione della professione di fede con cui si apre il Libro I al posto della più comune Trinità9. Nell’iniziale G del nome del pontefice in testa all’indirizzo dell’opera agli studenti e ai docenti dello ‘Studium’ di Bologna compare un busto di profilo di un vescovo con un libro in mano, probabilmente da identificare con lo stesso Gregorio IX, mentre nell’iniziale R di “Rex pacificus”, con cui si apre il prologo vero e proprio, è raffigurato il busto frontale di un vescovo barbato, anche in questo caso da riconoscere nel papa promotore dell’opera. L’Engle 2000, p. 68. In particolare, a Guglielmo si riferiscono le carte 260v-261r con le ‘Arbores consanguinitatis et affinitatis’. Medica 2000, pp. 132-135; Gibbs 2002, pp. 201-209. Sul Maestro della Bibbia Latina 18, che ritengo preferibile mantenere distinto dalla personalità del copista Jacopino da Reggio: Medica 2004a; D’Urso 2010. Su Guglielmo, da ultimo: Medica 2019, pp. 41-44. 9 Gibbs 2002, pp. 204-205 e 208; Pavón Ramírez 2014a, pp. 96-100. 7 8 28 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Anche la miniatura in capo al Libro II (fig. 3) ripropone l’iconografia del Palatino latino 629 (c. 72r): al centro il papa in trono presiede il tribunale che giudica il vescovo Quodvultdeo, a destra, protagonista di una vicenda accaduta all’inizio del V secolo, di cui tratta il primo capitolo del primo titolo del Libro II10. Sulla sinistra il vescovo è raffigurato mentre esce di scena, avendo rifiutato di essere giudicato dal tribunale. Nell’iniziale D in basso è raffigurato un giovane uomo di profilo accovacciato nell’atto di porre la mano sinistra in avanti. Si tratta probabilmente dell’accusatore del vescovo. Il Libro IV (fig. 4), dedicato alla tematica matrimoniale, presenta una miniatura con la consegna dell’anello alla sposa, secondo la tradizione italiana di espressione del consenso tra i coniugi11. Nel capolettera sottostante è miniato il busto di un vescovo, rappresentante dell’autorità della Chiesa a garanzia del vincolo matrimoniale12. Infine, nella miniatura posta al principio del Libro V (fig. 5) è raffigurata la scena di giudizio di un vescovo, argomento del secondo capitolo del titolo I. Anche in questo caso il processo è sovrinteso dal pontefice. Una particolarità del codice V è la rappresentazione dell’Annunciazione nelle iniziali dei titoli VI e VII del Libro III (c. 141v), apparentemente non giustificata da alcun riferimento testuale13. Si deve a Simonetta Castronovo aver correttamente riconosciuto la presenza di due diversi miniatori nel codice, uno che decora le pagine d’apertura e un altro attivo nel resto del volume14. La studiosa ha inoltre ricondotto i due artisti nell’ambito del cosiddetto Maestro del Graziano di Napoli15, un miniatore bolognese attivo negli anni venti del Trecento, che partecipa all’introduzione delle novità plastiche e ‘spaziose’ giottesche padovane nell’alveo della miniatura locale d’ispirazione bizantineggiante tardo-duecentesca facente capo al Maestro della Bibbia Latina 1816. Entro questa cultura, che si pone sulla scia di Nerio, già morto nel 132017, Massimo Medica ha meglio individuato il primo miniatore nel Maestro della Natività o Terzo Maestro di San Domenico18, ovvero l’artista a cui si riferisce la grande iniziale P di “Puer natus Pavón Ramírez 2012, p. 71. Nieuwenhuisen 2012, pp. 36-37. 12 Nieuwenhuisen 2012, pp. 141-142. 13 Marta Pavón e Martin Bertram mi hanno riferito di non conoscere altre occorrenze di questo soggetto in relazione ai titoli VI e VII del Libro III. Bertram suggerisce che le due iniziali del manoscritto di Vercelli si potrebbero interpretare come immagine devozionale. 14 Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, p. 350 nota 133. 15 Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, pp. 349-350. 16 Sul Maestro del Graziano di Napoli: Medica 2004d. 17 Medica 2004e. 18 Medica 1990, p. 99. 10 11 29 Gianluca del Monaco est” con la Natività nel Graduale del tempo corale 18 della Biblioteca del Convento di San Domenico a Bologna (c. 80v)19, nonché alcune altre iniziali nel Graduale del tempo corale 1920, nel Graduale del tempo corale 2021, nel Graduale del tempo corale 21 (fig. 6), accanto al Maestro del Graziano di Napoli22, e nel Graduale dei santi corale 25 della stessa serie liturgica23. Chi scrive ha inoltre avvicinato al miniatore l’iniziale S di “Suscepimus deus misericordiam” con la Presentazione al Tempio in un foglio di collezione privata proveniente dal Graduale dei santi corale 23 e l’iniziale D di “De ventre matris” con San Giovanni Battista della collezione Günther di Amburgo, già parte del Graduale dei santi corale 24-II24, pubblicate da Gaudenz Freuler con un’attribuzione a un’altra personalità vicina al Maestro del Graziano di Napoli, ossia il Sesto Maestro di San Domenico25. Ora mi sembra che proprio il secondo miniatore delle Decretales di Vercelli si possa invece identificare con il Sesto Maestro, operante nei medesimi Graduale dei santi corale 2326 e Graduale dei santi Nigrelli, in Corali 2005, pp. 50-52. Il ciclo dei libri per il canto corale della comunità di San Domenico a Bologna si trova in gran parte tuttora conservato presso la Biblioteca del Convento, anche se alcuni volumi sono andati dispersi e un gran numero di fogli è stato sottratto in passato ed è pervenuto in diverse collezioni, tra cui soprattutto la Fondazione Giorgio Cini di Venezia. L’impresa fu eseguita verosimilmente dopo il 1307, data la presenza nel corale 24-II dell’ufficio di Sant’Alessio, introdotto in quell’anno dall’ordine, e prima del 1331, poiché mancano le feste stabilite dopo quella data. Come si è accorta di recente Silvia Battistini (in Miniature 2016, p. 282), l’operazione era ancora in corso poco dopo il 1326, quando fu resa obbligatoria la festa di san Tommaso d’Aquino, inserita nel perduto corale 8, di cui sopravvivono i fogli relativi all’ufficio di san Tommaso e alcuni altri, omogenei per scrittura e decorazione. Per una trattazione recente dell’argomento: Medica 2004c; Corali 2005; Freuler 2013, pp. 228-253 scheda 19; Battistini, in Miniature 2016, pp. 279-286 schede 93-94; Cova, in Miniature 2016, pp. 274-275 scheda 91; Medica, in Miniature 2016, pp. 291-297 schede 99-101; Freuler 2018, pp. 99-105 scheda 32. 20 Del Maestro della Natività è la I di “Invocabit me et ego” con Cristo che benedice un profeta (c. 1r). Baldini, in Corali 2005, pp. 53-55. 21 Attribuibile all’artista è la D di “Domine ne longe facias” con l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme (c. 1r). Fiorelli, in Corali 2005, pp. 56-58. 22 Di mano del Maestro della Natività sono la V di “Viri Galilei quid admiramini” con l’Ascensione (c. 202v), la S di “Spiritus Domini replevit orbem” con la Pentecoste (c. 222r) e la B di “Benedicta sit Sancta Trinitas” con la Trinità (c. 257r), mentre è opera del Maestro del Graziano di Napoli la R di “Resurrexi et adhuc tecum sum” con il Noli me tangere e le Marie al sepolcro (c. 111r). Fiorelli, in Corali 2005, pp. 59-62. 23 Al Maestro della Natività vanno riferite la I di “In medio ecclesie” con San Domenico (c. 1r) e la G di “Gaudeamus omnes” con la Dormitio Virginis (c. 35v). Sandri, in Corali 2005, pp. 73-77. 24 Del Monaco 2018a, p. 594 nota 26. 25 Freuler 2013, pp. 243-246. Lo stesso Freuler ha ipoteticamente attribuito al Maestro della Natività un’iniziale S ritagliata con Cristo in trono tra due angeli di collezione privata, che Medica riferisce invece a Lando di Antonio. Freuler 2013, pp. 278-279, scheda 22; Medica 2019, p. 50. 26 D’Agostino, in Corali 2005, pp. 65-68. 19 30 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna corale 25 di San Domenico27, in una copia del Rosarium di Guido da Baisio a Siena (Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. K.I.8) (fig. 7) accanto a un miniatore di cultura più arcaica28 e nella maggior parte della Bibbia trecentesca conservata presso la Biblioteca del Reale Collegio di Spagna a Bologna (Bologna, Biblioteca del Real Collegio de España en Bolonia, ms. 2), in cui già Alessandro Conti lo aveva individuato insieme alle mani di altri due maestri, il miniatore della grande F di “Frater Ambrosius” all’inizio del prologo di san Girolamo alla Vulgata (c. 1r) e un terzo anonimo di più forte impronta giottesca29. Giustamente Medica ha messo in luce i rapporti del Maestro della Natività con queste ultime due personalità, per lo studioso riconducibili a un’unica figura30, ipotizzando una possibile identità tra i due artisti31. Tuttavia, la pittura più compendiaria del Maestro della Natività mi rende difficile accogliere del tutto questa proposta attributiva. Le iniziali della Bibbia del Collegio di Spagna mostrano una padronanza più convinta del linguaggio giottesco, che raggiunge il suo apice di libertà nel grande capolettera istoriato in apertura del manoscritto (c. 1r). Rispetto alla collaborazione nella serie di San Domenico, da circoscrivere entro la metà degli anni venti, l’impresa delle Decretales di Vercelli vede il Maestro della Natività e il Sesto Maestro in un momento leggermente posteriore, a mio vedere. Infatti, l’ambientazione architettonica delle due miniature d’esordio del codice (figg. 1-2) mostra una più matura articolazione degli edifici e dei personaggi nella profondità tridimensionale, se confrontate con le iniziali del Maestro della Natività nei volumi di San Domenico (fig. 6). Il codice XIV si compone di 63 carte pergamenacee e presenta il testo delle Institutiones di Giustiniano, corredate della glossa accursiana, in ‘littera Bononiensis’, secondo la tipica impaginazione ‘glossa cum textu incluso’. Solitamente, nei manoscritti bolognesi a partire dal XIII secolo quest’opera del diritto giustinianeo è accorDa carta 50r in avanti. Sandri, in Corali 2005, pp. 73-77. Alle carte 123r, 141r, 158v, 182v-216v, 263r-276r, 298r. Conti 1981, p. 70; Vailati von Schoenburg Waldenburg 1996, pp. 81-82, 107-110. 29 Conti 1981, pp. 70-71. Sul prezioso manoscritto, inoltre: Venturi 1907, p. 1014 nota 2; Medica 1990, pp. 99, 111 nota 16; Medica 2009, pp. 229-230; del Monaco 2018a. Il codice è integralmente disponibile all’indirizzo: http://irnerio.cirsfid.unibo.it/browser/002/001r/ (ultimo accesso: 17/09/2019). Al Sesto Maestro Freuler (2013, pp. 243-246) ha recentemente attribuito l’iniziale M di “Michi autem” del museo di Cleveland (Cleveland, Cleveland Museum of Art, 1952.87), in origine anch’essa nel corale 23 di San Domenico, che mi pare dovuta a un artista affine piuttosto al Maestro della F del Collegio di Spagna. 30 Medica 1990, p. 111 nota 16. 31 Medica 2009, p. 230. 27 28 31 Gianluca del Monaco pata all’Authenticum, agli ultimi tre libri del Codex di Giustiniano, detti Tres libri, e ai Libri feudorum a formare il Volumen parvum32. La lettura di una serie d’iscrizioni riportate sui fogli di guardia ha consentito a Paolo Rosso di ricostruire i passaggi di proprietà del manoscritto durante il Trecento33. Nel marzo del 1342, il più antico possessore noto del manoscritto dichiarava di aver depositato il volume presso un prestatore di denaro, che abitava vicino l’abitazione del celebre giurista bolognese Iacopo Bottrigari. Nel dicembre dello stesso anno un altro scrivente registrava la propria venuta a Bologna. L’arrivo a Vercelli del libro avvenne grazie a tale “Melchio de civitate Vercellarum”, studente a Bologna, che acquistò il codice per due ducati d’oro nel settembre 1387. Nel gennaio 1390, il medesimo personaggio annotava l’inizio della sua professione di notaio presso il palazzo comunale di Vercelli. Questo possessore è stato identificato da Rosso con un Melchiorre, figlio di Domenico ‘de Advocatis’ di Quinto nella campagna vercellese, ricordato come notaio di Vercelli nel 1397. Significativamente, nell’interno del piatto ligneo superiore si legge una nota di possesso dell’arciprete della chiesa di San Nazario di Quinto. L’apparato figurativo del manoscritto presenta una miniatura tabellare ampia una sola colonna all’inizio del proemio e di ciascuno dei libri dal secondo al quarto delle Institutiones (cc. 1r, 10v, 31r, 47r) (figg. 8-11). Iniziali miniate con figure generiche si trovano al di sotto delle miniature tabellari, mentre semplici iniziali ornate segnalano i titoli all’interno di ogni libro nel testo così come nella glossa. L’illustrazione del codice non mostra dunque una grande miniatura larga due colonne in apertura del testo come negli esempi bolognesi più riccamente decorati databili a partire dagli anni trenta del Trecento, dovuti al Maestro del B1834, il Maestro del Leggendario Angioino Ungherese35, Lando di Antonio36 e l’IllustratoL’Engle 2001, pp. 14-15. Un altro caso in cui le Institutiones compaiono in un volume a parte è il di poco più tardo manoscritto di Madrid decorato dal Maestro del Leggendario Angioino Ungherese e da Lando di Antonio (Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss/1548). Il codice può essere visualizzato interamente all’indirizzo: http://bdh-rd.bne.es/viewer.vm?id=0000012848&page=1 (ultimo accesso: 17/09/2019). 33 Rosso 2010, pp. 92-93. 34 Padova, Biblioteca Capitolare, ms. B18; Roermond, Gemeentemuseum, inv. 1856. Sul Maestro del B18: Battistini 2004; L’Engle 2005; Medica 2005, pp. 79-83; L’Engle, in Manoscritti 2014, pp. 345-348; Battistini, in Miniature 2016, pp. 279-288. 35 Cesena, Biblioteca Malatestiana, S.IV.1 [il manoscritto è interamente consultabile in rete all’indirizzo: http://catalogoaperto.malatestiana.it/elenco-libri/libro/?saggioid=SX.04.01 (ultimo accesso: 17/09/2019)]; Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss/1548. Sul Maestro del Leggendario: L’Engle 2004. 36 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal.lat.765. Su Lando di Antonio: Medica 2004b; Medica 2019, pp. 44-53. 32 32 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna re37. La struttura con miniature larghe una sola colonna e fregi fogliacei negli spazi tra il testo e la glossa guarda ancora piuttosto a più antiche modalità illustrative testimoniate ad esempio dal Volumen parvum del Collegio di Spagna a Bologna (Bologna, Biblioteca del Real Colegio de España en Bolonia, ms. 282), miniato probabilmente agli inizi del secolo da un artista formatosi nell’ambito bizantineggiante del ‘Secondo Stile’ di fine Duecento38. La miniatura che apre il manoscritto (fig. 8) rappresenta Giustiniano circondato da quattro personaggi, di cui un ‘doctor iuris’ riconoscibile dal mantello d’ermellino, che caratterizza anche l’imperatore, connotato dunque esplicitamente quale autorità del diritto. Del resto, le parole iniziali del proemio affermano che la maestà imperiale deve servirsi del potere delle leggi accanto a quello delle armi39. Stranamente nella miniatura non è visualizzato quest’ultimo aspetto, solitamente impersonato da figure di soldati40. Un’altra particolarità è il formato orizzontale, da cui dipende la rappresentazione a mezza figura dei personaggi. Un precedente al riguardo è attestato in una copia del Volumen a Toledo (Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, mss. 361), miniata da un artista del ‘Primo Stile’ bolognese intorno al 127041. Il Libro II è illustrato con una scena di pesca e di raccolta di frutti in riferimento alla tematica del titolo I (fig. 9), dedicato alla proprietà e all’uso dei beni naturali42. Il Libro III tratta nel titolo I delle eredità e conseguentemente la miniatura posta all’inizio raffigura la scena di dettatura del testamento da parte di un moribondo nel suo letto (fig. 10). In apertura dell’ultimo libro, che nel titolo I si occupa dei vincoli giuridici derivanti Bordeaux, Bibliothèque de Bordeaux, ms. 355-1 [consultabile all’indirizzo: http://bibliotheque. bordeaux.fr/in/faces/imageReader.xhtml?id=h::BordeauxBNSA_1251&pageIndex=1&mode=simple&selectedTab=thumbnail (ultimo accesso: 17/09/2019)]; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat.lat.1436 [disponibile all’indirizzo: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.1436 (ultimo accesso: 17/09/2019)]; Edinburgh, National Library of Scotland, Adv.MS.10.1.4 (i); München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 3502 [il microfilm è consultabile all’indirizzo: https://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0011/bsb00112029/images/index.html?seite=1&fip=193.174.98.30 (ultimo accesso: 17/09/2019)]; Paris, Bibliothèque nationale de France, Latin 14343 [il microfilm è disponibile all’indirizzo: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b90782079, ultimo accesso: 17/09/2019]. Sull’Illustratore: Del Monaco 2018b. 38 Gibbs 2018. Il codice è integralmente consultabile all’indirizzo: http://irnerio.cirsfid.unibo.it/browser/282/001r/ (ultimo accesso: 17/09/2019). 39 “Imperatoriam maiestatem non solum armis decoratam sed etiam legibus oportet esse armatam”. 40 Ad esempio nel Volumen 282 del Collegio di Spagna (c. 1r). 41 Ringrazio Robert Gibbs per la conoscenza di questo manoscritto, oggetto delle sue ricerche in corso sulla miniatura del Duecento a Bologna. Per una descrizione del codice: García y García 1970, pp. 128-129. 42 Sull’illustrazione del Libro II delle Institutiones nella miniatura bolognese: Gibbs 1996-1997, pp. 210-211. 37 33 Gianluca del Monaco dai delitti, un imputato viene condotto davanti al giudice per ricevere la condanna a morte, che viene eseguita a destra sotto forma d’impiccagione (fig. 11), l’esecuzione capitale più comune nell’Europa occidentale trecentesca43. La Castronovo ha riconosciuto la pertinenza dell’autore della decorazione del codice XIV alla cultura bolognese del terzo decennio del Trecento44, proponendo un efficace confronto con un manoscritto della Lectura digesti veteris di Iacopo Bottrigari conservato presso la Biblioteca Braidense di Milano (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, AE. XIV.15)45, decorato dal Maestro del B1846. In effetti, il miniatore delle Institutiones di Vercelli propone un’analoga serie di piccole figure massicce, velocemente chiaroscurate, dotate di un’espressività immediata, anche se più rude ed elementare rispetto alle forme più svelte del Maestro del B18. Si ritrova nel manoscritto milanese anche l’uso di riquadri di formato rettangolare con personaggi a mezza figura. Il Maestro del B18 prende nome da una copia del Volumen parvum della Biblioteca Capitolare di Padova (Padova, Biblioteca Capitolare, ms. B18)47 e costituisce uno dei protagonisti più prolifici della miniatura giuridica bolognese lungo buona parte del secondo quarto del Trecento48. Il suo successo fu probabilmente dovuto alla capacità di semplificare in un linguaggio rapido e accattivante la prima miniatura giottesca locale, di cui non vengono quasi per nulla riprese però le ricerche relative alla disposizione di architetture e figure nella profondità dello spazio. L’artista del codice XIV di Vercelli rappresenta una versione ancora più corsiva di questo linguaggio stilistico. 43 44 45 46 47 48 34 Baschet 1993, p. 519. Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, p. 354. Castronovo, in Quazza - Castronovo 1997, p. 355 nota 152. Vanoli, in Miniature 1997, pp. 152-157 scheda 22. L’Engle, in Manoscritti 2014, pp. 345-348. L’Engle 2005. Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 1 - Maestro della Natività, Presentazione delle Decretali a papa Gregorio IX, in Gregorio IX, Decretales, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. V, c. 1v (Proemio). Riproduzione autorizzata. 35 Gianluca del Monaco Fig. 2 - Maestro della Natività, Traditio Legis, in Gregorio IX, Decretales, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. V, c. 2r (Libro I). Riproduzione autorizzata. 36 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 3 - Sesto Maestro di San Domenico, Giudizio di un vescovo, in Gregorio IX, Decretales, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. V, c. 72r (Libro II). Riproduzione autorizzata. 37 Gianluca del Monaco Fig. 4 - Sesto Maestro di San Domenico, Consenso tra due coniugi, in Gregorio IX, Decretales, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. V, c. 188v (Libro IV). Riproduzione autorizzata. 38 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 5 - Sesto Maestro di San Domenico, Giudizio di un vescovo, in Gregorio IX, Decretales, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. V, c. 208v (Libro V). Riproduzione autorizzata. 39 Gianluca del Monaco Fig. 6 - Maestro della Natività, Pentecoste in iniziale S, in Graduale del tempo, Bologna, Biblioteca del Convento di San Domenico, corale 21, c. 222r. Riproduzione autorizzata. 40 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 7 - Sesto Maestro di San Domenico, Consegna delle offerte a un monastero, in Guido da Baisio, Rosarium, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. K.I.8, c. 182v (Causa XIII). Riproduzione autorizzata. 41 Gianluca del Monaco Fig. 8 - Miniatore bolognese circa 1320-1330, Giustiniano tra i suoi giuristi, in Giustiniano, Institutiones, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. XIV, c. 1r (Proemio). Riproduzione autorizzata. 42 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 9 - Miniatore bolognese circa 1320-1330, Pesca e raccolta di frutti, in Giustiniano, Institutiones, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. XIV, c. 10v (Libro II). Riproduzione autorizzata. 43 Gianluca del Monaco Fig. 10 - Miniatore bolognese circa 1320-1330, Dettatura del testamento, in Giustiniano, Institutiones, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. XIV, c. 31r (Libro III). Riproduzione autorizzata. 44 Nuove riflessioni su due manoscritti giuridici trecenteschi miniati a Bologna Fig. 11 - Miniatore bolognese circa 1320-1330, Giudizio ed esecuzione della sentenza, in Giustiniano, Institutiones, Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. XIV, c. 47r (Libro IV). Riproduzione autorizzata. 45 Gianluca del Monaco Bibliografia Baschet 1993 Jérôme Baschet, Les justices de l’au-delà: les représentations de l’enfer en France et en Italie (XIIeXVe siècle), Roma 1993. 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La pregevole decorazione dei due volumi è stata già correttamente ricondotta all’interno della miniatura bolognese del terzo decennio del Trecento e nel caso del codice V è stata individuata anche la personalità del primo miniatore. L’articolo propone alcune precisazioni ulteriori sull’identità e la cultura figurativa degli artisti coinvolti. Abstract Two already known Bolognese illuminated manuscripts from the fourteenth century are among the legal manuscripts of the Biblioteca Capitolare of Vercelli: the Decretales of Gregory IX codice V and Justinian’s Institutiones codice XIV. The exquisite decoration of the two volumes has already been attributed to the Bolognese illumination of the 1320s and the first illuminator of the codice V has been identified. The article suggests some further clarifications about the identity and style of the intervening artists. gianluca.delmonaco2@unibo.it 50 Simone Riccardi IL COLTELLO EUCARISTICO DI GUALA BICCHIERI IN UN DIPINTO DEL CINQUECENTO IN SAN SEBASTIANO A BIELLA Per una strana e fortunata coincidenza, l’anno in corso celebra l’ottavo centenario della fondazione della basilica di Sant’Andrea a Vercelli, avvenuta il 19 febbraio 1219, quando il cardinale Guala Bicchieri e il vescovo Ugo da Sesso posarono “duos lapides primarios”, e il quinto centenario della morte di Sebastiano Ferrero, nobile biellese, generale delle finanze prima dei Duchi di Savoia e poi del Re di Francia, per lo Stato di Milano. Si deve in primo luogo constatare che entrambi gli anniversari sono stati degnamente ricordati, il primo con una mostra presso l’Arca in San Marco a Vercelli, con l’esposizione della Magna Charta e un convegno internazionale organizzato dall’Università del Piemonte Orientale, tenutosi nei giorni 29 maggio - 1 giugno 2019, mentre per quanto riguarda il secondo si è inaugurata il 18 aprile una importante mostra presso il Museo del Territorio Biellese, e nei Palazzi Ferrero e La Marmora al Piazzo1. I due eventi apparentemente non sembrano legarsi in alcun modo tra di loro, ma spesso la ricerca svela percorsi e connessioni a volte del tutto inaspettati. Alla mostra di Biella infatti, tra le opere temporaneamente esposte vi era il Compianto con santa Caterina d’Alessandria e altri santi, opera firmata da Bernardino Lanino e datata 1545, oggi conservata ai Musei Reali, Galleria Sabauda, di Torino (n. cat. 634, inv. 510), che in questa occasione, dopo due secoli, veniva riunita alla predella con Storie della Passione, che è conservata invece proprio presso il Museo del Territorio Biellese (n. inv. 1112)2. Sappiamo con certezza che questa pala era in origine ubicata nella cappella di fondo della navata sinistra della chiesa di San Sebastiano a Biella e che in seguito alle soppressioni napoleoniche, ad inizio dell’Ottocento venne alienata, ed entrò poi nelle collezioni reali dove è già ricordata dal Callery nel 18543. Il ruolo importante 1 Si vedano ora i due cataloghi La Magna Charta 2019 e Il Rinascimento a Biella 2019. Gli atti del convegno non sono ovviamente ancora editi. Il testo ripropone in maniera più dettagliata la mia comunicazione al convegno del 1 giugno 2019. Ringrazio per avermi concesso la parola la presidente della sezione Manuela Salvitti e Saverio Lomartire. Ringrazio anche Giorgio Tibaldeschi per avermi incoraggiato ad esporre queste idee al convegno stesso. 2 Sul Compianto e sulla predella si vedano da ultimo le schede di Riccardi 2019 e 2019a. 3 Si veda per alcune menzioni Lebole 2004, p. 379, e poi Callery 1854, pp. 100-101. 51 Simone Riccardi Bernardino Lanino, Compianto su Cristo morto e santi, 1545, Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda (inv. 510); su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali - Torino, Musei Reali - Galleria Sabauda. In alto, a destra, il martirio si S. Thomas Becket (vedi particolare). 52 Il coltello eucaristico di Guala Bicchieri in un dipinto del Cinquecento in San Sebastiano a Biella di questo dipinto nella carriera del pittore è oramai riconosciuto da tempo, a partire dagli studi di Giovanna Galante Garrone e Cristina Mossetti negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso4, tuttavia molti sono stati i dubbi riguardo la identificazione del santo vescovo che presenta il preposito lateranense sulla destra di chi guarda l’opera. In occasione della stesura della scheda per il catalogo della mostra biellese, lo scrivente proponeva di riconoscerlo in san Tommaso Becket, sulla scorta di una raffigurazione analoga del santo inglese, dipinta dal Pordenone in un affresco già nella Canonica Lateranense di Sant’Antonio a Conegliano Veneto, e ora, dopo lo stacco, ricoverato presso il Museo Civico della città veneta5. Ora questa proposta trova una importante conferma nel fatto che lo strumento con cui fu compiuto il martirio, cioè il coltello conficcato sul capo del vescovo, è in realtà la precisa raffigurazione di un oggetto che è fortunatamente pervenuto fino a noi, e precisamente il coltello eucaristico con il manico in legno di bosso decorato con i Mesi, e oggi conservato nelle collezioni del Museo Civico del Castello di Milano (inv. Avori 30)6. Non vi possono essere dubbi sul fatto che sia proprio quello l’oggetto che Lanino volle rappresentare, appare infatti dipinto con troppa precisione e la sua identificazione è inequivocabile. Si aggiunga che la tradizione vuole che questo coltello appartenesse proprio a Tommaso Becket, e che la lama sia stata quella utilizzata dai sicari di Enrico II per ucciderlo. D’altra parte Guala Bicchieri dovette ricevere questo coltello eucaristico in dono durante la sua legazione in Inghilterra avvenuta dal 1216 al 1218, per poi portarlo a Vercelli nel 1219, quando egli torna nella città natale e fonda la chiesa di Sant’Andrea. L’oggetto di particolare importanza e venerazione venne poi probabilmente donato nel 1224 alla stessa chiesa7, dove un pittore come Bernardino Lanino poteva averlo facilmente visto più volte di persona, e quindi era in grado di riprodurlo in una sua opera in modo così puntuale. Tutto ciò costituisce un segno chiaro e manifesto della fortuna di quest’oggetto medievale nel Cinquecento, e la dimostrazione che la tradizione che fosse legato al martirio di Tommaso Becket era ancora ben radicata in quel periodo, ed inoltre che non si tratta di una formulazione più recente. Resta a Vedi Galante Garrone 1976 e Mossetti 1982 e 1985. Sull’affresco del Pordenone si veda in breve Furlan 1984, pp. 18, 60-61; Fossaluzza 2000. Per la scheda di chi scrive si veda Riccardi 2019, nella quale si formulava anche un’ipotesi alternativa, ora come vediamo da scartare, di riconoscere il santo in sant’Alberto da Vercelli, che prima di divenire Patriarca di Gerusalemme ed essere pugnalato a morte ad Acri nel 1214, era stato vescovo di Vercelli, ed è venerato dai canonici lateranensi. Sulla iconografia di san Tommaso Becket si veda Farmer 1976. 6 Sul coltello eucaristico si vedano in breve Zastrow 1975; Castronovo 1992, pp. 221-224; Zastrow 1993, pp. 28-30; Castronovo 2016, pp. 5-13; Muzzin 2019. 7 Frova 1767, p. 113. 4 5 53 Simone Riccardi Coltello Eucaristico di Guala Bicchieri, Milano, Civiche raccolte di Arte Applicata del Castello Sforzesco (inv. Avori 30); © Comune di Milano - tutti i diritti riservati. In basso, particolare del manico. Bernardino Lanino, Compianto su Cristo morto e santi, 1545, Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda (inv. 510); su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali - Torino, Musei Reali - Galleria Sabauda. Particolare. questo punto da capire perché in una pala dipinta per San Sebastiano a Biella venga raffigurato un santo così legato a Guala Bicchieri e alla basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Non sembra sufficiente forse constatare che entrambe le chiese erano rette a quel tempo dai canonici lateranensi, e che un don Angelo Bicchieri sia stato preposito di San Sebastiano a Biella negli anni 1516-1518 e poi di nuovo nel 1525, anche perché purtroppo non riusciamo ancora a identificare con precisione il preposito lateranense raffigurato nella pala del 1545 e presentato proprio da Tommaso Becket. 54 Il coltello eucaristico di Guala Bicchieri in un dipinto del Cinquecento in San Sebastiano a Biella Sappiamo però che nel 1544 il preposito era un certo Simone da Vercelli8, e se conoscessimo qualcosa in più di lui, certamente ciò sarebbe di aiuto nella comprensione delle dinamiche che sottendono la dotazione di pale e di arredi della chiesa e del convento biellese alla metà degli anni Quaranta del Cinquecento. Tanto più che tutto ciò non appare completamente disgiunto dal contratto stipulato nel 1546 dal preposito Egidio da Santhià con l’intagliatore Gerolamo de Mellis da Vespolate per la realizzazione del coro e del leggio che ancora si conservano nella chiesa9. Infatti a completamento della decorazione degli stalli del coro, furono inseriti ventitré medaglioni limosini duecenteschi con smalti champlevé, mentre altri sei andarono a decorare il leggio; questi importanti pezzi di oreficeria medievale vennero poi alienati nel corso dell’Ottocento e sostituiti con delle copie10. Oggi alcuni di questi pezzi originali sono pervenuti al Museo di Arte Antica di Torino, altri sono dispersi in collezioni pubbliche e private. Con ogni probabilità tutti questi medaglioni provenivano originariamente da un cofano o scrineum, simile a quello oggi conservato al Museo di Palazzo Madama a Torino (n. inv. 402), che sappiamo donato dal cardinale Guala Bicchieri alla basilica di Sant’Andrea a Vercelli11. Si delinea dunque un rapporto ancora più stretto di quello che forse si sia pensato fino ad oggi, tra le due canoniche lateranensi di Sant’Andrea a Vercelli e di San Sebastiano a Biella. Resta a questo punto da capire inoltre se l’arrivo a Biella dei medaglioni limosini (o il cofano da cui furono staccati?), sia da collocare attorno agli anni Quaranta del Cinquecento, oppure, come più probabile, fosse già previsto all’atto della fondazione di San Sebastiano, voluta da Sebastiano Ferrero nel 1500 circa. Non va trascurato infatti che uno dei fratelli di Sebastiano era Bartolomeo, già canonico lateranense nel 1491 in Sant’Andrea a Vercelli, il quale venne chiamato poi a dirigere il nuovo convento biellese12. Forse si tratta di richiami troppo stringenti e non casuali alla figura di Guala Bicchieri quelli descritti, come se si volesse riproporre da parte dei Ferrero un modello di mecenatismo ben noto. Come spesso avviene perciò la soluzione di un problema apre a sua volta nuove piste di ricerca e nuovi interrogativi, che al momento non riescono a trovare purtroppo una risposta che ci soddisfi pienamente. Gli elenchi sono tratti da Torrione 1949, p. 125. Si veda il contratto in Torrione 1947, e per il coro Damiano 2000. 10 Sui medaglioni già in San Sebastiano, dei quali pare ne rimanga solo uno originale in situ, e sulle copie ottocentesche si veda Castronovo 1992, pp. 232-236; Castronovo 1999; Castronovo 2007; Castronovo 2014, pp. 136-151; Castronovo 2019. 11 Sul quale Castronovo 2004; Castronovo 2010; Castronovo 2014, pp. 102-115; Castronovo 2019a. 12 Sulle genealogie dei Ferrero vedi Litta 1840. 8 9 55 Simone Riccardi Bibliografia Callery 1854 Joseph-Marie Callery, La Galerie Royale de Peinture de Turin, Le Havre 1854. Castronovo 1992 Simonetta Castronovo, Il tesoro di Guala Bicchieri cardinale di Vercelli, in “Gotico in Piemonte”, a cura di G. Romano, Torino 1992, pp. 166-239. Castronovo 1999 Simonetta Castronovo, I medaglioni di San Sebastiano, in “Rivista Biellese”, III, n. 3, 1999, pp. 46-54. Castronovo 2004 Simonetta Castronovo, Scrinium Cardinalis. Un tesoro medievale per il Museo Civico d’Arte Antica di Torino, Torino 2004. Castronovo 2007 Simonetta Castronovo, I medaglioni limonsini in San Sebastiano e la fortuna del Gotico a Biella, in “Arti figurative a Biella e a Vercelli. Il Duecento e il Trecento”, a cura di V. Natale e A. Quazza, Biella 2007, pp. 43-48. Castronovo 2010 Simonetta Castronovo, Un capolavoro del Gotico francese in Piemonte: il cofano del cardinale Guala Bicchieri, in “Palazzo Madama. Studi e Notizie”, I, n. 0, 2010, pp. 130-137. Castronovo 2014 Simonetta Castronovo, Museo Civico d’Arte Antica di Torino. Smalti di Limoges del XIII secolo, Savigliano 2014. Castronovo 2016 Simonetta Castronovo, Le “scrinium operis lemovicensis” du cardinal Guala Bicchieri, in “Les émaux de Limoges à décor profane. Autour des collections du cardinal Guala Bicchieri”, catalogo della mostra di Parigi, a cura di S. Castronovo e C. Descatoire, Paris 2016, pp. 4-21. Castronovo 2019 Simonetta Castronovo, Scheda I.9, in “La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento”, catalogo della mostra di Vercelli, a cura di S. Lomartire, Vercelli 2019, pp.122-125. Castronovo 2019a Simonetta Castronovo, Scheda I.7, in “La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento”, catalogo della mostra di Vercelli, a cura di S. Lomartire, Vercelli 2019, pp. 115-121. Damiano 2000 Sonia Damiano, Il maestro ebanista che operò in San Sebastiano, in “Rivista Biellese”, IV, n. 3, 2000, pp. 24-29. Farmer 1976 David Hugh Farmer, Thomas Becket von Canterbury, in “Lexikon der christlichen Ikonographie”, Band 8. Ikonographie der Heiligen. Meletius bis Zweiundvierzig Martyrer, begrundet von E. Kirschbaum, herausgegeben von W. Brauenfels, Rom-Freiburg-Basel-Wien 1976, coll. 484-489. Frova 1767 Giuseppe Antonio Frova, Gualae Bicherii Presbyteri Cardinalis S. Martini in Montibus vita et gesta, Milano 1767. Fossaluzza 2000 Giorgio Fossaluzza, Scheda, in “Da Paolo Veneziano a Tiepolo. Capolavori dei musei veneti restaurati dalla Regione Veneto dal 1984 ad oggi”, catalogo della mostra di Venezia, a cura di G. Fossaluzza, Venezia 2000, pp. 110-113. 56 Il coltello eucaristico di Guala Bicchieri in un dipinto del Cinquecento in San Sebastiano a Biella Furlan 1984 Caterina Furlan, Il Pordenone. L’opera completa, Milano 1984. Galante Garrone 1976 Giovanna Galante Garrone, Scheda, in “Opere d’arte a Vercelli e nella sua provincia 1968-1976”, Vercelli 1976, pp. 30-31. Lebole 2004 Delmo Lebole, Storia della Chiesa Biellese. Ordini e congregazioni religiose, vol. II, Gaglianico 2004. Litta 1840 Pompeo Litta, Famiglie celebri d’Italia, vol. VI, Ferrero di Biella, Milano 1840. La Magna Charta 2019 La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento, catalogo della mostra di Vercelli, a cura di S. Lomartire, Vercelli 2019. Mossetti 1982 Cristina Mossetti, Scheda 22, in “Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni gaudenziani alla Accademia Albertina di Torino”, catalogo della mostra di Torino, a cura di G. Romano, Torino 1982, pp. 152-154. Mossetti 1985 Cristina Mossetti, Scheda 16, in “Bernardino Lanino”, catalogo della mostra di Vercelli, a cura di P. Astrua e G. Romano, Milano 1985, pp. 78-80. Muzzin 2019 Silvia Muzzin, Scheda I.10, in “La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento”, catalogo della mostra di Vercelli, a cura di S. Lomartire, Vercelli 2019, pp. 125-127. Riccardi 2019 Simone Riccardi, Scheda 40, in “Il Rinascimento a Biella. Sebastiano Ferrero e i suoi figli”, catalogo della mostra di Biella, a cura di M. Natale, Biella 2019, pp. 296-297. Riccardi 2019a Simone Riccardi, Scheda 41, in “Il Rinascimento a Biella. Sebastiano Ferrero e i suoi figli”, catalogo della mostra di Biella, a cura di M. Natale, Biella 2019, pp. 298-299. Il Rinascimento a Biella 2019 Il Rinascimento a Biella. Sebastiano Ferrero e i suoi figli, catalogo della mostra di Biella, a cura di M. Natale, Biella 2019. Torrione 1947 Pietro Torrione, Gerolamo da Vespolate. Autore del coro di San Sebastiano, in “La Rivista Biellese”, 1947, n. 2, pp. 24-27. Torrione 1949 Pietro Torrione, La Basilica di San Sebastiano in Biella, Biella 1949. Zastrow 1975 Oleg Zastrow, Una prima analisi sistematica sulla tecnologia e sullo stile sul coltello liturgico medievale, in “Rassegna di Studi e Notizie”, III, 1975, pp. 285-325. Zastrow 1993 Oleg Zastrow, Museo d’arti applicate. Oreficerie, Milano 1993. 57 Simone Riccardi Riassunto La pala di Bernardino Lanino, datata 1545, ora alla Galleria Sabauda di Torino, in origine nella chiesa di San Sebastiano a Biella, raffigura un Compianto di Cristo con vari santi, tra i quali, sulla destra, un vescovo che presenta il donatore. Fino ad ora tale santo non era stato identificato con certezza, ma ora sappiamo che si tratta di Tommaso Becket, in quanto lo strumento del martirio, conficcato nel capo, è la precisa raffigurazione del coltello eucaristico oggi conservato a Milano nelle raccolte del Castello sforzesco. Esso fu donato dal cardinale Guala Bicchieri alla basilica di Sant’Andrea di Vercelli, probabilmente nel 1224. La tradizione vuole che sia appartenuto al vescovo inglese Tommaso Becket e che venne adoperato dai sicari per ucciderlo. Abstract The altarpiece by Bernardino Lanino, dated 1545, was originally in the church of San Sebastiano in Biella, and now is in the Galleria Sabauda in Turin. It is depicted a Lamentation of Christ with other saints, including, on the right, a bishop presenting the donor. Until now this saint had not been identified, but we know that he is Thomas Becket, since the instrument of martyrdom, stuck in his head, is the exact representation of the Eucharistic knife now preserved in Milan in the collections of the Castello Sforzesco. It was probably presented by Cardinal Guala Bicchieri, in 1224 to the basilica of Sant’Andrea in Vercelli. It traditionally belonged to the English bishop Thomas Becket and was used by killers to kill him. simone.riccardi1973@gmail.com 58 Costantino Gilardi ‘UT ELEGANTIORI ARCHITECTURA INSTAURETUR’. LA FABBRICA DI OROPA (1600-1647) Introduzione Il 30 agosto 1620 Giacomo Goria, vescovo di Vercelli, incorona la Madonna di Oropa, collocata tra due colonne su un altare allestito davanti alla facciata della nuova chiesa1. L’incoronazione è stata ripetuta ogni cento anni: nel 1720 da Francesco Arborio di Gattinara, vescovo di Alessandria, nel 1820 dal card. Giuseppe Morozzo, vescovo di Novara, nel 1920 dal legato pontificio, card. Teodoro Valfrè di Bonzo. Nel 2020 la Madonna di Oropa sarà incoronata per la quinta volta. Ripercorriamo in questo articolo le vicende costruttive della chiesa, delle case per i pellegrini e delle cappelle del Sacro Monte nei primi cinquanta anni, con riferimento ai principali fautori dell’intero progetto ed ai principali eventi che hanno accompagnato la fabbrica di Oropa. Alcuni autori hanno ritenuto che la costruzione della nuova chiesa di Oropa fosse stata conclusa nel 1600, come recita la lapide sulla controfacciata “Ædem hanc a fundamentis extructam anno iubilei MDC”. Tale data segna invece l’inizio dei lavori, come documenta la visita pastorale del 17 agosto 1600 che chiaramente afferma che la preesistente chiesa è stata demolita per ordine di Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli, ut elegantiori architectura instauretur. Lo stesso vescovo, nelle due edizioni della vita di S. Eusebio, Attesta la tradizione eusebiana dell’origine del santuario: ut vulgo ferunt, la statua della Madonna sarebbe stata portata sui monti di Oropa da S. Eusebio. Succeduto al Ferrero, il vescovo Giacomo Goria fa la sua prima visita pastorale nell’agosto 1614 a Biella e a Oropa, dove istituisce la Congregazione per il bon Sigle ACV = ARMO = ASAV = AST = Archivio Capitolare di Vercelli. Acta Reginæ Mntis Oropæ. Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli. Archivio di Stato di Torino, sez. Corte. 1 Per una storia complessiva del santuario e del Sacro Monte di Oropa si vedano Bonino 1720; Paroletti 1820; Avogadro 1846; Borello-Rosazza 1935; Borello-Rosazza 1936; Bessone 1970; Gatti 1970; Trompetto 1974; Lebole 1996-1998; Brunetto - Gilardi 1998; Dell’Oro 2000; Bessone 2004; Pivotto 2004; Rossetti Brezzi 2007; Natale 2010; Natale 2011; Gentile 2019. 59 Costantino Gilardi governo et administratione della fabrica e chiesa, che ha un ruolo determinante per la ripresa e la gestione del cantiere di Oropa. A questo partecipano, in tempi diversi, l’architetto Francesco Conti e Marcantonio Toscanella, con il diretto interessamento del cardinale Maurizio di Savoia, in stretti rapporti con il vescovo di Vercelli e soprattutto intermediario del padre, il duca Carlo Emanuele I, interessato ad avere in territorio sabaudo un santuario ed un Sacro Monte per i pellegrini sudditi che si recavano ad altri santuari fuori dello Stato, in particolare a Varallo, nel territorio dello Stato di Milano. L’incoronazione della statua della Madonna, prevista per l’agosto del 1620, dà l’avvio a numerosi cantieri: costruzione di una strada e di una spaziosa hostaria per i pellegrini, erezione di cappelle, ampliamento della chiesa (con parziale demolizione del sasso cui il sacelle era addossato), tutti seguiti da vicino dallo stesso vescovo che partecipa assiduamente alle riunioni della Congregazione per il bon governo et administratione della fabrica e chiesa. A conferma della intensa devozione e della assidua dedizione del vescovo Goria verso Oropa, nel 1651 Felice Santelli dipinge a Roma il grande quadro con la Madonna di Oropa (dal volto bianco), S. Elena, S. Eusebio e lui offerente genuflesso orante, ancora oggi a Villafranca d’Asti. La nuova chiesa 1600-1606 1600 Giovanni Stefano Ferrero (1548-1610), vescovo di Vercelli dal 1599 al 16102, fa demolire la vecchia chiesa di Oropa nell’anno 1600 e fa iniziare la costruzione della nuova chiesa3. 1600 Lapide in pietra bianca del Mazucco fatta apporre da Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli. Il Gatti riporta il testo della lapide, poi scalpellata in parte nella penultima e totalmente nell’ultima riga nel 1799. In origine era impressa sopra la porta maggiore dentro la chiesa, ma in occasione della costruzione dell’orchestra e dell’organo fu trasferita in basso a sinistra, dove ancora oggi si trova4: Bues 1997, pp. 16-17. Trompetto 1974, pp. 123-159; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 275-314; Bessone 1999, pp. XXVI-XXXVII. 4 ARMO 1999, col. 145. 2 3 60 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Ritratto di Giovanni Stefano Ferrero (1548-1610), vescovo di Vercelli dal 1599 al 1610 (incisione da G. Degregory, Istoria della Vercellese Letteratura ed Arti, Torino 1819-1824, vol. II). 61 Costantino Gilardi DEIPARÆ VIRGINI APUD CUIUS IMAGINEM VETERI ADHUC SACELLO ASSERVATAM B. EUSEBIUS COELESTEM VITAM AGENS IEIUNIIS ET ORA TIONIBUS ADVERSUS ARIANOS DECERTABAT, OB FUGA TAM A BUGELLA FINITIMISQUE OPPIDIS PESTILENTIAM ÆDEM HANC A FUNDAMENTIS EXTRUCTAM IO: STEPHANUS FERRERIUS EPISCOPUS VERCELLEN. CA NONICI, POPULUSQUE BUGELLANUS ANTIQUÆ RELIGIO NIS, ET RECENTIS BENEFICII MEMORES COMMUNI VOTO, ATQUE IMPENSA DANT, DICANT. ANNO IUBILEI M.D.C. SEDENTE CLEMENTE VIII. P. O. M. [ET REGNANTE SER. CAROLO EM. SAB. DUCE] L’attestazione della lapide Ædem hanc a fundamentis extructam non deve essere intesa come già ultimata nell’anno 1600, ma come iniziata a costruire nell’anno 1600: Un altro errore, in cui caddero quasi tutti gli storici d’Oropa, copiando l’uno dall’altro, riguarda il tempo della costruzione della chiesa. Mal interpretando la lapide dedicatoria, posta nella facciata interna della basilica, in cui si attesta che il vescovo Ferrero, i canonici e gli abitanti di Biella nel 1600 avevano costruito e dedicato la nuova chiesa alla Madonna per essere stati liberati dalla peste, sostengono che in tale anno la chiesa era già ultimata […]. Tale data segna invece l’inizio dei lavori5. Lapide commemorativa dell’avvio dei lavori per la nuova chiesa (Oropa, controfacciata, a sinistra). Foto di Mario Coda. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 279; per gli autori che ritengono la chiesa già terminata nell’anno 1600 si veda Lebole 1996-1998, vol. II, p. 280. 5 62 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1600 agosto 17 La visita pastorale di Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli, alle chiese di S. Maria e di S. Bartolomeo di Oropa attesta che la chiesa è ad præsens demolita per essere ricostruita con una più elegante architettura: Anno Domini 1600 die 17 Augusti. Perillustris et reverendissimus dominus Ioannes Stephanus Ferrerius, episcopus Vercellensis visitavit Ecclesiam Oratoriumve Beatae Mariae de Europa in montibus Bugellae […]6. La chiesa Ecclesia est ad praesens R.mi Episcopi decreto diruta ut elegantiori architectura instauretur […]7. Le case Sunt quaedam domus in his montibus iuxta ecclesiam hanc a peculiaribus personis constructae […]8. La visita pastorale del 1600 attesta l’esistenza di nove case di cui otto di famiglie biellesi (Dal Pozzo, Caresana, Gromis, Mestiatis, Ferrero, Coda, Coppa, Bertodano) ed una, detta di S. Francesco, della chiesa di Oropa: “quae libera est ecclesiae”9. Le cappelle Sunt plures capellæ constructæ in his montibus praeter ecclesiam prædictam, videlicet Annuntiationis, quae est aperta, … quae etiam est aperta constructa a Rev.mo Episcopo Eporediense, in qua non potest celebrari ut in praedictis, Montis Calvarii constructa R.mi Episcopi sumptibus, in qua potest celebrari […] et ultimo capella est sepulchri Domini Nostri ubi non celebratur10. La visita pastorale del 1600 attesta anche l’esistenza di sei cappelle sul prato antistante il santuario11: la cappella di S. Grato12, la cappella del Santo Sepolcro13, la cappella del vescovo d’Ivrea Cesare Camillo Ferrero (1537-1610)14, la cappella della ARMO, III, coll. 136-140 ARMO 1999, col. 137. 8 ARMO 1999, col. 139. 9 ARMO 1999, col. 139; per le singole dell’aristocrazia biellese, si veda Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 297-319. 10 ARMO 1999, col. 140. 11 ARMO 1999, col. 140; Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 379-394. 12 Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 381-382. 13 Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 383-384. 14 Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 384-387. 6 7 63 Costantino Gilardi Annunziata15, la cappella del 1588 dedicata o a S. Giuseppe o a S. Giovanni Battista16, la cappella del Monte Calvario fatta edificare dal vescovo di Vercelli Giovanni Stefano Ferrero17. 1600 ottobre 20 Le colonne per la chiesa. Un pagamento del 20 ottobre 1600 attesta che mastro Cesare Costantino sta scolpendo le colonne per la chiesa18: […] poi che si hè acordato per megio di mestro Cesare costantino il quale fa le colone alla fabrica d’europa piacerà a V. S. far dar al presente sig. Canonico Ventura ducatoni 6. 1602 La vita di S. Eusebio Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli, pubblica nel 1602 a Roma una vita di S. Eusebio e dei vescovi di Vercelli “Sancti Eusebii Vercellensis Episcopi et Martyris eiusque in Episcopatu successorum Vita et res gestae”, in cui per la prima volta viene attestata, per scritto, la tradizione eusebiana dell’origine del santuario. Infatti il Ferrero scrive che, ut vulgo ferunt, la statua della Madonna sarebbe stata portata sui monti di Oropa da S. Eusebio: […] atque in montibus praecipue Oropae loco gelidissimo, ubi etiam saxa frigore et humiditate corroduntur, illaesa adhuc extat post mille tercentos fere annos imago lignea beatissimae Virginis, quam (ut vulgo ferunt) studiose cultam precibus ab Eusebio fuisse, ita frequentant etiamnum populi et humiles ei novem dierum preces offerunt, ac vota, non modo in publicis pestis bellique; verum etiam in privatis necessitatibus saepissime exauditi persolvunt19. Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 387-388. Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 389-391. 17 Lebole 1996-1998, vol. I, p. 391. 18 Lebole 1996-1998, vol. II, p. 238. 19 Ferrero 1602, pp. 51-52; ARMO 1999, coll. 171-172. Non è da escludere che il Ferrero si sia ispirato alla Chronaca Bugellae di Giacomo Orsi, scritta nel 1488: Sacellum sub fonte Erupae positum […] cuius primum lapidem sanctus dei martir Eusebius proprijs manibus collocavit (Trompetto 1974, p. 7). 15 16 64 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1602 settembre 1 La visita pastorale ad Oropa di Giovanni Francesco Leone, protonotario apostolico e vicario generale del vescovo di Vercelli, attesta che sono in costruzione le tre navate della chiesa con colonne e che vi si trovano due altari, di cui uno antico su cui è posta la statua della Madonna: Die prima septembris visitavit ecclesiam Beatae Mariae de Europa in montibus Bugellae quae nunc a fundamentis quoad corpus eiusdem ecclesiae cum columnis lapideis tribus navibus restauratur: adsunt duo altaria quorum primum est antiquum super quo extat statua eiusdem Beatae Mariae et cui celebratur […]20. 1606 settembre 7 La visita pastorale alle chiese di S. Maria e di S. Bartolomeo di Oropa del canonico Giovanni Battista Margarotto da Caresana, per delega del vescovo di Vercelli Giovanni Stefano Ferrero, attesta che sono costruiti i muri perimetrali e le tre navate, ma che è ancora priva di pavimento e di volta: […] Ecclesia tribus navibus constans non est pavimentata nec fornicata et muri omnes sunt altiores faciendi, ita ut fornix possit habere proportionatam altitudinem, et in media navi sub fornice remaneant fenestrae quas medias lunas dicunt. Turris campanilis construetur iuxta altare fabricandum in fronte navis dexterae lateralis, inter ipsum altare et murum capellae B. V.21. Dell’atto di visita del 1606 esiste una più lunga redazione in italiano: La chiesa La fabbrica della Chiesa della Madonna d’Oroppa si ritrova coperta ma è necessario alzare anchora i muri tanto della nave di mezzo quanto i laterali circa piedi cinque in circa, acciò la fazzata resti conforme al dissegno mandato a Mons. Ill.mo Vescovo. Le collonne sono tutte a lavoro et riescono bene e le volte [da costruirsi] sono tutte a tutto tondo ove gli resterà spatio per fare le 6 finestre della nave di mezzo in forma di mezza luna sotto la volta conforme all’ordine di S. Signoria Ill.ma […]22. La facciata La fazzata riesce benissimo et è fatta sino sotto le cornici et tuttavia si va lavorando23. 20 21 22 23 ARMO 1999, col. 167. ARMO 1999, col. 206. ARMO 1999, col. 207. ARMO 1999, col. 208. 65 Costantino Gilardi La casa dei pellegrini La fabrica detta delli Disciplinanti si ritrova in buon termine […] sono due refettorii grandi, uno inferiore et l’altro superiore in lunghezza piedi 25, in larghezza piedi 12 netti. Si ha da finire il solaro il quale è sternito tutto di assi et poi bisogna far la soffitta di sopra. Da ogni capo del refettorio inferiore vi è una cucina larga piedi 7 ½ et longa 12 netti et i camini hanno gli ornamenti di pietre vive terminate; con un luoco di sopra dell’istessa grandezza per dormire et presto si metteranno in opera le tavole con le sue banche per sedere che il tutto è apparecchiato. Il refettorio inferiore ha quattro collonne grosse di pietra viva et il superior ne ha sette senza le mezze collonne. Da ogni capo del refettorio inferiore vi è la scala di pietra viva, molto comoda per ascendere nel refettorio et stanze superiori24. 1607 luglio 7 Carlo Emanuele I, duca di Savoia, ad istanza degli amministratori della Chiesa della Santissima Vergine di Oropa, concede a quelli che saranno deputati a far osteria in Oropa l’esenzione da qualunque gabella per la vendita di vino, pane, carni o qualsiasi altra vettovaglia ai pellegrini che ivi converranno25. 1609 Giovanni Stefano Ferrero pubblica la seconda edizione della Vita di s. Eusebio e dei vescovi di Vercelli: “Sancti Eusebii Vercellensis Episcopi et Martyris eiusque in Episcopatu successorum vita et res gestae, Vercellis, apud Hieronymum Allarium et Michaelem Martam socios, MDCIX”, in cui nuovamente attesta l’origine eusebiana del culto della Beata Vergine ad Oropa26. 1609 febbraio 7 I canonici di S. Stefano concedono a Bernardino Mellis di Biella la facoltà di gestire una osteria ad Oropa: a far hosteria sopra li monti d’europa per comodità de fedeli che per divotione a quel luoco concorreno per anni tre27. 1610 settembre 21, muore Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli. 24 ARMO 1999, col. 209; Bessone 1999, pp. XXXVII-XXXIX; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 411422. 25 ARMO 1999, coll. 225-227. 26 ARMO 1999, coll. 266-267. 27 Lebole 1996-1998, vol. II, p. 419. 66 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Ritratto di Carlo Emanuele I (1562-1630), duca di Savoia (1580-1630). Incisione. Raccolta privata. 67 Costantino Gilardi 1611 agosto 17, Giacomo Goria è eletto vescovo di Vercelli da Paolo V Borghese28. 1611 novembre 9, Giacomo Goria prende possesso per procura della diocesi di Vercelli. 1611 dicembre 16, Ingresso solenne in Vercelli nel giorno della memoria della consacrazione episcopale di S. Eusebio, vescovo di Vercelli. 1614 agosto 20 Il vescovo di Vercelli, nel corso della Visita Pastorale29, promulga i nuovi Statuti della chiesa collegiata di S. Stefano di Biella: Datum Bugellae in cursu Nostrae Visitationis die vigesima Augusti Anno Millesimo seicentesimo decimo quarto30. 1614 ottobre 4 Giacomo Goria, nel convento di S. Francesco di Biella, fa una Donazione ai suoi fratelli Giovanni Antonio, Marco Antonio, Alessandro e Michele di beni mobili e immobili alla presenza dell’Illustre Signor Giovanni Battista Mazola de’ Signori di Belotto; qualora venga a mancare la linea retta mascolina stabilisce che la metà dei beni sia impiegata per fondare in Villafranca un hospitale sotto il nome e titolo di s. Francesco31. I beni di cui dispone in questa Donazione del 1614 saranno diversamente destinati nelle tre Donazioni del 1641, del 1645 e del 1647. La forma di governo e amministrazione mista, composta da ecclesiastici e laici, adottata per l’hospitale di Villafranca d’Asti è sostanzialmente identica alla forma mista adottata per l’amministrazione di Oropa nello stesso anno, per l’amministrazione dell’Opera di S. Elena in Villafranca d’Asti nel 1645 e per l’amministrazione della Donazione al Seminario di Vercelli nel 1647. La Congregazione per il governo e l’amministrazione del Sacro Monte di Oropa, 1614 1614 novembre 1 Giacomo Goria compie la Visita Pastorale a Biella e ad Oropa nel 1614 e risiede a Biella dal mese di agosto fino alla metà del mese di novembre del 1614, il [1] Brunetto - Gilardi 1998, pp. 21-23. ASAV, Liber visitationum pastoralium ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Domino Jacobo Goria, felicis recordationis, Episcopo Vercellensi et Comite, peractarum in hac Civitate Vercellensi eiusque diecesi, vol. I (1611-1616). 30 ARMO 1999, coll. 391-392. Per le Visite Pastorali all’area biellese, Lebole 2005, alla voce Goria. 31 Brunetto - Gilardi 1998, pp. 337-341 e Tav. I. 28 29 68 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Cesare Antonio Lanino (1612-1699), Giacomo Goria vescovo di Vercelli (1611-1648), Villafranca d’Asti, Opera di S. Elena. 69 Costantino Gilardi Sergio Vatteroni (18901975), Il vescovo G. Goria istituisce la Congregazione per l’amministrazione di Oropa (Oropa, portale della Chiesa nuova, bronzo, 1960). Foto di Mario Coda. novembre istituisce la Congregazione per il governo e l’amministrazione del Sacro Monte di Oropa. Le copie di questo decreto conservate presso l’archivio del Santuario di Oropa e l’archivio comunale di Biella32, non riportano il giorno ma soltanto il mese di novembre. Unicamente Sadler data questo decreto al 1° novembre 161433. Maffeo indica con precisione la data ante quem: I decreti di Monsignor Goria sono comunque anteriori al 23 novembre perché in tale data vediamo già in funzione l’Amministrazione […]. Dal volume dei decreti di Visita Pastorale di Monsignor Goria […] risulta che quelli relativi al Monastero di Santa Caterina vennero emanati il 14 novembre 161434. La Congregazione istituita è composta da quattro fabbricieri o amministratori del luogo di Biella, e cioè dal Vicario della mensa Episcopale, dal Preposito della Colleggiata di S. Stefano e da due altri principali del luogo nominati ogni tre anni dal 32 33 34 70 Le indicazioni archivistiche sono in Brunetto - Gilardi 1998, p. 28, n. 104. Sadler 1942, pp. 9-12 e 21-36. Maffeo 1958, p. 90. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ vescovo di Vercelli. Come primi amministratori sono designati dal vescovo l’abate Ottavio Bertodano e il conte Sebastiano Ferrero ed in sua assenza il signor Bernardo Ferrari35. Le porte di bronzo della chiesa nuova di Oropa Una delle formelle della porta di sinistra della chiesa nuova di Oropa, opera di Sergio Vatteroni, raffigura il vescovo nell’atto di presentare il decreto che istituisce la Congregazione ai rettori del comune di Biella36. L’istituzione nel 1614 della Congregazione per il bon governo et administratione della fabrica e Chiesa et per la celebratione delle messe della Madonna d’Oropa è determinante per la ripresa e la gestione del cantiere di Oropa37. Costruzione della nuova chiesa: l’arch. Francesco Conti a Oropa 1614-1620 Lebole ritiene che l’intera chiesa (1614-1620) sia costruita su disegno di Francesco Conti fin dalla ripresa del cantiere nel 1614, anche se gli Ordinati attestano la presenza del Conti soltanto nel mese di marzo del 1618: La presenza del Conti ad Oropa, per seguire l’ultima fase dei lavori della facciata della chiesa, conferma quanto abbiamo già detto all’inizio circa l’attribuzione della paternità a questo architetto del progetto dell’intera chiesa38. Già la visita del 1606 menziona un “dissegno mandato a Mons. Ill.mo Vescovo”39. Dal 1606 al 1614 “la costruzione era di poco progredita”40 e si trovava sostanzialmente nello stato descritto dalla Visita del canonico Giovanni Battista Margarotto del 7 settembre 1606. ARMO 1999, col. 683. Un commento al decreto in Brunetto - Gilardi 1998, p. 28, n. 104. Trompetto 1966, pp. 18-19; Craveia 2011, p. 72. 37 Per la bibliografia sugli aspetti giuridici e amministrativi riguardanti il santuario di Oropa si veda Regj Stabilimenti 1906; Buscaglia 1919, pp. 9-10, 12-18, 19, 21-22, 27-32, 128-134, 149, 152-153, 169; Tarello 1919; Ferrerati 1935, pp. 11-25, 53-61; Bertola 1935, pp. 93-100; Sadler 1942, pp. 9-12, 21-36; Maffeo 1958, pp. 21-25, 90-94; Bessone 1970, pp. 112-159; Bessone 1999, pp. LVLVII; Dell’Oro 1994, pp. 90-96; Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 285-286. Per Ottavio Bertodano si veda Bessone 2004, pp. 241-243. 38 Lebole 1996-1998, vol. I, p. 296. 39 ARMO 1999, col. 207. 40 Lebole 1996-1998, vol. II, p. 292. 35 36 71 Costantino Gilardi 1614 novembre Ripresa del cantiere interrotto nel 1606. 1614-1639, Mastri luganesi a Oropa Antonio Solari è attestato attivo in Biella nel 1609 ove lavora per la cappella della famiglia Dal Pozzo nella chiesa del convento di S. Domenico del Piazzo41. Dal 1614 gli Ordinati attestano presenti ad Oropa “i piccapietre luganesi” o anche “i luganesi” o “i lugani”, alcune volte anche attestati “di Carona della valle di Lugano”. Sono attestati: Antonio Solari il 23 dicembre 161442 e il 1° luglio 161543; muore nel 161644. Pietro Antonio Solari il 20 giugno 161645. Francesco Aprile del fu Luigi e Gio. Pietro Aprile il 24 agosto 161646. Francesco Aprile il 7 novembre 161647, l’8 ottobre 161748, il 16 aprile 161949. Alberto Aprile il 28 agosto 161850. Alberto Solari il 16 aprile 161951. Nel 1619 si uniscono: Giovanni Troni e Pietro Somazzi, attestati l’11 luglio 1619 e il 4 agosto 1619 per lavorare alla fabbrica della hosteria in montagna52. Alberto Solaris: il 1° agosto 1619 lavora alle “aggiunte della scalinata e hosteria”53. Giovanni Troni: il 28 giugno e il 25 luglio 1620 riceve un pagamento per lavori all’hosteria54. 41 Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 289-290; per i Solari si veda Luganensium artistarum 1992, pp. 50, 54, 83, 89; Bolandrini 2011a, pp. 328-329; Lienhard-Riva 1945, pp. 447-450 e tavola XXVI. 42 ARMO 1999, col. 691. 43 ARMO 1999, col. 695. 44 Si veda qui di seguito 1616, agosto, 23. 45 ARMO 1999, col. 745. 46 ARMO 1999, col. 746; per gli Aprile si veda Luganensium artistarum 1992, pp. 22, 29, 50, 54, 87, 61, 127; Facchin 2011; Lienhard-Riva 1945, p. 15 e tavola I. 47 ARMO 1999, col. 747. 48 ARMO 1999, col. 750. 49 ARMO 1999, col. 768. 50 ARMO 1999, coll. 761-762. 51 ARMO 1999, col. 768. 52 ARMO 1999, col. 777; per i Somazzi si veda Luganensium artistarum 1992, pp. 52, 54, 56, 83, 89, 121; Bolandrini 2011b; Lienhard-Riva 1945, pp. 452-457 e tavola XXVI. 53 ARMO 1999, col. 779. 54 ARMO 1999, 813-814. 72 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Mastro Andrea Solaris col figlio Bartolomeo e compagni giungono ad Oropa e trovano già avviati i lavori della chiesa e della facciata. Dal dicembre del 1639 i luganesi non sono più presenti ad Oropa55. 1614 dicembre 23 Prima riunione della Congregazione e pagamento a mastro Antonio Solaris per la facciata della chiesa Si sono congregati li signori Deputati per la fabrica et altri bisogni per la madonna Santissima del Oropa li quali sopra la proposta fatta dal picapietre per sue pretensioni. Si è da detta Congregatione ordinato. Che per la pretensione di detto Mastro Antonio Solaris picapietre si debano pagar per la fatura da esso fatta alla faciata della chiesa della sudetta Madonna del Oropa li duoi terzi di essa fatura fatti che sarano li conti56. 1615 marzo 6 Copertura delle fabriche Più si è ordinato circa il tener coperte le fabriche di detto monte della Madonna che li Reverendi signori Vicario et Prevosto facino la capitulazione et acordino con cui gli parerà più utile a beneficio di dette fabriche, a’ quali se li dà autorità di acordare et stabilire detta fattura57. 1615 luglio 1 La Congregatione ordina di finir la faciata Il giorno sudetto la sudetta Congregatione ha ordinato per il fatto di finir la faciata che mastro Antonio Solaris picapietre solito quella finisca. Et caso non havesse hora comodità di attenderle stante che detta fabrica si ritrova anco asai esausta de’ denari per li mali tempi, che almeno finisca un cornisone cominciato58. 1615 settembre 9 Dar fine alla faciata Essendosi congregati li signori della Congregacione della Madonna Santissima d’Oropa per proveder ad alcuni instanti bisogni per la fabrica d’esso luogo, è stato proposto in essa Congregatione […] dar ancora un fine alla faciata della Chiesa della sudetta Santissima59. 55 56 57 58 59 Trompetto 1974, pp. 134-138; Bessone 1999, pp. XL-XLI; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 288-295. ARMO 1999, col. 691. ARMO 1999, col. 693. ARMO 1999, col. 695. ARMO 1999, col. 699. 73 Costantino Gilardi Ritratto del cardinale Maurizio di Savoia (1593-1657). Incisione. Raccolta privata. 74 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1616 aprile 25 Morte del tesoriere Pietro Antonio Valle Più s’è ordinato a me Bartolomeo Villani secretaro della sudetta congregacione ch’abbi a scriuere et auisar Monsignore Reuerendissimo di Vercelli per conto del mancamento e morte d’una delle persone ellette ad Jnteruenir nelle congregationi e perciò si degni nominarne altra che compischi il numero di quattro atteso il mancamento del signor Thesoriere Valle60. 1616 agosto 23 Morte di mastro Antonio Solari Jn congregatione s’è ordinato che li huomini che lauorauano sotto il fu mastro Antonio Solaro all’oropa essi debbino continuar sino al fine di detta opera e che se gli debbino pagar dal signor Quarasa Thesoriero scuti vinti a fiorini noue l’uno61. 1616 dicembre 21 Il vescovo partecipa in Biella alla riunione della Congregazione di Oropa L’anno Mille sei cento sedici li vint’uno di decembre ad ognuno sia manifesto come hoggi in Biella auanti Monsignor Reuerendissimo di vercelli si sono conuocati li signori della congregatione della santissima d’oropa et proposto a detto Monsignor essere necessario proueder d’altri ad asister alla sudetta congregatione in luogo di quelli che sono amancati, et anco proueder d’altri quali habbino a essere procuratori della sudetta santissima nelli negozij suoi. Jl che sentito il sudetto Monsignor ha prouisto […]62. 1617 Il cardinale Maurizio di Savoia e Oropa L’Avogadro ed altri storici di Oropa menzionano una visita del cardinale Maurizio di Savoia al cantiere di Oropa nel 1617 per la pianificazione dei lavori: la strada da Biella ad Oropa, la chiesa, le cappelle del Sacro Monte e la fabbrica dei passaggieri et disciplini63. Lebole mette in dubbio la visita del cardinal Maurizio, poiché non riportata dagli Ordinati di Oropa né dagli Ordinati del Comune di Biella64. Il suo argomento è da prendere in seria considerazione, ma è indubbio un diretto interessamento del cardinale Maurizio di Savoia per Oropa in occasione della incoronazione del 162065 per lo stretto rapporto tra il cardinal Maurizio e il suo precettore e uditore generale, ma soprattutto come intermediario del padre, il duca Carlo 60 61 62 63 64 65 ARMO 1999, col. 701. Per Pietro Antonio Valle si veda Bessone 2004, pp. 246-247. ARMO 1999, col. 705. Per Giovanni Angelo Bertone Quarasa si veda Bessone 2004, pp. 233-234. ARMO 1999, col. 707. Brunetto - Gilardi 1998, pp. 28-34. Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 5-7 e 672-673. Gatti 1970, pp. 172-174. 75 Costantino Gilardi Emanuele I, fortemente interessato ad avere in territorio sabaudo un Santuario ed un Sacro Monte che potessero accogliere i pellegrini sabaudi invece diretti ad altri santuari ed in particolare al santuario di Varallo, territorio dello stato di Milano66. Successivamente, nel 1653, il principe Maurizio di Savoia finanzia la costruzione della Porta Regia, delle stanze e della capella ad uso dei principi di Savoia: havendo noi destinato d’impiegar la somma di ducatoni 1500 effettivi in far fare una Porta grande alla fabrica della Mad.na SS.ma d’Oroppa, con stanze e capella conforme al disegno che ne faremo fare67. 1617 maggio 26 Il vescovo partecipa alla Congregazione Jn congregatione fatta dalli signori d’essa auanti et con asistenza di Monsignor Illustrissimo e reuerendissimo Vescouo di Vercelli per soccorrer a qualche bisogni [sic] della fabbrica s’è ordinato […]68. 1617 giugno 13 Ho receputo per due condanne ouero penitenze ordinate da Monsignor Jll.mo Vescouo per mano del R.do curato della collegiata ff. 35 g. 869. 1617 giugno 24, Assedio (dal 24 giugno al 26 luglio 1617) e occupazione di Vercelli da parte degli Spagnoli (26 luglio 1617 - 15 giugno 1618)70. 1617 agosto 28 La casa del vescovo Giacomo Goria nomina il sacerdote Giovanni Stefano Fontana o Morello71 canonico del Capitolo di Biella e lo investe della prebenda annessa al canonicato. L’investitura è fatta presso il tempio della Beatissima Vergine Maria di Oropa, nella sala delle udienze della residenza del Vescovo. […] Datum et Actum apud beatissimae Mariae semper Virginis templum montis Europae in aula domus modernae nostrae residenciae anno a natiuitate Domini Nostri Iesu Christi millesimo seicentesimo decimo septimo, indizione decima quinta intra horas uigesimam secundam et uigesimam tertiam, die uigesima octaua mensis Augusti […]72. 66 67 68 69 70 71 72 76 Brunetto - Gilardi 1998, p. 83, n. 69; Gentile 2019, pp. 327-338. Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 440-446; Di Macco 1995, pp. 349-374. ARMO 1999, col. 709. ARMO 1999, col. 826. Gorini 1969. Bessone 2004, pp. 250-251. ARMO 1999, col. 546. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1617 settembre 6 Testamento di Giovanni Francesco Fantono Giovanni Francesco Fantono di Biella fa testamento lasciando cento ducatoni alla Madonna d’Oropa perché “siano spesi in un ornamento di noce sull’anchona esistente al altar grande di detta chiesa”; lascia eredi universali di tutti i suoi beni i Gesuiti di Torino, i quali, tra altri obblighi, hanno quello di far costruire una casa di quattro stanze a Oropa a comodità dei religiosi che ivi si recheranno73. 1617 ottobre 1 Il vescovo stipula il capitolato per la volta grande con mastro Giulio Belletti Monsignor Jllustrissimo Vescouo di Vercelli Con asistenza del Molto Jllustre e Reuerendissimo signor Abbate Bertodano et Molto Reuerendo Signor Preuosto Cauda ha rimesso et accordato con maestro Giullio Belletti di Pollono, che esso faccia la uolta grande di mezzo della chiesa della Madonna Santissima d’oroppa, et ogni altra Cosa necessaria per ridur à perfettione la fabricha dentro la sodetta Chiesa, et esso ha promesso et accettato di far il tutto à sue spese mediante il pagamento di scudi cento da fiorini noue l’uno, che il sodetto Monsignore, et altri signori sopra nominati gli hanno promesso di pagare, non Jntendendo pero, che nel pagamento delli scudi Cento debbi esser Compreso il Pauimento della sodetta Chiesa74. 1617 ottobre 8 Ho sborsato a Messer francesco Aprile per ordine di Monsignor Jllustrissimo Vescouo per mezzo del M. R.do signor Cesare Bertodano ff. 180 g. 075. 1617 ottobre 15 Ho sborsato a Gulielmino Aquadro di Pratolongo come sopra perche così mi ha fatto comandare Monsignor Jllustrissimo Vescouo per Andrea spola stafiero del R.mo signor Abbate Bertodano ff. 108 g. 076. 1617 ottobre 28 La casa del vescovo li 28 d’ottobre ho datto a Batista Schiapparello di Occleppo inferiore per la condutta di somme 14 di cornice qual dice esser 593 a casa di Monsignor Illustrissimo [Giacomo Goria] ff. 7 g. 0. ARMO 1999, coll. 550-565. ARMO 1999, coll. 711-713. 75 ARMO 1999, col. 750. Per Cesare Bertodano, nipote dell’abate Ottavio, si veda Bessone 2004, pp. 245-246. 76 ARMO 1999, col. 750. 73 74 77 Costantino Gilardi 1617 alli 28 d’ottobre ho sborsato a Misser francesco Aprile per mano del Signor Bernardino Barile perche cosi mi ha commandato Monsignor Jllustrissimo [Giacomo Goria] presente anchora Jl. R.mo signor Abbate [Bertodano] ff. 270 g. 0. L’istesso giorno ho datto a Gulielmino Aquadro di Pralongo per obedir a Monsignor Jllustrissimo [Giacomo Goria] ff. 45 g. 077. 1617 novembre 22 Il Consiglio comunale di Biella autorizza il capitano Bertodano a pagare alla Congregazione della Madonna Santissima di Oropa fiorini 5.00078. 1617 dicembre 31 Il vescovo partecipa alla Congregazione: i capitelli Jn congregatione fatta auanti Monsignor Reuerendissimo di Vercelli dalli signori deputati sopra la fabrica della Madonna santissima d’oropa e stato ordinato che Giacomo Cerruto di Chiauazza presente et accettante conduchi a sue spese alla Madonna santissima d’oropa da Pratolongo tutti li capitelli che tra piccoli e grandi sono otto per prezzo di scuti sette per tutti essi capitelli79. 1618 gennaio 1 La scalinata di Monsignor Vescovo Ho receputo all’ [sic] Jll.mo et R.mo Monsignor Vescovo per la sua scalinata ouero fabrica all’europa ff. 90 g. 080. Ho sborsato a Misser francesco Aprile piccaprede per la fabrica osia scalinada di Monsignor Jllustrissimo et R.mo Vescovo ff. 90 g. 081. 1618 gennaio 6 I capitelli scolpiti da Francesco Aprile Ho sborsato a Misser francesco Aprile piccaprede scudi quarantotto quali sono per li otto capitelli. Sono ff. 432 g. 682. 1618 marzo 17 L’architetto Francesco Conti 77 ARMO 1999, col. 751. 78 ARMO 1999, coll. 576-577. 79 ARMO 1999, col. 713. ARMO 1999, col. 828. ARMO 1999, col. 756. ARMO 1999, col. 756. 80 81 82 78 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ D’ordine di Monsignor Jl Vescovo di Vercelli et Congregatione noi infrascritti abbiamo visti i conti del signor Canonico Quoarasa [sic] Depositario delli denari et ellemosine della fabrica della Madonna Santissima dell’Uropa, e troviamo che l’essato è di fiorini nouemila cinquecento e sessantatre, grossi dieci, quarto uno diciamo ff. 9563-10-1 […] et in fede del vero si siamo qua sottoscritti l’Abbate Bertodano Uno della Congregatione sopra la sodetta fabrica. Jo Cesare Bertodano Deputato ho assistito alli sodetti Conti. Jo fra francesco de Santo Sebastiano [Francesco Conti] sono stato presente83. Il 17 marzo 1618 compare per la prima volta negli Ordinati il nome dell’architetto Francesco Conti, che risiede a Biella84. Francesco Conti, luganese, fu monaco cistercense fogliante nel monastero della Consolata di Torino e poi canonico lateranense col nome di padre Francesco di S. Sebastiano85, nell’abbazia di S. Sebastiano di Biella86. Giacomo Goria aveva un privilegiato rapporto con i cistercensi riformati foglianti: risiedette a Roma nel 1621 per circa un anno nel loro monastero di S. Pudenziana e il 10 marzo 1622, appena rientrato a Vercelli, li chiamò a stabilirsi in città assegnando loro la chiesa di S. Vittore87: conoscendo Monsignor Goria essere i Padri Monaci Riformati di S. Bernardo della Congregatione Fogliense di molto frutto al Cristianesimo; perciò gl’introdusse in Vercelli nel giorno 10 di marzo dell’anno 162288. 1618 giugno 19 Il Consiglio comunale di Biella ordina agli esattori del “Sussidio” di dare 25 doppie al Rettore perché le offra in elemosina alla fabbrica della Madonna Santissima di Oropa in riconoscenza delle diverse grazie che si sono ricevute e che si ricevono per sua intercessione89. 1618 giugno 24 La processione generale ARMO 1999, col. 757. Trompetto 1974, pp. 133-134; Brayda - Coli - Sesia 1963, p. 30; Luganensium artistarum 1992, pp. 57, 67; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 295-296 e 403 note 35-37. 85 Bessone 1999, pp. XXXIX-XL. 86 Lebole 2005, p. 35, alla voce Biella: Convento di S. Sebastiano. 87 Brunetto - Gilardi 1998, p. 80. Nella circostanza, certamente, il Goria consegnò la copia della Breve relatione del Gatti, già conservata in quella biblioteca (come si vede dal timbro di possesso “BIBL / S.PVD / VRB”), ora in Archivio di Stato di Biella, Biblioteca del Centro Studi P. Torrione. 88 Cusano 1676, p. 333. 89 ARMO 1999, 589-590. 83 84 79 Costantino Gilardi Il vescovo ordina una “processione generale di tutta la Diocesi di Vercelli ad Oropa [il giorno della festa di S. Giovanni Battista] per sciogliere il voto fatto nel 1616 perché la Madonna li aveva salvati dagli orrori della guerra90. 1618. Donativo fatto dalla Comunità di Biella alla Madonna d’oropa con la occasione della processione generale ordinata da Monsignor Reverendissimo di Vercelli il giorno di santo Giovanni Battista in rendimento di gratia per la pace seguita scuti cento da fiorini noue l’uno, de quali n’è stato caricato l’Illustre signor Ludouico Battiani Rettore per la sodisfatione91. 1618 luglio 7 L’architetto Francesco Conti D’ordine di Monsignor Jllustrissimo Vescouo ho sborsato a Misser Gio. Antonio Tecio per tanto panno negro braze 7 e mezzo e per altre robbe alla presentia et stantia di Misser pietro Cucia et Misser Bartolomeo fasse et per seruitio del R.do Padre fra francesco [Francesco Conti] ff. 115 g. 692. 1618 luglio 10 Ho sborsato al padre fra francesco conti per il suo uito d’ordine di Monsignor Jllustrissimo Vescouo ff. 45 g. 093. 1618 luglio 22 Il vescovo partecipa alla Congregazione Jn Congregatione fatta auanti il sudetto Monsignore [Giacomo Goria] s’è ordinato si debbi dare à frate francesco da Santo Sebastiano [Francesco Conti] rubbi sette di vino et scuti cinque a fiorini noue per cadun mese ch’esso stara all’oropa in seruitio di quella vergine94. 1618 agosto 4 L’architetto Francesco Conti Datto al Reverendo Padre Frate francesco Conti per mano del Gianinetto servitor del cucia rubbi 9 libre 4 vino cavato dal botale domestico95. 1618 settembre 23 L’avvio della prima cappella Jn congregatione fatta da suoi signori s’è ordinato si debbi trattener mastro 90 91 92 93 94 95 80 Gatti 1970, pp. 21 e 30, n. 8; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 294. ARMO 1999, col. 735. ARMO 1999, col. 759. ARMO 1999, col. 760. ARMO 1999, col. 713. ARMO 1999, coll. 834-835. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Alberto [Aprile] per dar fine a quello che della di lui maestria ha bisogno il monte d’oropa e dar principio alla prima capella doue meglio giudicaranno gl’ingegneri con li danari dati per ellemosina dalla Comunità di biella et altri. Più che fornita sarà la faciata d’oropa s’è ordinato si debbi dar a frate francesco da Santo sebastiano [Francesco Conti] scuti 6 a fiorini noue per le fatiche d’auantagio ch’esso usa acciò s’auanzi qualche danaro intorno alla fabbrica96. 1618 dicembre 3 I deputati della Congregazione di Oropa sollecitano il versamento della somma di doppie 25 che la Comunità di Biella aveva promesso in occasione della processione generale. Il Rettore è invitato a soddisfare la richiesta, ricorrendo, se necessario, ad un prestito97. 1618 dicembre 14 Ho sborsato al M. R.do signor Canonico Gio. Pietro Gregio per ordine di Monsignor Jllustrissimo et R.mo Vescouo et per tanti assignati il [sic] lista dal R.do Capitulo sopra li proventi della santissima d’Europa ff. 108 g.98. 1618 dicembre 16 L’architetto Francesco Conti Datto al Reverendo Padre francesco Conti per ordine del Reverendissimo signor Abbate [Bertodano] a relatione del cucia ff. 18 g 099. 1618 dicembre 22 Per obedir a Monsignor Jllustrissimo Vescouo ho sborsato al M. R.do signor Gio. Pietro Azario per tanti assignati in lista dal R.do Capitolo sopra li proventi della santissima d’europa ff. 108 g. 0100. 1618 dicembre 23 L’architetto Francesco Conti […] ascendente a fiorini ducento e settanta così calcolato da Don francesco Conti altre volte frate della Consolata101. 96 97 98 99 100 101 ARMO 1999, coll. 713-715. ARMO 1999, coll. 616-617. ARMO 1999, col. 767. Per Giovanni Pietro Greggio si veda Bessone 2004, pp. 251-252. ARMO 1999, col. 767. ARMO 1999, col. 767. ARMO 1999, col. 715. 81 Costantino Gilardi 1619 L’Hostaria La progettata incoronazione della statua della Madonna per il 1620 induce gli amministratori alla costruzione di un edificio più spazioso per l’Hostaria per ospitare il maggior numero possibile di pellegrini. Le prime spese sono elencate il 20 giugno 1619102. 1619 Completamento della facciata103. La facciata della chiesa nel disegno dell’architetto Francesco Conti (Museo del Santuario di Oropa). Foto di Mario Coda. Riproduzione autorizzata 1619 gennaio 21 Il Consiglio comunale di Biella, considerato che per poter finire la strada che porta ad Oropa è necessario acquisire alcuni terreni di privati, invita la Congregazione del Sacro Monte a riconoscere agli interessati la somma che sarà arbitrata dallo stimatore e che la comunità si impegna a pagare104. 1619 gennaio 26 Il Consiglio comunale di Biella ordina alla Congregazione della Madonna Santissima di Oropa di vendere tutti i beni dal Favaro in su a chi farà miglior oblazione, rimettendo il ricavato all’Abate Bertodano perché possa provvedere al pagamento degli operai addetti alla costruzione della strada che conduce al Sacro Monte e a quanto altro sarà necessario per la realizzazione dell’opera105. 102 103 104 105 82 Bessone 1999, pp. XLI-XLIII; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 293; pp. 418-422. Bessone 1999, pp. XXXIV-XXXV; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 293. ARMO 1999, col. 622. ARMO 1999, coll. 623-624. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1619 febbraio 6 Il Consiglio comunale di Biella, considerando che i beni già assegnati non bastano per la costruzione della fabbrica e della nuova strada di Oropa, ne assegna altri sui fini di Biella, autorizzandone la vendita106. 1619 luglio 5 Il vescovo partecipa alla congregazione: Francesco Conti è incaricato dei dissegni delle Capelle Nella congregatione della santissima d’oropa fatta auanti Monsignore Reverendissimo di Vercelli è stato stabilito […] Che per li duoi mesi Luglio et Agosto Don francesco Conti Architetto standosene a mangiare da Monsignor Abbate Bertodano che la fabrica gli [dia] diece scuti andando a visitare le fabriche all’oropa una uolta la settimana e facendo li dissegni delle Capelle107. 1619 Le due corone d’argento Non v’essendo danari della fabrica per le due corone d’argento necessarie all’jncoronatione della Madonna che s’impermutino li danari per farle subito fabbricare. Si scrivi a Monsignore di Casale per la licentia di fare la questa nelle terre del suo Vescovato a noi più vicine. Si convenghi con alcuno che vadi alle queste nell’arcivescovato di Torino dando a quello la mettà delle collette che in detta diocesi si farà108. 1619 luglio 18 Ho receputo dal R.do Misser Clemente Pezzia Curato d’occleppo inferiore ff. 90 g. 0 assignati da Monsignor Jll.mo Vescouo alla fabrica109. 1619 novembre 6 L’immagine portatile Più per hauer esso [Misser Pietro Cucia] dato a Misser Anselmo pitore per hauer raccommodato l’imagine portatile della santissima ff. 3 g. 6110. ARMO 1999, coll. 624-626. ARMO 1999, col. 715-717. Per una trattazione complessiva delle cappelle di Oropa si veda Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 379-536: le cappelle nel “prato della Madonna (pp. 379-394); il Sacro Monte (pp. 394-403); gli architetti delle cappelle e i costruttori (pp. 403-404); gli statuari (pp. 404-421); i committenti (pp. 421-425); le cappelle non ultimate o solo progettate (pp. 425-430); le cappelle edificate (pp. 430-536); anche Gentile 2019, pp. 327-329. 108 ARMO 1999, col. 717. 109 ARMO 1999, col. 841. 110 ARMO 1999, col. 786. 106 107 83 Costantino Gilardi 1620 La chiesa nel 1620 Per l’incoronazione del 1620 la nuova chiesa era ultimata e comprendeva la facciata, la attuale navata centrale e le navate laterali fino al sacello111. 1620 gennaio 30 La porta lignea della chiesa Ho pagato a Maestro Bernardo garabello per la fatura et intaglio di sei rosoni per la porta della chiesa della santissima ff. 7 g. 0112. 1620 giugno 22 Ho Receputo dal M. R.do signor Vicario di Boriana per mano del M. R.do signor Cesare Bertodano per assignatione di Monsignor Jll.mo Vescouo ff. 54 g.113. L’incoronazione del 1620 1620 luglio 2 Lettera del vescovo di Vercelli, ai vicari foranei, rettori e curati della sua diocesi per la incoronazione del miracoloso simulacro della gloriosissima Vergine Maria114: Giacomo, vescovo di Vercelli e conte, […] alli diletti ben amati vicari foranei, rettori e curati di tutta la sua diocesi, salute nel Signore. Non essendovi cosa nella quale Nostro Signore maggiore compiacimento dimostri quanto che nella riverenza et honore che si dona alla sua santissima Madre, come li Miracoli, e le gratie, le quali per mezzo di lei continoamente si fanno chiarissimo, testimonio ne rendono per corrispondere alla divina volontà et alli meriti di tanta Signora qual è la Santissima Vergine Madre dell’Unigenito di Dio vi facciamo sapere ch’avendo più volte fatta consideratione sopra l’indicibil favore, del quale la divina Bontà ha privilegiata la nostra Diocesi e tutti questi paesi, collocando ne’ monti sacri dell’Oroppa, vicino a Biella, per mezzo del nostro Padrone, Protettor et Avvocato sant’Eusebio, lo miracoloso Simulacro della gloriosissima Vergine Maria, opra creduta di Santo Luca Evangelista, conservata da mille trecento anni in circa, il qual miracolo si può dire, perché non senza miracolo si mantiene incorrotto, quanto tutte le legna, le quali gli hanno servito et servono per ornamento di tempo in tempo 111 Trompetto 1974, p. 150; Trompetto 1977, pp. 40-47; Bessone 1999, p. XXVI-XXXVII; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 293. 112 ARMO 1999, col. 791. 113 ARMO 1999, col. 851. 114 ARMO 1999, coll. 652-655. 84 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ infracidiscono, e a chi divotamente in quel luogo si conduce e chiama il suo aiuto, gratie e miracoli impetra, come piamente dalle traditioni e memorie antiche si raccoglie, abbiamo risoluto di ravvivare la memoria di tanto beneficio con determinare, come già presso di Noi s’è determinato, di fare in un giorno particolare una solenne coronazione a quel santissimo ritratto, come se fosse la medesima Regina regnante nel cielo alla destra del Figlio, vestita di manto d’oro in richissimo diadema, con la più maestevole e religiosa pompa che sia possibile. E perché una tanta attentione si conduca al desiderato fine, a gloria di Sua Divina Maestà, a trionfo della Beatissima Vergine e felicità di Sua Altezza, delli Serenissimi Prencipi figliuoli, a pace di tutti li Stati, a salute di tutti Nuoi, et a conservatione dei communi beni, vi ordiniamo per le presenti, che per le preghiere, che per apparecchio e dispositione à solennità avvisate tutti li fedeli alla vostra cura raccomandati, di questa nostra intentione e per quanto amore portate a Dio, e per quanta divotione havete alla Santissima Vergine, e per la riverenza et ubbidienza che dovete all’ufficio nostro pastorale, facciate ogni sforzo di persuaderli che si mettino all’ordine e si disponghino con pura confessione e divota Communione di venir a quel Santissimo luogo in quel giorno preciso del quale saranno avvisati per conseguir quelle gratie maggiori che luoro desideriamo et preghiamo et oltre a questo apparecchio spirituale, gli essortarete a fare qualche coletta in quel miglior modo che giudicharete ispediente per ajuto et soccorso della fabrica et delle molte spese, le quali ad honore della Signora Nostra continoamente si fanno in quel Santo luogo, ci hanno a fare come ognuno può vedere, che non ad interessi particolari, ma tutto cede a gloria di tanta Vergine Immacolata, e Madre et per cooperare all’opera, e diligenza vostra, della quale non dubitiamo, manderemo Predicatori Capucini a questo effetto collocati nel monastero di Biella, i quali unitamente con voi procureranno di conseguir l’intento et a bocca daranno maggiore e più piena informatione de’ nostri desiderii perché con straordinaria divotione si faccia il tutto, havendosi a fare questa incoronatione alla presenza di tale concorso, che felice si stima quel Curato, e quel popolo, il quale con maniera più divota e con più ricca dimostratione si sarà condotto. E voi siate sicché se mai haveste desiderio di far cosa grata al vostro Pastore, questa sarà carissima, e con occhio particolare avertiremmo a quelli li quali mostraranno maggior devotione per raccordarla a’ suoi tempi. E se considerate che Beata è quell’anima, qual è devota della Santissima Madre di Dio, ognuno a garra procurarsi con Santi affetti et effetti d’amarla, riverirla, salutarla, laudarla et porger gli prieghi et rallegrarsi col cuor pieno delle sue grandezze, perché essa ama chi l’ama, inalza chi l’esalta, risaluta chi la saluta, ascolta chi la prega, rallegra gli animi di chi s’allegra delle sue grandezze e con maniere piene di gratia sa appresso il Sommo Re impetrare ogni possibil gratia per i cuori devoti del suo nome. Vivete felici e pregate per noi, che Dio v’inspiri sempre a compier meglio la Santissima volontà. Di Vercelli, li 2 luglio 1620. D. Hormezano 85 Costantino Gilardi Predicatori Cappuccini per preparare l’incoronazione […] et per cooperare all’opera, e diligenza vostra [vicari foranei, rettori e curati], della quale non dubitiamo manderemo Predicatori Capucini a questo effetto collocati nel monastero di Biella, i quali unitamente con voi procureranno di conseguir l’intento et a bocca daranno maggiore, e più piena informatione de’ nostri desiderij perché con straordinaria diuotione si faccia il tutto, havendosi a fare questa incoronatione alla presenza di tale concorso, che felice si stima quel Curato, e quel Popolo, il quale con maniera più divota e con più ricca dimonstratione si sarà condotto (Lettera del vescovo Giacomo Goria)115. Fra Fedele da San Germano e fra Giacomo da Vercelli Per mandar dunque i Signori Biellesi à spedita essecutione sì degna deliberatione, dier parte del conchiuso, come era di diritto, à Mons. Goria Vescovo di Vercelli, chiedendo da sua Signoria Reverendissima aiuto, e favore, il quale non poco lodò il santo proponimento, dimostrandone molta contentezza, offrendosi altresì con affettuosissime promesse pronte à quanto fora stato bisognevole; fra le molte cose stimate à cotanta impresa necessarie, fu determinato di condurre Predicatore di fama, per animare i popoli a sì gloriosa, et lodevole attione; e fu stimato attissimo il Padre Frate Fedele di Santo Germano Capuccino, soggetto di gran spirito, d’ottima dottrina, consumato in questi santi esercizii, indefesso nelle fatiche, et potens in sermone, come che egli sia più volte stato impiegato da altre Cittadi in somiglianti affari, et per facilitare il proposito ebbero ricorso dal Serenissimo Sig. Principe Mauritio Cardinale, il quale oprando tostamente col Padre Prov., fu il Padre Fedele destinato Guardiano del suo Monastero di Biella, ch’incontanente diede cominciamento alle sue fruttuose predicationi per isvegliare il popolo a così lodevole fatto e particolarmente per ritrovar limosine per fabricar le Corone. Monsignor [Giacomo Goria] poco sopra ricordato dimostrandosi ardentissimo di condurre à riva tanto negotio, scrisse affettuosissima lettera Pastorale à tutti li Reverendi Curati di sua Diocesi, invitandoli con i loro popoli a ritrovarsi presenti nel giorno, che con altra sua sarà determinato alla solennissima Coronatione, et per maggiormente agevolare il tutto, mandò il Padre Frate Giacomo di Vercelli, Capuccino, persona di ottime qualità a predicare a tutte le Terre di sua giurisdittione, che fu all’opra destinata di molto servigio116. I preparativi Si fanno molti preparamenti all’Oroppa et in Biella per la Coronatione et si danno bonissimi ordini per l’alloggiamento de’ forestieri117. 115 116 117 86 ARMO 1999, col. 654. Gatti 1970, pp. 172-173; Cusano 1676, p. 334. Gatti 1970, pp. 181-185. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Monsignor Vescovo in quel tempo si trovava in Biella et veggendo sopravenire il giorno destinato à tanto trionfo, andossene co’ Signori deputati al Sacro Monte Oroppa, per divisare colà et provedere di quanto veniva giudicato bisognevole, fu tra di loro stabilita conclusione di coronar fuori di Chiesa la Serenissima Imperatrice, in uno spatioso et ben agiato prato ivi vicino […]118. Si leva la Sacra Imagine dall’antico nichio, per collocarla sovra uno altare fuori della chiesa. Incominciano le processioni di Biella, et altre compagnie ad inviarsi al Sacro Monte119. 1620 agosto 19 Giacomo da Vercelli, Predicatore Cappuccino, scrive da Biella ai confratelli della Compagnia di S. Antonio di Vercelli per invitarli ad intervenire alla solenne incoronazione della Vergine di Oropa, prevista per l’ultima domenica di agosto120. Venerabili Confratelli nel Signore, salute Dovendosi l’ultima domenica di agosto, che sarà alli 30, coronare l’Imagine gloriosa della Oroppa, portata in quel luogo dal nostro Protettore S. Eusebio Vescovo di Vercelli, nel tempo dell’empia et crudele persecutione dell’Ariani già mille e trecento anni sono, con una corona di oro di mille scudi di valore cavati dal popolo di Biella per la predicatione del Padre Fedele da S. Germano, Predicatore Capucino, à questo fine, aciò la Beata Vergine si degni esser la nostra Advocata et Protettrice appresso del suo figliolo, et in particolare aciò si degni di proteggere et liberare questi paesi dalli cattivi tempi, alla quale coronatione dovendo convenire la maggior parte delle Terre della Diocesi di Vercelli et parte di quelle d’Ivrea, come di già mi hanno promesso. Io, mosso dalla charità, dall’affettione qual nel Signore porto alla patria, et ancor dall’officio qual mi è stato imposto di andare predicando per le Terre invitandole à questa solennità, ho giudicato essere bene invitare li fratelli di cotesta divota Compagnia aciò vogliano pigliare questo puoco scommodo di venire in processione alla sopra deta Solennità, la quale si farà con tanta maestà che mai fuorsi si sarà veduta una simile, assicurandogli che partiranno molto consolati per il grandissimo gusto et profitto spirituale quale sono per ricevere. E vennendo saranno tutti alloggiati in casa di particolari di Biella la sera avanti e la sera doppo. Si che gli prego vogliano leggere questa mia in pleno oratorio et ad accettare questo invito, qual con ogni affetto gli faccio, avisandoli che non occorre portino voti, o Tavolette di argento, ma bastarà una sol Torchia con una elemosina di denari secondo la loro possibilità, perché così faranno tutte le altre Terre dove à questo fine ho predicato. 118 119 120 Gatti 1970, p. 181. Gatti 1970, pp. 185-193. ARMO 1999, col. 655-657. 87 Costantino Gilardi In oltre doppo che come veri divoti della Beata Vergine haveranno stabilito di venire ad honorarla, in questa coronatione, gli prego ad avisarmi del numero delle persone, aciò si sappi in che modo fare la distributione. Per fine della quale, sapendo io quanto sempre si è mostrata cotesta divota Compagnia pronta in simil occorrenze, non mi estenderò più in lungo in persuaderli ad accettare un invito tanto buono, perché spero nel Signore non daranno orecchio à questi prudenti del mondo et puoco divoti della gloriosa Vergine, ma conforme al loro solito verranno con quella maggior divotione sarà possibile. Il Signore donque sii sempre con loro e gli dia buono et felice viaggio et io alle loro divote orationi mi raccomando, come fa ancora il Padre Fedele da S. Germano. Adi Biella, li 19 Agosto 1620. Affetionatissimo nel Signore P. Giacomo da Vercelli, Predicatore Capucino. Fra Giacomo da Vercelli è guardiano a Vercelli dal 1625 al 1626; il 23 maggio 1636 richiede al vescovo di Vercelli il permesso di erigere il convento di Andorno. Muore a Vercelli il 18 marzo 1637121. 1620 agosto 30 Coronò il Divinissimo Infante et la Serenissima Madre Offerta di Biella Posto fine all’offerta delle Compagnie, e delle Terre, prontissimamente si trovarono quelle di Biella, che passando con bellissima ordinanza et riguardevole Maestà ancor esse fecero la lor oblatione, seguivano al Clero immediatamente i Signori di Conseglio, e popolo, precedevano il Signor Rettore, e due Giovinetti con vestiti d’angelo, nobilissimamente ornati che portavano le ricchissime corone122. Processione […] le vaghissime Corone che gli vennero però imantenente così appese rimesse per portarle in processione, alla quale di subito dessi incominciamento, levandosi il Santissimo Simolacro da quattro Signori Canonici, vestiti alla Levitica, precedente tutto il Clero, seguiva Monsignor Vescovo in habito Pontificale, con Mitra e bastone Pastorale, la Musica, le Trombe, et infinito numero di popolo, con accesi doppieri. Fù la gloriosissima Imagine con questa bellissima ordinanza sovra l’ordinatissimo Altare, del destinato palco portata, presso di quella riponendo le sacre Corone123. 121 122 123 88 Bortolozzo 2005, vol. I, p. 174; Ingegneri 2008, p. 121. Gatti 1970, p. 193. Gatti 1970, p. 193. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Messa pontificale Sovra di questo altare Monsignor cantò pontificia e solenne Messa con tutta quella maestà et grandezza ch’a sì gloriosa attione era decevole. Fu da’ cantori di Vercelli et Biella cantata a tre chori con nova et ottima Musica […]124. Predica Posto fine alla Santa Messa, il padre frate Fedele da San Germano diede cominciamento alla fruttuosa e dotta predica, proponendosi per soggetto il vangelo corrente alla domenica, principiando il suo ragionamento da quelle parole Beati oculi, qui vident quæ vos videtis (Lc. 10, 23) […]125. Fra Fedele Barozzi nato a San Germano Vercellese nel 1565, professo nella Provincia di Milano nel 1588, eminente per dottrina e santità, predica nelle più importanti città d’Italia diffondendo in particolare la pratica delle Quarantore. Pubblica l’Essercitio d’amorosi sforzi […] Como 1608, Discorso delle lodi di san Carlo Borromeo recitato in Milano li 7 novembre dell’anno 1620 […], Milano 1620. Muore in Roma il 10 maggio 1623126. Le tre Corone commissionate ad un argentiere di Milano […] in quella famosissima Città ne prese carica personaggio di molta stima, e di non minor pietà, là dove bentosto furo ridotte a perfettione […] per il valore meglio di mille scuti, oltre le pretiosissime gioie che in quelle erano innestate127. Fra gl’altri doni fatti alla Santissima Vergine d’Oropa […], non hanno forsi l’ultimo luogo le tre Corone, con quali fu per divotione della Città di Biella et altri Popoli circonvicini solennemente Coronato il suo Santissimo Simolacro nell’anno 1620. fu quest’opera primieramente in rendimento di molte gratie proposta da’ Signori Biellesi et indi col zelo di Mons. Vescovo Goria maggiormente promossa et avanzata; posciaché richiedendone Monsig. Vescovo per sua lettera Pastorale tutti i RR. Curati della Diocesi, in tempo che il Padre Fedele da S. Germano famosissimo Predicatore Capuccino in Biella, et il Padre Giacomo di Vercelli per le altre Terre della Diocesi ne inanimavano i Popoli, si vidde in brevissimo termine e ricavato e provisto per la fabrica delle Corone un fondo maggiore d’ogni universal credenza in quei tempi per altro molto calamitosi. Si fecero però fabricar in Milano tre Corone, due per Nostra Signora da porsi sopra quella ch’ella aveva d’indorato legno intagliata nello stesso tronco, et una per il Bambino Giesù nella forma che si veggono impresse nell’effigie stampata nel principio di questo libro128. 124 125 126 127 128 Gatti 1970, p. 193. Gatti 1970, p. 194 Bortolozzo 2005, vol. I, p. 681. Gatti 1970, p. 174. Bonino 1720, pp. 37-38. 89 Costantino Gilardi Breve di Paolo V con il quale il Pontefice concede l’indulgenza plenaria per il giorno dell’incoronazione […] supplicossi al Serenissimo Prencipe Cardinale per ottener da Roma indulgenza, per lo giorno della solennissima Coronatione, là dove S. A. con pietosissimo animo ne fece scrivere al suo Ambasciatore colà residente, che porgendo supplica a N. Signore […], la fel. mem. di Paolo Quinto la dichiarò di moto proprio per l’ultima domenica d’Agosto, che fu il giorno trentesimo di quel mese, concedendola plenaria per sette anni veggenti, et per tutta l’ottava della Coronatione di sette anni, e sette quarantene, che fu nobilitata da circostanze di molta meraviglia, come a suo luogo dirassi, Monsignor Vescovo, ch’andava procurando occasioni per dimostrare quanto egli bramasse che si honorevole attione restasse con tutti i possibili mezzi illustrata, et autorizzata, anc’esso nel giorno di sì gran festa concedete facoltà à tutti li Padri confessori di poter assolvere i penitenti da qualunque caso a lui riservato. Giunto da Roma il Breve d’Indulgenza, subito lo fece dare alle stampe e pubblicare in Vercelli, et per tutta la diocesi, avisando per altra lettera particolare gli Reverendi Curati del giorno preciso, che per cooperar alla santa Coronatione si dovevano all’Oroppa, col suo popolo ritrovare129. Incoronazione della Madonna di Oropa130 Conchiuso che ebbe il Padre [Fedele da San Germano] il profittevole discorso, dessi tostamente principio dalla musica a cantare solennemente le sacre litanie […]. Improvisamente fu dato fiato a tutte le trombe con tanto strepito che fece altamente commovere tutta la gran moltitudine, segno manifesto ch’allhora si havea da coronare la gran Reina […]. Là dove Monsignor [Giacomo Goria] ordinato quanto giudicò necessario, si pose genuflesso avanti il sacro Altare et fatto alquanto d’oratione si levò, et sopra certi scaglioni ascendendo, con grandissima riverenza, scoperse la Pretiosissima Imagine, ch’in quell’atto sembrò folgorare quasi lucidissimo Sole, mentre squarciando il velo di densa nube indora la Terra, e ’l Cielo, raggi di Maestà, indi in mezzo della Corona di legno adattato il dorato Nappo di cui già fu detto, per somma gioia tutto in spirito rapito, pigliando con humil riverenza le tre Corone, che li vennero sporte in gran bacile d’argento, da uno de’ Signori Canonici assistenti, in atto, come che egli stesse alla realissima presenza della vivente et regnante in Cielo, Coronò il Divinissimo Infante et la Serenissima Madre, dicendo alcune particolari preci, solite dirsi in somiglianti allegrezze131. 1620 dicembre 21 Carlo Emanuele I propone l’erezione di una collegiata in Oropa 129 130 131 90 Gatti 1970, pp. 174-177; ARMO 1999, coll. 676-677. Gatti 1970, pp. 181-197; Cusano 1676, p. 314; Bessone 1999, pp. LXII-LXIII. Gatti 1970, pp. 194-197; Cusano 1676, p. 334; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 28-33. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Carlo Emanuele I, Duca di Savoia, scrive all’abate Scaglia, suo ambasciatore a Roma, dicendosi favorevole alla erezione di una collegiata in Oropa, nonché all’unione di alcuni benefici e, primo fra tutti, il priorato di Castelletto Cervo, di cui è titolare il cardinal Leve, alla chiesa di Oropa132. 1620 dicembre 27 I confratelli della Compagnia di S. Anna del Piazzo di Biella, riuniti nel proprio oratorio, su proposta del priore Stefano Mestiatis e conformemente alle indicazioni date dal Padre Predicatore Guardiano dei Cappuccini di Biella, fra Giacomo da Vercelli, al Le tre corone dell’incoronazione del 1620. Foglio volante pari delle altre Compagnie, (Museo del Tesoro di Oropa). Foto di Mario Coda. Riproduunanimamente ordinano di zione autorizzata. fare eseguire a proprie spese, per la cappella dell’Incoronazione della gloriosissima Vergine ad Oropa, due statue, e precisamente quelle di S. Anna e di S. Antonio133. 1621 [Bassiano Gatti], Breve relatione dell’antichissima, & mirabilissima divotione della gloriosissima Madre di Dio del Monte Oroppa di Biella. Raccolta ad instanza delli Deputati della Congregatione del Sacro luogo, In Torino, per gli Heredi di Gio. D. Tarino, MDCXXI134. ARMO 1999, coll. 671-672; sulla mancata erezione della collegiata, si veda Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 323-327. 133 ARMO 1999, coll. 673-674. 134 L’esemplare della Biblioteca Reale di Torino, segnato C.8.16, reca la scritta di possesso “Rmi fris Ant.i Retacci Vercellen.”. Alle cinque copie finora conosciute della Breve relatione, vanno aggiunte 132 91 Costantino Gilardi 1621 Il Gatti descrive lo stato della chiesa nel 1621135: nell’ingresso si scuopre una bellissima volta formata con le sue lunette, correndole intorno di nuova foggia artificioso cornicione: tre spaciose navi: sostengono otto pilastri di viva pietra tutta la macchina, la quale è composta parimente di viva pietra alla rustica lavorata. Il pavimento del maggior’Altare è sternito di mischio marmo: il rimanente della Chiesa di quadrata pietra; sopra il maggior Altare evvi un’ampia finestra con lo steccato di ferro il quale al dritto riguarda la Capella della B. Vergine con l’intermezzo però d’una stanza pur ad un tempo con essa fabricata, dove passando per due porticelle all’Altare maggiore laterali, s’entra per honorare Nostra Signora, una grossa e larga ferrata, che s’apre mentre s’ammettono le persone nella sacra Capella, la divide dalla predetta stanza, che rende mirabile divotione et decoro. 1621 dicembre 5 Dalla Relazione della Visita ad limina di Giacomo Goria vescovo di Vercelli: […] apud Bugellam ab anno trecentesimo Christi nati usque ad hanc diem colitur simulachrum ligneum Dei Matrem pre se ferens a Sancto Luca euangelista elaboratum ut pie creditur et per gloriosum Martyrem et pontificem Eusebium ex plaga orientali delatum in reditu exilij sui ac ibidem collocatum ad quod semper et undique frequens populus et clerus adivit et nunc hoc magis perspicitur quia de mense Augusti superioris anni [1620] illud ipsum simulachrum corona aurea gemmis et lapillis pretiosis exornata et intexta donatum extitit presentibus ad minimum triginta Hominum millibus coram quibus locuti sunt muti, ambularunt claudi et a Demone possessi evaserunt liberi, ac ibi tres Sacerdotes quotidie offerunt sacrificia ad vota fidelium explenda et ut quam primum numerus canonicorum accedat qui diuinas laudes et missas celebrent cordi et cure est136. 1622 aprile 21 Lettere Patenti di Carlo Emanuele I […] alcuno, di qualsivoglia stato, grado e condizione che egli sia, non possi né debba ingerirsi in esso [regime della Fabbrica di Oropa] in alcun modo, che non sia dei deputati della Congregazione sopra essa Santa Devozione137. quelle della Biblioteca Nazionale di Napoli, segnata SALA FARN. 50. B 32 (0001), ora disponibile in edizione digitalizzata, e le due della Bibliothèque Nationale de France. 135 Gatti 1970, p. 57. 136 ARMO 1999, col. 854. 137 Marchi 1994, pp. 116 e 253-254. 92 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1622 maggio 7 Il portale in marmo e l’arma di Carlo Emanuele I Li Signori Conservatori hanno ordinato che si scrivi al Signor Aurellio Malpenga che procuri di intendere il prezzo d’un’Arma di S. A., atteso che si è deliberato di far adornare meglio la faciata della Chiesa et puoj mettergli sopra detta Arma, per memoria di detta S. A.138. Sull’architrave è scolpita la scritta, attribuita allo Pseudo-Bernardo139: o quam beatus o beata quem viderint oculi tui 1622 agosto 31 Lettere Patenti di Carlo Emanuele I con cui prende il santuario sotto la sua protezione Il duca prende il santuario sotto la sua protezione. Nel cartiglio centrale sulla porta maggiore della chiesa di Oropa fu scolpita a lettere d’oro l’iscrizione, poi abrasa nel 1799140: elegit me protectorem domus suae L’ampliamento della nuova chiesa: l’architetto Toscanella a Oropa 1625-1637 Il Duca Carlo Emanuele I invia ad Oropa il suo architetto, capitano Marcantonio Toscanella che viene incaricato di progettare l’ampliamento della chiesa, allungando le tre navate oltre il sacello, con due cappelle a formare un transetto e ornandola di una cupola a pianta ottagonale141. Marcantonio Toscanella architetto decoratore, nel 1637 lavorò in Roma per il principe Cardinal Maurizio di Savoia142. Per ampliare la chiesa era necessario demolire una parte del deyro contro cui poggiava il sacello, ancora oggi parzialmente esistente sul fianco sinistro della chiesa. Giacomo Goria si adopera vivamente affinché il Sacello conservi il più possibile il suo carattere originario143. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 297. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 299. 140 Bianchi 1936, p. 72; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 304. 141 Trompetto 1974, pp. 151-156; Trompetto 1977, pp. 48-51. 142 Manzini 1637, p. 56; Schede Vesme 1963-1982, vol. III, p. 1055; Brayda - Coli - Sesia 1963, p. 65; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 303-312. 143 Per l’intera vicenda si vedano Trompetto 1974, pp. 152-154 e Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 306312. 138 139 93 Costantino Gilardi Il Sacro Monte di Oropa, nel disegno di Giovanni Abbiati (da C. A. Bonino, Istoria, divotione e miracoli della Madonna Santissima di Oropa, Torino, F. A. Gattinara, 17203). L’Antica Capelletta L’Antica Capelletta, in cui si honora la Sacra Statua, fu sempre nella sua rozza fabrica in grandissima veneratione, come riconosciuta in tal stato per fabrica di S. Eusebio e suoi Santi Compagni nel soggiorno luoro fra questi Monti […]. Quindi è che gli applicati all’ingrandimento della fabbrica di questo Santo luogo e fra questi gl’illustrissimi Vescovi Ferrero e Goria di buona memoria, non mai stimarono di doverla mutare né di sito, né di forma, anzi Mons. Goria era di sentimento che ne pure si dovesse abbellire, quasi che sovra ogni abbellimento fosse più considerabile la memoria delle innocenti e sante mani che l’avevano fabbricata, a riverenza delle quali, mentre sovente si portava a questa Divotione, soleva visitare il già menzionato Sasso, primo ricovero di grandi santi et indi con dolci lagrime come opra loro la rozza fabbrica di questa Capelletta. Resta questa al di fuori longa piedi vinti liprandi, larga dieci, tutta formata di rozzi sassi e con medemi rozzamente voltata; al di dentro con una grossa ferrata divisa nel mezzo in due siti, servendo il primo, in cui resta l’Altare e la Santissima Statua, per solo accesso de Sacerdoti e persone privileggiate e l’inferiore a comodità de’ Divoti. Nel primo di questi siti apre l’ingresso una porticella verso mezzo giorno et nel secondo altre due laterali, che per il gran concorso servono una all’entrare, l’altra all’uscire de’ concorrenti. Alla facciata della stessa Capelletta v’è 94 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ l’Altar Maggiore della Chiesa e sopra questo s’apre altra ben intesa ferrata che mostrandosi il Santissimo Simolacro, il lascia vedere a chi resta nella Chiesa Maggiore144. 1625 dicembre 24 Carlo Emanuele I concede una dotazione annua per la fabbrica di Oropa Giunge ad Oropa per trascorrervi il Natale il duca Carlo Emanuele I che prende visione dei lavori in corso e specialmente del progetto di prolungamento della chiesa. Il duca concede una dotazione annua di 450 lire per tirar inanzi le fabriche (Patenti del 24 dicembre 1625) e il privilegio di poter liberare ogni anno quattro banditi utilizzando il riscatto a beneficio della chiesa. Le patenti furono interinate dal Senato il 2 maggio 1626145. 1626 ottobre 12 La demolizione del sasso […] si sono congregati […] et hanno unitamente concluso per non mettere a rischio di ruinar la Chiesa grande della Madonna Santissima d’oropa con romper il sasso ivi anesso con polvere o fuocho, di far la prova di romperlo con ferri et pagar li lavoranti a tanto il giorno146. 1626 ottobre 24 Ordini e Decreti per il governo e per la fabbrica di Oropa Ordini e Decreti fatti da Mons. Rev.mo Vescovo di Vercelli per il buon Governo della Chiesa, Devozione e fabbrica della Madonna SS. nelli fini di Biella147. 1627 febbraio 27 La demolizione del sasso Gli amministratori della Congregazione inviano al vescovo, residente a Torino, mastro Simone con i disegni dell’architetto Toscanella per convincerlo a permettere la demolizione del sasso ed inviano al vescovo la seguente lettera: Habbiamo presentito che V. S. Illustrissima non inclina si facci la demolitione del Sasso, ma solo qualche parte d’esso, il che seria tutto differente al dissegno [che] fece il capitano Marc’Antonio [Toscanella] mandato da S. A. [Carlo Emanuele I], et per haverlo anche detta Altezza doppo aprovato per bene, 144 145 146 147 Bonino 1720, pp. 29-30, Trompetto 1977, pp. 12-39. Trompetto 1974, p. 151; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 304-305. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 306. Marchi 1994, pp. 116-117 e 254-257. 95 Costantino Gilardi Decreto del vescovo Goria, 24 ottobre 1626, per il buon governo di Oropa; in calce la sua firma autografa (Archivio del Santuario di Oropa). Foto di Mario Coda. Riproduzione autorizzata. 96 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ massime quando fu sopra il luogo, oltre di ciò tutta la spesa fatta nella nova fabrica seria inutile, et disconcertaria il detto dissegno, che però si è preso temperamento di mandar Maestro Simone da V. S. I., con il dissegno aciò possi restar capace del tutto, et quando pure abbi gusto si facino delle stanze, si potranno agiungere dalle sue in modo di corridore sino alla loggia de’ disciplini, sopra che restarà servita avisarci di sua volontà, tanto più che al presente vi sono molti partiti alla mano per detto Sasso […]. S’è data la sopraintendenza di tutte le fabriche del oropa a messer Giulio Beletti con stipendio di scudi quindeci da ff. 9 l’uno il mese e non altro, con conditione che al S.to Martino la Congregatione e lui siano in libertà di seguitare secondo si serà visto sua servitù, crediamo però d’haver acertato si per la inteligenza sua e bona volontà che dimostra, come per il molto bisogno che si è in quel Santo luogo di persona che di continuo antivedi, altrimenti quelle fabriche non anderanno troppo bene, l’habbiamo carigato di tener libro formale de lavoranti, et che camini di concerto con uno de sacerdoti per far poi gl’ordini de pagamenti, qual sendo di suo piacere lei medesima lo potrà nominare e mandarli l’ordine de costi148. 1627 marzo 6 La lettera inviata al vescovo il 27 febbraio 1627 è allegata all’Ordinato del 6 marzo 1627. Il vescovo annota di suo pugno accanto ad ogni quesito la sua risposta e prega l’abate Bertodano: di comunicare il mio sentimento ne’ capi seguenti alla Congregatione […], in particolare riguardo al sasso scrive: Mastro Simone ha sentito il mio parere et capito per conto del sasso et alla sua viva voce mi riporto circa la scelta di mastro Belletti a soprintendente dei lavori risponde: Non mi spiace la deputatione, mentre ne segue l’effetto che si desidera et si spera. Queste puntuali annotazioni e la manifestazione delle esplicite volontà richieste dalla lettera del 27 febbraio 1627 attestano come il vescovo seguisse personalmente la fabbrica della nuova chiesa di Oropa. La Congregazione di Oropa il 6 marzo delibera: Havendo subodorato che Monsignor Illustrissimo Vescovo di Vercelli metteva qualche difficoltà intorno la demolitione del sasso contranante [sic] a tutto il resto del dissegno della nova chiesa, hanno concluso mandar maestro Simone con li dissegni fatti dal Signor Capitano Marc’Antonio [Toscanella] dal sodet- 148 Lebole 1996-1998, vol. II, p. 307. 97 Costantino Gilardi to Monsignore acciò a viva voce et con dissegno alla mano vedisse la necessità di essa demolitione con informar detto Monsignor che lui a viva voce di altri bisogni del santo luogo ha avuto cariga dalla sodetta Congregatione et a questo effetto s’è scritto al sodetto Monsignor. Di più li sodetti Signori hanno accordato con maestro Giullio Belletti Capo Maestro che non solo invigili nelle fabriche d’essa Santissima, ma che tenghi il libro et Nota distinta di tutti li lavoranti conforme a quello che gli sarà datto in notta per Capitulatione che tra essa Congregatione et maestro Giullio sodetto sarà dessignata149. 1627 marzo 13 La risposta del vescovo fu esaminata dalla Congregazione di Oropa riunita il 13 marzo ed in quella riunione gli amministratori ordinavano: che si rompi il sasso annesso alla chiesa della Madonna Santissima, ma prima si facci la prova passate saranno le feste di Pascha prossime avvenire, e poi domandar li maestri per l’accordo conforme all’incanto che si farà150. 1628 giugno 17 Mastro inviato dal vescovo […] et il sudetto Signor Vicario Quarasa ha presentato una lettera missiva di Monsignor Illustrissimo et R.mo Vescovo di Vercelli concernente d’haver mandato un mastro per demolir il sasso alla Madonna Santissima d’Oropa et atteso che detto mastro intende servirsi di polvere et fuoco per la demolitione di detto sasso, il che puotria apportar danno alla Chiesa et fabbrica delli disciplini et Capella vicina [del prato della Madonna], hanno perciò detti Signori ordinato scriversi a detto Monsignor Vescovo et metterli in consideratione il pericolo che potrebbe apportar adoprando polve et fuoco per detta demolitione et se sarà necessario prettender da detto Mastro segortà succedendo effetto contrario di quello esso presupone et promette et massime stante che già s’erano ritrovati altri partiti per la demolitione di detto sasso senza polvere et fuore di pericolo151. Fu demolita la parte del deyro che impediva la continuazione della navata laterale sinistra, conservando il fianco sinistro del sacello e la parte della roccia esteriore alla chiesa, che fu ridotta di dimensioni. 1628 agosto 1 Il vescovo rientra a Vercelli dopo il soggiorno a Torino dall’ottobre 1625 al 1° agosto 1628 impostogli dal duca. 149 150 151 98 Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 306-307. Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 307-308. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 308. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1628 ottobre 14 Riprende le visite pastorali interrotte nel 1625152. Nel Biellese, dal 14 al 30 ottobre del 1628 visita Portula (14 ottobre), Mosso (15), Mortigliengo (16), Curino (17), Sostegno (18), Castelletto, Roasio (19), Masserano (22), Brusnengo (23), Lessona (24), Benna, Villanova Biellese (25), Massazza (26), Casanova (27), Santhià (28), Tronzano (29), Crova, Viancino (30)153. 1629 aprile 21 Il governo e la amministrazione di Oropa Il protonotario apostolico Gregorio Naro in seguito a ricorso del Capitolo, vieta a chiunque et in specie al Vescovo di Vercelli di turbare i Canonici di S. Stefano nell’amministrazione della Chiesa di Oropa154. 1629 maggio 15 Ordine di Mons. Goria Vescovo di Vercelli per la sovrintendenza del Santo Luogo di Oropa, a firma del suo vicario generale e nipote Gio. Antonio Aghemio155: Iacobus Dei et Apostolice Sedis gratia Episcopus Vercellarum et Comes. Inherentes edictis per nos alias hoc de genere concessis et dignis de causis animum ad id nostrum moventibus harum serie omnibus et singulis sacerdotibus tam Secularibus quam Regularibus huius Vercellarum et alterius Civitatis seu Diecesis, cuius cuiusvis dignitatis, ordinis vel conditionis existant, inhibemus expresse ne in ecclesia Beatissime Virginis de Oropa nuncupate in montibus Bugelle et dicte nostre Diecesis audeant missam de cetero cellebrare absque expressa licentia M. Rev. Domini Ioannis Mathei Coste Canonici Theologi Collegiate Ecclesie Bugelle Penitentiarii et Rectoris in eadem Ecclesia de Oropa a nobis legitime deputati sub pena quo ad Sacerdotes Seculares suspensionis a divinis ipso facto incurrenda et quo ad Regulares sub pena canonis vel nostri arbitrii. Item omnibus et singulis tam Ecclesiasticis quam Laicis cuiuscumque status, gradus et qualitatis sint, etiam inhibemus ne in colligendis, custodiendis et quomodolibet administrandis elemosinis, oblationibus et aliis rebus eiusdem ecclesie de Oropa se ingerrere presumant sub quovis pretextu ultra et preter 152 ASAV, Liber visitationum pastoralium ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Domino Jacobo Goria, felicis recordationis, Episcopo Vercellensi et Comite, peractarum in hac Civitate Vercellensi eiusque diecesi, vol. II (1619-1632). 153 Brunetto - Gilardi 1998, p. 39, n. 144. 154 Marchi 1994, p. 117. 155 AST, Luoghi pii di qua dei monti, m. 5; Marchi 1994, pp. 117 e 257-258. Per Giovanni Antonio Aghemio si veda Brunetto - Gilardi 1998, pp. 237-241 e Tav. II; Lebole 2005, p. 7, alla voce Giovanni Antonio Aghemio. Su Giovanni Matteo Costa si veda Bessone 2004, p. 253. 99 Costantino Gilardi solitum ab anno 1614 citra et hactenus observatum sub pena quo ad Ecclesiasticos suspensionis et quo ad Laicos excomunicationis late sententie et alia arbitraria. Item pariter inhibemus et iniungimus Rev. Capellanis ceterisque dicte Ecclesie ministris nequempiam aliumquam eundem Costam in Rectorem eiusdem Ecclesie de Oropa deinceps habeant recognoscere vel reputare sub pena predicta suspensionis et expulsionis ab eadem Ecclesia atque alia arbitraria. Et demum decernimus harum exequtionem per affixionem copie valvis dicte Ecclesie et Sacristie valere et omnes afficere ac si etc. In quorum fidem etc. Datum Vercellis die 15 maii 1629. Ioannes Antonius [Aghemius] Vicarius Generalis. 1631 marzo 8 Sentenza della Nunziatura Apostolica di Torino in favore del Capitolo della Collegiata di S. Stefano in Biella156. 1631 novembre 5 Stabilimenti di Mons. Goria Vescovo di Vercelli per il Capitolo, Città e Congregazione d’Oropa157. 1632 agosto 8 Lettera del duca Vittorio Amedeo I al vescovo Giacomo Goria La lettera attesta la devozione di Monsignor Goria per Oropa. Era stato riferito al Duca che, contrariamente alla sua abitudine di recarsi a Biella ogni estate, il vescovo di Vercelli per dispetto al Duca non volesse recarvisi quell’anno. Lo stesso Duca con tono ironico e pungente, gli scrive: Molto Reverendo Oratore Mio Carissimo, Poiché le ragioni da voi addotte e la vostra sanità non vi permettono ancora di venir da noi per concertare col parere di altri prelati e dei nostri ministri i temperamenti necessari intorno all’osservanza della giurisdizione et immunità ecclesiastiche, in conformità di quello che s’è discorso qui con Mons. Nunzio, stimiamo che sarà molto opportuno al nostro servizio che mutiate questa aria con quella di Biella più salubre et in luogo principale della vostra diocesi e dove altre volte avete trovato giovamento alle vostre indisposizioni. Quivi con la vicinanza della devozione a N. S.ra d’Oroppa, potrete nel medesimo tempo, attendere alla salute dell’anima e del corpo, e schiverete l’aria di Vercelli, che in questi tempi vi sarebbe nociva per l’una e per l’altro. Ci pare dunque necessario che vi disponiate di cambiarla quanto prima nella suddetta Biella, 156 157 Buscaglia 1919, pp. 18-19. Marchi 1994, pp. 117-118 e 258-259. 100 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ mentre che da Roma verrà l’ordine che s’aspetta intorno a quello che dovete fare; né occorrendo altro per adesso, preghiamo Dio che da mal vi guardi. Da Torino, 8 agosto 1632. Il duca di Savoia Vittorio Amedeo. Controfirmata Paser158. 1632 agosto 10 Risposta del vescovo al duca: Serenissimo Signore, Io so molto bene che V. A. per la sua innata bontà e pietà cristiana non ha parte con chi tenta tutte le strade per inquietarmi et abbreviarmi quei pochi giorni che mi restano di vita et pertanto mi assicuro che l’A. V. mi perdonerà et iscuserà se non vado adesso, come vi andrei volentieri, a Biella et alla Santissima d’Oroppa, conforme alla scrittami sotto il dì dell’altro ieri, quando tal’aria fosse stimata dai medici conferente e propria alla presente mia indisposizione. Oltrechè, levato che mi sia l’ostacolo da Roma e cessata l’indisposizione, il pensiero e desiderio mio fu sempre et è di presentarmi di lungo a V. A. per ricevere i suoi comandi et rimostrarmele quel che le dissi in ogni tempo et le vivo di continuo fedelissimo servitore d’intera devozione et osservanza. E se ben io abbia rimesso certo poco denaro nel Banco di Sant’Ambrogio di Milano come in luogo più sicuro et commodo et qual posso levare a mio beneplacito et valermene nelle necessità et occorrenze, non devo per questo essere biasimato, tenendone ivi molti altri dello Stato di V. A. senza contraddizione et ombra. Et qui facendo fine, prego da Dio a V. A. sanità e lunga vita con perfettissima allegrezza e contentezza nel prossimo parto di Madama Serenissima159. Da queste lettere e da altre attestazioni si evince che il vescovo trascorreva ogni anno un periodo ad Oropa, dove aveva una sua residenza: - in aula domus modernae nostrae residenciae160; - per la condutta […] a casa di Monsignor Illustrissimo161; - in altri ordinati si parla della scalinada di Mons. Jllustrissimo e Reverendissimo Vescovo162. 1633 giugno 6 L’ospizio dei Cappuccini a Oropa Risiedendo a Roma, il vescovo richiede la mediazione di Antonio Barberini, car- 158 159 160 161 162 Zanelli 1939, p. 195; Brunetto - Gilardi 1998, pp. 44-45. Zanelli 1939, pp. 195-196; Brunetto - Gilardi 1998, p. 45, n. 164. Si veda 1617 agosto 28. Si veda 1617 ottobre 28. Si veda 1618 gennaio 1 e 6. 101 Costantino Gilardi Ritratto di Antonio Barberini (1569-1646), cardinale del titolo di S. Onofrio (1624-1646). Incisione. Raccolta privata 102 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ dinale di S. Onofrio, cappuccino e fratello del papa, per ottenere una missione stabile di frati cappuccini presso il Sacro Monte di Oropa163. Il ministro generale fra Antonio da Modena autorizza fra Giovanni da Moncalieri, provinciale del Piemonte, ad erigere l’Ospizio di Oropa164, ove sono assegnati nel 1633 fra Francesco da Sandigliano e fra Egidio da Brosso, nel 1636 fra Antonio Maria da Asti e fra Tommaso da Moretta. I Cappuccini assegnati all’Ospizio di Oropa: Fra Francesco Scaglia di Verrua, dei conti di Sandigliano, nato a Sandigliano, professo nella provincia di Milano l’8 ottobre 1606, missionario a Oropa (16341635), muore a Savigliano il 23 aprile 1648165. Fra Egidio da Brosso professo il 21 settembre 1621, guardiano a Vercelli (16311632); guardiano a Biella e missionario a Oropa (1632-1635), guardiano a Biella (1642-1643), muore a Chieri il 10 agosto 1643166. Fra Antonio Maria Lupi nato ad Asti professo il 15 novembre 1612, guardiano a Biella e missionario a Oropa (1635-1637), ministro provinciale (1643-1646), ministro provinciale (1649-1652), muore a Racconigi il 26 novembre 1655167. Fra Tommaso Solaro dei conti di Moretta, nato a Moretta, professo il 24 febbraio 1627, missionario ad Oropa (1636-1637), muore il 18 maggio 1662168. Successivamente il 9 settembre 1639 l’Infanta Maria richiede al guardiano dei Cappuccini di Biella, fra Stefano Dentis, di accettare un ospizio dipendente dal convento di Biella: essendo stato il fine principale della Signora Infanta Caterina, che quelle stanze della Madonna d’Oroppa si dedicassero al servizio della sua Religione [Ordine dei Cappuccini], sarà bene che gionta che sarà la licenza del Padre Generale sene pigli il possesso […] con speranza che i Padri che saranno destinati per quel luogo, debbano ricordarsi specialmente di noi nelli loro Santi Sacrifici et orazioni …169. Ferrerio 1659, vol. II, pp. 633-634. Per le stanze delle Infante ad Oropa e l’uso di dette stanze da parte dei Cappuccini si veda Trompetto 2005, pp. 49-53; Lebole 1996-1998, vol. II, pp. 422-426 165 Bortolozzo 2005,vol. I, p. 249. 166 Bortolozzo 2005, vol. II, p. 456. 167 Bortolozzo 2005, vol. II, p. 664. 168 Bortolozzo 2005, vol. I, p. 296. 169 Lebole 1996-1998, vol. I, pp. 327-329; Lebole 1996-1998, vol. II, p. 423; si veda anche Brunetto - Gilardi 1998, p. 32; Ingegneri 2008, pp. 121 e 187. 163 164 103 Costantino Gilardi Ritratto dell’infanta Caterina di Savoia (1595-1647) con la Madonna di Oropa. Incisione da M. Arpio, Vita dell’Infanta Caterina di Savoia, Religiosa del Terz’Ordine di San Francesco, Annecy, 1670. 104 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Fra Stefano da Torino, figlio di Lancillotto Dentis170 dei conti di Bollengo, professo il 14 agosto 1620 predica il quaresimale nel Duomo di Torino (1628); vicario a Bra (1631-1632), guardiano a Bra (1632-1634); missionario a Perrero (1634-1636); guardiano a Carmagnola (1637-1638); guardiano a Biella (1638-1641); missionario a Demonte (1641-1642), guardiano a Mondovì (1642-1644); guardiano e lettore di morale a Vercelli (1645-1647). Il 22 ottobre 1640 ad Oropa pronuncia l’orazione funebre per l’infanta Caterina di Savoia. Muore a Vercelli il 28 ottobre 1647171. Il Manno172 e il Bortolozzo errano circa la data della sua morte (1630 Manno e 1645 Bortolozzo), sulla data di pubblicazione de L’Hebreo convinto (1625 Manno e 1675 Bortolozzo; recte 1647) e nel riferire l’orazione funebre del Dentis alla Infanta Caterina Micaela, moglie di Carlo Emanuele I, invece che alla Infanta Caterina loro figlia173. 1634 novembre 2 Le Infante Maria e Caterina ad Oropa Lettera di don Leone Madruzzi, segretario ducale, che attesta la visita delle Infante Maria e Caterina a Oropa e l’origine delle Figlie di Maria, conservata presso l’archivio del capitolo di S. Stefano di Biella: Le Serenissime Infante Maria e Caterina, mie signore, dalle quali foste eletta con la compagna per servire in loro nome alla Chiesa della B. Vergine d’Europpa, havendo inteso che siete partita, il che pensano che sia forse per qualche ostacolo che vi sia fatto, mi comandano di significarvi il gusto che riceveranno della perseveranza vostra in questo santo essercitio, per la quale, se avete bisogno di altre persone, non mancherete di dar loro avviso, siccome di quello che stimerete bene, perché la servitù d’essa santissima Regina sia sempre maggiormente promossa e ricordatevi di non mancare di pregare sempre il Signore, e la B. Vergine per le loro Altezze e per me ancora, che per fine prego Dio che vi conservi. Torino, li 2 novembre 1634. D. Leone Madruzzi174. Quanto attestato da Leone Madruzzi circa le Figlie di Maria è confermato dalla lettera dell’abate Giovanni Antonio Aghemio del 2 febbraio 1654 che si conserva presso l’archivio della Città di Biella: Gorini 1958, p. 46. Derossi 1790, p. 104; Gorini 1958, p. 46; Bortolozzo 2005, vol. II, p. 604. 172 Manno Patriziato, vol. IX, p. 74. 173 Per i religiosi di altri Ordini o Congregazioni proposti o presenti ad Oropa si veda Lebole 19961998, vol. I, pp. 321-378. 174 Bianchi 1936, pp. 71-74; Trompetto 1974, p. 481; Trompetto 2005, pp. 47-49, citazione a p. 48. 170 171 105 Costantino Gilardi Ritratto dell’infanta Maria di Savoia (1594-1656). Incisione da B. Alessio, Vita della Serenissima Infanta Maria di Savoia, Milano 1663. 106 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ […] Tanta era la loro pietà che avrebbero voluto fermarsi continuamente in tale pia occupazione e non potendolo fare in persona, mantenevano alcune zitelle che lo facessero in loro vece175. 1635 Giovanni Battista Zanono succede a Giulio Belletti nella sovrintendenza dei lavori della chiesa Gli Ordinati di Oropa riprendono dal 1635 e riportano i pagamenti per li Picapietre, per il Mastro Batta Zanono et suoi Compagni, per quelli che fanno le cote [sic] et li conducono per coprir la Copola e per Mastro Baldesar Pastero per fattura delli Pomi et vela della Cupula. Mastro Giovanni Battista Gianono o Zanono succede a mastro Giulio Belletti, con cui il vescovo aveva stipulato il capitolato per la volta grande il primo ottobre 1617 e che era stato nominato soprintendente dei lavori il 6 marzo 1627. Mastro Giovanni Battista Zanono dal 1635 diventa il principale mastro della chiesa, come risulta dai numerosi pagamenti successivi176. 1637 Gli stalli del coro La chiesa poteva già dirsi ultimata nel 1637, poiché in tale anno si trova la spesa per gli stalli del coro (furono tolti durante i lavori di restauro di mezzo secolo fa), scolpiti da Giovanni Agostino Durando con l’aiuto di Andrea e Giovanni Pietro, padre e figlio Ottino di Pralungo177. Giacomo Goria e Oropa: presenze, governo e amministrazione 1638-1647 1638 febbraio 28 Giacomo Goria si trasferisce da Vicolungo a Salussola e quindi a Biella, dove risiede fino al 1640178. 1639 settembre 9 L’Infanta Maria richiede al guardiano dei Cappuccini di Biella, Stefano Dentis, di accettare un ospizio dipendente dal convento di Biella179. 175 176 177 178 179 Bianchi 1936, p. 73, Trompetto 2005, p. 49. Lebole 1988, pp. 308-309. Lebole 1996-1998, vol. II, p. 310. Brunetto - Gilardi 1998, pp. 49-50. Brunetto - Gilardi 1998, p. 32. 107 Costantino Gilardi 1640 settembre 25 Il principe Tommaso di Savoia invia da Rivoli a Biella Giovanni Antonio Aghemio, vicario generale di Vercelli e nipote del vescovo Goria, per richiedere ai rettori della città di provvedere un alloggio nel Piazzo et una casa che sia più vicina ad una Chiesa per le Infante Maria e Caterina180. 1640 ottobre 3 Per sfuggire all’ordine del cardinale Richelieu di far prigioniero il principe Tommaso, tutti lasciano Rivoli; il 3 ottobre 1640 il principe Tommaso con le sorelle Maria e Caterina lascia Viverone e si trasferisce a Biella181. 1640 ottobre 10 Le Infante Maria e Caterina ad Oropa Giacomo Goria accoglie le Infante Maria e Caterina di Savoia ad Oropa182. 1640 ottobre 18 Amministra il viatico all’Infanta Caterina ammalatasi nel palazzo Ferrero al Piazzo in Biella183. 1640 ottobre 19 L’Infanta Caterina detta il testamento184 presente l’Ill.mo e Rev.mo Sig. Giacomo Goria Vescovo di Vercelli, in cui dispone: il corpo suo cadavere che sia ordina seppellirsi nella Chiesa della Madonna Santissima di Oroppa avanti l’Altar grande che è in detta chiesa fuori della Capelletta, et nel luogo che sarà stimato più decente dal detto Ill.mo e Rev.mo Vescovo con le spese, esequie e funerali ad arbitrio dell’infrascritta Serenissima Signora [l’Infanta Maria] sua erede universale. Alla quale Chiesa ha legato, et lasciato quel tanto che a parte ha significato alla medesima Serenissima sua Herede conforme ad una lista rimessagli et scritta di mano del suo M. R. Padre Confessore D. Maurizio Maria Furno Barnabita185. 1640 ottobre 20 180 181 182 183 184 185 Bianchi 1936, p. 116; Brunetto - Gilardi 1998, p. 50. Brunetto - Gilardi 1998, p. 51; Trompetto 2005, pp. 69-70. Bianchi 1936, pp. 116-119, 138; Brunetto - Gilardi 1998, p. 51; Trompetto 2005, pp. 70-71. Brunetto - Gilardi 1998, p. 51; Trompetto 2005, pp. 73-75. Il testamento è integralmente pubblicato in Brunetto - Gilardi 1998, pp. 357-360. Brunetto - Gilardi 1998, p. 358. 108 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ L’Infanta Caterina muore a Biella186. 1640 ottobre 22 Il vescovo di Vercelli officia il funerale e la sepoltura dell’Infanta Caterina ad Oropa, ove viene sepolta nella navata centrale della nuova chiesa di fronte al Sacello187. In questa maniera giunse dopo morte l’Infanta Caterina dove tanto bramava di ritornare in vita, cioè nella Chiesa della Madonna dell’Oroppa, da lei eletta per sua sepoltura. Ivi il Vescovo con buona parte del Clero incontrò con religiosa e nobile cerimonia il corpo e accompagnollo sino al Catafalco, che stava in mezzo alla Chiesa, tutto divampante di lumi. Si disposero in ischiere attorno attorno i Preti e Cappuccini, tenendo sempre in mano le torcie accese, cantarono di novo tutti insieme l’ufficio de’ morti, offerironsi per la defunta infiniti sacrificii e quello del Vescovo fu offerto con rito Solenne, dopo il quale il Padre Guardiano all’hora de’ Cappuccini di Biella [Stefano Dentis] con molto spirito e loquenza fece l’oratione funerale, con cui rese molto commendabile la pietà e meriti della defunta e obbligò li circostanti a sigillare tutta la cerimonia col pianto e colle lagrime, fra le quali finalmente fu riposta nella da lei bramata sepoltura188. 1640 dicembre 14 Il rientro del Vescovo a Vercelli Dopo otto anni e cinque mesi di assenza, Giacomo Goria rientra a Vercelli189. 1641 maggio 17 Donazione al seminario di Torino con cui istituisce sei piazze per il mantenimento di sei chierici fino all’età di venticinque anni190. Nella Donazione del 1645 istituirà dodici piazze presso il seminario di Torino per giovani studenti meritevoli. 1644 aprile 2 Sentenza della Camera Apostolica in favore del Capitolo di S. Stefano, contro le innovazioni del vescovo nel governo et administratione di Oropa, con cui si dichiara 186 187 188 189 190 Trompetto 1974, p. 490. Trompetto 1974, p. 491-492; Trompetto 2005, pp. 75-77; Brunetto - Gilardi 1998, p. 51. Arpio 1670, pp. 267-268; Alessio 1663, pp. 108-109. Brunetto - Gilardi 1998, p. 52. Brunetto - Gilardi 1998, pp. 361-366. 109 Costantino Gilardi 110 G. S. Ferrero, Sancti Eusebii Vercellensis episcopi et martyris […] vita et res gestae, Vercelli, G. Allario e M. Marta, 1609. Frontespizio. La Breve relatione di Bassiano Gatti, stampata a Torino nel 1621. Frontespizio. Esemplare già della Biblioteca del monastero di S. Pudenziana in Roma, ora in Archivio di Stato di Biella, Biblioteca del Centro Studi P. Torrione. Vita di monsignor Giacomo Goria […], Torino, Boetto e Guigonio, 1702. Frontespizio. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 111 La Donatione fatta il 24 gennaio 1645 dal vescovo Goria a favore della chiesa di S. Elena di Villafranca, nell’edizione stampata a Torino nel 1656. Frontespizio. Costantino Gilardi Ritratto di Cristina di Francia (1606-1663), detta Madama Reale, moglie di Vittorio Amedeo I, reggente (1637-1648). Incisione. Raccolta privata. 112 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ nullo quanto il Vescovo aveva decretato e si mantiene il Capitolo nel pacifico possesso e amministrazione della chiesa di Oropa191. 1644 aprile 20 Regio Biglietto della Reggente Cristina di Francia ai Canonici di S. Stefano192: Molto Illustri e Reverendi Carissimi, Vi scrivessimo che quantunque aveste ottenuto da Roma di poter deputare dodici canonici al Santo Luogo di Europa con escludere dalla nomina il Rettore [cioè il Sindaco] rappresentante la nostra persona e la città stessa di Biella, non dovreste innovar cosa alcuna, né procedere ad alcuna deputazione senza nostra saputa. E perché intendiamo che ne proseguite l’instanza, vi replichiamo questa, avvertendovi di non darci causa di applicarvi quei rimedi che non sarebbero di vostro gusto e d’averne quel sentimento che potesse apportare il vostro inavveduto ardire. Vi servirete dell’avviso e che non lascieremo sopprimere le ragioni di S. A. R. e di detta Città. E Dio vi conservi. 1644 settembre 6 Lettera della Reggente Cristina di Francia al Rettore et Città tutta di Biella193: Magnifici nostri carissimi, ci meravigliammo d’intendere che non dimostriate calore in ciò che riguarda l’osservanza del solito et sostenimento delle nostre e vostre ragioni circa l’amministrazione delle cose appartenenti al Santo Luogo d’Oropa, anzi che vi raffreddiate nel continuare a fare le funzioni assuete della Congregazione con detrimento di quel Santo Luogo e pregiudizio di Sua Altezza Reale e vostro, massimamente essendo venute da Roma provvisioni così favorevoli e che vi mettono la ragione in mano. Dovrete perciò ripigliare il vostro solito vigore et efficacia et così applicarvi al regolamento di detto Santo Luogo, et negli altri affari concernenti il servizio di Sua Altezza Reale e nostro, senza arrestavi ad ogni menoma ombra. Crediamo che non perderete tempo nell’opera, et che vi servirete della nostra autorità e protezione, come sapete essere soliti di usare in simili materie, sicuri che non vi abbandoneremo mai nella nostra protezione; et voi Rettore particolarmente, come rappresentante il servizio dell’Altezza Reale il Duca Carlo Emanuele, mio figlio amatissimo, avremmo a caro di veder attivo quanto si tratterà delle ragioni di detta Altezza. 191 Buscaglia 1919, p. 19; Maffeo 1958, pp. 94-96; Marchi 1994, pp. 118 e 259-261. Copie del manifesto, stampato a Torino da G. B. Zavatta, sono in ACV, cart. “Varie” (Carte risguardanti la chiesa, prevostura e città di Biella; benefizio di S. Giovanni Battista e sacro monte di Oropa; chiesa di Andorno), in AST, Materie Ecclesiastiche, Luoghi pii di qua da monti, m. 5 e nell’archivio del Santuario di Oropa. 192 Buscaglia 1919, pp. 19-20; Marchi 1994, pp. 118-119. 193 Buscaglia 1919, p. 20; Maffeo 1958, pp. 96-97; Marchi 1994, p. 262. 113 Costantino Gilardi Così dunque voi tutti vi adoprerete, et in caso che li Canonici chiamati non voglino intervenire, proseguirete voi l’amministrazione suddetta, tanto nel levar denari, che nelle altre funzioni, mentre seguono però le dovute giustificazioni. Aspetteremo d’intendere che così abbiate eseguito senza farvelo replicare e preghiamo Iddio che di mal vi guardi. Giaveno, li sei Settembre 1644. Chretienne. 1644 settembre 29 Lodo o Stabilimento della Reggente Cristina di Francia al Rettore e Città tutta di Biella194. Nelle differenze vertenti circa l’Administrazione del Santo Luogo della Madonna Santissima d’Oropa di Biella tra il Rettore rappresentante Sua Altezza Reale et il Capitolo di S. Stefano di Biella et Città istessa di Biella, facienti la Congregazione sopra l’Administrazione suddeta, in virtù di compromesso della Città e signori Canonici fatto in Madama Reale, quale ha dato ordine a noi sottoscritto Marchese di Pianezza di componer le parti, restando li detti compromessi annessati al presente laudo, abbiamo laudato, arbitramentato et deciso come segue in esecuzione di detto ordine. 1° Che la detta Congregazione di Rettore, Capitolo e Città si facci dell’infrascritto numero di persone, cioè quattro del Capitolo, tre della Città et di più il Rettore rappresentante come sopra, et si facci una volta in Piazzo et l’altra in Piano, e ciò sino a tanto si sii accomprata una casa comoda, e per gli uni e per gli altri, talmente però che non sii nel Piazzo, e l’accompra si farà fra un anno prossimo, se non sarà donata delle condizioni su accennate. 2° La Congregazione si farà ogni otto giorni, al sabbato, ore venti, suonata la campana di s. Stefano, al suono della quale saranno obbligati trovarsi alla Congregazione, ed occorrendo accidenti per quali bisognasse fare più spesso la detta Congregazione, si suonerà la stessa campana. 3° Interverranno li suddetti ed amministreranno unitamente, lasciando però nel sedere la precedenza a’ Religiosi. 4° Continuerà la stessa Congregazione a nominare li Preti servienti in quel luogo et ciò sino a tanto venghi ordinato da sua Santità se il Rettore et Città potranno partecipare di nominare li Preti Cappellani, quali il Capitolo ha pretenzione di nominare lui solo, qual possesso continuerà sino alla provvisione di Sua Santità, senza pregiudizio delle ragioni dell’una o dell’altra parte. 5° Quanto al Vescovo che abbi la sovra intendenza datali dai Canoni. 194 Buscaglia 1919, pp. 20-21; Maffeo 1958, pp. 97-98; Marchi 1994, pp. 119-121 e 263-264. 114 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 6° La stessa Congregazione amministrerà unitamente ogni e qualunque cosa pensata, od impensata, occorsa, o da occorrere in quel Santo Luogo, eccettuate le spirituali mere e dipendenti da mero Officio spirituale. Quali cose l’Illustrissimo Signor Abbate Bertodano e l’Illustrissimo Signor Canonico Albertino, deputati per parte del Capitolo, come appare per procura delli 24 corrente settembre, e li Molto Illustri Signori Romolo Rondi et Francesco Vercellone, deputati dalla Città di Biella, come consta per procura delli 9 detto mese, la prima sottoscritta Villani et l’altra Biasetti, hanno caduno a nome di cui si spetta promesso attendere, ed osservare sott’obbligo de’ beni di detto Capitolo e Città, presenti ed avvenire, con la clausula del constituto in forma. In fede si sono sottoscritti alla presente. Dato in Torino li 29 settembre 1644. Segnato Carlo Emanuele Filiberto Giacinto di Simiana195 d’ordine di Madama Reale. Sottoscritti: Felice Bertodano come Procuratore accetto. Alberto Albertini come Procuratore accetto. Francesco Vercellone Procuratore accetto Romolo Rondi Procuratore deputato accetto. 1644 novembre 16 Lettera della Reggente Cristina di Francia ai Rettori e Consoli della Città di Biella196: Alli Magnifici e Molto diletti e fedeli nostri li Rettori e Consoli della Città di Biella. LA DUCHESSA DI SAVOIA, REGINA DI CIPRO, REGGENTE Magnifici nostri carissimi, È precisa mente nostra che l’aggiustamento seguito d’ordine nostro tra li Canonici di S. Stefano et questa Città nel concernente il governo et amministrazione della Madonna Santissima d’Oropa sia virilmente sostenuto; vi incarichiamo perciò d’assistere voi Rettore a nome nostro e voi Deputati a nome della Città a tutte le Congregazioni che si faranno in servizio di quelle fabbriche, in modo che detto aggiustamento abbia pontualmente effetto non ostanti le novità del Vescovo di Vercelli fatte contro la sentenza di Roma, perché a quelle provvederemo come sarà necessario, assistendo anche a nome nostro detti Canonici per l’esecuzione di qualunque provvisione che potessero aver da Roma contro il medesimo Vescovo e suoi Officiali; eseguite dunque senza replica e Dio di mal vi guardi. Dato in Torino li 16 novembre 1644. Chretienne. Controfirmata De Saint Thomas. 195 Per Carlo Emanuele Filiberto Giacinto di Simiana, marchese di Pianezza, si vedano Tonello 1922; Ostellino - Castagno - Spaliviero 2014. 196 Buscaglia 1919, pp. 21-22; Maffeo 1958, pp. 98-99; Marchi 1994, pp. 264-265. 115 Costantino Gilardi 1645 gennaio 24 Donazione alla chiesa di S. Elena in Villafranca d’Asti che istituisce il governo e l’amministrazione dell’Opera di S. Elena, composto in parte da laici e in parte da ecclesiastici. I quattro Regolatori dovranno provvedere ad una Congregazione di sacerdoti Oblati, a due monasteri di Orsoline, ad un ospizio per i predicatori cappuccini e per i pellegrini, all’educazione per i ragazzi e le ragazze, a dodici piazze presso il Seminario di Torino per giovani studenti meritevoli, al medico e alle medicine per la popolazione di Villafranca, alle doti per le ragazze bisognose ed ai sussidi per i poveri197. Anche per l’Opera di S. Elena, come per Oropa, Giacomo Goria sceglie una forma di amministrazione mista di quattro persone, due elette dal vescovo o da chi dopo di lui avrà lo ius nominandi come previsto dalla Donazione, e due dalla Comunità e uomini del luogo: […] VI°. Che siano tenuti di far finire la fabrica di detta Chiesa di S. Elena, d’ornarla, massimamente d’una Incona decente sopra l’Altare Maggiore dipinta di buona mano, con l’Imagine della B. Vergine dell’Oropa, di S. Elena alla parte dritta come titolare d’essa Chiesa, et di S. Eusebio dall’altra parte, et alli piedi del Santo con quella di Lui offerente genuflesso orante, e dicente: ‘Sub tuum presidium’, etc., o’ vero ‘Maria Matrer gratie’ etc., o ‘Sancta Maria succurre miseris’ etc., di mantenerla, e di prouederla sempre di tutte le cose necessarie al culto Diuino, alla recitatione delle hore canoniche, et alla celebratione della S. Messa […]198. VII°. Che siano tenuti di procedere e mantenere perpetuamente l’abitazione conueniente per lo meno a dodeci Sacerdoti, et alla loro seruitù competente in Chiesa, et in casa […], li quali Sacerdoti si chiamaranno Oblati di S. Eusebio Martire primo Vescovo di Vercelli sotto la protettione della B. Vergine d’Oropa, e viveranno sotto l’obedienza d’un Preposito d’Oblati et dell’ordinario d’Asti, e si nomineranno da loro quattro Regolatori e si confermeranno da lui ridonante mentre viverà, e dopo Lui dal detto ordinario, e così fatti Oblati saranno obbligati […]199. 1646 maggio 4 Lettera scritta dalla Sacra Congregatione sopra Vescovi, riguardante il governo ed amministrazione del Santuario di Oropa. 197 198 199 Brunetto - Gilardi 1998, pp. 366-375. Brunetto - Gilardi 1998, pp. 368-369. Brunetto - Gilardi 1998, p. 369. 116 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ COPIA DI LETTERA SCRITTA DALLA SACRA CONGREGATIONE SOPRA VESCOVI AL DI FUORI CON L’INSCRITTIONE SEGVENTE, al M. Illustre, et M. Rev. Monsignore come Fratello, il Vescovo di Vercelli, et al di dentro dell’infrascritto tenore. Illustre e Molto Reverendo Monsignore come Fratello, nella controuersia agitata frà V. S. et il Capitolo di S. Stefano di Biella, Diocesi di Vercelli, avanti Monsignore Auditore della Camera per causa del governo, et elemosine che si fanno alla Chiesa di S. Maria d’Oropa, unita al sudetto Capitolo, con autorità Apostolica, e dalla signatura di giustitia rimessa alla Sacra Congregatione questi Eminentissimi Signori, ponderando che da pochi anni in qua la fabbrica della Chiesa, il concorso de Popoli, et il Culto Divino sono molto accresciuti, onde si può credere che ciò derivi dalla vigilanza di chi assiste, e dalla forma con che si trattano gl’interessi di quella Chiesa. A relatione di Monsignor mio Eminentissimo Cardinale Franciotti, hanno risoluto che quanto al governo della medema Chiesa si attenda l’ultimo stato, e s’osservi il solito, e quanto alle oblationi che se le fanno senz’alcun titolo particolare, i danari et il ritratto delle robbe offerte si mettino giornalmente nella Cassetta della Fabbrica, eccettuate però le oblationi, che di ragione spettassero al Capitolo, e che per il passato sia stato il solito di mettersi nella massa delle distributioni quotidiane, così adunque V. S. farà eseguire, e Dio lo prosperi. Di Roma, 4 di Maggio 1646. Di V. S. come Fratello M. Cardinale Ginetti. G. Arcivescovo di Patrasso Secretaro. Facta colatione cum exemplari asservato apud Archivium Episcopatus concordat ad verbum. Paulus Alciatus secretarius200. 1646 luglio 2 Lettera di Giacomo Goria alla Reggente Cristina di Francia201: Madama Reale, Quattro giorni sono fu consignata da un soldato al Custode di questa Cathedrale la lettera di V. R. A. scrittami sotto li sei del cadente mese di luglio, aperta non si sa da chi, e veduto il contenuto di quella, non ho mancato subito di far significare il pio desiderio della R. A. V. e di comandare a gli Sacerdoti della Città e Diocesi affinché ogn’uno celebri tre messe et applichi lo Santo Sacrificio alle anime del Purgatorio conforme alla retta e divota intentione della R. A. V. e mi giova credere, tenere e sperare che caduno debba compire, 200 Buscaglia 1919, p. 22; Gorini 1961, p. 320; Marchi 1994, pp. 121 e 265-266. Il testo qui riportato è trascritto dal manifesto stampato in Vercelli da Gaspare Marta nel 1646; copie in ACV, cart. “Varie” (Carte risguardanti la chiesa, prevostura e città di Biella; benefizio di S. Giovanni Battista e sacro monte di Oropa; chiesa di Andorno) e AST, Materie Ecclesiastiche, Luoghi pii di qua da monti, m. 5. 201 AST, Lettere di Vescovi, m. 112 (Vercelli, m. 1). 117 Costantino Gilardi Lettera della S. Congregazione dei Vescovi, con lo stemma del vescovo Goria, relativa al governo di Oropa. Manifesto a stampa, Vercelli, Gaspare Marta, 1646 (Archivio Capitolare di Vercelli). Riproduzione autorizzata. 118 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ adempire et ubidire per molti e degni rispetti. E con tal occasione, essendo uscita la risolutione di Roma circa il governo della Santissima d’Oropa, fatta da me stampare, le ne mando una copia qui congiunta, supplicando l’A. V. R. di volerla aggradire et d’assicurarsi ch’io in gratia Sua accettarò sempre novi partiti, se si proporranno di maggior gloria del S. Iddio e di maggior stabilimento e profitto di quella santissima divotione e qui raccomandando alla sua pietà l’immunità ecclesiastica, la cui protettione esalta, dilata e mantiene i dominii temporali, et insieme pregando di continuo il cielo che feliciti, conservi e prosperi lungamente V. A. R. e la R. A. del Signor Duca suo figliuolo et conceda a me gratia di poterle riverire di presenza et in persona avanti di morire con ogn’humiltà me l’inchino. Da Vercelli, li 22 luglio 1646. Di V. A. R. Humilissimo, fedelissimo servitore Giacomo, Vescovo di Vercelli. 1646 luglio 8 Decreto del vescovo di Vercelli per l’esecuzione della lettera (4 maggio 1646) della S. Congregazione sopra i Vescovi e Religiosi. La onde noi Vescouo soprannominato, e sottoscritto per eseguire, e mandare ad effetto la Santa risolutione, e giusto Commandamento della Sacra Congregatione, restituendo il governo solito et la solita amministratione della Chiesa, oblationi, elemosine, Messe e fabbrica della Santissima d’Oropa nell’ultimo suo stato, e solito osseruato auanti la Lite agitata in Roma, e da Noi introdotto, e da’ tutti i buoni, e divoti, e ben intentionati lodato, et approuato, e continuato per lo spatio di trenta e più anni, con aumento, prosperità, e frequenza della pia Diuotione, et annullando, e cassando ogni, e qualunque cosa tentata, fatta et ordinata in contrario: prohibiamo nell’avvenire il tentare, fare, proseguire et ordinare cosa veruna contro la forma, e solito di detto governo, et amministratione, ò contra la dispositone de’ Decreti della Sacra Congregatione del Concilio Tridentino de celebratione Missarum, ò della residenza de’ Canonici all’Oropa senza la nostra special licenza in quello che si potrà da Noi condescendere, et agevolare, od infino che di commun trattato, e concerto si trovi, e si stabilisca altra forma migliore di gouerno à maggiore gloria di Dio, et honore della Santissima Vergine, et di S. Eusebio Martire, et primo Vescovo di Vercelli fondatore, et autore del pio luogo, et utilità del Sacro Monte, et consolatione de’ suoi Diuoti, da confermarsi dalla S. Sede Apostolica à perpetua, et eterna memoria, e sempiterna osservanza, accioche per l’avvenire non sia più disturbato, alterato, ò daneggiato il governo, sotto pena dell’interdetto al Capitolo di S. Stefano, et alla Città di Biella, e della scomunica ad’ ogni persona particolare da incorrersi ipso facto riservatane alla medesima Sacra Congregatione de’ Vescovi, overo à Noi l’assolutione, in caso di alcuna contraventione à quanto sopra. Dichiarando l’intimatione della sudetta e Stampata lettera della Sacra Con119 Costantino Gilardi gregatione, e della nostra esecutione, e penale prohibitione da farsi in persona d’uno de’ Canonici di S. Stefano, et d’uno de’ Consiglieri della Città, et d’affigersi alla porta della Chiesa, e della Sacristia dell’Oropa, e da conseruarsi affissa per valida canonica, e sofficiente. Dat. Vercellis die octaua Iulij 1646. IACOBVS EPISCOPVS VERCELLARUM. Paulus Alciatus Secretarius. IN VERCELLI, Per Gaspar Marta: Stampator Episcopale 1646202. 1646 novembre 3 Lettera del Vescovo di Vercelli alla Reggente Cristina di Francia203: Madama Reale, Hieri mi fu consegnata la lettera delli 3 del caduto mese d’ottobre che V. A. R. mi scrive all’instanza della città di Biella et hoggi rispondendo a quella dico per verità che non ho pensato mai né penso di levare il Vicario overo Provicario di Biella né tampoco di […]gli l’autorità concessagli da sei vescovi e particolarmente della casa Ferrera miei antecessori, la quale si trova anche stampata in molti libri, si conserva nell’Archivio del Vescovato e poco fa si produsse et allegò dal Patrimoniale Cortessa nella causa vertente in Biella fra il […] Vicario di quel tempo et il Fiscale Coppa. E seben con l’occasione della mia residenza in essa Città si sia eretto ivi il tribunale episcopale, per questo non s’è fatto pregiudicio a me né prescritta alcuna giurisdittione del tribunale. La pretensione di Biella di havere un Vicario generale non è nova, ma antica, sbattuta dalla Rota Romana e la permissione rinovarebbe un’altra simile tentata già da Messerano e dalla parte dello Stato di Milano sottoposta al Vescovato e deve bastare la delegatione delle cause secondo l’occorrenza e bisogni. Et assicuratomi che l’A. V. R. per li narrati rispetti e per altri che desidero e spero d’esplicare con la viva voce […] non vorrà né permetterà sì grave e grande danno a questo suo Vescovato et alla sua real corona con ogni riverenza me l’inchino suplicandola di […] a compiacersi di comandar che in ogni maniera sia restituito il Vescovato all’antico et intiero suo possesso del governo dell’Oropa conforme alla determinatione di Roma per beneficio di quella santa devotione e del pio luogo. Da Vercelli li 3 novembre 1646. Di V. A. R. Humilissimo e fedelissimo servitore Giacomo Vescovo di Vercelli. Buscaglia 1919, pp. 22-23; Gorini 1961, p. 320; Marchi 1994, pp. 122 e 266-267. Il testo qui riportato è trascritto dal manifesto stampato in Vercelli da Gaspar Marta nel 1646, insieme con la lettera del 4 maggio 1646 scritta dalla Sacra Congregazione; copia del manifesto in ACV, cart. “Varie” (Carte risguardanti la chiesa, prevostura e città di Biella; benefizio di S. Giovanni Battista e sacro monte di Oropa; chiesa di Andorno). 203 AST, Lettere di Vescovi, m. 112 (Vercelli, m. 1). 202 120 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 1647 novembre 20 Nell’ultima sua Donazione204 al Seminario di Vercelli, a poco più di un mese dalla morte, Giacomo Goria ancora una volta attesta la sua predilezione e cura per il Sacro Monte della città di Biella: […] Secundo, Oltre l’habitatione con i mobili e utensili soliti che concede e somministrarà la Congregatione della fabrica del Sacro Monte della Città di Biella Diocesi di Vercelli di mantenere parimente come sopra due Theologi, o Canonisti del Clero Secolare, o Regolare approvati, e elletti, e da mutarsi dall’Ordinario alla Madonna Santissima dell’Oropa, li quali col nome di penitentieri, e con l’autorità che li sarà communicata sentino ivi le Confessioni, predichino nelle feste e Concorso de Popoli, leghino Casi di Conscienza alli Sacerdoti e Chierici serventi al santo luogo e Cellebrino fra lor due una Messa quotidiana all’Altare della Beatissima Vergine con applicatione del Sacrificio a lui donatore vivo e morto e in perpetuo […]205. 1652 dicembre 22 Quadro con l’Imagine della B. Vergine dell’Oropa a Villafranca d’Asti Si è mettuto il quadro de’ S.ta Ellena venuto da Roma sopra l’altar maggiore della suddetta chiesa di Villafranca d’Asti, ritirato il 13 dicembre a Torino ove era stato inviato da Roma, in un tubo metallico, a Petrino Aghemio, canonico tesoriere della cattedrale, vicario generale e confessore di SAR206 La Donazione del 1645, come sopra riportato, ordinava ai Regolatori di fare eseguire una incona […] con l’Imagine della B. Vergine dell’Oropa per l’altar maggiore: VI. che siano tenuti di far finire la fabbrica di detta chiesa di S.Elena, d’ornarla massimamente sopra d’una incona decente sopra l’Altare Maggiore dipinta di buona mano, con l’Imagine della B. Vergine dell’Oropa, di S. Elena alla parte dritta come titolare d’essa chiesa, et di S. Eusebio dall’altra parte, et alli piedi del Santo con quella di Lui offerente genuflesso orante, e dicente: Sub tuum presidium, etc., o’ vero Maria mater gratie etc., o Sancta Maria succurre miseris etc.207. 204 Brunetto - Gilardi 1998, pp. 375-377, confermata da Clemente IX con breve del 14 gennaio 1669 (Brunetto - Gilardi 1998, pp. 395-396). La Donazione risulta stampata In Vercelli per Gaspar Marta stampator episcopale nel 1648; un esemplare, forse unico, si trova nell’archivio dell’Opera S. Elena in Villafranca d’Asti, Decreti a stampa. 205 Brunetto - Gilardi 1998, in particolare p. 376. 206 La relativa documentazione, in data 30 marzo 1651 (mandato per pagare il quadro dell’ancona dell’altar maggiore) e 22 dicembre 1652 (posa del quadro) è in Brunetto - Gilardi 1998, pp. 132-133. L’attribuzione dapprima a Giacinto Geminiani (Brunetto - Gilardi 1998, p. 132) e poi a Pietro Paolini (Morandotti 2014, scheda n. 10, p. 98), va correttamente riferita ora a Felice Santelli, del quale è emersa la firma “Felice Santelli / Romanus fecit 1651” nel corso dei restauri del 2014 (Alessandria e Asti 2014, pp. 9-11). 207 Brunetto - Gilardi 1998, in particolare pp. 368-369 e tav. a colori IX; Griffa 1989, pp. 148- 121 Costantino Gilardi La donazione fatta il 20 novembre 1647 dal vescovo Goria, a favore del Seminario di Vercelli e del Sacro Monte della città di Biella. Manifesto a stampa. Vercelli, Gaspare Marta, 1648 (Villafranca d’Asti, Archivio dell’Opera S. Elena). Riproduzione autorizzata. 122 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ 14 gennaio 1669, breve con cui Clemente IX conferma la donazione del 20 novembre 1647 al Seminario di Vercelli e al Sacro Monte di Oropa (Villafranca d’Asti, Archivio dell’Opera S. Elena, Bolle e brevi). Riproduzione autorizzata. La tela, dipinta nel 1651 da Felice Santelli, raffigura la Madonna di Oropa sopra un altare tra due colonne come nella incoronazione del 1620 che ebbe luogo La firma del pittore Felice Santelli. davanti alla facciata della chiesa di Oropa208 e come anche la raffigura il nastro del 1685209. L’incisione acquerellata, che reca a sinistra la sigla P.G.A.F.D., a destra la dedica “Al M.R. P[ad] 149; Abbona 2006, p. 178. Nota biografica di Giovanni Antonio Aghemio in Brunetto - Gilardi 1998, pp. 237-241 e Tav. II; Asti nel Seicento 2014, pp. 98-99; Alessandria e Asti 2014, pp. 9-11; Gentile 2019, p. 329. 208 Brunetto - Gilardi 1998, pp. 30-31. 209 Brunetto - Gilardi 1998, figura 27. 123 Costantino Gilardi La Madonna di Oropa con le tre corone. Incisione acquerellata, sec. XVII (Archivio del Santuario di Oropa, Libro del dovuto dalla città di Biella, segnato L.ORD 002). Foto di Mario Coda. Riproduzione autorizzata. 124 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Felice Santelli (1601-1656), La Madonna di Oropa con S. Elena, S. Eusebio, il vescovo Giacomo Goria (1651), Villafranca d’Asti, Collegiata di S. Elena, altare dell’Incoronazione. 125 Costantino Gilardi 126 L’Incoronazione del 1620 nel nastro del 1685. Sopra: Veni / corona / beris; sotto: Incoronatione della Madona. Raccolta privata. La tradizione eusebiana nel nastro del 1685. Sopra: In uertice montium; sotto: S. Eusebio Porta la Madona. Raccolta privata. Carlo Emanuele I ad Oropa per il Natale del 1625, ritratto nel nastro del 1685. Sopra: Salue Sancta parens; sotto: Il Principe uiene a Loropa. Raccolta privata. ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ re / Gio.[vanni] Andrea Fantoni / Lettor Dom[enica]no”, e alla base l’iscrizione “IL VERO RITRATTO DELLA MADONNA SAN / TISSIMA D’OROPPA DI BIELLA” seguita da un fregio, è con ogni probabilità quella consegnata al Santelli per dipingere la Madonna di Villafranca d’Asti: in entrambe, infatti, il volto è bianco come appare nell’incisione stessa. È evidente la somiglianza di questa incisione a quella attribuita all’incisore Wilhelm De Haen, considerata da alcuni l’antiporta della Breve relatione del Gatti210. 1685 Nastro in seta fatto eseguire da Giuseppe e fratelli Ottini di Biella, Coronari all’Oroppa, 1685, recante la scritta “LA VERA MISVRA DELLA MADONNA SANTISSIMA DI OROPPA DI BIELLA”. Una delle incisioni raffigura fra Fedele da San Germano che pronuncia l’orazione per l’incoronazione, Veni, coronaberis e il vescovo Giacomo Goria che incorona la Beata Vergine d’Oropa il 30 agosto 1620211. 210 Rossetti Brezzi 2007, in particolare p. 121, nota 31. L’incisione con la Madonna di Oropa colorata ad acquerello, si trova nell’Archivio del Santuario di Oropa (Libro del dovuto dalla città di Biella, segnato L.ORD 002); è pubblicata, fuori testo, in Gatti 1970. Un primo elemento di confusione risale a Pietro Torrione (Gatti 1970) quando pubblica una silografia (p. 15), un semplice foglio volante, che nulla ha a che vedere sia con l’incisione acquerellata che con quella di Wilhelm De Haen, assegnandole questa didascalia: “Antiporta della ‘Breve relazione’. Un solo esemplare dei cinque conosciuti conserva questa immagine che è la più antica raffigurazione grafica della Madonna d’Oropa” (p. 16). Solo più tardi Astrua 1996, p. 21, riconosce nella sigla W.D.H., “l’incisione a bulino del fiammingo Wilhelm De Haen […] posta ad illustrare come antiporta il saggio del Gatti nell’edizione torinese […] ora in Biblioteca Reale”. Più di recente, con molte interessanti intuizioni, Rolando 2009-2010, pp. 42-45, ha ripreso la questione, concludendo per l’identità delle due incisioni (sia pure notando alcune differenze) e confermando quella del De Haen quale antiporta della Breve relatione del Gatti; in un altro punto, però, Rolando intravede una notevole distanza temporale tra le due, giustificandola con il riutilizzo e il rimaneggiamento dell’originale lastra in rame (p. 56, nota 173). Con ogni probabilità, invece, siamo di fronte a qualcosa di nuovo, una nuova incisione a bulino (forse ancora dello stesso De Haen) eseguita e colorata per servire da modello al pittore Santelli per la pala di Villafranca d’Asti (eseguita nel 1651) e a quella di S. Anna della Valle di Valgrana (Damiano - Quasimodo 2002, p. 547 e fig. 7, p. XXXVII). Infine, la datazione del viraggio del colore del manto della Madonna di Oropa, dal dorato originale al colore rosso, andrebbe anticipata almeno al 1648-1651. 211 Poma 1924, pp. 301-305; Brunetto - Gilardi 1998, figura 27. 127 Costantino Gilardi Appendice 1 novembre 1614 Giacomo Goria istituisce la Congregazione per il governo e l’amministrazione del Sacro Monte di Oropa (ARMO 1999, coll. 682-692; Buscaglia 1919, pp. 12-18; Maffeo 1958, pp. 90-94; Marchi 1994, pp. 109-113 e 246-253; Bessone 2016, pp. 297-311 e 323) Decreti Et Ordini per il bon governo et administratione della fabrica e Chiesa et per la celebratione delle messe della Madonna d’Oropa fatti dal Molto Jllustre et Reverendissimo Monsignor Giacomo [Goria] Vescovo di Vercelli nella sua prima Visita. Jl Molto Jllustre et Reverendissimo Monsignor Vescovo di Vercelli senza pregiudicio de’ frutti, redditi e proventi della Madonna d’Oropa, come uniti alla Massa capitolare della Colleggiata di San Stephano di Biella in aumento delle distributioni, ma solamente per provedere alle Collette, oblationi et elemosine che pro tempore si fanno per la fabrica et Chiesa sudetta, et anco per dar gli ordini necessari alla celebratione delle messe secondo il concorso dell’elemosine che per tale effetto vengano portate e datte. Per questi et altri degni Rispetti ha instituita, eretta et fondata, instituisse, erige e fonda una perpetua Congregatione di quattro fabricieri et administratori nel luogo di Biella, cioè del Vicario della mensa Episcopale in esso luogo pro tempore residente, del Preposito della Colleggiata sudetta di San Stephano et di due altri principali del luogo da Nominarsi e mutarsi o Confirmarsi di tre anni in tre anni da Sua Signoria Reverendissima et da successori in perpetuo; quali due in questa prima nomina et erettione saranno il signor Abbatte Ottavio Bertodano e il signor Conte Sebastiano Ferrero et in sua absenza il signor Bernardo Ferrari. La qual Congregatione si farà almeno una volta il mese et più spesso se farà bisogno nel luogo più commodo et opportuno et si convocarà da uno de’ Custodi di San Stephano d’ordine del signor Vicario sudetto. Haverà libera e piena autorità, come così se gli concede e dona, di far dar i conti et pagare chi verso la fabrica e Chiesa fusse o sarà tenuto e di far agire et esegire tutto il danaro che gli sarà dovuto per qual si voglia causa e rispetto e dell’esatto farne far libera quitanza e valida e di trattare, stabilire et accordare tutto quello che giudicherà spediente per bene, utile e decoro della detta chiesa et sua fabrica, secondo la qualità del luogo e suo dissegno et generalmente di fare ogni cossa che gli parerà necessaria o d’utile. Et le spese che si farrano nella fabrica et in altre opere della Chiesa senza l’ordine espresso della Congregatione ha dechiarate et dichiara nulle et illegitime et per non fatte. Et acciò con maggior facilità et cautella si faccino le cose, ha determinato et determina di deputar un Secretario et un Depositario da nominarsi et mutarsi da Sua Signoria Reverendissima et da’ soi successori come gli parerà, li quali haveranno le autorità et oblighi infrascritti et altri che di tempo in tempo dalla Congregatione gli saranno prescritti. Il Secretario principalmente terrà libro da conservarsi dalla Congregatione nel luogo ove si farà o in altro più sicuro, nel qual scriverà tutti gli ordinati d’essa Congregatione et sepa128 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ ratamente in altro luogo scriverà tutte le cose spettanti al beneficio della Chiesa e fabrica, come sono le proposte et stabilimenti delle compre, col concorso della maggior parte dei voti, li mandati che si concerteranno per le spese, li quali se non saranno ordinati dalla Congregatione et dal detto Secrettario, scritti et sottoscritti et anco signati da uno di essi quattro da nominarsi da i più della Congregatione e da mutarsi di anno in anno, il quale nominato sarà tenuto anch’egli di notare per controrollo [sic] in un libretto la summa del Mandato con il nome della persona a chi pagarà, altrimente non saranno intratti né fatti buoni al Depositario nelli suoi conti in modo alcuno. Il Depositario poi haverà per officio principale di retirare et metter a libro da tenersi presso di sé fidelmente tutte le elemosine, collette, legati et oblationi et ogni altra cosa che perverrà alle sue mani in qual si voglia modo et da qual si voglia persona per pagarne et essequirne gli ordini della Congregatione che saranno fatti e qualificati nella forma et modo soprascritto. Et l’istesso o il Secretario essendo richesto da tutta la Congregatione o da uno di essa, doverà nelle solennità infrascritte della Madonna et in ogni altro giorno di bisogno et in tutte le festa di concorso di populo o di Compagnie andar alla detta Chiesa per assister al banchetto della elemosina et per vedere et sollecitare le altre opere che ivi si faranno et questo senza Mercede alcuna, salvo per il Cavallo che lo porterà et per le spese cibarie. Sarà di più obligato il medemo Depositario di presentare nel tempo di ogni Congregatione la notta di tutto quello che gli sarà statto consignato et rimesso da chi si sia dal giorno della Congregatione antecedente sino a quel ponto, la qual notta si transcriverà dal Secretario nel libro della Congregatione et delle proposte acciò si sapia di tempo in tempo meglio determinare et ordinare quello farà bisogno. Alla Chiesa e fabrica esso Monsignor Reverendissimo ha dechiarato et dichiara spettar et esser dovuto tutto il danaro che si ritroverà nella cassetta tenuta a questo effetto nella sudetta Chiesa della Madonna, qual starà sotto tre diversi chiavi, una delle quali terrà il Vicario, l’altra il Preposito sudetto et l’altra uno delli altri due della Congregatione ad elettione di esso Monsignor et de’ soi successori, che per hora sarà il sudetto signor Abbate Bertodano, né si doverà mai aprire senza l’intervento di tutti tre o almeno de’ due delli tre o di altri di loro Comissione. Et il denaro che si caverà dalla detta Cassetta si numererà et si porterà a Biella, et brevi manu si remetterà al Depositario, facendosi anco notare al libro della Congregatione. Secondariamente gli ha assignate intiere tutte le Cere, i danari, oblationi e voti di qual si voglia sorte che in ogni tempo e luogo si donano o si portano alla Madonna, eccettuate le offerte di pane et di formagio et dell’altre robbe mangiative che saranno fatte alla detta Chiesa li giorni della Vigilia e festa e giorno seguente dell’Assomptione et della Natività della Beata Vergine d’ogni anno, de’ quali gl’ha assignati i due terzi, et nell’altri giorni del anno fuori delli sudetti gl’ha assignato la mettà delle oblationi, ma però del formagio de’ Vaccari, che fanno residenza nelli Alpi di Biella, sarà tutta della fabrica intieramente. Et in oltre ha assignato ed assigna alla detta fabrica e Chiesa la mettà di tutte le collette o siano questue che si fanno e faranno per le case et terre con licenza et lettere patenti di Sua Signoria Reverendissima e de’ suoi successori a nome di detta Madonna Santissima et l’altro 129 Costantino Gilardi terzo, et mettà delle sudette oblationi di cosse mangiative et delle Collette di tali robbe con tutte le offerte di dinaro e d’altro che si fanno al sacerdote nel tempo dell’offertorio della messa saranno del Canonico di San Stefano che pro tempore starà sul luogo et haverà cura della fabrica et della chiesa, oltre la Mercede delle messe che lui dirà et farà dire dal Capellano. Il qual Canonico si deputerà a beneplacito da detto Monsignor Reverendissimo e da’ successori suoi et dal Capitolo unitamente, con li oblighi infrascritti et altri che converranno alla giornata e di tempo in tempo. Primieramente egli sarà tenuto star lui con un altro sacerdote a suo costo continuamente residente alla detta Chiesa dalla Vigilia dell’Annunciata d’ogni anno sino al giorno di Ogni Santo per retirare, conservare et consignare respettivamente le cere, i voti, le oblationi di ogni sorte e l’elemosine delle messe per l’effetto già detto et che si dirà più abasso. Egli col sacerdote Capellano celebrarà o farà celebrare due messe quotidiane al altar della Madonna o nella Chiesa grande durante il tempo sudetto. Procurerà che ne’ giorni di festa e di concorso di populo o di Compagnie se ne celebrino insino a tre, cioè una lui, l’altra il prette Capellano et la terza un altro Canonico di San Stefano o altro Sacerdote trovato da lui non potendo altro Canonico servire, et anco più se si potrà, et nelle solemnità della gloriosa Vergine Assompta al Cielo et della sua santa Natività se ne celebrino almeno quattro et ogni sacerdote celebrante doverà applicare il sacrificio della santa Messa tre volte distinta et separatemente in ogni messa per quelli ch’han fatta l’elemosina et secondo la mente et opinione di detto Monsignor. Esso Canonico o altro Sacerdote o ambedue doverà esser approvato alla Confessione. Provederà il medemo Canonico deputato come sopra che nelle solemnità sudette dal giorno della Vigilia inclusive sino al seguente doppo la solemnità si trovino et attendino alle Confessioni per sodisfar al pio concorso tre approvati Confessori. Terrà mano et userà ogni possibile diligenza perché si celebri da lui o dal Capellano una messa alla Madonna sudetta almeno in tutti i giorni di festa del Jnverno e primavera fra la festa di Tutti i Santi et il giorno dell’Annunciata e per ogni messa di giorno di festa o feriale si darà l’elemosina che si assignarà ne gli altri tempi. Piglierà dalla Congregatione per Jnventario al principio della sua carica et prima d’entrare nella servitù, tutte le supelettili, cere, voti et ogni altra cosa della Madonna che gli sarà consignata et ne darà sicurtà di darne conto et de se bene gerendo. Farrà ogni anno alla festa di Tutti i Santi fidelmente rivedere dalla Congregatione o da altro da essa deputato tutte le sudette cose a lui rimesse et l’altre che sarano in quel anno agiunte per scriverle nel Jnventario e libro che si terrà dalla Congregatione. Darà conto fedele e consegnerà al Depositario, di tre in tre mesi, tutte le oblationi di pane, formagio, vesti, camisie, tela e filo che si faranno o il prezzo delle cose mangiative che si sarà cavato et anco tutte le Colette che si sarano fatte in esso tempo per dividerle con l’assistenza di uno della Congregatione o di altro da essa deputato perché ogn’un habbia il suo dovere. 130 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Rimetterà o farà rimettere nella Cassetta della fabrica di giorno in giorno fedelmente sotto la pena della sospensione a divinis ipso facto, tutti i denari grandi e piccioli che per la fabrica e Chiesa sopra l’altare et in ogni altro luogo sarano portati, offerti e datti. Terrà un libro, da comprarsi a spese della fabrica, da conservarsi nella sacristia della Madonna, nel quale si scriverano dalli sacerdoti celebranti di giorno in giorno tutte le messe che da essi si celebraranno et sotto pena della sospensione a divinis ipso facto nessuno vi scriverà o farà scriver il falso. Più terrà un altro libro a spese dell’elemosina per le messe nel quale si noterano tutte le messe che verranno alla giornata con l’elemosina che sarà dovuta da rimetersi l’istesso giorno nella Cassetta delle messe sotto la pena posta qui di sotto. Haverà per ogni messa da lui o dal Capellano sacerdote [detta] fiorini dua nelli giorni feriali et tre nelli giorni festivi et l’istessa elemosina conseguirà l’altro Canonico che vi celebrarà le festa, il quale sarà parimente tenuto per presente al Coro in quel giorno di festa che vi celebrarà e se non potesse ritornar a Biella per il mal tempo, sarà anco tenuto per presente il giorno sequente sino al Vespro et dicendo la messa il giorno feriale, haverà fiorini dua come sopra. Aviserà di tempo in tempo la Congregatione di ogni novità, minacia e rovina di muraglie che succedesse alla Madonna, acciò si possa provedere et rimediare. Sarà obligato consignar fidelmente nella Cassetta delle messe che si terrà in Chiesa ben custodita sotto tre diverse chiavi, tutte le elemosine che per le messe capiterano alle sue mani in qual luogo e tempo si sia, e lui e qual si voglia sacerdote e persona etiamdio il questuaro nel tempo della Coletta per le terre, case et luogi che farà frode in così fatte elemosine e non le rimetterà o porterà o manderà intieramente nella sudetta Cassetta, incorrerà nella scomunica di lata sentenza, la cui assolutione sarà per sempre riservata a Sua Signoria Reverendissima et a’ successori suoi, né potrà il colpevole mai essere assolto senza la precedente restitutione. Distribuirà a spese comuni sue et della fabrica un botallo di vino e più se sarà bisogno alli poveri et altri che concorrono alla Madonna secondo il giudicio e parer suo. Custodirà una chiave delle tre della Cassetta dell’elemosina per le messe et l’altra si conserverà dal Vicario et la terza dal Preposito della Collegiata, né mai si aprirà senza l’intervento di tutti tre o almeno di due o d’altri deputati da lui e dal Vicario per conto suo e dal Capitolo per conto del Preposito. Osserverà e farà osservare tutto quello che per servitio della Chiesa, fabrica e luogo sudetto gli sarà comesso et ordinato dalla Congregatione senza costo alcuno e farà portare e consignare a spese sue nelle mani del Depositario e per sempre tutte le colette che si farano per le terre, case et l’oblationi di ogni sorte, e i denari che si caveranno dalla vendita delle robbe con tutte le robbe, supelletili e voti e cere che converrà portare e riportare da Biella alla Madonna et dalla Madonna a Biella in ogni stagione, giorno et tempo del anno. 131 Costantino Gilardi Et perché bisogna haver particular cura di scopare, mondare et ornare le Capelle et altari che sono fuori della Chiesa principale della Madonna, ove si fanno parimente elemosine et oblationi di ogni sorte, acciò se ne tenghi la dovuta cura et s’usi ogni diligenza, esso Monsignor ha assignato et donato, assegna et dona al Canonico che terrà cura della Madonna et delle dette capelle, la mettà di tutte le oblationi di qual si voglia sorte che si troveranno nelle sudette Capelle et Altari con oblighi fra li altri di visitarli almeno due volte la settimana e di consegnar sotto pena di scomunica di lata sentenza l’altra mettà delle oblationi sudette alla Cassetta della fabrica della Madonna. Et ha di più detto Monsignor comandato et ordinato sotto pene arbitrarie che il denaro che si caverà di tre in tre mesi dalla Cassetta delle messe si debba consegnare nella Congregatione in Biella qual vedrà primamente sodisfar le messe che consterà dal Libro essersi celebrate alla Madonna et poi l’altro numerato et notato al libro della Congregatione si remetterà a chi sarà deputato dal Capitolo, il quale lo metterà in distributione, ma sarà tenuto di far celebrare da’ Canonici tante messe principalmente le Dominiche nella Chiesa di S. Maria Maggiore a rata di un fiorino per messa nei giorni feriali e di reali due nei giorni de Dominicha con obligatione di applicare distintamente e separatamente tre volte in ogni messa l’istesso sacrificio per quelli che hanno fatto elemosina e secondo la mente et opinione di detto Monsignor et farà tener libro delle messe nel modo che si è scritto del libro della Madonna et sotto la medema pena, acciò in questo modo si sodisfacia alla devotione et voti delli offerenti, qual mutatione e translatione di messe ha fatto et fa il medemo Monsignor per la povertà de’ Canonici et difficultà di poter havere celebranti a minor mercede nel luogo della Madonna et per maggiore commodità del populo in Biella, che ben spesso non trova messe conforme al desiderio, nella Chiesa di santa Maria et anco sotto beneplacito Apostolico sì et in quanto sia bisogno. Potrà similmente la Congregatione a suo beneplacito metter un hoste per allogiar quelli che anderano alla devotione della Madonna et emutar il messo a suo beneplacito con obligo et senza di pagar cosa alcuna sì et come gli parerà, procurando in quanto sia possibile che sia homo da bene e di bona consienza et che dia compita sodisfatione ad ogni uno. Il Capitolo di san Stefano obligarà il vacaro affittabile pro tempore delli prati e beni della Madonna uniti alla Colleggiata di dover scarigare i tetti della chiesa, delle capelle e fabriche e di pontelarle in ogni tempo che sia bisogno per rispetto della neve o dall’altro accidente a prezzo ragionevole da pagarsi dalla Congregatione della fabrica. Giudicando bene Monsignor Reverendissimo che il Depositario sia sempre uno del corpo del Capitolo di S. Stefano, pertanto ha nominato et nomina in questa prima volta il Reverendo Canonico Gio. Angelo Quarassa o sia Bertone a così fatta carica et officio. E convenendo di più in questo principio haver per Secretario persona saputa et intendente che possa et sapia incaminare fondatamente la scrittura et libro, si è eletto il signor Dottore Giulio Cesare dalle Lanze, che per carità e devotione che porta alla Beata Vergine promette di esercire tal officio fin ad altra elettione. 132 ‘Ut elegantiori architectura instauretur’ Il Canonico poi che doverà haver cura della Madonna e cose sue, di comun consentimento e parere di Monsignore e del Reverendo Capitolo, sarà per adesso il Reverendo Canonico Gio. Pietro Vergnasco, qual sarà tenuto al osservanza di quanto sopra resta ordinato, scritto et decretato. Quæ decreta et ordinationes præsente prælibato Reverendissimo Domino Ego notarius infrascriptus legi coram pleno Capitulo S. Stephani die … Novembris anni 1614. Quod quidem Capitulum audivit, intellexit et acceptavit in utilibus, protestando de habendo recursu pro his in quibus posset esse gravatum, petendo etiam de suis dictis testimoniales. Quas Reverendus Dominus concedendas esse duxit ac concesit non retardata decretorum executione præsentibus ad hæc omnia et etc. 133 Costantino Gilardi Bibliografia Abbona 2006 Maria Abbona, La chiesa di Sant’Elena di Villafranca d’Asti: progetto di conservazione e restauro, Relatore prof. M. Momo, Correlatore prof. C. Gilardi, I Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, 2005-2006. Alessandria e Asti 2014 Alessandria e Asti nel Seicento. Repertorio antologico della pittura genovese e lombarda, a cura di A. Morandotti e G. Spione, Genova 2014. Asti nel Seicento 2014 Asti nel Seicento. Artisti e committenti in una città di frontiera, a cura di M. B. Failla, A. Morandotti, A. Rocco, G. Spione, Genova 2014. Alessio 1663 Bernardino Alessio, Vita della Serenissima Infanta Maria di Savoia, Milano, Ludovico Monza, 1663. ARMO 1999 Acta Reginæ Montis Oropæ, vol. III, Biella 1999. 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Anche a causa dell’assenza del vescovo dalla diocesi il cantiere rallenta e ristagna: Giacomo Goria, succeduto al Ferrero nel 1611, dà nuovo impulso alla devozione e al culto della Madonna istituendo una Congregazione per il governo e l’amministrazione di Oropa. I lavori della chiesa, degli edifici per i pellegrini e delle cappelle del Sacro Monte, affidati a maestranze luganesi su disegno di Francesco Conti, si protraggono dal 1614 al 1620. Nel 1625 la visita di Carlo Emanuele I, che desiderava fare di Oropa una meta di pellegrinaggio per i sudditi dei propri stati, determina l’ampliamento della chiesa, affidato all’architetto Marcantonio Toscanella: sono edificati la cupola, i transetti e l’abside, terminati nel 1639. Alle vicende costruttive si intrecciano gli eventi devozionali, in particolare la solenne incoronazione della statua della Madonna, avvenuta nel 1620, i soggiorni delle infanti Maria e Caterina di Savoia ed il contenzioso tra il capitolo di S. Stefano ed il vescovo per il governo del santuario. Abstract In 1600, by decree of Bishop Giovanni Stefano Ferrero, the church of Oropa was demolished and construction of the new church began. Also due to the absence of the bishop from the diocese, the site slowed down and stagnated. Giacomo Goria, who succeeded Ferrero in 1611, gave new impetus to the devotion and worship of the Madonna by establishing a Congregation for the government and administration of Oropa. The works of the church, of the buildings for the pilgrims and of the chapels of the Sacred Mount, entrusted to Luganese craftsmen based on designs by Francesco Conti, lasted from 1614 to 1620. In 1625 the visit of Carlo Emanuele I, who wanted to make Oropa a destination of pilgrimage for the subjects of their states, determines the extension of the church, entrusted to the architect Marcantonio Toscanella: the dome, the transept and the apse, completed in 1639, are built. The construction events are intertwined with devotional events, in particular the solemn coronation of the statue of the Madonna, which took place in 1620, the stays of the infants Maria and Caterina di Savoia and the dispute between the chapter of S. Stefano and the bishop for the government of the sanctuary. costantino.gilardi@gmail.com 139 Dario Michele Salvadeo DISEGNI DI ARREDI LITURGICI NELL’ARCHIVIO CAPITOLARE DI VERCELLI: UNA RICOGNIZIONE* All’interno dell’Archivio Capitolare di Vercelli si conserva una serie di disegni che raccontano le molteplici trasformazioni del lungo cantiere della Cattedrale di Vercelli1. In questo articolo si presenta una prima indagine su un gruppo di fogli inediti. Sono inventariati in due cartelle nella sezione dedicata agli arredi della Cattedrale. I disegni costituiscono, per gli stretti legami cronologici, un insieme sostanzialmente coerente tale da raccontare un aspetto interessante della storia dell’arredo liturgico della Cattedrale, in un momento drammatico della storia di Vercelli e del Piemonte causato dalle guerre napoleoniche. Arredi della Cattedrale I disegni oggetto del presente studio raffigurano una serie di candelieri, una croce e un porta-cero. Sebbene la maggior parte condivida il medesimo soggetto, si possono notare tipologie differenti, per elaborazione e finalità, che ne problematizzano la lettura. Infatti si riscontrano delle proposte di progetti, dei modelli approvati e un disegno derivato presumibilmente da un’opera finita. Il primo gruppo rappresenta una serie di proposte di modelli per candelieri, in cui è rappresentata soltanto la parte mediana dell’oggetto, secondo una prassi allora condivisa con il disegno architettonico, che lasciava la possibilità nella parte mancante a eventuali varianti2. I due disegni condividono il medesimo tratto grafico: lineare, senza traccia di ombreggiatura, tale da rendere chiaro e schematico nella sua bidimensionalità il partito decorativo. Questo è composto da festoni, corone d’alloro nel foglio 133, mentre il * Ringrazio Giuseppe Beretti, Silvia Faccin, Timoty Leonardi, Sara Minelli, Giorgio Tibaldeschi. Un ringraziamento particolare a Cristian Cimalando e Serafino Siviero che con il loro impegno hanno ordinato e custodito i candelieri della Cattedrale. Sigle ACV = Archivio Capitolare di Vercelli. Per i disegni relativi alla fabbrica del Duomo si rimanda a Barbero - Protti 2000. I disegni sono eseguiti a matita ripassata ad inchiostro: 1) ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3, mm 1125x410, sul verso 133; 2) ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3, mm 1115x410, sul verso 134. 1 2 141 Dario Michele Salvadeo foglio 134 presenta palmette e racemi. Emergono due modelli improntati secondo un rigoroso classicismo, vicino per stile a degli altri disegni, presenti nelle cartelle, che recano la data. Su tali affinità si possono collocare cronologicamente intorno agli anni ’90 del Settecento. Infatti è presente un disegno, stilisticamente vicino al gruppo precedente, datato sul retro “1794”, dove si legge anche che il modello sarebbe stato poi tradotto in legno. Purtroppo l’iscrizione, mutila nell’angolo, rimane lacunosa. Si legge “Disegno di candelieri di legno per gli [altari?] da Torino, entro […]” e la firma di “Giuseppe Ceva di Lesegno e Roassio can.co della Cattedrale di Vercelli”3. È un disegno eseguito per intero con un tratto ad inchiostro lineare, con zone in ombre segnate a tratteggio. Per la pulizia del segno si può ipotizzare sia stato copiato da un modello. Si caratterizza per un motivo a collane di perle che avvolgono le congiunture dell’oggetto per uscire a doppia mandata dal foro centrale, secondo un movimento decorativo che comunemente contraddistingue i festoni. Una serie di grappoli è inserita alla base e nel dado centrale, mentre sulla sommità ritorna il rosario a doppio passaggio. Il nome del canonico Giuseppe Ceva ritorna in un altro disegno sempre datato 1794 (fig.1)4. Nel retro la scritta “disegno prescielto” risulta cancellata, mentre al di sotto “Disegno di candelieri alti Ceva 1794” è tracciata con inchiostro differente. Il medesimo inchiostro della scritta cancellata è condiviso dalla firma di “Prinetti ar[gentiere]”. Il modello si differenzia dai fogli precedenti per l’uso dell’inchiostro acquerellato, che dà evidenza plastica al partito decorativo e serviva, forse, a suggerire eventuali dorature. La base appoggiata su zoccoli è caratterizzata da un folto motivo a foglie d’acanto, fino a risultare sproporzionata rispetto al fusto, sul quale si inserisce un vaso scanalato agghindato con corone floreali che regge la parte superiore, anch’essa scalata e decorata con i medesimi motivi vegetali. Anche in questo caso si nota un impianto classicheggiante, all’antica. La maggior cura nel rendere i particolari e l’utilizzo di specifici motivi, permette anche di avanzare confronti con modelli, forse serviti da ispirazione. Infatti il motivo del vaso scanalato con festoni anticheggianti richiama l’esperienza di Giovanni Battista Boucheron, a sua volta aggiornato alle novità dell’argenteria francese all’epoca di Luigi XV5. Questa grammatica rimanda a quell’orizzonte decorativo basato sulla ripresa archeologica di motivi classicheggianti, che contraddistingue la produzione delle arti decorative di ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 1860x480, è segnato sul verso 132. Nell’Inventario disegni, mappe e stampe dell’Archivio Capitolare, le lacune sono così colmate: “Disegno di candelieri per gli altari della chiesa di Torino, entro vi sono [altri] venuti [da Milano]”. 4 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4; il foglio, mm 2070x790, è segnato nel verso 116. 5 Si veda Mana 2012, pp. 27-29. 3 142 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli fine Settecento. Stando in ambito piemontese si può citare anche l’opera di Bonzanigo, vicina nel vocabolario impiegato, il quale realizza, grazie a uno straordinario virtuosismo nell’intaglio ligneo, una vasta gamma di opere fortemente caratterizzate6. Affine stilisticamente, per il medesimo impianto classicheggiante, si pone il disegno, sempre firmato “Angelo Prinetti” che nel retro reca la scritta “Disegni prescielti tra [quelli] fatti fare 1794 per la Cattedrale di S. Eusebio”7. In questo caso si può notare un impianto più semplificato: per i motivi che lo ornano, per il tratto e per il chiaroscuro, reso con inchiostro bruno, meno particolareggiato. La base è costituita da volute e foglie d’acanto, che ritornano a decorare le varie congiunzioni dell’oggetto. All’interno di una cartella, nella parte inferiore, è raffigurato il cappello vescovile. Il retro nella parte inferiore reca un’altra scritta: “Disegni di candelieri scelto per ricavare e formare il giusto disegno dei candelieri da farsi in Rame argentato a otto fogli per l’altare maggiore 1797”, segno forse di una sua elaborazione e utilizzo in momenti differenti. Il nome di Angelo Prinetti ritorna in una serie di altri disegni. Vi è infatti un candeliere che reca la data “1796” e la sua firma8. A differenza del foglio precedente, la base riporta una corona di alloro al centro, al di sotto motivi cosmateschi e poggia, curiosamente, su piedi cubici a meandro. Nella parte centrale è inserito un vaso scanalato coronato da un intreccio floreale. Anche questo foglio sembra guardare alle soluzioni elaborate intorno agli anni ’80 del Settecento da Giovanni Battista Boucheron, e trova affinità, ad esempio, con il Disegno per candelabro, conservato a Torino, a Palazzo Madama, dove si ritrova l’idea della base a cubi, il vaso e il fusto scanalato e ricchi festoni9. Tra i disegni firmati, è conservato un candeliere che reca, sul retro, la scritta “Disegno ricavato da Angelo Prinetti dai candelieri d’Argento della Cattedrale di Vercelli mandati alla Reale Zecca nel 1792 nella giusta loro altezza, grossezza, e lavori”, seguita dalla nota “con entro il disegno che servì di norma per farli fare stato pure riscattato da Can.co Ceva a proprie spese”10. L’indicazione è molto importante, non soltanto per i nomi che compaiono, già incontrati negli altri fogli, ma 6 Per i contatti tra Bonzanigo e le esperienze francesi, in particolare sul vocabolario figurativo di Jean-Charles Delafosse, si veda Arnaldi di Balme 2011, pp. 18-19. Per le influenze e i modelli per gli argenti sabaudi nel corso del Settecento si rimanda a Mana 2012, pp. 16-35. 7 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 2090x540, segnato sul retro 140. 8 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 2150x695, reca sul retro le scritte “Disegno di candelieri alti 1796 / Candelabro Maggiore - Disegno”; è segnato 130bis. 9 Gaglia 1980, p. 150. Come opera finita che presenta il medesimo vocabolario si possono citare i Bruciaprofumi, conservati a Londra, Gilbert Collection (Mana 2012, p. 28). 10 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4; il foglio, mm 1760x490, non è numerato. 143 Dario Michele Salvadeo per la funzione svolta dal disegno. Non è un modello da presentare, quanto piuttosto una copia grafica e come tale dev’essere valutato. Se da una parte si riscontra un impianto decorativo classicheggiante, affine agli altri disegni, dall’altra si può notare una certa elementarità nella traduzione, tale da far dubitare che sia dello stesso autore del foglio precedentemente analizzato, ma piuttosto un lavoro affidato alla bottega: uno scarto qualitativo derivato dalla sua funzione. Di differente esecuzione è il modello da cui Angelo Prinetti ha ricavato la copia. Infatti il disegno citato nell’iscrizione molto probabilmente è il foglio in cui compaiono, a lato del modello, le firme dei canonici e di altre figure legate al Capitolo di S. Eusebio (fig. 2)11. Il foglio presenta il medesimo impianto classicheggiante, come pure gli stessi motivi: la base con l’effige di sant’Eusebio, i cherubini ai lati, il vaso al centro con intreccio di rami legati da un nastro, e tre testoline di cherubini sulla sommità. Nel complesso l’opera ha una struttura articolata: meno ricca di motivi rispetto ai fogli precedenti, ma ben proporzionata con una distribuzione equilibrata di elementi decorativi che ne ravvivano l’insieme. A questi due disegni è legato anche il foglio raffigurante una croce (fig. 3)12. È un disegno problematico, in quanto la qualità esecutiva si stacca vistosamente rispetto ai modelli discussi finora (e anche a quelli successivi). Questo, come nel primo gruppo analizzato, è stato eseguito nella sua metà verticale, segno che si tratta di un modello da presentare. È caratterizzato da una grande fantasia decorativa. Le estremità della croce presentano volti di angioletti differentemente atteggiati, racchiusi in una serie di incroci di volute, la cui vivacità dà un senso organico, reso maggiore dalle foglie d’acanto frammiste. All’incrocio delle braccia una serie di raggi diparte da racemi. La sommità verticale oltre ai riccioli delle volute è arricchita da un grappolo d’uva che rimanda ovviamente al tema eucaristico. Sulla base ritornano i medesimi motivi del precedente disegno: si ritrova l’effige di sant’Eusebio circondato da sorridenti cherubini, il tutto reso con maggior dovizia di particolari. Anche nella parte centrale della croce si ritrovano i fasci vegetali incrociati, sebbene poco in evidenza poiché, anche in questo caso, il disegno è stato realizzato a metà. Queste evidenze portano a ritenere che vi sia uno stretto legame con il precedente modello di candeliere, forse entrambi 11 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il disegno, mm 1600x480, sul verso è segnato 144. Il disegno è accompagnato dalle sottoscrizioni di: Carlo Francesco Cantono vescovo di Nizza, can.co Carlo Ludovico Pastoris, can.co Giuseppe Vincenzo Viale, can.co teologo Francesco Innocenzo Fileppi, can.co Giuseppe Ignazio Bellini, can.co Agostino Vialardi, Giuseppe Nicola Rosetti, can.co Francesco Girolamo Ruggeri, Ignazio Nosetti, Pietro Antonio Labrancia, Giuseppe Rossaro. 12 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4; il foglio, mm 2470x490, è segnato 115. Sul retro è fissato un foglio di recupero con uno stemma vescovile appartenente a Giovanni Pietro Solario, come individuato in ACV, Inventario disegni, mappe e stampe dell’Archivio Capitolare. 144 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli pensati a costituire un insieme. L’estremità inferiore, su cui è rappresentata la base della croce, è cucita al resto del cartone. Presenta colori e stesure grafiche differenti tale da far ipotizzare un’aggiunta successiva, eseguita da mano diversa. Sul retro la scritta: “Disegno per la croce d’argento per l’Altare Maggiore stato trovato presso un indoratore, e ritirato, e riscattato nel 1796 dal can.co tesoriere Giuseppe Ceva a proprie spese. Vi si unisce pure qui dentro il disegno che servì di norma per fare li candelieri d’argento, ed altro ricavato dai candelieri stessi prima che si mandassero alla Regia Zecca secondo l’ordine avutone. [firmato] Giuseppe Demetrio Ceva di Ceva, Lesegno, e Roassio can.co”. Secondo quest’indicazione, tenendo presente le informazioni relative agli altri due fogli, l’indoratore va individuato in Angelo Prinetti, dalla cui bottega l’abate Ceva ha riacquistato anche i disegni dei candelieri. Di conseguenza la parte del piede, ritenuta spuria, potrebbe essere un’integrazione dell’argentiere. Per il momento non sono emersi documenti che illuminino sull’esecuzione del disegno, ma si possono avanzare un serie di considerazioni stilistiche emerse dall’esame autoptico. Esclusa in questo caso l’autografia del Prinetti, per lo scarto qualitativo, si legge un’invenzione ancora legata all’esperienza tardo barocca, in cui il gioco delle volute all’estremità della croce e la vitalità delle teste degli angioletti, si sarebbe tradotto, una volta realizzato, in un’opera dalla forte resa plastica. L’orizzonte decorativo sembra rimandare ancora all’esperienza di Andrea Boucheron e al suo allievo Lorenzo Lavy, prima cioè che subentrasse un gusto classicheggiante, come traspare negli altri disegni. È vicino, infatti, a quel gioco di putti che caratterizza, per stare in ambito vercellese, il calice d’argento dorato realizzato da Andrea Boucheron per la Cattedrale13. Ma il motivo ha avuto ampio successo e si riscontra in gran parte dell’argenteria piemontese fino al tardo Settecento. Per queste ragioni si è portati a ritenere che il disegno della croce risalga alla seconda metà del Settecento, verosimilmente tra gli anni ’70 e ’80. La stessa vivacità tardo barocca è riscontrabile in un altro disegno, rappresentante un candelabro, privo di indicazioni (fig. 4)14. Ha un impianto semplice e lineare ma caratterizzato da un serie di rocaille applicate ai profili che ne vivacizzano la forma. Alla base si ritrova il motivo dei putti retti da una serie di volute, un leitmotiv che possiamo riscontrare, per esempio, nell’ostensorio conservato nella chiesa parrocchiale di Agliè15. Per tali motivi si è portati ad avvicinarlo cronologicamente, o comunque a leggerlo insieme a questi due disegni, al progetto della croce e al modello di candeliere approvato dalle firme. 13 14 15 Facchin 2004, p. 170-171. Sul Boucheron si veda Genta 2012, p. 31-41. ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4; il foglio, mm 1833x820, segnato 128bis. Gaglia 1980, p. 155. 145 Dario Michele Salvadeo Ad una fase successiva risale, invece, il disegno di un monumentale candelabro che reca anch’esso lungo il profilo una serie di firme. Il progetto è datato “14 febbraio del 1797” e destinato all’altare maggiore (fig. 5)16. È presentato con un tratto più fine, lineare, preciso nella resa dei dettagli. Ha comunque una delicata ombreggiatura e in ocra le parti che sarebbero state dorate. La fattura del modello rispecchia l’adesione e la diffusione di modelli legati al neoclassicismo, nel suo linearismo strutturale e nella sua semplice ma proporzionata decorazione. Sul foglio, lungo tutto il disegno, sono state apposte una serie di firme, come segno di approvazione17. In questo caso si è riusciti a individuare l’opera finita tradotta dal disegno, in quanto i candelieri sono giunti fino ai giorni nostri e si conservano in deposito nella Cattedrale di Vercelli (fig. 6). Vi sono poi una serie di fogli che formano un altro gruppo. Il primo disegno rappresenta un modello di candeliere elaborato in due varianti con un semplice tratto senza alcuna ombreggiatura, e nel retro il disegno con le indicazioni per la doratura, un’interessante testimonianza della pratica di bottega (fig. 7)18. A questo è sicuramente legato il disegno firmato “Malnate Int. disegnò” (fig. 8)19. L’autore è individuabile in uno dei due fratelli del pittore vercellese Eusebio Malnate, Fortunato o Felice, entrambi intagliatori e scultori, morti nel 1842, rispettivamente a 29 e 25 anni20. Il disegno rappresenta lo sviluppo e l’elaborazione di uno dei due modelli del foglio precedente, e quindi scelto per la messa in opera. Si presenta come un modello caratterizzato da una base a grandi volute con al centro un’ampia foglia d’acanto, poggia su zampe leonine, mentre al centro e sulla sommità si ritrovano motivi vegetali. Al gruppo appartiene molto probabilmente anche un quarto disegno, accumunato dal medesimo tratto grafico, meno pulito, con un modello di candeliere differente, dove però compare, in forma abbozzata, la base con il motivo a foglia d’acanto che caratterizza il modello del foglio firmato21. Questi disegni per l’impianto decorativo dispiegato rimandano già al secolo successivo, in piena Restaurazione. Una serie di ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4; il disegno, mm 2275x715, è segnato 129bis. Sul fronte compare la seguente scritta: “V.o acciò non si varij”, seguita dalle firme Germano Stroppa Cancelliere, Carlo Prinetti, Giuseppe Demetrio Ceva e Roassio canonico tesoriere della Cattedrale di S. Eusebio di Vercelli, Sebastiano Bachietti, Antonio Prinetti, Angelo Prinetti, prete don Michele Antonio Bertinara sacrista della Cattedrale di S. Eusebio, e la data “14 febbraio 1797”. Sul retro l’indicazione “Disegno Candelabri Maggiori”. 18 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 550x460, è segnato 147. 19 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 1070x390, è segnato 146. Lungo il disegno la scritta “Disegno eseguito per il domo di Vercelli [per?] Luigi Figheti arg.ero […]. 20 Natale 2006, pp. 30 e 48. 21 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio, mm 420x260, è segnato 136. 16 17 146 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli motivi, tra tutti la stilizzata foglia d’acanto, si rifanno a certe soluzioni elaborate da Pelagio Palagi ad inizio Ottocento per la corte sabauda, come si può vedere negli arredi elaborati per Palazzo Reale o per il Castello di Racconigi, che avranno poi un’eco, sebbene con una serie di declinazioni, nel corso dell’Ottocento22. Dal disegno di Malnate sono stati tradotti una serie di candelieri, che, giunti fino ai giorni nostri, decorano attualmente l’altare della cappella di S. Eusebio, il cui completamento è avvenuto nel corso del XIX secolo (fig. 9)23. Per queste ragioni si propone una datazione tra gli anni ’30 e inizio anni ‘40 dell’Ottocento, la cui trattazione però esula dal presente contributo, preferendo focalizzare l’attenzione sull’insieme dei fogli settecenteschi. Infine, per completezza, all’interno delle cartelle è presente un disegno di un porta-cero su carta tinta, di semplice fattura e privo di alcun elemento particolare che porti ad avanzare considerazioni24. Le carte dell’Archivio Capitolare Come si deduce da questa prima analisi il nome che ricorre spesso è quello di Angelo Prinetti. Sappiamo che i Prinetti tenevano bottega a Vercelli e che l’attività di famiglia è stata svolta da diversi membri: è segnalato Giuseppe, ammesso Mastro nel 1770 e Carlo, ammesso Mastro Orefice Argentiere nel 181525. Quest’ultimo è citato nel disegno datato del 14 febbraio 1797, segno che a quella data affiancava il lavoro di Angelo. Dal vaglio del libro dei redditi della Cattedrale si ricava quanto i membri di questa famiglia, e in particolare Angelo Prinetti, fossero i principali referenti della cura e del rifornimento degli argenti, con connesse operazioni, della Cattedrale nella seconda metà del Settecento. Sappiamo da due note presenti nella contabilità del 1787 che la bottega era composta da Giuseppe Prinetti orefice, Angelo Prinetti indoratore e Antonio Prinetti fonditore26. 22 A riguardo si veda Colle 2009, pp. 308-311 e le opere pubblicate alle pp. 247 e 330-333. Viceversa la persistenza di modelli neoclassici caratterizza anche le manifatture lombarde come si può vedere, ad esempio, nella coppia di candelieri elaborati per Palazzo Reale, eseguiti intorno al 1830 circa o nel tavolo conservato a Brescia (palazzo Valotti Lechi), opera dei fratelli Abbate, attivi a Milano nella seconda metà dell’Ottocento; vedi Colle 2009, pp. 349 e 351. 23 Altri esemplari sono stati individuati nei depositi della Cattedrale. Sulle vicende della cappella di S. Eusebio, si veda Barbero-Protti 2000, pp. 68-70, 102-104. Sulle caratteristiche dell’oreficeria vercellese durante l’Ottocento si veda Facchin 2004, pp. 145-146. 24 ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3; il foglio misura mm 930x330. 25 Giuseppe Prinetti è ammesso Mastro nel 1770, con unzone/insegna “L’Agnello Pasquale con G.P.”; Carlo Prinetti, padre di Antonio, nel 1824 deposita il punzone “Una sciabola colle lettere iniziali C.P.” (Bargoni 1977, p. 205). 26 ACV, Libro de redditi della chiesa. Principato l’anno dell’1780-1787, p. 358. Di Antonio Prinetti 147 Dario Michele Salvadeo Dagli Inventari della Cattedrale emerge una ricca e variegata messa di suppellettili che arredavano l’ambiente liturgico e che richiedevano inevitabilmente una lenta e continua manutenzione. Nell’Inventario del 1792 si legge, per quanto riguarda i candelieri dell’altare del Beato Amedeo che alcuni “sono via per indoratura; 5 sono anneriti e sporchi, altri 4 sono fuori d’uso per argentatura”27. Ma a quella data la bottega Prinetti era già stata impegnata in diversi lavori dalla metà del Settecento28. Ovviamente non è la sola bottega coinvolta, ma si alterna con altri maestri orafi ed argentieri. Infatti i pagamenti documentano anche l’attività di Carlo Mariano, registrato dal Bargoni come residente a Vercelli29. Questi il 30 luglio 1778 è pagato “Pel Indoratura de Piedistalli delle Statue delli Apostoli lire 29”30. Le opere cui si fa riferimento sono le ben note reliquie degli Apostoli, oggi conservate nelle sale del Museo del Tesoro del Duomo31. Nelle Diverse spese del 1791-1792 il Mariano è impegnato in “imbiancatura di due Turriboli ed aggiustamento di anelli rotti. Lista, e qu.a d’oggi L. 5”32. Il 31 maggio 1792 invece è pagato per “Argento, e fattura d’un Campanello per la Messa grande, e per l’aggiustamento di Due Busti delle Lampade, e dei due Turriboli d’Argento, come da Lista, e quiett.a L. 70”33. Il 30 maggio 1794 è impegnato per “una muta di Concorni di Carte Glorie di Rame Argentato, ed Argentatura di altre Carte Gloriae, e per argentatura di sei Candelieri è documentato il saldo relativo alla fusione “di una Campana di Rubj 12:20 colla spesa nel levarla, e rimetterla sul Campanile L. 57.7.6” (ACV, Libro de redditi della chiesa. Principato l’anno dell’17801787, p. 360). Dalla lettura dei Libri delle Reddite il nome Prinetti ricorre accompagnato da titoli differenti (“indoratore”; “ottonaro”; “argentiere”). Ove non specificato dal nome di battesimo, risulta difficile individuare di volta in volta i soggetti della famiglia. 27 ACV, Inventari Cattedrale, Inventario de Pontificali, Paramentali, Pianete, Pluviali ecc., 1792, pp. 28-29. 28 Risulta il pagamento, del 2 dicembre 1756, a un non specificato Prinetti per l’elaborazione, la realizzazione e la fusione di una campana “ordinaria” del Duomo (Tibaldeschi 2003, p. 167). Il 1763 viene pagato “Prinetti lotonaro”, molto probabilmente lo stesso “ottonaro” pagato l’anno precedente; Tibaldeschi 2003, p. 173. 29 Carlo Mariano, ammesso Mastro nel 1786, è padre di Giuseppe, sempre residente a Vercelli (Bargoni 1977, p. 167). 30 ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 284. Il 27 giugno Mariano era pagato lire 18 per aver aggiustato l’Orologio della Torre (ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 284). Anche all’argentiere Prinetti è saldato il conto nello stesso anno, il 19 dicembre, per “aggiustam. delle fratture delli apostoli delle statuette, Saldature, a turriboli, e candelieri, come da lista […] lire 29.10” (ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 286). Sulla base di queste note Riccardi 2014, p. 543, assegna l’intervento a Giuseppe Prinetti. 31 Si veda Riccardi 2014, pp. 541-554. 32 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 23. 33 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 306. 148 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli alti dell’Altare Maggiore, per due Turiboli nuovi con sua navicella, un Benedettino, un Piedistallo pel Baldacchino, il tutto come da lista, e quiettanza d’oggi L. 635”; al quale segue il pagamento “Per due Stampe per due mute di Carte Gloria D. 15”34. Sempre il 30 maggio, ma dell’anno successivo, nel 1795, è pagato per “una nuova croce di rame argentato per le processioni come da quiettanza lire 60; fattura di quattro coppe dei quattro calici della Sagrestia Maggiore che si usano ogni giorno, e già quasi fuori d’uso, e queste lire 4 cad. [per un totale di] L. 16; Per l’indoratura delle suddette 4 coppe dentro, e fuori, e delle 4 patene per li stessi calici in tutto lire 16; fattura di due calici nuovi lisci ed accresciuti di peso per la sagrestia minore, essendo i vecchi molto guasti a lire 30 cad. [per un totale di] lire 60; per indoratura di due coppe dei suddetti calici solamente dentro, ed al bordo, e dette due patene dei suddetti due calici a lire 4 cad. [per un totale di] lire 8”35. Emerge da questi brevi note quanto i lavori di manutenzione e riparazione costituissero la maggior parte degli interventi. Sempre nel 1795 Carlo Mariano aggiusta “4 Candelieri di rame argentato con rapposti, imbianchiti, e puliti ed aggiustati li due Turiboli, e Navicella, e varie altre fatture come da lista, e quiettanza d’oggi (colla nota pure ivi unita del peso delle 4 Coppe vecchie e delle nuove, dei 3 Calici e patene vecchi, e dei due nuovi, e dell’altro argento aggiunto lire 76:3:6 [per un totale di] lire 236:3:6” seguono ulteriori pagamenti per aver “rimesso n 6 Zecchini di Venezia per l’indoratura dentro e fuori delle 4 Coppe nuove, e 4 patene sud.i per la Sacristia Maggiore, e delle due Coppe soltanto dentro, e bordo dei due Calici nuovi, e delle due Patene per la Sacristia minore rilevanti a L. 60 … Aggiunta fatta nel cambio dei Zecchini di Milano, e Firenze, che erano di fondo della Tesoreria con quelli di Venezia come più belli, e buoni per indorare le suddette Coppe e Patene a D. 12”36. Tra i pagamenti per gli argenti risulta anche Tallera, che l’11 gennaio 1775 è pagato “per il Mobile d’Argento fatto da mettersi sotto la croce di on. 74.19 di Zecca a lire 5.7.6 cad.a on. e ss. 90 al on. di Fattura; doppo l’offerta fatta da alcuni S.ri Canonici, ed Altri Restano a pagarsi, come si è pagato al giorno d’oggi; saldo come da Iista, e Quitanza lire 58”37. Allo stesso, il 16 giugno 1776, sono pagate “per Indoratura, d’un Calice, e Patena lire 9.7.8”38. ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 168. ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 335. 36 ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 336. 37 ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 68. 38 ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 168. Carlo Tallera, residente a Vercelli, è ammesso Mastro nel 1774; la sua insegna è “S. Eusebio Martire” (Bargoni 1977, p. 237). 34 35 149 Dario Michele Salvadeo Nel 1777 risulta impegnato invece l’orefice Carpantrà, pagato “per la Montatura, e Pietre Bianche apposte al Raggio di Filigrana”, che potrebbe leggersi come un intervento consolidativo per l’Ostensorio smontabile in filigrana, prodotto verosimilmente in area siciliana, e che tuttora si conserva al Museo del Tesoro del Duomo39. Si segnala, inoltre, il saldo importante versato il 9 maggio 1780 a Gaspare Cisalletti “Argentiere per n. 3 vasi d’argento per li Ogni Santi, lire 1519.2.4”40. Invece per l’arrivo della Famiglia Reale il 1 maggio del 1789 è coinvolto l’orefice Bava che, nelle Spese Straordinarie, viene pagato “pel porto e riporto de candelieri da S. Cristoforo da S. Agata, dalla Visitazione, da S. Spirito, e da S. Clara L. 10”; “pel porto e riporto de Candelieri grandi e Trono d’argento dall’orefice Bava L. 3”; “pel imbianchini di. 6 Candaglieri grandi, 12 Piccoli, Trono, Croce grande, e Piedistallo lastra sotto croce”; il 10 maggio, invece, per “Indoratura alle pezze del Trono, Girandole, 2 Croci, 2 Turiboli con apposizione di un Crocetto, broche d’arg. [per un totale di] L. 500”41. L’orefice è indicato sempre per cognome. Sappiamo ancora che a Vercelli hanno lavorato Spirito Bava, ammesso Mastro Orefice nel 1779, e Carlo Bava, padre di Francesco, che nel 1824 ha depositato il proprio punzone (“C.B. con Rosa in mezzo”)42. Non avendo elementi sufficienti ad individuare la persona, si segnalano altri lavori assegnati a Bava documentati dai pagamenti. Questi il 10 giugno 1788 è pagato per “la Croce d’Oro e Cordone Verde con Fiocchi intessuto in Oro data in Dono a Monsignore Pietro Gattinara d’Albano come da quittanza lire 150”43. Il 17 ottobre 1788, invece, lo stesso è pagato “per avere lustratto le lampade Fattura di viti d’Argento, indorratura di patene come da quiet. lire 96”44. Il 26 luglio 1791, l’orefice è pagato “per aver aggiustata la Croce processionale, ed imbianchita fino dalli 6 maggio del cor.te 1791 lire 6”45. 39 ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 178; Facchin 2004, p. 174. 40 ACV, Libro de conti della Tesor.a. Redditi e Spese della Chiesa 1773-1778 [1780], p. 343. Gaspare Cizaletti (o Cisaletti) è ammesso Mastro nel 1761 con il punzone/insegna “Il SS. Nome di Gesù incoronato, con G. C.”. Bargoni elenca anche Vittorio Cizaletti, sempre residente a Vercelli (Bargoni 1977, 92). 41 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 115. Il 24 luglio dello stesso anno 1789 sono saldati i lavori svolti da Pietro Nolando “Argentatore” “per l’imbianchim.o de 4 Busti, Massa, Sottocoppa delli Amolini della Messa grande, N. Candelieri da Flambó lire 13.13.4”; ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 174. Il medesimo giorno, in una nota differente sono saldati certi “6 candeglieri grandi e 12 piccoli a L. 5 e L. 1 [per un totale di] L. 42”, forse alla medesima persona (ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 115). 42 Il punzone (o insegna) di Spirito Bava è costituito da “S. Matteo, con S.B.” (Bargoni 1977, p. 50). 43 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 117. 44 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 118. 45 ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 248. 150 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli La visita dei Savoia a Vercelli era un evento importante, che celebrava la famiglia regnante, da tempo coinvolta nelle vicende artistiche legate al Duomo di Vercelli. Infatti, fin dalla fine del Seicento, con la commissione della cappella dedicata al Beato Amedeo, i Savoia si sono resi nel corso del Settecento donatori munifici di opere a benefico del Duomo vercellese46; un mecenatismo sicuramente volto a consolidare i legami politici, assicurati grazie anche all’azione e alle scelte dei vescovi della Cattedra eusebiana, in linea con lo sviluppo che lo Stato sabaudo stava assumendo nel corso del Settecento47. Infatti nella contabilità del 1780 tra le Spese Straordinarie è segnata la “Nota de Mobili avuti dalla Munificenza di S.M. il Re Vittorio Amedeo nostro sovrano a mediazione del Emō Sig.e Cardinale, e Vescovo Filippa di Martiniana, come pure i doni, e spese fatte dall’istesso Sign.e Cardinale Vescovo nella Chiesa Cattedrale”, in cui si citano i doni di Sua Maestà ovvero: “Due Gran Vasi d’Argento fino lavoro, con fiori parte d’argento, e parte d’alabastro di Sicilia in colori. Dodici Candelieri d’argento, sei di un disegno, e sei di un altro, tutti di finissimo lavoro, e d’equal altezza” e legati al vescovo: “Da S. Em.za Un Calice d’argento con coppa dorata di singolar lavoro rappresentante al Piede di Cristo nell’Orto. Nel marmoreggiamento del Coro, e basi delle Colonne di tutta la Chiesa; Bassi rilievi de quatro Quadroni del Coro fatti dal S. Bernero Stucchi Maestranza Materiali L. 9 122.18.6 Per il Baldacchino fatto dal sud.o S. Bernero, oltre la spesa del viaggio L. 4500”48. Gli oggetti citati sono stati facilmente individuati: il calice d’argento, riconosciuto oggi come opera di Francesco Ladatte e tuttora conservato all’interno del Museo del Tesoro del Duomo, e i bassorilievi che decorano il Duomo, opera del Bernero49. I preziosi vasi d’argento e d’alabastro sono ad oggi dispersi, mentre dei dodici candelieri, elaborati a partire da un doppio disegno, non si hanno sufficienti prove per legarli ai due disegni di candelieri con affini motivi tardo barocchi, cronologicamente prossimi alla suddetta nota; si preferisce pertanto sospendere il giudizio e rimandare a successive novità documentarie. Disponiamo invece di maggiore documentazione per quanto riguarda i candelieri elaborati negli anni ’90 del Settecento. Lo scoppio della Rivoluzione francese Si rimanda ai contributi in Caldera - Spione 2011, pp. 455-493. In particolare sulla cappella del Beato Amedeo e le vicende artistiche legate alla Cattedrale si veda il contributo di Elena Mandrino in Caldera - Spione 2011, pp. 481-486. 47 Per una panoramica delle scelte artistiche in ambito sabaudo per il periodo qui affrontato si rimanda a Dalmasso 2002, pp. 778-798. 48 ACV, Libro de redditi della chiesa. Principato l’anno dell’1780-1787, pag. 53. La nota, qui trascritta interamente, è stata pubblicata da Minelli 2016, p. 132, alla quale si rimanda per le informazioni desunte dai libri contabili riguardanti la Cattedrale di S. Eusebio. 49 Minelli 2016. Sul calice si veda Dardanello 2012, p. 27; Facchin 2004, pp. 170-171. 46 151 Dario Michele Salvadeo e le successive campagne napoleoniche, portano lo Stato sabaudo a richiedere ai suoi sudditi maggiori liquidità per le spese belliche: per pagare truppe e rifornimenti viene emesso un editto nel 1792 che “invitava opere oro e argento di portarle alla zecca per ricevere buoni del Tesoro 3,5% annuo”, coinvolgendo “chiese e luoghi pii e qualunque altro corpo ed università si faranno una lodevole premura di concorrere al giusto fine che ci siamo proposti”50. Non era una novità, già nel 1749 erano stati mandati argenti all’Erario a sostegno delle spese belliche51. Negli Atti Capitolari del 1793 si legge che il 16 febbraio “Vasa argentea Taurinum missa”; di ciò si trova riscontro nelle note segnate nel Libro dei redditi, per l’anno 1792-1793, sotto le Spese Straordinarie in cui sono documentate in modo dettagliato le operazioni che hanno portato al trasferimento degli argenti alla Regia Zecca52. Sono tali circostanze che coinvolgono Angelo Prinetti come autore dei disegni qui discussi. Il 30 maggio 1794, infatti, è pagato “l’Indoratore Angelo Prinetti per aver puliti tutti i Crocetti dei Piviali di Moella d’oro, di aver argentato varj Candelieri, ed altri con Vernice, mute di Carte Gloria, la Cimasa e Cornice del suddetto baldacchino, per aver dato il colore ai Teleroni in sacristia, per aver copiati e fatti disegni di candelieri per l’altare Maggiore, il tutto come da lista, e quiettanza d’oggi L. 315”53. Se nella prima parte delle note si riscontra una serie di operazioni di ordinaria manutenzione, nell’ultima parte si legge la menzione del disegno ricavato dal candeliere mandato alla Regia Zecca e la commissione ad elaborarne altrettanti. Per quanto riguarda invece la croce e il candeliere con puttini, di cui si conservano i disegni, potrebbero essere individuati negli oggetti elencati nella nota relativa agli argenti della Cattedrale, all’interno dell’Inventario del 1792, stilato molto probabilmente in forza dei sopraggiunti drammatici avvenimenti. Viene citata, per gli argenti dell’Altare maggiore, “la Croce alta pari di simile disegno, cioè fusto di detta, e piede, coperta di lastra d’argento sislato, ai piedi vi sono tre teste di putini grosse, ed un piccolo Bustino, che rappresenta S. Eusebio; Al fusto di sud.a il Crocifisso, e Diadema di Bronzo, e Raggi di Rame dorato” compaiono “N. 6 Candelieri alti di lastra d’argento sislato dai piedi di detti vi sono tre teste di putini per ciascuno candeliere d’argento”54. Pertanto si è portati ad Fina 2002, pp. 17-18. Tibaldeschi 2003, p. 155. 52 ACV, Atti Capitolari 1789-1795, 1793, p. 6. Nella nota, trascritta in Appendice, si legge che era “unita ad altre memorie” che non sono state individuate. Il trasferimento dell’argenteria continuerà anche negli anni successivi come si apprende dalla nota nelle Spese Straordinarie del 1794 (ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 185). 53 ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 168. 54 ACV, Inventari Cattedrale, Inventario de Pontificali, Paramentali, Pianete, Pluviali ecc., 1792, p. 3. Il termine “sislato” significa “cesellato” (Ponza 1877, p. 648). 50 51 152 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli ipotizzare che il disegno della croce e dei due candelieri (il 144 e il 128bis) siano rare testimonianze visibili degli argenti settecenteschi che ornavano l’altare maggiore della Cattedrale prima dell’Editto sabaudo55. La volontà di non lasciare spogli e sguarniti gli altari della Cattedrale spinge il Capitolo a riorganizzarsi celermente, come dimostra non solo la commissione a Prinetti ma il saldo versato “al vetturale Garino” il 6 maggio 1794, ovvero “mance date per disegni di candelieri portati da Milano, e Novara comprese le spese in tutto L. 10:10”56. Potrebbe trattarsi dei disegni con modelli di candelieri 133 e 134, ma la nota è troppo generica e non si hanno altre indicazioni. Lo stesso anno, tuttavia, altri argenti sono inviati alla Regia Zecca. Nel Libro delle rendite, si riscontra per quell’anno una sezione apposita dedicata al “Conto del peso, valore, ed estimo della Fattura seguito in Torino alla Regia Zecca li 23 maggio 1794 dell’ultima argenteria di codesta chiesa cattedrale colà consegnata nei diversi pezzi indicati nell’Inventario dei mobili di detta Chiesa”57. Tale situazione non limita la committenza. Il 22 settembre del 1796 l’orefice Mariano è pagato per aver eseguito due calici nuovi ottangolari “con argento di tre calici vecchj, e guasti, che non si usavano più, per uso giornagliere della Sacristia Maggiore, e simili alle quattro, che si avevano, epperciò formati ora n. 6 Calici a L. 30 cadono [per un totale di]”58. L’11 ottobre del 1797 Carlo Mariano è pagato per “oro, fattura della Croce Pettorale Vescovile destinata secondo l’uso del Capitolo 55 Inoltre sono menzionati “Flambè” e una lastra per tabernacolo “che serve per piedestallo alla suddetta Croce”, molto probabilmente riferibile alla lastra d’argento eseguita dal Tallera. Nella stessa nota di pagamento si segnalano “due altri candelieri d’argento per i Ceroferari”. In particolare per l’altare maggiore si parla di “una gran croce il fusto stato rifatto nuovo, ed inverniciato, il crocifisso è il vecchio stato di nuovo imbronzato, il fusto della croce vecchia è notata nella Camera di Mezzo; sei candelieri d’ottone stati alzati con aggiunta di circa once 3:1/2 e ripuliti” (ACV, Inventari Cattedrale, Inventario de Pontificali, Paramentali, Pianete, Pluviali ecc., 1792, p. 3). Alla stessa pagina si citano dodici candelieri in legno “fatti inargentare dal sign. ab. Ceva tesoriere” che molto probabilmente sono gli stessi “dodici candelieri grandi di noce” inargentati da Prinetti, come risulta dai pagamenti del 1792 (ACV, Libro dell’Entrata e Uscita della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1787-1792, p. 312). 56 Precedentemente, il 28 febbraio 1794 lo stesso veniva pagato “pel trasporto da Torino di due casse colà rimaste dell’argenteria” (ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 183). Il 17 maggio, invece, è pagato Sebastiano Bianco, operaio del Duomo, per “aver aggiustato le casse del residuo degli argenti da mandarsi a Torino, L. 1. 15” (ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 183). 57 ACV, Libro delle Rendite, e Spese della Chiesa Cattedrale di S. Eusebio 1792-1796, p. 186. Nella stessa pagina è riportato anche il “Conto delle tre ultime campane di codesta chiesa cattedrale mandate a Torino al regio Arsenale in vigor di Regio Editto”. 58 ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 72. A questi si aggiunge, nella medesima nota spese, la fattura di due patene e l’indoratura di una serie di calici, coppe, patene. 153 Dario Michele Salvadeo con atto delli [manca] a Monsignore Giuseppe Grimaldi Vescovo di Pinerolo, e già Canonico Mazzaro in questa Cattedrale, e Rettore del Seminario del peso do Oncia una, e denari dieci pagato coma da nota, e quittanza d’oggi [per un totale di] L. 156”59. Sempre Mariano il 19 maggio del 1798 è pagato per altri lavori in argento, come pure il 28 maggio dell’anno successivo.60 Nelle Spese Straordinarie relative al 1798 si leggono una serie di pagamenti nei confronti della bottega dei Prinetti, “Per li sei candelieri alti e croce corrispondente, e due lampadi grande di rame argentato a fogli, come a p.a 90 del libro del sig.r ab. Ceva contratto fatto colli Padre e figlio Prinetti”: il 6 luglio “Pagato alli med. in conto della 2° rata in argento L. 499.10 in Biglietti L. 500 valuta D. 10 [per un totale di] 1000; al 2 agosto “avendo li med. eseguite le opere sud.e pagato per saldo il convenute nella scrittura, cioè in oro ed in argento L. 2000 in Biglietti L 1999 [per un totale di] 4000”; al 31 dello stesso mese “alli sud. in seguito ad atto Capitolare delli 27 Corr.e a titolo di buonificazione per maggiori ornati ai Candelieri, e Croce non contemplati nel disegno, come da lista presentata e per danno avuto sarà il notabile accrescimento del cambio pagato in Biglietti L. 2750”61. Molto probabilmente sono i pagamenti relativi alla realizzazione dei candelieri elaborati graficamente e approvati il 14 febbraio del 1797, tra le cui firme, comparivano anche quelle di Angelo, Carlo e Antonio Prinetti62. È segnato inoltre un altro pagamento per il 3 luglio del 1798, ad Angelo Prinetti, che oltre all’attività di colorire e verniciare la “Croce nuova del Pulpito, e il suo Crocefisso, con avere indorato la fascia del med.o per argentatura di scetro e simili per il funerale del Re Vittorio Amedeo III, fatto in Novembre 1796”, lo vede di nuovo protagonista in una serie di disegni per opere purtroppo non individuabili: “per aver copiato il disegno del gran Baldacchino d’Argento, e fatti altri disegni di gran Candelieri, Croce, e Lampadi, e altre opere il tutto come da lista e quittanza ristretta L. 135”63. ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 171. ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 73; 160 61 Il 29 novembre dello stesso anno si pagano “all’indoratore Prinetti per aver colorito di griggio a biacca il sotto di candelieri, e croce, e profilato al di dietro tutti li fogliami di med.o L. 17” (ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 241). Non si è riusciti ad individuare il libro appartenuto a Ceva con il relativo contratto, rinviando l’indagine ad ulteriori sviluppi. 62 La parte finale della nota relativa a una serie di aggiunte e modifiche trova riscontri con un’indicazione presente sul fronte del disegno stesso (“allargare la bocca”), riferita alla parte mediana del modello. 63 ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 161. Sappiamo che il crocifisso e la nuova croce citate sono state aggiustate da Carlo Vimnera, dal pagamento di L. 20 il 20 gennaio del 1798 (ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 159). 59 60 154 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Queste sono le ultime note relative a disegni che esegue Angelo Prinetti nel Settecento, la cui bottega è continuata nell’Ottocento, come precedentemente indicato. Considerazioni critiche Da questa prima analisi dei disegni conservati nell’Archivio Capitolare di Vercelli, pertanto, sono emersi una serie di aspetti. Innanzitutto la lettura storico-artistica dei fogli, supportata dall’indagine documentaria, ha permesso di tratteggiare le dinamiche e le molteplici attività di orafi e argentieri, soprattutto se impegnati nella regolare manutenzione delle suppellettili della Cattedrale. In particolare, lo spoglio documentario ha consentito di acquisire una maggiore conoscenza di Angelo Prinetti, autore principale dei disegni analizzati. Inoltre si sono tratteggiate quali conseguenze abbia determinato l’Editto del 1792 e cosa abbia significato per la Cattedrale. È stato non soltanto un momento fatale per l’esistenza di una serie di argenti che decoravano il Duomo, andati inesorabilmente persi, ma ha determinato la messa in produzione di opere oramai assestate al nuovo gusto dominante, improntate su motivi classicheggianti, all’antica, che hanno caratterizzato la fine del XVIII secolo e parte del nuovo secolo. Ciò non toglie che l’evento rappresenti la conseguenza di una fragile situazione politica, destinata di lì a poco a soccombere. L’arrivo dei francesi è imminente; la lettura della contabilità del 1798 ci restituisce, in una serie di brevi note, tutta la drammaticità di quei momenti: “il 6 dicembre i francesi invasero la Città di Vercelli, e successivamente tutto il Piemonte; avendo di notte tempo preso improvvisamente alloggio nella Cattedrale si dovette nei giorni successivi evacuare la med. da tutti i mobili, cioè, quadri degli altari, crocefisso d’argento, stanza della B. V. M., lustri di cristallo, banchi, confessionali, pulpito pur avendo diversi di [suddetti] mobili di legname molto sofferto nella prima notte dell’alloggio, ed essendosi interamente nelle successive notti abbruciato il coro, lungo del quale cessato l’alloggio se ne rimise poi uno interinalmente formato di diversi banchi della chiesa coperti coi soliti tapeti che servivano per l’altro coro, e si ripigliò l’ufficiatura stata interamente sospesa sino alla vigilia del SSmo Natale”64. L’insediarsi del governo francese, al di là delle conseguenze politiche, fu un ul- 64 ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 241. Le note successive sono molto interessanti per le misure adottate alla messa in sicurezza dei diversi beni, ma esulano dal presente contributo. L’indoratore Prinetti è chiamato per un restauro, in quanto è pagato “per aver riaggiustato il quadro del Battistero che aveva molto sofferto nel levarlo da luogo”; il quadro è il Battesimo di Cristo, di Francesco Antonio Mayerle (Caldera - Spione 2011, p. 482). Dalla nota si apprendono anche i danni subiti dal coro ligneo il 6 dicembre del 1798, retrodatandoli dal 1808 come riferito in Barbero-Protti 2000, p. 77, dove è discussa anche la relativa ricostruzione secondo i progetti di Ranza. 155 Dario Michele Salvadeo teriore duro colpo al patrimonio degli argenti appartenenti alla Cattedrale, i quali furono, ancora una volta, oggetto di requisizione65. Ma già il 3 ottobre del 1799 è acquistato “un calice d’argento cisellato di peso onz. 14.8 a L. 7 per uso della Sagrestia minore stante il fusto dei due calici seguito in feb[brai]o scorso L. 100” e il 20 dicembre dello stesso anno l’orefice Mariano veniva pagato “per aver imbianchita la Cassa del Battistero L. 1.10” oltre ad “aver formato, e saldato un cerchio d’argento al piede d’un calice L. 8”66. Nel 1800 Mariano è pagato il 21 giugno per “li tre vasi di rame argentato per gli ogli Santi in tutto simili a quelli, che esistevano d’argento”, oltre alla “provvista del rame”, per un totale di L. 500. A questi si aggiungono le L. 22 per “l’imbianchitura d’un Turribolo, Navicella, e Sidellino di rame per uso della parrocchia, e bianchitura d’un aspersorio, e turribolo d’argento”; nella stessa pagina, si ritrova anche il nostro indoratore Prinetti, pagato per aver dipinto “N. 5 grosse candele per giorno della Purificazione” per un totale di L. 2467. La grande officina che ruotava intorno alla Cattedrale aveva ripreso il suo corso; o forse non si era mai interrotta. 65 Si segnala il lavoro pagato il 21 luglio del 1799 “all’Indoratore Candido Ghiotti per aver inargentata, verniciata la Cassa di legno altre volte guernita d’argento per tornarvi a riporre il corpo del B. Amedeo, come pure per aver verniciato gli stemmi gentilizi del Il. Cardinal Ferrero sotto la statua di S. Eusebio, ed all’altar maggiore in tutto L. 124.10” (ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 283), come conseguenza delle circostanze descritte in ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 243. Sulla vicenda si rimanda a Minelli 2016, p. 128. 66 ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 283. 67 ACV, Libro delle Rendite e delle Spese della Cattedrale di S. Eusebio 1796-1798 [1800], p. 284. 156 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Appendice (ACV, Contabilità Tesoreria, 1791-1792, p. 30) Spese straordinarie 1792-1793 Per mandare l’argenteria alla Regia Zecca in Torino / Per pagamento della quarta dei prodotti dei censi e crediti [Senza data] Dicembre 1792 pagato all’Orefice Carlo Mariano per disfare l’argenteria, pesarla, per mandarla a Torino alla Regia Zecca in seguito al Regio Editto quitt.a 31 maggio 1793 per giornate 4 L. 8. Delli 10 ottobre 1792 Gratificazione al Sign.r D. Bevrinava Sacrista per l’assistenza fatta una nota doppia di ciascun pezzo, che si metteva nelle casse, ed una posta in ogni cassa, e l’altra retenuta a parte L. 2. Pagato a Giuseppe Bianco per aver dormito quaranta notti nella sacristia per custodire l’argenteria pronta da mandare a Torino, non aspettandosi che l’occasione di mandarla coll’altra delle diverse chiese L. 25:10; 26 [ottobre] E per l’aiuto ad incassarla ad un fachino per aiutar a carricare le 3 casse dell’argenteria D. 10. 31 [ottobre] pagato al calessante Gavino per la condotta a Torino delle tre casse dell’argenteria della Chiesa con ss. 30 di mancia quitt.a d’oggi L. 21.10. Buonificato a S. Em.za per la parte spettante alla chiesa della spesa nel pagare i soldati di Cavalleria, che accompagnarono le argenterie a Torino L. 10.6.8 Gennaio 26 [1793] pagato al vetturale Dome[nic]o Faccio per riporto da Torino di una cassa con entro il Crocefisso, e raggi di rame, e bronzo dorato della gran croce dell’altare maggiore; la croce processionale, ed altri pezzi stati rimandati quitt.a d’oggi lire 6. Mancia ad un fachino per scaricarla, e portarla in sacristia D. 7.6. Buonificato al E.mo Sigr can.co Mazzero Grimaldi can.co sindaco per le spese fatte nel suo viaggio a Torino in qualità di can.co delegato e per l’affare del canonicato già sovra accennato pag[…]e[…],e per rimettere alla Regia Zecca, assistere all’estimo, e peso dell’argenteria della nostra Catted.le come da sua nota per la fattura delle casse, cantonali di ferro, e chiodi per le med. vedi le liste del minusiere Degiorgis, e del Serrafere Berina, e notate sopra pag. riparaz.ni L. 192.15.4. Come da dichiara del Regio estimatore sigr. Gio. fin unita ad altre memorie nel pacchetto delle quittanze-quitt.a d’ogg. Buonificato al Sigr. Ab.e Grimaldi sud.o il da esso pagato in denari alla R. Zecca d’aggiunta alle L. 26535.13.2 importo del valore, ed estimo della fattura della sud.a argenteria per ridurle alla compita somma di lire 26600 totale capitale presentato alla Città di Torino presso il monte di S. Giovanni Battista li 12 gennaio 1793 giorno, in cui cominciarono a decorrere gli in^ti al 3 1/2 come sovra pag. L. 64.6.10. La nota dei candelieri, croce, busti, ed altri pezzi d’argento mandati a Torino col rispettivo loro peso fatto seguire in Vercelli dall’orefice Mariani, se ne trova una copia unita all’inventario dei mobili, e suppelletili della Chiesa, ed altra copia è unita ad altre memorie, che si consegnano col plicco delle quittanze. [per un totale di] L. 707. 8.8. 157 Dario Michele Salvadeo Bibliografia Arnaldi di Balme 2011 Clelia Arnaldi di Balme, “Bonzanigo sait tout arranger”. Il “Trionfo militare” tra Ancien Regime e Restaurazione, in “Il Trofeo militare di Giuseppe Maria Bonzanigo”, a cura di C. Arnaldi di Balme e A. Merlotti Torino 2011, pp. 12-21. Bargoni 1977 Augusto Bargoni, Mastri orafi e argentieri in Piemonte dal XVII al XIX secolo, Torino 1977. Barbero - Protti 2000 Dario Barbero - Gabriele Protti, Ad Usum Fabricae. 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Fina 2002 Gianfranco Fina, L’argenteria torinese nel Settecento, Torino 2002. Gaglia 1980 Pierluigi Gaglia, Giovanni Battista Boucheron e altri argenti piemontesi, in “Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna (1773-1861)”, catalogo della mostra (Torino, 1 maggio - 31 luglio 1980), a cura di E. Castelnuovo e M. Rosci, vol. I, Torino 1980, pp. 148-158. Gente 2012 Chiara Genta, Andrea Boucheron argentiere tra Torino, Parigi e Digione, in “Di modello, di intaglio e di cesello: scultori e incisori da Ladatte ai Collino”, a cura di G. Dardanello, Torino 2012, pp. 31-41. Mana 2012 Luca Mana, Fonti per l’ornato nell’arte decorativa piemontese del Settecento, in “Argenti sabaudi del XVIII secolo”, catalogo della mostra (Torino, 9 febbraio - 1 luglio 2012), a cura di G. Fina, Cinisello Balsamo 2012, pp. 16-35. Minelli 2016 Sara Minelli, Notizie settecentesche dalla contabilità della Cattedrale di S. Eusebio di Vercelli, in “Bollettino Storico Vercellese”, 45 (2016), n. 87, pp. 119-135. Natale 2006 Vittorio Natale, Biella e Vercelli prima dell’Unità: pittura e scultura fra identità locale e legittimazione sabauda, in “Arti figurative a Biella e a Vercelli. L’Ottocento”, a cura di V. Natale, Biella 2006, pp. 25-50. 158 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Ponza 1877 Michele Ponza, Sislè, in Vocabolario piemontese-italiano, Pinerolo 1877, p. 648. Riccardi 2014 Simone Riccardi, Un bilancio del Tardogotico a Vercelli e le statue in argento del Museo del Tesoro del Duomo, in “Vercelli fra Tre e Quattrocento”, Atti del VI Congresso Storico Vercellese (Vercelli, 22-24 novembre 2013), a cura di A. Barbero, Vercelli 2014, pp. 523-554. Tibaldeschi 2003 Giorgio Tibaldeschi, Documenti per la storia dell’arte vercellese, in “Bollettino Storico Vercellese”, 32 (2003), n. 61, pp. 87-181. 159 Dario Michele Salvadeo Riassunto Il presente studio offre una prima ricognizione di una serie di disegni di suppellettili conservati all’interno dell’Archivio Capitolare di Vercelli. La preliminare e indispensabile indagine storico-artistica è stata incrociata con una verifica documentaria delle carte d’archivio. Ciò ha permesso di individuare una serie di opere tuttora presenti all’interno del Duomo cittadino e di dare maggiore fisionomia storica alle maestranze impiegate regolarmente alla conservazione e fornitura di suppellettili per la Cattedrale di S. Eusebio. Ne è emersa una vivace officina, caratterizzata da un avvicendamento di orafi e argentieri residenti in città; in particolare si è approfondita la figura di Angelo Prinetti e della sua bottega, in quanto la maggior parte dei disegni portano la sua autografia. Inoltre si è potuto documentare quali conseguenze abbiano comportato le periodiche requisizioni di argenti, comandate dal governo sabaudo, per far fronte alle spese belliche, non soltanto in termini materiali ma anche come momento di rinnovamento delle suppellettili secondo il nuovo gusto imperante, allineato ad un rigoroso classicismo. Abstract The present study offers a first survey of a series of drawings of furnishings kept in the Chapter Archive of Vercelli. The preliminary and indispensable historical-artistic investigation has been crossed with a documentary verification of the archival documents. This made it possible to identify a series of works still present inside the Cathedral of the city and to give greater historical physiognomy to the workers regularly employed in the conservation and supply of furnishings for the Cathedral of St. Eusebio. A lively workshop emerged, characterized by the rotation of goldsmiths and silversmiths residing in the city; in particular, the figure of Angelo Prinetti and his workshop was deepened, as most of the drawings bear his autograph. Moreover it was possible to document what consequences the periodic requisitions of silverware, commanded by the Savoy government, had to face in order to face the war expenses, not only in material terms but also as a moment of renewal of the furnishings according to the new prevailing taste, aligned to a rigorous classicism. dario.salvadeo@gmail.com 160 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Fig. 1 - Angelo Prinetti, Disegno di candeliere, particolare (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4, 116). Foto dell’autore. 161 Dario Michele Salvadeo 162 Fig. 2 - Disegno di candeliere (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3, 144). Foto dell’autore. Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Fig. 3 - Disegno di Croce d’altare, particolare (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4, 115). Foto di Davide Casazza. Riproduzione autorizzata. 163 Dario Michele Salvadeo Fig. 4 - Disegno di candeliere (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4, 128bis). Foto di Davide Casazza. Riproduzione autorizzata. 164 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Fig. 5 - Angelo Prinetti, Disegno di candeliere (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 4, 129bis). Foto di Davide Casazza. Riproduzione autorizzata. Fig. 6 - Candeliere, Cattedrale di S. Eusebio, Vercelli, deposito. Foto dell’autore. 165 Dario Michele Salvadeo Fig. 7 - Malnate, Disegni di candelieri (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3, 147). Foto dell’autore. 166 Disegni di arredi liturgici nell’Archivio Capitolare di Vercelli Fig. 8 - Malnate, Disegno di candeliere (ACV, Disegni Cattedrale Arredi, cartella 3, 146). Foto dell’autore. Fig. 9 - Candeliere, particolare, Cappella di S. Eusebio, Cattedrale di S. Eusebio, Vercelli. Foto dell’autore. 167 Federico Zorio CAPPELLANI MILITARI, PRETI-SOLDATO, CHIERICI BIELLESI E VERCELLESI NELLA GRANDE GUERRA* Premessa Il presente studio si propone di fare luce su una pagina poco conosciuta, se non ignorata del tutto, della storia della Prima guerra mondiale, vale a dire il contributo del clero italiano - Cappellani militari, preti-soldato, chierici - in prima linea nella difesa della Patria e, soprattutto, nel conforto e nella formazione morale ai combattenti. Per inquadrare meglio l’oggetto della ricerca è necessario considerare che, secondo il Codice di Diritto Canonico allora vigente, facevano parte del clero i chierici che avessero ricevuto la prima tonsura o almeno un grado di ordine. In particolare, facevano parte della categoria dei chierici “minori” i semplici tonsurati, gli ostiarii, i lettori, gli esorcisti, gli accoliti. Componevano la categoria dei chierici “maggiori” i suddiaconi, i diaconi, i presbiteri e i vescovi. Il contributo qui proposto, che ha attinto quale fonte principale agli Archivi di Stato, soprattutto a quello di Vercelli, è dedicato essenzialmente alla diocesi biellese (facente parte integrante dal 1817 della più grande Provincia ecclesiastica di Vercelli) e, nei limiti della documentazione reperita, alla confinante diocesi di Sant’Eusebio che, proprio durante gli anni più duri del conflitto, vide il trasferimento del suo arcivescovo, mons. Teodoro Valfrè di Bonzo, alla Nunziatura di Vienna. Nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, il 12 aprile 1915 il gen. Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, con una circolare reintrodusse e stabilì, per l’assistenza religiosa delle truppe, l’assegnazione di un Cappellano militare a ogni reggimento delle varie armi, una figura che era stata abolita nel Regno d’Italia fin dal 1878. Papa Benedetto XV, successivamente, nominò mons. Angelo Bartolomasi, piemontese di Pianezza, “vescovo di campo”, in data 1° giugno 1915. Sulla base di un accordo tra il Governo italiano e la Santa Sede, raggiunto con la mediazione del barone Carlo Monti, venne promulgato il decreto luogotenenziale n. 1022 del 27 giugno 1915 che approvò la costituzione della Curia Castrense. In base alla documentazione trovata e ai ruoli matricolari dei dismessi Distretti Militari, ora conservati presso gli Archivi di Stato, il clero impiegato in zona di guerra si può suddividere in tre categorie: * Desidero ringraziare Flavio Quaranta per gli utili confronti e i suggerimenti. Sigle ASA ASN ASP AST ASV BU = = = = = = Archivio di Stato di Alessandria, Ruoli matricolari. Archivio di Stato di Novara, Ruoli matricolari. Archivio di Stato di Pavia, Ruoli matricolari. Archivio di Stato di Torino, sez. Riunite, Ruoli matricolari. Archivio di Stato di Vercelli, Ruoli matricolari. “Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni”. 169 Federico Zorio Cappellani militari: sono i sacerdoti che, a suo tempo, erano stati chiamati alle armi con la propria classe e, avendo il diploma liceale, frequentarono il corso Allievi Ufficiali di Complemento e furono nominati Sottotenenti nel Regio Esercito. Allo scoppio della Grande Guerra, essendo ufficiali, sono nominati Cappellani militari con Ordine della Direzione della Sanità Militare di Torino (la nomina è confermata con Telegramma Ministeriale) quei sacerdoti che, alla chiamata della propria classe, avevano prestato servizio militare nel Regio Esercito. La loro carriera viene riportata nel Foglio matricolare e non sullo Stato di Servizio come per gli altri Ufficiali. I Cappellani militari, generalmente, si riAngelo Bartolomasi (1869-1959), primo vescovo castrense (F. Crispolti, Il Carroccio nuovisvolgevano ai soldati in toni paternalistici, simo, Milano 1918). sapendo cogliere i sentimenti della truppa, persuasa che solo attraverso i valori religiosi fosse più facile trasmettere l’ordine, l’obbedienza e lo spirito di sacrificio. Preti-soldato: sono i sacerdoti che non sono stati chiamati alle armi con la propria classe per vari motivi, ma a guerra già iniziata, non fanno il corso Allievi Ufficiali e vengono inquadrati nei reparti di Sanità. Sono soprattutto dei viceparroci e vengono chiamati alle armi principalmente nella prima metà del 1916. Troviamo persone anche dei primi anni ’80. I parroci, invece, vengono “dispensati dalla chiamata alle armi perché Ministri di Culto Cattolico avente cura di anime”, cosi come si trova riportato nel ruolo matricolare. Chierici: avendo frequentato il Seminario, hanno la licenza liceale, sono giovani compresi fra le classi 1893 e 1899, negli ultimi anni sarà sufficiente il terzo anno. Non ancora ordinati sacerdoti, sono chiamati alle armi con la propria classe, frequentano il corso Allievi Ufficiali di Complemento e sono inquadrati nel Regio Esercito. La condizione dei preti-soldato e dei chierici era diversa da quella dei Cappellani, perché - quando non erano destinati ai reparti di Sanità - si trovavano gomito a gomito con le fatiche, gli stenti e i drammi dei militari dovendo sparare e, potenzialmente, uccidere. Nel periodo della guerra in Italia vennero mobilitati 2.048 Cappellani e circa 15.000 preti-soldato e chierici, impiegati per la maggior parte nelle Sezioni di Sanità e negli Ospedali militari, ma anche nei reparti combattenti. Bisogna ricordare i 93 Cappellani caduti, mentre i preti-soldato e i chierici sono annoverati fra i soldati. A testimoniare il loro impegno vi sono le 3 Medaglie d’Oro al Valor Militare: don Pacifico Arcangeli, 170 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra caduto sul Monte Asolone mentre accompagnava i suoi soldati all’assalto1; don Annibale Carletti, distintosi alla difesa di Passo Buole nel maggio 19162; padre Giovanni Mazzoni, Medaglia d’Oro sul Carso durante l’XI Battaglia dell’Isonzo (agosto 1917)3; partirà nel 1941 per la campagna di Russia con il “glorioso” 3° Bersaglieri, cadendo durante l’offensiva di Natale 1941 e meritando una seconda Medaglia d’Oro. In tutto, al clero sono state conferite 137 Medaglie d’Argento, 299 Medaglie di Bronzo e 94 Croci al Valor Militare4. Il clero biellese e vercellese al fronte Prima di entrare nel vivo della ricerca archivistica con l’illustrazione degli estratti matricolari, ritengo opportuno riportare alcune fonti giornalistiche, biellesi e vercellesi, con i primi nomi di esponenti del clero impiegato in zona di guerra. Il giornale “Il Biellese”, ad esempio, pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità, scriveva5: 22 Sacerdoti e 10 Chierici Biellesi sono partiti per la guerra. I sacerdoti sono: Teologo Pugno D. Giuseppe, maestro a Genova - Capitano nella riserva - Cappellano Militare. Tarello D. Carlo, maestro a Lessona - Sottotenente di Artiglieria - Cappellano Militare. Migazzo D. Pietro, Viceparroco di Campiglia Cervo, Sottotenente di Fanteria. Demarchi D. Cesare - Studente università - Sottotenente Bersaglieri. Quazza D. Vincenzo - Parroco di Riabella - già Cappellano Militare in Libia - Cappellano Militare. Banino D. Carlo - Viceparroco di Camandona - Cappellano Militare. Baudrocco D. Giovanni - Viceparroco di Zubiena - Cappellano Militare. Raimondo D. Carlo - Maestro a Mongrando S. Maria - Cappellano Militare. Tasca D. Giuseppe - Padre Filippino - Sergente di Sanità. Corte D. Alfredo - Professore in Seminario - Sergente di Sanità. Paschetto D. Felice - Prefetto Santuario di Graglia - Sergente di Sanità. Finotto D. Romualdo - Padre Filippino - Caporale di Sanità. Costa D. Giovanni - Viceparroco di Pollone - Caporale di Sanità. 1 Cappellano Militare del 252° Reggimento Fanteria Massa Carrara, morto il 6 luglio 1918 sul Monte Grappa per ferite riportate in combattimento; Medaglia d’Oro al Valor Militare, in commutazione della medaglia d’argento concessagli con decreto luogotenenziale 23 marzo 1919 (BU, disp. n. 67, 29 ottobre 1921). 2 Cappellano Militare del 207° Reggimento Fanteria Taro; Medaglia d’Oro al Valor Militare (BU, disp. n. 100, 18 novembre 1916). 3 Cappellano Militare del 226° Reggimento Fanteria Arezzo; Medaglia d’Oro al Valor Militare (BU, disp. n. 65, 8 agosto 1919). Volontario nel 3° Reggimento Bersaglieri durante la campagna di Russia, muore il 25 dicembre 1941 nei pressi di Petropawlowka, guadagnando una seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare (BU, disp. n. 70, 1943). 4 Dati statistici ricavati da Pignoloni 2014, p. 945. Per una visione d’insieme del clero italiano durante la Grande Guerra, si vedano anche Bruti Liberati 1982, Cavaterra 1993, Bignami 2014, Morozzo Della Rocca 2015 e Gaspari 2017. In ambito vercellese, spunti d’indagine in Capellino 1981, Quaranta 2013 e Ferraris 2015. Per Biella, Zorio 2018a e la “Rivista Biellese”, n. 4 (2018), espressamente dedicata al centenario della Grande Guerra. 5 “Il Biellese”, 4 giugno 1915. 171 Federico Zorio Fagnola D. Alfonso - Viceparroco di Cossato - Caporale di Sanità. Accotto D. Giuseppe - Collegiale Santuario Oropa - Caporale di Sanità. Loro D. Claudio - Direttore Spirituale Seminario di Teano - Caporale di Sanità. Pivano D. Bernardo - Viceparroco di Benna - Caporale di Sanità. Ubertalli D. Flaminio - Cappellano a Coggiola - Soldato di Sanità. Ubertalli D. Amato - Viceparroco di Candelo S. Pietro - Soldato di Fanteria. Ozino D. Serafino - Viceparroco di Cossila S. Grato - Soldato di Sanità. Frassati D. Mario (Diacono) - Soldato di Sanità. Miniggio D. Giovanni - Viceparroco di Occhieppo Superiore - Soldato di Sanità. N. B. - D. Golzio Giuseppe, Parroco di Castagnea, tenente di riserva, venne esonerato perché avente cura di anime. - D. Verzoletto Tersillo, Cappellano a Ronco, venne riformato. I chierici: Rondi Bernardino, di Cossato - Sottotenente di Fanteria. Sapellani Giovanni di Biella - Sottotenente di Fanteria. Rey Ernesto di Bioglio - Genio telegrafista. Gariazzo Secondo di Sandigliano - Genio. Gilardino Giacomo di Cossila S. Grato - Alpino. Bono Alfredo di Cossato - Fanteria. Vallivero Guido di Ponderano - Sanità. Sella Nelson di Tavigliano - Soldato. Garbaccio Amilcare di Croce Mosso - Soldato. Lega Teresio di Zubiena - Soldato. Lo stesso giorno 4 giugno 1915, il giornale vercellese “La Sesia” pubblicava la seguente notizia6: SACERDOTI SOLDATI. Numerosi sono i soldati sacerdoti della nostra Diocesi, che, chiamati alle armi prestano servizio nella Sanità o come Cappellani dell’Esercito. Fanno parte del personale dell’Ospedale militare che si sta istituendo a Vercelli i seguenti sacerdoti: Don Aragnetti, professore al Seminario, in qualità di sergente della Croce Rossa. Don Marchesi, pure professore al Seminario, sergente. Don Ravetti, vice rettore del Seminario, sergente. Don Loggia, vice-parroco a Pezzana, soldato. Frate Viscardi, dei Minori Osservanti, caporale maggiore. Sono ancora a Torino, a disposizione della Direzione di Sanità gli altri seguenti sacerdoti della Diocesi di Vercelli: Don Banfo, canonico a Bianzè, sergente. Don Raso, vice-parroco a San Germano V., sergente. Don Boffo, vice-parroco a Crescentino, sergente. Don Guala, cappellano a Robbio, sergente. Presterà servizio, come Cappellano aggiunto agli Ospedali militari, Don Piletta, vice-parroco al S.S. Salvatore di Vercelli. Presteranno servizio come Cappellani militari: Don Marinone, di Vercelli. Don Perazzo, cappellano a N. S. del Palazzo di Crescentino. Don Bianco, di Crescentino. Don Marchino, vice-parroco di Cozzo Lomellina. 6 “La Sesia”, 4 giugno 1915. 172 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra 173 Preti biellesi militari intorno a mons. Natale Serafino, vescovo di Biella dal 1913 al 1917. Da sinistra a destra, in alto: don Pietro Ugliendo, don Rodrigo canova, don Albino Gruppo, don Edoardo Ronco, don Pietro Mania, padre Rocco Zola S.J., don Angelo Gracis. Seconda fila: don Antonio Pivano, don Ignazio Cinquino, don Luigi Zanone, fratel Ronco, don Giuseppe Zanone, don Valerio Comotto, don Antonio Fagnola, don Remo Nelva. Terza fila, seduti: don Giovanni Bonardi, don Agostino Boggio, don Oreste Fontanella, teol. Alessandro Gromo, mons. Natale Serafino, teol. Mario Serratrice, teol. Nino Cucco, don Riccardo Alberto, don Guardia Riva. Seduti a terra: teol. Vincenzo Cartotti, don Remo Cappio, sig. Marino Cappio, padre Luigi Gurgo S.J. Raccolta privata Federico Zorio Ancora “Il Biellese”, qualche tempo dopo, scriveva: MONSIGNOR SERAFINO visita i suoi sacerdoti militari. Abbiamo da TORINO: Venerdì [18 agosto] ebbe luogo al Convalescenziario della Crocetta (Via Marco Polo, 7), una commovente riunione. Monsignor Natale Serafino volle visitare i Sacerdoti biellesi residenti attualmente a Torino per l’istruzione militare in attesa di una prossima destinazione. Alle diciassette, 29 sacerdoti erano riuniti nella cappella del Convalescenziario. Dopo la recita del S. Rosario, Monsignor Vescovo, con accento commosso e con quella sua eloquenza che parte dal cuore, incuorò i sacerdoti a sopportare con fortezza cristiana e con la serenità che viene dalla loro missione sacerdotale i disagi della vita militare ed i pericoli del servizio a cui saranno destinati7. REPERTORIO DEL CLERO ACOTTO don Giuseppe di Carlo e di Gerardi Maria, nato il 4 dicembre 1876 a Torazzo. Chiamato alle armi il 6 marzo 1897 e assegnato al 67° Reggimento Fanteria Palermo. Promosso Caporale il 30 novembre 1897 e Caporale maggiore il 1 dicembre 1898. Mandato in congedo illimitato il 10 settembre 1899. Il 20 aprile 1901 fa parte della 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Chiamato alle armi il 24 maggio 1915, il 7 dicembre 1917 si trova in zona di guerra. Mandato in congedo illimitato il 21 marzo 1918 e prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre8. ACQUADRO don Giovanni di Giuseppe e di Coda Anna, nato il 12 novembre 1874 a Biella. Soldato volontario di un anno nel 62° Reggimento Fanteria Sicilia il 23 marzo 1894 e lasciato in congedo illimitato. Chiamato alle armi per intraprendere l’anno di servizio il 1° novembre, promosso Caporale il 30 aprile 1895; il 6 agosto passa al 72° Reggimento Fanteria Puglie. Mandato in congedo illimitato per anticipazione il 10 ottobre. Promosso Sergente il 31 ottobre, chiamato alle armi il 20 dicembre e trasferito al 91° Reggimento Fanteria Basilicata; mandato in congedo illimitato il 19 aprile 1896. Passa alla 1° Compagnia di Sanità Militare “siccome Ministro di Culto Religioso il 5 maggio 1898. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1913. Chiamato alle armi per mobilitazione il 16 gennaio 1917 e lo stesso giorno “dispensato dalla chiamata alle armi perché ministro di culto religioso a Ternengo”9. AIMARO don Pietro di Battista e di Aimaro Rosa, nato il 26 marzo 1875 a Moncrivello. Chiamato alle armi il 16 gennaio 1917 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Va in zona di guerra il 20 settembre 1917; congedato il 24 dicembre 191810. 7 8 9 10 “Il Biellese”, 22 agosto 1916. ASV, classe 1876 cat. 1° matr. 2694. ASV, classe 1873 cat. 1° matr. 1332 e matr. 1565. ASV, classe 1875 cat. 3° matr. 37. In Pignoloni 2016, p. 449, è dato come Aiuto-Cappellano Militare. 174 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra AIMONE-GIBELLO don Alfonso di Quintino e di Aimone Angela, nato il 1° aprile 1874 a Chiavazza. Soldato volontario di un anno nel 71° Reggimento Fanteria Puglie il 24 marzo 1894 e lasciato in congedo illimitato. Chiamato alle armi per intraprendere l’anno di servizio il 1° novembre, promosso Caporale il 30 aprile 1895, mandato in congedo illimitato per anticipazione il 10 ottobre. Chiamato alle armi e giunto il 20 dicembre 1895, inviato in congedo per anticipazione il 23 dicembre. Il 4 maggio 1898 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità “siccome Ministro di culto religioso”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1913. Richiamato alle armi per mobilitazione il 16 gennaio 1917 e lo stesso giorno “dispensato dalla chiamata alle armi perché ministro di culto a Zubiena”11. ALBERTO don Riccardo di Battista e di Cullati Giacinta, nato il 20 settembre 1883 a Magnano. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916, soldato della 1° Compagnia di Sanità. Il 28 dicembre 1916 “dispensato dalla chiamata alle armi perché Ministro di Culto Cattolico avente cura di anime”. Congedato il 5 gennaio 191712. ARAGNETTI don Pietro di Stefano e Zambelli Elisabetta, nato il 28 novembre 1876 a Masserano. Soldato volontario di un anno nel 74° Reggimento Fanteria Lombardia, chiamato alle armi il 1° novembre 1895. Promosso Caporale il 30 aprile 1896 e il 27 ottobre mandato in congedo illimitato. Il 10 luglio 1900 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Richiamato alle armi per mobilitazione il 24 maggio 1915, il 7 dicembre 1917 si trova in zona di guerra. Mandato in congedo illimitato il 24 dicembre 1918 e il 31 prosciolto definitivamente dal servizio13. Nel dopoguerra è un personaggio di spicco dell’Archidiocesi di Vercelli: Arcidiacono della Cattedrale, Protonotario Apostolico e Vicario Generale. Muore il 6 ottobre 1954 a Vercelli14. ARDUINO teol. Giovanni di Francesco e di Garigliano Pietrina, nato il 12 settembre 1884 a Poirino. Chiamato alle armi il 16 luglio 1916, soldato nella 1° Compagnia di Sanità, congedato il 18 agosto 191915. Viene a Biella nel 1919 come segretario di mons. Giovanni Garigliano, vescovo di Biella dal 1917, di cui era parente. Nominato il 23 luglio 1926 parroco della neocostituita Parrocchia di San Biagio a Biella, rione Vernato. Muore sul Monte Mars per una caduta il 9 agosto 194916. 11 12 13 14 15 16 ASV, classe 1873 cat. 1° matr. 1328. ASV, classe 1883 cat. 3° matr. 11932. ASV, classe 1875 cat. 1° matr. 68. Pignoloni 2016, p. 449, lo cita come Aiuto-Cappellano Militare. “L’Eusebiano”, 8 ottobre 1954. Per la sua biografia: Ogliaro 2016, p. 247. AST, classe 1884 cat. 1° matr. 28593 bis. Lebole 1987, p. 412. 175 Federico Zorio BALOCCO don Giovanni di Francesco e di Cebuti Margherita, nato il 2 agosto 1885 a Caresana. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Il 14 aprile nella 5° Compagnia di Sanità (Ospedale da Campo n. 224), parte per la zona di guerra il 30 maggio e nominato Cappellano Militare. Il 12 settembre è aggregato al 91° Reggimento Fanteria Basilicata. Parte per la Francia con il 18° Battaglione Lavoratori (T.A.I.F. Truppe Ausiliarie Italiane in Francia) il 6 maggio 1918. Rientra in Patria il 12 novembre e il 1° febbraio 1919 è al 1° Battaglione Lavoratori Trento. Congedato il 30 settembre 191917. BANINO don Carlo di Pietro e di Gracis Giuseppa, nato il 25 agosto 1887 a Cerrione. Chiamato alle armi il 25 ottobre 1908 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità; promosso Caporale il 15 novembre 1909 e Caporale maggiore il 28 febbraio 1910. Richiamato il 15 maggio 1915, il 21 è nominato Cappellano Militare e aggregato al 3° Reggimento Alpini, andando in zona di guerra. Riporta una “Ferita d’arma da fuoco alla gamba sinistra nel combattimento di Monte Kozliak il 13 giugno 1915”. Il 13 marzo 1916 va all’Ospedale di riserva di Paesana, il 18 maggio a quello di Broni, il 9 settembre all’Ospedale da Campo n. 0148. Rientra dalla zona di guerra il 10 aprile 1919 e il 15 agosto “inviato in congedo con assegno rinnovabile per la durata di anni due perché riconosciuto temporaneamente inabile al servizio militare”18. “Il Biellese” scrive: Ed ora il nostro saluto ai caduti feriti. D. Carlo Banino da Magnonevolo, già viceparroco di Camandona, Cappellano Militare, scrive al Parroco di Magnonevolo: 14 giugno 1915. Carissimo Prevosto, Ieri verso le 3 fui colpito da uno shrapnel alla gamba sinistra al terzo inferiore. La pallottola seguì il suo viaggio nell’interno infrangendo il malleolo esteriore e si fermò a metà piede sotto i tendini. Fui trasportato in barella per il tragitto di 3 ore nel declivio del monte fino a […]. Subito i dottori hanno proceduto all’estrazione del proiettile. I dottori mi danno speranza che entro un mese sarò guarito19. Ancora “Il Biellese”: Il nobilissimo desiderio d’un Cappellano militare biellese. Il Rev. D. Banino guarisce […] e scrive da Vigevano, Ospedale Militare, 30-6: “Ho ricevuto una botta dagli Austriaci il giorno 13. Ho corso pericolo di avere amputata una gamba, ma ora miglioro ed i medici mi assicurano che guarirò bene, quantunque ne abbia per un mese e mezzo ancora in Ospedale. Preghi per me … Prego il Signore che mi faccia guarire presto e bene, affinché possa ritornare al fronte con i miei Alpini20. 17 18 19 20 ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 13655 e matr. 25236. ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 24094. “Il Biellese”, 22 giugno 1915. “Il Biellese”, 9 luglio 1915. 176 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Qualche mese dopo, lo stesso giornale: Encomio solenne e Croce al merito di guerra vennero concessi al nostro ottimo amico tenente-cappellano D. BANINO CARLO: Encomio Solenne: “Per abnegazione e coraggio dimostrato nell’effettuare il trasporto alle cave di Sant’Elia di feriti gravi durante il bombardamento di Redipuglia il 14 agosto 1917”. Croce al merito con ordine del giorno del Comando della III Armata: “Per la grave ferita riportata sul Monte Nero, mentre era Cappellano del Regg. 3° Alpini” 21. BARBERIS-NEGRA don Albino di Pietro e di Lora Ronco Antonia, nato il 5 agosto 1887 a Trivero. Già viceparroco di Mongrando San Lorenzo, chiamato alle armi il 15 gennaio 1918 e arruolato nella 1° Compagnia di Sanità, muore all’Ospedale Militare Principale di Torino il 10 novembre 1918 per malattia22. “Il Biellese” scrive23: Riceviamo dal Rev.mo D. Barbero, Vicario di Mongrando S. Lorenzo: Il povero D. Barberis Albino, il mio caro Vice non è più! Tolto dall’Ospedale Militare di Riserva Palazzo Reale (Torino) e trasportato al Dabormida per la cura degli infettivi, pur troppo dopo pochi giorni contrasse il male, che serpeggiava, e perciò fu traslocato all’Ospedale Principale […] chè - aggravatasi improvvisamente - domenica u. s. alle 7 rendeva la sua bell’anima a Dio! 24. BAUDROCCO don Giovanni di Domenico e di Rovaretto Maria, nato il 5 agosto 1885 a Sala Biellese. Chiamato alle armi il 16 ottobre 1907 per la ferma di un anno nella 1° Compagnia di Sanità. Richiamato il 10 maggio 1915, il 24 è nominato Cappellano Militare del Battaglione Alpini Val Dora del 3° Reggimento e parte per la zona di guerra. Ferito al braccio destro il 15 novembre 1915 nel combattimento di Dolje, mentre presta l’opera umanitaria raccogliendo i feriti: “Ferito d’arma da fuoco al quarto inferiore del bacino destro, riportando frattura consimilare all’omero nel combattimento di Dolie, li 15.11.1915”. Il 16 è ricoverato in luogo di cura; partito dalla zona di guerra il 15 febbraio 1916. Ritorna nuovamente in zona di guerra il 16 giugno, rientrando il 3 aprile 1919. Nel 1923 gli è conferita la Croce di Guerra con determinazione del Ministero della Guerra. Congedato il 31 dicembre 1924. Muore a Biella il 4 ottobre 193525. Su “Il Biellese” si legge26: 21 22 23 24 25 26 “Il Biellese”, 22 ottobre 1918. ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 23696. “Il Biellese”, 12 novembre e 15 novembre 1918. “Il Biellese”, 12 novembre e 15 novembre 1918. ASV, classe 1885 cat. 1° matr. 20508. “Il Biellese”, 8 ottobre 1915. 177 Federico Zorio Per i miei Alpini […] debbo osare? […]. È S. Michele, l’inverno è vicino, lassù c’è già neve. Figuratevi voi di passare una giornata sola in pienissimo inverno a più di due mila metri. Vi vengono i brividi. Ebbene, là ci dovranno stare vigili e armati i vostri figli, i vostri fratelli, i vostri mariti e non una giornata sola, ma dei mesi. La neve, la tormenta, col relativo gelo, sarà il loro peggior nemico. Chi li difenderà? Il Governo ci pensa, sì; ci pensano tanti Comitati a fornire indumenti di lana ai soldati al fronte; ci pensano tante famiglie e se per i miei Alpini vi prego che pensiate anche un po’ voi, faccio male? Perdonatemi, non è per me. Ancora “Il Biellese” 27: L’amico Don Giov. Baudrocco, Cappellano Militare in Macedonia fu insignito della Croce di Guerra. Al valoroso ferito del Monte Nero, al vecchio soldato che tanto bene ha fatto tra le truppe e fra i colleghi ufficiali, le nostre migliori congratulazioni. BEDOTTO Luigi Mario di Antonio e di Balbo Luigia, nato il 3 maggio 1899 a Mosso Santa Maria, chierico del Seminario Diocesano di Biella. Chiamato alle armi l’11 giugno 1917 ed assegnato al 10° Reggimento Fanteria Regina, giunto in zona di guerra il 25 novembre. Muore il 3 maggio 1918 nell’Ospedale Militare di Vicenza per malattia28. “Il Biellese” scrive: Riceviamo: Dall’Ospedale militare di tappa di Vicenza è giunta la triste notizia della morte del soldato Bedotto Luigi di Antonio, da Croce Mosso. Morì di tifo il giorno 3 del corrente mese. Era della classe 189929. BERTETTI don Attilio di Cesare e di Rossaro Teresina, nato il 9 maggio 1881 a Castelletto Cervo. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità di Torino. Il 15 febbraio 1916 promosso Caporale e il 19 giugno parte per la zona di guerra. Il 1° ottobre promosso Caporale maggiore e il 26 giugno 1917 è assegnato alla 9° Compagnia di Sanità. Promosso sergente il 1° febbraio 1918, ritorna alla 1° Compagnia il 19 gennaio 1919 e viene congedato30. BIANCO don Giuseppe di Giuseppe e di Bersano Rosa, nato il 9 giugno 1889 a Crescentino. Chiamato alle armi il 25 novembre 1909 e ammesso come volontario di un anno, nominato Sottotenente di Complemento il 17 marzo 191231. 27 28 29 30 31 “Il Biellese”, 14 gennaio 1919. ASV, classe 1899 cat. 1° matr. 13317. “Il Biellese”, 14 maggio 1918. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 92672. ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 25236. 178 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Don Giuseppe Bianco (M. Ogliaro, Famiglie nobili, notabili, personaggi illustri e benefattori della città di Crescentino, Vercelli 2016). Nominato Cappellano Militare presta servizio all’Ospedale da Campo n. 04 dal 14 maggio 1915 all’ottobre 1917, per qualche tempo nel Battaglione alpino Aosta, successivamente dal febbraio 1918 al 14° Raggruppamento art. p. c. fino al 14 aprile 191932. Durante la Seconda guerra mondiale, parroco di San Grisante, ospitò nella sua casa sfollati, ebrei, partigiani e ricercati politici33. “L’Unione” scrive: Croce al merito a un Cappellano militare Vercellese. Al cappellano militare D. Giuseppe Bianco di Crescentino venne concessa la Croce al merito di guerra con questa motivazione: “Quale Cappellano militare, in reparti a contatto quotidiano col nemico, ha esercitato il pietoso suo ministero con inspirato patriottismo e con nobile senso di umanità portandosi là dove più certo era il pericolo, rimanendo sereno, saldo nell’ora dell’azione ed impartendo a tutti la persuasione che Iddio benedice chi per la patria combatte e sacrifica la vita. A lui le nostre più sentite congratulazioni” 34. BISAGNO don Luigi di Valentino e di Binda Margherita, nato il 27 maggio 1886 a Rosasco. Chiamato alle armi il 6 novembre 1915 e assegnato alla 2° Compagnia di Sanità. Morto il 13 settembre 1917 all’Ospedale Militare di Castelnovetto per malattia35. Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Sempre animato dallo spirito del proprio ufficio di pietà e di abnegazione, così nell’ansiosa vigilia dell’assalto come nel folto dell’azione, si spingeva durante fiero combattimento nelle più lontane linee raggiunte, attraversando a più riprese il Timavo su passerelle battute furiosamente dal nemico, e ne riaccompagnava i feriti soccorsi dal suo aiuto materiale e sopratutto dal conforto morale della sua parola di fede e di amore. Timavo, maggio 1917”36. Pignoloni 2014, p. 126. Ogliaro 2016, p. 297. 34 “L’Unione”, 12 ottobre 1918. 35 ASP, classe 1886 cat. 3° matr. 15533. Albo d’oro 1932, p. 117, lo ricorda come cappellano militare del 77° Reggimento Fanteria Toscana, morto il 13 settembre 1917 all’Ospedale Militare di Castelnovetto per malattia. 36 BU, disp. n. 83, 16 novembre 1917. 32 33 179 Federico Zorio “La Sesia” scrive: Don Luigi Bisagno tenente cappellano militare in un reggimento di fanteria. Fu soldato nella sanità prima, e poi, promosso cappellano, fu per un anno al fronte, assiduo, zelante, pietoso nella sua dolce missione, che disimpegnava con fede e con coraggio, incurante di sé e dei pericoli cui si esponeva. Prese parte a vari combattimenti, assistette nelle sue ultime ore l’eroico maggiore Randaccio ed a lui si deve la scoperta della salma del valoroso capitano Astolfo Delpiano, che si riteneva scomparsa in un incendio provocato da uno scoppio, e ch’egli pietosamente compose nella tomba, procurando un sollievo all’infinito dolore della sua povera mamma. Il rev. D. Bisagno era vice-parroco a Borgovercelli, e là, come nel suo paese natale, come al fronte, la sua immatura fine - non aveva che 31 anni - vittima di un alto dovere, ha destato il più cordiale rimpianto. Alla sua famiglia una parola di conforto37. BLOTTO don Guido Pietro di Giuseppe e di Florio Enrichetta, nato il 12 luglio 1879 a Biella. Chiamato alle armi il 27 dicembre 1916 e lo stesso giorno “dispensato dalla chiamata perché Coadiutore della Cattedrale di Biella”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 191838. BODO don Edoardo di Luigi e di Mocca Giovanna, nato il 25 gennaio 1888 a Ronsecco. Chiamato alle armi il 17 novembre 1909 e il 13 dicembre 1918 assegnato al 3° Reggimento Genio telegrafisti e congedato il 1° settembre 1910. Richiamato il 10 maggio 1915 è nominato Cappellano Militare, assegnato alla 2° Sezione di Sanità e giunto in zona di guerra. Rientra dalla zona di guerra il 12 dicembre 1918 e va all’Ospedale Militare Ludovico Muratori di Torino; il 10 gennaio 1919 è all’Ospedale Militare di Palazzo Reale, 16 ottobre all’Ospedale Militare Principale e il 22 all’Ospedale Militare Convalescenziario di Moncalieri. Congedato l’11 febbraio 192039. BODO don Vittore di Germano e di Zandano Antonia, nato il 28 settembre 1882 a Costanzana. Chiamato alle armi il 20 luglio 1916 e inviato alla Direzione Militare Principale dell’Ospedale Militare di Torino. Giunge in zona di guerra il 20 settembre 1917. Inviato in congedo il 15 agosto 191940. “La Sesia”, 15 settembre 1917. Don Bisagno nel 1917 risulta aderente, per la diocesi di Vercelli, all’associazione sacerdotale “Viribus Unitis”, antesignana della FACI, con la qualifica di vice parroco di Borgovercelli (Quaranta 2013, p. 179). 38 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 9174. 39 ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 26525 e classe 1889 cat. 1° matr. 25642. 40 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14410 bis. Pignoloni 2016, p. 451, lo ricorda come Aiuto-Cappellano Militare. 37 180 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra BOGGIO don Agostino di Pietro e di Sola Rosa, nato il 24 settembre 1883 a Mezzana Mortigliengo. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 20 settembre 1917. Rientra dalla zona di guerra il 1° gennaio 1919, il 28 mandato in licenza illimitata, il 14 agosto assegnato alla 2° Compagnia di Sanità e congedato il 1541. BOGGIO don Pietro Angelo di Pietro e di Sola Rosa, nato il 15 giugno 1879 a Mezzana Mortigliengo. Dispensato dalla chiamata “perché Parroco di Oropa (Biella)”42. BOGGIO-TOCHET don Pietro di Giovanni e di Albertazzi Rosa, nato il 13 novembre 1882 a Quittengo. Chiamato alle armi il 5 novembre 1917 e non giunto in attesa di dispensa “perché Ministro di culto avente cura di anime”. Giudicato idoneo incondizionatamente dall’Ospedale Militare “L. Muratori” di Torino il 26 novembre e giunto alle armi; assegnato il 3 dicembre alla 1° Compagnia di Sanità in zona di guerra. Cessa di trovarsi in zona di guerra il 1 gennaio 1919; il 18 inviato in licenza illimitata; il 15 agosto sciolto definitivamente dal servizio43. BONARDI don Emilio di Clemente e di Bono Emilia, nato il 15 novembre 1889 a Cossato. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità il 10 maggio, parte per la zona di guerra l’11 dicembre 1916. Il 13 novembre 1918 è in Istria nella 12° Sezione di Sanità; parte con il Corpo di Spedizione Italiano in Asia Minore, in Anatolia il 20 aprile 1919; il 21 gennaio 1920 è in Dalmazia nell’Ospedaletto da Campo n. 0130. Il 2 maggio passa all’Ospedaletto da Campo n. 0128 e il 12 agosto è congedato44. BONINO don Giovanni di Giacomo e di Bollengo Carolina, nato il 25 aprile 1884 a Candelo. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 e il 5 marzo assegnato alla 1° Compagnia di ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16313 e matr. 17117. ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 9430. Bessone 2000, p. 451, ricorda che “Il santuario negli anni della prima guerra mondiale [giugno 1915] ha dato accoglienza ai profughi provenienti dal Friuli, da Gorizia e da altre terre occupate. La cura dei profughi fu affidata a don Pietro Angelo Boggio, per i quali aveva fatto arare trasformandolo in un campo di patate, il cosidetto ‘prato grande’, che si stende dalla cappella della Concezione fino ai cancelli del santuario. La colonia degli “internati” si rese utile, costruendo vie di allacciamento alle baite degli alpeggi verso la galleria Rosazza. Il 25 febbraio [1919] i profughi, prima di lasciare il santuario, si recarono al cimitero per salutare “i congiunti ed amici oltre una sessantina, che la morte aveva strappati, lungi dai paesi nativi”. 43 ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 10661. 44 ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 30001. 41 42 181 Federico Zorio Sanità. L’11 maggio è in zona di guerra aggregato all’Ospedale da Campo n. 207. Il 28 ottobre 1917 passa alla 6° Compagnia di Sanità perché assegnato all’Ospedale da Campo n. 148. Il 24 novembre 1918 rientra dalla zona di guerra; il 15 agosto 1919 mandato in congedo illimitato45. BONO don Alfredo di Giovanni Battista e di Bonardi Carolina, nato il 2 febbraio 1893 a Cossato. Chiamato alle armi il 21 agosto 1914 e assegnato al 53° Reggimento Fanteria Umbria. Il 16 gennaio 1915 passa al 162° Reggimento Fanteria Ivrea. Trattenuto alle armi il 21 febbraio 1915; il 15 maggio si trova in zona di guerra. Il 25 novembre 1915 frequenta il corso Allievi Ufficiali della zona di guerra. Nominato Aspirante Ufficiale il 20 febbraio 1916, il 25 va al 68° Reggimento Fanteria Palermo e successivamente il 15 aprile è Sottotenente di Complemento46. “Il Biellese” scrive: Si allontanò dalla Diocesi solo quando fu militare. Chiamato alle armi il 21 agosto 1914 per il servizio di leva, fu trattenuto sotto le armi per mobilitazione; giunse in territorio dichiarato in stato di guerra - Asiago - il 24 maggio 1915 presso il 162° Reggimento Fanteria [Ivrea] e mobilitato. Fu promosso Tenente di complemento con anzianità nell’aprile del ’16, venne ferito in combattimento sul Mersli (Monte Nero) il 13 aprile dell’anno successivo, e proposto per la medaglia al valore. Collocato in congedo il 13 ottobre 1919 fu autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della guerra 1915-18 con le fascette delle campagne, della medaglia ricordo dell’Unità d’Italia e della medaglia della Vittoria47. Ritornato nel Biellese fu ordinato sacerdote il 18 dicembre 1920. Parroco di Sagliano con decreto vescovile del 15 febbraio 1936, fece il suo solenne ingresso in parrocchia il 26 giugno 1936. Cavaliere di Vittorio Veneto, canonico onorario della cattedrale, morì il 6 novembre 1985 nella veneranda età di anni 92 e fu sepolto nel cimitero48. BORELLO don Achille di Delfino e di Robioglio Emilia, nato il 13 giugno 1885 a Biella. Chiamato alle armi il 5 novembre 1917 e non giunto; “dispensato dalla chiamata alle armi perché Parroco di Verrone”. Successivamente aggregato alla Milizia Territoriale del Distretto di Vercelli. Non rilasciata “dichiarazione relativa alla condotta avendo servito meno di tre mesi”49. BORLA don Cesario di Salvatore e di Guaita Maddalena, nato il 31 marzo 1881 a Trino Vercellese. 45 46 47 48 49 ASV, classe 1884 cat. 3° matr. 12574. ASV, classe 1893 cat. 2° matr. 3928. “Il Biellese”, 8 novembre 1915. Lebole 1987, p. 481. ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 14660. 182 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Chiamato alle armi e giunto il 2 dicembre 1916. Il foglio matricolare riporta “Ha diritto alla dispensa dalla chiamata alle armi siccome scritto alla Croce Rossa Italiana”. Segue il 30 dicembre “Chiamato alle armi per mobilitazione e non giunto siccome ascritto alla Croce Rossa Italiana”. Il 1 ottobre 1918 cessa dal diritto alla dispensa e riassunto in servizio, parte per “territorio dichiarato in stato di guerra”; il 4 ottobre assegnato alla 1° Compagnia di Sanità (aiutante). Congedato il 24 maggio 191950. BORNATE don Alessandro di Pietro e di Cametti Angela, nato il 30 agosto 1881 a Gattinara. Chiamato alle armi il 1° giugno 1915 nella 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 30 settembre 1917. Inviato in congedo illimitato e congedato il 1° febbraio 191951. BOTTA don Giuseppe di Pietro e di Boffa Maria, nato il 24 settembre 1874 a Quaregna. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1913. Chiamato alle armi per mobilitazione il 16 gennaio 1917, lo stesso giorno “dispensato dalla chiamata alle armi perché Parroco di Biella”. Dispensato definitivamente dal servizio il 31 dicembre 191852. BROVETTO don Virgilio di Luigi e di Scalabrino Rosa, nato il 24 settembre 1887 a Cossato. Chiamato alle armi il 5 novembre 1917 nella 1° Compagnia di Sanità, arriva in zona di guerra il 10 novembre. Inviato in congedo temporaneamente in data 7 febbraio 1919 perché ministro di culto. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 192653. BRUNORI don Basilio di Stefano. Capitano di Complemento 58° Reggimento Fanteria Abruzzi, nato l’11 gennaio 1885 a Castignano, morto il 26 agosto 1917 sull’Altipiano della Bainsizza per ferite riportate in combattimento54. “L’Unione” scrive: Morte eroica d’un capitano Sacerdote Brunori signor Basilio. Riceviamo dall’amico Ten. Cappellano M. D. Francesco Greppi e di buon grado pubblichiamo. D. Greppi conobbe personalmente il Capitano D. Brunori e gli fu amico. In uno dei recenti combattimenti che costarono al nemico la perdita di una posizione formidabilmente difesa, suggellò con la morte il suo patto di fede cristiana e di ardente sincero amore di Patria il Sacerdote Capitano Brunori sig. Basilio, Comandante la prima compagnia del […] Reggimento Fanteria55. AST, classe 1881 cat. 1° matr. 19344 bis. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 12467. Pignoloni 2016, p. 451, lo ricorda come Aiuto-Cappellano Militare. 52 ASV, classe 1874 cat. 3° matr. 225. 53 ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 23600. 54 Albo d’oro 1933, p. 97. 55 “L’Unione”, 17 novembre 1917. 50 51 183 Federico Zorio Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: In posizione avanzata non ancora sistemata a difesa, seppe resistere a diversi attacchi del nemico, incitando con le parole e più con l’esempio i propri dipendenti. Accortosi che fra la trincea nemica e la nostra giaceva un soldato gravemente ferito, egli, vedendo che nessuno si offriva, non curando il pericolo, raggiunse il ferito, e caricatolo sulle spalle, lo traeva in salvo in una vicina caverna. Mirabile esempio di energia, di arditezza, calma e sprezzo del pericolo. Quota 126, 1° giugno 191756. Medaglia d’Argento al Valor Militare: Mirabile esempio per coraggio e di incitamento ai dipendenti, dopo aver respinto vari contrattacchi nemici, accortosi sul far del mattino che l’avversario aveva sgombrata la posizione, di sua iniziativa vi si lanciò contro, provocando l’avanzata di altri nostri reparti. Continuò poi verso un secondo obiettivo, che fu occupato dopo vari attacchi. In una successiva azione, cadde gloriosamente alla testa della sua compagnia, colpito a morte presso le difese nemiche. Vliki - Vrh - Monte Hoje, 24-26 agosto 191757. BURATTI don Irmo di Giusto e di Cugnolio Quinta, nato il 17 febbraio 1888 a Chiavazza. Chiamato alle armi il 5 novembre 1917 e assegnato il 10 alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 novembre si trova in zona di guerra; il 5 febbraio 1918 va all’Ospedale Militare di Riserva di Biella. Il 7 marzo 1919 inviato in congedo temporaneo, il 15 agosto in congedo assoluto58. CANEPARO don Pietro di Giovanni e di Mosca Giuseppina, nato l’11 novembre 1890 a Biella. Maestro elementare, chiamato alle armi il 6 dicembre 1917 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità, arriva in zona di guerra l’8. Riformato per ernia inguinale il 14 luglio 1918 e congedato59. CANOVA don Giovanni di Bartolomeo e di Coda Giuseppa, nato il 25 novembre 1874 a Pralungo. Soldato volontario di un anno nel 62° Reggimento Fanteria Sicilia e lasciato in congedo illimitato il 23 marzo 1894. Giunge alle armi per intraprendere l’anno di servizio il 1 dicembre. Il 30 aprile 1895 promosso Caporale e il 6 agosto va al 72° Reggimento Fanteria Puglie. Il 10 ottobre mandato in congedo illimitato per anticipazione. Il 31 ottobre promosso Sergente. Chiamato alle armi per R. Decreto 13 ottobre 1895 e giunto il 20 dicembre; il 23 trasferito effettivo al 95° Reggimento Fanteria Udine. Il 19 aprile 56 57 58 59 BU, disp. n. 83, 16 novembre 1917. BU, disp. n. 83, 28 dicembre 1918. ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 25789. ASV, classe 1890 cat. 3° matr. 18780. 184 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra 1896 inviato in congedo illimitato. Il 5 maggio 1898 passa alla 1° Compagnia di Sanità Militare “siccome Ministro di Culto Religioso”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1913. Richiamato alle armi per mobilitazione il 16 gennaio 1917, lo stesso giorno è “dispensato dalla chiamata alle armi perché ministro di culto a Miagliano”60, dove svolge anche le funzioni di maestro elementare61. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 191862. CANOVA don Lino Giuseppe di Antonio e di Peraldo Angela, nato il 21 marzo 1900 a Tollegno. Chiamato alle armi il 20 marzo 1918 e assegnato, il 10 aprile, al deposito del 4° Reggimento Alpini (Ivrea). Il 25 luglio promosso Caporale; il 20 febbraio 1919 collocato nella posizione di congedo provvisorio. Nuovamente chiamato il 20 ottobre, il 24 si trova nel Centro Mobilitazione Ivrea, e promosso Caporale Maggiore il 1 agosto. Il 31 agosto 1921 inviato in congedo illimitato63. CANOVA don Rodrigo di Bartolomeo e di Benna Giuseppa, nato il 13 agosto 1885 a Pralungo. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità; arriva in zona di guerra il 1 gennaio 1917; congedato il 16 agosto 1919 e prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 192464. Nel dopoguerra è parroco di Tollegno e svolge le mansioni di maestro elementare65. CANTONO don Alessandro di Luigi e di Pasquina Concetta, nato il 12 dicembre 1874 a Ronco Biellese. Chiamato alle armi e giunto al Distretto Militare di Torino il 16 gennaio 1917 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità il 31. Il 20 settembre si trova in zona di guerra. Il 15 novembre mandato in licenza illimitata e il 31 dicembre prosciolto definitivamente dal servizio66. CAPPIO don Remo di Bartolomeo e di Bozia Celestina, nato il 28 ottobre 1889 a Biella. Chiamato alle armi il 28 aprile 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 12 maggio ricoverato all’Ospedale Militare di Torino e il 13 inviato in licenza di convalescenza di gg. 40 e prorogato fino al 1° agosto. Il 15 agosto rientra al reparto. Il 5 maggio 1919 mandato in licenza illimitata e congedato il 15 agosto67. ASV, classe 1874 cat. 1° matr. 1331 e matr. 1564. Bessone 2006, p. 25. 62 ASV, classe 1874 cat. 1° matr. 954. 63 ASV, classe 1900 cat. 1° matr. 14876. 64 ASV, classe 1885 cat. 1° matr. 19383. 65 Bessone 2006, p. 25. 66 ASV, classe 1874 cat. 3° matr. 165. Giornalista, amico di don L. Sturzo, all’indomani della Grande Guerra, fu tra i primi organizzatori del Partito Popolare Italiano (“Il Biellese”, 27 gennaio 1959). 67 ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 26911. 60 61 185 Federico Zorio CARRETTA don Luigi di Giuseppe e di Barbero Antonia, nato il 24 gennaio 1885 a Moncrivello. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità; promosso Caporale il 12 dicembre. Arriva in zona di guerra il 12 dicembre 1916 nell’Ospedale da Campo n. 168. Rientra dalla zona di guerra il 16 novembre 1917 per malattia e ricoverato in luogo di cura. Congedato definitivamente il 15 agosto68. CARTOTTI don Vincenzo di Antonio e di Bertotto Caterina, nato il 25 gennaio 1883 a Pistolesa. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Riformato in seguito a rassegna per mancanza di denti, il 27 marzo 1917, e congedato il 2 aprile. Il 28 febbraio 1918 dispensato dalla chiamata perché Parroco69. CAUCINO don Benvenuto di Giuseppe e di Bianco Virginia, nato il 18 febbraio 1881 a Valle San Nicolao. Svolge le funzioni di maestro in Valle San Nicolao. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Nominato Sottotenente della Milizia Mobile arma di Fanteria il 25 novembre 191570. “Il Biellese” scrive: VALLE SAN NICOLAO - Siamo lieti di annunziare che il Rev. Don Benvenuto Caucino di pochi giorni tornato dalla guerra, ove copriva il grado di Tenente ed esercitava le mansioni di Aiutante Maggiore, e fu per molto tempo nella Balcania, è stato nominato Cavaliere della Stella di Rumania, dallo stesso Re di Rumania. Le nostre congratulazioni71. CAUCINO don Emilio di Antonio e di Galiazzo Carolina, nato il 10 giugno 1877 a Bioglio. Chiamato alle armi il 1 giugno 1900 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Richiamato il 5 dicembre 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Dispensato dalla chiamata alle armi il 22 marzo 1917; il 3 aprile inviato in congedo illimitato72. CAVALLERO don GIOVANNI di Domenico e di Romuzzi Carolina, nato il 22 marzo 1880 a Vercelli. Chiamato alle armi il 25 aprile 1916, poi “dispensato dalla chiamata alle armi perché Ministro di Culto a Collobiano”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 191973. 68 ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 13382 e matr. 14778. Il ruolo matricolare specifica: “Inviato in congedo illimitato con assegno rinnovabile per la durata di anni cinque a decorrenza dal 9 marzo 1919 perché riconosciuto permanentemente inabile al servizio militare”. 69 ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16840 e cat. 3° matr. 11728. 70 ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 8734. 71 “Il Biellese”, 25 luglio 1919. 72 ASV, classe 1877 cat. 3° matr. 3453. 73 ASV, classe 1880 cat. 3° matr. 7181. 186 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra CERVINO don Generino di Luigi e di Pezzati Carolina, nato il 4 gennaio 1878 a Bollengo (TO). Chiamato alle armi il 15 novembre 1916; il 18 novembre assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 22 Marzo 1917 dispensato dalla chiamata alle armi. Il 4 aprile rinviato in congedo illimitato (Dispaccio Ministeriale n. 33301 del 22 marzo 1917); prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1918. “Ha frequentato nell’anno 1917 presso la scuola d’applicazione di Sanità di Firenze il 1° Corso di disinfezione” e classificato nella 2° categoria di merito74. Morto a Biella il 30 luglio 193375. CHIAVERANO don Giuseppe di Agostino e di Beltrami Rosa, nato il 3 dicembre 1882 a Recetto (NO). Chiamato alle armi per mobilitazione e giunto il 14 luglio 1916; il 29 luglio incorporato nella 1° Compagnia di Sanità; parte per la zona di guerra il 21 settembre. Il 18 gennaio 1917 va nella 3° Compagnia di Sanità perché assegnato all’Ospedale da Campo n. 224, a Gonars [Udine]. Come Cappellano Militare, il 23 febbraio, è nel 258° Reggimento Fanteria Tortona; successivamente, il 19 dicembre, nel 18° Battaglione Guardia di Finanza in Albania. Rimpatria dall’Albania e cessa di trovarsi in zona di guerra il 25 gennaio 1919. Il giorno dopo è nell’Ospedale Militare di Torino; il 26 febbraio nell’Ospedale di Riserva di Vercelli. Il 6 marzo inviato in licenza illimitata e congedato il 15 agosto76. CIMA don Francesco di Stefano e di Bosio Maria, nato il 16 luglio 1882 a Borgo d’Ale. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 nella 1° Compagnia di Sanità, giunto in zona di guerra il 20 settembre e aggregato all’Ospedale da Campo 11. Il 23 febbraio 1918 è nominato Caporale e il 6 aprile Cappellano Militare. Tenente Cappellano 2° Reggimento Speciale d’Istruzione, scomparso l’11 maggio 1918 in seguito all’affondamento del piroscafo Verona, da parte del sommergibile austro-ungarico U94, presso Capo Peloro, vicino a Messina, in partenza da Messina per Tripoli, con a bordo un contingente di soldati per la Colonia77. “L’Unione” scrive: Un nuovo Assistente Eccl. Capp. Militare. Diamo notizia che certamente sarà accolta con entusiasmo da tutta la Diocesi. Con recente decreto il Rev. D. Cima Francesco, Vicep. di S. Maria M. in città e da parecchio tempo soldato di sanità in Ospedale da Campo al fronte, venne nominato Cappellano militare del 3. Regg. di Istruzione78. AST, classe 1878 cat. 3° matr. 3604. AST, classe 1878 cat. 3° matr. 3153 bis. “Il Biellese”, 1 agosto 1933, scrive: “Si è addormentato in Gesù Cristo, dopo oltre un anno di sofferenze, il Revendissimo Don Gennaro Cervino cappellano, cantore del Capitolo della Cattedrale di Biella […] già chierico, egli era noto agli amici della buona musica liturgica quale tenore dalla voce ampia e poderosa, di timbro bello e chiaro; e questa dote concorse a fargli assegnare, verso il 1910, il posto di Cappellano Cantore della nostra Cattedrale”. 76 ASN, classe 1882 cat. 3° matr. 14309. 77 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14141. 78 “L’Unione”, 30 marzo 1918. 74 75 187 Federico Zorio Dopo la scomparsa in mare, “La Sesia” scrive: Ed anche un sacerdote, che fu per molti anni ospite nostro con la sorella, il reverendo Don Francesco Cima Tenente Cappellano, ha sacrificata la vita alla causa della Patria, scomparendo nelle acque del Mediterraneo per l’affondamento del piroscafo sul quale viaggiava nel compimento del suo dovere di soldato e di sacerdote. Il povero D. Cima era nativo di Borgo d’Ale ed aveva 32 anni […]. L’ultima sua cartolina porta la data del 10 giugno. Il 12, la sua ordinanza, il soldato Terzolo vercellese, che era sbarcato, indisposto, in Sicilia, diede l’annunzio della morte, ora confermata ufficialmente79. Anche “L’Unione” riporta la notizia: D. Cima morto? […]. Alli 8 giugno il Comando Militare di Messina comunicava all’Ufficio del Vescovo Castrense che il Cappellano Cima Francesco non risultando tra i superstiti né tra i morti era di ritenersi disperso […]. Dall’Ufficio Notizie di Napoli invece venne comunicato […] che il Rev. Capp. Tenente Cima risulta scomparso in seguito all’affondamento del piroscafo “Verona” mentre compiva il suo dovere di sacerdote italiano e di soldato80. CIMMA don Alfonso di Costantino e di Dama Caterina, nato il 14 luglio 1876 a Strona. Chiamato alle armi il 1 dicembre 1916 e il 5 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre si trova in zona di guerra. Il 4 dicembre 1918 inviato in licenza illimitata; il 31 prosciolto definitivamente dal servizio81. CINQUINO don Ignazio di Giovanni e di Garella Domenica, nato il 14 novembre 1882 a Tollegno. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Si trova in zona di guerra il 20 settembre 1917, rientrando il 1° gennaio 1919; il 28 è mandato in congedo82. COMOGLIO don Francesco di Alessandro e di Deambrogio Rosalia, nato il 10 marzo 1891 a Villanova Monferrato, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. Chiamato alle armi il 19 aprile 1912, in seguito al congedo del fratello, nel 71° Reggimento Fanteria Puglie e successivamente nella Sezione di Sanità della 3° Divisione il 14 agosto. Il 16 imbarcato a Napoli per la Tripolitania e Cirenaica, promosso Caporale il 10 maggio 1913, rientra in Italia il 9 dicembre e congedato l’11. Richiamato alle armi il 20 aprile 1915 nel 162° Reggimento Fanteria Ivrea, parte per la zona di guerra il 22 maggio. Fatto prigioniero il 21 maggio 1916 nel fatto d’arme del Costesin (Altipiano di Asiago), 79 80 81 82 “La Sesia”, 18 giugno 1918. “L’Unione”, 22 giugno 1918. ASV, classe 1876 cat. 3° matr. 2541. ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 9924. 188 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra liberato il 20 gennaio 1919, congedato il 23 agosto83. Riceve un Encomio Solenne nella campagna Italo-Turca84: Raccolte, d’ordine del comandante della colonna, le munizioni dei portaferiti, si offerse, accompagnato da un sergente, di portarle in prima linea ed ivi volle, sotto il fuoco nemico, esso stesso distribuirle agli Ascari eritrei. Monterus, 23 marzo 1912. Medaglia di Bronzo al Valor Militare: In commutazione dell’encomio solenne concessogli con decreto luogotenenziale 1 giugno 1916: “Durante in combattimento, sprezzante del pericolo, avanzò, in zona molto battuta, fin presso le posizioni nemiche, riuscendo a trarre a riparo un ufficiale gravemente ferito. Continuò per tutto il giorno nella ricerca dei feriti e degli uccisi. Busa di Verle, 23 agosto 1915”. COMOTTO don Valerio di Luigi e di Biasetti Ludovica, nato il 17 giugno 1883 a Vigliano Biellese. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916, assegnato alla 9° Compagnia di Sanità il 26 agosto, parte per il fronte e successivamente alla 3° Compagnia il 7 gennaio 1917, ritorna il 5 maggio. Muore all’Ospedale Militare di Riserva di Biella il 10 novembre 1918 per malattia. È sepolto nell’Ossario dei Caduti del cimitero di Biella85. “Il Biellese” scrive: Don Valerio Comotto (Raccolta privata). Don Valerio Comotto è morto nell’Ospedale Militare di Biella, alle ore 18 di domenica. E stamane, alle ore 9, ha avuto onorevolissima sepoltura, con gli onori militari. Povero caro D. Comotto! Era nato a Vigliano nel 1883. Fu per molti anni viceparroco a Sagliano Micca, parrocchia ardua86. CORTE don Alfredo di Carlo e di Uberti Elena, nato il 29 giugno 1876 a Novara. Svolge il servizio militare a Torino, concluso nell’ottobre 1897, come risulta da una breve lettera indirizzata al rettore del Seminario [di Biella]87. In data 22 maggio 1915, don Fontanella registra sul Kalendarium della cappella del Seminario: “Parte, richiamato, pel ASV, classe 1891 cat. 1° matr. 29779. BU, disp. n. 104, 7 novembre 1919. 85 ASV, classe 1883 cat. 3° matr. 11404. 86 “Il Biellese”, 12 novembre 1918. Sulla morte di don Comotto nel nosocomio biellese Zorio 2018b, p. 96. 87 In Bessone 2000, p. 371: “Torino 21 ottobre 1897. Molto Rev.do Signor Rettore, Fino dal 15 u.s. ho lasciato il Corpo nel quale prestai il servizio militare e deposta la divisa, senza però che mi si rilasciasse il foglio di congedo; e questo perché la ferma dei volontari di un anno non termina che col 31 ottobre. Appena quindi potrò avere il congedo, il che sarà, tenuto conto di qualche possibile ritardo, pel 2 o 3 novembre, mi recherò immediatamente costì. Insieme a questa mia le spedisco le carte richieste. Con riverente ossequio, mi pregio dirmi di Lei, Reverendissimo Signor Rettore, devot.mo Alfredo Corte”. 83 84 189 Federico Zorio servizio militare il Rev. D. Corte Alfredo, professore in 4° e 5° ginnasio”. Oltre all’insegnamento, svolse anche il ministero di cappellano all’Istituto Lamarmora dal 1904 circa fino alla morte, avvenuta il 30 novembre 1947 a Biella88. Richiamato alle armi per mobilitazione il 24 maggio 1915 come Sergente di Sanità, poi “dispensato dalla chiamata alle armi perché ministro di culto religioso”89. COSTA don Giovanni Battista di Giacinto e di Aiazzone Maddalena, nato il 16 settembre 1879 a Pralungo. Già viceparroco di Pollone, chiamato alle armi il 24 maggio 1915. L’8 giugno parte per la zona di guerra e viene nominato Cappellano Militare; il 21 settembre assegnato al treno attrezzato n. 40. Il 25 agosto 1917 passa al 6° Reggimento Artiglieria Pesante Campale. Il 20 febbraio 1919 mandato in congedo illimitato90. “Il Biellese” scrive: Il Bollettino Parrocchiale di Pollone pubblica: Il nostro viceparroco D. Giovanni Costa ha finalmente potuto ottenere il suo congedo dopo quasi quattro anni di servizio militare91. CUCCO don Francesco Nino di Lorenzo e di Maggia Margherita, nato il 20 settembre 1882 a Biella. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Promosso Caporale il 30 novembre; il 20 giugno 1917 aggregato al Deposito Mitraglieri di Brescia, il 20 settembre si trova in territorio di guerra, il 13 novembre rientra alla 1° Compagnia di Sanità. Il 1° gennaio 1919 cessa di trovarsi in zona di guerra, il 28 gennaio mandato in licenza illimitata e il 15 agosto congedato92. DADATI Eugenio di Giuseppe (Fratel Eugenio delle Scuole Cristiane presso l’Istituto Lamarmora di Biella). Soldato 128° Reggimento Fanteria Firenze, nato l’11 agosto 1894 ad Anzano del Parco, morto il 2 dicembre 1915 nella 3° Sezione di Sanità per ferite riportate in combattimento93. “Il Biellese” scrive: Eugenio Dadati (Fratel Eugenio) dell’Istituto La Marmora di Biella. L’Istituto La Marmora ha pagato, con il sangue di uno de’ suoi insegnanti, il suo tributo alla Patria. Eugenio Dadati fu Giuseppe (in religione F. Eugenio) - nato in Anzano (Como), da tre anni maestro nell’Istituto Lamarmora di Biella - chiamato sotto le Bessone 2000, p. 371. “Il Biellese”, 4 giugno 1915, nell’elenco dei religiosi partiti per la guerra. Non è stato reperito il ruolo matricolare. 90 ASV, classe 1880 cat. 1° matr. 9677. 91 “Il Biellese”, 18 aprile 1919. 92 ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 9918. 93 Albo d’oro 1932, p. 309. 88 89 190 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra armi nello scorso giugno, dopo due mesi di permanenza a Varese fu spedito coi militari della categoria del 1894 a Treviso e di là al fronte. Eletto caporale, prestò l’opera su di uno dei reparti delle retrovie […]. Ai primi di novembre chiese ed ottenne di partecipare a qualche fatto d’armi […]. A tutti mandava il suo estremo saluto, quasi presentando la fine; ricordava i suoi cari, gli amici tutti, il caro Santuario d’Oropa a cui volle salire prima di lasciare Biella, e finiva con queste nobili parole: ‘Il sacrificio è fatto […]. A Dio l’anima, all’Italia il sangue’. E il sacrificio fu accettato. Il 30 novembre colpito a morte sull’alture di Zagora, mentre portava un messaggio. Fu raccolto e trasportato ad un ospedale da campo. A nulla valsero le cure e due giorni dopo spirava calmo e sereno, felice del dovere compiuto! 94. DALBERTO don Graziano di Paolo e di Demartini Maria, nato il 6 novembre 1888 a Roasio. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Giunto in zona di guerra il 12 agosto e assegnato alla 6° Compagnia di Sanità con la 14° Sezione il 1° gennaio 1917. Il 20 febbraio nominato Cappellano Militare nel 233° Reggimento Fanteria Lario. Il 27 agosto 1919 è nel Battaglione Ceva del 1° Reggimento Alpini. Rientra dalla zona di guerra il 17 febbraio 1920 e congedato95. DE BERNARDI don Andrea di Lorenzo e di Fracassa Maria, nato il 20 novembre 1887 a Fontanetto Po. Chiamato alle armi il 5 novembre 1917 nella 1° Compagnia di Sanità; giunge in zona di guerra l’8. Congedato il 15 agosto 191996. DEBERNARDI don Giacomo di Pietro e di Barberis Maddalena, nato il 4 dicembre 1880 a Trivero. Chiamato alle armi il 25 aprile 1916 e subito “dispensato dalla chiamata alle armi perché Ministro di Culto a Mosso Santa Maria”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 191997. DELSIGNORE don Giovanni Battista di Francesco e di Bertolotto Maria, nato il 4 gennaio 1883 a Caresana. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1916 parte per la zona di guerra e il 10 giugno 1917 assegnato alla 5° Compagnia di Sanità (Ospedale da Campo n. 223); morto il 21 novembre 1918 all’Ospedale Militare di Tappa di Rovigo per malattia98. “La Sesia” scrive: 94 95 96 97 98 “Il Biellese”, 17 dicembre 1915. ASV, classe 1888 cat. 3° matr. 17981. ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 23553. Pignoloni 2016, p. 455, lo elenca come Aiuto-Cappellano Militare. ASV, classe 1880 cat. 3° matr. 7186. ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16250. 191 Federico Zorio Il 21 corrente, in un Ospedale a Rovigo, cessava di vivere, colpito da morbo crudele, il Rev. D. Delsignore Giovanni soldato di Sanità, da più di due anni al fronte, dove adempì sempre con zelo il suo dovere verso la Patria. Era Maestro a Lamporo, beneamato da quei buoni contadini per il suo carattere mite. Scoppiata la guerra, fu arruolato nella Sanità e dopo pochi mesi inviato al fronte99. DEMARCHI don Cesare di Pietro e di Gibellino Secondina, nato il 1° ottobre 1887 a Biella. Chiamato alle armi 16 ottobre 1907 e nominato Sottotenente di Complemento nell’11° Reggimento Bersaglieri il 14 gennaio 1909. Il 19 luglio 1914 “accettate le dimissioni volontarie dal grado e iscritto quale Sergente in congedo illimitato nella 1° Compagnia di Sanità”. Richiamato il 15 marzo 1915, giunge in zona di guerra il 24 maggio e assegnato all’Ospedale da Campo n. 07. Ritorna dalla zona di guerra e rientra alla 1° Compagnia di Sanità il 30 aprile 1919. Congedato il 15 agosto 1919100. DEMARTINA don Delfino di Battista e di Barbero Maria, nato il 14 settembre 1877 ad Ailoche. Chiamato alle armi il 1 dicembre 1916 e subito “dispensato dalla chiamata perché ministro di culto avente cura di anime”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1918101. FAGNOLA don Alfonso Carlo di Luigi e di Lora Tonet Rosa, nato il 4 maggio 1885 a Portula. Designato per la ferma di due anni, è chiamato alle armi il 22 novembre 1905 e assegnato il 1° dicembre alla 1° Compagnia di Sanità. Il 15 settembre promosso Caporale; il 10 settembre 1907 mandato in congedo illimitato. Richiamato il 15 maggio 1915; il 4 giugno va in zona di guerra con la 1° Compagnia di Sanità nell’Ospedale da Campo n. 005. Rientra dalla zona di guerra il 30 maggio 1919 e il giorno successivo inviato in licenza illimitata; il 15 agosto è nella posizione di congedo illimitato102. FAGNOLA don Antonio Giacomo di Luigi e di Lora Tonet Rosa, nato il 25 settembre 1883 a Portula. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 20 settembre 1917, rientrando il 1° gennaio 1919. Assegnato alla 2° Compagnia della Milizia Territoriale di Milano il 16 agosto; il 20 mandato in congedo, il 31 dicembre 1922 prosciolto definitivamente dal servizio103. FAGNOLA don Giusto di Andrea e di Bozzalla Canale Clorinda, nato il 14 novembre 1881 a Mosso Santa Maria. 99 100 101 102 103 “La Sesia”, 29 novembre 1918. ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 22192. ASV, classe 1877 cat. 3° matr. 3171. ASV, classe 1885 cat. 1° matr. 19101. ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16430. 192 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Maestro a Castagnea. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Riformato il 5 ottobre 1917 per bronco-alveolite con determinazione della direzione dell’Ospedale Militare104. FAGNOLA don Mario di Giacomo e di Botta Cecilia, nato il 12 ottobre 1882 a Portula. “Ritenuto idoneo ai servizi sedentari”, chiamato alle armi e non giunto il 10 luglio 1916, “dispensato dalla chiamata perché Parroco avente cura d’anime nel Comune di Verrone”. Giunto alle armi il 9 settembre e il 10 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 29 novembre inviato in licenza straordinaria di convalescenza di mesi sei in seguito a rassegna (Determinazione del Direttore dell’Ospedale Militare Principale di Torino). Il 12 aprile 1918 rientra al corpo; riformato l’8 giugno per bronco alveolite con determinazione della direzione dell’Ospedale Militare di Torino e il 16 congedato105. FASSOLETTO don Pierino di Luigi e di Gurgo Tamlet Clelia, nato il 3 settembre 1893 a Pettinengo. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato al 2° Reggimento Granatieri di Sardegna. Arriva in zona di guerra l’11 ottobre, il 31 dicembre promosso Caporale e il 2 agosto 1917 Aspirante Ufficiale di Complemento. Rientra dalla zona di guerra e congedato il 5 settembre 1919106. FERRARIS don Serafino di Antonio e di Dellarole Teresa, nato il 5 ottobre 1886 ad Asigliano. Chiamato alle armi il 6 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 14 novembre 1915 assegnato all’Ospedale Militare Umberto I di Vercelli e il 26 maggio 1916 all’Ospedale Militare Principale di Torino. Il 30 dicembre 1918 inviato in licenza illimitata e congedato il 15 agosto 1919107. FERRARO don Domenico di Bernardo e di Ferraris Ugolina, nato il 22 settembre 1881 ad Asigliano. Chiamato alle armi il 31 agosto 1915 nella 1° Compagnia di Sanità. Il 5 novembre 1916 nominato Cappellano Militare nella 3° Compagnia di Sanità. Parte per la zona di guerra il 7 novembre 1917, rientrando il 4 novembre 1918. Congedato il 22 marzo 1919108. FERRAROTTI don Francesco di Luigi e di Franchino Antonia, nato il 13 febbraio 1882 a Trino. 104 ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 9043. Il ruolo militare riporta: “Inviato in congedo con assegno rinnovabile per anni tre a decorrere dal 6.1.1917 perché riconosciuto inabile al servizio militare. Prorogata la posizione di congedo temporaneo con assegno rinnovabile per la durata di altri cinque anni a decorrere dal 16.10.1920 perché in seguito ai nuovi accertamenti sanitari venne riconosciuto ancora inabile al servizio militare”. 105 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14401 bis. 106 ASV, classe 1893 cat. 1° matr. 35431 bis. 107 ASV, classe 1886 cat. 3° matr. 14845. 108 ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 9275 e matr. 9420. 193 Federico Zorio Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia Sanità, arriva in zona di guerra. Cessa di trovarsi in zona di guerra il 1° gennaio 1919 e il 15 agosto è congedato109. FINOTTO padre Romualdo di Ignazio e di Canova Giovanna, nato il 21 marzo 1879 a Biella, filippino. Chiamato alle armi il 21 gennaio 1918 e assegnato alla 1° Compagnia Sanità. Nella stessa data è in zona di guerra. Mandato in licenza illimitata e congedato il 10 gennaio 1919110. FIORANO don PIETRO di Giovanni e di Loggia Catterina, nato l’8 ottobre 1882 a Borgo d’Ale. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1918 e non giunto; “dispensato dalla chiamata alle armi perché Parroco di San Germano”. Collocato in congedo illimitato il 16 agosto 1919111. FONTANELLA don Oreste Efisio di Federico e di Calvino Desolina, nato il 1° dicembre 1883 a Strona112. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e destinato alla 1° Compagnia di Sanità presso l’Ospedale Militare di Torino. Congedato il 28 gennaio 1919113. Muore a Biella il 26 marzo 1935 ed è sepolto nella cripta del Seminario Diocesano. Don Oreste Fontanella (A. S. Bessone, I cinquecento Canonici di Biella, Biella 2004). FONTANETTO don Marco di Giuseppe e di Preti Rosa, nato il 23 aprile 1887 a Vergano, residente a Cerrione (fraz. Vergnasco). Chiamato alle armi e ammesso al volontariato di un anno il 14 ottobre 1908 e giunto il 15 novembre 1909, assegnato al 24° Reggimento Fanteria Como. Promosso Caporale il 15 maggio 1910 e congedato il 15 novembre. Chiamato il 26 settembre 1911 e partito per la Tripolitania e Cirenaica il 9 novembre. Rientrato in Italia il 17 aprile 1912 e congedato il 21. Il 4 agosto 1914 passa alla 1° Compagnia di Sanità. Richiamato il 10 maggio 1915, il 23 nominato Cappellano 109 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14313 bis. Pignoloni 2016, p. 456, lo elenca come Aiuto-Cappellano Militare. 110 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 9531. 111 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14602. 112 L’anagrafe del Comune di Strona e il ruolo matricolare riportano il nome di Efisio, mentre il certificato di battesimo riporta i due nomi. 113 ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16266. Giovanni Paolo II il 21 dicembre 1991 gli ha riconosciuto il titolo di “venerabile”, in seguito alla causa di beatificazione. 194 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Militare e assegnato alla 34° Sezione di Sanità. Il 27 luglio 1916 va al 40° Reggimento Fanteria Bologna, poi il 1° giugno 1919 al 22° Reggimento Artiglieria Pesante Campale. Il 27 luglio rientra alla 1° Compagnia di Sanità e inviato in licenza illimitata, il 15 agosto congedato. Decorato di due Medaglie di Bronzo al Valor Militare114: Mentre intorno al posto di medicazione cadevano numerosi proiettili di grosso calibro, sprezzante del pericolo, svolgeva la sua pietosa opera di conforto, dando nobile esempio di alto sentimento del dovere e di abnegazione. Mandrielle di Costesin, 20-21 maggio 1916. Sempre sprezzante del pericolo, compiva con sereno coraggio la sua opera umanitaria in località intensamente battuta dall’artiglieria nemica. Avendo un proiettile di grosso calibro colpito in pieno una baracca ricovero, dirigeva con calma il salvataggio dei feriti, animando con l’esempio i sottoposti. - Carso, 23-27 maggio 1917. Riceve anche un Encomio Solenne115: In occasione di bombardamento in località abitata da militari e civili, si portava immediatamente sul posto ripetutamente colpito, prestando l’opera sua fraterna illuminata dal più schietto spirito di dovere e da sereno sprezzo del pericolo. Valle Lagarina, 7 luglio 1918. FORNARA Antonio di Carlo e di Cattaneo Carolina, nato il 23 giugno 1893 a Mongrando, residente a Lenta, studente domenicano. Chiamato alle armi il 31 agosto 1914 e assegnato al 53° Reggimento Fanteria Umbria. Trattenuto per mobilitazione il 31 maggio 1915, è promosso Caporale il 1° novembre, il 18 Caporale maggiore, il 31 luglio 1917 Sergente. Il 15 novembre si trova in zona di guerra con il 15° Reggimento Fanteria Savona, l’11 febbraio 1918 è nel 22° Reggimento Cremona e il 10 dicembre nella 516° Compagnia Prigionieri. Ritorna dalla zona di guerra il 10 settembre 1919 e il 17 ottobre “inviato in congedo con assegno rinnovabile di 2° cat. per anni 3 decorrenti dal 1 gennaio 1924”. Muore il 29 aprile 1928 a Lenta116. “L’Unione” scrive: Ai molti sacerdoti e religiosi morti e feriti in guerra aggiungiamo il nome dell’amico nostro Sergente Giovanni Fornara, di Lenta, studente domenicano, il quale, recentemente al fronte veniva ferito ad una gamba durante il combattimento. Egli trovasi ora in un ospedale da campo. A lui l’augurio nostro più fervido di completa guarigione117. Rispettivamente: BU, disp. n. 46, 26 luglio 1918 e BU, disp. n. 10, 15 febbraio 1918. ASN, classe 1887 cat. 1° matr. 26102; ordine del giorno n. 118 comando 34° Divisione dell’11 luglio 1918. 116 ASV, classe 1893 cat. 2° matr. 3744. 117 “L’Unione”, 5 gennaio 1918. 114 115 195 Federico Zorio FORNO don Vittorio di Quintino e di Forno Aventura, nato il 22 giugno 1886 a Valle Superiore di Mosso118. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1918, giunto in zona di guerra, e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. L’8 marzo 1919 inviato in congedo temporaneo perché ministro di culto; congedato definitivamente il 15 agosto119. FOSCALLO don Giuseppe di Secondino e di Bertola Luigia, nato il 4 ottobre 1882 a Valle San Nicolao. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916, giunto il 24 agosto e assegnato alla 1° Compagnia Sanità. Si trova in territorio di guerra il 20 settembre 1917, cessa di essere in territorio di guerra il 1° gennaio 1919. Il 20 gennaio mandato in licenza illimitata e il 15 agosto congedato120. FRASSATI don Mario di Giovanni Battista e di Besso Rosa, nato il 20 agosto 1889 a Miagliano. Chiamato alle armi il 24 ottobre 1910 nel 55° Reggimento Fanteria Marche, mandato in congedo il 3 settembre 1911. Chiamato il 7 agosto 1914 nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso” e mandato in congedo il 15 novembre. Richiamato il 10 maggio 1915 giunge in zona di guerra il 23. Promosso Caporale il 30 novembre. Diacono, ordinato sacerdote il 16 gennaio 1916 dal vescovo di Biella, mons. Natale Serafino. Il 27 giugno 1916 assegnato al 17° Reggimento Artiglieria da Campagna e successivamente al Quartier Generale del Comando della 34° Divisione. Il 1° maggio 1917 promosso Caporale Maggiore. Rientra dalla zona di guerra il 4 novembre 1918 e il 15 aprile 1919 ritorna alla 1° Compagnia di Sanità a Torino. Il 12 luglio mandato in licenza illimitata e il 15 agosto congedato121. GARAVANA don Francesco Giuseppe di Luigi e di Mandosso Carolina, nato il 26 gennaio 1881 a Lignana. Chiamato alle armi il 1° giugno 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Arriva in zona di guerra e aggregato all’Ospedale da Campo n. 6 il 9 maggio 1917, il 18 settembre nominato Cappellano Militare nel 226° Reggimento Fanteria Arezzo. Rientra dalla zona di guerra il 23 marzo 1919; mandato in licenza illimitata il 24 marzo e il 15 agosto inviato in congedo122. “La Sesia” scrive: Nuovo Cappellano militare. - Il giovane sacerdote don Giuseppe Garavana, che fu operoso vice-parroco prima a Trino, per molti anni, poi a Santhià, e che da alcuni Dal 1938 Mosso Santa Maria; dal 1999 Mosso. ASV, classe 1886 cat. 1° matr. 21656. 120 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14435 bis. 121 ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 28773 e classe 1890 cat. 1° matr. 27975. Nel 1919 nominato viceparroco di Pollone. 122 ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 12431. 118 119 196 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra mesi era al fronte, venne nominato tenente-cappellano in un reggimento di fanteria. Rallegramenti al rev. D. Garavana123. Medaglia d’Argento al Valor Militare: Con mirabile sprezzo del pericolo, nei momenti più difficili e sotto l’intenso tiro avversario, percorreva la linea, incorando i militari a salda resistenza, ed aiutava i sanitari, confortando e prodigando le prime cure ai feriti. Uscito volontariamente e ripetutamente dalle trincee, identificava i nostri caduti. Ove più accanita era la lotta, ivi era il suo posto, e, con il suo coraggioso e calmo contegno, teneva sempre desta l’emulazione tra i combattenti. Piave Vecchio, 15-25 giugno 1918124. GARBACCIO don Amilcare di Giovanni Maria e di Pino Mirinda, nato il 20 novembre 1893 a Bioglio. Chiamato alle armi il 1° giugno 1915, giunge in zona di guerra il 13; nominato Sottotenente di Complemento il 5 agosto 1917 e assegnato all’11° Reggimento Fanteria Casale125. Nell’aprile 1918 promosso Tenente126. Decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Comandante di reparto, in una azione aggressiva di compagnia, con nobile slancio faceva parte di nuclei arditi, alla testa dei quali bloccava gallerie ed assaliva piccole guardie nemiche, catturandole ed impossessandosi di armi e materiale da guerra. Cima Tre Pezzi, 22 dicembre 1917127. GARIAZZO don Secondo di Giovanni e di Rosso Seconda, nato il 26 dicembre 1891 a Sandigliano. Con la sua classe è fatto rivedibile; con quella del 1892, il 12 settembre 1913 è arruolato nel 3° Reggimento Genio Telegrafisti. S’imbarca a Napoli per la Tripolitania e Cirenaica il 3 agosto 1914, ritorna in patria a guerra finita il 26 giugno 1919128. GARIONE don Antonio di Pietro e di Varalda Maria, nato il 19 gennaio 1888 a Costanzana. Chiamato alle armi il 1 giugno 1915 e il 13 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. “Nominato Sottotenente di M.T. arma di fanteria effettivo per mobilitazione al Distretto di Vercelli al quale si presenterà il mattino del 23 agosto 1915 per assumere il servizio di prima nomina nei reparti di M.T. ivi costituiti”129. Tenente della 2018° Compagnia Mitragliatrici. Decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: 123 124 125 126 127 128 129 “La Sesia”, 22 settembre 1917. BU, disp. n. 74, 29 agosto 1919. ASV, classe 1893 cat. 3° matr. 19711. “Il Biellese”, 4 aprile 1919. BU, disp. n. 46, 26 luglio 1918. ASV, classe 1891 cat. 1° matr. 32529 e classe 1893 cat. 1° matr. 34508. ASV, classe 1888 cat. 3° matr. 17649. 197 Federico Zorio Da posizioni molto avanzate e intensamente battute dal fuoco nemico di artiglieria, durante sei giorni di accaniti combattimenti validamente contribuiva a contenere e respingere l’impeto delle masse nemiche succedentisi all’attacco. Sereno di fronte al pericolo, energico e pronto nelle iniziative, sapeva infondere nei dipendenti la fiducia, il coraggio ed il sentimento del dovere. Col della Beretta - Monte Asolone, 11-16 dicembre 1917130. “L’Unione” scrive: Fra i molti decorati per il loro valore militare, registrati nell’ultimo Bollettino Ufficiale, vi è pure il nostro diocesano Sac. Antonio Garrione [sic] di Costanzana, Capitano Mitragliere, al quale venne conferita la medaglia di bronzo. Cordiali rallegramenti131. GENNARO don Antonio di Luigi e di Arena Costanza, nato il 24 giugno 1881 a Trino. Ammesso al volontariato di un anno il 24 novembre 1901 e giunto il 1° dicembre. Il 31 maggio 1912 promosso Caporale, il 15 novembre mandato in licenza illimitata in attesa del congedo, il 30 promosso Sergente. Chiamato alle armi il 24 maggio 1915, il 28 nominato Cappellano Militare nell’Ospedale da Campo n. 207 e giunto in zona di guerra. Il 26 novembre 1917 assegnato al 63° Reggimento Fanteria Cagliari, il 18 dicembre è all’Ospedale da Campo n. 053. Il 9 aprile 1918 è a disposizione del Vescovo da Campo. Rientrato dalla zona di guerra il 17 aprile 1919 e inviato in licenza illimitata, congedato il 16 agosto132. GENNARO don Gennarino di Onorato e di Botta Teresa, nato il 9 gennaio 1886 a Trino. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Il 15 luglio passa alla 48° Sezione di Sanità e il 17 dicembre all’11°. Il 2 febbraio 1917 è in zona di guerra come Cappellano Militare del Battaglione Monte Pelmo 7° Reggimento Alpini; il 23 maggio 1919 è nel 4° Reggimento Alpini, Battaglione Aosta. Il 20 settembre congedato133. Decorato di Croce di Guerra al Valor Militare: Cappellano Militare, durante giornate di aspro combattimento, distinguevasi per animo saldo e sprezzo del pericolo nell’adempimento della sua nobile missione. Soccorreva e confortava i feriti, anche là dove più ferveva la mischia, portando a tutti la parola di fede e di patriottismo, onde la sua opera vale costantemente ad infondere nella truppa alti sentimenti e spirito di abnegazione. Col del Cuc (Monte Grappa), 25-30 ottobre 1918134. BU, disp. n. 35, 30 maggio 1919. “L’Unione”, 7 giugno 1919. “L’Eusebiano tra cronaca e storia - speciale 60° 1929-1989”, lo ricorda così: È morto don Antonio Garione […] deceduto a Vercelli alle ore 19 di venerdì 27 gennaio [1978] presso l’Istituto delle Suore Figlie di Sant’Eusebio, di cui era ospite. Mons. Garione aveva compiuto novant’anni il 10 [il foglio matricolare riporta 19] gennaio scorso […] fondò e iniziò la direzione del giornale “L’Eusebiano” che vide la luce il 1 agosto 1929 […]. Nel 1969, dopo quaranta anni di lavoro ininterrotto, lasciava la Direzione de “L’Eusebiano”, divenuto bisettimanale dai primi anni del dopoguerra. 132 ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 11282 e mat. 13456. 133 ASV, classe 1886 cat. 3° matr. 15969. 134 BU, disp. n. 5, 3 febbraio 1927. 130 131 198 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Don Edmondo Paolo Gianoli (F. Crispolti, Il Carroccio nuovissimo, Milano 1918). GIANOLI don Edmondo Paolo di Giuseppe e di Socquet Giovanna, nato il 28 ottobre 1887 a Campertogno. Chiamato alle armi il 15 ottobre 1907 e ammesso al volontariato di un anno, promosso Caporale il 15 maggio 1910, Sergente il 15 novembre e mandato in congedo. Nominato Cappellano Militare e assegnato al 26° Reggimento Lancieri di Vercelli il 24 maggio 1915, lo stesso giorno giunge in zona di guerra. Il 15 ottobre 1917 passa al 14° Reggimento Fanteria Pinerolo e vi rimane fino alla fine del conflitto. Ritorna dalla zona di guerra il 1° febbraio 1919, congedato il 15 agosto135. Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: Ammirevole esempio di coraggio ed abnegazione, si slanciava, parecchie volte, ove più ferveva il combattimento, per compiere la sua pietosa missione, e volontariamente si univa a due squadroni che muovevano all’attacco, incitandoli con l’esempio e con la parola. Monfalcone, 15 maggio 1916136. GIANOTTI don Giovanni di Francesco e Cordiale Maria, nato il 10 gennaio 1881 a Biella. Chiamato alle armi il 27 dicembre 1916 e lo stesso giorno “dispensato dalla chiamata perché coadiutore di Occhieppo Superiore”. Collocato in congedo illimitato e prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1920137. GILARDINO padre Ernesto di Carlo e di Torrione Teresa, nato il 16 luglio 1898 a Cossila. Chiamato alle armi il 14 novembre 1917 e assegnato ai servizi sedentari per la costituzione minuta. Il 4 gennaio 1918 assegnato al Battaglione aviatori di Mirafiori, congedato il 28 maggio 1919. Missionario della Consolata di Torino in Etiopia dal 1920 al 1931, viene espulso per il suo attivismo. Vi ritorna come Cappellano Militare di un reparto del Genio, durante la campagna italo-etiopica. Muore di tifo nell’Ospedale di Addis Abeba il 12 gennaio 1937138. 135 136 137 138 ASV, classe 1887 cat. 1° matr. 24278 e matr. 2585. BU, disp. n. 106, 9 dicembre 1916. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 12409. ASV, classe 1898 cat. 1° matr. 10718 e matr. 11481. 199 Federico Zorio GILARDINO don Giacomo di Luigi e di Riva Caneparo Angela, nato il 22 gennaio 1892 a Cossila. Chiamato alle armi il 21 febbraio 1915 e il giorno successivo assegnato al 4° Alpini, Battaglione Ivrea. Trattenuto sotto le armi per mobilitazione, il 23 maggio è in zona di guerra. Il 29 febbraio 1916 è promosso Caporale, il 5 maggio 1917 Caporale maggiore e il 31 luglio Sergente. Il 26 giugno 1918 passa al 48° Battaglione della Milizia Territoriale, il 1 giugno 1919 è Sergente maggiore. Il 22 luglio è assegnato all’Ufficio Stralcio dell’8° armata. Il 3 settembre rientra dalla zona di guerra per congedo e il 6 inviato in congedo illimitato139. GIOVANNINA don Lorenzo di Bartolomeo e di Pasquale Maddalena, nato il 29 novembre 1889 a Livorno Piemonte. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916, in forza alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 13 aprile 1917 e assegnato all’Ospedale da Campo 168. Nominato Cappellano Militare il 23 febbraio 1918 ed assegnato all’Ospedale da Campo 8. Passa al 126° Reggimento Fanteria Spezia il 20 ottobre 1918. Il 28 settembre 1919 si trova in Albania con il 3° Reggimento Alpini. Ritorna in zona di guerra il 10 marzo 1920; congedato il 26140. “L’Unione” scrive: Assistenti di Circoli fatti Cappellani M. […]. Similmente fu nominato Capp. Mil. il Sac. D. Lorenzo Giovannina Assistente Eccl. dell’Oratorio festivo di Cigliano141. GRACIS don Angelo di Antonio e di Ferrarotti Seconda, nato il 2 agosto 1890 a Sandigliano. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Passa all’Ospedale da Campo 212 il 27 febbraio 1918. Congedato il 15 agosto 1919142. “Il Biellese” scrive: Don Angelo Gracis (A. S. Bessone, I cinquecento Canonici di Biella, Biella 2004). 139 140 141 142 143 OCCHIEPPO INFERIORE. Con recente disposizione venne nominato CAPPELLANO MILITARE il nostro amatissimo D. Angelo Gracis, soldato di fanteria e quasi da 2 anni alla fronte. Al nostro zelante Viceparroco giungano gradite le più vive congratulazioni unite a fervidi auguri - per un prossimo ritorno - della popolazione Occhieppese ed in particolar modo dei soci del Circolo Fides143. ASV, classe 1892 cat. 3° matr. 19349. ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 27503. “L’Unione”, 16 febbraio 1918. ASV, classe 1890 cat. 2° matr. 2497. “Il Biellese”, 3 maggio 1918. 200 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra GREPPI don Giuseppe Francesco di Luigi e di Maffei Alinda, nato il 17 dicembre 1886 a Pezzana. Chiamato alle armi il 6 novembre 1915, giunge in zona di guerra aggregato all’Ospedaletto da Campo n. 008. Nominato Cappellano Militare il 22 agosto 1916 nel 58° Reggimento Fanteria Abruzzi. Il 20 aprile 1918 è nel 60° Reggimento Calabria, il 6 settembre nel Reparto d’Assalto della 4° Armata. Rientra dalla zona di guerra il 7 aprile 1919. Mandato in congedo il 15 agosto 1919. Muore il 25 ottobre 1925 a Pezzana144. “L’Unione” scrive: La medaglia d’argento a un Cappellano Militare Vercellese. Dal Bollettino Militare risulta che fra i sei Vercellesi che si meritarono la medaglia d’argento al valor militare, figura anche il giovane Sac. Greppi D. Francesco145. Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: Sotto continuo e violento fuoco d’artiglieria nemica, sprezzante del pericolo, fu sempre in prima linea per confortare i feriti, provvedere al trasporto dei più gravi al posto di medicazione e somministrare i conforti della religione ai moribondi dando a tutti mirabile esempio di calma e di abnegazione. Gorizia, 12-14 maggio 1917146. GROMO don Alessandro di Pietro e di Gariazzo Tersilla, nato il 31 marzo 1879 a Sandigliano147. GRUPPO-VANETTI don Albino di Secondo e di Bono Seconda, nato il 9 febbraio 1883 a Cossato. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 28 agosto 1918 passa al treno attrezzato n. 44 e il 31 dicembre mandato in congedo illimitato148. GUALA don Luigi di Antonio e di Guala Catterina, nato il 7 ottobre 1887 a Bioglio. Chiamato alle armi il 6 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 1° maggio 1916 ed è nell’Ospedale da Campo 001. Il 5 agosto 1917 nominato Cappellano Militare del 278° Reggimento Fanteria Vicenza. Rientra dalla zona di guerra il 20 maggio 1919 e congedato lo stesso giorno149. GUARDIA-RIVA don Pietro di Pietro e di Rosa Vercellotti Caterina, nato il 19 agosto 1882 a Casapinta. ASV, classe 1886 cat. 3° matr. 15038. “L’Unione”, 26 febbraio 1918. 146 BU, disp. n. 10, 16 febbraio 1918. 147 In ASV, manca il ruolo matricolare. Pignoloni 2016, p. 458, lo colloca tra gli Aiuto-Cappellani Militari, quale appartenente alla Diocesi di Biella. 148 ASV, classe 1883 cat. 3° matr. 11388. 149 ASV, classe 1887 cat. 3° matr. 16670. 144 145 201 Federico Zorio Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in territorio di guerra, in Albania, il 27 gennaio 1917 e assegnato alla 9° Compagnia di Sanità. Promosso Caporale il 4 febbraio 1918. Va alla 5° Compagnia nell’Ospedale da Campo n. 226. Il 15 agosto 1918 promosso Caporale maggiore. Ritorna dalla zona di guerra il 14 gennaio 1919 e mandato in congedo150. GURGO-SALICE don Arturo di Enrico e di Delpiano Paolina, nato il 16 aprile 1882 a Biella. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità il 17. Nominato Cappellano militare il 31 gennaio 1917 e inviato all’Ospedale Militare di Riserva di Biella. Il 28 agosto è all’Ospedale Militare di Riserva di Dignano. Il 28 gennaio 1919 mandato in licenza illimitata e il 15 agosto congedato151. LEGA don Enrico Teresio di Eusebio e di Debernardi Aurelia, nato il 21 novembre 1889 a Zubiena. Chiamato il 1° giugno 1915 e assegnato alla 1° Compagnia Sanità. Giunge in zona di guerra il 6 luglio 1916, aggregato al 308° Reparto Someggiato Gruppo Alpini. Il 16 febbraio 1919 parte dalla zona di guerra per malattia; il 18 rientra alla 1° Compagnia di Sanità a Torino. Il 18 luglio mandato in licenza illimitata e congedato il 15 agosto152. LETO don Leone di Carlo e di Donicolo Luigia, nato il 6 febbraio 1882 a Masserano. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 1° aprile 1917 è in zona di guerra in Macedonia nell’Ospedale da Campo n. 177. Il 1° marzo 1918 nominato Cappellano Militare e trasferito in Albania. Rimpatriato per malattia il 23 settembre 1918 e destinato agli Ospedali militari di Torino e Stresa, nel campo di concentramento prigionieri di Asti il 1° dicembre 1918. Congedato il 1° marzo 1919153. LOGGIA don Giuseppe di Pietro e di Accio Anna, nato il 18 ottobre 1889 a Borgo d’Ale. Chiamato alle armi il 20 giugno 1912 nel 53° Reggimento Fanteria Umbria, congedato l’8 dicembre. Richiamato alle armi il 24 maggio 1915, giunge in zona di guerra il 7 dicembre 1917 nella 1° Compagnia di Sanità. Muore il 18 dicembre 1918 all’Ospedale Militare di Vercelli per malattia154. “La Sesia” scrive: Don Giuseppe Loggia di Borgo d’Ale, della classe 1889, che era sotto le armi dal 24 maggio 1915. Il giovane sacerdote - non aveva che 29 anni - fu vice parroco a Pezzana, e nell’Ospedale militare era un elemento prezioso per il suo zelo con cui ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 10110. ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 10579. 152 ASV, classe 1889 cat. 3° matr. 18262. Lebole 1987, p. 540, scrive: “dovette interrompere gli studi per servire la Patria durante la prima guerra mondiale e fu uno dei pochi superstiti dell’Ortigara. […] il 22 marzo 1939 fu nominato da mons. Carlo Rossi parroco di Tavigliano”. 153 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 14348 bis. 154 ASV, classe 1889 cat. 3° matr. 18290. 150 151 202 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra compiva i suoi doveri. Una violenta bronco-polmonite ebbe ragione in pochi giorni della sua forte costituzione. I funerali avranno luogo stamattina alle 10 e la salma sarà poi trasferita a Borgo d’Ale. Vive condoglianze alla addolorata sua famiglia155. LORO-GAUDINO don Celestino di Quirico e di Ubertalli Maria, nato il 16 luglio 1883 a Mosso Santa Maria. Chiamato alle armi il 28 marzo 1904 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità (infermiere), il 15 ottobre promosso Caporale infermiere e congedato il 10 settembre 1905. Richiamato il 24 maggio 1915, giunge in zona di guerra il 28, aggregato alla 27° Sezione di Sanità. Il 23 aprile 1916 nominato Reggente Militare di Vò Sinistro156. Ritorna dalla zona di guerra il 4 giugno 1919 e congedato157. MAGI don Luigi Maria del cav. Carlo e di Giovanelli N. D. Sofia, nato il 23 aprile 1886 a Montefiore Conca (RN). Fondatore della Corale Alpina Biellese nel 1946, celebre direttore d’orchestra e compositore. Muore il 22 aprile 1961 a Biella e sepolto nel cimitero di Montesinaro158. Dalle sue memorie risulta la sua partecipazione alla guerra159: Don Luigi Maria Magi (G. Lajolo - M. V. Bosazza, Al Retor l’ha bontemp, Biella 1999). Dal ’15 al ’18 la guerra! Contemporaneamente ai miei due fratelli, Dr. Giuseppe Maria e Alberto Maria, fui chiamato io pure alle armi, naturalmente in Sanità. Fui soldato a Bologna pochi mesi, poi Tenente-Cappellano ad Udine, quando vi aveva sede il Comando Supremo […]. Su mia domanda, passai da Udine al fronte dove fui cappellano nel 268 Fanteria (Trentino, Carso, Piave), sino alla fine del ’18, quando fui chiamato alla Scuola Mitraglieri Fiat di Brescia […]. Dalla guerra rientrai con postumi di ferite al cavo ascellare destro ed al ginocchio sinistro160, con una medaglia d’argento (Carso, 4 settembre 1917) la proposta di una seconda medaglia d’argento (Zenson di Piave - Giugno 1918) ed un certo spirito battagliero, che va smorzandosi molto lentamente […]. Alla fine del ’39 Mons. Rossi161 mi chiamò a Biella […]. Bè, vada a Montesinaro! 155 “La Sesia”, 20 dicembre 1918. Don Giuseppe Loggia nel 1917 risulta aderente, per la diocesi di Vercelli, all’associazione sacerdotale “Viribus Unitis”, antesignana della FACI, con la qualifica di “militare Borgo d’Ale” (Quaranta 2013, p. 179). 156 In Val Lagarina. 157 ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 15837. 158 Lajolo - Bosazza 1999, p. 11. 159 Montesinaro, frazione del comune di Piedicavallo, dove fu trasferito il 19 marzo 1944. 160 Riportate sul fronte di Castagnevizza, a nord di Trieste, durante furiosi attacchi nemici contro le posizioni tenute dal Reggimento. 161 Il vescovo di Biella, che Magi aveva conosciuto a Marsiglia, quando entrambi erano missionari dei nostri emigranti. 203 Federico Zorio Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: Durante un intenso bombardamento, immediatamente seguito da un violento attacco nemico contro l’importante posizione affidata al reggimento, accorse in prima linea a confortare i numerosi feriti e coraggiosamente avanzò sotto il violento fuoco di artiglieria avversaria, incurante di sé nella sua pia missione sinché ferito in più parti, dovette essere trasportato al posto di medicazione. Carso, 4 settembre 1917162. MANIA don Pietro Gabriele di Antonio e di Chiavenuto Domenica, nato il 24 marzo 1885 a Settimo Vittone, fraz. Tavagnasco (TO). Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 25 febbraio 1919 “inviato in congedo temporaneo poiché ministro di culto avente cura d’anime”. Il 31 luglio è mandato in licenza illimitata e congedato il 16 agosto163. MARCHISIO don Giovanni di Antonio e di Berzero Giuseppa, nato il 23 marzo 1884 a Caresana. Chiamato alle armi il 20 ottobre 1906 nel 1° Reggimento Fanteria Re e congedato il 25 ottobre 1907. Richiamato il 15 maggio 1915 e assegnato come Cappellano Militare al Battaglione Ivrea del 4° Reggimento Alpini; il 24 giunge in zona di guerra. Il 3 aprile 1917 va all’Ospedale da Campo n. 0151 a Salonicco. Il 28 ottobre 1917 è al 96° Reggimento Fanteria Udine e il 4 dicembre al 46° Reggio. L’11 gennaio 1918 è all’ospedale da campo n. 0161 e il 15 giugno assegnato all’Ospedale Militare di Vercelli. Rientra dalla zona di guerra il 1° gennaio 1919 e va alla 1° Compagnia di Sanità; congedato il 15 agosto164. MARINONE don Pietro di Filippo e di Vigna Maria, nato il 17 maggio 1888 a Pertengo. Chiamato alle armi il 16 agosto 1910 e congedato il 5 novembre. Richiamato il 10 maggio 1915 e assegnato alla 7° Compagnia di Sanità; il 24 maggio nominato Cappellano Militare presso la 5° Compagnia e parte per la zona di guerra. Il 17 gennaio 1917 è assegnato al treno attrezzato n. 17, il 1° agosto all’Ospedale chirurgico di Tappa a Palmanova, il 13 novembre al Battaglione Val d’Adige del 6° Reggimento Alpini, il 15 gennaio 1918 al 259° Reggimento Fanteria Murge in Vallarsa, il 15 marzo al 58° Reggimento Artiglieria da Campagna in Alta Val di Chiese, il 4 novembre rientra dalla zona di guerra. Il 10 febbraio 1919 è all’Ospedale Militare di Riserva di Biella, il 5 settembre all’Ospedale Lamarmora di Torino. Il 1° gennaio 1920 si trova all’Ospedale Militare Principale di Torino, il 12 febbraio inviato in licenza temporanea e il 27 congedato165. 162 163 164 165 BU, disp. n. 84, 28 dicembre 1918. AST, classe 1885 cat. 1° matr. 12213 bis. Fu poi parroco di Arro di Salussola. ASV, classe 1884 cat. 1° matr. 18795 e matr. 19084. ASV, classe 1888 cat. 2° matr. 942, matr. 1297 e matr. 1489. 204 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra MARTINENGO don Enrico di Giuseppe e di Vignoni Luigia, nato il 17 agosto 1895 a Novara. Residente a Vercelli, è chiamato alle armi il 15 gennaio 1915 e ammesso al volontariato di un anno col ritardo del servizio fino al 26° anno di età, prima nella 1° Compagnia di Sanità il 15 giugno, poi nel 6° Reggimento Genio Ferrovieri 14 dicembre e il 22 nel 53° Reggimento Fanteria Umbria. Il 25 aprile 1916 promosso Caporale e inviato in zona di guerra con il 162° Reggimento Fanteria Ivrea. Il 7 luglio rientra dalla zona di guerra per ferita d’arma da fuoco: “Riportò frattura della mandibola essendo rimasto colpito da scheggia di granata nel combattimento di Monte Val Bella, li 18 giugno 1916”. Il 25 giugno 1917 mandato in licenza straordinaria di convalescenza con assegni in attesa di provvedimenti medico-legali. Il 31 marzo 1918 inviato in congedo assoluto perché riconosciuto permanentemente inabile al servizio militare dal 1° aprile. Il 1° maggio 1929 nominato Cappellano Militare e destinato all’Ospedale Militare Marittimo di La Spezia. Croce al Merito di Guerra, con determinazione Ministero della Guerra 29 dicembre 1920, concessione n. 5491166. MARTINETTI don Cesare di Domenico e di Minghetti Giuseppina, nato il 5 giugno 1888 a Vercelli. Ordinato sacerdote il 17 maggio 1913, chiamato alle armi il 28 aprile 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunto in zona di guerra il 12 luglio con la 48° Sezione di Sanità. Nominato Cappellano Militare il 27 ottobre 1917 e assegnato al 27° Raggruppamento di Artiglieria d’Assedio. Il 27 novembre 1918 è all’Infermeria avanzata del Tonale in Trentino. L’11 gennaio 1919 è all’Ospedale da Campo n. 008, il 15 all’Ospedale da Campo n. 015, il 9 giugno all’Ospedale da Campo n. 066, il 31 ottobre congedato. Brillante oratore, giornalista, nel dopoguerra diventa direttore del giornale diocesano “Il Vercellese” e, successivamente, collaboratore de “L’Eusebiano”. Fu parroco di San Paolo fino al 1964, anno della morte167. MAZZIA don Felice di Serafino e di Mazzia Secondina, nato il 6 luglio 1886 a Pettinengo. Chiamato alle armi l’8 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 15 maggio 1917 è in zona di guerra nell’Ospedale da Campo n. 206. Ritorna dalla zona di guerra il 20 febbraio 1919 e inviato in licenza illimitata; congedato il 15 agosto168. MELLE don Giuseppe di Francesco e di Ceruti Maria, nato l’8 aprile 1891 a Saluggia. Chiamato alle armi il 22 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunto in zona di guerra il 18 giugno 1916 e aggregato all’Ospedale da Campo n. 088. Il 21 ASV, classe 1895 cat. 1° matr. 2176 e matr. 3787. ASV, classe 1888 cat. 2° matr. 1218 e matr. 1307. Vedi anche Capellino 1981, p. 96. Don Cesare Martinetti nel 1917 risulta aderente, per la diocesi di Vercelli, all’associazione sacerdotale “Viribus Unitis”, antesignana della FACI, con la qualifica di “Tenente Cappellano al Fronte” (Quaranta 2013, p. 180). 168 ASV, classe 1886 cat. 3° matr. 15812. 166 167 205 Federico Zorio marzo 1919 è all’Ospedale di tappa di Vicenza; il 21 agosto rientra dalla zona di guerra ed è congedato169. MERSI don Agostino di Pietro e di Vigliani Apollonia, nato il 27 settembre 1882 a Pollone. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e non giunto. Lo stesso giorno dispensato “perché Parroco avente cura d’anime alla Parrocchia di Riabella (S. Paolo Cervo)”170. MIGLIETTI don Agostino di Tomaso e di Benna Maria, nato l’11 giugno 1894 a Occhieppo Inferiore. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1918 e assegnato al 49° Reggimento Fanteria Parma. Il 4 marzo è riformato per deperimento organico e mandato in congedo171. MINIGGIO don Giovanni di Luigi e di Canova Clementina, nato il 17 aprile 1889 a Saint Rambert (Francia), iscritto nella leva del Comune di Pettinengo. Chiamato alle armi il 1° giugno 1915 e inviato in territorio di guerra il 13; il 28 luglio 1917 nominato Cappellano Militare nel 254° Reggimento Fanteria Porto Maurizio; preso prigioniero il 1° novembre. Rientra dalla prigionia il 29 novembre 1918 e inviato al campo per prigionieri di San Felice sul Panaro. Successivamente assegnato all’Ospedale Militare di Ivrea, poi al Regina Margherita di Torino e infine a quello di Susa. Mandato in congedo il 13 marzo 1920172. “Il Biellese” scrive: Reduci dalla prigionia. BIELLA. Ieri avemmo il piacere di salutare il Cappellano militare degli Alpini Don Giovanni Miniggio da Pettinengo, già viceparroco a Occhieppo Superiore. Liberato dalla prigionia austriaca, passò due mesi in Italia e potè ristorarsi delle sofferenze subite. Difatti ne ammirammo la faccia piena e tonda, coronata da una gran barba. È stato assegnato ad Ivrea, in attesa del congedo, che verrà … forse solo con la pace173. MIGAZZO don Pietro di Defendente e di Negro Giuseppa, nato il 17 novembre 1888 a Cerrione. Nominato Sottotenente di Complemento nel 54° Reggimento Fanteria Umbria il 3 aprile 1910174. MINO-MATOT don Albino di Giuseppe e di Catella Rosa, nato il 4 settembre 1878 a Camandona, padre filippino. ASV, classe 1891 cat. 1° matr. 31149 bis e matr. 33824. ASV, classe 1882 cat. 3° matr. 10174. 171 ASV, classe 1894 cat. 1° matr. 37623. 172 ASV, classe 1889 cat. 3° matr. 18130 e matr. 18159. Il 23 dicembre 1918 compila una memoria sulla sua attività (Pignoloni 2016, p. 293). 173 “Il Biellese”, 17 gennaio 1919. 174 ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 24795. Lebole 1987, p. 225, scrive che nel 1915 divenne Cappellano Militare. 169 170 206 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Chiamato alle armi il 1 giugno 1900 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Nuovamente nella stessa compagnia il 18 novembre 1916. Il 20 settembre 1917 si trova in territorio in stato di guerra. Il 9 dicembre 1918 inviato in licenza illimitata e il 31 prosciolto definitivamente dal servizio175. MOSCHETTO don Arduino di Franco e di Franco Quintina, nato il 24 aprile 1898 a Strona. Chiamato alle armi il 26 febbraio 1917 e assegnato al 2° Reggimento Genio il 13 marzo. L’8 agosto si trova in zona di guerra; il 24 ottobre è fatto prigioniero. Il 18 novembre 1918 rimpatriato; il 31 gennaio 1919 ritorna al Corpo con sede a Casale. L’8 gennaio 1920 mandato in congedo illimitato176. Padre Antonio Angelico Muggetti (“Il Monferrato”, 27 luglio 2017). MUGGETTI Antonio [p. Angelico OFM] di Pietro e di Rossino Maria, nato il 17 settembre 1881 a Morano sul Po, residente a Trino. Chiamato alle armi il 15 marzo 1902 e assegnato al 52° Reggimento Fanteria Alpi; l’11 settembre promosso Caporale, congedato il 19 settembre 1903. Chiamato il 25 maggio 1915 nella 2° Compagnia di Sanità, l’11 giugno giunge in zona di guerra nell’Ospedale da Campo n. 209. Nominato Cappellano Militare del 205° Reggimento Fanteria Lambro il 1° marzo 1916, il 10 ottobre 1917 è nel Battaglione d’Assalto 8° Armata, il 10 agosto 1918 nell’11° Gruppo della 1° Divisione d’Assalto. Il 4 novembre ritorna dalla zona di guerra, il giorno successivo parte per la Tripolitania da dove è rimpatriato il 10 maggio 1919. Destinato all’Ospedale Militare Principale di Alessandria il 20 maggio, è inviato in congedo assoluto177. Muore a Torino l’8 settembre 1943178. Decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Cappellano del reggimento, durante un combattimento, attraversò una zona intensamente battuta dal tiro dell’artiglieria nemica, per portarsi al posto di medicazione ove aveva saputo affluivano numerosi i feriti. Ivi, con calma e serenità, incorando i presenti, svolse in modo esemplare la sua missione, a tutti infondendo fede ed ASV, classe 1878 cat. 3° matr. 5023. ASV, classe 1898 cat. 2° matr. 2350. 177 ASA, classe 1881 cat. 1° matr. 10316. Da notare che il cognome “Muggetti”, come nel ruolo matricolare, è sempre dato come “Mugetti” nelle dispense del BU a proposito delle decorazioni conferitegli. 178 Il breve necrologio de “La Stampa”, 9 settembre 1943, lo ricorda decorato di tre Medaglie d’Argento e due di Bronzo al Valor Militare e di una al Valor Civile per aver salvato dalle fiamme una donna in Saluzzo. 175 176 207 Federico Zorio invitando tutti ad amare Iddio e la patria, noncurando il fuoco nemico che continuava ad infuriare e rendeva assai malsicuro il posto di medicazione. Monte Boscon (Asiago), 6 giugno 1916179. Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Mentre il reggimento era fatto segno ad un intenso e aggiustato bombardamento dell’artiglieria nemica, con calma e sprezzo del pericolo, portava la sua opera di soccorso e di conforto ai feriti, dando bell’esempio di forza d’animo e di cristiana virtù. Cimitero di Gorizia, 10 agosto 1916180. Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Sotto l’intenso bombardamento nemico, nei luoghi più esposti ed incurante di ogni riparo, compiva le proprie mansioni e si adoperava al salvataggio di militari rimasti travolti dal franamento di una caverna, sprezzante del pericolo e dando bell’esempio di carità cristiana e di valore. San Marco di Gorizia, 19 agosto 1917181. Medaglia d’Argento al Valor Militare, in commutazione della Medaglia di Bronzo concessagli con R.D. 25 novembre 1919182: In momenti assai critici, seguiva volontariamente le prime ondate di un reparto attaccante, e, bello esempio di coraggio, continuava poi nei giorni successivi e sempre sotto il fuoco nemico, ad esplicare la sua nobile missione, recando talora ordini e sempre volontariamente seguendo il comando sul campo dell’onore. Montello, 15-21 giugno 1918183. Medaglia d’Argento al Valor Militare: In tutte le fasi delle operazioni per la conquista della regione fra Fontigo e Soligo, partecipò sempre, in prima linea, al combattimento, animando col suo prestigio, energia e coraggio singolare, arditi e bersaglieri. Nei momenti di tregua, spiegava come sempre l’alta sua opera confortatrice e pietosa di cappellano. Falzè di Piave, 27-29 ottobre 1918184. BU, disp. n. 4, 10 gennaio 1917. BU, disp. n. 31, 24 aprile 1917. 181 BU, disp. n. 84, 28 dicembre 1918. In proposito “La Sesia”, 31 dicembre 1918: LA TERZA MEDAGLIA D’ARGENTO E LA CROCE DI CAVALIERE AD UN VALOROSO FRATE CAPPELLANO. Sappiamo che al tenente Padre Angelico Muggetti, trinese, dei Frati di Billiemme, Cappellano in un reparto di Arditi, è stata conferita sul campo una medaglia d’argento al valor militare, la terza che brilla sul suo petto, e che fu proposto per la nomina a Cavaliere della Corona d’Italia. All’eroico frate emulo nel compimento del suo ministero spirituale dei suoi Arditi per coraggio e per spirito di sacrificio le nostre vivissime congratulazioni e quello di tutti i suoi ammiratori Vercellesi e Trinesi. 182 BU, disp. n. 114, 28 dicembre 1919. 183 BU, disp. n. 55, 8 settembre 1921. 184 BU, disp. n. 21, 5 marzo 1920. 179 180 208 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra NELVA don Remo di Angelo e di Caligaris Olimpia, nato l’11 settembre 1892 a Biella. Chiamato alle armi il 22 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità il 1° dicembre. Giunge in zona di guerra il 10 maggio 1918 nella 6° Compagnia di Sanità perché assegnato all’Ospedale di Tappa di Rovigo, poi il 17 novembre all’Ospedale da Campo n. 240. Rientra dalla zona di guerra il 1° gennaio 1919; l’11 settembre mandato in congedo illimitato, perché riconosciuto permanentemente inabile al servizio militare. Muore a Biella il 25 febbraio 1935185. OGLIETTI don Giovanni di Giuseppe e di Burocco Maria, nato il 24 marzo 1884 a Tricerro. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1917 si trova in zona di guerra e rientra il 1° gennaio 1919. Congedato il 15 agosto 1919186. OTTINO don Francesco di Pietro e di Benna Margarita, nato il 17 febbraio 1875 a Pralungo. Soldato volontario di un anno nell’8° Reggimento Bersaglieri, chiamato alle armi il 1° novembre 1895. Promosso Caporale il 30 aprile 1896; Caporale maggiore il 27 ottobre e mandato in congedo illimitato; promosso Sergente il 31 ottobre. Il 26 luglio 1896 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Chiamato alle armi per mobilitazione il 16 gennaio 1917 e non giunto; dispensato “perché parroco avente cura d’anime a Pralungo”. Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1918187. OZINO don Serafino di Antonio e di Cesa Maria, nato il 4 marzo 1880 a Lessona. “Ascritto alla ferma di due anni”, chiamato alle armi il 15 marzo 1902 e assegnato al 3° Reggimento Genio Telegrafisti; congedato il 10 settembre 1903. Nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Richiamato per mobilitazione il 24 maggio 1915 nella 1° Compagnia di Sanità, giunge in zona di guerra il 20 settembre 1917. Inviato in licenza illimitata e congedato il 1° gennaio 1919188. PAGLIANO Giuseppe di Paolo e di Lupano Rosa, nato il 10 marzo 1894 a Pomaro, Fratel Gerardo delle Scuole Cristiane di Vercelli. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1915 e assegnato al 3° Reggimento Alpini, Battaglione Pinerolo. In zona di guerra il 23 maggio, promosso Caporale il 4 luglio; il 19 settembre rientra per ferite: “Riportò scottature da folgorazione al torace al braccio, avambraccio e piede sinistro durante un nubifragio sul Monte Vrsic la notte del 10.7.1915”; il 20 mandato in licenza straordinaria di giorni 60 per convalescenza. Rientrato al corpo il 17 dicembre ha una licenza straordinaria di giorni 90 per convalescenza. Il 16 giugno 1916 185 186 187 188 ASV, classe 1892 cat. 2° matr. 3564. ASV, classe 1884 cat. 1° matr. 12938. Pignoloni 2016, p. 461, lo elenca quale Aiuto-Cappellano militare. ASV, classe 1875 cat. 1° matr. 70. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 11732. 209 Federico Zorio mandato alla scuola militare. Il 12 ottobre nominato Aspirante Ufficiale di Complemento nel 3° Reggimento Alpini, Battaglione Monte Albergian. “Morto nelle trincee del Masarè per asfissia in seguito a caduta di valanga” il 21 novembre 1916189. “L’Unione” scrive: Pagliano Giuseppe, in religione Fratel Gerardo delle Scuole Cristiane, sottotenente degli Alpini da Pomaro Monferrato. Fu insegnante al nostro S. Giuseppe: soldato duramente provato sul Monte Nero per scariche elettriche, delle quali si riebbe dopo lunga degenza nell’ospedale di Pavia. Fu alla Scuola Militare di Modena, da dove uscì aspirante negli Alpini. Mentre attendeva a disseppellire dei soldati travolti da una valanga, dalla quale era appena scampato, da un’altra venne travolto, chiudendo la sua vita che tutta era stata consacrata agli alti ideali di educazione e di affetto190. PAGLIOLICO Giuseppe di Antonio e di Marchino Maria, nato il 7 novembre 1896 a Pezzana, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. Chiamato alle armi il 22 novembre 1915, nella 1° Compagnia di Sanità. Promosso Caporale il 30 giugno 1916. Giunto in zona di guerra il 12 luglio, assegnato al 255° Reggimento Fanteria Veneto l’8 marzo 1917; promosso Aspirante Ufficiale di Complemento il 12 marzo nel 256191. PASCHETTO don Felice di Valentino e di Allorto Ida, nato il 12 marzo 1881 a Cossato. Chiamato alle armi il 15 marzo 1902, volontario di un anno nel 5° Reggimento Genio Minatori. Promosso Caporale il 15 settembre, inviato in congedo il 12 marzo 1903 e promosso Sergente. Il 2 maggio 1915 nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Chiamato alle armi per mobilitazione il 24 maggio 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Congedato il 19 gennaio 1919192. PASINO Domenico di Biagio e di Opezzo Giuseppa, nato il 16 aprile 1897 a Costanzana, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. Chiamato alle armi il 21 settembre 1916 e assegnato al 73° Reggimento Fanteria Lombardia. Il 1° marzo 1917 passa al 258° Tortona e il 31 marzo promosso Caporale. Il 14 aprile giunge in zona di guerra e il 15 giugno promosso Aspirante Ufficiale di Complemento nel 67° Palermo193. PASSAGGIO Giovanni Pietro di Paolo e di Rosaschino Angela, nato il 30 dicembre 1894 a Robbio Lomellina, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. Chiamato alle armi il 7 settembre 1914, mandato rivedibile e congedato il 14. Giunto alle armi con la classe 1895, il 31 dicembre 1914 e iscritto quale Allievo Ufficiale nel 50° Reggimento Fanteria Parma. Promosso Caporale il 1° marzo 1915 e Sergente il 189 190 191 192 193 ASA, classe 1895 cat. 1° matr. 2091. “L’Unione”, 6 gennaio 1917. ASV, classe 1896 cat. 2° matr. 1174. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 11745. ASV, classe 1897 cat. 1° matr. 6409. 210 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra 1° maggio. Nominato Sottotenente di Complemento il 1° agosto e assegnato all’89° Reggimento Fanteria Salerno194. Morto il 25 settembre 1915 nel Settore Sleme-Mrzli Vrh per ferite riportate in combattimento195. “L’Unione” scrive: Né dobbiamo dimenticare un nostro chierico, il sottotenente Passaggio Giovanni di Robbio Lomellina, che nei primi mesi della avanzata italiana contro gli austriaci restava vittima del nemico a soli 22 anni, ammirato dai suoi soldati e rimpianto dai superiori e dai compagni di Seminario196. PAVESI Mario di Domizio e di Persico Clotilde, nato il 3 marzo 1897 a Vercelli, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. Chiamato alle armi il 21 settembre 1916 nel 6° Reggimento Artiglieria d’Assedio. Promosso Caporale il 20 febbraio 1917; il 29 marzo arriva in zona di guerra. Il 20 luglio è al 10° Reggimento Artiglieria da Fortezza, il 28 novembre passa all’8° Rgt. Il 4 novembre si trova in zona di armistizio. Il 7 aprile 1919 parte e viene ricoverato all’Ospedale Militare di Vercelli, da dove è dimesso il 25 dicembre. Il 20 maggio 1920 mandato in congedo197. PERAZZO don Giuseppe Soldato di Sanità, nato nel 1877 a Vercelli198. PICCO don Giacomo di Eusebio e di Dattrino Marianna, nato il 10 aprile 1881 a Vercelli. Dispensato dalla chiamata alle armi “perché Parroco avente cura di anime nel Comune di Curino” il 31 agosto 1915. Cessata la dispensa è chiamato il 20 febbraio 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Nominato Cappellano Militare e assegnato al Battaglione Val Toce del 4° Reggimento Alpini il 16 marzo; il 18 giunge in zona di guerra. Il 9 aprile 1916 trasferito alla 3° Compagnia di Sanità e assegnato all’Ospedale da Campo n. 0158 (con foglio 20657 del vescovo di campo). Parte dalla zona di guerra il 18 dicembre 1918 e mandato in licenza illimitata199. 194 195 196 197 198 199 Don Giuseppe Perazzo (1916: immagini del secondo anno di guerra, Vercelli 1990). ASP, classe 1895 cat. 1° matr. 611. Albo d’oro 1932, p. 655. “L’Unione”, 2 giugno 1917. ASV, classe 1897 cat. 1° matr. 7556. ASV, classe 1877 cat. 1° matr. 3935 e matr. 5915, manca la prima parte del ruolo matricolare. ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 8161. 211 Federico Zorio PICCO don Giovanni di Eusebio e di Dattrino Marianna, nato il 21 dicembre 1896 ad Asigliano. Chiamato alle armi il 22 novembre 1915 nella 1° Compagnia di Sanità e aggregato all’Ospedaletto da Campo n. 157. Parte per la zona di guerra il 18 giugno 1916. Il foglio matricolare precisa che “prese parte agli avvenimenti che si svolsero nell’ottobre 1917”. Passa alla 2° Compagnia di Sanità e assegnato all’Ospedale da Campo n. 025 il 20 febbraio 1918; trasferito alla 10° Compagnia perché alla 76° Sezione di Sanità il 13 luglio. Il 19 agosto è all’Ospedale Militare Principale di Napoli. Rientra dalla zona di guerra il 7 agosto 1919 e congedato il 19 dicembre200. PIFFERI don Antonio di Giovanni. Tenente Cappellano 3° Reggimento Artiglieria da Montagna, nato il 15 giugno 1888 a Fontanelice, morto il 26 settembre 1918 nell’Ospedaletto da Campo n. 176 per malattia201. “L’Unione” scrive: Il valore e la morte di un Cappellano militare. Il Cap. dott. Nino Salamano ci scrive: Ill.mo Signor Direttore, Onde sia conosciuto lo spirito di sacrificio e l’alto sentimento del dovere che i Cappellani militari continuamente dimostrano, a Lei comunico con dolore e con orgoglio la morte del mio Cappellano Pifferi D. Antonio. Visse da santo, morì da eroe. Fu da me proposto per la medaglia d’argento al valor militare onde onorare la memoria di un valoroso che mai tremò davanti ai fucili e trovò gloriosa morte sul campo dell’onore. Ossequi. Il Capitano Medico Direttore Dott. Nino Salamano202. PILETTA don Giovanni di Francesco e di Perazzo Angela, nato il 4 dicembre 1880 a Vercelli. Soldato volontario di un anno il 26 marzo 1900 nel 69° Reggimento Fanteria Ancona. Promosso Caporale il 30 settembre e il 26 marzo 1901 mandato in congedo. Richiamato il 24 maggio 1915 nella 1° Compagnia di Sanità, il 15 ottobre nominato Cappellano Militare e assegnato all’Ospedale Militare di Riserva di Vercelli. Il 20 settembre giunge in zona di guerra e vi riparte il 2 gennaio 1919; congedato il 18 febbraio203. ASV, classe 1896 cat. 1° matr. 4684. Laureato in teologia e filosofia, è insegnante nei Seminari Diocesani e, dal 1927 al 1936, al Liceo Classico “Lagrangia” di Vercelli. Parroco di Asigliano (19361940), vicario della parrocchia di Santa Maria Maggiore di Vercelli, Vicario Generale dell’Archidiocesi di Vercelli (1956). Nel 1962 Giovanni XXIII lo nomina vescovo titolare di Anea con deputazione di ausiliare dell’arcivescovo di Vercelli (Dattrino 1985, p. 249). Muore il 14 agosto 1984 a Vercelli presso l’Istituto delle Suore Figlie di Sant’Eusebio, dove era ospite (“L’Eusebiano tra cronaca e storia speciale 60° 1929-1989”, p. 44). Riposa nella cappella centrale del cimitero di Oropa (“Il Biellese”, 28 agosto 1984). 201 Albo d’oro 1930, p. 628. 202 “L’Unione”, 12 ottobre 1918. 203 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 8663. 200 212 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra PIVANO don Antonio di Melchiorre e di De Lorenzi Anna, nato il 15 ottobre 1885 a Pollone. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Parte per la zona di guerra il 20 settembre 1917 e rientra il 1° gennaio 1919. Inviato in congedo temporaneo perché “Ministro di culto con cura d’anime” l’8 marzo 1919; viceparroco a Vigliano Biellese; congedato il 15 agosto dello stesso anno204. PIVANO don Serafino di Carlo e di Silmo Giuseppa, nato il 13 maggio 1899 a Sordevolo. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1918 e assegnato al 92° Reggimento Fanteria Basilicata; lo stesso giorno giunge in zona di guerra. Il 29 marzo promosso Caporale ed entra nell’Ospedale Militare di Verona. Congedato l’8 gennaio 1920205. PIVANO don Tommaso Bernardo di Lorenzo e di Gamba Teresa, nato il 15 febbraio 1880 a Biella. Chiamato alle armi il 13 marzo 1902 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Promosso Caporale aiutante di Sanità il 30 giugno 1903 e congedato il 15 settembre. Richiamato il 24 maggio 1915, mandato in convalescenza, rientra al Corpo il 26 maggio 1917 e il 15 novembre parte per la zona di guerra. Rientra il 1° gennaio 1919 e congedato il 15 agosto206. POZZO DEL MONSÙ don Luciano Luigi di Antonio e di Rota Giuseppina, nato l’8 dicembre 1884 a Candelo. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 e il 5 marzo assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra l’11 maggio nell’Ospedale da Campo n. 207. Il 21 novembre 1917 va nella 2° Compagnia di Sanità perché assegnato all’Ospedale da Campo n. 0141. Il 24 dicembre 1918 ritorna dalla zona di guerra e mandato in licenza illimitatata. Il 15 agosto 1919 congedato207. PUGNO don Giuseppe di Pietro e di Novaretti Agata, nato il 18 dicembre 1872 a Sordevolo. Chiamato alle armi e giunto per anticipazione il 26 dicembre 1892; il 28 assegnato all’11° Reggimento Fanteria Casale, plotone allievi ufficiali. Caporale il 26 gennaio 1893 e designato per la ferma di due anni. Sergente il 26 dicembre, continuando nella ferma contratta. Il 16 giugno 1894 inviato in licenza illimitata in attesa della nomina a Sottotenente. Il 12 luglio nominato Sottotenente di Complemento208. Su “Il Biellese” si legge: 204 205 206 207 208 ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 14600. Nel 1919 viene nominato parroco di Cossato. ASV, classe 1899 cat. 3° matr. 2669. Parroco di Pollone dal 1932 al 1962. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 11493. ASV, classe 1884 cat. 3° matr. 12593. ASV, classe 1872 cat. 1° matr. 551. 213 Federico Zorio Da Tenente-Cappellano Militare a Capitano dell’Esercito. Abbiamo da SORDEVOLO: Il Teol. Pugno Giuseppe, già Cappellano Militare dell’Ospedale da campo 204209, aderendo all’invito del Vescovo Castrense ha fatto domanda ed ha ottenuto di riavere nell’esercito il suo posto di Capitano per lasciare l’attuale sua posizione di cappellano militare del suo Ospedale ad altri sacerdoti, che potranno così avere una posizione più adatta al ministero sacerdotale. Ora il Teol. Pugno è Capitano d’ispezione all’Ospedale Principale di Torino. Plaudiamo all’atto suo generoso, ed auguriamo che abbia a continuare a compiere nel campo civile e militare quel bene che ha già fatto per la Patria quale Cappellano del 204210. QUAGLINO don Carlo di Pietro e di Cavaglià Lucia, nato il 20 settembre 1898 a Cerrione. Chiamato alle armi il 26 febbraio 1917 e il 9 marzo assegnato al deposito del 74° Reggimento Fanteria Lombardia. Il 27 maggio riformato con determinazione della direzione dell’ospedale di Savigliano per punta d’ernia inguinale destra e congedato il 3 giugno211. QUAZZA don Vincenzo di Fiorenzo e di Maron Pot Maria, nato il 15 aprile 1882 a Mosso Santa Maria212. Chiamato alle armi il 24 marzo 1903 nella 1° Compagnia di Sanità; il 30 novembre promosso Caporale e 18 settembre 1904 mandato in congedo. Il 1° ottobre 1913 è in servizio in qualità di Cappellano in Libia. Già viceparroco della fraz. Riabella di San Paolo Cervo, è richiamato il 24 maggio 1915 e il 27 nominato Cappellano Militare dell’Ospedale da Campo n. 012; lo stesso giorno arriva in zona di guerra. Ritorna il 30 marzo 1919 e collocato in congedo il 15 agosto213. RAIMONDO don Carlo di Antonio e di Zerbola Teresa, nato il 19 settembre 1883 a Roppolo. Chiamato alle armi il 29 marzo 1904 nella 1° Compagnia di Sanità. Il 15 ottobre è promosso Caporale infermiere e il 15 ottobre 1905 mandato in congedo. Richiamato il 24 maggio 1915, è nominato Cappellano Militare e aggregato il 7 giugno all’Ospedale da Campo n. 013 in zona di guerra. Il 29 ottobre 1917 è al 20° Reggimento Bersaglieri e il 29 gennaio 1918 al 79° Reggimento Fanteria Roma. Il 24 febbraio 1918 ritorna all’Ospedale da Campo n. 013 e rientra dalla zona di guerra. Mandato in licenza illimitata il 28 aprile 1919 e congedato il 16 agosto214. A Torre di Zuino. “Il Biellese”, 28 gennaio 1916. 211 ASV, classe 1898 cat. 1° matr. 10537. 212 ASV, manca il ruolo matricolare. Fratello del maggiore Renato Quazza, caduto sul Montello il 19 giugno 1918 e decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. 213 ASV, classe 1882 cat. 1° matr. 13895 e matr. 15111. A guerra finita, narra le sue esperienze in una relazione inviata a Roma e pubblicata in Pignoloni 2014, p. 676. 214 ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 15487. 209 210 214 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra RAMELLA-BENNA don Achille di Giacomo e di Coda Cap Anna, nato il 13 gennaio 1891 a Cossila. Chiamato alle armi il 21 novembre 1915 e assegnato il 1° dicembre alla 1° Compagnia di Sanità. Il 1° giugno 1916 parte per la zona di guerra assegnato all’Ospedale da Campo n. 156. Il 26 novembre 1918 cessa di trovarsi in zona di guerra per armistizio. Il 28 luglio 1919 va all’Ospedale di Tappa di Udine. Il 24 agosto mandato in congedo illimitato215. RANCO don Giuseppe di Albino e di Bodo Maddalena, nato il 1° gennaio 1887 a Caresana. Chiamato alle armi il 6 novembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia Sanità. Promosso Caporale il 30 giugno 1916, giunge in zona di guerra il 12 luglio 1916. Il 27 settembre va al 77° Reggimento Fanteria Toscana; riparte dalla zona di guerra il 4 novembre 1918; mandato in licenza illimitata il 1° aprile 1919 e congedato il 15 agosto216. Decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Durante un violento combattimento, sprezzante del pericolo, raccoglieva i feriti soccorrendoli e confortandoli. Venendo a mancare l’ufficiale medico, assumeva la direzione del posto di medicazione, assicurandone il buon funzionamento fino a sera, malgrado il violento tiro della artiglieria e della fucileria. M. Spil, 5 dicembre 1917217. “La Sesia” scrive: Un valoroso Cappellano decorato di medaglia di bronzo. Caresana, 11 settembre 1918. È ripartito per il fronte, dopo aver goduto della licenza estiva, il Cappellano militare tenente Ranco Don Giuseppe, fregiato della medaglia di bronzo alcuni giorni prima di ritornare in famiglia. La cerimonia per la consegna ebbe luogo in un paesetto del Veronese, ed assunse un carattere commovente, ché il bravo Cappellano celebrò prima la messa davanti alle autorità civili e militari. Al valoroso soldato e degnissimo sacerdote da tre anni alla fronte e da un anno appartenente alla gloriosissima brigata “Lupi”, che seppe così altamente e nobilmente adempiere il suo santo dovere, sia di giusto orgoglio l’ambita ricompensa e l’ammirazione di quanti hanno la fortuna di conoscere ed apprezzare le sue altissime doti di mente e di cuore […]218. RASO don Vittorio di Antonio e di Grandi Rosa, nato il 3 aprile 1879 a Vercelli. Il 15 settembre 1899 ammesso al volontariato di un anno nel 45° Reggimento Fanteria Reggio, con l’obbligo di presentarsi alle armi il 1 novembre nel 69° Reggimento Ancona. Il 30 aprile 1900 promosso Caporale e il 31 ottobre Sergente; in tale data mandato in 215 216 217 218 ASV, classe 1891 cat. 3° matr. 19097. ASV, classe 1887 cat. 3° matr. 16386. BU, disp. n. 43, 20 giugno 1919. “La Sesia”, 13 settembre 1918. 215 Federico Zorio congedo illimitato. Il 14 ottobre 1904 trasferito nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Richiamato il 24 maggio 1915; il 20 settembre si trova in zona di guerra. Rientra il 1 gennaio 1919 e viene prosciolto dal servizio219. RATTAZZI Artemio di Lorenzo (fratel Artemio delle Scuole Cristiane). Sottotenente di Complemento al 231° Reggimento Fanteria Avellino, nato il 17 giugno 1893 a Montaldo Scarampi, morto il 2 giugno 1918 a Roncade nell’Ambulanza Chirurgica d’Armata n. 6 per ferite riportate in combattimento220. “L’Unione” scrive: Caduto per la Patria. I Fratelli delle Scuole Cristiane furono provati di questi giorni dalla perdita del loro diletto Fratello Artemio (Rattazzi Artemio), puro olocausto sull’altare della Patria. Egli cadde - venticinquenne - il 2 giugno u. s. per ferita all’occhio da scheggia di granata, riportata combattendo sulle rive oggi sacre del Piave221. RAVETTI don Giovanni di Giuseppe e di Mosca Adelaide, nato il 15 luglio 1881 a Casanova Elvo. Il 26 settembre 1901 ammesso al volontariato di un anno nel 23° Reggimento Fanteria Como, con l’obbligo di presentarsi alle armi il 1 dicembre. Il 31 maggio 1902 promosso Caporale; il 18 settembre passa al 25° Reggimento Bergamo. Mandato il licenza straordinaria in attesa del congedo illimitato il 15 novembre. Il 20 promosso Sergente e mandato in congedo. Il 17 aprile 1905 inserito nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Richiamato alle armi il 24 maggio 1915; inviato in congedo illimitato il 18 gennaio 1919222. REY don Ernesto di Giuseppe e di Depetro Beatrice, nato il 23 giugno 1890 a Bioglio. “Giunto al distretto quale aspirante allievo ufficiale di complemento il 22 settembre 1910 e mandato rividibile alla ventura leva”. “Ascritto alla ferma di un anno”, chiamato alle armi il 10 settembre 1912 e il 19 assegnato al 3° Reggimento Genio Telegrafisti; parte per la Tripolitania e Cirenaica il 30 maggio 1913 rientrando il 28 novembre. Richiamato il 4 gennaio 1915, il 2 giugno è al fronte; fatto prigioniero il 4 settembre 1917, rientra dalla prigionia il 25 novembre 1918 e mandato nel campo per prigionieri di Gossolengo. Congedato il 20 agosto 1919223. RIGOLA don Luigi di Giovanni e di Gagna Luigia, nato l’8 ottobre 1882 a Cerrione. “Dispensato dalla chiamata alle armi per mobilitazione perché parroco della parrocchia di S. Giorgio a Vergnasco (Cerrione)” il 10 luglio 1916224. 219 220 221 222 223 224 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 7406. Albo d’oro 1935, p. 655. “L’Unione”, 22 giugno 1918. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 10728. ASV, classe 1890 cat. 1° matr. 30230 e classe 1892 cat. 1° matr. 31651. ASV, classe 1882 car. 3° matr. 10353. 216 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra RIVARDO-MARCHEIS don Ismaele di Enrico e di Dano Petronilla, nato il 1 agosto 1881 a Cossato. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1917 si trova in zona di guerra. Il 5 aprile 1918 è denunciato al Tribunale di Guerra di Torino per il reato previsto dall’art. 1 del Decr. L. 4 ottobre 1917 n. 1561 (concernente la repressione di fatti pregiudizievoli all’interesse nazionale), e il 10 “messo nella prigione del Corpo in attesa di giudizio”. Successivamente “assolto dal reato ascrittogli per non provata reità, con sentenza del Trib.le di Guerra di Torino in data 18 giugno 1918”. Il 1 gennaio 1919 cessa di trovarsi in zona di guerra e il 18 inviato in licenza illimitata; il 15 agosto congedato225. ROBERTO teol. Giacomo di Andrea e di Malinverni Maria, nato il 6 ottobre 1890 a Vercelli. “Ritenuto idoneo per servizi sedentari”. Chiamato alle armi il 28 aprile 1916 e il 15 maggio assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Trattenuto alle armi per mobilitazione il 29 ottobre 1916; il 20 settembre 1917 si trova in zona di guerra. Il 4 novembre 1918 è nella zona di armistizio sulla fronte italiana. Cessa di trovarsi in territorio di guerra e parte dalla zona di armistizio il 1° gennaio 1919. Il 14 agosto mandato in licenza illimitata e il 15 in congedo illimitato226. RONCO don Edoardo di Carlo e di Becchio Domenica, nato il 9 agosto 1884 a Torino, residente a Biella. Chiamato alle armi il 16 luglio 1916 ed assegnato alla 1° Compagnia di Sanità il 18. Mandato in congedo illimitato il 27 dicembre 1919227. RONDI Bernardino di Ernesto e di Bonardi Severina, nato il 14 febbraio 1894 a Cossato, chierico del Seminario Diocesano di Biella. Chiamato alle armi il 31 dicembre 1914, con la sua classe, e avviato al corso Allievi Ufficiali. Promosso Caporale il 21 marzo 1915, Sergente il 1° maggio. Nominato Sottotenente di Complemento il 1° agosto 1915 nel 13° Reggimento Fanteria Pinerolo, cade in combattimento il 22 ottobre sul Monte Sei Busi228. “Il Biellese” scrive: Sottotenente Bernardino Rondi di Cossato. Il 10 corr. Il Sindaco di Cossato riceveva il seguente telegramma: “Immenso dolore partecipasi che Sottotenente Rondi Bernardino cadde combattendo 22 ottobre ultimo scorso. Pregasi dovuti riguardi darne partecipazione famiglia interessata. Colonnello 13° Fanteria MOLINA”229. ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 8838. ASV, classe 1890 cat. 2° matr. 2731. 227 AST, classe 1884 cat. 3° matr. 20237. Nel dopoguerra nominato parroco di Tavigliano. Muore il 6 gennaio 1946 a Biella presso la Casa della Divina Provvidenza, dove si trovava per motivi di salute dal 1938 (“Il Biellese”, 11 gennaio 1946). 228 ASV, classe 1894 cat. 1° matr. 35939. 229 “Il Biellese”, 12 novembre 1915. 225 226 217 Federico Zorio ROSETTA don Carlo di Francesco e di Massa Clara, nato il 5 luglio 1881 a Tricerro. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e il 9 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 10 aprile 1916 “dispensato dalla chiamata perché Ministro di Culto religioso avente cura di anime”. Il 10 maggio richiamato alle armi e destinato all’ospedale Militare Succursale di Vercelli, “essendo stato dispensato per errore”. Il 18 marzo 1917 arriva in zona di guerra e aggregato all’Ospedale da Campo n. 087. Il 20 luglio 1918 è alla 5° Compagnia di Sanità perché nell’Ospedale da Campo n. 0163. Il 19 dicembre 1918 rientra dalla zona di guerra e ritorna alla 1° Compagnia di Sanità; esonerato dal servizio il 31 dicembre 1920230. ROSSI mons. Carlo di Carlo Giuseppe e di Vivalda Maria Teresa, nato il 1 marzo 1890 a Torino. Chiamato alle armi il 27 novembre 1915 e il 15 dicembre assegnato alla 1° Compagnia Sanità (Aiutanti). Il 20 settembre 1917 si trova in territorio in stato di guerra. Il 1° gennaio cessa di trovarsi in territorio in stato di guerra. Il 17 luglio inviato in congedo temporaneo “perché Ministro di culto di avvenimento”. Il 26 aprile 1923 inscritto nella forza in congedo231. ROSSO don Giacomo di Carlo e di Pigino Maria, nato il 21 aprile 1881 a Palazzolo Vercellese. Il 24 novembre 1901 ammesso al volontariato di un anno nel 60° Reggimento Fanteria Calabria, con l’obbligo di presentarsi alle armi il 1° dicembre. Il 31 maggio 1902 promosso Caporale; il 18 settembre passa al 25° Reggimento Bergamo. Mandato il licenza straordinaria in attesa del congedo illimitato il 15 novembre. Il 30 viene mandato in congedo. L’8 marzo 1904 inserito nella 1° Compagnia di Sanità “siccome ministro di culto religioso”. Richiamato alle armi il 24 maggio 1915, inviato in licenza illimitata il 1 gennaio 1919 e congedato il 18232. RUSTICONI mons. Carlo di Antonio e di Carassale Adalcisa, nato il 18 agosto 1886 a Alessandria. “Tale avente diritto a dispensa dalla chiamata per mobilitazione siccome impiegato Croce rossa il 25 ottobre 1915; dispensato dalla chiamata suddetta siccome impiegato Croce Rossa Italiana il 6 novembre 1915; inviato in licenza illimitata il 20 marzo 1919; deceduto l’8 marzo 1945233. Nel settembre 1915 entrò come Cappellano della Croce Rossa Italiana, prima in un ospedale di Vercelli, poi su uno dei treni ospedali in zona di guerra, quindi in ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 9272. AST, classe 1890 cat. 1° matr. 47995. Un’ampia biografia di Carlo Rossi, poi vescovo di Biella (1936-1972) si legge in Lebole 1985, pp. 416-424. Innumerevoli sono stati i suoi interventi verso le due parti in lotta nel Biellese (partigiani e nazifascisti) durante la seconda guerra mondiale. 232 ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 11274. 233 ASA, classe 1886 cat. 3° matr. 13812. 230 231 218 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Mons. Carlo Rusticoni (Mons. Carlo Rusticoni, Vicario Generale Militare, nel cinquantenario della morte 1945-1995, Trino 1995). un ospedale di Torino. Nel dopoguerra rivestì la carica di Vicario dell’Ordinariato Militare per l’Italia dal 1° luglio 1926, in seguito alla emanazione della legge 11 marzo 1926 n. 417 istitutiva del servizio religioso presso le Forze Armate dello Stato. Assimilato dapprima al grado di Colonnello, fu poi assimilato al grado di Generale di Brigata per effetto della nuova legge 16 gennaio 1936 n. 77. Tale carica la mantenne fino alla morte. Venne sepolto nella cripta della Chiesa di Santa Caterina in Magnanapoli, sacrario dei Caduti romani, fortemente voluto da lui che, dopo un anno di intenso lavoro, fu inaugurata il 4 novembre 1933234. SANDRI don Angelo di Vittorio e di Bettone Felicita, nato il 12 aprile 1886 a Robbio Lomellina. Chiamato alle armi il 3 agosto 1915 e assegnato alla 2° Compagnia di Sanità; il 15 settembre promosso Caporale e il 1° marzo 1916 va in zona di guerra presso l’Ospedale da Campo n. 084. Il 15 giugno passa al 50° Reggimento Artiglieria da Campagna e promosso Cappellano Militare. Il 1° gennaio 1919 cessa di trovarsi in zona di guerra e il 15 è all’Ospedaletto n. 004. Il 15 agosto mandato in congedo illimitato235. Ebbe un Encomio Solenne tributato con Decreto Luogotenenziale 2 agosto 1917236: Don Angelo Sandri (F. Crispolti, Il Carroccio nuovissimo, Milano 1918). Con serenità, ardimento e abnegazione portò la sua opera di soccorso ai feriti, incurante del fuoco delle artiglierie avversarie. Merna, 2 ottobre 1916. 234 Rusticoni 1995, p. 5. Don Carlo Rusticoni nel 1917 risulta aderente per la diocesi di Vercelli all’associazione sacerdotale “Viribus Unitis”, antesignana della FACI, con la qualifica di “Capp[ellano] Croce Rossa Vercelli” (Quaranta 2013, p. 179). 235 ASP, classe 1886 cat. 3° matr. 15317. Prima della guerra è viceparroco di Crevacuore; nel dopoguerra insegnante elementare a Occhieppo Inferiore. 236 BU, disp. n. 60, 10 agosto 1917. 219 Federico Zorio Croce di Guerra al Valor Militare237: In momenti in cui non era richiesta l’opera sua, piuttosto che rimanere passivo spettatore degli avvenimenti, si offriva per osservare dalla battuta trincea i movimenti nemici, dando esempio di militare ardimento. - Monte Oro (Monte Grappa), 15 giugno 1918. SAPELLANI Angelo di Severino e di Massino Agnese, nato il 6 marzo 1894 a Biella, chierico del Seminario Diocesano di Biella. Giunto alle armi e iscritto in qualità di Allievo Ufficiale nel 49° Reggimento Fanteria Parma. Promosso Caporale il 1° marzo 1915 e Sergente il 1° maggio. Parte per la zona di guerra il 24 maggio; nominato Sottotenente di Complemento nel 141° Reggimento Fanteria Catanzaro il 1° agosto. Cade il 3 giugno 1916 sull’Altipiano di Asiago238. “Il Biellese” lo ricorda: Morì sul monte Cengio in seguito ad una ferita gravissima che riportò in un assalto. Il due giugno scrisse l’ultima sua cartolina alla famiglia; diceva: ‘Non temete per me […]’. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, ferito, venne ricoverato in un ospedaletto da campo ove spirò. Angelo Sapellani era chierico di teologia del Seminario di Biella239. Medaglia d’Argento al Valor Militare: Aiutante maggiore di un battaglione, per riconoscere l’entità di un repentino attacco del nemico apparso in un bosco, si spingeva innanzi, riuscendo col suo mirabile ardimento ad evitare ogni sorpresa al proprio reparto. Lasciava gloriosamente la vita sul campo. Monte Cengio, 3 giugno 1916240. SASSI don Alfredo di Giovanni e di Rastelli Rosa, nato il 24 ottobre 1888 a Vercelli. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 16 giugno e aggregato alla 48° Sezione di Sanità. Nominato Cappellano Militare il 2 giugno 1917 e assegnato al 269° Reggimento Fanteria Aquila. Rientra dalla zona di guerra il 4 novembre 1918 e aggregato al 265° Reggimento Fanteria Lecce; il 1° aprile 1919 s’imbarca a Napoli per la Tripolitania e Cirenaica. Il 29 ottobre rientra in Italia e sbarca a Taranto. Il 15 febbraio 1920 mandato in congedo illimitato241. Croce di guerra al Valor Militare: Disimpegnò i doveri del suo ministero dando bell’esempio di virtù militare e di abnegazione. Ortigara-Bainsizza, giugno-settembre 1917. Piave, giugno 1918242. 237 238 239 240 241 242 BU, disp. n. 9, 12 febbraio 1926. ASV, classe 1895 cat. 1° matr. 1469. “Il Biellese”, 4 luglio 1916. BU, disp. n. 35, 15 maggio 1917. ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 23891 e matr. 25405 bis. BU, disp. n. 1, 4 gennaio 1927. 220 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra “L’Unione” scrive: Nuovo Cappellano Militare. Il giovane sacerdote Sassi D. Alfredo, nostro concittadino, da un anno sotto le armi, è stato di questi giorni promosso Cappellano Militare243. SASSO don Giuseppe di Giovanni e di Andino Rosa, nato il 29 luglio 1888 a Vercelli. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 12 luglio nella 6° Compagnia di Sanità, con la 11° Sezione di Sanità. Nominato Cappellano Militare il 7 novembre e assegnato al 91° Raggruppamento da Montagna e l’11 luglio 1918 al 53° Reggimento Artiglieria da Campagna. Rientra dalla zona di guerra il 28 agosto 1919 e va nel Campo prigionieri di guerra di La Mandria-Chivasso. Il 18 gennaio 1920 si trova all’Ospedale Militare Principale di Torino. Il 28 febbraio mandato in congedo illimitato. Muore a Vercelli il 2 febbraio 1928244. “L’Unione” scrive: Nuovo Tenente-Cappellano. L’amico D. Giuseppe Sasso, già soldato di Sanità al fronte dal principio della guerra, fu in questi giorni promosso Tenente-Cappellano dell’11 Raggruppamento Artiglieria da montagna. All’amico carissimo congratulazioni vivissime ed auguri di bene245. SCAGLIA don Giuseppe di Cesare e di Fileppo Casera Luigia, nato il 13 ottobre 1888 a Portula. Chiamato alle armi il 28 aprile 1916 nella 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 12 luglio, assegnato all’11° Sezione di Sanità della 6° Compagnia. Rientra dal territorio di guerra il 30 giugno 1919 e il 15 agosto mandato in congedo246. SCAGLIOTTI don Giuseppe di Giovanni e di Magnetti Giovanna, nato l’11 ottobre 1886 a Costanzana. Chiamato alle armi il 25 ottobre 1910 nella 1° Compagnia di Sanità, congedato il 3 settembre 1911. Richiamato alle armi il 10 maggio 1915, il 24 maggio, nominato Cappellano Militare e assegnato al 161° Reggimento Fanteria Ivrea, parte per la zona di guerra. Il 21 giugno 1916 è all’Ospedale da Campo n. 131. Il 9 luglio rientra alla sede della 1° Compagnia di Sanità. Il 25 agosto 1919 ritorna dalla zona di guerra e mandato in congedo illimitato247. “La Sesia” scrive: L’atto eroico di un Cappellano militare di Costanzana. Costanzana, 13 dicembre 1918. Sono lieto di poter annunziare dalle colonne della Sesia l’atto eroico di un mio compaesano, il tenente padre Antonino di qui, già decorato di croce al merito 243 244 245 246 247 “L’Unione”, 16 giugno 1917. ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 25421 bis. “L’Unione”, 17 novembre 1917. ASV, classe 1888 cat. 1° matr. 25351 bis. ASV, classe 1886 cat. 1° matr. 22136 bis e classe 1887 cat. 1° matr. 21486. 221 Federico Zorio di guerra. Con ordine del giorno n. 28 del 29 ottobre 1918, il capitano medico Maccabruni, direttore di un Ospedaletto da campo partecipava al personale dipendente: Mi è grato segnalare all’ammirazione di tutti i militari dipendenti il gesto del Cappellano militare di questo Ospedaletto, Scagliottti don Giuseppe Antonino, il quale spontaneamente offriva il proprio sangue per la trasfusione ad un soldato ferito grave. Il cap. medico: Maccabruni248. SECCHIA don Riccardo di Francesco e di Marucchi Priore Rosa, nato il 17 marzo 1885 a Masserano. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 21 settembre e aggregato all’Ospedale da Campo n. 13; il 27 ottobre 1917 è nel deposito convalescenza e tappa di Treviglio. Nominato Cappellano Militare il 28 gennaio 1918 del 267° Reggimento Fanteria Caserta. Il 4 novembre 1918 cessa di essere in territorio di guerra. Il 28 febbraio 1919 è al 201° Reggimento Sesia e congedato il 15 agosto249. “L’Unione” scrive: Assistenti di Circoli fatti Cappellani M. […] Ora ci allieta l’animo la notizia che tale promozione è toccata anche al Sac. Riccardo Secchia che fu prima Assistente Eccl. del Circolo di Lozzolo, allora fiorente, e poi di quello di Caresana, dove era viceparroco250. SERENO don Andrea di Antonio e di Forgnone Adelaide, nato il 14 dicembre 1881 a San Giuseppe di Casto [Andorno Micca]. Chiamato alle armi il 27 dicembre 1916 e il 16 gennaio 1917 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 31 maggio è “dispensato dalla chiamata alle armi per mobilitazione perché Ministro di Culto Religioso avendo cura di anime”251. SERRATRICE don Mario di Felice e di Boratto Maddalena, nato il 7 aprile 1885 a Mongrando. Chiamato alle armi il 24 febbraio 1916 e soldato nella 1° Compagnia di Sanità. Giunge in zona di guerra il 20 settembre 1917. “Esonerato dal servizio effettivo sotto le armi fino a nuovo ordine” il 24 dicembre 1918. Inviato in licenza illimitata il 5 marzo 1919, congedato il 15 agosto252. Don Mario Serratrice (A. S. Bessone, I cinquecento Canonici di Biella, Biella 2004). 248 249 250 251 252 “La Sesia”, 17 dicembre 1918. ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 14557. “L’Unione”, 16 febbraio 1918. ASV, classe 1881 cat. 1° matr. 12448. ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 14224. 222 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra SQUILLARIO Secondino di Pietro e di Vaglio Tanet Modesta, nato il 4 giugno 1895 a Piatto, chierico del Seminario Diocesano di Biella. Chiamato alle armi il 12 novembre 1914 e assegnato al 58° Reggimento Fanteria Abruzzi; al fronte il 23 maggio 1915; il 1° settembre promosso Caporale nella sezione treno della 4° Divisione, il 1° ottobre 1916 Caporale maggiore, il 10 giugno 1918 Sergente. Muore il 17 ottobre 1918 all’Ospedale di Tappa di Brescia per malattia253. “Il Biellese” scrive: Avvertita telegraficamente dello stato grave del figlio, la madre partì immediatamente, con la sorella, e giunse in tempo per vederlo, parlargli e assistere alla sua morte. Il Sergente SECONDINO SQUILLARIO di Pietro, nativo di Piatto, chierico nel Seminario di Biella, spirava giovedì in un ospedale di Brescia, confortato da quella religione254. TARELLO don Carlo di Giuseppe e di Berdoati Maria, nato il 23 maggio 1877 a Viverone255. “Il Biellese” scrive: LESSONA - È stata appresa con vivo piacere dagli amici la notizia che il Colonnello di S. M. ha tributato l’encomio solenne al Capitano Carlo Tarello con la seguente motivazione: “Comandante di una colonna carreggio e salmerie, durante l’intenso lavoro relativo alla vittoriosa avanzata delle nostre truppe, esplicò attività e zelo per la miglior utilizzazione dei mezzi a sua disposizione”. Messo all’ordine del giorno n. 11 del 21 novembre 1918 - Direzione delle Armate del Grappa - con firma del Colonnello Di Biase […]. Noi ci rallegriamo col caro amico e collega, poiché il Capitano Tarello è precisamente il simpatico D. Carlo Tarello, insegnante municipale a Lessona, che da poco ha lasciato la gloriosa divisa militare dopo cinque anni di attivo servizio256. TATA don Angelo di Angelo e Ferraris Isabella, nato il 1° luglio 1889 a Vercelli. Chiamato alle armi il 29 aprile 1916 nella 1° Compagnia di Sanità e aggregato all’Ospedale da Campo n. 088. Nominato Cappellano Militare e assegnato all’Ospedale da Campo n. 0154. Il 30 agosto 1917 è al 49° Reggimento Fanteria Parma. Rientra dalla zona di guerra il 27 febbraio 1920 e mandato in congedo257. ASV, classe 1895 cat. 2° matr. 3. “Il Biellese”, 22 ottobre 1918. 255 Anagrafe del Comune di Viverone. Di lui “Il Biellese”, 1 agosto 1930, scrive: “[…] diplomandosi Maestro elementare e assolvendo anche il compito non lieve di assistente dei giovani del Seminario Minore. Ventenne, fu aiutante e degno ufficiale di Complemento di Artiglieria. Ordinato Sacerdote, dopo brevissma permanenza a San Giovanni di Andorno, era stato nominato maestro a Lessona […]. Richiamato durante la guerra Europea, col grado di Capitano di Artiglieria, venne addetto al comando di una colonna munizioni. Ritornò poi colla pace alla sua adottiva Lessona, a continuare la sua benefica opera di educatore cristiano”. 256 “Il Biellese”, 9 maggio 1919. 257 ASV, classe 1889 cat. 1° matr. 27459 bis e matr. 28978. 253 254 223 Federico Zorio TAVERNA don Ernesto di Pietro e di Corte Carolina, nato il 6 giugno 1880 a Chiavazza. Chiamato alle armi il 25 aprile 1916 e il 29 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità in Torino. Collocato in congedo illimitato il 15 agosto 1919258. UBERTALLI-CARBONINO don Amato di Giuseppe e di Bozzalla Gros Luigia, nato il 1° maggio 1881 a Portula. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e soldato nella 1° Compagnia di Sanità. Si trova in territorio di guerra dal 20 settembre 1917 al 1° gennaio 1919. Congedato il 15 agosto 1919259. UBERTALLI-CARBONINO don Flaminio di Giuseppe e di Bozzalla Gros Luigia, nato il 24 novembre 1877 a Portula. Chiamato alle armi il 29 marzo 1900 e il 5 aprile assegnato al 44° Reggimento Fanteria Forlì. Mandato in congedo illimitato per anticipazione il 15 settembre. Il 6 giugno 1908 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità “siccome Ministro di culto religioso”. Chiamato alle armi il 24 maggio 1915260. UBERTALLI don Giacomo di Alessandro e di Calliano Clara, nato il 5 dicembre 1879 a Coggiola. Chiamato alle armi il 1° dicembre 1904 nel 5° Reggimento Genio Minatori. Il 31 maggio 1905 promosso Caporale. Promosso Sergente il 30 novembre e congedato. Richiamato il 18 agosto 1915; il 1° maggio 1917 inviato al Deposito Aeronautico, il 1° settembre promosso Sergente maggiore. Il 23 dicembre prosciolto dal servizio e inviato in congedo261. UGLIENGO mons. Umberto di Erminio e di Guala Olinda, nato il 2 luglio 1883 a Valdengo. Chiamato alle armi il 12 marzo 1918, ma “dispensato dalla chiamata perché Vicario Generale nella Diocesi di Casale”. Collocato in congedo e prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1920262. VALLIVERO don Guido di Giuseppe e di Ressia Maria, nato l’8 giugno 1894 a Ponderano. Chiamato alle armi il 24 maggio 1915, giunto in zona di guerra e assegnato all’Ospedale da Campo n. 07. Il 5 giugno 1918 è nell’11° Reggimento Fanteria Casale. Rientrato dalla zona di guerra e ricoverato all’Ospedale Militare il 24 novembre 1918. Il 12 settembre 1919 mandato in congedo263. ASV, classe 1880 cat. 3° matr. 7256. ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 9014. 260 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 8359. 261 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 8379. 262 ASV, classe 1883 cat. 1° matr. 16892. Nel 1932 nominato Vescovo di Susa; muore nel 1953 (Bessone 2000, p. 446). 263 ASV, classe 1894 cat. 1° matr. 35759. 258 259 224 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra VERZOLETTO don Tersillo di Giacomo e di Botto Luigia, nato il 29 novembre 1879 a Trivero. Chiamato alle armi il 29 marzo 1900, designato per la ferma di due anni. Il 3 aprile assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Mandato in congedo illimitato il 20 settembre 1901. Richiamato alle armi per mobilitazione il 24 maggio 1915, e riformato in seguito a rassegna con determinazione della Direzione dell’Ospedale Militare di Torino il 18 giugno; il 23 è congedato264. VESCOVO Angelo di Carlo e di Carazzo Maria, nato il 17 settembre 1899 a Lenta, chierico del Seminario Diocesano di Vercelli. “Visitato presso l’Ospedale Militare Principale di Novara in data 25 settembre 1917. Su giudizio del Direttore assegnato ai servizi sedentari in modo permanente per nevrosi cardiaca”. Chiamato alle armi il 15 gennaio 1918 e in zona di guerra lo stesso giorno; assegnato al 2° Battaglione Milizia Territoriale. Morì il 23 agosto 1918 a Lenta per malattia265. VIANCINI don Flaviano di Giuseppe e di Bonacosta Eugenia, nato il 27 agosto 1875 a Torino. Chiamato alle armi nella 1° Compagnia di Sanità il 18 gennaio 1917. Cappellano Militare, assegnato alla Scuola Bombardieri il 22 febbraio 1917, giunge in territorio di guerra. Il 5 febbraio 1918 trasferito alla Direzione di Sanità del I Corpo d’Armata di Torino e parte dal territorio di guerra. Il 31 dicembre prosciolto dal servizio e congedato il 9 febbraio 1919266. Medaglia di Bronzo al Valor Militare: Si recava volontariamente in zona di operazione. Portatosi in prima linea, percorreva per lunghi tratti da solo la zona di fuoco spesse volte violentemente battuta dal nemico, per incorarvi i soldati alla resistenza ed all’assalto; e restando in piedi allo scoperto, esposto al tiro avversario, rivolgeva ad essi parole ardenti di fede e di amor patrio. Esempio di abnegazione e di sprezzo del pericolo come soldato e come sacerdote. Altipiano di Asiago, maggio-giugno 1918267. “La Sesia”, al momento della consegna della decorazione, scrive: Il tenente cappellano dei bombardieri don Flaviano Viancini, torinese ma di famiglia Vercellese […]. Il Viancini ha 43 anni, è avvocato e teologo, appartiene ad una famiglia che ha brillanti tradizioni militari. Il nonno Flaviano Viancini fu un intrepido colonnello napoleonico. Uno zio, il capitano Pietro Viancini, volontario garibaldino, cadde a Mentana. Un altro zio, il maggiore Flaviano, lasciava la vita 264 265 266 267 ASV, classe 1879 cat. 1° matr. 8452. ASV, classe 1899 cat. 3° matr. 2681. AST, classe 1875 cat. 3° matr. 33. BU, disp. n. 12, 28 febbraio 1919. 225 Federico Zorio combattendo valorosamente in Eritrea alla testa del suo battaglione, guadagnandosi la medaglia d’argento. Buon sangue non mente: il Teologo Viancini, figlio al nostro concittadino dott. Giuseppe, continua, servendo a un tempo la patria e la fede, le tradizioni della sua casa268. VIOTTO don Augusto di Giovanni e Monte Felicita, nato il 18 maggio 1892 a Roppolo. Chiamato alle armi il 22 novembre 1915, soldato nella 1° Compagnia di Sanità. Giunto in zona di guerra il 12 luglio 1916, assegnato alla 12° Compagnia di Sanità il 1° gennaio 1917. Il 24 ottobre preso prigioniero. Rientra in Italia liberato dalla prigionia l’11 dicembre 1918, il 29 agosto 1919 congedato269. “Il Biellese” pubblica una cartolina scritta ai genitori270: Nicht-zwischen die Zeilen Schreiber 19-3-1918. Cari Genitori, di salute sto bene: Ricevo regolarmente i pacchi. Vi mando una fotografia presa la settimana scorsa. Da essa vedrete che sto bene. Oggi ho ricevuto ordine di partire di qua […]. Vado a Costantinopoli in Turchia a fare servizio religioso dove ci sono dei nostri prigionieri. Spedite posta e pacchi allo stesso indirizzo. Quando partirò per l’Italia? Quello sarà il giorno più bello. Saluti affettuosi a tutti. Il vostro Augusto. “Il Biellese” riporta271: Fra i reduci dalla prigionia. ROPPOLO. Don Augusto Viotto, viene rimpatriato da Costantinopoli. VISCARDI padre Giacinto di Giovanni e di Saletta Lucia, nato il 21 gennaio 1880 a Palazzolo Vercellese. Chiamato alle armi il 25 aprile 1916 e il 27 in forza alla 1° Compagnia di Sanità. Il 27 agosto passa al Treno Ospedale attrezzato n. 44 in zona di guerra. Rientra il 18 dicembre 1918 e mandato in licenza illimitata. Il 15 agosto 1919 posto in congedo272. ZAMBELLI di Giuseppe e di Accatino Elisa, nato 21 febbraio 1884 a Langosco (PV). Chiamato alle armi per mobilitazione, giunto il 16 luglio 1916 e il 29 assegnato alla 2° Compagnia di Sanità. Nominato Cappellano Militare l’8 agosto 1917 nel 278° Reggimento Fanteria Vicenza e giunto in zona di guerra. Il 15 ottobre passa al 277° Reggimento. Il 1° gennaio 1918 è al 39° Reggimento Fanteria Bologna. Il 28 dicembre 1918 inviato in licenza illimitata e messo in congedo illimitato il 15 agosto 1919. In congedo assoluto per proscioglimento dal servizio il 31 dicembre 1923273. “L’Unione” scrive: 268 269 270 271 272 273 “La Sesia”, 9 luglio 1917. ASV, classe 1892 cat. 1° matr. 33450 bis. “Il Biellese”, 7 maggio 1918. “Il Biellese”, 27 dicembre 1918. ASV, classe 1880 cat. 3° matr. 7086. ASP, classe 1884 cat. 3° matr. 13301. 226 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Altro Cappellano vercellese decorato. Anche al Rev. D. Andrea Zambelli, viceparroco di Tricerro, Cappellano militare del 39 Regg. Fanteria fu di questi giorni concessa la Croce al merito di Guerra. La proposta a tale onoreficenza era così motivata dal suo Comando: “Cappellano di un Reggimento, disimpegnava con ammirevole coraggio ed abnegazione la sua missione, percorrendo senza preoccupazione di pericoli e con vero sentimento di dovere, zone efficacemente battute dal fuoco intenso di artiglieria e di mitragliatrici nemiche per raccogliere e far trasportare i feriti o seppellire i caduti. Montello, 19-24 giugno 1918”. Rallegramenti vivissimi274. Croce di Guerra al Valor Militare in commutazione della Croce al Merito di Guerra: Cappellano di un reggimento di fanteria, percorreva con ammirevole coraggio zone efficacemente battute dal fuoco intenso di artiglieria e mitragliatrici nemiche, per raccogliere e per trasportare feriti e seppellire i morti. Montello, 19-23 giugno 1918275. ZANONE don Giuseppe di Pietro e di Dotti Maria, nato il 5 settembre 1880 a Ronco Biellese. Chiamato alle armi il 25 aprile 1916 e assegnato il 28 alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1917 si trova in zona di guerra e cessa di esservi il 1° gennaio 1919. Il 19 mandato in licenza illimitata e il 16 agosto congedato276. ZANONE don Luigi di Giovanni e di Zumaglia Teresa, nato il 30 gennaio 1885 a Ronco Biellese. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1917 si trova in zona di guerra e cessa il 1° gennaio 1919. Il 15 febbraio “inviato in congedo temporaneo perché Ministro di culto avente cura d’anime”. Il 5 marzo congedato definitivamente277. ZAVATTARO don Francesco di Giuseppe e di Farè Maria, nato il 4 dicembre 1881 a Pertengo. Chiamato alle armi il 7 settembre 1915 e il 9 assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 1° aprile 1916 nominato Cappellano Militare, assegnato all’Ospedale da Campo n. 155 e giunge in zona di guerra. Il 31 ottobre 1916 va al 3° Reggimento Alpini, Battaglione Pinerolo. Il 7 novembre 1917 è fatto prigioniero e rimpatriato il 23 novembre in seguito all’armistizio. Il 18 dicembre rientra alla 1° Compagnia di Sanità e il 1 gennaio 1919 cessa di essere in zona di guerra. Il 4 aprile inviato in licenza illimitata e il 15 agosto congedato278. 274 275 276 277 278 “L’Unione”, 31 agosto 1918. BU, disp. n. 57, 13 novembre 1925. ASV, classe 1880 cat. 3° matr. 7878. ASV, classe 1885 cat. 3° matr. 14516. ASV, classe 1881 cat. 3° matr. 9295. 227 Federico Zorio ZOLA don Giuseppe di Antonio e di Zola Angela, nato il 18 marzo 1884 a Cavaglià. Chiamato alle armi e non giunto il 10 luglio 1916. “Dispensato dalla chiamata alle armi per mobilitazione perché Ministro di Culto avente cura d’anime a Santo Stefano in Occhieppo Superiore”. Congedato il 15 agosto 1919279. ZOLA padre Rocco di Giuseppe e di Busca Caterina, nato il 4 ottobre 1884 a Viverone. Chiamato alle armi il 10 luglio 1916 e assegnato alla 1° Compagnia di Sanità. Il 20 settembre 1918 si trova in zona di guerra. Il 31 dicembre inviato in congedo temporaneo “per ragioni note al Ministero della Guerra” e congedato il 15 agosto 1919280. Considerazioni conclusive Ho compiuto recentemente una ricerca sui Caduti Biellesi nella Grande Guerra e ho avuto modo di sfogliare tutti i ruoli matricolari delle classi che sono state chiamate e richiamate, precisamente dal 1876 al 1900. Confesso che è stata un’esperienza interessante poter leggere e immaginare i sacrifici che questi soldati hanno fatto cento anni fa281. In questa moltitudine di uomini vanno a buon diritto inseriti anche i Cappellani Militari, i Preti-soldato e gli studenti del Seminario Diocesano. Sono sicuro che hanno fatto tutti il loro dovere, come lo hanno fatto prima della chiamata alle armi nei confronti dei cristiani e dei loro parrocchiani. Alcuni sono stati anche decorati al valor militare, per il loro impegno nelle strutture sanitarie e anche sul campo di battaglia, per il fatto che il soldato vedeva in loro il proprio comandante, essendo magari tutti gli ufficiali e i sottufficiali morti o feriti. Sono sorpreso che, nell’ambito biellese e vercellese, nessuno abbia pensato anche a loro, in questo centenario appena trascorso. Le mie ricerche - come detto - sono state redatte sui ruoli matricolari conservati presso i vari Archivi di Stato, sui giornali dell’epoca e su pubblicazioni. Purtroppo non mi è stato possibile accedere ad altre fonti. Considero pertanto questa mia ricerca non definitiva, perché ritengo che ve ne siano altri che non sono riuscito a trovare. Coloro che avranno la pazienza di leggere questo mio lavoro, magari rimarranno essi stessi stupiti di quanto sono stati capaci fare questi uomini di Chiesa. 279 280 281 ASV, classe 1884 cat. 3° matr. 13176. ASV, classe 1884 cat. 1° matr. 17936. Zorio 2018a 228 Cappellani militari, preti-soldato, chierici biellesi e vercellesi nella grande guerra Bibliografia Albo d’oro 1930 Militari Caduti nella Grande Guerra 1915-1918, Albo d’oro, vol. VII, Roma 1930. Albo d’oro 1932 Militari Caduti nella Grande Guerra 1915-1918, Albo d’oro, vol. XII, Roma 1932. Albo d’oro 1933 Militari Caduti nella Grande Guerra 1915-1918, Albo d’oro, vol. XIII, Roma 1933. Albo d’oro 1935 Militari Caduti nella Grande Guerra 1915-1918, Albo d’oro, vol. XV, Roma 1935. Bessone 2000 Angelo Stefano Bessone, Preti e Ambienti della Chiesa Biellese intorno a don Oreste Fontanella, vol. 2, Biella 2000. Bessone 2006 Angelo Stefano Bessone, Poveri preti grande patrimonio, in “Rivista Biellese”, n. 3 (2006), pp. 24-30. Bignami 2014 Bruno Bignami, La Chiesa in trincea. I preti nella Grande Guerra, Roma 2014. Bruti Liberati 1982 Luigi Bruti Liberati, Il Clero italiano nella Grande Guerra, Roma 1982. Capellino 1981 Mario Capellino, Movimento cattolico e PPI nel Vercellese. Cenni storici, Vercelli 1981. Cavaterra 1993 Emilio Cavaterra, Sacerdoti in grigioverde. Storia dell’Ordinariato militare in Italia, Milano 1993. Dattrino 1985 Antonio Dattrino, Asigliano tra storia e folclore, Asigliano 1985. Ferraris 2015 Il Vercellese e la Grande Guerra, a cura di G. Ferraris, Vercelli 2015. Gaspari 2017 Paolo Gaspari, Preti in battaglia, i Cappellani Militari decorati 1915-1916, Udine 2017. 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I Cappellani mobilitati saranno 2048, con 93 caduti, e circa 15.000 i Preti - soldato e chierici. I Caduti di questi ultimi sono difficili da quantificare per il fatto che sono annoverati fra i militari. La loro opera e la loro presenza sarà fondamentale: li troviamo in tutti i campi di battaglia, oltre a raccogliere e a curare i feriti, compito non facile specialmente nelle prime linee, provvedono a seppellire i morti e, il più delle volte, a darne comunicazione alle famiglie. Abstract The gen. Luigi Cadorna, Head of S.M. of the Italian Army, with its circular dated 12 April 1915, just over a month before Italy entered the war, established the assignment of a military chaplain to each regiment of various forces, a figure abolished in 1878 in the Kingdom of Italy. On 1 June Pope Benedict XV appoints Msgr. Angelo Bartolomasi Bishop of Campo, approved by the Italian Government on 27 June with a Lieutenancy decree. The chaplains will be 2048, with 93 fallen, and about 15,000 the soldier-Priests and clerics. The fallen of the latter are difficult to quantify due to the fact that they are numbered among the military. Their work and their presence will be fundamental, we find them all the battlefields, in addition to collecting and treating the wounded, a task that is not easy especially in the front lines, they provide to bury the dead and, more often than not, to communicate it to the families. zoriofede@libero.it 231 Giovanni Ferraris PRAROLO UNA TERRA STRAPPATA ALLA SESIA: INTERROGHIAMO I TOPONIMI* 1. Introduzione L’acquisizione all’uso agricolo di un territorio ne ha comportato nel tempo una trasformazione che, specialmente laddove si praticano culture irrigue, ha completamente obliterato l’originario paesaggio naturale, in particolare per quanto ne attiene la morfologia. L’obliterazione è ancora più netta laddove si tratta di una vera e propria bonifica mirata a trasformare un territorio soggetto al mutevole corso di un fiume, quale la Sesia, caratterizzato dall’intersecarsi di valli acquitrinose con terrazzi sovente carenti di acqua, quindi occupati da gerbidi1 e scarsa vegetazione arborea. In un simile ambiente le aree alberate sono limitate alle scarpate dei terrazzi e alle sponde di alvei abbandonati dal fiume, eventualmente trasformati in lagune (lame). A sud di Vercelli, fino alla confluenza della Sesia con il Po, la situazione sopra descritta è facilmente ancor oggi individuabile nell’area delimitata ad ovest grosso modo dallo Stradùn e ad est dal corso della Sesia. All’incirca, infatti, tale strada * Sono grato al prof. Giancarlo Andenna per avermi trascritto ed interpretato documenti antichi per me “illeggibili” e all’arch. Doriano Beltrame per la segnalazione dell’inedito disegno citato come Carta 1728. Sigle: ABIB ACP ACV APP ASAV ASTSC ASTSR ASV BVASS OSA = = = = = = = = = = Archivio Borromeo all’Isola Bella. Archivio comunale di Prarolo. Archivio Capitolare Vercelli, Abbazia di S. Stefano, beni di Prarolo, atti di lite per decime. Archivio parrocchiale di Prarolo. Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli. Archivio di Stato di Torino, Sezione corte. Archivio di Stato di Torino, Sezioni riunite. Archivio di Stato di Vercelli. Benefici Vacanti, Abbazia S. Stefano. Ospedale S. Andrea Vercelli. 1 In Visita 1685 si prescrivono vari lavori di miglioria, quali roncare boschi e gerbidi, in Bracùn, Buleru e Via Torta dove sono presenti fossi irrigui e colatori e i prati si alternano a gerbidi. La prescrizione di migliorie è costante nei vari documenti di visita e affittamento consultati. Per esempio, in Affittamento 1591 si legge: “Ogni anno costruire a Prarolo una casa per massaro e cassina coperte di coppi come già fatto in anni precedenti”. Però una completa sistemazione del castello e dell’abitato di Prarolo dovrà aspettare la metà del secolo XVIII (cf. nota 31). 233 Giovanni Ferraris percorre il bordo tra terreni occidentali posti a quote più elevate di quelli orientali soggetti alle esondazioni del fiume. Con l’ausilio di una carta geologica si può definire scientificamente la situazione in termini della natura dei terreni: a oriente alluvioni recenti (Olocene), lasciate nel corso degli ultimi 12000 anni dal fiume che ha eroso, per una fascia di circa 20 km, i terreni più antichi (Pleistocene) che, puntualmente, ricompaiono in sponda sinistra2. Nonostante i lavori di livellamento richiesti dalle culture irrigue, antichi meandri sono ancora riconoscibili nella fascia di alluvioni recenti per vari motivi, quali: sono ancora, seppur ormai raramente, occupati da lame; li percorrono rogge e colatori naturali eventualmente alimentati da fontanili; l’andamento dei campi derivati dalla bonifica ne preserva la forma, caratteristica ben messa in evidenza da foto aeree (Fig. 1 e 2); segnano sinuosi confini amministrativi. 2. Nomen omen Nelle alluvioni recenti, le zone meno soggette alle esondazioni furono interessate da insediamenti almeno già in epoca romana, come testimoniato da ritrovamenti archeologici e dall’etimologia di attuali insediamenti, quali Pezzana, Caresana e Stroppiana3. Non è questo il caso di Prarolo, territorio che, almeno a ridosso dei terreni pleistocenici, annovera sì alcune tracce di romanità4, ma è diventato un insediamento consistente solo in seguito a bonifiche iniziate dai frati benedettini dell’Abbazia di S. Stefano di Vercelli o della cittadella, poi nota anche come Abbazia di Prarolo5. 2 Per una puntuale analisi geologica della situazione in relazione al confine orientale dell’Arcidiocesi di Vercelli si rimanda a Ferraris 2016a. 3 I nomi delle tre località sono ritenuti prediali derivati da nomi di gens romana (Dizionario 1990, alle singole voci). 4 Sommo 1994, doc. 172, p. 265. Per ritrovamenti in località Braccone (Bracùn) e Valoccara si rimanda a Ferraris 2009a, p. 75. Recentemente ho potuto appurare che la moneta rinvenuta alla Valoccara da Ottorino Vaccino corrisponde ad un sesterzio, coniato ca. 170 d.C., recante al recto il ritratto di Lucilla Augusta (LVCIL AUGUS) e al verso una figura femminile ritta che regge una palma e una cornucopia. Per quanto riguarda Braccone, mi è stato riferito che durante lavori di livellamento (ca. 2006) la lama della ruspa ha cozzato contro quello che pare essere stato una tomba ad incinerazione costruita in mattoni e tegole. Si sarebbe notata una lucerna che dalla descrizione corrisponderebbe alla n. 1085 del Museo Leone (vetrina “I-III secolo d.C.”, sala romana) rinvenuta ai Cappuccini. Verosimilmente, in epoca romana il territorio di Prarolo era ripartito tra gli insediamenti circostanti: Vercelli, Pezzana (almeno per la regione Braccone) e Asigliano. 5 Secondo la tradizione tramandataci da Cusano 1676, pp. 88-89, la fondazione dell’Abbazia di S. Stefano, risalirebbe al 545, in seguito ad un miracolo operato da S. Mauro, discepolo di S. Benedetto, mentre transitava per Vercelli nel 543. L’Abbazia sarebbe allora stata dotata dei territori di Prarolo e Crova. Il monastero, affidato ai Benedettini, era ubicato a Vercelli nella zona di Porta Casale, laddove nel sec. XIV fu costruita la cittadella. La notizia del miracolo di S. Mauro è stata ripresa da Ranza 234 Prarolo una terra strappata alla Sesia 235 Giovanni Ferraris Fig. 1 - Veduta aerea ripresa nel 1954 del territorio di Prarolo compreso tra il bordo di terrazzo pleistocenico - corrispondente all’incirca alla congiungente Carterana (1), Monteoliveto (2) e Gamberina (3) - e le regioni Valùn (Valloni), Muràsch (Morasco), Val dal Pèsi (Valle delle pezze) e Crusëta (cascina Crocetta, 4). Sono delimitate da linee tratteggiate le evidenze di due antichi alvei fluviali. Il primo da sinistra inizia a nord di Carterana e segue il bordo del terrazzo per contornare (ad ovest, sud ed est) la regione Bracùn (Braccone). Raggiunge il suo punto più orientale in corrispondenza dell’estremità nord della Val dal Pèsi, per invertire quindi il percorso e dirigersi a mezzogiorno fin oltre la Crocetta, avendo prima attraversato la regione Bulaneiru. Il primo tratto nord-sud di tale alveo è ora occupato dalla Fosalunga di Monteoliveto, quindi dal Rusët. L’alveo evidenziato a nordest del centro abitato contorna la regione Valùn e nella sua parte meridionale corrisponde al primo tratto del Fos Stort. Il triangolo chiaro posto a nord di Monteoliveto (2) corrisponde al dosso omonimo prima del suo completo spianamento. Fotografia Aerea dell’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n. 7036 in data 06.08.2019). 236 Prarolo una terra strappata alla Sesia Fig. 2 - Veduta aerea ripresa nel 1954 di parte del territorio posto a nordest del centro abitato di Prarolo. L’alveo fossile delimitato da tratto punto contorna la regione Valùn come descritto in Fig. 1. L’alveo fossile evidenziato con tratteggio corto contorna a ovest-sud-est la regione Guri; poco sopra di esso si vede il percorso della Sesia nel 1954. Le caratteristiche numerate sono: cascina Monteoliveto (1), cimitero (2), dosso di Monteoliveto (3) prima del suo spianamento, cascina Carterana (4), cascina Colombina (5), cascine Tirol (6) e del Maurisi (7). Fotografia Aerea dell’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n. 7036 in data 06.08.2019). L’etimologia del toponimo Prarolo è riassunta da Sarasso6. La prima citazione nota della località è del 964 e compare all’ablativo come Petroriolo7. Le citazioni successive sono del 10578, 11429 e 1155 (1156) nella forma Pratarolij10, seguita nel 1173 dalla variante Pradarolij11; queste forme, con eventuali piccole varianti, 1784. Notizie storicamente meglio documentate si trovano in: Mandelli 1858, pp. 145-151, che ritiene essere la prima notizia certa in un documento dell’anno 1000; Canetti 1875; Orsenigo 1909; Ferraris 1995, pp. 131-133, il quale ricorda documenti dell’806 e del 961. 6 Sarasso 1957, pp. 11-16. Si veda anche Dizionario 1990 alla voce Prarolo. 7 Buronzo del Signore 1768, p. XX; BSSS 70, documento XIII ter, p. 353. 8 Bologna 1972, p. 155, doc.1. Presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana si trovano le pergamene originali (n. 1359 e n. 4320) che Bologna 1972 aveva regestato da copie sotto il n. 1 (p. 155) e il n. 21 (p. 159). 9 Mandelli 1858, p. 145. 10 BSSS 70, doc. CLVI, p. 193. 11 BSSS 70, doc CCLXXXVII, p. 328. 237 Giovanni Ferraris si mantengono nei successivi documenti redatti in latino12. Gli storici13 sono ampiamente d’accordo nell’interpretare il cambiamento di nome, forse voluto dagli stessi frati benedettini, per sottolineare la trasformazione in coltivi, almeno in parte, di quello che era essenzialmente un ghiaieto14. Il passaggio da ghiaieto a prativo è stato favorito da un progressivo spostamento verso est del corso della Sesia, cosicché il territorio più vicino all’attuale centro abitato era soggetto ad apporti sedimentari dei colatori e a esondazioni ricche di limo più che di sabbia e ghiaia15. 3. Antropizzazione del territorio Prarolo conta attualmente poco più di 700 abitanti, dopo avere toccato un picco di 1720 abitanti nel 190116. Il suo territorio si estende su una superficie di 11,54 km2; confina con Vercelli, Palestro, Pezzana e Asigliano, secondo un frastagliato contorno dettato da antiche morfologie. A parte i segni di sporadici insediamenti di epoca romana sopra accennati, la prima notizia inerente all’esistenza di un centro abitato sul territorio di Prarolo è il citato documento del 964, che ivi attesta l’esistenza di una chiesa prima delle incursioni degli Ungari, visto che il documento prescrive ai sacerdoti17 delle località 12 In dialetto locale l’esito finale per il nome attuale della località è Plarö la cui derivazione dalla radice latina Pradarol parrebbe essere la seguente: sincope della sillaba atona “da” seguita dalla sostituzione fra le alveolari l e r, a favore della prima, presumibilmente per evitare la difficoltosa pronuncia di due suoni vibranti (r) consecutivi. L’italiano Prarolo sarebbe una resa fonetica più aderente alla radice latina. Si è tuttavia notato che nei documenti relativi all’Abbazia di S. Stefano conservati presso ACV più volte ricorre la grafia Plarolo; inoltre, in documenti cinquecenteschi presso ABIB compare Pe(l)larolo; in ASTSR/BVASS, mazzo 7, documento datato 12/6/1578, compare Perarolo. Per confronto, in Francia una derivazione diretta da Petrariolum ha avuto come esito Pérols (Pérols-sur-Vézère, dipartimento della Corrèze http://vivreaperols.perso.libertysurf.fr/PAGES.HTM/le_nom_des_villages.htm). 13 Sarasso 1957; Dizionario 1990. 14 In Ferraris 1995, p. 132, e Ferraris 1988, p. XII, si affaccia l’ipotesi che Prarolo appartenesse al Capitolo del Duomo fino ad un cambio effettuato dal vescovo (dal 961 al 977) Ingone con l’Abbazia di S. Stefano, cambio definito diabolico in quanto, come attestato dal nome Petroriolum, Prarolo era una pietraia. 15 Lavori di scavo mostrano che una tipica stratigrafia del centro abitato e del territorio che si protende verso la Sesia è: un paio di metri di argilla in superfice, seguiti da circa ½ metro di sabbia, poi ghiaietto. Secondo Dionisotti 1864, p. 18, circa l’anno 1250 la Sesia fu fatta deviare a favore del territorio di Breme causandone un notevole cambiamento di alveo che regalò a Prarolo un ampio territorio a danno di Palestro. La disputa sul possesso di tali territori si protrasse per secoli, come documentato (cf. note 34 e 47). 16 Vedere Ferraris 2009a, pp. 19 e segg. 17 La citazione del 964, implicante la presenza di una chiesa, presuppone un’esistenza precedente a tale data del centro abitato. A tale proposito Ferraris 1995, pp.131-132, cita un documento dell’806, relativo all’Abbazia di S. Stefano, ove si riporta: “Carolus [Carlo Magno] vero postulatis [di Oglerio] facilem se praebens duas sancto Faroni abbatias ex suo dominicatu concesisse: unam […] in loco qui Reda dicitur […] alteram in suburbio Vercellensi, quae tam diu pertinuit ad fratres sancti Faronis 238 Prarolo una terra strappata alla Sesia circostanti Vercelli di tornare a portare al fonte battesimale della città i battezzandi, così come si faceva prima18. Per quanto riguarda il castello, una prima costruzione potrebbe anche risalire al X secolo a salvaguardia di terreni strappati al divagare della Sesia e messi a cultura19. La prima notizia sul castello di Prarolo è contenuta in un atto del 18 settembre 139820 da cui risulta che l’Abbazia è oberata di spese quod quotidie expendere opportet in reconciliando ecclesiam dicti Monasteri diruptam et Monasterium devastatum et eorum castrum Pratarolii. Nei secoli XIV e XV gli abati risiedettero saltuariamente in Prarolo con l’intero Capitolo, come è dimostrato da quattro atti superstiti, ivi rogati nel 1303, 1339, 1429 e 145921. Altri documenti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Vercelli22, l’Archivio di Stato di Torino23, l’Archivio Capitolare di Vercelli24, l’Archivio Borromeo all’Isola Bella25 e la Veneranda Biblioteca Ambrosiana26. […]”. Ragionevolmente si può ipotizzare che la località del suburbio fosse Prarolo. L’abate di S. Stefano incaricava un frate quale suo vicarius perpetuus a officiare la chiesa. La situazione mutò dopo che ai frati benedettini subentrarono (1536) i Lateranensi a reggere l’Abbazia (Orsenigo 1909, p. 382): la cura delle anime prarolesi passò a un sacerdote secolare, il primo noto dei quali è Eusebio Miglietti di Crova, nominato il 4 giugno del 1559 (cf. nota 160) dall’abate commendatario Pier Francesco Ferrero (vescovo di Vercelli). Grazie al quaderno di appunti n. 2 “Serie Chiese” di mons. Giuseppe Ferraris, conservato, con altri, presso l’Archivio Capitolare di Vercelli, si possono aggiungere i seguenti nomi di vicari dell’abate che nel XV secolo officiarono la chiesa (tra parentesi l’anno della notizia tratta, generalmente, da atti notarili): Giacomo de Robbio r(ector) e(cclesiae) Pr(atarolii) (1430); Tommaso de Moselino Dioc(esis) curato di Prarolo (1459); Aymone de Miglietis rect(or) Eccl(esiae) Pradarolij (1462); Presbiter Luchinus de Naviscellis di Olcenengo curam gerens in loco Pradarolij (1476). Per maggiori notizie si rimanda a Ferraris 2009b e Ferraris 2016b. 18 Gli Ungari fecero incursioni nel Vercellese dalla fine del secolo IX al 955 (Ordano 1982, p. 63). Per lo sviluppo edilizio del centro abitato si rimanda a Sarasso 1957, pp. 22-26, per il medioevo, e a Ferraris 2009a, pp. 19 e segg. per tempi più recenti. 19 Ferraris 1992; Cenisio1957, pp. 105-109; cf. Settia 1980. Tra X e XIII secolo scarse alluvioni favorirono gli insediamenti (cf. Giraudi 2019). 20 Mandelli 1858, p. 144. 21 Bologna 1972, pp. 48, 65, 115 e 126. 22 Si tratta della documentazione del fondo ASV/OSA già in possesso dell’ASL di Vercelli (erede dell’Ospedale S. Andrea che aveva acquistato il castello di Prarolo nel 1801, cf. Vendita 1801) ed esaminata da Mandelli 1858 e Sarasso 1957. 23 ASTSR/BVASS per un totale di 17 mazzi, di cui uno doppio (1-2), ampiamente utilizzati da Ferraris 1992 e Ferraris 2010. Altri tre mazzi sono presso ASTSC (Abbazia di S. Stefano). 24 Presso ACV sono conservati tre mazzi di documenti riguardanti atti di lite per decime nel periodo 1351-1840. 25 ABIB nei seguenti mazzi: Pergamene; Famiglia Borromeo - Card. Federico III arcivescovo di Milano - In genere amministrazione; Famiglia Borromeo - Card. Federico III - Benefici ed abbazie. Ai fini della presente ricerca sono rilevanti Consegnamento 1520, Consegnamento 1589 e un bando per l’affittamento dei beni Prarolo del 1591 (Affittamento 1591) che ricalca il successivo del 1611 analizzato in Ferraris 1992. 26 Oltre alle pergamene citate in nota 8, presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana è presente la pergamena n. 7798, datata Roma 28 luglio 1593, riferentesi ad una lite tra F. Borromeo e i canonici di S. 239 Giovanni Ferraris Per avere informazioni dettagliate sul castello27 e, in generale, sull’utilizzazione dei terreni prarolesi pertinenti all’Abbazia, bisogna però arrivare al secolo XVI, in particolare al periodo (1586-1631) in cui fu abate commendatario Federico Borromeo28. Da tale periodo in avanti sempre più abbondanti sono le informazioni sulla gestione agricola del territorio29. Precedentemente al periodo suddetto ci è però pervenuta una importante panoramica del territorio di Prarolo costituita da Consegnamento 1520. Il documento consiste di 57 pagine e non specifica il mandante della sua compilazione30. Esso riporta l’elenco dei massari - abitanti nel castello (34)31, a Monteoliveto (5), alla Volpe (1), a M. Maggiore di Vercelli a proposito di acque per irrigare Prarolo. Inoltre, in “Miscellanea Borromeo” (segnatura X 300 inf.) vi sono i seguenti documenti: “Danari ricevuti da Giovanni Battista Crivello di entrate e crediti del cardinale”; “Fitti 1587-1592”; “Stato dell’abbazia anni 1587-1590”; “Vercellenses pensiones super fructibus Abbatiae, anno 1585”; “Conto particolare dei fittabili dell’Abbazia di Vercelli”; “Fogliazzo delle spese fatte da Pietro Bertrami agente dell’Abbazia di Federico Borromeo, 1585-1587”. Infine vi è “Epitafio (sic) per la chiesa della Abbazia di Vercelli, restaurata da Federico Borromeo [Parrocchiale di Prarolo]” (segnatura R 182 (8)). 27 Alla vigilia del passaggio a commenda (1462, cf. nota 28) risulta (Negro 2019, p. 291) che nel castello erano appena stati fatti lavori di miglioria e che: “[vi sono] due splendide spingarde con artiglieria e altri apprestamenti, e vi sono anche balestre con verrettoni e otto colubrine per la difesa alle porte. Il castello è ben rifornito di grano e altre vettovaglie”. 28 Dal 1462 l’Abbazia fu trasformata in commenda, di fatto a disposizione dei Savoia. Sulla base della documentazione conservata negli archivi citati, ho ritoccato l’elenco degli abati commendatari che risulta essere il seguente (Mandelli 1858, pp.148 e segg. e Bologna 1972, pp. XXI e segg.): Francesco di Savoia (1464-1476), Compesio (de) Giovanni, arcivescovo di Tarantasia (1485-1492), Ferrero Giovanni Stefano (1492-1508), Ferrero Agostino (?-?), Miolans (de) Urbano (1513-1521, cf. nota 30), Ferrero Bonifacio (1524-1536), Ferrero Pietro Francesco (1536-1547), Ferrero Guido (1547-1585), Borromeo Federico (1586-1631), Barberini Antonio (1635-1671), Orsini Giuseppe (1675-1733), sede vacante (1733-1750), Albani Alessandro (1750-1779); quindi sede vacante fino alla soppressione dell’Abbazia nel 1802. Dopo la Restaurazione la commenda fu ristabilita, sfruttando il fatto che erano rimasti invenduti 18 ettari a Crova. Essa restò formalmente in vita fino alla confisca dei beni degli enti religiosi da parte dello stato italiano nel 1867. In quel periodo Botto Giuseppe di Roure (1791-1877) fu titolare della commenda. 29 Pugliese 1908. Grazie ad una settecentesca pianta del centro abitato e a varie relazioni sullo stato degli edifici in occasione del passaggio di consegne ad un nuovo abate commendatario, lo scrivente ha potuto prima (Ferraris 1992) ricostruire i tipi di coltura e il ricorso a conduzione tramite massari della proprietà abbaziale di Prarolo all’inizio del XVII secolo, quindi (Ferraris 2010) dimostrare che a metà del secolo XVIII il castello fu profondamene rimaneggiato, cancellandone la precedente forma rettangolare (con quattro torri ai vertici) e salvando solo le attuali due torri cilindriche prospicienti Via Roma e la torre quadrangolare posta all’interno e già munita di ponte levatoio. 30 Nel 1520 era abate Miolans (de) Urbano; nel 1513 il cardinale Leonardo Grosso della Rovere, vescovo di Agen, aveva rinunciato alla commenda in suo favore (ASTSC, Abbazia di S. Stefano, mazzo 2, doc. 3). 31 Nel 1520 all’interno del castello ogni massaro è titolare di un casone con solaio e tetto di paglia; all’esterno lo stesso è titolare di un sedime con casa ove abita con la famiglia e gli animali. Infatti, all’interno del castello sono custoditi solo i prodotti della terra ed alcuni beni di valore, quali il fardello 240 Prarolo una terra strappata alla Sesia Merizzo (1)32 - e di 55 altri soggetti (in maggioranza manovali o loro vedove), oltre a un mugnaio33, un barbiere, un muratore e un sarto alloggiati in pertinenze dell’Abbazia situate nel centro abitato. Per ognuno, in particolare per i massari, sono elencati i terreni a loro assegnati34; di ogni campo si specifica l’ubicazione, identificata tramite un toponimo, il tipo di cultura e l’estensione (espressa in moggia e staia). Il documento suddetto riporta circa 150 toponimi che, salvo per quelli conservatisi fino a tempi moderni, sono di difficile (se non impossibile) collocazione sul territorio35. I motivi dell’oblio per una parte non piccola dei toponimi vanno ricercati tra della moglie, come se si trattasse di un ricetto. Secondo Stato dei beni 1585 tale situazione persiste nel 1585, almeno in parte: “Ai lavoratori delle proprie possessioni di Prarolo quali si danno un solaro et parte [?] et un casone dove deponesi i grani, vino et scherpe delle donne con le cose loro più care che non osano tenere nelle abitazioni fuori dal castello dove, con le persone et figli et bestie, habitano per essere esse abitazioni la magior parte coperte di paglia et come si dice casoni molto pericolosi dil foco ed infelici d’habitare et che non hanno comodità di tenerci essi robbi che tengono nel castello”. Come confermato da Affittamento 1591, nel 1585 alcune abitazioni risultano ammodernate con tetto in coppi e finestre. Nonostante diversi impegni a migliorare le abitazioni che ricorrono in svariati documenti, bisogna attendere la metà del secolo XVIII per la sostituzione totale delle misere abitazioni dei massari con fabbricati moderni, ancora oggi esistenti (vedasi Ferraris 1992 e 2010 e ASTSR/BVASS, mazzo 3). In Testimoniali 1769 i massari sono 30, di cui uno è anche fabbro, e i manovali una ventina, compreso un acquaiolo; quasi tutti abitano in masserie nuove munite di pozzo, ubicate fuori dal castello, e consistenti in quattro stanze (due al piano terreno con focolare), stalla, travate, porcilaie e pollai. Secondo Sarasso 1957, p. 36, a metà del secolo XVIII per i beni a loro assegnati i massari pagano un affitto in due rate: il 24 giugno e a fine anno. Tenuto conto che in tutti i documenti esaminati le rendite dell’Abbazia sono sempre espresse in moneta con cifre esatte al decimale e che i massari sono anche detti fittavoli, si può ritenere che, almeno da quando l’Abbazia diventò commenda (1462), i contratti siano stati in regime di affitto da corrispondere in moneta (si veda anche nota 39). 32 Dell’ultimo dei massari elencato (Iordanus de Auxiliano) non si specifica dove risiede, ma dall’ubicazione dei campi a lui assegnati si deduce che dovrebbe abitare nella regione denominata Merizio / Mericio, cioè presso l’attuale cascina Merizzo, che allora non esisteva ancora (cf. la voce Limbrìs). All’epoca non esisteva pure la cascina Valoccara, le cui pertinenze furono cedute nel 1545 in enfiteusi ad Eusebio de Vassallo dal vescovo di Vercelli e abate di S. Stefano Pietro Francesco Ferrero (ASTSR/ BVASS, mazzo 12; Sarasso 1957, pp. 76 e segg.); i Vassallo costruirono poi la cascina (cf. nota 125). A proposito della cessione di parti dell’Abbazia, la cascina Carterana fu definitivamente assegnata alla diocesi di Vercelli da F. Borromeo nel 1587-1588, ufficializzando una situazione che di fatto esisteva da tempo, come descritto da Cusano 1676, pp. 319-320, e confermato dall’assenza di Carterana in Consegnamento 1520. 33 Presumibilmente allora il mulino era ubicato all’interno del castello, come riportato in Stato dei beni 1585. 34 I terreni sono sparsi su tutto l’attuale territorio di Prarolo fino all’Ersu. All’epoca di Consegnamento 1520 i terreni ad est dell’Ersu erano ancora in balia del fiume e quando divennero fruibili furono a lungo contesi tra le comunità di Prarolo e di Palestro (Sarasso 1957, Ferraris 1992, Ferraris 2009a e Ferraris 2010). Documentazione relativa a tali dispute si trova insieme a Testimoniali 1622, per il periodo 1622-1716, e in ASTSR/BVASS, mazzo 14, per il periodo 1681-1770. 35 Il primo catasto del comune di Prarolo risale al 1772 (C1772 e relativa mappa intitolata Luogo di Prarolo conservata presso la Biblioteca Agnesiana di Vercelli, collezione Gorini) e si riferisce solo ai possedimenti di privati che, per quanto riguarda i terreni agricoli, si riducono a campetti posti in zone 241 Giovanni Ferraris i seguenti: bonifica del territorio con conseguente mutare di riferimenti morfologici; vendita del territorio suddiviso in una dozzina di grandi aziende agricole (oltre a decine di piccole proprietà) in seguito alla soppressione dell’Abbazia con conseguenti frazionamenti ed accorpamenti. In particolare, sono scomparsi, o modificati, toponimi riferentesi ad acque, ghiaieti, boschi, pascoli e gerbidi; bosie o lame (albani, bastardi, cavallis, de columbo, de donalla, de gremenito, de la vigna, de valle, de zorgno); valli e fossati (ad insulam, de donato, de piro, ferraroni, gamberini, mossi, vallacia in brachono, fossatus de barbero, vallis ocharie); dossi e rilievi vari (boschi clausi, brachonis, cassinace, de piri, insule, lacus nigri, montisellum, nemoris, tizoni, ripa amporii, rami, strate costa dossi piri, ad costas); zone prative (andrini, de castello, perrono, pratalicium, pratolongo, vaudi). Complessivamente nel 1520 il territorio di Prarolo appare ancora ricco di morfologie lasciate dal fiume, ma allo stesso tempo è quasi completamento asservito all’agricoltura con campi a prato, segale, frumento, canapa36, vite e marzaschi vari; i gerbidi sono ormai poca cosa. I boschi naturali sono di fatto scomparsi37 e gli alberi per ricavare legna da ardere e da costruzione (salici, pioppi, roveri, olmi, noci) sono limitati a filari lungo i confini dei campi38 oppure sono confinati ai plantati. La presenza di cereali in campi definiti plantati potrebbe intendersi in due modi: gli alberi sono ivi radi e sparsi, oppure sono ancora giovani e non ombreggiano i cereali. I campi descritti come vacui devono intendersi tali nel mese di dicembre, quando fu compilato il consegnamento, in attesa delle semine primaverili (i cosiddetti marzaschi, quali miglio, meliga, foraggi, leguminose). Numerosi sono i canepali, da inten- periferiche. In relazione alla vendita dei beni dell’Abbazia, oltre a “Cattastro di tutti li beni già proprj dell’Abazia di S. Stefano di Prarolo stati venduti alli in esso descritti particolari” (ASV/OSA, mazzo 837), vi è una mappa in ACP (Vendita 1801) e Mappa 1802. C1804 censisce anche i terreni acquisiti dal 1800 in seguito all’estensione del confine territoriale fino alla Sesia. C1824 unifica ed aggiorna i catasti precedenti. Con l’introduzione della numerazione delle parcelle si fa sempre meno uso dei toponimi. Questi sono invece ancora oggi conservati nei ruoli dei Consorzi irrigui che per ogni utente elencano toponimi dei campi irrigati e loro identificativi mappali (n. foglio e n. parcella). 36 Una coltivazione a lino è menzionata una sola volta per un campo coltivato da un massaro della cascina Volpe (Campum pro lino seminando ad fornacem). Vola 1960 riferisce che Giovanni Domenico Balocco, parroco di Prarolo dal 1815 al 1836, inventò una macchina che sfibrava lino e canapa senza una preventiva macerazione. 37 Stato dei beni 1585 menziona un bosco roncato alla Volpe; inoltre, a Monteoliveto “vi è ancora un bosco di rovere vecchie strapato l’invernata passata per la metà di legnami”. Si conclude poi: “Le dette possessioni [si intende tutto il territorio di Prarolo] sono poverissime di legname et hanno pochissime vigne, rispetto alla quantità delle possessioni et bovini che lavorano, che dicono non li basta per tenere la metà dell’anno”. Per l’anno 1769 la tabella riportata in Sarasso 1957, p. 40, enumera specie e numero di alberi esistenti sulle terre assegnate ad ogni fittavolo; le vigne sono ridotte a 5 giornate in Monteoliveto. 38 Cf. Consegnamento 1589. 242 Prarolo una terra strappata alla Sesia dersi come appezzamenti contigui a acqua ove macerare la canapa, più che seminati a canapa (vegetale dal ciclo breve che si semina in primavera). Data la natura del documento, che elenca i coltivi assegnati ai massari, non si riportano i terreni incolti (gerbidi, ghiaieti, paludi) o utilizzati come pascoli39. Questi, tuttavia, dovevano ancora rappresentare una non trascurabile percentuale del territorio se nelle vendite del 1801 i gerbidi (14) e le paludi (3) ammontano ad oltre 150 giornate. Oltre un secolo dopo il 1520 le coltivazioni sono ancora le stesse, come risulta da un documento sulle decime spettanti ai canonici della cattedrale di Vercelli nel periodo 1638-164840 sui seguenti prodotti: frumento, avena, segale, miglio, canapa, vite, noci (per ricavare olio), gelsi (per la bachicoltura), generici alberi da frutto. Le risaie, la cui diffusione è stata la maggior causa di modifica del paesaggio rurale, sono già menzionate nel 1591 e nel 161141, seppur rigorosamente limitate a zone paludose, ma si svilupperanno solo più tardi. Dopo la vendita della proprietà abbaziale nel 180142, la cultura del riso si diffuse grazie a leggi più tolleranti sulla distanza delle risaie dai centri abitati e, ancor più, grazie alla sistemazione ed allo sviluppo della rete irrigua. Questa fu migliorata, o costruita ex-novo, dai nuovi proprietari, sia in proprio sia riuniti nei due Consorzi irrigui ancora oggi esistenti in Prarolo. Prima dello sviluppo della rete irrigua, che portò a razionalmente distribuire sul territorio l’acqua della Roggia Molinara, le acque utilizzabili per l’irrigazione si riducevano, di fatto, a quelle di fontanili (come quello di Monteoliveto) ed agli scoli di zone acquitrinose, come quelle di Paniaji e di Valùn, su cui si tornerà più avanti. Nel 187543 la superficie coltivata a riso era di circa mille giornate e raggiunse circa il 50% del terreno arabile entro la fine del secolo. Si tenga presente che la coltivazione a riso 39 In un documento datato 3 maggio 1681 (ASTSR/BVASS, mazzo 14) la comunità di Prarolo fa presente che ha sempre pascolato il proprio bestiame senza oneri nelle località denominate: Zerbi, Val di Morasca, Val di Braccone, Prato dei manovali, Valloni, Bolero, Arbatico (Arbé), Prato bergamasco e Isola. A proposito di pascolo gratuito, in Stato dei beni 1585 si legge: “Hanno li ditti massari e fittabili le possessioni per misura che hanno a fitto che li è misurato solamente dove può andare l’aratro et il restante lo hanno per niente et hanno che non li è misurato manco una gran quantità di pascoli boni, che possono essere circa moggia 200, per li quali non pagano cosa alcuna e tengono delle bestie assaissime per la comodità delli pascoli”. Sulla questione del bestiame al pascolo si veda Sarasso 1957, pp. 43 e segg. 40 ACV, faldone 4. Nella tabella riportata da Sarasso 1957, p. 40, relativa ad un contratto del 1769, si citano estese colture a meliga, fave e ceci, oltre che a prato. Secondo Ferraris 1996, p. 133, nel 1173 tra i cereali oggetto di decime che l’Abbazia di S. Stefano deve al Capitolo di S. Eusebio figurano anche la saggina (sorgo) e il panico. 41 Affittamento 1591 e Ferraris 1992. Nel 1621 F. Borromeo ottenne da C. Emanuele I deroghe per coltivare riso in terreni dell’Abbazia (manifesto a stampa in ASTSR/BVASS, mazzo 1-2). In Visita 1685 sono citate risaie alla Lacona (Cun-a) e alla Bosia della Donalla. 42 Ferraris 2009a, pp. 37-40. 43 Annuario 1875, p. 153. 243 Giovanni Ferraris era poca cosa nel 1769 e che nel 1801 sono segnalate risaie solo a Merizzo44. Con decreto del Dipartimento della Sesia dell’ottobre 1813 sono autorizzate culture a riso per 311 giornate (sono escluse le regioni Valùn e Bracùn)45. 4. I segni lasciati dal fiume In questa sezione sono riportati in ordine alfabetico e, anche con l’ausilio di foto aeree (Fig.1 e 2), sono analizzati i toponimi collegati alle caratteristiche del territorio di Prarolo prima degli interventi di bonifica. A meno che si conosca solo la forma italiana, i toponimi vengono trascritti secondo il dialetto locale, in quanto si ritiene che la maggior parte di essi sia stata coniata da persone che si esprimevano in dialetto46. Ala (l’) - Appezzamento a forma di ala ubicato alla biforcazione tra Stra dal Buleru e Via Torta; potrebbe corrispondere ai campi che nel consegnamento del 1520 sono detti inter duas stratas e in medio duarum stratarum. Arbé (l’) - Regione a sud dei Chemp e dell’Isla e ad est dei Trëbi, alla cui omonima strada è collegata nella parte denominata Arbé da zura (di sopra). Essa è delimitata a sud dalla Stra dal Campàs, dalla quale si accede alla parte denominata Arbé da bas (di sotto)47. Il toponimo è da collegarsi con la sua natura di zona erbosa (pascolo naturale), come lo erano altri appezzamenti in quella zona, genericamente indicati come (h)erbatici. La loro formazione era il risultato del deposito di limo da parte di esondazioni meno devastanti in seguito al ritirarsi del fiume; vedasi la voce Dulinda. 44 Testimoniali 1769 e Vendita 1801, rispettivamente. In una tabella pubblicata da Sarasso 1957, p. 40, nessun appezzamento è qualificato come coltivato a riso, anche se era previsto nel contratto generale di affitto. Presso la Fondazione Sella onlus di Biella, nel Fondo Gregorio Sella, vi sono alcune lettere datate 1800 scambiate con il massaro Degrandi di Merizzo da cui risulta la vendita di 31 sacchi di riso, di gran lunga il maggior prodotto, seguito da fagioli e meliga. La tenuta Merizzo era stata acquistata nel 1798 da Giovanni Antonio Sella, quando ben 58 giornate, su un totale di 258, ubicate a destra della strada per Asigliano, erano classificate risaia (Vendita 1801). 45 ASV/OSA, mazzo 32. Secondo Bussi 1975, p. 42, nel 1818 a Prarolo si produssero 250 sacchi di riso bianco. 46 Per i suoni propri del dialetto uso: ë = e muta; ö = per il suono vocalico di feu (fuoco, francese); ü = u francese; trattino (-) dopo n faucale (nasale) ( http://www.piemunteis.it/lese-e-scrive/ortografia-della-lingua-piemontese-sistema-standard-e-sistemi-fonetici ). Alcuni toponimi considerati riguardano zone limitrofe al territorio comunale di Prarolo in quanto sovente sono coltivate da agricoltori prarolesi. 47 Arbadigo in Testimoniali 1622, Arbé in Mappa s.d. ca 1760 e Erbate in Mappa 1762. Il toponimo Arbé è citato in Vendita 1801 e C1772. In Mappa 1762, Mappa 1767 e Mappa s.d. ca 1760, confinante con Arbé c’è Bosia de cavallis, italianizzata come Bosione de cavalli in Visita 1685. L’utilizzazione a scopi agricoli e pastorizi dei terreni posti in sponda destra della Sesia in seguito a migrazione verso est del fiume ha dato luogo a secolari contenziosi tra le comunità di Prarolo e Palestro, testimoniati da documenti conservati, tra l’altro, presso ASTSR/BVSASS, mazzi 7 e 14, e da Testimoniali 1622. 244 Prarolo una terra strappata alla Sesia Aunette - Il toponimo48, chiaramente italianizzato, non è più in uso e il relativo appezzamento rientra nella regione denominata Trëbi. L’appezzamento è ubicato all’inizio della Stra di Trëbi, sulla destra, ed è delimitato dal Fos Stort (ovest) e dalla Stra ad Palèst (nord). La sua etimologia da aune = ontani49 (vedasi anche la voce Varnëti) suggerisce che si trattasse di zona umida in adiacenza ad acque (Fos Stort, già ramo della Sesia, vedasi Dulinda), tipico ambiente per ontani. Dallo stesso lato della Stra di Trëbi, ad Aunette si succedono Gramié e la Fransisin-a. Quest’ultima regione deve, verosimilmente, il suo nome ad un antico proprietario di cognome Francese; ivi c’era una cascina50. Böc (al) - Zona infossata (buco) all’incrocio tra l’argine di Islé e della sua diramazione per il Tirol. Probabilmente occupato da uno stagno in antico, la Sesia vi irruppe nuovamente in occasione della grande alluvione del 1968. Bracùn (an) - Vasta regione, che si estende tra Prarolo e Pezzana, posta a destra della strada che collega i due paesi. Si tratta di un fitotoponimo derivato dal nome latino (brucus) dell’erica, in dialetto brach51, che presumibilmente cresceva abbondante sui terrazzi più aridi che si alternavano ad aree paludose bonificate completamente solo nella prima metà del secolo XX. Dalle Fig. 1 e 2 si vede come in antico la regione fosse posta all’interno di un’ansa in sponda sinistra della Sesia. Il toponimo in Brachono ricorre nei protocolli del notaio Giovanni Scutari(o) (c. 203r-v, 1430 febbraio 19, Vercelli) spogliati da Elisabetta Canobbio (che qui ringrazio per la comunicazione)52. Una striscia della regione che si snoda lungo la sponda sinistra del Rusët è denominata Cua (coda) e dovrebbe corrispondere al toponimo ad Codam presente nel consegnamento del 1520; sulla sponda opposta si trova la regione Acquapane53. Già in comune di Pezzana, proprio sul confine con Prarolo, c’è la cascina Crusëta (Crocetta), toponimo utilizzato anche per i terreni circostanti. Nel 1697-1700 una struttura rettangolare corrispondente alla Crocetta è denominata La Sarei, nome da confrontarsi con Lacus Aserii (stesso documento del notaio Scutari(o) prima citato); questo, verosimilmente, corrisponde all’attuale toponimo Funtanùn54 applicato ad Il toponimo compare in Visita 1685, Vendita 1801 (dove si segnala la presenza di gerbido) e C1824; potrebbe corrispondere ad Auetas in Consegnamento 1520. 49 Mondino 2017, p. 32. 50 IGM 1882. 51 Mondino 2017, p. 115. 52 Canobbio 2019. Il toponimo compare anche in Consegnamento 1520; in Vendita 1801 si ha Braccone. 53 ASTSR/BVASS, mazzo 8, doc. datato 1768. 54 La Sarei è citata in Carta 1697 e Carta 1700. Nella legenda della Carta 1697 il Funtanùn è detto essere la maggiore sorgente del Vercellese. 48 245 Giovanni Ferraris una fontana di elevata portata con suo stagno, assai ridimensionato in occasione della costruzione dell’autostrada A26, della quale si trova a ridosso. Le sue acque si versano nel Rusët. Tenuto conto che la cascina è prossima al ramo antico di Sesia prima menzionato, è probabile che il toponimo Crusëta sia da collegarsi con crose / crös (avvallamento), come per casi simili55. Una cascina Crocetta, ora diroccata, si trova a Stroppiana sul confine con Pezzana. La collocazione su confini lascia spazio all’ipotesi che il toponimo possa essere connesso con l’usanza di piantarvi delle croci56. Bulaneiru (an) - Regione ubicata a sud di Muràsch confinante con la Rusa (ovest), Cav dal Buleru (sud) e Stra dal Buleru (est). Composto da bula (stagno) e neiru (nero) il toponimo è identificabile con Lacus nigrus57; la sua bonifica è stata completata a metà secolo XX. Fa parte di un’ampia ansa fossile proveniente dalla Crocetta (Fig. 1). Buleru (al) - Regione ubicata in sponda destra del Cav dal Buleru, confina a ovest con la Rusa e si estende in territorio di Pezzana. Il toponimo58 deriva da bula (stagno) ed è da intendersi come luogo con stagni. Burumea (la) - Regione ubicata su entrambi i lati del tratto terminale di Via Torta, oltre il Fos Stort; confina a nord con il Truvùn. Verso il Cav dal Buleru, con cui confina a sud, le arature profonde mettono ancora in luce mattoni residui di un cascinale di cui nel 1624 si scriveva: “nelle confini tra Prarolo et Pezzana, antico stato di S.A., et Palestro predetto ove si dice alla Cona et di sopra un pezzo della Cassina detta la Boromea del medesimo territorio di Prarolo vi sono una croce fatta da quelli di Prarolo per differentiare li loro finaggi”59. Secondo Dionisotti60 la Burumea trae il nome dalla famiglia Borromeo residente a Vercelli nel secolo XIII e in seguito trasferitasi a Milano. Meno probabile che il toponimo derivi da qualche intervento di bonifica di Federico Borromeo, abate dell’Abbazia di S. Stefano dal 1586 al 1631, in quanto nessun cenno di spesa in tal senso è stato rinvenuto nella documentazione esaminata61. Bodo 1975, p. 15. Testimoniali 1622. In Consegnamento 1520 ci sono i toponimi Vallacia in Brachono, Dossum Brachonis, prope Stratam in Brachono, ad Crosetam. 57 Consegnamento 1520 dove è citato pure un Dossum lacus nigri. 58 In Consegnamento 1520 ricorre ad Bollerum. 59 Testimoniali 1622 (anno 1624). 60 Dionisotti 1862, p. 24. 61 La cascina è citata in Visita 1685 e riportata (senza nome) in Carta 1697. 55 56 246 Prarolo una terra strappata alla Sesia Buschët (al) - Il toponimo si applica a una parte della regione Guri confinante con l’Ersu dla Maurin-a62. Busiëta (la) - La regione, ubicata tra Baraca e Fos Stort a destra della via Torta, deve il suo nome all’esistenza di un piccolo stagno che è stato completamente colmato a metà del secolo XX. Busiùn (al) - Regione ubicata a destra della strada che dalla diga di Palestro porta a Pizzarosto. Essa corrisponde ad un’ansa abbandonata dalla Sesia e in una mappa del 176763 figura contornata dall’Ersu, detto del Campàs; questo, nella parte rivolta verso il fiume, è ivi bordato da varie lame e fontane che, insieme ad altri tratti di alveo abbandonati, costellano tutto il territorio fino al nuovo corso della Sesia, a più riprese spostatosi verso Palestro. Una fontana ora scomparsa ha lasciato il toponimo Fontanone. La cascina Campàs è ubicata sull’Ersu di fronte al tratto di alveo denominato Sesia Morta. Nella stessa mappa del 1767, a nordovest del Busiùn compaiono la cascina Tirol (in sponda sinistra di un alveo abbandonato), con lama omonima, e la cascina Lupo, in sponda destra dello stesso alveo. L’Ersu dal Campàs è stato eliminato in seguito alla costruzione di un nuovo argine, più prossimo al fiume, dopo l’alluvione del 1968. Campàs (al) - La regione che porta tale toponimo64, indicante un campo di scarso valore agricolo, è ubicata a sudovest dell’argine descritto alla voce Busiùn e, a suo tempo, si trovava sulla sponda destra della Sesia, quindi direttamente soggetta alle sue esondazioni. Nella didascalia di una mappa del 176065 la cascina omonima si dice costruita dai Treccati di Pezzana, che vi abitavano. Durante il primo terzo del XIX secolo i neonati della cascina erano battezzati a Prarolo. Cartran-a - La regione (completamente in territorio di Vercelli, ma in parrocchia di Prarolo), il cui nome è italianizzato in Carterana, comprende i terreni dell’omonima cascina e, nella parte sud confinante con le regioni Gisiòt e Tisùn, parte di quelli della tenuta “Economia Carterana” situata nell’abitato di Prarolo. Già appartenente all’Abbazia di S. Stefano prima del suo trasferimento alla diocesi di Vercelli (cf. nota 32), in documenti antichi è citata in vario modo66. Il nome della località parrebbe In Consegnamento 1520 ricorre in Boscheto, che però parrebbe riferirsi ad una zona di Monteoliveto. Mappa 1867. 64 In Consegnamento 1520 ci sono i toponimi ad Cassinaciam e Dossum cassinace. 65 Mappa s.d. ca 1760. 66 Cartirana nel 1460 (Panero 2014, p. 398); Carterana nel 1459-60 (Negro 2019, p. 388); Cartrana (Cusano 1676, p. 319, e Carta 1728); Cascina di Monsignore (Carta 1696, Carta 1700), con riferi62 63 247 Giovanni Ferraris avere un etimo distinto da Cantarana, proprio di luoghi acquitrinosi67. Tuttavia, tenuto conto che effettivamente i terreni di Cartran-a, situati tra due alvei fossili della Sesia (Fig. 1), sono stati di natura acquitrinosa, si può ritenere che il toponimo sia un’antica variante di Cantarana. Chemp (ai) - Regione delimitata dalla Dulinda (ovest), Stra ad Palèst (nord), Ersu (est) e Curnët (sud). Riportato anche come Champ68, il toponimo (italianizzato in Campi) indica, analogamente al poco distante Arbé, l’utilità agricola acquisita dalla regione in seguito alla migrazione della Sesia e all’arricchimento in limo. Culumbin-a (la) - Regione ubicata tra la Stra di Cavalànt (ovest), il Cav dl’Islè (nord-est) e la Stra ad Palèst (sud-est); già occupata dalla Bosia de Columbo69. Il nome attuale è connesso con la costruzione dell’omonima cascina nel corso del XIX secolo. Pure connesso con la Bosia de Columbo dovrebbe essere il toponimo Campo Colomba applicato ad una piccola regione separata dalla precedente tramite l’Ersu e posta sulla destra della Stra ad Palèst; essa è detta anche Camp dl’Albìn dal nome di un recente proprietario. Cun-a (la) - Dal latino lacuna (stagno, ma anche avvallamento del terreno)70, il che lascia suppore che il toponimo fosse già in uso quando i frati benedettini gestivano il territorio. La regione è ubicata a cavallo della strada omonima e confina a ovest con il Fos Stort, estendendosi in territorio di Pezzana71. Curnët (al) - Regione ad ovest dell’Ersu in prosecuzione dei Chemp72. Dos (al, sül) - Quattro toponimi fanno riferimento a dossi. A parte il Dos ‘d Muntlivët, che è da collegarsi con la più antica copertura pleistocenica (Fig. 1 e 2), gli altri corrispondono a morfologie legate all’attività della Sesia: Dos (senza speci- mento alla sua appartenenza vescovile; Carotana in una mappa dell’assedio di Vercelli del 1630 (si veda figura 9 in Ferraris 1992). 67 Dizionario 1990. 68 Mappa 1762. In IGM 1882 la località, già dotata di edificio rustico e aie, è denominata L’Aja. 69 Consegnamento 1520; Bosia dei Colombi in Visita 1685 e Vendita 1801. In Vendita 1801 si segnalano gerbidi tra Culumbin-a e l’Islé e, alternati a palude, tra Stra di Cavalànt, Stra dal Guri e Ersu. 70 Pellegrini 2012, p. 186. 71 In Carta 1697 e Mappa 1767 la regione è in parte occupata da uno stagno allungato in direzione est-ovest; compare come ad Cunam in Consegnamento 1520 e Lacona in Visita 1685. In Testimoniali 1622 si cita “fosso detto la Cona” e “ove si dice la Cona”. 72 Mappa 1762 e Mappa 1767. In Testimoniali 1622 si cita “un fosso grande detto il Cornetto”, presumibilmente un residuo ramo della Sesia. In Vendita 1801 si segnala la presenza di uno stagno. 248 Prarolo una terra strappata alla Sesia ficazione) in fondo a Stra dal Buleru, nei pressi della Truvasa73, e presso la diga di Palestro; Dos aune al Campàs, cioè dosso degli ontani (auna in dialetto74); Dos di Gurìn nella regione Gurìn. Dulinda (la) - Fosso colatore il cui andamento sinuoso è dovuto alla sua natura di antico alveo della Sesia. Inizia nella regione Culumbin-a, di cui raccoglie le acque di scolo; a queste si aggiungono quelle di Islé, Isla, Chemp e Arbé (per il tratto che costeggia i Chemp si veda la voce Valle). Sottopassa quindi la Stra dla Cun-a e il Cav dal Buleru in regione Cun-a e poco dopo si congiunge con il Fos Stort. Il fosso risultante è noto come Tencarola (presumibilmente da tinca, in dialetto tenca)75. Vallis Tencarolii è toponimo citato in pergamena del 1218 contenente un consegnamento di Pezzana76. Raggiunta la frazione Pizzarosto, la Tencarola prosegue fino a sfociare nella Sesia, appena a valle dell’ansa detta del Quaranta. Da notare che Dulinda e Fos Stort contornano, rispettivamente, le ex-isole Islé (est, verso Palestro) e Isla (ovest, verso Prarolo), evidenza che questi colatori sono residui di antichi alvei della Sesia. Procedendo verso il centro abitato, i resti di un terzo alveo della Sesia corrispondono ad un anonimo colatore che, alimentato da vari scoli delle risaie circostanti, inizia sulla destra della Stra ad Palèst, poco prima del sottopasso del Fos Stort, si addentra nella regione Varsoj, raggiunge la Stra dal Buleru alla Truvasa e scorre parallelamente ad essa per sottopassarla quasi al suo termine; più oltre sottopassa il Cav dal Buleru e si dirige verso Pezzana attraversando la strada Pezzana-Pizzarosto nei pressi del cimitero. Entra quindi nella regione localmente denominata Varsoja, piegando infine a est per sfociare nella Sesia insieme alla Tencarola. Salvo che nella parte terminale verso lo sbocco nella Sesia, le valli di questi tre antichi alvei attualmente non sono più riconoscibili da foto aeree, in quanto bonificate ormai da diversi secoli77. Fica (la) - Regione ubicata a sinistra della Stra dla Barca, separata dal Mott tramite un fosso colatore. Il toponimo è in relazione con il verbo ficcare; in questo caso ficcare pali per fare ripari di argini e costruire dighe. Dovrebbe indicare il luogo in cui, secondo una mappa del 176778, gli abitanti di Palestro intendevano sbarrare un ramo della Sesia per deviarlo. C1772. Mondino 2017, p. 32. 75 Con tale nome è riportato in Visita 1685, GCSST 1852 foglio 40 e in IGM 1882. 76 ABIB, pergamene “Corporazioni religiose”, n. 4825. 77 In Carta 1700, con riferimento alle valli dei colatori descritti, si annota che nella zona tra Prarolo e la Sesia vi sono fossi altissimi. 78 Mappa 1767. 73 74 249 Giovanni Ferraris Fosalunga (la) - Con questo toponimo79 sono denominati colatori naturali che scorrono ad ovest del centro abitato, rappresentanti i resti del percorso più occidentale che la Sesia abbia raggiunto in territorio di Prarolo, a ridosso del terrazzo costituito dai terreni pleistocenici di cui si è detto prima (Fig. 1)80. Il sistema colatore più occidentale (Fosalunga propriamente detta o di Monteoliveto) consiste di due rami che confluiscono al loro incrocio con lo Stra dla Ligria81 per proseguire fino al Rusët, salvo una frazione che alimenta il Cavët. Il ramo destro si origina nei pressi della cascina Volpe e riceve le acque del fontanile di Monteoliveto; il ramo sinistro inizia a Carterana. I terreni attraversati hanno toponimi (Pantàn = Pantano, Valasa = Vallaccia) indicativi della natura già paludosa attestata da vari documenti82. Il colatore più prossimo al centro abitato è noto come seconda Fosalunga e in una carta del 1771 trae origine da tre stagni83 posti in Valasa / Gabìn. Attualmente, è alimentato dalle acque di scolo della regione Gabìn che vengono convogliate nell’Alvadin-a. Fos Stort (al) - Il colatore Fosso Storto deve il nome al suo percorso zig-zagante. Inizia nei terreni posti a destra della strada Prarolo-Cappuccini. Attraversate le regioni Tisùn e Tabia, parte della sua acqua è prelevata per alimentare l’Alvadin-a. Dopo avere costeggiato a nord il terrazzo della Turna dal Nus, scorre parallelo alla sinuosa Stra di Cavalànt fino a sottopassare la Stra ad Palèst presso la cascina Colombina; subisce un nuovo prelievo di acqua in fondo alla via Torta. Attraversata la Cun-a, si congiunge con la Dulinda per proseguire fino alla Sesia come descritto in tale voce. Frarùn (al) - Regione compresa tra l’Ersu dal Maurisi e quello della Maurina. La specificazione Vallis non lascia dubbi sull’originaria natura di alveo fluviale84. La natura latineggiante del toponimo suggerisce che esso fosse già in uso quando i frati benedettini gestivano il territorio. 80 In Carta 1700 e Carta 1697 la zona dei colatori è descritta come impraticabile (cf. nota 106). Nella tradizione locale si ritiene che al margine del dosso di Monteoliveto un tempo scorresse un fiume detto Lino. Tale fiume è verosimilmente da identificare con la Sesia, ma non è da escludere l’ipotesi, già coltivata dalla tradizione erudita, che potesse trattarsi del Cervo, supposto arrivare fino al Po (Dionisotti 1896, pp. 7-76; Durandi 1811). In ASTSR/BVASS, mazzo 4, in un documento di lite del 1761 si cita una inibizione di pesca nel “Servo morto” in territorio di Prarolo risalente al 1624. In ASTSR/BVASS, mazzo 8, doc. datato 1635, “la fontana chiamata Servo Morto” è ridotta a gerbido in seguito a materiale trasportato dalla Sesia. 81 In Mappa 1802 i due rami non confluiscono. 82 In ASTSR/BVASS, in particolare mazzo 11, si riportano toponimi quali Fontana e Pescata, descritta questa “tutta pescosa e paludosa” ed estendentesi dalla Volpe alla regione Gamberina, dove è detta Pescata Grande (mazzo 12). Ancora in tempi recenti tali terreni erano soggetti a fredde acque risorgive, nocive alla coltivazione del riso. 83 Carta 1771. 84 Il toponimo corrisponde alla Vallis Ferraroni di Consegnamento 1520 ed è italianizzato in Valfrarone in C1772 e C1824. 79 250 Prarolo una terra strappata alla Sesia Funtanìn (ai) - Regione posta tra il colatore della regione Varsoj e il Fos Stort, a destra della Stra ad Palèst alla quale è congiunta tramite una breve strada vicinale. Deve il nome alla presenza di fontane connesse con la natura di antichi alvei fluviali dei due fossi colatori che la delimitano (vedasi Dulinda). Gabìn (an ti) - Il fitotoponimo denota un’area già ricca di piccoli salici da vimini (gaba = salice85) tipici di greti fluviali. Infatti, la regione, posta a destra della Stra dla Ligria, appena fuori del centro abitato, è contigua all’alveo abbandonato proveniente da Carterana (Fig. 1)86. Presumibilmente Gabìn comprendeva anche l’appezzamento che lo delimita a sud, oggi noto come Campament dopo che fu sede di accampamento di reparti della 3a divisione dell’esercito piemontese nei giorni precedenti la battaglia di Palestro (30-31 maggio 1859)87. Gambarin-a - Regione a sinistra della Stra dla Ligria, tra il colatore Fosalunga e la Stra dal Rusët (Via Pezana, a la Pezanescha e ad Stratam pezanescam nel consegnamento del 1520). Già pertinente a Monteoliveto, dopo le vendite del 1801 vi è stata costruita una cascina. Il toponimo parrebbe in relazione con la zona paludosa della Fosalunga presumibilmente ricca di gamberi88. Geri (al) - Regione delimitata dalla Stra ad Palèst, la Via Torta, il fosso Alvadin-a e il Varsoj. Deve il nome al dialettale giara (géra) per ghiaia, lasciando intendere che originariamente fosse un ghiaieto. Glareas, ad Glaretos e ad Glarones sono toponimi attivi nel 152089; altri tre toponimi che fanno riferimento a ghiaieto (Giarëti, Giarìn e Giarùn) sono presenti nella regione genericamente nota come Campàs e Giarìn è pure usato per un appezzamento situato tra l’Ersu dal Maurisi e il Fos Stort90. Mondino 2017, p. 24. In Consegnamento 1520 ci sono i toponimi ad Salicetos, ad Gabbas de rossinacio. Gabeto in Visita 1685. 87 Ferraris 2009a, pp. 108-110; ivi si esamina anche la possibilità che lo stesso sito sia stato sede di accampamento delle truppe francesi del cardinale de la Valette durante l’assedio di Vercelli del 1638. 88 Vedasi i toponimi Pescata grande alla voce Fosalunga e Plascherii in Consegnamento 1520, ove compare anche Vallis gamberini. Il commercio di “pessi, gambari et rane” all’inizio del secolo XVII a Vercelli è citato da Piemontino 2011, p. 45. Il toponimo Gamberin-a è citato in C1772 e, a proposito di un gerbido, in C1804. 89 Consegnamento 1520. 90 C1804. Nel registro dei defunti della parrocchia di Prarolo per l’anno 1764, il 15 agosto sono registrati tre morti per annegamento al Giarìn, fra i quali un bimbo di 3 anni (submersi in aqua vulgo dicta del Giarino). Dovrebbe trattarsi del Giarìn vicino all’Ersu dal Maurisi anche se, essendo i tre annegati abitanti di Palestro, non è da escludere il Giarìn della regione Campàs. 85 86 251 Giovanni Ferraris Guri (an tal) - Regione posta a nord dell’Ersu e confinante ad est con la regione Maurina. Vi si accede dalla Stra ad Palèst tramite la Stra dal Guri, che scavalca l’Ersu alla Napula dal Guri91. Il toponimo indica una regione ricca di gure nel doppio significato di piccoli salici da vimini e di stagni / acque92. Nel 1767 la depressione del Guri è costellata da alvei abbandonati e in una carta del 185293 è occupata da un’ansa attiva della Sesia con il suo punto più meridionale all’altezza della Napula omonima tagliata da una traversa artificialmente scavata94. Nella stessa carta aggiornata al 1872 l’ansa risulta prosciugata, ma resta l’indicazione di guado nei pressi del Casinot dal Maurisi (Cascina del Cane). Le ultime lame (Lama dal Guri, Lama dal Maurisi) lasciate dall’ansa, di cui resta solo un fosso colatore, sono state bonificate a metà del secolo XX. Gurìn (an ti) - Regione posta a destra della strada per la diga di Palestro, preceduta da Ronchi; a sudovest si estende fino all’argine che corre lungo il bordo del terrazzo noto come Prijà (pietraia). Ai piedi di questo scorre un colatore residuo di alveo fluviale. Cf. la voce Guri. Isla (l’) e Islè (l’) - Le due regioni con tali toponimi (Isola e Isolotto) sono tra loro separate dalla Stra ad Palèst a destra della quale è ubicata la prima; questa si estende dalla Stra di Trëbi (poco a est del Fos Stort) alla regione Chemp, dalla quale è separata dalla Dulinda. Escluso il lato sud, la regione Islè è contornata dalla Dulinda su tre lati ed è collegata con la Stra ad Palèst tramite la Stra dl’Islè95. 91 Il termine napula indica la discesa praticata su una sponda o un bordo di terrazzo per permettere il guado di zona d’acqua sottostante (Sant’Albino 1859). 92 Voce Gorretus in Glossariun 1883-1887: “Ager viminibus consitus, quod goris seu canaliculis irrigari soleat.” 93 Mappa 1767 e CGSST 1852, foglio 40 (Vercelli), rispettivamente. 94 L’ansa non è presente nella mappa compilata in seguito alla vendita del 1801 (ACP). In Mappa 1802, a nord della Napula dal Guri è segnato un arco di sponda fluviale oltre la quale non è riportata presenza di acqua; si tenga presente che l’ansa di cui si parla si sarebbe formata in occasione di una grande alluvione del 1809 (Zanone 1998). I lavori per la traversa risultano già in corso nel 1832, quando si appalta un argine lungo la sua sponda sinistra (Gorini 1966, p. 223). Vedasi Ferraris 2009a, pp. 82-83 e, in particolare, le figure 22, 23, 24 e 25. 95 In Mappa 1762 Islè; in Consegnamento 1520 vi sono i toponimi ad Dossum insule, Insulam (ad) viam insule, Insulam de donato, Vallis ad insulam, Vallis prati ad insulam. In Consegnamento 1589 l’Isola si dice circondata da una valle; in Argine 1650 compaiono Isola e Isolé. Argine 1650 corrisponde a un foglio volante 31x43 cm, datato Vercelli lì 18. Ottobre 1650, su due colonne, contenente la descrizione dei lavori da eseguire e con il seguente incipit: “Hauendo l’Illustrissimo Magistrato Ordinario di Milano conosciuto per Visite, e relationi fatte fare per il Signor Fiscal Generale Ludouico Porro, & delli Signori Referendari, e fiscali di Vercelli in diversi tempi il bisogno forzoso di far reparare l’Argine dell’Abbazia di Prarolo […].” (Archivio dell’autore). 252 Prarolo una terra strappata alla Sesia Lama / Lamùn - Come menzionato in varie parti di questo articolo, diversi erano gli stagni residui di rami abbandonati dalla Sesia. La quasi totalità è stata bonificata, anche da molto tempo, lasciando però idronimi ancora in uso o registrati in documenti d’archivio. Oltre alle lame riportate sotto una voce dedicata, si accenna qui ad alcune altre. Lami dl’Albìn costituiscono un complesso di stagni, in progressivo interramento, posti a sinistra della strada per Pizzarosto; iniziano dalla Stra dla giara (o dla barca) e proseguono fin presso la diga di Palestro (la Ciüsa). Lamùn dal Maurisi e Lama dal Guri, si veda la voce Guri. Lamùn dal Roch o dal Galët sono idronimi indicanti lo stagno già ubicato a sinistra della strada per Pizzarosto, primo degli stagni che si trovavano lungo l’Ersu dal Campàs, ormai tutti interrati. Laschei - Toponimo96 non più in uso applicato a terreni confinanti con Arbé e di natura acquitrinosa favorevole alla crescita di carice (lësca in dialetto97) i cui lunghi e taglienti steli venivano usati per fare legacci e intrecciare ceste. Limbrìs - Il Merizzo costituisce l’insieme di terreni al servizio dell’omonima cascina confinante ad ovest con Asigliano e ad est con la tenuta Valoccara, ossia con il Rusët. Il toponimo è latinizzato in ad Meritium / Merizium nel 1520 e compare come Merizo / Merigio nel 158998; nello Stato delle anime per l’anno 173499 la cascina è detta Amerizzo. Le forme latine e italianizzate lasciano intravvedere una forma dialettale l’amerìs → l’amrìs → limbrìs. Secondo Rivoira100 “merizare, si dice, in particolare, del riposare dei ruminanti durante le ore meridiane” e secondo il dott. Gabriele Ardizio (comunicazione privata) “andare al merizzo” significa portare gli animali al pascolo. In altre parole, in antico i terreni della regione dovevano essere adibiti essenzialmente a pascolo; d’altronde alla vendita del 1801 risultano ancora presenti vari gerbidi. La cascina non esisteva nel 1520, in quanto nessun massaro è ivi residente (cf. nota 32) e l’edificio attuale corrisponde a un progetto datato 1789101. In un elenco di riparazioni eseguite a Prarolo nel 1569, a Merizzo figura rifatto il tetto di una stalla; nel 1585 esisteva un rustico che nel 1736 risultava abitato; nel 1769 il Merizzo è abitato da due massari ed è fornito di forno e pozzo102. Testimoniali 1622. Mondino 2017, p. 214. 98 Consegnamento 1520 e Consegnamento 1589. 99 APP, Stato delle anime 1734. 100 Rivoira 2012, p. 133. 101 Consegnamento 1520 e ASTSR/BVASS, mazzo 13, rispettivamente. 102 Nell’ordine: ABIB, faldone Famiglia n. 610, Stato dei beni 1585, APP Stati delle anime 1736 e Testimoniali 1769. 96 97 253 Giovanni Ferraris Mott (al) - Regione posta a sinistra del Cav ad Palèst di fronte al Tirol e alla cascina Lupo. Come indica il toponimo, si tratta di terreno che, almeno originariamente, si elevava rispetto a quelli circostanti, talvolta per accumulo di detriti alluvionali103. Da confrontare con la voce dialettale mutera, un accumulo di terra ricoprente letame al fine di ottenere un terriccio da ingrasso104. Muntlivët - Il toponimo indica l’insieme dei terreni al servizio dell’omonima cascina Monteoliveto. La maggior parte della regione è ubicata sul terrazzo posto a destra della Fosalunga propriamente detta, costituito da terreni paleocenici che culminano nel dosso omonimo; questo, ora spianato, era a forma di montagnola elevantesi una decina di metri rispetto ai terreni circostanti (Fig. 1 e 2). È presumibile che il toponimo sia stato introdotto dai frati benedettini quando gestivano il territorio senza che necessariamente il dosso fosse piantato ad ulivi. La sommità del dosso era terrazzata (pianoni) e coltivata a vigna ad uso dell’abate105. Nelle vendite del 1801, oltre a Vigna, figurano i seguenti toponimi pertinenti alla regione: Palladina, a nord della cascina e confinante con un colatore proveniente dalla Volpe; Ponchione (Punciùn) tra la strada per Valoccara (già Casalasca) e lo Stradùn; Troselle, di fronte alla cascina Gamberina a destra della Stra dla Ligria che ivi è detta Via Nova106; Merenda lunga, corrispondente ai terreni ora in parte occupati dallo stabilimento Yoshida. In una mappa del 1802 un edificio posto a nordest, quasi a Carterana, è segnato Fornace e vi si accede da strada che parte dalla cascina107. Muràsch (an) - Vasta regione, come indicato dalla preposizione an (= in), costituita da un terrazzo delimitato da Stra Grosa (primo tratto della Stra ad Palèst), Stra dal Buleru, Bulaneiru e Rusa e già contornato da alvei fluviali (vedi voce Bulaneiru); ciò è testimoniato anche dal toponimo Vallone di Morasco, usato nelle vendite del 1801 ed ora in disuso, indicante i terreni situati ad est e corrispondenti, almeno in Dizionario 1990, voce Motta; Pellegrini 2012, p. 192. Ad Motam in Consegnamento 1520; in Testimoniali 1622 si cita “cavo grande che si dice il Mot(t)o”; C1772. 105 Stato dei beni 1585. In Consegnamento 1520 compaiono i toponimi ad Vineam, Dossum montis oliveti e in Monte Oliveto ad nuces. Tibaldeschi 2014, nota 28, cita che il tipografo Pellipari fu pagato con “un botallo di vino bono di Plarolo”. 106 In Carta Sesia 1700 non è segnata una strada che da Prarolo conduca allo Stradùn. In tale carta un’ampia striscia di territorio che da Paniaji si estende fino al torrente Bona è descritta nel modo seguente: “Hasta di Prarolo, impraticabile in ogni tempo a cavalli e, alle volte, a pedoni, composta di varie sorgenti che non hanno alcuna esalazione per essere il paese molto herto (?)”. Nella legenda della Carta 1697 tale Hasta è considerata la maggior palude del Vercellese. 107 Mappa 1802. In Stato dei beni 1585 sono segnalate “cinque buche di fornaci per rifare due case de massari che vanno in rovina et reparare li altri nei lochi più necessari”. Testimoniali 1769 riporta: un massaro; vari focolari, forse per i lavoranti; una colombaia (già citata in Consegnamento 1589); forno e pozzi. 103 104 254 Prarolo una terra strappata alla Sesia parte, al Geri. Il toponimo Muràsch è interpretabile come fitotoponimo con suffisso in -asco derivato dal nome di piante / arbusti108; in questo caso la radice mur- potrebbe indicare sia il rovo (mura in dialetto) sia il gelso (murùn in dialetto)109, con preferenza per il primo, data l’aridità del terrazzo110. L’appezzamento delimitato da Stra ad Palèst, Rusa e primo tratto della strada vicinale interna alla regione, è noto come Marsida in quanto adibito a marcita fino a tempi recenti. Paniaji (an) - Regione compresa tra il Rusùn e la strada omonima, attualmente in parte occupata dall’autostrada A26. Paniagli nel 1520 e Paniaie nel 1683111, è italianizzato in Pancaglio (cf. l’omonima cascina lungo la strada Vercelli-Olcenengo). Paniaji deriverebbe112 da panicus ad indicare un luogo acquitrinoso (cf. la confinante Valasa) favorevole alla crescita di panico, inteso forse più come giavone (pabi o strosa) che come miglio degli uccelli o pabbio coltivato. Comunque, in dialetto, entrambe le graminacee sono dette paniss / panissa113 e la seconda è panis in francese. Pantàn (al) - Regione (già) pantanosa situata a est di Monteoliveto tra i due rami della Fosalunga. Nella parte terminale, prima che i due rami si congiungano all’incrocio con la Stra dla Ligria, è ubicata la Cuvëta114. Pradavidico - Toponimo non più in uso115, corrisponde ad un appezzamento ubicato a sinistra della Stra dal Guri e confinante a nord con il Fos Stort. Nella mappa annessa a Vendita 1801 è percorso da un fosso, alimentato dal Rusùn, che attraversa la Tabia, probabilmente modificato in seguito alla costruzione del Cav dl’islé. Prijà / Preà - Toponimo di un terrazzo ubicato tra l’avvallamento di Gurìn e il Campàs chiaramente indicante un antico stato di ghiaieto. Olivieri 1965, p. 35. Mondino 2017, p. 98, e Mondino 2017, p. 46, rispettivamente. 110 In Morascho in Consegnamento 1520. In Mappa 1802 un fosso rettilineo si diparte dal Gisiòt, attraversa la parte ovest di Muràsch e raggiunge il confine con Pezzana in Bulaneiru. In ASV/OSA, mazzo 1216, si conserva un disegno di Filippo Locarni con il progetto del sifone (tomba) che porta l’acqua alla marcita (Prato nuovo al Morasco) datato 21 maggio 1829. Tale fosso corrisponde all’incirca all’attuale Cavo Tabbia. 111 Consegnamento 1520, Consegnamento 1589. 112 Olivieri 1965, p. 253. 113 Mondino 217, pp. 231 e 279; in Vendita 1801 il toponimo Carrettone è associato alla regione Paniaji. Ferraris 1996, p. 133, cita il panico tra i cereali oggetto di decime che l’Abbazia di S. Stefano deve al Capitolo di S. Eusebio nel 1173. La panisa, tipica minestra vercellese di riso e fagioli condita con cotiche e salame sotto grasso, era anticamente a base di panico. 114 Ad Codam in Consegnamento 1520; Prato della Coda in C1772 e in Vendita 1801. 115 Presente in Consegnamento 1589 e in Vendita 1801. 108 109 255 Giovanni Ferraris Ramo - Inteso come ramo abbandonato della Sesia, il toponimo indica un appezzamento presso la Cun-a suddiviso in piccoli campi gestiti da privati. È nota una piccola proprietà della parrocchia ubicata in regione Ramo del Bue116. Rusët - Colatore naturale che inizia presso Carengo (Roggia Roggetto) e incide in terreni pleistocenici la sua valle, ora assai ridotta in seguito a lavori di bonifica. Superata la cascina Valoccara, sottopassa lo Stradùn, alimenta il Cavët per proseguire quindi verso Pezzana assumendo il nome di Roggia Principe dopo avere ricevuto le acque della Fosalunga di Monteoliveto e del Funtanùn117. Sisti (al) - Regione delimitata ad est dalla strada per Pezzana, a nord dalla circonvallazione, ad ovest da Pranövi e a sud da Bracùn. Tabia (la) - Ampia regione citata nel consegnamento del 1520, è delimitata dalla Rusa e dallo Scariadur (ovest), Stra di Valùn, prima, e Cav dl’Islé poi (nord), Stra dal Guri (est) e dalla Stra ad Palèst (sud). Attualmente attraversata dal primo tratto del Cavo Tabbia che lascia alla sua destra l’appezzamento detto Tabietta, la cui parte sud è classificata gerbido paludoso nel 1801. Dal latino tabula, corrisponde ad un’area piatta compresa tra la depressione del Fos Stort ed il terrazzo di Muràsch. Trëbi (ai) - Ampia regione con cascina costruita nella prima parte del secolo XIX, ubicata alla sinistra della strada omonima, nota pure come Stra dla Cun-a e Stra d’Lümlin-a. Analogo toponimo si trova a Pezzana lungo la strada per la cascina Puleis e non è escluso che a suo tempo le due regioni, tra loro poco distanti, ne costituissero una sola. Il toponimo (ad Trebias in Consegnamento 1520) non può essere collegato con la trebbiatura, tenuto conto della sua estensione e del fatto che tale operazione in dialetto si esprime con altri termini. Esso è verosimilmente indicativo di una antica natura di territorio arido, già greto di fiume, adatto alla crescita della trebbia maggiore (trëbi in dialetto118) le cui radici erano usate per fare spazzole e scovolini. Turna dal Guri (la)119 - Regione ubicata a destra della Stra dal Guri, tra il Cav dl’Islè e il Fos Stort. 116 APP, Relazioni dei parroci. Il toponimo (ad Ramum e ad ripam Rami) compare in Consegnamento 1520, Mappa 1762, C1824 e C1772. 117 In Mappa 1802 il Rusët è detto Bealera del Rosetto; i nomi Roggia Roggetto e Roggia Principe sono usati in IGM 1882. Lo stretto ponte tra Valoccara e Merizzo, recentemente rifatto, ne aveva sostituito uno che era in assi nel 1791 (annotazione a margine in Testimoniali 1769). 118 Mondino 2017, p. 197. 119 Turna o tornatura è un’antica unità di superficie corrispondente a circa uno iugero (Glossarium 1883-1887); nei toponimi qui trattati indica genericamente un appezzamento di terreno. 256 Prarolo una terra strappata alla Sesia Turna granda (la) - Regione ubicata a sinistra della Via Torta in proseguimento del Varsoj e fino all’appezzamento denominato Florio che confina con il Fos Stort. Citata120 come comprendente gli appezzamenti Arveglio e Persico in Vendita 1801, toponimi questi corrispondenti a Rovelletum e Campus Persichatum / Persicarum / Persici, insieme a ad Turna e in Turnis. I toponimi Arveglio e Persico sono l’italianizzazione di arvëij (rovi121) e parsighin (salicaria / salicella) e indicano aree tipiche di greto fluviale propizie a tale vegetazione spontanea. Florio dovrebbe derivare dal cognome di un antico coltivatore. Valasa (la) - Regione ubicata tra Paniaji e il dosso di Monteoliveto ad indicare una valle paludosa recuperata poi come risaia pantanosa da cui, come nel confinante Pantàn, in caso di pioggia era necessario asportare a mano i covoni di riso, in quanto impraticabile ai carri agricoli. Attualmente occupata da aree di servizio dell’autostrada A26122. Val dal Pèsi (la) - Regione ubicata a sinistra della strada per Pezzana123 di fronte al Bracùn e delimitata ad est dal Cavët. Il toponimo fa riferimento ad un insieme di piccoli campi (pezze) collocati in un acquitrinoso alveo abbandonato della Sesia (Fig. 1)124. Valle - Il toponimo, non più in uso, compare nelle vendite del 1801 e si riferisce a terreni posti a destra della Stra ad Palèst subito prima dei Chemp dove scorre la Dulinda, rafforzando l’ipotesi che questo colatore ricalchi un antico percorso della Sesia. Valuchera - Insieme di terreni pertinenti all’omonima cascina125 quasi totalmente Consegnamento 1520. Mondino 2017, p. 98. 122 Citata in Consegnamento 1589. 123 In Mappa 1802 è detta Strada della Crocetta. 124 Vallis pece in Consegnamento 1520 e Valle de pezza in un affittamento del 1611 commentato in Ferraris 1992. In Vendita 1801 alcune parti sono classificate gerbidi. 125 Dallo Stato dei beni 1585 apprendiamo che la Valoccara è “allivellata al s. Hieronimo Vassallo di Vercelli qualli ha fatto sopra una bona cassina et delli miglioramenti assai”. Il contratto di enfiteusi è datato 1545 (Sarasso 1957, p. 74) quando erano ancora presenti vari gerbidi. Facendo seguito a quanto detto nella nota 32, i passaggi successivi della Valoccara sono i seguenti (ASTSR/BVASS mazzo 12): 1633, Giovanni Francesco Vassallo fu Gerolamo conte di Favria vende a Nicola Lanino, i cui figli nel 1659 vendono a Giovanni Rolando Cisaletto di Giacomo. Questi nel 1701 riceve in enfiteusi dal cardinale Barberini anche Merizzo (mazzo 13), poi nuovamente separata nel 1753. Nel 1761 la Valoccara è intestata a Elisabetta Cisaletti Giusiana di Torino. La cappella dedicata alla Madonna delle nevi, ubicata di fronte all’ingresso della cascina Valoccara (Carta 1697, Carta 1700 e Testimoniali 1769) è da 120 121 257 Giovanni Ferraris ubicati su un elevato terrazzo pleistocenico che prosegue quello di Monteoliveto e confina ad ovest con i terreni di Merizzo. Nel consegnamento del 1520126 ricorrono i toponimi Fossatum vallis occarie, ad Pontem vallis ocharie e Vallis ocharia. Il toponimo Valuchera, italianizzato in Valoccara, fa riferimento alla posizione della valle del Rusët posta ad occidente (occasus) di Prarolo. In un affittamento del 1611 (Ferraris 1992) la tenuta è detta “Pruzzola o sia Valochera” (cap. 19). In un contratto di affitto127 del 1911, con mappe del 1889, sono menzionati i seguenti toponimi: Cagnola128 tra la Stra dal Rusët e lo Stradùn, a destra del quale vi sono Prato grande, Salto del Gatto, Quaroni; a sinistra della strada per Asigliano: Pescata dei Boccini, Formìa lunga, Risaia vecchia (confinante con il Rusët); a destra della stessa strada: Campo della chiesa (davanti alla cascina), Buco del Prajino (vicino al Rusët); presso la cascina: Torna della vigna e Torna delle aie, di fronte e di fianco alla cappella, rispettivamente, Torna degli orti (dietro alla cascina); prima di arrivare al ponte sul Rusët, a sinistra, Ventitré; oltre il ponte, a destra, Trentatré; la strada che dalla cascina va verso Vercelli è detta Strada delle Albere. Alla tenuta Valoccara appartengono due appezzamenti ubicati in sponda sinistra del Rusët, a sinistra della strada per Asigliano, curiosamente denominati Infèr e Pürgatöri, livellati solo recentemente129. Valùn (an ti) - Regione ubicata a cavallo della strada omonima; è delimitata a nord dall’Ersu, a sud dal Fos Stort e ad est dalla Stra dal Guri. Indicato come ad Vallonum nel 1520130, il toponimo fa chiaro riferimento alla morfologia di quella che fu un’ansa della Sesia (Fig. 2). La sua parte occidentale è denominata Tisùn (Tizzone), che potrebbe essere indicativo di un’antica appartenenza alla vercellese famiglia Tizzoni131. ritenersi una costruzione del XVII secolo (Ferraris 2019). Alla Valoccara, nel 1881 è nato il salesiano Secondo Rastello di Giovanni e di Angela Ferraris, morto nel 1945; egli è l’autore del noto inno “Don Bosco, ritorna” (Ferraris 2013). 126 Consegnamento 1520. 127 Archivio dell’autore. 128 La regione, lungo la Stra dal Rusët, già con cascina, deriva il suo nome da antica appartenenza alla vercellese famiglia Cagnolo (Carta 1700). Secondo Stato dei beni 1585 Giovanni Cagnolo, detto Signorino, aveva in affitto beni dell’Abbazia in Pezzana. 129 Nella legenda della Carta 1697 un’ampia fascia di territorio ai lati del Naviglio è detta essere incolta in quanto non irrigabile e il fosso che scorre parallelo all’attuale strada che dalla Valoccara incrocia lo Stradùn in regione Tumbi è segnato “Naviglio vecchio che viene da Vercelli”, il che spiega i toponimi ad Navilem (Consegnamento 1520) e Navilasso (C1804). 130 Consegnamento 1520. 131 In Consegnamento 1520 si registrano i toponimi Dossum Tizoni, apud stratam ad Tizonum e ad Tizzonum. In Vendita 1801 si indica con Gerbido una parte di Valùn adiacente all’Ersu. 258 Prarolo una terra strappata alla Sesia Varnëti (al) - Regione ubicata a destra della Stra dla Ligria, dopo la strada vicinale di Monteoliveto. Il toponimo indica la presenza di piccoli ontani (vèrne in dialetto132), tipici di terreni acquitrinosi (vedasi la voce Aunette). In proseguimento, la regione è nota come Pra lunch (prato lungo). Varsoi (al) o Varsoia (la) - La regione è a cavallo della prima parte del terzo colatore descritto sotto la voce Dulinda ed è compresa tra la Stra ad Palèst e la Via Torta. Il suddetto colatore attraversa la regione Valgioia (Varsoia) in territorio di Pezzana, con cascina omonima133. Complessivamente il toponimo, nelle sue varianti, è interpretabile come valle delle gioje, in italiano cornacchie. Vulp (la) - Il toponimo indica la cascina ed i terreni circostanti ubicati a nordovest di Monteoliveto, al confine con Vercelli, nei pressi di alveo fossile della Sesia (Fig. 1)134. Secondo Panero135, la cascina è stata costruita nella prima metà del secolo XV ed è elencata in un estimo del 1460 come Volpe in Cartirana. Nello stesso anno, ad casinam illorum de la Vulpe è riportato un fuoco intestato a Iacobus de Benevegnua136. I de la Vulpe erano facoltosa famiglia vercellese ed è da ritenersi che il toponimo sia da loro derivato137. 5. I segni della bonifica In questa sezione sono presi in esame i toponimi prettamente connessi con la secolare azione di bonifica del territorio e la conseguente sua acquisizione al pascolo e all’agricoltura grazie a livellamenti e costruzione di una rete irrigua. Alvadin-a (l’) - Fosso che raccoglie i colaticci provenienti dalla seconda Fosalunga e dal Fos stort per irrigare i terreni ubicati a sinistra della Via Torta e a ovest della Stra di Trëbi dove termina il suo percorso dopo aver superato il Fos Stort al Truvùn. È stata costruita nella prima metà del secolo XIX e presumibilmente deve il suo nome al fatto che permetteva la levata (alvà), ossia il recupero, di acque di scolo. Mondino 2017, p. 32. Ad Verniam in Consegnamento 1520. Carta 1700. Per gioje = cornacchie si veda Sant’Albino 1859. 134 Pur essendo ubicata in territorio di Prarolo, la Volpe è in parrocchia del rione Cappuccini dal 1866. Al parroco di Prarolo spettavano cinque lire annue pagabili da quello dei Cappuccini (Pollone 1966, p. 21). 135 Panero 2014, p. 398. 136 Negro 2019, p. 388. 137 In Consegnamento 1520 sono citati un massaro che abita alla Volpe ed il toponimo ad Vulpem. In Affittamento 1591 si cita un “Bosco Chiosso” roncato. Bosco Chiosso potrebbe corrispondere a Boschum clausum citato nello stesso consegnamento; terreni pertinenti a tale località risultano ceduti in enfiteusi nei protocolli del notaio Scutari (c. 372rv,1431 aprile 7) e del notaio Biandrate (7c. 161rv 1436 gennaio 3) spogliati da Elisabetta Canobbio (Canobbio 2019) che ringrazio per la comunicazione. In Mappa 1802 è riportata la presenza di una fornace. In Testimoniali 1769 è citata la cinta di cui rimangono alcuni mozziconi. 132 133 259 Giovanni Ferraris Balt (ai) - Cascinotto in territorio di Vercelli, ora scomparso, ubicato a sud dell’Ersu che inizia a Carterana; costruito dopo la bonifica della regione Guri con cui confina. Il toponimo deriva da Baldo, nome del proprietario. Baraca - Appezzamento ubicato a destra della Via Torta prima della Busiëta. Il toponimo è connesso con la passata presenza di una costruzione ufficialmente nota con il nome di Casotto Palmari138. Canepale - Il termine è ampiamente presente nel consegnamento del 1520. Nel caso specifico, esso compare nelle vendite del 1801 quale toponimo applicato ad appezzamenti ora urbanizzati nei pressi dell’incrocio tra Via Pezzana e Via Libertà (già al Bèlvideri139), noto come Crus. Verosimilmente, più che alla coltivazione della canapa, il toponimo fa riferimento all’utilizzazione dell’area per macerare la canapa. Varie persone sono qualificate come canvaioli (canapa = canva in dialetto) nei registri parrocchiali a cavallo dei secoli XVIII e XIX (cf. nota 36)140. Cavi irrigatori - Anche prima della costruzione del Rusùn appare chiaro dai documenti consultati che i prati artificiali erano produttivi solo se irrigati e a tale scopo si utilizzavano acque risorgive e degli stagni141. Vari documenti142 illustrano una rete irrigua che è all’origine di quella attuale, sviluppata nel secolo XIX e qui di seguito delineata. Cav dl’Islè143 - Fosso alimentato con acque del Rusùn che in parte proseguono per la regione Muràsch, all’inizio della quale azionavano un trebbiatoio conosciuto come la Machin-a. Il Cav dl’Islé fu costruito nella prima parte del secolo XIX per irrigare i campi su entrambi i suoi lati fino all’Islé; di qui piega verso i Chemp. Cav dal Guri (al) - Derivato dal Cavo Francese, con presa di fronte alla cascina Volpe, scavalca il Rusùn a Carterana144 e va ad irrigare la regione Guri. Cav ad Palèst (al) - Derivato dal Rusùn a Carterana nel XIX secolo, va ad irrigare i terreni situati in territorio di Palestro sulla sponda destra della Sesia. IGM 1882. Nel 1859, alla vigilia della battaglia di Palestro, il generale Canrobert ricorda nelle sue memorie che arrivando a Prarolo da Pezzana, alla testa del III Corpo d’armata francese, scorgeva roseti, glicini e gelsomini in quanto, forse, al Bèlvideri c’erano orti (Ferraris 2009a, p. 118). 140 In Carta 1700 alla Crus è segnato uno slargo d’acqua (suas in dialetto) alimentato dalla Rusa. In C1824 l’appezzamento è classificato come vigna. 141 Presumibilmente l’impianto di prati irrigabili con acque locali risale agli albori dell’Abbazia quando erano i frati benedettini a gestire il territorio. Si veda la voce Pranövi. 142 Testimoniali 1769, Mappa 1779 e Mappa 1802. 143 Cavo Tabbia in IGM 1882. 144 Della cascina Carterana alimentava il trebbiatoio. 138 139 260 Prarolo una terra strappata alla Sesia L’irrigazione di questi terreni e di quelli del Guri è gestita dal Consorzio irriguo di Palestro. Cavët e Cav dal Buleru145 - Il Cavët originariamente era alimentato solo dalla Fosalunga di Monteoliveto. Ora esso è alimentato essenzialmente dal Rusët mediante uno sbarramento in regione Funtanùn costruito nel 1838146. Dopo che ha scavalcato la Rusa in Val dal Pèsi, il cavo è denominato Cav dal Buleru e prosegue a destra della Stra dal Buleru arrivando fin oltre la Cun-a. Come risulta dalla Fig. 1, per lungo tratto il cavo, compresa la Fosalunga di Monteoliveto, percorre un antico alveo della Sesia. Cutürùn (al) - Regione posta a destra della Via Torta, prima della Busiëta. Il toponimo si riferisce all’originario buon strato di suolo fertile (cutüra in dialetto) depositato dal fiume. Dudas (al) - Appezzamento delimitato da Stra ad Palèst (sud), Stra dal Guri (ovest), Cav dl’Islè (nord) e Fos Stort (est). Si riferisce alla sua estensione in giornate. Ersu - Argine che inizia a Carterana e si snoda in sponda sinistra del Cav ad Palèst fino all’incrocio di questo con la Stra ad Palèst ai Chemp. Ivi svolta a destra per arrivare, inizialmente, al Campàs e alla Cun-a; attualmente si dirige invece verso Pizzarosto lungo il confine tra Gurìn e Prijà. Diverse suoi tratti, o varianti, hanno toponimi specifici quali: dal Panaté (all’inizio), dal Guri, dal Maurisi (presso un omonimo cascinotto ora demolito), dla Maurin-a (una cascina ora demolita), dal Tirol, dl’Islè, di Chemp, dal Campàs. In una mappa del 1767147 è descritto come segue: “Argine stato formato, e che viene mantenuto dall’Abbazia di Prarolo, principiando dalli confini della città di Vercelli, avendo suo progresso per tutta l’estensione del territorio di Prarolo sino alla Bosia della Cona, ed indi ripigliando la successiva continuazione sovra il territorio di Palestro, fino oltrepassata la cassina dtta del Campasso, situata sovra le fini di Palestro”. In una mappa del 1762148 l’argine è detto costruito nel 1734, ma sicuramente le sue origini sono molto più antiche. In documenti elencanti lavori eseguiti a Prarolo nel 1568 e 1569149 risulta che in quegli anni l’argine fu riparato dai massari. Nel 1650 furono eseguite riparazioni, ampliamenti e 145 146 147 148 149 Cavo Braccone e Cavo Pozzolo, rispettivamente, in IGM 1882. ASV/OSA, mazzo 32. Mappa 1767. Mappa 1762. ABIB, faldone Famiglia n. 610, Benefici ed Abbazie. 261 Giovanni Ferraris sopraelevazioni a seguito di varie rotture in esso presenti: all’Isola, all’Isolé (Islé), al Zerbo, al Bori (Guri?), al Tizzone. In un documento del 1707 si descrivono i danni causati da una inondazione della Sesia che ha rotto a Carterana ed ha interessato tutto il territorio di Prarolo: l’Islè, Valloni, Pranovi, Trebbie, Borromea, Bolero, Braccone, Valle delle Pezze, Cornetto, Isla, Aunette, Bosietta150. Fornaci - Toponimo in disuso per una zona, ora urbanizzata, ubicata tra la via Palestro (ovest e sud) e la Rusa; in parte, anche a cavallo di questa. Probabilmente ospitò fornaci per produrre i laterizi necessari agli ingenti lavori edilizi del secolo XVIII, compresa la ricostruzione del castello151. Furnasùn (da bas e da zuri) (al) - Terreni della Gamberina posti a sud della cascina, a sinistra della Stra dal Rusët; dovrebbero essere stati sede di una grossa fornace. Giardìn (al) - Regione che si estende da sinistra del Viale della Rimembranza (comprese le case omonime) fino allo Scariadur e alla tenuta Economia Carterana di cui, almeno in parte, costituiva il giardino152. Gisiòt (al) - Regione ubicata a sinistra della Stra d’Lümlin-a uscendo dal paese dalla attuale Via Castino, già Cuntrà dal Gisiòt. Sul lato opposto, alla curva, si trovava una piccola chiesa di forma ottagonale153, da cui deriva il toponimo. La chiesetta risulta intitolata a S. Rocco nel 1728 e a S. Giuseppe nel 1771154. Argine 1650 e, per il 1707, ASTSR/BVASS, mazzo 7. Cf. Ferraris 2010. Il toponimo è presente in Vendita 1801. 152 In questa tenuta, nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1821, si trovarono i rivoluzionari della zona sud di Vercelli che guidati da Giuseppe Malinverni, ivi residente, diedero il via alle agitazioni a Vercelli nella mattinata successiva (Ferraris 2009a, pp. 58-61). Pragiardino in Vendita 1801. 153 “Piccolo chiesotto, denominato S. Giuseppe, in forma ottagonale, costrutto di cotto, con suo sternito di mattoni, con al di sopra coperto di coppi, suo altare con mensa ed ancona di stucco rappresentante S. Giuseppe genuflesso ai piedi della B.V. Ed ai due lati, cioè da parte del Vangelo, vi esiste l’immagine di S. Giuseppe ed a quella dell’Epistola quella della B.V. dipinta sul muro; con due finestre laterali, con sue ferrate e griglie ed antini di rovere per li vetri e suo telaio; uscio d’ingresso di rovere co suoi pollici, vericelli, serratura a chiave in buon stato.” (Testimoniali 1769; si veda anche Sarasso 1957, p. 37, e Visita 1780). Cinque anni dopo nella relazione per la visita pastorale del vescovo V. G. Costa di Arignano (ASAV, visite pastorali, 28 agosto 1774, pp. 166-170) è riportato quanto segue: “Declaratum fuit suspensum et interdictum oratorium campestre parum distans ab loco Pratarolii erectum sub invocatione S.ti Josephi, constructum lateraliter et prope viam publicam quae tendit ad civitatem Vercellensis quod indecens atque ruinosum. In actu visitationis inspectus et recognitus fuerit.” 154 Carta 1728 e Carta 1771, rispettivamente; cf. Ferraris 2017a. Il toponimo Gisiòt è già citato in Visita 1685. In Vendita 1801 il toponimo Cappella riguarda una zona nei pressi della chiesetta, verso il cimitero, nota anche come Ratacapèla. 150 151 262 Prarolo una terra strappata alla Sesia Moronata - Toponimo, ora in disuso, di terreni urbanizzati e ubicati a destra di Via Marconi, già piantati a gelsi (murùn in dialetto) all’epoca delle vendite del 1801. Piantalone - Toponimo della regione ubicata tra circonvallazione e centro abitato delimitata a est da Via Pezzana, ora urbanizzata; già usato nel consegnamento del 1520 nelle forme ad Piantalonum e ad Piantaletum155. Nello stesso documento plantatum è attributo di diversi appezzamenti prativi o coltivati a cereali ad indicare, verosimilmente, che su di essi vi è un certo numero di alberi156. Pranövi (an) - Toponimo della regione ubicata esternamente alla circonvallazione e delimitata a est dal Sisti, a sud dal Cavët e a nordovest dalla Fosalunga di Monteoliveto. La forma latineggiante (prata nova) del toponimo fa ritenere che esso fosse già in uso quando erano i frati benedettini a gestire il territorio; data l’ubicazione, i prati potevano essere facilmente irrigati con acque derivate dalla zona paludosa posta ai piedi del terrazzo di Monteoliveto157. Raulette - Forse Rolette; toponimo in disuso che indicava terreni, ora parzialmente urbanizzati, ubicati tra la Rusa (est), Via Palestro (nord), Via Pezzana (ovest) e Val dal Pèsi (sud), presumibilmente già ricchi di roveri (rul in dialetto)158. Rusùn (al), Rusa (la) e Scariadur (la) - Considerato localmente il roggione per antonomasia, Rusùn è il nome dialettale della Roggia Molinara fino alla sua biforcazione in due rami presso il mulino: il ramo principale attraversa il centro abitato (Rusa)159, mentre l’altro ramo (Scariadur) lo circonvalla a nord e a est. I due rami Consegnamento 1520. Plantatum = locus vitibus vel arboribus consitus (ut commixtus vel conditus) (Glossarium 18831887). In Vendita 1801 è segnalata la presenza di moroni (gelsi). 157 Cf. Testimoniali 1769. In Vendita 1801 è segnalata la presenza di gerbido. In Consegnamento 1520 ricorre il toponimo in Prato Novo. 158 C1804. 159 Fino alla ricostruzione del castello, a metà secolo XVIII, la Rusa percorreva l’attuale Via Vittorio Veneto (Cuntralunga); per far posto alle case dei massari essa venne spostata verso sud di qualche decina di metri nella posizione attuale a fianco di Via Libertà (Bèlvideri) (Ferraris 2010). Il percorso del tratto di Rusa adiacente a Via Marconi fu modificato e coperto in seguito al completamento dell’edificio noto come Palasi (progetto di Carlo Locarni datato Prarolo 15 ottobre 1866; ASV, Ufficio del Registro di Vercelli, libro 302, cc. 281 segg. Della notizia sono grato a Giorgio Tibaldeschi). In seguito, il Palasi divenne proprietà di Leon David Pugliese Levi (ebreo e padre del noto pittore Clemente Pugliesi Levi) (ACP, fascicolo Lavori pubblici, progetto datato 1877 per la costruzione del cavetto adduttore dell’acqua necessaria a lavare le fogne) per cui è noto anche come Ca dl’abré. La copertura della Rusa è detta Vultùn e il tratto di Via Marconi ad essa adiacente è noto come Daré dal palasi. 155 156 263 Giovanni Ferraris si ricongiungono poco prima del Pungiasi per dirigersi, con il nome di Rusa, verso sud e irrigare la parte orientale del territorio di Pezzana, sfociando infine nel torrente Bona presso Caresana. Secondo Sarasso 1957, pp. 30-31, almeno un breve tratto di Molinara a monte del mulino era “stato costruito contemporaneamente al castello” alimentandolo con acque piovane, prolungandolo poi, nella seconda metà del secolo XV, fino a captare acque nei pressi della città di Vercelli. Sul finire del secolo XVI la fornitura di acqua fu migliorata dall’abate F. Borromeo160. La Molinara (roggia wasser) è schematicamente riportata nella stampa rappresentante l’assedio di Vercelli del 1630 citata alla voce Cartran-a; il percorso è descritto in vari documenti161, con i suoi manufatti e le sue derivazioni poste tra l’incastro detto Pianchi162 e il mulino di Prarolo (vedasi voce Cavi)163. Sentieri - Fino agli anni ’70 del secolo XX la gente a piedi, o in bicicletta, si serviva di scorciatoie consistenti in sentieri campestri per lo più ubicati sulle sponde di corsi d’acqua. I principali erano i seguenti. Santé dal plati che univa la Machin-a con la strada per Carterana seguendo la sponda sinistra del Cavo Tabbia. Santé ad Cartran-a in sponda destra del Rusùn portava alla cascina Carterana. Santé ad 160 Nel 1559 (ASTSC, Abbazia S. Stefano, mazzo 1, doc. 10), all’atto di presa in consegna della chiesa da parte del prete Miglietti, i 14 moggia di prati del beneficio situati in regione Gisiòt sono irrigabili tramite acqua de Rugia Molinaria con cui confinano. Da un corposo fascicolo datato 1578 (ASTSC, Abbazia S. Stefano, mazzo 1, doc. 11) risulta che l’abate Guido Ferrero concesse al conte Alfonso Langosco Motta l’uso dei colaticci di Prarolo e delle acque della fontana di Monteoliveto da condurre su suoi terreni posti a valle. Ne segue una causa dove vari testimoni di Prarolo, fra i quali il Miglietti, lamentano che l’acqua della Molinara, derivata dalla Roggia Varola, è insufficiente per mulino e prati, anche perché la Varola è asciutta per vari mesi. Pertanto i colaticci e la fontana di Monteoliveto dovrebbero essere utilizzati sul posto. Nel 1593 F. Borromeo acquistò 5 once di acqua della Bealera dei Molini di Vercelli (ASTSR/BVASS, mazzo 7) e il 22 marzo 1594, a conclusione di una controversia iniziata nel 1593 (cf. pergamena n. 7798 in nota 26) stipulò una transazione con il Capitolo di S.M. Maggiore per usufruire di acque del fosso della cittadella (ACV, faldone 4bis). Come detto, oltre a fornire acqua di irrigazione, la Roggia Molinara era essenziale per azionare il mulino, che in Testimoniali 1769 risulta dotato di due macine. La pista da riso fu aggiunta nel 1831 (ASV/OSA, mazzo 1218; progetto di Filippo Locarni). 161 Visita 1685 e Mappa 1779. La Roggia Molinara, inizialmente derivata alle Tre Bocche dal fossato di Vercelli, presso la cascina Rantiva sottopassava la roggia da cui è ora alimentata con conseguente abbandono del tratto a monte (Benedetto 1993). 162 Le prese del Pianchi (pianchi = passaggi pedonali sopra un corso d’acqua, Sant’Albino 1859) sono segnate in Mappa 1779 specificando che servono “a riversar l’acque per l’innaffiamento de prati proprii di detta Abbazia in detto territorio di Prarolo a destra e a sinistra d’essa Roggia esistenti”. Ivi, a destra è derivato il fosso di Paniaji e a sinistra il Cavo Tabbia (presa ora avanzata verso il mulino). 163 Con l’acquisto della tenuta Castello, l’Ospedale S. Andrea di Vercelli acquisì anche la Roggia Molinara e le sue derivazioni. Nel 1830, l’Ospedale stabilì una convenzione con i proprietari terrieri di Prarolo riguardo all’uso di acqua per risaie ed irrigazione delle culture irrigue (ASV/OSA, mazzo 32). La Molinara fu acquisita al demanio dello stato sabaudo nel 1857 (Actis Caporale 1998, p. 274). 264 Prarolo una terra strappata alla Sesia Muntlivët portava dalla Stra dla Ligria alla cascina Monteoliveto seguendo la sponda destra della Fosalunga. Santé dl’Alvadin-a seguiva la sponda sinistra del fosso omonimo dalla Stra dal Buleru alla Stra di Trëbi. Santé dl’Islé seguiva la sponda sinistra del cavo omonimo. Strade - L’impianto attuale delle strade è essenzialmente immutato da quando esiste una documentazione; di seguito esse sono brevemente descritte. Stra d’Lümlin-a era un itinerario che collegava Vercelli ad un guado sulla Sesia nei pressi di Caresana164. Per quanto riguarda il territorio di Prarolo, da Carterana esso corrisponde all’Ersu fino alla Napula dal Guri, prosegue (con il nome di Stra di Cavalànt) seguendo il Fos Stort fino alla Colombina, quindi punta al confine con Pezzana con i nomi di Stra di Trëbi e poi di Stra dla Cun-a. Stra dal Guri165, dalla Stra ad Palèst alla regione omonima. Stra dal Campàs, inizia a sinistra della Stra di Trëbi dopo la cascina. Stra ad Palèst dal centro abitato, supera la Rusa sul ponte Pungiasi166 e porta verso la Sesia; nel tratto fiancheggiante Muràsch è nota come Stra Grosa167 e dopo l’Ersu di Chemp si biforca in Stra dla Barca, o dla Giara, e in Stra d’an Pisarost o dla Ciüsa. Stra dal Buleru inizia a destra della Stra ad Palèst dopo Muràsch per biforcarsi poco dopo, a sinistra, con la Via Torta168. Stra d’an Paniaji inizia in fondo a Via Castino, sulla sinistra, supera il Rusùn e si inoltra nella regione omonima. Stra d’an Bracùn serve la regione omonima iniziando dalla circonvallazione. Stra dl’Arbé serve la regione omonima iniziando a sinistra della Stra di Trëbi poco prima della cascina. Stra dal Funtanìn serve la regione omonima a partire dalla Stra ad Palèst. Stra dla Ligria169 collega il centro abitato con lo Stradùn; dopo la Fosalunga di Monteoliveto, a destra, si diparte la Stra ad Muntlivët e dopo la cascina Gamberina, Mappa 1762. Si chiamava con lo stesso nome anche il tratto cha da Carterana va a Prarolo. In Mappa 1802 la Stra dal Guri è detta Stradone. 166 Il toponimo applicato al ponte, già presente in muratura in Visita 1780 e Mappa 1779, ed alla regione circostante può essere spiegato in due modi: Ponte del ghiaccio (giasa in dialetto, nel senso che nei paraggi si ricavava il ghiaccio da conservare per l’estate nelle ghiacciaie), oppure Ponte delle gazze (jasi in dialetto), nel senso che nei paraggi si tendevano trappole per tali uccelli nella stagione invernale (pratica ancora seguita fino a metà secolo XX sulle aie della vicina Machin-a). 167 Il toponimo si riferisce all’ampliamento locale della strada, il quale è verosimilmente dovuto all’occupazione dell’area prosciugata di uno stagno attraverso cui si ricavò parte dell’alveo del fosso che va ad alimentare l’Alvadin-a con le acque del Fos Stort; tale fosso fino a tempi recenti formava ivi uno slargo detto Rusa di cavaj perché vi si entrava con cavalli e carri al fine di ripulirli dal fango. 168 Il toponimo si riferisce all’andamento zigzagante della strada. La forma latinizzante di Via Torta starebbe ad indicare che la strada era già presente quando erano ancora i frati benedettini a gestire il territorio. 169 Allegria è un’antica osteria / locanda ubicata sulla sinistra dell’incrocio tra la strada omonima e lo Stradùn. 164 165 265 Giovanni Ferraris a sinistra, inizia la Stra dal Rusët che porta a Pezzana. Superato lo Stradùn la strada prosegue per le cascine Valoccara e Merizzo e raggiunge quindi Asigliano. Stra di Valùn inizia al cimitero, attraversa l’Ersu e il Cav ad Palèst alla Napula omonima e, svoltando a sinistra, si snoda sulla sponda sinistra del cavo. Tisùn - Si veda Valùn. Truvasa - Trova indica un ponte canale e la regione Truvasa si trova laddove il Cav dal Buleru supera il colatore del Varsoj170. Truvùn (Trovone) - Regione a destra della Stra dla Cun-a dove questa fa una curva, prima della Burumea; deve il suo nome alla trova con cui l’Alvadin-a supera ivi il Fos Stort. Tumbi (al) - Tumba indica un sottopasso a sifone di corso d’acqua. Al Tumbi è luogo di più sifoni posti all’incrocio tra la strada della Valoccara e lo Stradùn. Varie sono le tumbe sul territorio di Prarolo, quali: Tumba dla Culumbin-a dove il Fos Stort sottopassa la Stra ad Palèst; Tumba dal sümiteri171 dove il Cavo Tabbia sottopassa Via Castino; Tumba dla Machin-a vicino alla Marsida; Tumba dla Giuanèla dove il Fos Stort sottopassa il Cav dl’Islè, toponimo collegato con la tragica morte per annegamento della bimba Giovanna Giovanelli (1904-1911), sorella del seminarista Giovanni (1899-1918), caduto diciottenne nella Grande Guerra172. Turna dal Nus (la) - Toponimo chiaramente indicante una coltivazione di noci nella regione ubicata a sinistra della Stra dal Guri tra Cav dl’Islé e Fos Stort. Ad Nosetum in Consegnamento 1520173. 170 Il toponimo in disuso Campo della Guardia (Vendita 1801) indicava la stessa regione. In Consegnamento 1520 compare come ad Guardiam e ad Campum guardie. 171 A proposito del cimitero (sümiteri in dialetto) può essere interessante ricordare la genesi del toponimo minteri applicato al sagrato della chiesa parrocchiale. Tale area fu sede del cimitero “nuovo” e localmente la gente continuò a riferirsi ad essa come il sümiteri; secondo la relazione del parroco G. D. Balloco (Balocco) del 1816, “vecchio” era il cimitero posto a mezzanotte della chiesa (ASAV, Relazioni parroci di Prarolo). Quando ormai del cimitero più nessuno si ricordava, il termine fu corrotto in sül minteri, presumibilmente sotto l’influenza dell’essere il sagrato sopraelevato rispetto alla via adiacente. L’attuale cimitero risale al 1835 (Sarasso 1957, p. 55). 172 Ferraris 2017b, p. 48. 173 In un documento del 1740 (ASTSR/BVASS, mazzo 4) l’affittuario dei beni denuncia il mancato raccolto di noci a causa della memorabile gelata dell’inverno 1739-1740, durante la così detta piccola era glaciale che interessò l’Europa dal XIV al XIX secolo. Nel 1740 la mortalità a Prarolo triplicò (APP, Registro dei defunti). La presenza di noci nel 1769 era ancora elevata, come risulta da una tabella pubblicata in Sarasso 1957, p. 40. 266 Prarolo una terra strappata alla Sesia 6. Conclusioni Numerosi toponimi del territorio di Prarolo sono reminiscenti delle caratteristiche morfologiche e botaniche di un paesaggio modellato dal divagare del fiume Sesia che nei secoli è ivi migrato da ovest verso est. Oltre che da descrizioni del territorio risalenti al secolo XVI, le informazioni che possono dedursi dalle etimologie dei toponimi sono corroborate dalle tracce di antichi alvei fluviali ancora evidenti in foto aeree e riscontrabili sul terreno nel corso di colatori naturali, che ne rappresentano la traccia residua, e dei relativi bordi di terrazzamento. Tali toponimi sono di origine antica e già compaiono in documenti, risalenti anche al XIII secolo, relativi all’Abbazia di S. Stefano di Vercelli, di cui Prarolo ha rappresentato il maggior possedimento. Tenuto conto che lo scambio operato intorno al 970 da Ingone del territorio di Prarolo fu definito diabolico (cf. nota 14), si può ragionevolmente ritenere che allora ad oriente del centro abitato fossero ancora ampiamente presenti acque, ghiaieti e gerbidi, anche se la presenza di una chiesa a quella data e, verosimilmente, di una fortificazione mostrerebbero che la bonifica del territorio orientale era in atto. L’antico ingresso al castello, posto nella torre quadrangolare munita di ponte levatoio, era rivolto verso mezzogiorno e non, come ci si aspetterebbe, verso Vercelli, cioè a nord, dove si trovava il convento dell’Abbazia. Tale scelta potrebbe essere un indizio di antica impraticabilità costituita dalla presenza attiva dell’alveo fluviale di Valùn che avrebbe costituito un notevole ostacolo in quella direzione (Fig. 1 e 2)174. Secondo i protocolli del notaio Scutari (cc. 184v-185r, 1379 dicembre 3), spogliati da Elisabetta Canobbio (Canobbio 2019) che ringrazio per la comunicazione, nel 1379 in coerenza al Vezzolano (Cappuccini) vi era via publica qua itur Pradarolium. 174 267 Giovanni Ferraris Documenti di archivio Affittamento 1591 = ABIB, faldone Famiglia n. 611: documento a stampa, datato Milano 31 agosto 1591, ampiamente annotato a mano. Carta 1697 = ASTSC, carte topografiche per A e B, Vercelli, mazzo 3: “Carta della provincia di Vercelli con i suoi confini dello stato di Milano, del Monferrato, e di Masserano” (Varin de la Marche, 1697). Carta 1700 = ASTSC, carte topografiche per A e B, Sesia, mazzo 2: “Carta del corso della Sesia ne’ confini del vercellese e dello stato di Milano, da monti superiori di Masserano sino all’imboccatura del Po tra Casale e Valenza” (Varin de la Marche, 1700). Carta 1728 = ASV, fondo “Disegni - Arborio Mella”, disegno n. 44: “Pintura del circuito di Vercelli con l’indicazione di quattro miglia per l’allontanamento delle risaje 1728”. Copia del 1789. Carta 1771 = Bibliothèque national de France, GE C-4686: disegno: “Carta della provincia de Vercelli, con i suoi confini, del contado di Novara e di Vigevano, signoria della Lumellina, ducato di Monferrato e prencipato di Masserano. Con una breve descrizione delle cose principali che in essa si contengono” (Angelo Giuseppe Genta, Vercelli, lì 6 decembre 1771). C1772 = Catasto di Prarolo del 1772 (ACP). C1804 = Catasto di Prarolo del 1804 (ACP). C1824 = Catasto di Prarolo del 1824 (ACP). Consegnamento 1520 = ABIB, faldone Famiglia n. 611: Consegnamento dei beni, presumibilmente al cardinale Agostino Ferrero. Consegnamento 1589 = ABIB, faldone Famiglia n. 611: Consegnamento dei beni al cardinale F. Borromeo. Mappa 1762 = ASTSR/BVASS, mazzo 14: “Tipo de beni della Rev.ma Abbazia di S. Steffano della Cittadella di Vercelli situati sovra il territorio di Prarolo”. Mappa 1767 = ASTSR/BVASS, mazzo 7, due disegni: “Indice di tutto quanto viene contenuto nel presente tipo con distinta relazione delle cose esistenti di fatto”. Mappa s.d. ca 1760 = ASTSR/BVASS, mazzo 14: confini con Palestro. Mappa 1779 = ASTSR/BVASS, mazzo 7: “Piano del corso delle acque sovra il territorio di Prarolo”. Mappa 1802 = ASTSC, Carte topografiche per A e B, Prarolo, mazzo 1: “Plan de Prarolo levée à l’échelle de 1 à 5/m / Ing.r en chef du départ. de la Sesia” (firmata Momo). Stato dei beni 1585 = ABIB, faldone Famiglia n. 611: “Stato dei beni nel 1585 in occasione della presa in consegna da parte dell’abate commendatario cardinale Federico Borromeo”. Testimoniali 1622 (anno 1624) = ASTSC, fondo Paesi, Milanese, Confini antichi con lo stato di Milano, mazzo 7, fasc. 4, doc. 2: “Testimoniali d’informazioni prese su diversi attentati commessi dagli uomini di Prarolo sul territorio di Palestro (1622-1624)”. Testimoniali 1769 = ASV/OSA, mazzo 31: “Visita e recognizione de’ beni, redditi e fabbriche della Rev.ma Abbazia di S. Stefano della Cittadella di Vercelli fattasi nell’anno 1769”. Vendita 1801 = Catasto di Prarolo del 1801 redatto in seguito alla vendita dei beni dell’Abbazia di S. Stefano. Testo presso ASV/OSA, mazzo 837; mappa presso ACP. Visita 1685 = ASTSR/BVASS, mazzo 4: relazione della visita ai beni dell’Abbazia di S. Stefano essendo abate commendatario Giuseppe Orsini di Rivalta. Visita 1780 = ASTSR/BVASS mazzo 5: visita agli edifici sacri di Prarolo dopo la morte dell’abate commendatario Albani. 268 Prarolo una terra strappata alla Sesia Bibliografia Actis Caporale 1998 Aldo Actis Caporale, Uno spaccato di storia vercellese: la realizzazione del Roggione di Vercelli, in “Vercelli dal Medioevo all’Ottocento - Atti del convegno, Vercelli 24-25 maggio 1991”, a cura di M. Cassetti, Vercelli 1998, pp. 259-314. Annuario 1875 Annuario statistico per i comuni del circondario di Vercelli, Vercelli 1875. Argine 1650 Argine di Prarolo, per Gaspar Marta, Vercelli 1650. Benedetto 1993 Carlo Benedetto, L’irrigazione attorno alla città di Vercelli, in “Storie di canali e di mulini”, Vercelli 1993, pp. 17-57. Bodo 1975 Pietro Bodo, Langosco: dall’epoca romana al ponte del Risorgimento, Vercelli 1975. 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Zanone 1998 Ermanno Zanone, Il fiume Sesia e le sue piene negli ultimi tre secoli, in “Approfondimenti di storia palestrese”, Vercelli 1998, pp. 7-20. 271 Giovanni Ferraris Riassunto Con l’ausilio di morfologie connesse ad alvei fossili della Sesia, delle etimologie dei toponimi e di documenti d’archivio relativi all’Abbazia di S. Stefano della Cittadella, si dimostra che gran parte del territorio di Prarolo è stato ampiamente percorso dal fiume e che la sua bonifica, iniziata dai frati benedettini, ha seguito la graduale migrazione della Sesia verso est. Abstract With the help of morphologies connected to fossil beds of the Sesia river, of etymologies of toponyms and archival documents related to the Abbey of S. Stefano della Cittadella, it is shown that a large part of the territory of Prarolo has been extensively crossed by the river and that its reclamation, begun by the Benedictine friars, followed the gradual migration of Sesia from west to east. giovanni.ferraris@unito.it 272 BRICIOLE CHI HA PAURA DEL LUPO CATTIVO? Piera Mazzone La presentazione fatta da Riccardo Rao del suo ultimo libro “Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso”, mi aveva interessata e incuriosita, tanto che facendo qualche ricerca in Biblioteca e sui giornali locali, scoprii che il 2018 era stato definito “L’anno del ritorno del lupo in Valsesia”, con il ritrovamento di un esemplare a Mera, deceduto per cause naturali nel dicembre 2017. Il lupo di Mera, tassidermizzato, è ora esposto nelle sale naturalistiche del Museo Calderini di Varallo, riaperto nel 2017 in occasione del 150° anno dalla sua fondazione. Già vent’anni fa la Rivista regionale “Piemonte Parchi” dedicò un numero monografico alla grande mostra didattica, allestita dal 25 maggio all’11 ottobre 1999 presso il Museo di Scienze Naturali di Torino: “Attenti al lupo: la convivenza possibile, mito e realtà”, poiché da alcuni anni il lupo ricolonizzava le montagne piemontesi ed era stato avviato un Progetto Interreg, in collaborazione con la Comunità Europea, per capire e studiare la dinamica delle popolazioni di lupi e gli effetti che tale ripopolamento aveva sulle economie locali. Oggi la domanda “Chi ha paura del lupo cattivo?” sarebbe tacciata di “politically incorrect”, perché il lupo è un animale selvatico che è stato a rischio di estinzione e soprattutto perché la società è profondamente cambiata dal punto di vista sociale, 273 Piera Mazzone ma alcune recenti aggressioni di greggi, a Fobello, a Rimella e all’Alpe Laghetto, tra Sabbia e Cravagliana, preoccupano i pastori valsesiani. Ermanno Debiaggi, presidente dell’Ente di gestione delle aree protette della Valsesia, nella lettera allegata alla consegna dei pannelli informativi per gli escursionisti che frequentano aree con bestiame custodito da cani da guardanìa, scrive: “A partire dalla metà dell’Ottocento, quando venne catturato l’ultimo lupo in Val Sesia, e precisamente nel terriDante e Virgilio incontrano la lupa (incisione di G. Dorè, 1861). torio di Piode, quindi da quasi 170 anni, il sistema di pascolo sul nostro territorio si è evoluto in un contesto di assenza di predatori; ma da alcuni anni (dal 2014-2015), a seguito della progressiva ricolonizzazione dell’arco alpino occidentale, il lupo ha cominciato a diffondersi anche in Valsesia con esemplari isolati in dispersione da branchi presenti in aree limitrofe (Valle d’Aosta e Val Sessera). Ciò comporta la necessità di modificare la gestione degli animali in alpeggio per far fronte al problema degli attacchi al bestiame monticante. Si è iniziato, quindi, a utilizzare differenti sistemi di prevenzione degli attacchi”. Il ritorno del lupo viene dunque declinato in diverse accezioni: nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi si è creato un “Percorso del lupo”, per conoscere le principali caratteristiche etologiche dell’animale, ma è nato anche il progetto “Il cane da guardianìa nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi”, con l’obiettivo di mitigare l’impatto della presenza del lupo sulle attività umane nei territori dell’area protetta. Il 14 giugno di quest’anno, la Sezione di Varallo del Club Alpino Italiano, ha presentato la serata divulgativa e informativa “Parliamo di lupi”. Raffaele Marini, referente del Gruppo Grandi Carnivori del CAI, ha offerto gli strumenti scienti274 Chi ha paura del lupo cattivo? fici per comprendere meglio il presente, e per non avere così tanta paura dei lupi. “Quello del lupo è un tema da affrontare con grande ponderazione ed equilibrio, senza schierarsi, ma cercando di avere una visione laica”. È stato spiegato come il lupo riesca a percorrere centinaia di chilometri, ottimizzando lo sforzo e impegnando il meno possibile i muscoli: “Fare tanta strada con poca fatica: il lupo è un animale intelligente e flessibile, l’unico animale che l’uomo non è riuscito a domare”. Il lupo fu un “protagonista” nella storia della Valsesia. Negli Statuta Crevole del 1289, è contenuto un vero e proprio vademecum di ricompense per le uccisioni dei lupi: “XCV. Quod comune debeat solvere pro quolibet lupo. Item statuerunt et ordinaverunt quod si aliqua persona de ipsa vicinancia Crevole ceperit aliquem lupum, vel aliquem ipsarum ferarum et consignaverit comuni Crevole ipsum, debeat solvere suprascriptum comune Crevole solidos X imperialium pro quolibet lupo sive lupa, si fuerint vivus vel magna, et si fuerit mortus vel parva, solidos V imperialium pro qualibet vice, et hoc intelligatur si dicti lupi sive lupe capti fuerint super territorium vicinance Crevole, vel territorium consortium”. Si prevedevano quindi ricompense diversificate per chi portasse un esemplare di lupo vivo o morto, piccolo o grande, catturato nel territorio di Crevola (oggi frazione del Comune di Varallo) o nei territori confinanti. In altri casi la ricompensa per la cattura di una lupa era maggiore, perché non avrebbe più potuto procreare. In biblioteca a Varallo lo scritto del poeta Gian Giacomo Massarotti, “La storia del lupo”, comparso sull’Almanacco Storico della Valsesia del 1877, indaga sull’origine di “Lupi” uno dei soprannomi dei Varallesi, scoprendo che all’osteria della Mantegna, Giuseppe Delzanno conserva una stampa del Gilardoni*, “Stampatore del Sacro Monte”, datata 1781: “Tragica relazione degli assalti, Morsicature ed Offese che fece un fierissimo Lupo nel giorno 17 aprile 1781 nel Borgo di Varallo e circonvicini Luoghi colla successiva uccisione del medesimo”. Negli Atti di morte conservati presso l’Archivio Parrocchiale di Varallo, stesi nel 1781 dal rev. prevosto can. don Innocenzo Imbrico e dal canonico penitenziere don Giovanni Battista Galletti, sono riportati i nomi e le date di tutti i dieci deceduti, alcuni immediatamente, altri dopo qualche giorno, un ragazzo di quindici anni addirittura dopo cinquantotto giorni. Gerolamo Lana riporta un dettagliato elenco delle “Spese fatte dallo Spedale per la cura de’ morsicati dal lupo arrabbiato”, ammontanti a L. 1.286,9, in cui una spesa di L. 80 è riferita agli “eredi del Dr. Agostino De Marta di Camasco che si credé sia morto per aver diseccato il lupo”. Dopo essere stato abbattuto, l’autopsia rivelò che il lupo era affetto da rabbia e questa malattia provocò la morte anche del chirurgo che operò i pazienti morsicati ed analizzò il corpo dell’animale. 275 Piera Mazzone Alpe di Mera, Oratorio della Madonna della Neve, particolare dell’affresco con la processione per scacciare i lupi (foto P. Mazzone). La rabbia è un virus che colpisce tutti gli animali a sangue caldo e si manifesta con una sintomatologia prevalentemente di tipo nervoso; è mortale, se non contrastata in tempi brevi con la vaccinazione post contagio; provoca ancora oggi circa cinquantamila morti all’anno ed è diffusa soprattutto nei paesi in via di sviluppo. La rabbia è detta anche idrofobia, perché dopo il contagio il paziente rifugge l’acqua, a causa della difficoltà a deglutire; secondo alcuni, invece, l’acqua fungerebbe da specchio e la persona ammalata stenterebbe a riconoscersi. Lo scrittore Axel Munthe ne “La storia di San Michele” racconta la sua personale esperienza all’Istituto Pasteur di Parigi, dove fu vinta la battaglia contro l’idrofobia, citando il terribile episodio di sei contadini russi morsi da un branco di lupi e inviati all’Istituto Pasteur a spese dello Zar. Ancora oggi i cani morsicatori vanno segnalati, visitati e tenuti controllati per dieci giorni. Dopo gli ultimi focolai di “rabbia silvestre”, manifestatisi in Trentino e Friuli nel 2010, portati dalle volpi, non vi sono state più segnalazioni in Italia. Non è però così remota la possibilità di importare nuovamente la rabbia, visto l’intensificarsi dei traffici di viaggiatori e le movimentazioni di animali provenienti da paesi in cui l’infezione è ancora presente. 276 Chi ha paura del lupo cattivo? Negli animali selvatici, in particolar modo nel lupo, la rabbia provoca una maggior “mansuetudine” dell’animale, che tende ad avvicinarsi ai luoghi abitati, avendo così più possibilità di incontrare persone e di assalirle, come accadde al lupo valsesiano. Carlo Gallo ricorda che alla Mantegna: “Fu ferito a morte un lupo idrofobo, che nel 17 aprile 1781 tra Varallo e vicinanze avea morsicato ventisei persone, di cui ben ventiquattro morirono”. L’avv. Alberto Durio, sulla copia da lui posseduta del volume del Gallo, annota a piè di pagina: “In una piccola cappella che s’incontra prima d’entrare in Cilimo, venendo da Roccapietra, all’inizio della salita per Civiasco, tuttora (anno 1920 aprile) si osserva molto ben conservato un ex voto raffigurante una donna assalita da un lupo e questa iscrizione: 1781, 17 aprile, Ex Voto Grazia Ricevuta Cattarina Longhetti da Cilimo”. Lo stesso Durio, nel volume su Civiasco, dedica un’appendice agli “Orsi e lupi in Valsesia”, citando il tragico episodio del 1781, riportato nei particolari e concludendo: “Così leggo in un documento interessante scritto con uno stile ampolloso” alludendo chiaramente alla stampa di Gilardoni. Dai documenti presenti nell’Archivio di Stato di Varallo, risulta che le ultime catture sono state effettuate nel 1808-1809 a Varallo e a Rimasco, nel 1821 a Borgosesia, nel 1827 a Camasco e nel 1850 a Piode. Rina Dellarole nel volume “Storie di lupi, di briganti e santi. Valsesia, Biellese e Cusio, pubblicato nel 1997, dedica il capitolo iniziale proprio ai “Lupi tra storia e leggenda”. Arnaldo Colombo in “Rovasenda un feudo nella Baraggia”, cita la caccia ai lupi che si verificò nei Cantoni svizzeri nel 1820, che li respinse ai confini, con conseguente invasione delle vallate piemontesi e delle accoglienti baragge del Vercellese. L’intendente per SM della provincia di Vercelli stabilì una ricompensa, variante da venticinque franchi per un “lupotto” a duecento franchi per una “lupa pregna”; per comprovare l’uccisione si chiedeva di presentare le gambe mozze dell’animale. I rovasendesi per ottenere protezione contro le fiere si rivolgevano a S. Giulio, santo che ha aggiogato un lupo, come si vede da una scultura lignea policroma conservata nella basilica di San Giulio, nell’omonima isola del lago d’Orta. Il pellegrinaggio annuale traeva proprio origine da un voto fatto a S. Giulio in occasione dell’invasione dei lupi nei primi decenni dell’Ottocento. Don Massimo Milano ne “I Santi delle nostre terre ed un eresiarca”, dedica un capitolo ai lupi, ricordando che nel 1447 a Gattinara fu eretta la chiesa di S. Giulio per ottenere la protezione del cielo contro i lupi. Nell’Ottocento nel “Prato delle ossa” fu sbranato un bambino della famiglia Scribanti, che era andato a portare da 277 Piera Mazzone Il manifesto contenente la Tragica relazione degli assalti, Morsicature ed Offese che fece un fierissimo Lupo […], stampato a Varallo nel 1781 dal tipografo Luigi Gaetano Gilardoni. 278 Chi ha paura del lupo cattivo? mangiare ad una nidiata di merli e, pochi giorni dopo, un ragazzo della famiglia Lavezzi. A Sostegno il 2 settembre 1816 Angela Maria Tamonino di dieci anni fu sbranata dai lupi nel campo chiamato Bonda e quel punto fu segnato con una croce. La Valsesia, rispetto agli altri luoghi della diocesi gaudenziana, possiede il primato numerico di luoghi di culto intitolati al martire S. Defendente: “L’iconografia lo presenta in abiti militari lo si invoca contro la ferocia dei lupi e la violenza degli incendi”, scriveva il vescovo Carlo Bascapè nella descrizione della diocesi di Novara percorsa durante le sue visite pastorali. Nei “Bestiari” medievali il lupo rappresenta la rapacità, ma anche la massima forza del male, ovvero il diavolo. All’inizio della Commedia (Inferno, I, vv. 49-54), la lupa è la terza ed ultima apparizione peccaminosa cui Dante assiste nella selva, allegoria del peccato originale, utilizzata per rappresentare la cupidigia, o, come leggono altri commentatori, l’incontinenza o la malizia. Lo stesso Plutone, custode demoniaco del IV cerchio dell’Inferno, è definito da Virgilio un “maladetto lupo”. Al termine di questa “passeggiata” a ritroso nella storia, ho incontrato lo scultore-scrittore Max Solinas, che offre la sua spiegazione delle caratteristiche che rendono il lupo un animale speciale e diverso da tutti gli altri: “Il suo grande fascino risiede nel fatto che essendo un animale furtivo e schivo, timido e indipendente, a volte quasi invisibile, non si fa mai vedere dagli esseri umani, pur vivendoci più vicino di quanto possiamo immaginare. Quante volte lo abbiamo sfiorato senza saperlo? Almeno tante volte quante avremmo voluto vederlo e sentirne l’ululato, la lamentosa voce che ci riporta all’origine della vita”. * Luigi Gaetano Gilardoni, era figlio dello stampatore Carlo Francesco, che trasportò a Varallo da Vercelli la stamperia paterna di Pietro Antonio Gilardon; si sottoscriveva come il padre: “Stampatore del Sagro Monte” (A. Durio, L’Arte della Stampa in Valle Sesia. Dalle sue origini ai giorni nostri, Torino 1934). Lo stesso A. Durio, Civiasco, Novara 1926, scriveva che di quella stampa in folio si conoscevano due esemplari: uno nel Museo Calderini in Varallo ed un altro nella Trattoria Delzanno alla Crosa di Varallo. Oggi presso il Ristorante Delzanno alla Crosa di Varallo, che continua l’attività dell’avo, è ancora esposta una copia anastatica della stampa del Gilardoni, realizzata dal Lions Club Valsesia, durante la presidenza dell’avv. Enzo Barbano. La stampa è stata gentilmente messa a disposizione dai proprietari per essere qui riprodotta. 279 Piera Mazzone Per saperne di più: C. Bascapè Carlo, Novaria, terre e vescovi della diocesi, a cura di G. Andenna e D. Tuniz, Novara 2015. A. Durio, Civiasco. Memorie storiche. Contributo alla storia della Valle Sesia, Novara 1926. C. Gallo, In Valsesia. Note di taccuino, Torino 18922. G. Lana, Origine, traslocazioni, ingrandimenti del Venerando Spedale della SS. Trinità in Varallo, Varallo 1851. C. G. Mor, Statuti della Valsesia del sec. XIV (Valsesia, Borgosesia, Crevola, Quarona), Milano 1932. C. G. Mor, La Vicinia di Crevola Sesia, Statuti di Crevola, Novara 1924. M. Solinas, Il lupo e l’equilibrista, Ed. Garzanti 2019. Uno scrigno prezioso: la Cappella di San Defendente in frazione Giacomolo ad Alagna Valsesia, a cura di D. Pomi - E. Farinetti - D. Farinetti - E. Ballarè, Alagna Valsesia 2018. 280 Restaurata la chiesa della Resurrezione di Crescentino Restaurata la chiesa della Resurrezione di Crescentino Mario Ogliaro Il 12 aprile scorso, con un grande concorso di popolo sono stati inaugurati i lavori di restauro della chiesa sconsacrata della Resurrezione di Crescentino, che da decenni versava in gravi condizioni per incuria e abbandono. L’idea di un recupero del settecentesco edificio religioso era nata verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso da alcuni cittadini, i quali dopo varie riunioni e previo benestare della Soprintendenza ai Beni Architettonici, riuscirono ad ottenere un primo contributo per il rifacimento della copertura e il ripristino delle gronde e dei pluviali. I successivi lavori riguardanti il rifacimento del voltino semicircolare sovrastante il portale, nonché della rimozione della cupola del campanile pericolante si arrestarono per mancanza di fondi e per altri motivi burocratici, cosicché le infiltrazioni di acqua piovana iniziarono a comprometterne la staticità dell’edificio. Grazie all’interessamento e all’assiduo impegno del parroco don Edward Swiatkowski, nonché dell’Ufficio dei Beni Culturali Diocesano, nella persona dell’architetto Daniele De Luca e La chiesa della Resurrezione prima del restauro (foto di Francesco Bosso). La chiesa della Resurrezione dopo il restauro (foto di Francesco Bosso). 281 Mario Ogliaro con il contributo del comune di Crescentino, venne dato il via alla parte più importante dei lavori. In particolare, come ha spiegato l’architetto Germana Corradino: […] oltre all’impegnativa opera di consolidamento, è stata sostituita la cuspide in muratura, molto pesante, con l’attuale, in rame […], inoltre, è stato ripassato completamente il tetto della chiesa, sistemata la lattoniera ed è stata realizzata la parte di copertura mancante, oltreché rifatta a nuovo, secondo i dettami del tempo, la copertura del basso fabbricato adiacente, al fine di evitare il passaggio di acqua, che è stato oltre al tempo principale elemento di degrado. A seguito del completamento del primo lotto di interventi è stata analizzata la situazione della facciata, altrettanto preoccupante, per via di un quadro fessurativo aperto […]. Essa è stata trattata, in accordo con la funzionaria della Soprintendenza competente, mediante una particolare e complessa tecnica che vede l’intervento di un restauratore qualificato e delle maestranze dell’impresa. […]. La sfida era di preservare l’immagine di partenza pur restituendo integrità all’insieme. Pertanto, dopo un accurato “cuci-scuci” della muratura, necessario per restituire integrità alla struttura muraria, andando cautamente a sostituire i laterizi oramai decoesi e polverulenti o quasi inesistenti, si è intervenuti consolidando sia quanto rimasto dell’intonaco a calce esistente che le piccole porzioni di decorazione pittorica ancora evidente […]. Dopo la ripulitura e la sistemazione interna, inizierà uno studio per una sua futura utilizzazione, probabilmente come auditorium per concerti, conferenze e mostre. 1 - La fondazione Nel quadro di un rinnovamento di edifici sacri della città di Crescentino e del suo circondario nella prima metà del Settecento, è possibile scorgere un panorama piuttosto articolato e caratterizzato da soluzioni differenti sotto il profilo tipologico. Durante questo periodo, che ha dato vita a numerose realizzazioni, si aggiunse il progetto per la sistemazione del cimitero urbano, situato nella contrada detta degli “Scaramanni” (oggi via Francesco Bena). L’iniziativa, condotta nel rispetto del tessuto urbano e delle strutture fortificative, finì con il ridisegnare tutta l’area ortiva mediante l’allungamento della via che costeggia il confine del rione, in fregio al quale si trovavano già alcune case rurali e palazzi signorili. Per quest’intervento, iniziato dal parroco di quell’epoca, don Giuseppe Prando, si rese necessario l’acquisto da Angelo Francesco Pessinis, speziale e sindaco della città, di un appezzamento di terra per lire 600 di Savoia, da destinarsi all’ampliamento del suddetto cimitero. In tale sito, denominato la “Giassera”, intorno al 1710 si edificò una cappella detta del “Suffragio”, con un porticato antistante, dove, durante i funerali, sostavano i fedeli per l’estremo commiato ai defunti. 282 Restaurata la chiesa della Resurrezione di Crescentino A causa del continuo incremento demografico, nel 1763 un gruppo di cittadini suggerì l’idea di edificare una chiesa in luogo della cappella, per rendere più agevoli le funzioni funebri. La proposta, accettata dal parroco, fu sostenuta dalla popolazione, come risulta da due registri di “caricamento” e “scaricamento” (entrate e uscite), rinvenuti presso l’archivio parrocchiale. Fra le prime persone che si offrirono volontariamente, troviamo Ludovico Monticelli, nato a Galliate ma residente a Crescentino, designato formalmente alla raccolta delle offerte sia in denaro che in materiali vari, come mattoni, sabbia, calce, legnami e ferro. L’elenco dei sottoscrittori continua con Giuseppe Brusotto, Marco Ottone Tournon, Gioacchino Tournon, Luigi Tournon, Particolare della facciata prima del restauro Francesco Antonio Tournon, Filippo Reale, (foto di Francesco Bosso). don Genuario Degregori, Carlo Vigna, Paolo Amedeo Barrilis, don Eugenio Maria Delevis, Carlo Galimberti e molti altri. Cosicché il 7 agosto dello stesso anno, il parroco di Crescentino posò la prima pietra. L’edificio, iniziato sotto la direzione dei fabbricieri Michele Godetti e Giuseppe Reynaud, conserva, nelle sue linee architettoniche, tratti significativi del tardo barocco piemontese. Quantunque non sia stato possibile risalire con certezza al progettista, dalle forme artistiche in cui si estrinsecò l’architettura locale nella seconda metà del secolo XVIII, non va sottovalutato l’influsso che esercitarono le opere di Bernardo Vittone (1705-1770) e di Giovanni Tommaso Prunotto (1700-1771), che operarono nei nostri paesi con grande maestria. L’autore del progetto scelse una pianta a forma rettangolare, sulla quale impostò il vano centrale ad una navata, con l’altar maggiore realizzato a conclusione della navata stessa e a lato due altari minori. I caratteri essenziali dell’interno consistono in una certa espressività della forma dinamica dello spazio, esaltato dallo sviluppo della copertura, con la cupola sovrastante il centro. La facciata esterna, è formata da tre settori, nei quali si rispecchia una linea architettonica e decorativa essenziale. Lateralmente sono state ricavate due nicchie che probabilmente contenevano statue. Sopra il portale venne apposta una scritta, ora scomparsa, inneggiante al Cristo 283 Mario Ogliaro Risorto. Il campanile, iniziato nel marzo del 1795 su disegno dell’architetto crescentinese Ferrero, fu realizzato sopra l’intersezione d’angolo del muro portante sinistro e della facciata, escludendo un altro progetto che prevedeva il suo innalzamento nel lato nord, dietro la chiesa. Alla costruzione della chiesa collaborarono fattivamente molti mastri da muro locali, tra cui Crescentino Serra e suo figlio Filippo, il pittore Carlo Giovanni Crescentino Nigretti, che dipinse le “Sante anime del Purgatorio”, nonché la “Madonna del Buonconsiglio”. Non possiamo però ignorare le enormi difficoltà di carattere fiInterno della chiesa (foto di Francesco nanziario incontrate dai promotori dell’opeBosso). ra. Infatti, il 27 ottobre 1770, essendo morto Ludovico Monticelli, uno dei principali artefici dell’iniziativa, si sospesero i lavori e gli impresari fecero presente al comune e al parroco don Andrea Delevis la grave situazione che si era determinata. Il Monticelli, riconosciuto da tutti come persona benemerita, con suo testamento olografo del 25 giugno 1770, pubblicato dal notaio Grisante Monateri, nominò erede universale di tutti i suoi beni il fratello Desiderio di Galliate, legando alla chiesa della Risurrezione un sito “moronato” (cioè circondato da gelsi), di tavole 48 (mq. 1824, corrispondente a 12 trabucchi quadrati della vecchia misura), posto proprio davanti alla chiesa e confinante con l’attuale cortile dell’oratorio parrocchiale. Su tale terreno gravò l’usufrutto a favore della sua persona di servizio Domenica Fasolo, deceduta poi nel febbraio del 1775. 2 - La consacrazione Nel 1777 il tetto venne ultimato, ma rimanevano ancora molte opere da finire nell’interno e solo il 4 aprile 1796 l’edificio poté essere consacrato e ufficialmente aperto al culto. Nel 1836, col trasferimento del cimitero presso la chiesa di San Pietro, si consolidò la consuetudine di utilizzare quest’edificio per i riti funebri. La costituzione della compagnia delle “Anime purganti”, approvata dal vescovo di Vercelli nel 1796, conferì ai priori la possibilità di potersi organizzare per l’esercizio di particolari opere di pietà e di carità. In questo secondo aspetto non trascurabile, 284 Restaurata la chiesa della Resurrezione di Crescentino essi riuscirono, dopo la Restaurazione, ad offrire un servizio sempre più organico, in funzione delle esigenze della popolazione. Tale compagnia confluì poi nel 1891 nella Congregazione di Carità, in virtù della nuova legge sulle Opere Pie. Il 23 aprile 1799, durante il passaggio di papa Pio VI da Crescentino, i parrocchiani implorarono ed ottennero dal pontefice che veniva condotto prigioniero in Francia, uno speciale privilegio per l’altare di questa chiesa, consacrata ai defunti della città. L’edificio, ebbe la funzione di lazzaretto durante le varie epidemie coleriche e poi di oratorio parrocchiale. Quest’ultimo funzionò fino all’inizio del 1950, epoca in cui tale chiesa fu completamente abbandonata. Per saperne di più: Mario Ogliaro - Piero Bosso, Crescentino nella storia e nell’arte, Quart 1998, pp. 91-95. Germana Corradino, Riportata all’antico splendore la bella chiesa della Resurrezione. Al termine dei restauri una mostra artistica, in “Bollettino Parrocchiale B.V. Assunta di Crescentino”, n. 1 (2019), pp. 51-53. 285 RECENSIONI E SEGNALAZIONI Winfried Rudolf, A Tenth-Century Booklinst in the Biblioteca Capitolare of Vercelli, in “Manuscripta. A Journal for Manuscript Research”, 62 (2018), pp. 249-278. Il Frammento ms. 50 della Biblioteca Capitolare di Vercelli (BCV) contiene una inedita lista di libri risalente alla metà del X secolo. Esso costituiva un tempo una controguardia (così viene denominato il foglio incollato all’interno di uno dei due piatti di legatura del codice) e in seguito una guardia posteriore (f. 147v) del ms. CXXXVIII della BCV (si veda nell’articolo di Rudolf la riproduzione fotografica alla fig. 1). Quest’ultimo manoscritto è, secondo la definizione datane da Simona Gavinelli, Leone di Vercelli postillatore di codici, in “Aevum”, 75 (2001), p. 250 e nota 1, «una miscellanea scolastica per le arti del trivio e del quadrivio copiata in Italia settentrionale nel sec. IX-X». La lista occupa la metà inferiore del foglio. Nella parte superiore si trovano due righe di testo tratte dai Chronica minora dello scrittore anglosassone Beda e da 12 righe occupate da un horologium introdotto da una scritta in capitale «Incipit orologium». Quest’ultimo è una concordanza della misura dell’ombra in determinate ore del giorno per coppie di mesi (gennaio e dicembre, febbraio e novembre, ecc.) che in alcuni codici compare tra gli scolii al cap. 31 del De temporum ratione di Beda (W. M. Ste- vens, Cycles of time and scientific learning in medieval Europe, Aldershot 1995, p. 20 del secondo saggio. Cfr. Patrologia Latina, 90, col. 447 sgg.). I due estratti ora menzionati vennero scritti da una mano diversa da quella cui è dovuta la lista di libri, che venne vergata nella porzione inferiore del foglio su quindici righe e conclusa da una breve scritta di una terza mano in cui si legge «Et iste cum supradictis sunt capitul[i Verc]elle[ns]is», dove iste va inteso come iste liber, mentre la lettura della parola finale è ampiamente congetturale, anche se assai plausibile. Su quello che originariamente doveva essere il verso del foglio sta l’inizio di un sermone del vescovo Attone di Vercelli («Quadragesimale ieiunium») che continua, seguito da altri sermoni attoniani, su tre altri fogli che erano collocati a guardia dello stesso codice CXXXVIII (ff. 144146, che formano ora il frammento 47 della BCV). Si sono conservati anche i due fogli che precedevano immediatamente il foglio su cui è vergata la lista: essi costituiscono le due guardie (ff. I e II) del ms. CCIX e sono scritti dalla stessa mano cui è dovuta la metà superiore della pagina che reca la 287 Recensioni e segnalazioni lista di libri che qui interessa (quest’ultima dovuta, come si ricorderà, a una mano diversa). Lo stesso scriba attivo nei fogli appena citati, scrisse i due fogli di guardia anteriori del ms. CXLIV, che recano tra l’altro un ampio frammento del più antico testo di medicina per falchi pervenutoci, già edito da Bernard Bischoff. I fogli di cui si è parlato erano tutti insieme parte di una miscellanea databile alla metà circa del secolo X. Essa comprendeva almeno sette item (tav. 2, p. 260 sgg.). Vari e convergenti indizi fanno propendere per uno smembramento e un riuso dei fogli costitutivi della miscellanea dopo che, probabilmente già nella prima metà dell’XI secolo, i testi che si voleva fossero preservati vennero copiati in nuovi esemplari. La lista dei libri inizia nel capolinea che segue immediatamente l’ultima linea dell’horologium senza alcuna intestazione, con un capoverso costituito da due righe concepito in questo modo: «Super Salomon vol. I. Super Esdra vol. I. Decada Augustini vol. II. Super Iezechiel / vol. I. De agone christiano vol. I. Cesarii vol. I. Pronosticorum vol. I /». Il testo poi va a capo, senza giungere sino alla fine del rigo, e riprende con un «Liber domini Alcuini vol. I», con quel che segue. Oltre a quello appena detto, solo per un altro a-capo si ha la sicurezza (almeno così mi sembra) che sia stato introdotto con lo scopo esplicito di sezionare il testo: dopo una serie di volumina dominata da dicta di padri (Agostino, Ambrogio, Isidoro), un evidentissimo a-capo introduce un nuovo capoverso aperto dall’entrata «Liber Ieronimi de veste sacerdotali vol. I» (si tratta della lettera a Fabiola), seguita dall’«Excerptum ex <così, non et> epistola Ieronimi ad Eustochium de canonic[..] puellarum vol. I» e altro, in un’area della pagina particolarmente lacunosa. Sia stato 288 o meno il testo lasciato incompleto (nella pagina resta uno spazio bianco), la lista fu conclusa da un’altra mano dall’entrata «Et iste cum supradicti sunt capitul[i Verc]elle[ns]is», come si è già detto. Questo è il contenuto fattuale del contributo di Winfried Rudolf, in una sintesi che naturalmente non ne dà pieno conto. Nell’articolo viene offerta una accurata contestualizzazione del frammento entro l’insieme costituito dagli elementi che in qualche modo si connettono ad esso, o che più gli sono prossimi, e che fanno parte del più vasto universo che forma il patrimonio manoscritto della BCV. Tutto ciò è visto dall’autore alla luce degli studi disponibili sulla stagione dominata dalla figura del vescovo Attone. Viene offerta una edizione inoltre della lista (pp. 263-267), che se non si può dire definitiva, certo è molto accurata. Si può solo notare qualche menda, come quell’et al posto di ex notato prima, o l’Orosi al posto di Orosium all’item 32, e poco altro (è sicuramente un lapsus il Vercelli Book indicato come MS CXVIII, invece che CXVII). Gli item sono stati numerati e sono in numero di 37, incluso quello aggiunto posteriormente. Di ciascuna delle opere elencate, in modo talvolta enigmatico (un esempio: «Descripcio mundi vol. I»), è stata tentata una identificazione, sempre plausibile, per quel che posso giudicare. L’item 7 («Pr[o]nosticorum volumen I»), dubitativamente identificato con il Liber prognosticorum di Ippocrate, potrebbe invece riferirsi ai Prognosticorum futuri saeculi libri tres di Giuliano di Toledo e in questo modo risulterebbe meno enigmatico di quanto giustamente rilevato (p. 268). I volumina compresi nella lista sono in tutto 40: dato notevole, ma di interpretazione non facile, quando si consideri che tali Recensioni e segnalazioni volumina corrispondono talvolta ad ampi trattati, come le «Decada Augustini» in due volumi, identificate con le Enarrationes in psalmos, che nella Patrologia latina del Migne occupano due volumi (il 36 e il 37) per complessive mille e novecento colonne circa, o come i Gesta Anglorum di Beda in un volume (270 colonne nel vol. 95 della Patrologia), talaltra a opuscoli di più breve estensione, come la lettera di Gerolamo a Fabiola sulle vesti sacerdotali (nel vol. 22 della Patrologia alle coll. 607-622) e l’estratto della lettera di Gerolamo a Eustochio (l’intera epistola nello stesso vol. ora citato sta in una trentina di colonne, coll. 394-425). È ben noto che queste liste librarie altomedievali presentano spesso notevoli problemi interpretativi, come è il caso di un altro breve elenco di libri rinvenuto in un foglio di guardia di un codice della BCV (il ms. CCII), pubblicato da Walter Bershin nel 2001 e da lui datato alla prima metà dell’VIII secolo, su cui Rudolf si sofferma nelle prime pagine del suo saggio (pp. 249251). Per restare alla lista edita nel saggio di cui qui ci si occupa, quei «Quaterni de [francone] et saxon[e] vol. I» (item 35), che corrispondono all’Ars grammatica di Alcuino composta in forma dialogica («Fuerunt in scola Albini magistri duo pueri, unus Franco, alter vero Saxo …»), erano conservati in forma di fascicoli sciolti, ma raccolti tutti insieme e dunque individuabili come un tutt’uno, come un volumen? Impossibile dirlo. Certo è che il testo pubblicato da Rudolf suscita tutta una serie di dubbi di difficile scioglimento, e che proprio grazie a questo e alla sua straordinaria ricchezza è del più grande interesse. Va qui solo aggiunto che l’autore propone di identificare il capitolo menzionato nell’item aggiunto alla fine dell’elenco con il capitolo di Santa Maria Maggiore, non con quello di Sant’Eusebio. Ciò sulla base di due argomenti ex silentio: la lista contenuta nel Frammento 50 non contiene alcun riferimento ai celebri «ternos libros» donati dal vescovo Attone al martire Eusebio («Primus habet glossas, psalmos pertractat et alter / Tertius officium disserit omne patrum») di cui si legge nel componimento poetico apposto in tutti e tre i codici oggetto del dono (i mss. I, XV e XXXVIII della BCV); non sarebbe inoltre possibile identificare con sicurezza («unambiguously») i libri della lista attoniana con i «libri thesauri Sancti Eusebii» elencati nella lista di codici, risalente al XII secolo, aggiunta sul verso del foglio di guardia anteriore del ms. XV (anche se, per esempio, i «Dicta Augustini de Trinitate», item 22 della lista attoniana, potrebbero corrispondere all’«Augustinus de Trinitate» della lista contenuta nel ms. XV; oppure l’«Expositum Bede vol. II», item 20, potrebbe corrispondere al «Beda super Actus apostolorum et epistulas canonicas et Apocalipsim»). Certo, corrispondenze sicure è impossibile trovarle, e la lista attoniana può ben riguardare libri in possesso del capitolo di Santa Maria. Si potrà mai esserne sicuri? Quel che è certo è che il contributo di Winfried Rudolf getta un nuovo, importante raggio di luce sulla storia culturale dei secoli centrali del Medioevo. Antonio Olivieri 289 Recensioni e segnalazioni Cuivres, bronzes et laitons médiévaux / Medieval copper, bronze and brass. Histoire, archéologie et archéométrie des productions en laiton, bronze et autres alliages à base de cuivre dans l’Europe médiévale (12e-16e siècles). History, archaeology and archaeometry of the production of brass, bronze and other copper alloy abjects in medieval Europe (12e-16e centuries), Atti del convegno di Dinat e Namur, 15-17 maggio 2014, a cura di N. Thomas e P. Dandridge, SPW Éditions, Études et Documents Archéologie 39, Namur 2018, pp. 416, ill, ISBN 978-2-39038-016-0. Atti del convegno che ha avuto luogo a Dinant e Namur nel 2014, finalmente a disposizione di un pubblico molto specialistico ma internazionale. L’interesse scientifico per le tematiche affrontate ha spinto evidentemente i curatori alla redazione di un testo in duplice lingua, francese e inglese, al fine di poter raggiungere e facilitare la lettura ad un pubblico più vasto possibile. Il tema sono le produzioni medievali (XII-XVI secolo) in rame, bronzo e ottone e altre leghe e tra queste non mancano due opere vercellesi: i bacili in bronzo inciso conservati presso il Museo del Tesoro del Duomo. Ad occuparsene, Silvia Faccin, che, portando avanti la fase preliminare delle ricerche con la sua tesi di laurea, ha finalmente contestualizzato i manufatti. Legati in passato ad un lascito del famoso e sempre chiamato in causa cardinale Guala Bicchieri († 1227), dalle ricerche di Faccin in Archivio Capitolare è emerso che almeno due di essi sono stati di proprietà di Guglielmo di Moncrivello, canonico della Cattedrale di S. Eusebio di Vercelli defunto nel 1236 e che in seguito le suppellettili sono state assorbite dal tesoro della Cattedrale. Gli atti del convegno si dividono in quattro grandi sezioni: Metières premières et approvisionnements / Raw materials and supplies; Hommes et ateliers / Craftmen and workshop; Techniques / Techniques; Produits, commerce et Échanges / Products, 290 trade and exchanges. Dalla materia prima al commercio, passando per le botteghe e le tecniche adottate dai metallurgi, gli atti vogliono regalare agli addetti ai lavori una panoramica di esempi di lavorazioni in tutta Europa. L’introduzione curata da Nicolas Thomas e Pete Dandridge è seguita dall’intervento di Bastian Asmus sul massiccio di Harz in Germania e il commercio di rame (The Harz Mountains and some thoughts on copper trade / Le massif du Harz et quelques réflexions sur le commerce du cuivre, pp. 25-36) e da quello di Bernard Léchelon sull’estrazione del rame nel Sud della Francia (Des maîtres du sous-sol aux argentiers : l’exploitation du minerai de cuivre du Midi de la France aux 12e et 13e siècles / From landlords to argentariis: copper mining in southern France in the 12th and 13th centuries, pp. 37-50). Sabine Florenze Fabijanec si è occupata dell’estrazione del rame nell’Europa centrale e nei Balcani e della sua ridistribuzione sul territorio croato tra XV e XVI secolo (L’exploitation du cuivre en Europe centrale et dans les Balkans et sa redistribution commerciale à travers les territoires croates aux 15e et 16e siècles / Copper mining in Central Europe and the Balkans and its commercial redistribution across the Croatian territory during the 15th and 16th centuries, pp. 51-64), Arne Espelund di una fonderia norvegese del XIV secolo (A copper smelter in Norway from Recensioni e segnalazioni around 1300 AD: Archaeology and metallurgy, representing a four-step process / Une fonderie de cuivre en Norvège vers 1300 apr. J.-C. Archéologie et métallurgie, représentation d’un procédé en quatre étapes, pp. 65-70) mentre Nicolas Thomas e David Bougarit si sono occupati delle problematiche relative alla produzione dell’ottone nel medioevo (La peine emporte-t-elle le profit ? Économie de la production du laiton par cémentation au Moyen Âge / Is the benefit worth the effort? The production of brass by cementation in the Middle Ages through an economic perspective, pp. 7189). Chiudono la prima sezione Isabelle Gillot, Lise Damotte, Marc Bouiron, Yann Codou e Claire Delhon con la proposta di un archivio di pratiche artigianali legato alla produzione delle campane in Francia (Le combustible associé aux fosses de coulée de cloches médiévales: une archive des pratiques artisanales et de l’environnement. Quelques exemples de la région provençale / Fuel for bell manufacturing in the Middle Ages: a record of technical aspect of casting and of the environment. Some examples in South-eastern France, pp. 8996) e Irfan Teskeredžić con un intervento focalizzato sulla Bosnia (Saxons in Medieval Bosnia and their heritage / Les Saxons en Bosnie au Moyen Âge et leur héritage, pp. 97-103). La seconda sezione è inaugurata da Caroline Bourlet e Nicolas Thomas che trattano il commercio del rame a Parigi nel 1300 (Les métiers du cuivre à Paris vers 1300 : topographie et étude sociale / The copper crafts in Paris around 1300: topography and social study, pp. 105-114) e da Lise Saussus e Étienne Louis che si focalizzano sulla produzione a Douai (Loin des grands centres de production, proche des usages… Un chaudronnier du 13e siècle à Douai / Far from big production centres, close to uses… A coppersmith in Douai in the 13th century, pp. 115-122). Seguono Laurent Vermard e nuovamente Thomas prendendo in esame i laboratori di Verdun tra XII e XVI secolo (Des ateliers de dinandiers à Verdun du 12e au 16e siècle / Brazier workshops in Verdun from the 12th until the 16th century, pp. 123-128) mentre Francesco M. P. Carrera tratta degli ex Laboratori Gentili, posti in un’area di Pisa, il quartiere di Chinzica (Copper alloy production in the ex Laboratori Gentili workshops in Chinzica, Pisa / Production d’objets en alliages à base de cuivre dans les ateliers ex Laboratori Gentili à Chinzica, à Pise, pp. 129-140). Due studi legati, seppur non geograficamente sono quello di Károli Belényesy su una fonderia di cannoni ungherese (Cannon foundry workshop in late medieval Buda (Hungary) at the turn of the 15th-16th centuries / Une fonderie de canons dans la ville médiévale de Buda (Hongrie) entre le 15e et le 16e siècle, pp. 155-168) e quello di Michael Depreter che contestualizza un simile argomento in Borgogna (Les canonniers-fondeurs des ducs de Bourgogne. Recrutement, implantation et rapports au prince (v. 1450-1494) / Gunners and gunfounders of the dukes of Burgundy. Recruitment, establishment, and commitment to the prince (v. 1450-1494), pp. 169-180). Pascal Saint-Amand si occupa dell’arricchimento e dell’ascensa sociale di alcune famiglie di mercanti a Dinant e a Bouvignes nel XV secolo (Enrichissement et ascension sociale des familles de marchands batteurs à Dinant et à Bouvignes au 15e siècle / Accumulation of wealth and upward social mobility of merchant copper beater families in Dinant and Bouvignes in the 15th century, pp. 181-190) e Emmanuel Lamouche chiude la sezione parlando 291 Recensioni e segnalazioni della famiglia di fonditori Censore e della loro attività da Bologna a Roma dal XVI al XVII secolo (Les Censore : de Bologne à Rome, une dynastie de fondeurs aux 16e et 17e siècles / The Censore : from Bologna to Rome, a 16th and 17th century founder dynasty, pp. 191-203). La terza parte, dedicata alle tecniche, si apre con gli interventi di Pete Dandridge sul fonte battesimale di Hildesheim (The Hildesheim baptismal font: A window into Medieval workshop practices / Les fonts baptismaux de Hildesheim : une fenêtre sur les pratiques des ateliers médiévaux, pp. 205-218) e Daniel Fellenger, Dorothee Kemper, Robert Lehmann e Carla Vogt sulle analisi scientifiche condotte sul tesoro della cattedrale di Hildesheim (Chemo-analytical research on objects from the Hildesheim cathedral treasury / Étude physicochimique d’objets provenant du trésor de la cathédrale de Hildesheim, pp. 219-226). A riportare l’attenzione sull’Italia, l’intervento di Elisabetta Neri e Enrico Giannichedda che volgono lo sguardo alle campane in generale (La place des cloches dans les productions en alliages cuivreux: spécificités techniques à travers les vestiges archéologiques d’ateliers italiens / The place of bells in copper alloy production: technical specificities through the examination of archaeological vestiges of Italian workshops, pp. 227-238) e Mainardo Gaudenzi Asinelli che tratta nello specifico la produzione campanaria di Leopoli-Cencelle sull’antica via Aurelia (Bell casting activity in medieval Leopoli-Cencelle (Italy): technological patterns and sociocultural implications / La fonderie de cloches dans la ville médiévale de Leopoli-Cencelle, en Italie: modèles technologiques et implications socioculturelles, pp. 239-249). Seguono casi specifici come quello della fontana belga di Huy (Nicolas Tho292 mas, Catherine Péters, François Urban e David Bougarit, Archéologie et archéométrie du Bassinia, la fontaine médiévale de Huy (Belgique, province de Liège) / Archaeology and archaeometry of the Bassinia, the medieval fountain of Huy (Belgium, Province of Liège), pp. 249-256), delle corde delle arpe medievali (Paul Dooley e Peter Tiernan, Brass or bronze for Medieval harp strings? / Laiton ou bronze, pour les cordes de harpe au Moyen Âge? pp. 257-270), delle leghe a base di rame per le statue medievali e rinascimentali italiane (Jean-Marie Welter, Medieval and Renaissance Italian statuary copper alloys / Alliages à base de cuivre de la statuaire italienne médiévale et de la Renaissance, pp. 271-284). Poi ancora si tratta dell’uso della lega di rame nel Nord Italia (Dylan Smith, Copper alloy use in 16th century Northern Italy associated with the workshop of Severo da Ravenna / L’utilisation des alliages à base de cuivre au 16e siècle dans le nord de l’Italie, associée à l’atelier de Severo da Ravenna) e del metodo di fusione a cera persa per i grandi bronzi del XVI secolo (Manon Castelle, David Bougarit e Francesca G. Bewer, The lasagna method for lost wax casting of large 16th-century bronzes: searching for the sources / La variante lasagna à l’épargné de la fonte à la cire perdue des grands bronzes au 16e siècle: à la recherche des origines, pp. 297-308) per concludere la sezione con le analisi sui ritrovamenti archeometallurgici croati di Dubrovnik (Carlotta Gardner, Marcos Martinòn-Torres, Nikolina Topic e Željco Peković, Analysis of archaeometallurgical finds from a late to postmedieval foundry in Dubrovnik, Croatia / Analyse des découvertes archéométallurgiques dans une fonderie en activité à Dubrovnik, en Croatie, à la fin du Moyen Âge et au début de l’époque moderne, pp. 309-325). Recensioni e segnalazioni L’ultima sezione vede protagonista Vercelli con l’aggiornamento degli studi sui bacili in bronzo del Museo del Tesoro del Duomo a cura di Silvia Faccin (Engraving examples for a right way life: the Romanesque bronze bowls in Vercelli / Trois bassins en bronze de style roman à Vercelli: différents exemples de gravures sur la vertu, pp. 327-334). Con questo intervento, dopo la pubblicazione dei primi aggiornamenti sul Bollettino della Società Storica Vercellese (Bacili romanici incisi nel Tesoro del Duomo di Vercelli: aggiornamenti e nuovi studi, Bollettino Storico Vercellese, n. 83, 2014, p. 5-31) la studiosa ha puntato l’attenzione sulle ricerche svolte nell’ambito del progetto MEMIP/09 (Medieval Enamels, Metalworks and Ivories in Piedmont: art historical and scientific methods for evalutation) che coinvolge enti ed università in disamine interdisciplinari, coinvolgendo vari professionisti di settore. Gli atti sulle produzioni metallurgiche medievali continuano poi con lo studio di Mathieu Linlaud sui meccanismi delle serrature (L’utilisation des alliages cuivreux dans les mécanismes de serrure et de cadenas entre le 8e et le 16e siècle / The use of copper alloys in locks and padlocks between the 9th and 16th centuries, pp. 335-346) e con due interventi aventi per tema i leggii a corredo delle chiese (Monique de Ruette, Les lutrins en laiton dits anglais. Approches technique et archivistique / Brass lecterns so-called English. Technical and archival approaches, pp. 347-356; Christopher Green e Roderick Butler, Late medieval brass eagle lecterns: historical and geographical context / Aigle-lutrins en laiton de la fin du Moyen Âge: contexte historique et géographique, pp. 357-364). Segue lo stu- dio di Sophie Oosterwijk e Sally Badham sulle tombe in lega di rame scolpite a rilievo in Europa (Relief copper alloy tombs in medieval Europe: image, identity and reception / Les tombeaux de cuivre en relief dans l’Europe médiévale: image, identité et réception, pp. 365-376) e quello di Lisa Wiersma sulle sculture in ottone nei Paesi Bassi in periodo gotico e rinascimentale (Monumental dinanderie: Achievement and tradition of metal sculpture in the Low Countries in the late Gothic and Renaissance period / Dinanderie monumentale : réalisation et tradition de sculptures en métal aux Pays-Bas à la fin de l’ère gothique et à la Renaissance, pp. 377-387). Gli ultimi due interventi sono dedicati alla diffusione dell’ottone nel mondo islamico medievale in relazione all’Europa (Susan La Niece, Brass in the Medieval Islamic World & contact with Europe / Le laiton dans le monde islamique médiéval et les contacts avec l’Europe, pp. 387-394) e delle influenze che correvano via mare, da quello del Nord al Mediterranero tra medioevo ed epoca moderna (Sophie Challe, Fabienne Ravoire, Catherine Richarté-Manfredi e Nicolas Thomas, De métal et de terre: concurrence, emprunts et influences dans la vaisselle, du Moyen Âge à l’époque moderne, à partir d’exemples de la mer du Nord à la Méditerranée / Of metal and clay: competition, borrowings and influences in crockery, from the Middle Ages to the Modern Age, based on examples from the North Sea to the Mediterranean, pp. 395-410). Chiudono il bel volume l’indirizzario completo di tutti i relatori e l’elenco dei membri del comitato scientifico che ha curato il convegno ed i relativi atti. Sara Minelli 293 Recensioni e segnalazioni La Magna Charta: Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento, Catalogo della Mostra (Vercelli, 23 marzo-9 giugno 2019), a cura di S. Lomartire, Vercelli, Gallo Arti grafiche S.r.l., 2019, pp. 236, ill. ISBN 978-88-973-1442-4. Il catalogo della mostra, allestita in Vercelli nella primavera del 2019, e realizzato nell’ambito delle manifestazioni organizzate per le celebrazioni degli 800 anni dalla fondazione della basilica di Sant’Andrea, intende porre in risalto il valore centrale da questa assunto entro il percorso storico-artistico del Duecento italiano ed europeo, focalizzando l’attenzione sulla personalità del suo committente, il cardinale Guala Bicchieri. In tale occasione, fortemente identitaria per la città di Vercelli, è stata per la prima volta esposta la copia della Magna Charta Libertatum, da questi voluta. Adeguatamente contestualizzato, lo straordinario documento ha costituito il filo conduttore degli eventi promossi dal Comune di Vercelli, affiancato da un prestigioso Comitato che ha vantato, tra gli altri, l’Arcidiocesi di Vercelli, l’Università del Piemonte Orientale, la Fondazione Museo Francesco Borgogna, la Società Storica Vercellese, la Fondazione Istituto di Belle Arti e Museo Leone, la Fondazione Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare. Il volume si apre con l’Introduzione (pp. 23-29) di Saverio Lomartire, che non manca di tracciare le tappe salienti della prestigiosa carriera di Guala Bicchieri. Di ritorno dalla complessa missione diplomatica in Inghilterra in qualità di legato papale di Innocenzo III prima, e di Onorio III poi, egli il 19 febbraio 1219, in accordo con il vescovo di Vercelli Ugo da Sesso, posò le due prime pietre di fondazione del complesso di Sant’Andrea. Per il resto della sua vita, il cardinale dimostrerà una costante attenzione alla chiesa da lui voluta, alla quale 294 assegnò ingenti donazioni terriere, nonché preziose suppellettili e arredi sacri. Un progetto che culminò nel 1227, quando scelse di affidare, dopo il suo decesso, alla basilica di Sant’Andrea la propria intera eredità. La ricca dotazione del nuovo edificio sacro fu infatti da Guala scrupolosamente realizzata per permettere la ricostruzione in proporzioni maggiori dell’antica chiesa di Sant’Andrea, a lui concessa dal vescovo Ugo, e da subito affidata a una comunità canonicale. A guida di quest’ultima egli volle porre il canonico vittorino Tommaso Gallo, noto come brillante teologo e studioso, che ebbe cura del patrimonio economico della medesima e sorvegliò i lavori per la realizzazione del più ampio edificio di culto con annesso ospedale. Nella presentazione, Lomartire si sofferma pertanto in particolare sui tempi del cantiere edilizio, completato rapidamente negli anni Trenta del Duecento. L’autore passa così in rassegna le più significative ipotesi vagliate dalla storiografia e dalle recenti ricerche, sottolineando come le dinamiche di sviluppo del progetto costruttivo ancora in gran parte ci sfuggano. A seguire Giancarlo Andenna (Guala Bicherius, Note per una biografia, pp. 3132), sintetizza la cronologia saliente del Bicchieri, a partire dalla sua nascita, collocabile tra il 1165-1170, fino alla sua morte avvenuta nel 1227, con riferimento anche alla sua solenne sepoltura, svoltasi in San Giovanni in Laterano. Sempre ad Andenna si deve l’approfondito contributo volto a delineare le fasi di stesura e le modalità di realizzazione della Magna Charta Libertatum (G. Andenna, Guala Bicchieri e la Recensioni e segnalazioni Magna Charta del 1217, pp. 33-39), della quale è fornita una nuova trascrizione, integrata sulla scorta della pergamena concessa dal Capitolo della Cattedrale di Hereford, affiancata a una precisa traduzione (Testo della Magna Charta del 1217 conservata a Hereford, pp. 41-50). Tale esemplare autentico, per la prima volta mostrato in Italia, ha rappresentato infatti il focus di tutta l’esposizione. Il saggio di Andenna prende le mosse dagli accordi firmati il 15 giugno 1215 fra re Giovanni, figlio di Enrico II, e i baroni inglesi ribelli, quando fu emanato un documento in 63 articoli, più tardi indicato con il titolo di Magna Charta. Furono in tale occasione fissate norme per evitare gli abusi commessi dagli organi periferici del Regno nei confronti dei vassalli minori e dei liberi proprietari terrieri, si eliminarono i privilegi della “legge delle foreste”, fu riorganizzata la giustizia, e si favorì l’attività sociale ed economica delle città. Il secondo paragrafo del contributo storico è dedicato alle legazioni di Guala, che il pontefice nel febbraio del 1216 inviò come legato a latere prima in Francia e poi in Inghilterra. Gli eventi sono ripercorsi in modo avvincente, a partire dal fallito tentativo di convincere Filippo II Augusto a distogliere il proprio appoggio al figlio Luigi VIII, intenzionato a conquistare l’Inghilterra, fino allo sbarco del Bicchieri sul suolo inglese. La scomparsa di Giovanni il 19 ottobre 1216, spinse il cardinale a chiedere a Roma il permesso di incoronare il minorenne Enrico III, un’abile mossa tesa a demotivare la lotta armata in corso e ad annullare il sostegno alla candidatura del principe francese. Il 12 novembre 1216 Guglielmo il Maresciallo e il legato papale elaborarono e apposero i loro sigilli ad una versione riveduta e corretta della Magna Charta, testo non difforme per struttura dal precedente. Una ulteriore tregua con i ribelli permise nel novembre del 1217 di convocare a Westminster un Concilio, durante il quale si stabilì la pubblicazione di una nuova Magna Charta e di una Carta delle Foreste, documenti entrambi sigillati con i sigilli del Bicchieri, in qualità di legato apostolico, e di Guglielmo il Maresciallo conte di Pembroch, rettore del Regno. Andenna infine esamina in dettaglio il rapporto esistente tra le libertates della Magna Charta del 1215 e quella del 1217, nonché i rispettivi articoli. La carta del 1217 ebbe valore sino al 1225, quando Enrico III iniziò a esercitare integralmente i poteri sovrani e si dotò di sigillo, riconfermando alla lettera il documento elaborato da Guala e da Guglielmo il Maresciallo. In questa nuova versione la Charta durò per secoli. Alessandro Barbero (Vercelli fra XII e XIII secolo, pp. 51-56), ricostruisce con una attenta disamina la Vercelli al tempo di Guala, ponendo particolare attenzione alla vita civile e alla vivace sperimentazione comunale verificatasi anche nella regione piemontese, sebbene la storiografia in passato abbia posto più l’accento sulle grandi famiglie signorili ivi dominanti, quali i conti di Savoia, i principi d’Acaia e i marchesi di Monferrato. A cavallo tra XII e XIII secolo, Vercelli non si differenziava per sperimentazione politica e prosperità economica dalle città di area lombarda, trattandosi di un centro in pieno sviluppo, con una forte crescita demografica, sostenuta da un’intensa immigrazione. Barbero rimarca come tale flusso migratorio risulti particolarmente intenso proprio negli anni in cui il Bicchieri avviò la costruzione della chiesa di Sant’Andrea, settore cittadino allora in piena espansione urbanistica, la quale fu indubbiamente incentivata da tale importante progetto edilizio. Una crescita demografica 295 Recensioni e segnalazioni che si accompagnò, di fatto, allo sviluppo di una prospera economia urbana. Particolare rilievo è dato alle modalità con cui la città definì il proprio territorio, nell’intento di dominare l’intera diocesi, entrando in competizione con l’autorità vescovile. Grazie alla documentazione superstite è stato possibile illustrare i complessi meccanismi con cui la Vercelli comunale si affermò, effettuando un rimodellamento di un territorio irregolare e promuovendo una nuova geografia insediativa. Paolo Rosso (I centri di istruzione a Vercelli nel primo Duecento, pp. 57-66) ha affrontato il complesso tema relativo alla cultura nella Vercelli di metà XIII secolo. L’autore ha analizzato il clima religioso allora presente, nonché il variegato sistema di istruzione, aperto ai più recenti apporti culturali, nel quale un ruolo centrale fu svolto dalla Cattedrale eusebiana, e che fu alla base della formazione intellettuale anche del cardinale Bicchieri. Presso la chiesa matrice operavano scuole di grammatica, e, con attività intermittente, di teologia. La composizione delle biblioteche, arricchitesi grazie alle donazioni librarie degli stessi canonici, rispecchia evidenti interessi per la teologia, la liturgia e l’esegesi, nonché per il diritto, ambiti in cui ai medesimi si richiedevano elevate competenze. Il Bicchieri inserì pertanto la nuova comunità di Sant’Andrea, che si rifaceva al modello abbaziale vittorino e alla sua tradizione culturale, entro una dimensione di apertura internazionale, confermata dalla chiamata a Vercelli di un teologo della levatura di Tommaso Gallo, tra i più interessanti studiosi di ‘sacra pagina’, il quale forse rivestì compiti di insegnamento nella nascente canonica. Numerosi testi necessari allo studio e all’insegnamento furono ampiamente presenti nel fondo librario di Sant’Andrea, 296 sotto il suo abbaziato. Lo stesso cardinale Bicchieri dotò l’abbazia di una trentina di codici e a questa destinò nel 1227 un secondo lascito di un centinaio di volumi, in massima parte di argomento teologico e di provenienza franco-settentrionale o inglese, analizzati in dettaglio da Rosso. Nello scenario dell’istruzione superiore in Vercelli si annoverano inoltre le scuole aperte presso gli Ordini Mendicanti. Testimonia infine il transito di maestri e studenti tra ambiti ecclesiastici e laici sempre più permeabili, la costituzione nel 1228 da parte del Comune dello Studium generale, che, pur con il suo funzionamento intermittente, lanciò la città nel circuito universitario e che vide il trasferimento da Padova di studiosi e docenti. Dedicato agli aspetti artistici e architettonici è l’approfondito contributo di Silvia Muzzin (La basilica di Sant’Andrea e le arti a Vercelli all’alba del Gotico, pp. 6782), che attesta la grande influenza e le ricadute esercitate in ambito non solo locale del grande cantiere di Sant’Andrea. Nel corso del Duecento tale fucina creativa seppe sviluppare un importante indotto relativamente alla produzione artistica, contribuendo alla circolazione di maestranze artistiche. La basilica di Sant’Andrea è a giusto titolo interpretata dall’autrice come una unità di impianto architettonico e apparato decorativo dal carattere armonico, che affonda le proprie radici nell’arte romanica, aprendosi di contro alle novità europee, sapientemente rimodulate. Non a caso il complesso di Sant’Andrea è dalla critica considerato il primo episodio in Italia di architettura gotica, in grado di proiettare Vercelli in una posizione di assoluto rilievo entro lo scenario artistico europeo. Ciò, senz’altro, a motivo del felice incontro tra la figura carismatica del committente, Guala Bicchieri, dal noto spessore internazionale, e il raggiun- Recensioni e segnalazioni gimento in quegli anni dell’apice politico sul fronte cittadino. Sempre Muzzin rileva peraltro come il cantiere di Sant’Andrea generò presto due forze, una centripeta, causa dell’eclissi di altri possibili eventi artistici di grande significato, e una centrifuga nei decenni successivi, ispirandone altri. A riprova di ciò vengono proposti i maggiori contesti architettonici realizzati antecedentemente alla basilica, per i quali sussiste una ampia documentazione storica, e quelli eretti in seguito, al fine di comprendere la situazione vercellese nel passaggio dall’età romanica al pieno Duecento. Ricco di fascino è il percorso tra le fonti tracciato da Simonetta Castronovo (Guala Bicchieri, collezionista europeo di oreficerie, smalti e codici miniati, pp. 83- 92), che ci restituisce la figura di Guala a tutto tondo, nel suo essere raffinato collezionista di oggetti, paramenti e codici di splendida fattura, che egli, nei suoi lunghi viaggi, poté acquisire. Ancora in vita, il cardinale effettuò nel 1224 una prima consistente donazione in favore della chiesa di Sant’Andrea e del suo abate Tommaso Gallo, nella quale compare un lungo elenco di oreficerie, arredi sacri e libri miniati. Un ulteriore lascito di preziosi paramenti liturgici e due candelieri in smalto di Limoges fu effettuata nel 1226, mentre il Bicchieri, con il suo testamento redatto il 29 maggio 1227, dispose ancora generose donazioni per diversi istituti religiosi, tra cui ancora una volta la chiesa e l’ospedale di Sant’Andrea, a cui volle assegnare anche le sue ricche vesti e il proprio vasellame, tra cui la coppa d’oro in cui era solito bere. Il testo con maggiori notizie sulle ricche suppellettili collezionate da Guala è senz’altro l’inventario steso dopo la sua scomparsa avvenuta in Roma, il 31 maggio 1227, quando furono annotati tutti i beni reperiti nel suo palazzo presso la chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, tra cui le oreficerie e i libri destinati a Sant’Andrea. Egli era solito conservare gli oggetti di sua proprietà in sei grandi cofani, fra cui quello con smalti limosini posto in mostra. Tra i molti oggetti appartenuti al Bicchieri giunti fino a noi, spicca il coltello eucaristico, stando alla tradizione impiegato nell’assassinio dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, che forse egli ricevette in dono da Enrico III Plantageneto. Lo studio si conclude con un paragrafo dedicato ai viaggi del cardinale attraverso l’Europa, grazie ai quali ebbe modo di formare la sua eccezionale collezione, costituita quasi esclusivamente da opere realizzate in Europa Settentrionale. Chiude la serie dei saggi quello di Daniele De Luca (Il percorso espositivo in ARCA, pp. 93-96), volto a descrivere l’allestimento del percorso espositivo da lui progettato, dal forte impatto, suddiviso in tre sezioni, delle quali il punto cardine è stato rappresentato dall’inserimento entro lo spazio in ARCA di un vero e proprio ‘sacello’ a custodia della teca con la Magna Charta (si veda la Sezione I ARCA, pp. 99-143). Fra i pezzi in mostra, oltre al già citato coltello eucaristico, non sono mancati documenti pergamenacei provenienti dall’Archivio Storico del Comune di Vercelli, compreso il primo volume manoscritto de I Biscioni, risalente al XIV secolo. La Biblioteca Diocesana e Agnesiana di Vercelli ha contribuito con il prestito del codice miniato delle Concordanze Bibliche, attribuito a Tommaso Gallo, mentre nell’ultima sezione della mostra è stato collocato il cofano, proveniente da Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte antica di Torino impiegato da Guala come baule da viaggio per il proprio corredo cardinalizio e realizzato a Limoges tra il 1220 e il 1225. Ai visitatori è stato reso 297 Recensioni e segnalazioni fruibile anche una parte del testamento di Guala, proveniente dall’Agnesiana, che si è aggiunto agli eccezionali materiali selezionati per una complessiva riflessione sul lascito e l’eredità del Bicchieri. La seconda parte del volume, strutturata in un vero e proprio catalogo, con testi introduttivi e dettagliate schede scientifiche per le singole opere storico-artistiche, prosegue nel rispetto della distribuzione delle esposizioni. Queste ultime sono state approntate entro la città, in un’ottica di ‘mostra diffusa’, che ha dimostrato la raggiunta sinergia e la ricettività propositiva dei maggiori enti di cultura vercellesi, i quali in piena collaborazione si sono attivati per realizzare più percorsi tematici fruibili dal pubblico. Oltre alla già descritta prima sezione ospitata nell’ARCA, ovvero nella ex- chiesa di San Marco, una seconda è stata realizzata presso l’Archivio di Stato di Vercelli (Ego Guala presbiter cardinalis heredes instituo. Frammenti e prospettive di un’eredità da riscoprire, a cura di Elena Rizzato, Silvia Sette, Ilaria Alessandra Montalenti, Fabrizio Frongia, pp. 147-157). Il titolo adottato dai curatori riprende l’incipit del testamento di Guala, ed è stato posto a raccordo dei due nuclei tematici principali. Si è voluto sostanzialmente dare rilievo alla documentazione inerente alla fondazione e ai primi anni di vita dell’abbazia di Sant’Andrea, esponendo in particolare il resoconto coevo della fondazione della medesima, nonché l’unico esemplare integrale ancora conservato del testamento del Bicchieri. Sono state inoltre valorizzate le figure ottocentesche degli architetti Carlo Emanuele ed Edoardo Arborio Mella, che studiarono e restaurarono gli edifici del complesso abbaziale, recuperando documenti provenienti dai loro archivi personali. Va notato anche l’excursus proposto relativo alle vicende 298 che portarono al ritrovamento del cosiddetto scrinium cardinalis, il quale conservava le ossa ritenute del Bicchieri, come si evince dal manoscritto Memorie storiche sull’Abbazia di Sant’Andrea di Vercelli di Carlo Emanuele Arborio Mella. A ricordo dell’opera dei due Mella è stata dedicata anche la scelta espositiva proposta dal Museo Leone (Sant’Andrea di Vercelli nei disegni di Carlo Emanuele e Edoardo Arborio Mella e il cofanetto di Guala del Museo Leone di Luca Brusotto, con schede e tavole acquerellate di Carlo Emanuele e Edoardo Arborio Mella, pp. 161-196). Si sono volute mostrare ben 29 tavole acquerellate raffiguranti l’abbazia di Sant’Andrea, realizzate da Carlo Emanuele e dal figlio Edoardo a partire del 1822, in occasione dei lavori di restauro dell’edificio. La mostra ha inoltre mirato alla contestualizzazione di un’opera permanentemente esposta al Museo, ovvero il cofanetto con medaglioni smaltati di manifattura limosina, da Guala donato all’abate Tommaso Gallo nel 1224. Il prezioso scrigno, che Camillo Leone acquistò sul mercato antiquario nel 1883, costituisce l’unico oggetto appartenuto al cardinale ancora oggi conservato a Vercelli. Nella quarta sezione, allestita presso il Museo del Tesoro del Duomo (Il mappamondo di Vercelli e le donazioni dei canonici nel XIII secolo, di Timoty Leonardi, pp. 199-208), sono stati selezionati alcuni oggetti facenti parte del percorso espositivo permanente, e un gruppo di manoscritti della collezione della Biblioteca Capitolare. Massimo risalto è stato dato al ‘Mappamondo di Vercelli’, a un codice già del canonico e magister Cotta, il quale fece dono della sua intera biblioteca con testi di ambito teologico-biblico alla Cattedrale, e a un manoscritto a suo tempo posto in relazione con Giacomo de Carnario, canonico di San- Recensioni e segnalazioni ta Maria Maggiore e in seguito vescovo di Vercelli, già compagno di viaggio di Guala Bicchieri nella sua missione inglese del 1216, nonché suo esecutore testamentario. Sede della quinta e ultima sezione espositiva è stata individuata nel Museo Borgogna (Il “Bel Sant’Andrea” di Vercelli nelle fotografie del Museo Borgogna, di Cinzia Lacchia e Roberta Pozzato, pp. 211-221). Dall’archivio storico fotografico ivi conservato è stato estrapolato un nucleo di 106 lastre in vetro alla gelatina sali d’argento, raffiguranti il complesso architettonico di Sant’Andrea, nel corso del tempo più volte oggetto di varie campagne fotografiche. Tramite la digitalizzazione sono state così restituite ad un pubblico più vasto inedite immagini di un monumento più volte riprodotto nei secoli, il quale ha assunto un valore identitario per l’intera città di Vercelli. Chiude il prestigioso catalogo l’accurata Bibliografia generale, curata da Sara Agnelli (pp. 223-236), riordinata sulla scorta dei singoli studi storico-artistici e dalle schede scientifiche a corredo delle singole sezioni. Si dispone così ora di un nuovo apparato bibliografico, che fa il punto sugli studi ad oggi disponibili, e indispensabile per futuri approfondimenti interdisciplinari, ricerche che non potranno prescindere anche dal volume, non segnalato, di Valentina Brancone, Il tesoro dei cardinali del Duecento. Inventari di libri e beni mobili, Firenze 2009, che alle pp. 45-66 offre una precisa edizione delle donazioni tra il 1224 e il 1227 realizzate dal Bicchieri. In conclusione l’obiettivo, auspicato dallo stesso Lomartire, di fornire un significativo momento di riflessione attorno alla perdurante memoria del cardinale Bicchieri, e alla sua complessa eredità culturale e patrimoniale, declinate ora a tutto tondo, tramite un variegato percorso espositivo e un catalogo, dalla veste scientifica, ma che si apprezza per l’agile lettura e l’ottimo corredo iconografico, può dunque dirsi pienamente realizzato. Elisabetta Filippini Andrea Cherchi, 800 anni di emozioni. L’abbazia di S. Andrea, immagini e suggestioni, Vercelli, Gallo Artigrafiche, 2019, pp. 144, ill. ISBN 978-889731-443-1. Daniele De Luca, Alice Colombo, Fabrizio Tabacchi, L’Abbazia di Sant’Andrea a Vercelli, Vercelli, Gallo Artigrafiche, 2019, pp. 69, ill. ISBN 978-88-9731-441-7. Sant’Andrea di Vercelli: Guala racconta la sua abbazia, Vercelli, Gallo Artigrafiche, 2019, pp. 27, ill. ISBN 978-88-9731-440-0. Mariuccia Gallo - Silvano Alboresi - Mario Tarricone, Storia e commemorazione degli 800 anni della Basilica di Sant’Andrea, Vercelli, Gallo Artigrafiche, 2019, pp. 85 [2], ill. 299 Recensioni e segnalazioni Riccardo Rao, Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso, Milano, UTET, 2018, pp. 253, ill. ISBN 978-88-511-6651-9. Proseguendo sul percorso di accurata divulgazione storica già avviato, in particolare, con I paesaggi dell’Italia medievale (Carocci, Roma 2015), l’Autore dedica ora un volume al lupo, anzi ai lupi: il plurale è d’obbligo soprattutto quando si consideri l’amplissimo ventaglio di connotazioni e di scorci interpretativi che sostanziano i 44 capitoli in cui si articola l’opera. Ognuno di essi, peraltro, può essere letto quasi come saggio autonomo, e la gamma dei tematismi - scegliendo alcune fra le molte esemplificazioni possibili - spazia da valutazioni di tipo ambientale lette in chiave diacronica a incursioni nel ricco patrimonio delle fonti epico-leggendarie ed agiografiche di epoca medievale, dalle presunte manifestazioni di licantropia alle alterne vicende di una lotta fra uomo e lupo che, più frequentemente di quanto oggi si possa immaginare, anche e soprattutto nei secoli passati si è configurata come sistematico sterminio. È difficile, pertanto, compendiare nello spazio ristretto di una recensione gli argomenti e i percorsi di indagine esplorati nel volume, e una mera disamina a partire dall’indice potrebbe dare la falsa impressione di una serie di divagazioni, certamente piacevoli ma prive di reciproche interconnessioni. Già scorrendo qualche decina di pagine, però, si potrebbe facilmente constatare l’equivoco: una serie di fili conduttori, infatti, assicura una solida unitarietà al volume, lasciando intravvedere il minuzioso lavoro di documentazione che ne costituisce la premessa, puntualmente evocato nella ricca sezione (pp. 225-253) che ripercorre fonti e bibliografia capitolo per capitolo. Il primo spunto, già denunciato con chiarezza nelle righe iniziali del testo, è la 300 stringente attualità del tema (il lupo ritorna …), che in questi ultimi anni ricorre con sempre maggior frequenza mediatica, a rispecchiare una serie di mutamenti ambientali che stanno investendo con poche eccezioni i paesaggi montani del nostro paese. È continuo infatti il richiamo al presente, con il quale l’Autore fa dialogare i dati storici con cauto distacco, e proprio questo aspetto conferisce a più di un tratto del volume il sapore di un vero e proprio reportage, talvolta ravvivato da riferimenti a esperienze di documentazione “sul campo” vissute in presa diretta. L’ossatura, però, è e rimane solidamente storica, nella più ampia accezione del termine: ciò emerge chiaramente dalla precisa delimitazione dell’ambito di indagine - altro elemento unificante - che si concentra sui secoli fra medioevo e XIX secolo in un quadro topografico che privilegia l’Europa occidentale, dalle isole britanniche alla Francia ed all’Italia, con incursioni in ambito iberico e germanico. Un altro tratto distintivo e ricorrente è il continuo riferimento alle fonti scritte, evocate in numerose citazioni che costituiscono spesso a tutti gli effetti l’impalcatura sulla quale si snoda la trattazione: accanto a rimandi a testi basilari e universalmente conosciuti anche sul piano della cultura di massa (la Commedia dantesca, o la fiaba di Cappuccetto Rosso) l’Autore richiama testi certamente meno noti ai non “addetti ai lavori”, come nel caso - per fare un esempio - dei registri delle tasse sui lupi provenienti dall’archivio storico di Massa, caratterizzati da uno straordinario potenziale informativo relativo ai secoli XVII e XVIII. L’immaginario, esaminato con ampiezza di orizzonti cronologici e topografici, è Recensioni e segnalazioni uno degli altri spunti persistenti, e forse il più immediatamente fruibile in virtù dello spazio che il lupo occupa nella fantasia collettiva: interessante, in questo caso, è l’ampia contestualizzazione che contribuisce a rendere meglio decodificabili simboli ed immagini, evidenziandone evoluzione e metamorfosi nel tempo. A questa sfera, inoltre, attiene anche una significativa riflessione sul progressivo mutamento di connotazione dell’animale: il lupo “buono”, caratterizzato come tale nella maggioranza delle fonti altomedievali (pensiamo all’animale descritto da Paolo Diacono come guida nel tenebroso intrico della foresta) acquisisce poco a poco la pessima fama che lo accompagnerà inesorabilmente nei secoli a venire, conseguenza indiretta - fra l’altro - di profonde trasformazioni dei paesaggi antropici e delle dinamiche di sfruttamen- to degli incolti avviate a partire soprattutto dall’XI-XII secolo. Riaffiorante qua e là, infine, è anche una persistente sensibilità nei confronti del dato etologico, che sovente diviene chiave interpretativa anche per la lettura di fonti storiche o di risultanze a livello antropologico: tale attenzione funge spesso da ponte con la contemporaneità, e contribuisce a sfatare luoghi comuni di antico radicamento. Proprio questo aspetto, al di là dell’accuratezza della disamina storica presentata, può costituire uno dei pregi migliori del volume, cioè l’avventurarsi con seria e documentata obiettività in una tematica che per sua natura presta il fianco a facili sensazionalismi e al proliferare (soprattutto on line) di false nozioni, ammantata com’è ancora ai giorni nostri di un innegabile fascino. Gabriele Ardizio Alessandria scolpita 1450-1535. Sentimenti e passioni tra Gotico e Rinascimento, catalogo della mostra di Alessandria, Palazzo Monferrato, 14 dicembre 2018 - 5 maggio 2109 (prorogata al 2 giugno 2019), a cura di Fulvio Cervini, Genova, SAGEP Editori, pp. 343, Euro 35.00, ISBN: 97888-6373-618-2. La bella mostra sulla scultura lignea nel territorio alessandrino curata da Fulvio Cervini, è certamente il risultato e il frutto di una campagna di tutela e di restauri avvenuti nel corso degli ultimi due decenni, che ci hanno permesso talvolta a vere scoperte in questo campo. Il volume si divide in due parti: la prima dedicata ai saggi, e la seconda alle schede delle opere in mostra. Tra i primi vanno certamente menzionati oltre a quello introduttivo dello stesso Cervini (pp. 21-33), quello di Antonella Perin dedicato alla città, ai cantieri e alle famiglie committenti tra Quattrocento e Cinque- cento (pp. 47-57), quello di Guido Gentile sulle immagini devozionali (pp. 59-69). Più specifici riguardo al tema della mostra sono invece i testi di Silvia Piretta, sulle opere tardogotiche, sul Maestro di Castel Sant’Angelo e sulla bottega dei Da Surso (pp. 71-77), di Massimiliano Caldera sulla figura di Giovanni Mazone e sulle presenze di primo Cinquecento in città (pp. 79-91; 107-117), e quello a quattro mani di Marco Albertario e Vittorio Natale sulle presenze lombarde tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo (pp. 93-105). Ancora Orso Maria Piavento dà conto del301 Recensioni e segnalazioni la forma della pala d’altare in Piemonte (pp. 119-129) e Gianluca Ameri analizza il patrimonio delle oreficerie presenti su un territorio molto complesso e sottoposto a varie influenze, mentre mi paiono di grande utilità in questo contesto i saggi di Valeria Moratti, di Rossana Vitiello e di Giulia Marocchi (pp. 153-163; 165-175; 177-185) che illustrano con competenza a precisione i vari restauri che in qualche modo hanno costituito il preludio della mostra stessa. Ricco è poi il catalogo delle opere che comprendono ovviamente molte sculture lignee, come Crocifissi, ma anche statue singole e il capolavoro del Compianto di Novi Ligure fino al pannello già di metà Cinquecento ora al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma, ma già in Santa Croce a Bosco Marengo, opera di Giovanni Gargiolli. Il dialogo in mostra è davvero serrato e proficuo tra le opere lignee e i dipinti, tra le sculture attribuite o vicino a Giovanni Angelo Del Maino e il polittico di Quargnento di Gandolfino da Roreto, o ancora tra i vari Crocifissi e le opere di oreficeria come lo stupefacente ostensorio già nel Duomo di Voghera. Le schede delle opere sono puntuali, precise e chiare e, cosa altrettanto utile, non troppo lunghe. Molte sarebbero le opere su cui varrebbe la pena soffermarsi, ma pare utile non trascurare il Crocifisso di colle- 302 zione privata (scheda di Vittorio Natale, pp. 234-236), che era già noto, e che spetta al medesimo scultore che ha intagliato il Crocifisso in Sant’Andrea a Vercelli, e un’altra opera analoga ora in San Giacomo a Terranova, intorno agli anni 1470-1480. Se al momento nulla possiamo aggiungere su ciò, è utile sottolineare come la zona dell’alessandrino appare influenzata dalle varie correnti stilistiche che giungono da tutte le direzioni possibili; certo quella lombarda era indubbiamente assai forte, anche perché la città era legata politicamente a Milano, e in qualche modo la presenza di Del Maino e della sua influenza ne è una ulteriore conferma, ma la vicinanza relativa di Genova e della Liguria costituisce certamente uno sbocco seducente. In fondo poi le distanze erano brevi anche da Casale e da Vercelli e quindi dal Monferrato, e guardando ancora più a ovest, da Asti. Si comprende bene dunque la presenza di opere come quelle di Gandolfino da Roreto, e ovviamente di Giovanni Mazone. Ma la inedita Pietà di collezione privata schedata da Vittorio Natale (pp. 212-213), sembra in qualche modo risentire di qualche eco del Piemonte occidentale, e se davvero provenisse dal territorio, dimostrerebbe come questo si costituisca come un polo dalle molteplici influenze intrecciate. Simone Riccardi Recensioni e segnalazioni Il Rinascimento a Biella. Sebastiano Ferrero e i suoi figli, a cura di Mauro Natale, catalogo della mostra (Biella, Palazzo Ferrero, Palazzo La Marmora, Museo del Territorio Biellese, s.d.), E20Progetti Editore, Biella 2019, Silvana Editoriale Cinisello Balsamo (Mi) 2019, pp. 334, ill. ISBN 978-88366-4336-3. La mostra ed il catalogo curati da Mauro Natale, sono costruiti intorno alla figura di Sebastiano Ferrero (Biella 1438 - Gaglianico 1519), una delle personalità più influenti della corte sabauda, in rapporto con il re di Francia e il ducato milanese. Il ricco diplomatico e la sua famiglia furono promotori di prestigiose committenze che evidenziano il nuovo ruolo culturale assunto in questo giro di anni da Biella che permane il centro, insieme al feudo di Gaglianico, della sua politica territoriale. Questa relazione viene rafforzata dal ruolo ecclesiastico dei figli e dei discendenti di Sebastiano Ferrero che occuparono l’episcopato di Vercelli per tutto il Cinquecento con influenze famigliari su una vasta area tra Novara, Vercelli, Torino e Biella. A partire, non a caso, dal complesso rinascimentale di San Sebastiano, fondato nel 1500, oggi sede del Museo del Territorio Biellese, la mostra è stata articolata in tre sezioni, la prima dedicata alla città di Biella tra Quattro e Cinquecento. In questa sezione e in catalogo nel saggio di Marco Aimone vengono ricordati edifici scomparsi come la pieve romanica di Santo Stefano, da cui proviene la preziosa croce del 1509 in argento sbalzato di Damiano della Corte e Francesco Ferrari, forse padre del pittore Defendente. Stessa sorte di dispersione è toccata alla chiesa e al convento di San Francesco, da cui provengono opere dello Pseudo Giovenone, divise tra Londra e Bergamo, e del Maestro dell’Incoronazione della Vergine. Da San Domenico al Piazzo furono disperse le tavole di Gerolamo Gio- venone, oggi al Castello Sforzesco di Milano, di Defendente Ferrari, ora all’Albertina di Torino e forse anche, come propone Simone Riccardi, la Crocifissione di Lanino del Museo del Territorio. Emergono in mostra influenze figurative nel biellese provenienti dall’area transalpina, da Lione e Ginevra, penetrate attraverso la Valle d’Aosta ed in particolare riscontrabili nelle opere di Pietro Vaser di cui Frédéric Elsig ha scoperto tredici elementi di vetrate dal Castello di Challant a Issogne. Analogamente il pentittico di Defendente Ferrari del Museo del Territorio testimonia i contatti dell’artista con la pittura nordica. Dello stesso autore è stata esposta la pala Gromo ed in catalogo è presentata una Madonna allattante recentemente individuata sul mercato antiquario. Il saggio di Simone Riccardi fa riferimento alla cultura figurativa a Biella e nel biellese nel Quattrocento dove nelle pievi del territorio sono attive botteghe di artisti itineranti di origine novarese e locale che ripropongono apparati decorativi ancora attardati su modelli arcaizzanti. Una seconda sezione ha come fulcro il polittico di Bernardino de’ Conti, già ricostruito idealmente da Edoardo Villata nel 2003 e qui per la prima volta esposto completo al pubblico, proveniente dalla chiesa di San Sebastiano e diviso tra il Museo del Territorio e la collezione Alberti La Marmora. Nei pannelli laterali restaurati, che si affiancano alla leonardesca Vergine delle Rocce, spicca per qualità il ritratto di Sebastiano Ferrero con il figlio Goffredo. Il 303 Recensioni e segnalazioni saggio e le schede delle opere sono a cura di Maria Cristina Passoni mentre Silvia Cavicchioli ha trovato menzione della provenienza da San Sebastiano delle ante mobili con i ritratti Ferrero. Dal Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli sono pervenuti in mostra il pastorale, la croce processionale e la Pace con la Deposizione donati dal vescovo di Vercelli Agostino Ferrero che promosse anche il rimodernamento dell’apparato decorativo del palazzo vescovile. Antonella Perin si sofferma sul cantiere della chiesa lateranense di San Sebastiano, costruita su un modello lombardo bramantesco, mentre Edoardo Rossetti descrive l’attività di Sebastiano Ferrero durante il suo soggiorno milanese. Le tracce di committenza dei Ferrero a Torino, Ivrea e Vercelli vengono proposte nel saggio di Paola Manchinu. La terza sezione, introdotta dal saggio di Vittorio Natale, prosegue nel descrivere la cultura figurativa nel biellese nel Cinquecento. Gerolamo Giovenone, ancora vicino alla produzione di Defendente, dipinse nel 1508 le tavole per la cappella Meschiati in San Domenico, oggi al castello Sforzesco di Milano e non esposte in mostra, prima dell’avvento travolgente di Gaudenzio Ferrari che lo portò ad una svolta stilistica ormai attestata nella più tarda pala Frichignono già in San Domenico e ora nella sacrestia del Duomo. Quest’ultima opera apre al dialogo con Bernardino Lanino come si evince dal confronto con la pala di Ternengo e con la piccola Madonna con Bambino 304 e santi del Museo Borgogna di Vercelli presente in mostra. Sempre di Lanino il Compianto della Sabauda da San Sebastiano è stato esposto accanto alla predella conservata al Museo del Territorio. La presenza di personalità artistiche dalla Lombardia è attestata dalla Decollazione del Battista dalla sacrestia del Duomo di Biella, il cui stile richiama anche alcuni brani degli affreschi della chiesa di San Gerolamo attribuiti al Maestro dei Santi Cosma e Damiano, e il polittico del Maestro dell’Incoronazione della Vergine. In mostra sono presentate anche alcune opere dello Pseudo Giovenone, artista in passato sovrapposto dalla critica al Maestro dell’Incoronazione, in realtà figura autonoma che ebbe un ruolo importante nell’aggiornamento della bottega di Defendente Ferrari, e su cui Massimiliano Caldera propone un approfondimento. Sono state infine esposte due opere del napoletano Marco Cardisco analizzate da Benedetta Brison. La mostra proseguiva con una sezione multimediale in Palazzo Ferrero e con la presentazione storico-documentaria della carriera di Sebastiano Ferrero in Palazzo La Marmora. Il volume, articolato in sezioni con saggi a cui seguono le relative schede delle opere in mostra insieme a quelle non presenti ma non tralasciate in catalogo, corredate da ampie immagini a piena pagina, è denso di contenuti e rende pubblici gli esiti di studi precedenti, i nuovi approfondimenti e spunti per future riflessioni. Alessia Meglio Recensioni e segnalazioni Paolo Cavallo, Motetten auf kriegerische Texte in Piemont zwischen del 17. Und 18. Jahrhundert: Giovanni Ambrogio Bissones Per la pace a 8, in “Die tonkunst”, n. 1, jg. 13 (Januar 2019), pp. 71-79. Da qualche tempo Paolo Cavallo ha preso ad affrontare lo studio della musica sacra piemontese in età moderna con approccio mutato: non più o non soltanto focalizzando luoghi di produzione o compositori, quanto piuttosto occupandosi di un genere musicale dopo l’altro. Così si sono succeduti i suoi saggi sulla letteratura per doppio coro, sulle messe, sui salmi, sul mottetto a voce sola, affiancati dall’attività come esecutore in seno al gruppo musicale Ensemble Musas. Ora vede la luce un intervento sui mottetti per voci e strumenti originati da occasioni legate alle vicende belliche del ducato - e poi regno - sabaudo. Se a Torino Francesco Michele Montalto, formatosi come cantore nel collegio della cattedrale vercellese e successivamente divenuto maestro di cappella nella capitale del ducato tra 1712 e 1760, compone il Motetto à 4 voci sopra la strage de Galli sotto Torino per ricordare l’assedio e la successiva messa in fuga dell’esercito francese, invece a Vercelli Giovanni Ambrogio Bissone nella versione originaria del suo mottetto Per la pace a 8 per doppio coro a quattro voci e due organi celebra l’iniziativa di papa Innocenzo XI di radunare truppe di vari sovrani contro la morsa dell’esercito ottomano intorno a Vienna nel 1683. Cavallo riferisce in maniera sintetica ma penetrante la struttura e i meccanismi retorici della pagina di Bissone, che in quell’anno era ancora uno dei cantori beneficiati in Duomo a Vercelli (sarebbe diventato maestro di cappella nel 1687 e in questa veste maestro di Montalto): Per la pace a 8 è diviso in due parti simmetriche, che esordiscono entrambi con un duo di voci per fare seguito all’irrompere delle otto voci. Il testo del mottetto, laddove faceva riferimento a Innocenzo IX, qualche anno dopo fu modificato - come peraltro avveniva sovente - con un riferimento ad una «victoria» di Vittorio Amedeo, probabilmente nuovamente la cacciata dei francesi del 1706 o più in generale l’ottenimento del titolo regio nel 1713. Le caratteristiche musicali della parte conclusiva del brano - l’alternanza continua tra sol e do, simulante immaginarie coppie di colpi di timpani - è un modo efficace per magnificare la pace raggiunta. E Cavallo conclude ironicamente: «Sino a quando la prossima guerra non le priverà di significato, beninteso […]”. La guerra che verrà non è la prima, disse Bertolt Brecht. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti e fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente. C’era anche già una guerra contro i Turchi all’inizio del Visconte dimezzato di Italo Calvino. Così questo Settecento guerriero e lontano assomiglia a tutti gli altri secoli della storia dell’Occidente. Se ci si vuole veramente distinguere da tutte le guerre, in questa epoca di apparente pace, si continui a studiare le musiche del passato delle nostre terre, magari pensando all’edizione moderna, all’esecuzione e all’incisione. Stefano Baldi 305 Recensioni e segnalazioni La Chiesa di Santa Maria di Loreto e la confraternita di Santa Marta di Arona dai Borromeo ad oggi. Storia, restauro e valorizzazione, Atti del convegno, Arona 22 aprile 2017, a cura di I. Teruggi e S. Monferrini, Novara, Interlinea, 2018, pp. 256, ill. ISBN 978-88-6857-223-5. Il volume costituisce gli atti di un interessante convegno tenutosi nel 2017 ad Arona, e si divide in tre parti: la prima dedicata alla storia della chiesa di S. Maria di Loreto e della confraternita di S. Marta; la seconda incentrata sulle opere d’arte conservate oggi nell’edificio; la terza infine riservata ai restauri eseguiti negli ultimi anni. Si tratta di una scelta ben ponderata ed equilibrata. Per quanto riguarda la parte storica, Giovanni Di Bella (pp. 15-35) ha analizzato l’antica piazza del porto di Arona, oggi completamente ridefinita, e su cui si affaccia la chiesa di S. Maria di Loreto, mentre la storia della confraternita di S. Marta, dalle origini fino al suo trasferimento nella chiesa sopra menzionata spetta con la consueta competenza a Giancarlo Andenna (pp. 3649). Il testo di Sergio Monferrini invece (pp. 51-72), è dedicato al ruolo importante svolto da alcuni uomini nella storia della chiesa stessa, come ad esempio Margherita Trivulzio e Federico Borromeo, con la fondazione del nuovo edificio avvenuto nel 1592; va aggiunto che anche persone meno note con i loro lasciti contribuirono a migliorarla, fino alle soppressioni napoleoniche, che non interessarono l’edificio, perché ritenuto sussidiario alla parrocchiale. La confraternita di S. Marta invece venne sciolta. Guido Gentile (pp. 73-85) si occupa in specifico degli echi e dei riflessi della Santa Casa di Loreto nei territori della diocesi di Novara, a partire dalla tavola di Sperindio Cagnola, oggi al monastero della Visitazione ma appartenuto alla Scuola di Santa Marta, fino agli esempi di Varallo, Roccapietra e Boccioleto, men306 tre Alessandro Rovetta (pp. 87-107) illustra i vari progetti di Francesco Maria Richino per la chiesa di S. Maria di Loreto a Milano, di cui oggi non rimane nulla, poiché sacrificata dai rinnovamenti urbani di inizio Novecento, se non il nome, a cui è dedicata una piazza. I saggi più specificatamente storico artistici si aprono con lo scritto di Maria Letizia Casati (pp. 111-132) sugli architetti che si sono avvicendati, prima nel tentativo di riammodernare la chiesetta di S. Caterina, preesistente alla chiesa attuale, come ad esempio Martino Bassi, mentre il nuovo edificio spetta a Tolomeo Rinaldi, che attua anche la traslazione dell’immagine santa della Vergine da un muro nelle vicinanze, fino ai progetti per la scala e la porta da parte del Richino attorno alla metà del Seicento. Ivana Teruggi (pp. 133-155) analizza in maniera precisa i vari interventi dei lapicidi, tra cui in particolare va segnalato il bell’altare maggiore addossato alla Santa Casa, opera eseguita su progetto di Francesco Castelli, da datarsi negli anni 16581661. Su di esso venne poi collocata la statua dell’Assunta di Marco Antonio Prestinari scolpita nel 1613, che che costituisce una chiara ripresa di quella realizzata da Annibale Fontana per il fastigio di S. Maria dei Miracoli presso S. Celso a Milano nel 1584. Un breve testo di Sergio Monferrini (pp. 157-159) si sofferma sugli stemmi dipinti nella immagine della Madonna delle Grazie (uno spetta ai Lampugnani, l’altro è partito) che celebra il matrimonio tra Margherita Medici di Marignano e Giberto Borromeo del 14 dicembre 1529. Un altro Recensioni e segnalazioni grande stemma sforzesco si può osservare sulla casa dove oggi si trova la sacrestia della chiesa di Loreto. Con la consueta competenza Massimiliano Caldera (pp. 161-163) descrive le due opere rinascimentali, cioè la pala di Sperindio Cagnola oggi emigrata al convento delle Visitandine, e la venerata Madonna col Bambino oggi all’interno della chiesa di S. Maria di Loreto, probabile opera di un artista lombardo che si situa sulla scia di Bernardino Luini, ed è probabilmente attivo tra il secondo e il quarto decennio del Cinquecento, considerando che l’affresco aronese va datato post 1529. Angela Guglielmetti (pp. 165-181) studia il Crocifisso ligneo di primo Cinquecento, al quale, alla metà del Seicento con il rifacimento dell’altare e l’integrazione del fondale, vengono accostate quattro scene della Passione. Tra le altre testimonianze secentesche, presentate da Marina Dell’Omo (pp. 183-203), vale la pena di segnalare la Trinità, già parte dell’ancona del vecchio oratorio di S. Marta, opera di Bartolomeo Tiberino, intagliatore ben presente sui “laghi lombardi”, cui spettano anche in parte nei due confessionali di analoga provenienza. I quattro dipinti pertinenti all’Arciconfraternita del Gonfalone hanno un ante quem certo nel 1675, ed erano in origine attribuiti a Pier Francesco Gianoli; tuttavia solo uno spetta realmente al pittore valsesiano, mentre gli altri sembrano di “artefici diversi”, probabilmente pittori lombardi; va segnalata infine la bella tela di Cristoforo Giussani con la Sacra Famiglia. I vari tessuti e ricami antichi sono stati analizzati da Flavia Fiori (pp. 205-215), mentre l’ultima parte del volume è dedicata come detto, ai restauri. Maurizio Gomez Serito e Luca Finco (pp. 219-227) indagano sui materiali adoperati e sulle varie fasi costruttive della facciata lapidea della chiesa, mentre la scheda tecnica del restauro è scritta da Mario Ziggiotto (pp. 229-246). A conclusione va infine rimarcato un utilissimo indice dei nomi. Simone Riccardi Davide Cerutti, La Parochiale Anticha di S. Martino, Storie di Comunità (quaderno n. 5), Serravalle Sesia, Tipografia Rossano Biglia, 2018, pp. 80, ill. Il quinto quaderno delle serravallesi “Storie di Comunità” è dedicato alle vicende della chiesa di San Martino di Serravalle Sesia: dislocato nel perimetro del cimitero accanto al santuario di Sant’Euseo, l’edificio - attualmente strutturato in forme risalenti al XVIII secolo - sembra essere già attestato nel XIII secolo. Il testo, dopo un breve profilo agiografico di Martino di Tours, passa in rassegna le notizie disponibili sulla chiesa, a partire dalle prime attestazioni documentarie nel 1246, note attraverso atti giunti in trascrizione molto tarda, sino alle intricate vicen- de che tra XVI e XVII secolo vedono opposte le comunità di Bornate e Serravalle in materia di cura d’anime. La parte più consistente del volumetto riguarda i secoli compresi fra il XVII ed il XIX, e consta di ampi stralci documentari tratti da libri di conti ed inventari custoditi nell’archivio parrocchiale, corredati da essenziali commenti dell’Autore: da queste trascrizioni sono ricavabili numerose informazioni riguardanti vita spirituale ed interventi di manutenzione via via compiuti sull’edificio. Quest’ultimo viene totalmente riedifi307 Recensioni e segnalazioni cato fra 1721 e 1736: la documentazione contabile riportata si dimostra essere molto puntuale, testimoniando con precisione il progredire dei lavori e indicando i nomi dei numerosi artefici coinvolti. Questo aspetto è certamente il più interessante nel quadro complessivo della pubblicazione, poiché sono numerosi gli spunti offerti, in merito ad esempio ai bacini di provenienza delle materie prime, alla nomenclatura ed alla manutenzione degli attrezzi di cantiere, all’organizzazione del lavoro. Certamente encomiabile è la cura posta nel rendere immediatamente fruibili documenti di non immediata accessibilità, portando all’attenzione dei Serravallesi un importante frammento della loro memoria collettiva. Spiace però - soprattutto a fronte del lavoro di trascrizione compiuto - constatare l’assenza di riferimenti bibliografici e archivistici precisi, al di là di un laconico quanto generico rimando all’archivio parrocchiale. Questo aspetto può creare più di una perplessità soprattutto nella parte iniziale (pp. 11-18), riguardante le vicende antiche della chiesa, dove il terreno si fa più insidioso anche a motivo della scarsità di documentazione pervenutaci in originale. Gabriele Ardizio Pierpaolo Merlin, La croce e il giglio. Il ducato di Savoia e la Francia tra XVI e XVII secolo, Roma, Carocci, 2018, pp. 198. ISBN 978-88-430-8587-3. Il dominio dei Savoia si afferma a partire dal secolo XI su un’area di confine delle Alpi occidentali, fra Italia e Francia, primaria per i passaggi e i collegamenti. La casata amplia il potere su spazi savoiardi e piemontesi, formando la contea di Savoia e il principato di Piemonte e venendo in rapporto e competizione con i vicini signori del Monferrato e di Saluzzo. Il possesso degli attraversamenti e valichi agevola i legami e gli scambi con la Francia. Diciannove unioni matrimoniali, a partire dal medioevo, evidenziano i vincoli tra la Francia e i Savoia. I legami non impedivano comunque alla Francia, nel corso dei secoli, di misurarsi più volte con i Savoia, diventati duchi nel 1416, per l’ampliamento negli spazi italiani. Contrapposizione franco-sabauda che diventava particolarmente esplicita all’inizio dell’età moderna, allorché regnanti come Carlo VIII e Luigi XII avviavano 308 l’espansionismo in Italia e soprattutto con Francesco I ed Enrico II, nella Pianura padana, scontrandosi con gli Asburgo. Con lo scontro tra Francia e Asburgo divenuto europeo, i Savoia dovendo prendere di necessità una risoluzione, decidevano di appoggiarsi all’imperatore Carlo V, ma poi, consolidato il Ducato, adottavano una politica oscillante tra i due contendenti, caratteristica distintiva della loro strategia per la dinastia. Tra XVI e XVII secolo, le preferenze matrimoniali erano orientate verso il partito ritenuto più vantaggioso ai fini dinastici: il duca Emanuele Filiberto sceglieva Margherita di Francia, nel 1559, e il figlio Carlo Emanuele I la principessa Caterina d’Austria, nel 1585. Nel 1619, si tornava al partito francese, con Vittorio Amedeo I che si univa a Cristina di Borbone, figlia del re Enrico IV, la prima Madama Reale, che alla morte del Recensioni e segnalazioni Duca, nel 1637, diventava reggente. Legame con la Francia che risultava già molto vincolante con la pace di Cherasco, del 1631, ma ancor più coercitivo con il trattato di Rivoli, del 1635, che trascinava il ducato sabaudo nella Guerra dei Trent’anni. Malgrado le complicazioni per l’ostilità dei cognati Maurizio e Tommaso di Savoia, che reclamavano una posizione di potere, e le ingiunzioni del fratello Luigi XIII, appoggiato dal cardinale Richelieu, Cristina tentava di salvaguardare l’autonomia del Ducato e la libertà deliberativa. Propositi in una certa misura conseguiti in occasione della pace di Vestfalia, del 1648, che poneva fine alla Guerra dei Trent’anni. Merlin prendendo in considerazione il lasso di tempo che va dal 1536 al 1648, ricostruisce i momenti più significativi dei rapporti e dei confronti tra il ducato sabaudo e il regno transalpino. Lo compie unendo scritti che vanno dal primo contributo del 1998 all’ultimo del 2018. Come scrive l’autore, “Essi rappresentano il frutto di un ventennio di ricerche sul tema […] conscio dei rischi di un’operazione che vuole riproporre testi già stampati. Alcuni già apparsi su riviste e opere collettive, altri inediti e presentati per la prima volta”, facili da individuare con “i documenti citati per la maggior parte di fonte sabauda” e con “l’attenzione centrata soprattutto sul Piemonte e i territori subalpini, mentre quelli oltremontani sono lasciati in secondo piano”. L’intento principale dell’autore “è quello di offrire al pubblico un primo approccio all’argomento riunendo in un’unica sede articoli e saggi altrimenti sparsi tra riviste e volumi collettivi a volte di difficile reperibilità”. Questo il suo desiderio, per stimolare la ricerca, ma il pregio dell’opera consiste nel dare particolare spazio agli eventi politici e diplomatici e alle tematiche ammini- strative e istituzionali più che alle vicende belliche. Così vengono trattati in colleganza gli argomenti suddivisi in quattro capitoli: Il Piemonte e Torino durante la prima dominazione francese (1536-1562); lo stato sabaudo tra Francia e Spagna nell’età delle guerre di religione (1562-1601); il ducato di Savoia e l’espansionismo francese dal trattato di Lione al trattato di Cherasco (1601-1631); da Torino a Münster. Savoia e Francia alla pace di Vestfalia (1641-1648). I lettori avranno così modo di rivisitare gli avvenimenti di quei due secoli, cruciali per la storia europea. Per quanto concerne Vercelli, divenuta proprio in quel lungo tempo piazzaforte di confine sempre più munita, con ruolo prettamente strategico militare per la posizione geografica, la sua figura nelle vicende subalpine è ormai accessoria, come, nel 1517, allorché Francesco I intimava a Carlo II di cedere Vercelli e il suo contado come dipendenti dal Milanese assieme alla Bresse e alla città di Nizza sfiorando la guerra, evitata soltanto grazie all’atteggiamento neutrale degli svizzeri; oppure nel gennaio 1593, in occasione di un momento difficile per le sorti del Ducato, quando il duca Carlo Emanuele I doveva fare ricorso ai propri fedeli, dopo l’avventura in Provenza e la conseguente incursione francese in Piemonte, obbligato per assicurarsene il sostegno a ripagarli, concedendo nel caso vercellese ai fratelli Carlo Francesco ed Emanuele Filiberto Manfredi, conti di Luserna, una pensione di 1.000 scudi sul dazio di Vercelli, in considerazione della perdita di molti beni posseduti per l’invasione dei nemici. Senza dimenticare che nell’ottobre 1647, in occasione delle trattative di pace a Münster, in una delle bozze di trattato che sembrava accogliere almeno in parte le 309 Recensioni e segnalazioni istanze sabaude, la Francia si impegnava a restituire tutte le piazzeforti occupate, mentre la Spagna a rendere Vercelli e il forte di Cengio nelle Langhe; aspettativa dei Savoia che doveva avverarsi solo dopo il trattato dei Pirenei, del 7 novembre 1559. Un’opera dunque di gran conto e rilievo per la meticolosa ricostruzione delle vicende, esplicitate da uno scrupoloso apparato bibliografico di ragguaglio. Doriano Beltrame Matteo Moro, Testimonios de la ocupación española del Piamonte Oriental en la Edad Moderna. Nuevas investigaciones sobre la vida militar, cotidiana y religiosa dentro del fuerte de Sandoval, in “Economía y política en el Mundo Hispánico a través de la historia. Raíces, desarrollo y proyección”, a cura di N. F. Cadenas e P. M. Pellitero, [Leòn], Universidad de León, 2019, pp. 157-176, ISBN 978-84-9773-947-4. L’articolo di Moro, in lingua spagnola, breve per chiare ragioni di spazio, in quanto parte di una pubblicazione dell’Universidad de León, annoverante scritti di più autori sul mondo ispanico, concerne l’esamina della vita militare, nell’aspetto quotidiano (il funzionamento e il mantenimento) e religioso della guarnigione di stanza nel forte di Sandoval, costruito presso Borgo Vercelli e funzionante per un breve periodo (1614-1644). Una dettagliata introduzione avvia alla comprensione della storia del forte con le motivazioni della costruzione e le implicazioni territoriali, attraverso il vaglio degli studi attinenti, rammentati scrupolosamente e compiutamente. Corredano la parte di premessa alcune immagini utili per la visione del luogo, la struttura e il servizio del forte: una elaborazione dell’autore raffigurante la situazione storico-politica del Piemonte dopo la pace di Cateau-Cambresis (1559) e un particolare della Signoria di Vercelli, antecedente l’anno 1644 (estremi temporali in cui è stato operante il forte); due riproduzioni di stampe illustranti la sagoma del forte e una terza rappresentante l’assedio spagnolo di 310 Vercelli, del 1617, dove il forte ha assunto un considerevole ruolo di supporto. Segue la trattazione argomentale riguardante la vita nella piazza militare. Vengono indicati gli archivi di conservazione delle fonti ed esaminati alcuni documenti, in particolare tre testimonianze significative inedite. La nomina, 24 gennaio 1624, nel ruolo di governatore e capitano della compagnia di archibugieri di stanza nel forte, di Juan Gómez del Castillo (giuramento 6 febbraio 1624), con allegati gli ordini e le istruzioni: dodici capitoli debitamente commentati (documentazione nell’Archivio di Stato di Milano). Il testamento del precedente governatore Juan Mauricio de Valseca, prossimo alla morte, del 24 gennaio 1624. Documento notarile che consente all’autore di segnalare l’importanza di altri atti conservati nel minutario del notaio, in particolare una scrittura pubblica e un relativo contratto (immagine nel testo), entrambi del 4 agosto 1625, per la regolazione del flusso acqueo contornante il forte (documentazione nell’Archivio di Stato di Novara). Recensioni e segnalazioni La visita pastorale del vescovo di Vercelli monsignor Giacomo Goria, del 21 novembre 1628, alla Cappella di San Carlo nel forte (documentazione nell’Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli); unica testimonianza della vita religiosa nel luogo fortificato. Chiude la trattazione l’apparato bibliografico, accurato e propedeutico per le future ricerche. Nella conclusione l’augurio dell’autore stesso di procedere soprattutto “a un anális- is más detallado del fondo notarial custodiado en el Archivio di Stato di Novara, a fin de profundizar mayormente el conocimiento de las relaciones entre el presidio”, giacché finora si è privilegiato l’ambito architettonico e ingegneresco. In definitiva un articolo conciso ma stimolante per le novità pertinenti il forte, soggetto allo smantellamento già pochi decenni dopo la costruzione e oggigiorno completamente nell’oblio. Doriano Beltrame “Subsidia Musicologica”, 2, a cura di C. Santarelli, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2019, pp. 301, ill. ISBN 978-88-709-6982-5. Una recente pubblicazione della benemerita casa editrice lucchese LIM (Libreria Musicale Italiana) - nota per accogliere nel suo catalogo importanti lavori musicologici e attenta al patrimonio musicale regionale e locale, come si evince dando anche solo uno sguardo alla sua offerta editoriale - ci permette di tornare con interesse al panorama vercellese, che si rivela ancora una volta ricco di sorprese, tutte da esplorare ed apprezzare. Il volume miscellaneo, a cura di Cristina Santarelli, dal titolo Subsidia musicologica 2, è l’undicesima uscita (2019) della collana Le Chevalier Errant (Studi sulla musica degli Antichi Stati Sabaudi e del Piemonte), sotto l’egida dell’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte. I contributi sui quali si concentra la mia attenzione sono opera di studiosi che da tempi più o meno lunghi si stanno occupando del patrimonio musicale vercellese: Stefano Baldi, Paolo Cavallo e Daniele Boschetto. Il primo interviene con un articolo dal titolo accattivante: Ruggero Trofeo, un musico nato sotto Saturno? Chi era Ruggero Trofeo? Baldi ne tratteggia il profilo con la precisione e ricchezza documentaria che contraddistingue tutti i suoi lavori. Trofeo, organista mantovano, nato intorno al 1550 e morto nel 1614, è noto agli studiosi soprattutto per la sua attività di ‘musico di corte’ presso il duca di Savoia ed organista della Cattedrale di Torino. La sua parabola umana, dipinta da Baldi con preziosi riferimenti documentari inediti, sembra essere segnata da un carattere apparentemente malinconico, saturnino, che ebbe ripercussioni sulla sua carriera, non esaltante, poco remunerata e certo non generosa di successi, a dispetto delle capacità musicali. La sua attività come organista e compositore di musica è nota al pubblico degli specialisti soprattutto per la produzione di musica profana, ma due composizioni sacre, delle poche pervenuteci, riportano Vercelli alla ribalta. Si tratta di due mottetti a quattro voci tratti dai testi degli omonimi responsori per l’Ufficio dei Defunti, Domine quando veneris e Circumdederunt me dolores mortis, entrambi conservati manoscritti, in partitura 311 Recensioni e segnalazioni e nella muta completa di parti, nell’Archivio Capitolare cittadino (mss. mus. 1146 e 940), unitamente ad alcune composizioni di Pietro Heredia (che è forse il tramite tra le opere di Trofeo e la nostra città) e ad altre adespote, che Baldi attribuisce tutte con cauto ottimismo ad Heredia, mentre io non escluderei una parziale attribuzione ad altre ‘mani’, soprattutto nei mottetti su cantus firmus al basso. In ogni caso, le composizioni di Trofeo, che ho avuto il piacere di trascrivere e poi eseguire con i solisti della Cappella Musicale sia a Vercelli che a Roma in passato, rivelano un’arte matura e felice, vicina agli stilemi classici e quasi palestriniani (come sottolinea anche Baldi), con intuizioni melodiche di grande lirismo ed un uso sapiente del contrappunto. L’unico appunto da muovere al contributo di Baldi riguarda le scelte editoriali delle trascrizioni. La parte del tenor è trascritta un’ottava sotto. Un accenno al disaccordo tra i manoscritti nell’indicazione di tempus imperfectum diminutum (ms. 1146) e non diminutum (ms. 940) sarebbe stato necessario, in partitura o nell’apparato, magari in una ‘finestra’ indicante i valori e i segni di mensura originali; gli stessi risultano trascritti in un improbabile tempo in 16/4, modificato nella prima pars da mis. 31 alla fine, in un altrettanto discutibile 4/2, senza riscontro nei manoscritti. Un’indicazione stabile di 2/1, con due semibrevi per misura, avrebbe reso perfettamente il segno di tactus (tardior o celerior) originale, rispettando le intenzioni dei testimoni e fornendo gli elementi sufficienti all’esecutore per deciderne l’agogica. La scelta, infatti, della misura alla longa è fedele alla partitura solo in termini grafici, ma non mensurali, tanto più che nella prima pars il curatore passa a mis. 31 alla breve - scelta decisamente migliore, salvo l’indicazione in frazione - sen312 za apparenti ragioni. Un tempo in 4, certo non sconosciuto a questa altezza cronologica (si veda, ad esempio, G. Houle, Meter in music, 1600-1800. Performance, Perception, and Notation, 1987) mal si applica ad una scrittura arcaizzante come questa, che presenta palesemente un “compositional tactus” (per dirla con R. I. DeFord, Tactus, Mensuration, and Rhythm in Renaissance Music, 2015) alla semibreve. Paolo Cavallo affronta, invece, con la precisione e la capacità di sintesi che lo contraddistinguono, un tema a lui particolarmente caro: Il mottetto sacro per poche voci tra Sei e Settecento in area sabauda: un primo approccio. Il contributo del musicologo pinerolese ci porta a scoprire le caratteristiche del genere oggetto d’indagine tra le pagine, manoscritte e a stampa, di autori a cavallo tra Torino e Vercelli, con legami intensi e fecondi con l’area padana - Milano, Novara, Lodi, Venezia ed anche Bologna - e nel confronto con i modelli francesi, così cari alla corte sabauda. Dallo spoglio delle opere dei numerosi autori analizzati da Cavallo, scopriamo quanto l’attività musicale legata alla Cattedrale eusebiana abbia, da una parte, formato numerosi musicisti cresciuti attorno al Collegio degli Innocenti vercellese, e dall’altra, attratto forze mature capaci non solo di contribuire al prestigio dell’istituzione ecclesiastica, ma anche di influenzare il linguaggio mottettistico nel periodo preso in esame. Heredia, Centorio, Mazzaferrata, e poi Tacchino, Bissone e Montalto sono solo alcuni dei nomi che compaiono nelle pagine di Cavallo, ciascuno legato per provenienza o per attività alla sede di Eusebio. Tra questi, mi permetto di sottolineare Pietro Heredia e Marco Antonio Centorio, ai quali sto dedicando spazi editoriali ed esecutivi con l’attività della Cappella Musicale, compositori Recensioni e segnalazioni di cui restano opere sacre che vanno da due voci al triplo coro. Musiche raffinate ed eleganti, in quel linguaggio ora postmodale ora pretonale, che si configura come un crogiuolo ribollente di idee e stili nuovi, veicolati da autori in bilico tra nova et vetera che nulla hanno da invidiare ad un Ludovico Grossi da Viadana, un Alessandro Grandi o un Ignazio Donati, se non l’aver avuto dalla loro parte musicologi attenti, esecutori ben disposti ed ascoltatori incuriositi. L’ultimo contributo è opera di Daniele Boschetto: Montane risonanze: la musica in Valsesia nei secoli XVII e XVIII (con appendici sinottiche e documentarie). L’autore, partendo dal contesto sacro, scandaglia le istituzioni musicali attive sul territorio, ponendo come elemento di partenza le testimonianze relative alla collocazione di organi nella valle e alle spese destinate ad organisti e musicisti di chiesa. Ne emerge un profilo che, seppur non entusiasmante (nihil sub sole novi), è almeno degno di segnalazione, in cui la nascita e lo sviluppo della scuola organaria valsesiana - cui è dedicata la ricca documentazione in appendice - si stabilizza e si avvia verso la sua stagione feconda, al pari di altri contesti particolari italiani. Tra ordinaria e straordinaria pratica liturgica, culto dei santi e fervore drammatico legato ai riti della Settimana Santa (il tutto ravvivato anche dalla presenza dei francescani e delle confraternite attive sul territorio), si muoveva la formazione dei musicisti locali, il cui profilo non ha superato l’inesorabile oblio della storia, eccezion fatta per il milanese Gasparo Pietragrua, giunto a Varallo intorno al 1633. Dopo essersi introdotto nel fenomeno della musica profana e popolare, legato anche alla curiosa industria locale cinquecentesca della ribebba o scacciapensieri, Boschetto chiude volgendo lo sguardo all’iconografia musicale della rinomata scuola pittorica valsesiana (ben più prestigiosa di quella musicale), rievocando le suggestive rimembranze musicali gaudenziane, di cui abbiamo anche un altissimo esempio nei capolavori vercellesi della chiesa di S. Cristoforo. Denis Silano Marco Antonio Centorio - Pietro Heredia, Mottetti - Inni - Antifone, Cappella musicale della Cattedrale di Vercelli, direttore don Denis Silano. CD Elegia 19070, Londra, Bifora Ltd, 2019. La Cappella musicale della Cattedrale di Vercelli, sotto la direzione di mons. Denis Silano, aggiunge ai suoi già non pochi meriti nel campo dell’interpretazione e della riproposizione di molta importante musica liturgica di età moderna la registrazione di una antologia mottettistica dedicata a due grandi autori - purtroppo oggi dimenticati - del primo Seicento vercellese: Pedro de Heredia (+1648) e Marco Antonio Centorio (+1638). Si tratta di due figure che ben collegano, per motivi biografici diversi e ancora non del tutto accertati dalla storiografia musicale del primo barocco, l’area pedemontana a quella padana (Centorio sembra infatti essersi formato nella Milano della controriforma musicale che prima aveva respirato l’influenza di Pietro Ponzio e poi quella di Vincenzo Ruffo) e a quella romana, dove Heredia, a partire dal 1612 e fino alla morte nel 1648, trovò casa e protezione sotto l’ala 313 Recensioni e segnalazioni della potente famiglia Barberini e dell’ordine gesuitico. Erano anni, quelli tra le due grandi pestilenze del 1600 e del 1630, in cui le nuove forme del recitar cantando e della monodia accompagnata stavano muovendo passi da gigante, tra centro, nord e sud Italia. Talora, anche fuori da quelle che gli storici della musica avevano incoronato, nel XIX e nel XX secolo, sedi antonomastiche della musica sacra e liturgica: se infatti Claudio Monteverdi, dopo un periodo trascorso al soldo dei Gonzaga a Mantova raggiunse, come magister musicae della basilica di San Marco a Venezia, la piena maturità nel campo madrigalistico e mottettistico, ulteriori importanti maestri di cappella, che avrebbero a buon diritto meritato di spiccare un balzo al di fuori della sua ombra, stavano reinterpretando in modo personale le innovazioni introdotte dal “Divino” Claudio. Parliamo soprattutto, per restare nella zona di afferenza culturale e di probabile formazione di Heredia e Centorio, di Ignazio Donati e di Alessandro Grandi: uomini che, attraversando le ristrettezze delle cappelle medio piccole per giungere all’opulenza di quelle di maggior gran fama (il primo passò attraverso esperienze tra Pesaro, Casalmaggiore, Lodi e Novara prima di approdare al duomo di Milano, l’altro fu invece secondo di Monteverdi a Venezia e poi magister capellae a Bergamo), articolarono la dialettica vocale della musica sacra sposando gestualità verbale a gestualità musicale e variando il ritmo retorico delle loro opere grazie ad una ricca messe di andamenti agogici, testurali e metrici. L’interscambio tra parola, gesto, movimento, espressione e suono venne praticata nel Seicento per far meglio interagire le parti vocali e strumentali e per giungere a definire uno spazio musicale 314 ampliato, dotato di respiro proprio (che ha il suo unico pendent, a livello iconografico, nell’invenzione rinascimentale della prospettiva). La risposta in eco, il botta e risposta, ora contrappuntistico, ora a blocchi vocali contrapposti (molti dei mottetti registrati nel CD sono pensati per cinque e sei voci), i ritornelli, le puntuali riprese degli enunciati melodici dal primo emittente, gli scarti metrici tra una sezione e l’altra, costituiscono infatti le soluzioni che garantiscono unità formale e coerenza testuale a molte opere di compositori padani del primo Seicento: anche per Heredia e per Centorio queste caratteristiche di scrittura sono basilari, per potersi sentire parte dello stile concertato (lo attesta l’attenzione dedicata da Centorio all’organo, affrancato dal semplice raddoppio della linea del basso e reso il principale motore armonico di alcune sezioni solistiche dei suoi mottetti O gloriosa Domina a 6 voci e Heu, me misera a 5 voci). Una lode, infine, a mons. Silano. Da trascrittore di consumata esperienza quale è, nella fase preparatoria della registrazione ha posto mente non solo alla parte musicale delle liturgie festive vercellesi ma anche all’effetto psicologico che esse producevano sulla cittadinanza locale (l’”armonico bombo”; secondo la definizione del musicologo Maurizio Padoan): l’ascolto della semplice ma scintillante antifona di Heredia Laetemur Vercellenses a 4 voci potrà far esperire più e meglio di molte parole il livello di gioia e partecipazione emotiva che doveva pervadere, durante le festività patronali del 1° agosto che si celebravano durante il primo terzo del Seicento, le menti ed i cuori dei vercellesi presenti in cattedrale. Il disco, pur senza contenere capolavori dello stile concertato padano, è dunque assolutamente raccomandabile. Esso Recensioni e segnalazioni prova, riuscendoci, a fotografare in modo dettagliato e credibile un periodo che, se si eccettuano le raccolte a stampa, ha lasciato un numero piuttosto limitato di tracce manoscritte nel nord ovest italiano. Oltre che per la sua validità interpretativa e storica, la registrazione si connota per una ulteriore simpatica peculiarità. Essa ricorda, pur con la timbrica limpida ma non sempre cristal- lina delle voci puerili (si ascolti Videntes stellam a 2 voci di Heredia), i tanti meriti formativi del collegium puerorum del Seminario cittadino, istituzione didattica tra le più antiche della città, oggi pienamente ricostituita. Un ulteriore motivo per essere grati al direttore dell’esecuzione, nonché trascrittore di questi mottetti. Paolo Cavallo Giuseppe Cipolla, Mastro Serra da Crescentino (1734-1804), Comune di Crescentino, Arti grafiche Bruzzi, 2018, pp.121, ill. Il libro del Cipolla ricostruisce gli eventi principali della vita e dell’opera di Crescentino Serra, utilizzando fonti autorevoli, rigorosamente citate dall’Autore, che ha voluto non solo rendere omaggio ad un suo illustre concittadino, ma anche far conoscere le opere del capo-mastro geniale e coraggioso ad un pubblico ampio e non necessariamente erudito di storia locale. La parte iniziale dell’opera illustra il trasporto del campanile della Chiesa della Madonna del Palazzo, avvenuto nel 1776, con riferimenti a quello, avvenuto l’anno precedente, dell’altare maggiore della Chiesa di San Bernardino. L’opera prosegue con la descrizione degli incarichi straordinari conferiti al Serra da Vittorio Amedeo III di Savoia, relativi ad un progetto di arretramento della torre di San Gregorio, in contrada Doragrossa, oggi via Garibaldi, in Torino, ed alla ristrutturazione del forte di Tortona. Cipolla illustra poi l’attività svolta dal Serra con uno dei suoi nove figli, Filippo, con il quale partecipò, nel 1797, rientrato da Tortona, al bando per la costruzione del campanile della Chiesa della Resurrezione, emanato dai Congregati alla Chiesa stessa. Interessante ed utile, nella seconda par- te del volume, soprattutto per chi voglia conoscere vicende meno lontane nel tempo di quelle di Crescentino Serra, ma altrettanto significative della cultura, dell’identità e della storia di Crescentino, che ha nel Santuario della Madonna del Palazzo uno dei suoi luoghi importanti, l’illustrazione delle lapidi e delle formelle per grazia ricevuta, presenti nell’area del Santuario ed all’interno della Chiesa. Il lavoro del Cipolla prosegue con la storia, attraverso la trascrizione integrale dei bollettini parrocchiali, della costruzione della Via Crucis, avvenuta nel 1923, che collega la Chiesa della Madonna del Palazzo al luogo in cui, secondo alcune fonti, una pastorella sordo-muta rinvenne il simulacro della Madonna, misteriosamente scomparso, secondo la devozione popolare, per non essere distrutto da un soldato luterano durante l’assedio di Verrua del 1552. Cipolla ricorda infine gli eventi più recenti relativi al Santuario, reso celebre dal protagonista della sua opera, e cioè il restauro della Via Crucis, nel 1987 e la riscoperta del sepolcro di Crescentino Serra, presso le fondamenta del campanile, avvenuta nel 2017. Carla d’Inverno 315 Recensioni e segnalazioni Raffaele Paoletti - Giovanni Battista Delsignore, Elementi Liberty nel Vercellese e nella valle del Sesia, Torino, Daniela Piazza, 2018, pp. 294, ill. ISBN 978-88-788-9339-9. Vercellesi Illustri. Protagonisti nel Novecento. Tecnici e umanisti: una ricchezza per la Città, a cura di A. Ruffino, Vercelli Viva, Vercelli 2019, pp. 215, ill., ISBN 978-88-942410-2-0. Il sesto volume della raccolta sui “Vercellesi Illustri” ideata dall’Associazione culturale VercelliViva, affronta un periodo più vicino a noi rispetto alle scorse edizioni: infatti i protagonisti raccontati nel volume sono tutti nati nel Novecento. Sono quattro le figure illustrate, personaggi la cui memoria è ancora viva nella mente dei vercellesi: Francesco Francese, Nino Marinone, Enrico Villani, don Cesare Massa. Come riporta il sottotitolo della pubblicazione sono descritti sia tecnici sia umanisti: anzi, a ben vedere i profili delineati, sono stati sia un po’ gli uni, sia un po’ gli altri, in un connubio tra formazione tecnica unita a spirito e cultura umanista. Il primo contributo “Francesco Francese: la versatilità di un ingegnere vercellese” di Mark Vallotta, analizza la personalità più lontana nel tempo e quella forse meno studiata e conosciuta. Valente Tecnico, inventore, aviatore, Francese (1904-1950) fu una figura attiva a tutto campo. Nato in una famiglia di agricoltori applicò i suoi studi non solo nel settore agricolo (sua l’invenzione di una macchina per trapiantare il riso non portata a termine per via della prematura scomparsa), ma anche nel campo dell’ingegneria civile. Come ricorda la figlia nell’introduzione, sino ad ora non era mai stato tracciato un profilo del progettista in maniera esaustiva, e grazie a questo saggio vengono ripercorse le principali tappe 316 della sua carriera e la sua figura umana. Figlio del suo tempo, sin da giovanissimo si inscrisse al PNF, fu poi sottotenente degli alpini e si laureò a Padova. Progettò canali, acquedotti, edifici pubblici (ad esempio la Casa del Contadino poi Camera del Lavoro), ma la sua opera principale fu la sede provinciale della Opera Nazionale Dopolavoro (poi ENAL) realizzata in soli due anni (1934-1936). Il grande edificio, destinato ad ospitare le attività ludico-sportive del Regime, declinato nel linguaggio aulico e celebrativo del tempo volle essere anche un omaggio alla città, con le grandi vetrate e la colorazione verde degli intonaci ispirate alla basilica di S. Andrea. Edificio che riserva uno spazio considerevole anche alle opere artistiche: basti pensare al salone affrescato del primo piano. I due grandi affreschi (il progetto iniziale ne prevedeva quattro) celebranti le opere del Fascismo sono opera di Francesco Rinone che li realizzò nel 1938 e sono integralmente riprodotti a colori in appendici al libro. Recentemente restaurati ed ancora pienamente leggibili, rimangono, al di là degli aspetti politici oramai superati, un bell’esempio di arte vercellese della prima metà del Novecento. Il progetto originale, lungimirante per l’epoca, prevedeva inoltre la realizzazione di una nuova arteria in luogo dell’attuale via Aravecchia, ideale prolungamento di via Giovine Italia e di Corso Garibaldi: la nuova via doveva con- Recensioni e segnalazioni giungere la stazione Ferroviaria all’ingresso dell’aeroporto (tratto finale dell’attuale corso XXVI Aprile). Arteria che non fu mai portata a termine nel caotico e disordinato sviluppo urbanistico del dopoguerra e di cui rimangono solo pochi disegni. Il saggio successivo “Dal riso al computer: territorio, filologia, informatica negli studi classici di Nino Marinone” è curato da Raffaella Tabacco. Dopo una figura di tecnico “puro” viene quindi presentata la figura di un valente umanista che ha applicato con sapienza e lungimiranza le nuove tecniche alla ricerca in campo classicista. Marinone (1918-1999), che la Città ha voluto ricordare dedicandogli il piazzale di fronte al Dipartimento di Studi Umanistici dell’UPO (abbazia di Sant’Andrea), fu per tutta la vita legato alla città natale dove insegnò inizialmente presso i licei e dove fondò la delegazione locale dell’Associazione italiana di cultura classica. Proprio questo legame profondo, continuato anche durante gli anni di insegnamento universitario a Torino, è testimoniato dal volume dedicato a Vercelli dal titolo “Il riso nell’antichità greca”, pubblicato nel 1992. In questo emergono diversi aspetti della personalità e del modus operandi dell’autore: rigore scientifico, utilizzo dei nuovi strumenti informatici in collaborazione anche con l’Istituto di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa, la prospettiva antropologica nello studio delle civiltà antiche, in netto anticipo con i tempi. Il cammino intrapreso dal filologo prosegue oggi con il Centro inter-ateneo ed interdipartimentale a lui dedicato e diretto dalla stessa professoressa Tabacco, centro che svolge attività di ricerca nell’ambito delle lingue e letterature classiche nonché di divulgazione. Non solo, anche il progetto di ricerca “DigilibLT” (Digital Library of Late Latin Texts) che ha realizzato un sito web contenente le opere latine profane in prosa di età tardoantica continua nel percorso di integrazione sempre più stretta tra nuove tecnologie e ricerca accademica in ambito umanistico. Paolo Pomati ha curato il terzo saggio dal titolo “Gli amori di Enrico Villani”. Villani (1928-2016) è stato l’architetto che forse più di tutti nel corso dell’ultimo secolo cittadino ha lasciato un’impronta inconfondibile con le sue realizzazioni. Pomati, nel suo contributo, non ne analizza solo le opere architettoniche quanto invece gli aspetti più intimi, identificando nel tema dell’amore, il tema che per tutta la vita Villani ha cantato ma anche parodiato, analizzato, smontato in tanti “amori” attraverso i suoi progetti così come con la poesia, con le opere pittoriche, con le incisioni. I vari “amori” analizzati sono l’amore per la sua città, l’amore/conflitto per la natura, l’amore per la donna, l’amore per l’Oltre, concludendo poi con la domanda su quale sia stato il suo vero amore. Un ritratto dunque inconsueto e affettuoso che fa emergere la complessità intima del grande architetto vercellese. In appendice al volume, inoltre, una bella carrellata di immagini a colori di sue opere. L’ultimo contributo “Don Cesare Massa. Testimone della Mistica Messe” celebra il concittadino don Cesare Massa (19242017), che la lasciato un ricordo vivissimo in tutti coloro che l’hanno sconosciuto sia come uomo che come pastore di anime. Giovanni Cattaneo amico e coetaneo di don Cesare ne ripercorre la vita in maniera affettuosa, sentita e puntuale non tralasciandone nessuno aspetto. Ne descrive la passione per la missione educativa come insegnante, gli incontri segnanti con personalità del calibro di don Secondo Pollo, don Nicola Rulla e fratel Carlo Carretto, l’amore per la comunità e la fedeltà alla Chiesa, l’impe317 Recensioni e segnalazioni gno politico nelle fila della DC, nell’Azione Cattolica, nel giornalismo. Le importantissime iniziative culturali con l’esperienza straordinaria del Piccolo Studio (recentemente dedicato alla sua memoria nel chiostro di Sant’Andrea), con il MEIC, in Pax Christi. La vocazione religiosa di Cesare, arrivata in età matura nel 1969, è l’inizio di un nuovo cammino di testimonianza. In S. Michele animò una comunità vivissima e feconda, simbolo di una religiosità positiva, vitale, che dona agli altri ed ascolta. Riservò una grande attenzione alla liturgia, ai segni ed ai simboli e la sua azione fu sempre improntata al dialogo, all’ascolto, all’impegno ecumenico tanto che la sua fedeltà al Vangelo e la sua testimonianza di Fede vivono ancora nel cuore delle persone che l’hanno conosciuto ed apprezzato. Il volume della collana, rappresenta dunque un nuovo tassello per approfondire ogni aspetto di tanti concittadini che nei più svariati campi hanno reso lustro alla Città. Inoltre può essere utile strumento anche per i più giovani che non hanno avuto modo di conoscere queste importanti personalità del Novecento. François Dellarole Giovanni Franco Giuliano, Gli organisti della parrocchiale, Gallo Arti Grafiche, Vercelli 2018, pp. 119, ill., ISBN 978-88-973-1432-0. L’autore, che ama definirsi “piluccatore di notizie storiche”, dedica la sua ultima indagine storica agli organisti della natia Livorno Ferraris raccogliendo notizie che spaziano dal Seicento ad oggi in un documentatissimo opuscolo, ricco di illustrazioni e fitto di erudite annotazioni frutto delle sue appassionate ricerche in archivi vari. L’opuscolo, inserito in una collana edita dall’Accademia dei Livornesi, si chiude con un lungo indice onomastico in cui, credo, ogni livornese possa trovare citato se non un avo, almeno un personaggio a lui familiare. Il contenuto della ricerca è esaurientemente riassunto nelle seguenti parole tratte dalle Conclusioni: “Ho cercato di tracciare un elenco degli organisti della Parrocchiale che hanno operato prima del recente restau- 318 ro dell’organo; lacunoso per quanto concerne il Seicento e semi-completo per il periodo successivo. […] Congiuntamente alla ‘cronotassi’ degli organisti ho sottolineato alcuni elementi atti a servire per una futura storia della banda cittadina, quantomeno dal periodo embrionale ottocentesco sino alla prima decade del XXI secolo”. Il più illustre dei livornesi è senz’altro Galileo Ferraris, filantropo inventore del motore elettrico asincrono, e chi ne conosce un po’ di biografia ricorderà che il padre Luigi, farmacista, era organista privilegiato, non però di Livorno - ora ribattezzata Livorno Ferraris in onore dello scienziato - ma nella vicina S. Antonino di Saluggia, come opportunamente puntualizzato da Giuliano alla nota 189. Giovanni Ferraris Speciale 800 anni dell'abbazia di S. Andrea SPECIALE 800 ANNI DELL’ABBAZIA DI S. ANDREA 23 marzo 2019, abbazia di S. Andrea. Il gruppo delle autorità, organizzatori e mecenati. In occasione delle celebrazioni per l’VIII Centenario di fondazione dell’abbazia di S. Stefano, la Società Storica Vercellese è stata parte attiva, con particolare riguardo all’organizzazione congiunta con l’Università del Piemonte Orientale del convegno internazionale “Sant’Andrea di Vercelli e il Gotico Europeo agli inizi del Duecento” (Aula Magna “Cripta di S. Andrea”, 29-30-31 maggio e 1° giugno 2019). Il 23 marzo, in occasione dell’apertura della mostra “La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento”, sotto il patronato del Presidente della Repubblica, il patrocinio del Parlamento Europeo e del Comune di Vercelli, il presidente Giovanni Ferraris ha pronunciato il seguente intervento alla cerimonia inaugurale svoltasi nella basilica di S. Andrea. 319 Speciale 800 anni dell'abbazia di S. Andrea La Società Storica Vercellese è fra i promotori del Comitato tecnico per le celebrazioni degli 800 anni dalla fondazione dell’Abbazia di Sant’Andrea, insieme al Comune, all’Arcidiocesi di Vercelli, all’Università del Piemonte Orientale e ai Musei cittadini. Fondata nel 1972, la Società Storica Vercellese ha tra i suoi scopi statutari quello di promuovere la conoscenza della storia nel territorio vercellese. Il ruolo svolto in questi anni, ha portato la Società a stringere assidui rapporti di collaborazione con università e istituzioni culturali della città, concretizzati in pubblicazioni e convegni. Per l’occasione, la Società Storica Vercellese ha organizzato, con l’Università del Piemonte Orientale, il Convegno Internazionale che si terrà tra maggio e giugno. In particolar modo si è occupata di organizzare la prima giornata del Convegno, strettamente connessa ai temi storici. Il XIII secolo è stato un periodo ampiamente analizzato in diverse occasioni: conferenze e vari articoli pubblicati nel “Bollettino Storico Vercellese”; monografie (Gianmario Ferraris, L’Ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società, pubblicata nel 2003); Atti di Congressi (Vercelli nel secolo XIII del 1984, L’Università di Vercelli nel Medioevo del 1994 e L’abbazia di Lucedio e l’ordine cistercense nell’Italia Occidentale nei secoli XII e XIII del 1999). Parallelamente alla mostra in ARCA - della quale facevano parte analoghe mostre allestite presso i musei cittadini (Borgogna, Leone, Tesoro del Duomo) e presso l’Archivio di Stato - sono state 23 marzo 2019, abbazia di S. Andrea. Da sinistra: Giovanni Ferraris, l’assessore Daniela Mortara, Chris Pullin (Canon Chancellor della cattedrale tenute diverse confedi Hereford). renze ospitate nella Cripta di S. Andrea. In particolare, tre sono state organizzate dalla Società Storica insieme con il Comune di Vercelli e il Museo del Tesoro del Duomo. Martedì 26 marzo, il prof. Giancarlo Andenna (emerito di Storia Medioevale nell’Università Cattolica di Milano e accademico dei Lincei) e il prof. Antonio Mastropaolo (docente di Diritto Pubblico presso Università della Valle D’Aosta), hanno parlato su “Guala Bicchieri e la Magna Charta del 1217: Il valore costituzionale della Magna Charta attraverso i secoli”. 320 Speciale 800 anni dell'abbazia di S. Andrea Giovedì 2 maggio, il prof. Mario Ascheri (già ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Università di Roma 3), ha parlato su “Pace di Costanza (1183) e Magna Carta (1215): poteri centrali e poteri locali nel Medioe26 marzo 2019, Cripta di S. Andrea. Da sinistra: Giovanni Ferraris, Davo”. niela Mortara, Antonio Mastropaolo, Giancarlo Andenna Martedì 21 maggio 2019, presso il Museo del Tesoro del Duomo, il prof. Marco Rainini OP (Università Cattolica di Milano), ha parlato del “Dopo Guala: correnti spirituali e insegnamento a Vercelli nello specchio delle ‘figure’ dell’Archivio Capitolare”. Come detto sopra, la Società Storica e l’Università del Piemonte Orientale hanno organizzato il convegno internazionale Sant’Andrea di Vercelli e il Gotico Europeo agli inizi del Duecento, che si è tenuto nei giorni 29-30-31 maggio e 1 giugno 2019 nell’ Aula Magna “Cripta di S. Andrea”. In particolare il primo giorno, tutto dedicato agli aspetti storici della fondazione e primi sviluppi dell’abbazia, è stato interamente a carico della Società Storica. Numerose, articolate e qualificate le relazioni. Alla Lectio magistralis di Alessandro Barbero (Università del Piemonte Orientale), La famiglia Bicchieri al tempo del cardinale Guala, hanno fatto seguito: Pietro Silanos (Università Cattolica di Milano-Brescia), ‘Pars corporis domini pape’: il cardinalato a inizio Duecento; Giancarlo Andenna (Università Cattolica di Milano), Guala Bicchieri da canonico di Vercelli a cardinale legato a latere (1187-1227); Nicolas Vincent (Università di Norwich, Inghilterra), Guala Bicchieri and the role of Vercelli in English History 1216-1290; Cristina Andenna (Università di Dresda, Germania), L’ordine mortariense alle origini dell’abbazia di Sant’Andrea. Un difficile incarico; Declan Anthony Lawell (Università di Belfast, Irlanda del Nord), Thomas Gallus: il suo pensiero e carattere; Elisabetta Filippini (Università Cattolica di Milano), Tommaso Gallo e gli atti giuridico-amministrativi del suo abbaziato; 321 Speciale 800 anni dell'abbazia di S. Andrea 31 maggio 2019, abbazia di S. Andrea. L’intervento di Pietro Silanos; a destra Giovanni Ferraris. Gianmario Ferraris (Società Storica Vercellese), Tutti gli uomini del cardinale. I procuratori vercellesi di Guala Bicchieri; Antonio Olivieri (Università di Torino), I conversi e il personale dell’abbazia e dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli tra Due e Trecento; Paolo Rosso (Università di Torino), Cultura e formazione teologica nella comunità vittorina di Sant’Andrea di Vercelli nella prima metà del Duecento; Giorgio Tibaldeschi (Società Storica Vercellese), La biblioteca abbaziale dalle origini alla soppressione. Attualmente si sta lavorando per arrivare alla stampa, in tempi brevi, di tutte le relazioni congressuali. 322 Vita della Società Storica VITA DELLA SOCIETÀ STORICA LA SOCIETÀ STORICA VERCELLESE SEMPRE PIÙ TECNOLOGICA Dopo la creazione del profilo social Facebook “Società Storica Vercellese”, che ha sempre più followers sia tra i vercellesi sia tra appassionati e curiosi di storia locale, si è deciso di investire su un nuovo sito internet. In occasione del Convegno Internazionale sugli 800 anni della fondazione dell’Abbazia di Sant’Andrea, nel mese di maggio è stata lanciata la nuova pagina, in una veste grafica accattivante, con sezioni e contenuti che ne fanno uno strumento non solo per i soci, ma anche per coloro che vogliono curiosare e restare informati delle attività della nostra Società. Il precedente sito era stato sviluppato e curato gratuitamente da Marco Cerruti che, da vero amico, ha traghettato la Società Storica dal cartaceo al web. Al nostro Mark, il cordiale grazie del Consiglio Direttivo. Il tempo nel quale viviamo ci obbliga ad aggiornare forme e linguaggi e per questo siamo ricorsi a professionisti del settore, l’azienda Enesi di Vercelli. L’attuale sito predilige un approccio grafico intuitivo, contenuti semplici e immediati. Inoltre, attraverso il collegamento con la pagina Facebook, visitata quotidianamente da moltissime persone (in tutto il mondo), è possibile mantenere un costante collegamento con le attività che proponiamo. Infine è stata creata una sezione dedicata alle notizie e agli eventi, legata alla nuova newsletter che viene inviata ai soci. L’offerta web della Società Storica è così completata e integrata in tutti i suoi aspetti, con lo scopo di attrarre e soddisfare quanti ancora non ci conoscono e utilizzano internet quale mezzo di informazione principale. Se ancora non avete visto la pagina <www.societastoricavc.it>, visitatela! Silvia Faccin 323 Vita della Società Storica 3 maggio 2019 PRESENTATI GLI ATTI ORDINARE IL MONDO. DIAGRAMMI E SIMBOLI NELLE PERGAMENE DI VERCELLI Venerdì 3 maggio 2019 presso la Sala del Trono del Palazzo Arcivescovile di Vercelli, La Fondazione Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare ha presentato gli atti dell’Incontro Internazionale di studio Ordinare il mondo. Diagrammi e simboli nelle pergamene di Vercelli. Al convegno, svoltosi nell’ottobre del 2017, hanno partecipato una serie di studiosi internazionali riuniti a Vercelli per presentare aggiornamenti scientifici su un corpus di pergamene conservate presso l’Archivio Capitolare di Vercelli e datate al XIII secolo. Un insieme unico al mondo, oggetto della campagna Adotta una pergamena e di grande interesse da parte dei ricercatori, che, mediante le più aggiornate metodologie di analisi, hanno riconsiderato i metodi di insegnamento medievali e la visione del mondo ai quali gli stessi si riconducevano. L’incontro, e gli Atti che ne sono seguiti, sono frutto della collaborazione tra la Fondazione Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare di Vercelli, il Dipartimento di Scienze Religiose dell’Università Cattolica e la Società Storica Vercellese. Pubblicati nel 2018 dalla casa editrice Vita e Pensiero dell’Università Cattolica, gli atti sono raccolti in un volume curato da Timoty Leonardi, Conservatore Manoscritti e Rari della Biblioteca Capitolare, e Marco Rainini, professore associato alla Cattolica per l’insegnamento di Storia del Cristianesimo e delle Chiese. La pubblicazione è stata possibile grazie al contributo dell’Arcidiocesi di Vercelli, dell’Università Cattolica e della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli. L’importanza del volume ha decretato anche il prestigio della studiosa invitata a presentare gli Atti. Martina Bagnoli è infatti direttore delle Gallerie Estensi di Modena e Ferrara. Laureata in storia dell’arte a Cambridge, Ph.D alla Johns Hopkins University di Baltimora, è stata per parecchi anni curatore e direttore dei Dipartimenti Manoscritti e Rari e Arte medievale del Walter Art Museum di Baltimora. Ha curato numerose esposizioni e pubblicazioni in collettive e cataloghi di mostre, spiccando per la sua capacità di rapportare opere e manufatti con quella che era la concezione del pensiero medievale. Ospite della Fondazione lo scorso 3 maggio, la Bagnoli ha proposto un intervento dal titolo Il pensiero grafico nella cultura medievale evidenziando l’utilità della rappresentazione schematica e grafica per la comprensione di argomenti complessi in seno alle realtà scolastiche. Partendo dal corpus di pergamene vercellesi e dagli interventi che le hanno prese in esame negli Atti, la ricercatrice ha presentato una serie di confronti riguardanti insiemi grafici usati come strumenti del pensiero. Ha inoltre esaminato il rapporto tra diagrammi, scrittura e lettura, sottolineando una svolta nel XII secolo, momento in cui le dinamiche tra le tre metodologie di apprendimento risultano più semplici e chiare. Di fondo, oggi come nel medioevo, i diagrammi rimandano alla semplificazione scientifica di fatti e conoscenze. Così come li utilizziamo abitualmente, anche in tempi antichi erano da intendersi quali veicoli di informazioni, usati per spiegare lo scibile. Funzione questa che non era esclusiva dei diagrammi e delle rappresentazioni grafiche all’interno dei manoscritti. La loro applicazione, come sottolineato dalla Bagnoli, si ritrova anche in altri supporti e collocazioni architettoniche, a volte con le quali è possibile interagire non solo mentalmente ma anche fisicamente. Si ricordi 324 Vita della Società Storica ad esempio l’evocativo labirinto della Cattedrale di Chartres dove l’importanza del diagramma sta nel fatto che non è solo uno schema ma è anche rappresentazione di cui si può far parte ed utilizzabile per scopi salvifici. O ancora il raffronto con una patena conservata al Metropolitan Museum of Art di New York dove la decorazione è costituita da un diagramma che raffronta Antico e Nuovo Testamento. Il pubblico presente alla manifestazione. Tra gli argomenti trattati da Martina Bagnoli, anche l’importanza del supporto dei grafici e dei diagrammi: le pergamene di Vercelli non sono solo sussidi di apprendimento ma anche oggetti che occupano uno spazio ed un tempo. Conservate come pergamene arrotolate, a volte su supporti di più di due metri, al momento dell’apertura agivano su spazio e scorrere del tempo, aspetto che, in una società come quella odierna che vive solo nel presente, è difficile da comprendere. La pergamena della Genealogia Christi dell’Archivio Capitolare con i suoi 216 cm di altezza ne è un esempio: ha una tempistica di lettura diversa da quella a cui siamo abituati oggi proprio per il fatto di doverla srotolare e, frattanto, l’apertura del rotolo concedeva al lettore il senso spaziale del passare del tempo. Inevitabile trattare delle origini delle pergamene vercellesi, argomento dibattuto, insieme a molti altri, anche all’interno degli Atti. Inseriti da alcuni nello stesso contesto scolastico, anche sulla base delle indagini fisiche dei supporti, gli autori discordano sulla provenienza dei preziosi documenti. Come affermato da Martina Bagnoli nulla è semplice con i diagrammi vercellesi: un insieme unico al mondo, perfettamente conservato, di stessa epoca, dai contenuti sedimentati nel tempo da tradizioni antiche e orizzonti temporali diversi. Questi e molti altri stimoli riaprono un campo, quello del pensiero grafico medievale, che trova un punto di partenza dagli Atti dell’Incontro Internazionale del 2017, proiettando il corpus vercellese verso una disamina legata più in generale alle arti visive in Europa e ai diagrammi come rappresentazione di se stessi nel mondo. L’intervento di Martina Bagnoli si è inserito nelle iniziative promosse dalla Fondazione in occasione delle celebrazioni per gli 800 anni dell’abbazia di Sant’Andrea di Vercelli. Tra i contributi degli Atti, alcuni sono infatti stati decisivi per l’allestimento della mostra del Museo del Tesoro del Duomo Il Mappamondo di Vercelli e le donazioni dei canonici nel XIII secolo, parte dei percorsi diffusi nei musei cittadini e legati all’esposizione La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento (Polo espositivo Arca - Ex Chiesa di San Marco, 23 marzo - 9 giugno), organizzata dal Comune di Vercelli, Arcidiocesi di Vercelli e Università del Piemonte Orientale. Sara Minelli 325 Vita della Società Storica 11 giugno 2019 PRESENTATO IL BOLLETTINO STORICO VERCELLESE n. 92. CONFERENZA DI FLAVIO QUARANTA SU CARLO SALAMANO (1891-1969) Martedì 11 giugno, presso il Museo del Tesoro del Duomo, si è tenuta la presentazione del “Bollettino Storico Vercellese” n. 92, aprendo i lavori con una breve commemorazione di Giorgio Giordano che ne fu vice direttore dal 2012 fino al 2019. Il direttore del Bollettino, Enzo Ferrari Carlo Salamano ha quindi sinteticamente illu(1898-1998) (1891-1969) strato i sette contributi che lo compongono, estesi dal sec. XV all’età moderna, sottolineando l’ampio orizzonte che la Società Storica sta percorrendo nel tralasciare lo stretto ambito locale, come dimostra la nutrita serie di recensioni. Seguendo una ormai consolidata tradizione, è stata poi data la parola a Flavio Quaranta che ha illustrato, in occasione del 50° anniversario della scomparsa, la figura del vercellese Carlo Salamano, pilota e collaudatore FIAT. Con passione, Quaranta ha ripercorso i tempi eroici dell’automobilismo, quando non esisteva la Formula Uno ma c’erano Gran Premi di grande valenza tecnica. Seguendo il detto di Salamano, “L’automobile è la mia vita”, Quaranta ha preso le mosse dalla sua gioventù, quando l’allora quattordicenne era impiegato in una piccola fabbrica di automobili (l’Aquila Italiana) dove fu notato da Vincenzo Lancia che lo volle come apprendista meccanico. Acquisita l’abilitazione alla guida, Salamano divenne collaudatore effettivo della “Lancia” e nel 1911, chiamato alle armi fra le truppe coloniali in Somalia, fu il primo a guidare un’automobile fino ai confini del Giuba. Nel gennaio 1914, assunto dalla FIAT, Salamano fu il primo nella storia a collaudare la FIAT monoposto e, curiosamente, ad incrociare la sua vita con quella di Enzo Ferrari. Con la proiezione Da sinistra: Flavio Quaranta, Anna Maria Ravazzani, Carlo Salamano, di numerosi manifesti e Giovanni Ferraris. 326 Vita della Società Storica documenti d’epoca, Quaranta ha poi illustrato la carriera di Salamano quale pilota automobilistico, dal quarto posto al Gran Premio per l’inaugurazione dell’autodromo di Monza (3 settembre 1922), fino al titolo di campione d’Europa nel 1923, rimarcando che arrivare da vivi alla fine della carriera di pilota non era cosa del tutto scontata. Dopo aver percorso cinque milioni di chilometri, nel 1962 Salamano concluse la sua attività in FIAT, cui era rimasto fedele per tutta la vita, senza farsi tentare dalle molte lusinghiere proposte che gli erano pervenute. Al ritiro, l’ing. Valletta gli mandò una bellissima lettera, in cui sottolineava il suo valore di collaudatore che “spremeva” le macchine, spesso rischiando molto. Alla conferenza di Quaranta è stata molto gradita la presenza della nipote di Carlo Salamano, Anna Maria Ravazzani, giunta appositamente da Torino, che ha voluto ricordare in un sobrio intervento la figura di Giovanna, figlia di Carlo, scomparsa alla fine dell’anno 2018. Piera Mazzone 23 giugno 2019 ASSEMBLEA SOCIALE A GATTINARA Grazie alla generosa disponibilità dell’Associazione Culturale di Gattinara, in particolare nella persona del suo vice-presidente e nostro socio arch. Fulvio Caligaris, la SSV vercellese ritorna in questa storica città per celebrare una sua assemblea. Come da programma, al termine della parte amministrativa dell’assemblea, visiteremo la tomba del card. Mercurino presso il Chiostro dei canonici regolari lateranensi; torneremo quindi in questa sala per il pranzo La presidente Laura Filiberti porta il saluto dell’Associazione Culturale di Gattinara alla Società Storica Vercellese, rappresentata dal presidente Giovanni Ferraris e dal vice presidente Mario Ogliaro (foto di Aldo Zani). 327 Vita della Società Storica L’arch. Fulvio Caligaris guida la visita alla casa natale del card. Mercurino di Gattinara (foto di Aldo Zani) sociale. Nel pomeriggio saliremo alla Torre delle Castelle per poi recarci a Lenta ove è prevista una visita guidata al Castello / Monastero, compresa la cripta. In apertura di questa nostra assemblea annuale, con tristezza ricordo la scomparsa di un valoroso collaboratore della Società Storica Vercellese (SSV) nel periodo intercorso Tutti i salmi finiscono in gloria. Il cuoco Enrico Scribante illustra i dalla precedente assemblea piatti del pranzo sociale (foto di Aldo Zani). tenutasi a Vercelli il 20 maggio 2018: Giorgio Giordano mancato all’età di anni 74 il 23 aprile 2019. Vicedirettore del Bollettino Storico Vercellese (BSV), cui ha contribuito con una quindicina di saggi, è stato brevemente ricordato sul n. 92 del Bollettino, fresco di stampa, e sarà più ampiamente illustrato sul prossimo n. 93. La SSV si unisce qui al cordoglio dei famigliari con un minuto di silenzio. 328 Vita della Società Storica La visita alla “Torre delle Castelle” di Gattinara (foto di Aldo Zani). Relazione sull’attività 2018-2019 Durante il periodo dal 20 maggio 2018 ad oggi, il Consiglio Direttivo (CD) della Società Storica Vercellese si è riunito il 14 giugno 2018, il 25 settembre 2018 e il 5 marzo 2019. A parte la riunione di giugno, ampiamente dedicata al rinnovo delle cariche sociali, l’attività del CD è stata polarizzata dal coinvolgimento della SSV nella tormentata organizzazione delle manifestazioni relative alla celebrazione dell’VIII Centenario di fondazione dell’Abbazia di S. Andrea ad opera del cardinale Guala Bichieri, di cui diremo. La qualifica tormentata è dovuta ad una sostanziale incertezza sulla disponibilità di fondi da parte dell’Amministrazione comunale di Vercelli, capofila per la realizzazione di un articolato ed internazionale programma culturale elaborato dal prof. Saverio Lomartire (UPO). Come risulta dal bilancio consuntivo, per quanto riguarda le finanze abbiamo potuto contare sulle sottoscrizioni dei nostri fedeli soci, sul tradizionale e fondamentale sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli (CRVc), su oblazioni varie a fronte dell’invio di nostre pubblicazioni. Da mettere in evidenza i generosi contributi finanziari di Alessandro Barbero e di Giovanni Mombello per la stampa degli Atti del VII Congresso e del diario di Domenico Mombello, di cui si dirà. Il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università “A. Avogadro”, i musei cittadini e l’Archivio di stato hanno concesso gratuitamente loro locali in occasione di manifestazioni della Società. A tutti va la nostra gratitudine. Una mia riconoscenza particolare va ai membri del CD, ai revisori dei conti e ai probiviri per la loro fattiva collaborazione. Veramente meritoria è poi l’opera volontaria prestata dai collaboratori Alberto Colombo e Marco Cerruti che, pur non ricoprendo incarichi statutari, contribuiscono alla gestione della segreteria e del sito web, rispettivamente. 329 Vita della Società Storica La visita al recuperato castello - monastero di S. Pietro di Lenta (foto di Aldo Zani). Infine, ma solo in ordine di elencazione, sono riconoscente ai componenti del Comitato scientifico e ai componenti del Comitato di redazione, autorevolmente guidati dal direttore Giorgio Tibaldeschi, per la loro insostituibile funzione; qui dovrei aggiungere altri validi collaboratori per il loro esperto lavoro di recensione che va ad arricchire il nostro Bollettino. Per quanto riguarda il sito web della SSV, si è resa necessaria una sua completa riformulazione per renderlo più facilmente accessibile tramite cellulari (ormai più utilizzati dei personal computers per tale operazione). Il sito, www.societastoricavc.it, è ormai in funzione insieme al nuovo indirizzo di posta elettronica info@societastoricavc.it. Attività editoriale Nel periodo in esame sono usciti i fascicoli 91 e 92 del Bollettino Storico Vercellese. La collana della Biblioteca della Società Storica Vercellese si è allungata a 51 opere con la pubblicazione dei due seguenti fondamentali anelli: Vercelli fra Quattrocento e Cinquecento (Atti del VII Congresso Storico Vercellese; Vercelli 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2017), a cura di Alessandro Barbero e Claudio Rosso; Scribendo nomina et cognonima. La città di Verelli e il suo distretto nell’inchiesta fiscale sabauda del 1459-60 di Flavia Negro. Pure i Quaderni hanno fatto un passo avanti con la pubblicazione del n. 7: Vicende militari dell’aiutante di battaglia Domenico Mombello (1891-1959), a cura di Giovanni Mombello e Mario Ogliaro. Ad autori e curatori la SSV è profondamente grata. 330 Vita della Società Storica Manifestazioni culturali 1. Il 20 maggio 2018 si è tenuta l’assemblea 2018 della SSV presso l’Auditorium dell’Archivio di Stato di Vercelli. Dopo le elezioni per il rinnovo delle cariche sociali, la direttrice dell’Archivio, Elena Rizzato, ha illustrato Esempi di ricerca negli Archivi di Stato di Biella e di Vercelli. Dopo il pranzo sociale vi è stata una visita a palazzo Centori con la guida della restauratrice Maria Grazia Ferrari, dell’archeologo Fabio Pistan e di Cinzia Lacchia (Museo Borgogna). A tutti la nostra gratitudine. 2. Il 4 novembre 2018, a Villanova Monferrato presso la sala messa a disposizione dal Comune, in collaborazione con l’Associazione Villaviva, Giancarlo Andenna ha presentato il Quaderno: Vicende militari dell’aiutante di battaglia Domenico Mombello (1891-1959), a cura di Giovanni Mombello e Mario Ogliaro. 3. Il 16 novembre 2018, presso l’Aula Magna del Seminario arcivescovile di Vercelli, è stato presentato il BSV n. 91. Per l’occasione, Riccardo Rao, docente di Storia Medievale presso l’Università di Bergamo, ha tenuto una conferenza basata sul suo recente volume Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso (UTET, 2018). 4. Il 6 dicembre 2018, presso l’aula Magna Cripta di S. Andrea, i curatori Alessandro Barbero e Claudio Rosso hanno illustrato Vercelli fra Quattrocento e Cinquecento (Atti del VII Congresso Storico Vercellese; Vercelli 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2017). 5. Il 25 gennaio 2019, presso il Corridoio delle Cinquecentine del Museo Leone, il geologo Carlo Giraudi ha tenuto la conferenza 2500 anni di variazione fluviali e alluvioni nel basso Vercellese. 6. Il 21 marzo 2019, presso la sala conferenze del Museo del Tesoro del Duomo, sotto forma di dialogo tra Enrico Basso, docente di Storia medievale presso l’Università di Torino, e l’autrice, Flavia Negro, è stato presentato il volume Scribendo nomina et cognonima. La città di Vercelli e il suo distretto nell’inchiesta fiscale sabauda del 1459-60. 7. VIII Centenario di fondazione dell’abbazia di S. Andrea. Il 23 marzo, in occasione dell’apertura della mostra La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento (ARCA, Vercelli; 23 marzo - 9 giugno 2019), il presidente Giovanni Ferraris ha pronunciato un breve intervento alla cerimonia inaugurale svoltasi nella basilica di S. Andrea. 8. VIII Centenario di fondazione dell’abbazia di S. Andrea. In occasione delle celebrazioni, la Società Storica Vercellese è stata parte attiva, con particolare riguardo all’organizzazione congiunta con l’Università del Piemonte Orientale del convegno internazionale Sant’Andrea di Vercelli e il Gotico Europeo agli inizi del Duecento (Aula Magna “Cripta di S. Andrea”, 29-30-31 maggio e 1° giugno” 2019). La prima giornata, a cura della SSV, è stata dedicata agli aspetti storici della fondazione dell’Abbazia con il seguente programma: Alessandro Barbero (Univ. UPO), Lectio magistralis, La famiglia Bicchieri al tempo del cardinale Guala; Pietro Silanos (Univ. Cattolica, Milano), «Pars corporis domini pape»: il cardinalato a inizio Duecento; Giancarlo Andenna (Univ. Cattolica, Milano), Guala Bicchieri da canonico di Vercelli a cardinale legato a latere (1187-1227); Nicolas Vincent (Univ. Norwich), Guala Bicchieri and the role of Vercelli in English History 1216-1290; Cristina Andenna (Univ. Dresda), L’ordine mortariense alle origini dell’abbazia di Sant’Andrea. Un difficile incarico; Declan Anthony Lawell (Univ. Belfast), Thomas Gallus: il suo pensiero e carattere; Elisabetta Filippini (Univ. Cattolica, Milano), Tommaso Gallo e gli atti giuridico-amministrativi del suo abbaziato; Gianmario Ferraris 331 Vita della Società Storica (SSV), Tutti gli uomini del cardinale. I procuratori vercellesi di Guala Bicchieri; Antonio Olivieri (Univ. Torino), I conversi e il personale dell’abbazia e dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli tra Due e Trecento; Paolo Rosso (Univ. Torino), Cultura e formazione teologica nella comunità vittorina di Sant’Andrea di Vercelli nella prima metà del Duecento; Giorgio Tibaldeschi (SSV), La biblioteca abbaziale dalle origini alla soppressione. 9. VIII Centenario di fondazione dell’abbazia di S. Andrea. Parallelamente alla mostra in ARCA si sono svolte varie conferenze. Le due seguenti sono state co-organizzate dalla Società insieme al Comune di Vercelli. Ore 18 di martedì 26 marzo, Giancarlo Andenna (emerito di Storia medioevale, Università Cattolica Milano; accademico linceo) e Antonio Mastropaolo (docente di diritto pubblico presso Università della Valle D’Aosta): Guala Bicchieri e la Magna Charta del 1217: Il valore costituzionale della Magna Charta attraverso i secoli. Ore 18 di giovedì 2 maggio, Mario Ascheri (già ordinario di Storia del diritto medievale e moderno, Università Roma 3): Pace di Costanza (1183) e Magna Carta (1215): poteri centrali e poteri locali nel Medioevo. 10. 11 giugno 2019, Museo del Tesoro del Duomo. In occasione della presentazione del BSV n. 92 il socio Flavio Quaranta ha tenuto la conferenza ‘L’automobile è la mia vita’. Carlo Salamano (1891-1969) pilota e collaudatore FIAT. Attività programmata È prevista la regolare uscita con cadenza semestrale dei Bollettini 93 (secondo semestre 2019) e 94 (primo semestre 2020). Disponibilità di fondi ad hoc permettendo, il prof. Saverio Lomartire intende curare la pubblicazione delle relazioni presentate al convegno internazionale Sant’Andrea di Vercelli e il Gotico Europeo agli inizi del Duecento. La SSV si assocerebbe con particolare riferimento alle relazioni della prima giornata. Pare lontano, ma sarà meglio pensare per tempo alla celebrazione di un congresso in occasione del 50° anniversario di fondazione della SSV (1972 - 2022). Il prof. Alessandro Barbero sarebbe disponibile per coordinare un comitato scientifico che, per esperienze precedenti, dovrebbe iniziare la propria attività nell’autunno 2019. Tenuto conto che, secondo le scadenze statutarie, le cariche sociali della SSV dovrebbero essere rinnovate nel 2021, faccio presente che ciò comporterebbe di organizzare un importante evento a cavallo di un possibile rinnovo della presidenza. Una riflessione in tal senso è auspicabile. Giovanni Ferraris presidente 332 Vita della Società Storica 17 luglio 2019 SCAMBIO DI PUBBLICAZIONI TRA LA SOCIETÀ STORICA E LA SOCIETÀ DI STUDI VALDESI Mercoledì 17 luglio in Torre Pellice (TO), una delegazione della Società Storica Vercellese, composta dal direttore del Bollettino con François Dellarole e Dario M. Salvadeo, ha visitato la sede della Società di Studi Valdesi. La giornata è stata l’occasione per formalizzare lo scambio di pubblicazioni dei rispettivi sodalizi, all’insegna dello spirito collaborativo e dell’amicizia. La Società Storica Vercellese ha messo a disposizione l’intera raccolta del “Bollettino Storico Vercellese”, dal 1972 ad oggi, e la quasi totalità dei 51 volumi che formano la collana “Biblioteca della Società Storica Vercellese”, salvo quelli esauriti. Da parte sua, la Società di Studi Valdesi ha consegnato tutte le annate dello storico semestrale, dal 1884 “Bulletin de la Société d’Histoire Vaudoise”, poi “Bollettino della Società di Storia Valdese”, poi ancora “Bollettino della Società di Studi Valdesi”, fino all’odierna testata (dal 2017) “Riforma e movimenti religiosi”. Entrambi i sodalizi si sono impegnati a proseguire lo scambio in regime di parità. Susanna Peyronel, direttrice di “Riforma e movimenti religiosi. Rivista della Società di Studi Valdesi”, ha accolto i delegati insieme con il tesoriere Giorgio Ceriana, illustrando la Dario M. Salvadeo (a sinistra) e François Dellarole (a destra) all’ingresso del “Centro Culturale Valdese” 333 Vita della Società Storica lunga storia della realtà associativa. La Società, ha raccontato, fu fondata a Torre Pellice nell’estate del 1881, con l’intento di promuovere studi e ricerche sulla storia e sulla diffusione del movimento valdese e della Riforma, non solo in rapporto al territorio delle “valli” piemontesi ma a tutto il territorio italiano. La parte più importante e ragguardevole del patrimonio è rappresentata dalla biblioteca, la quale grazie dapprima a doni e lasciti e in tempi più recenti ad acquisti e scambi con altre realtà analoghe, oggi può vantare un fondo librario di circa 15.000 titoli, oltre ad un’importante raccolta di periodici, opuscoli e tesi di laurea. Rimanendo proprietaria delle pubblicazioni, dal 2014 la Società di Studi Valdesi ha affidato alla “Fondazione Centro Culturale Valdese” la catalogazione (cartacea e on-line in SBN), il restauro, la riproduzione digitale, il mantenimento e la fruizione al pubblico di tutto il materiale bibliografico, grazie a progetti finanziati da enti pubblici, dalla Tavola Valdese e dalla Società stessa. L’incontro è proseguito poi con la visita al Museo Valdese (capofila del Sistema museale eco-storico delle Valli valdesi), sotto la guida del suo direttore Davide Rosso. Riorganizzato in tempi recenti, il Museo può vantare una lunga storia ed un allestimento moderno e coinvolgente. All’interno delle sale, grazie ad una felice scelta museografica, si può ripercorrere la storia della minoranza valdese dal sec. XII ai giorni nostri L’ultima parte della visita si è svolta invece nella Biblioteca valdese, questa volta accompagnati dal bibliotecario Marco Fratini. Affidata dalla Tavola valdese alla Fondazione, la biblioteca conserva 85.000 volumi, 900 opuscoli, 1500 edizioni della Bibbia, che ne fanno un punto di riferimento qualificato per lo studio della storia e della teologia protestanti e dell’evangelismo italiano. La ricchezza e la varietà dei fondi sono dovuti a fattori diversi, quali il desiderio di non disperdere le biblioteche di famiglia o la sensibilità dei diversi donatori, pastori ed intellettuali. Le edizioni più antiche, quelle del XVI-XVII secolo, comprendono Nuovi Testamenti, Bibbie intere, i classici del pensiero protestante stilati da Bucero, Bullinger, Calvino, Lutero, Zwingli. La maggior parte delle opere conservate riguarda la teologia riformata, la storia della chiesa e delle chiese riformate italiane ed europee. Non mancano opere di carattere generale, di letteratura, di filosofia, di etnografia, con un rilievo particolare dato alla civiltà alpina. Un “fiore all’occhiello” è il fondo proveniente dal Waldensian Committee di Edimburgo, costituitosi da quando viaggiatori scozzesi nell’800 percorsero le valli valdesi alla ricerca dell’ambiente riformato dei primordi, giudicato allora incontaminato, prestando particolare attenzione ai luoghi ed ai paesaggi. Si è trattato, insomma di una giornata proficua e di cordiale amicizia, nel comune obiettivo della ricerca, dello studio e della diffusione della conoscenza. François Dellarole 334 Vita della Società Storica Ricordo di Giorgio Giordano Quando dobbiamo salutare un amico che ci ha lasciati, un amico di lunga data, ogni parola ci sembra inadeguata. Ingrato compito, dunque il nostro, dover commemorare un personaggio come il professor Giorgio Giordano, nato a Vercelli il 15 gennaio 1945 e deceduto il 23 aprile scorso all’età di 74 anni, un uomo di grandi capacità comunicative e dai multiformi interessi storici e letterari. La notizia della sua morte ha acceso in tutti coloro che lo hanno conosciuto autentici sentimenti d’incredulità, di sconforto, ma anche di tristezza nel veder venir meno un grande patrimonio di cultura e un valido collaboratore della Società Storica Vercellese, cooperando attivamente nel comitato di redazione del Bollettino. La sua fu una vita interamente dedicata allo studio Giorgio Giordano (1945-2019) e all’insegnamento, poiché egli apparteneva a quella schiera di docenti che hanno saputo comprendere, negli anni difficili della crisi di valori ideali, i bisogni delle nuove generazioni, la cui formazione doveva collocarsi al primo posto come generatrice del futuro. Interpretando il corale pensiero della presidenza, consiglio direttivo, soci e collaboratori del nostro sodalizio, vogliamo ricordarlo, evocando dal corposo bagaglio dei ricordi, la sua straordinaria energia, i suoi contributi, la sua serietà professionale e la sua operosa passione per la storia, che lo ha sempre animato fin da quando conseguì la laurea in lettere con una tesi sul periodo napoleonico sotto la guida del prof. Carlo Pischedda. Mosse i suoi primi passi negli anni Settanta del secolo scorso come insegnante di scuola media, indi vincitore di concorso a cattedre per l’insegnamento nelle scuole superiori, ebbe un incarico presso l’Istituto Piero Calamandrei di Crescentino, poi direttore del IV° Circolo didattico di Vercelli e dal 1979 dirigente scolastico al Comprensivo Rosa Stampa. Fu amministratore dell’Azienda Autonoma dei Servizi Municipalizzati di Vercelli e presidente provinciale ENAM, nonché presidente del comitato provinciale di Vercelli della società “Dante Alighieri”. Fin dagli esordi della sua carriera scolastica fu apprezzato per la chiarezza delle sue lezioni, sempre esposte con un vocione roboante e guidate da precisi riferimenti bibliografici, che attingeva esplorando archivi e biblioteche nella febbrile ricerca di fonti e di notizie che arricchissero i suoi studi. Sostenitore della condivisibile teoria che ogni persona dovrebbe sentirsi radicata nel passato, poiché da esso si deve valutare il presente con la giusta comprensione, ha sempre interpretato con severità d’indagini e penetranti osservazioni il suo ambito di lavoro senza mai indulgere in considerazioni dottrinarie o limitatrici di questa sua universalità intellettuale. Con le sue conferenze, Giorgio sapeva affascinare gli ascoltatori e indurli a percepire gli aspetti più significativi degli argomenti 335 Vita della Società Storica elaborati. A questo riguardo, egli sottolineava spesso che l’esperienza del “ricordare” fosse un momento essenziale non solo nel nostro agire quotidiano, ma anche della vita della comunità umana locale e nazionale. La sua forte personalità lo portò talvolta a scagliarsi con vigore, ma sempre sul piano della correttezza, contro coloro che con spavalda abilità manipolavano arbitrariamente la storia, insinuando imposture per fini politici o pubblicando addirittura “controstorie”, come purtroppo è avvenuto durante le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nel corso degli anni, oltre ai suoi impegni di lavoro, ha collaborato per la schedatura e classificazione dell’Archivio Storico della città di Crescentino, di Casale Monferrato e del comune di Roppolo, indi come docente presso l’UNI 3 di Crescentino e in quella di Cavagnolo (TO), con varie lezioni su personaggi o episodi storici. Un altro aspetto che lo affascinò fu il teatro. A questo proposito, aderì alla proposta di Pino Marcone e recitò in diverse commedie nella compagnia “Spazio Scenico”, ricoprendo parti congegnali al suo temperamento. Con lo stesso Marcone nel dicembre 1999 collaborò a dar vita al periodico culturale “Caffè Methier”, diretto da Michele Santarella, le cui riunioni e conferenze a cadenza mensile si tenevano entro la storica cornice della “Taverna Tarnuzzer” in Piazza Cavour. Una delle sue più grandi passioni fu l’amore per il libro, come veicolo di cultura e come strumento di civiltà, indirizzandosi in modo particolare verso la storia e la letteratura dell’Ottocento e Novecento. Raccoglitore di testi rari, prime edizioni, fotografie d’epoca, epistolari e autografi, seguiva puntualmente i cataloghi di antiquariato librario e frequentava i vari mercatini sempre a “caccia” di pubblicazioni ricercate, arricchendo la sua preziosa e ordinata biblioteca che per lui era veramente il “granaio dello spirito”, come scrisse Marguerite Yourcenar nelle sue “Memorie di Adriano”. Dotato di grande facilità di parola e di uno stile sobrio e incisivo nel quale il suo pensiero pronto e acuto si componeva con efficacia, anche nella scrittura, dove rivolse le sue energie migliori, suscitò sempre un vivissimo apprezzamento per la vivacità delle trattazioni, profondità degli argomenti e perizia nella rappresentazione dei personaggi. Saggista e ricercatore scrupoloso per vocazione, egli fece sempre prevalere la forza del dato oggettivo, come appare nelle sue pubblicazioni che hanno colto e valorizzato esperienze e memorie testimonianti un impegno rimasto costante e tenace a dispetto del suo male, affrontato con coraggio e determinazione. La scelta degli argomenti da trattare, rivela come i suoi interessi si rivolgessero particolarmente alla dominazione napoleonica e al Risorgimento, periodi che illustrò con vari studi esposti con uno stile brillante e scorrevole, fondendo correttamente gli intrecci e le tematiche più disparate, nonché ponendo la massima cura nei giudizi, quasi sempre tendenti a un compendio sintetico, tale da offrire al lettore un preciso quadro d’insieme e una esauriente visione espositiva, come si nota nelle varie recensioni e nei saggi pubblicati sul Bollettino Storico Vercellese, di cui fu collaboratore e sostenitore fin dalle prime edizioni. Mario Ogliaro 336 Vita della Società Storica * * * Ci vedevamo ogni mese al mercato dell’antiquariato minore di Borgo D’Ale, dove Giorgio cercava con sua moglie Laura antichi o rari libri di storia del Settecento e dell’Ottocento con un particolare interesse per l’età napoleonica. Traendoli da un borsone, mi mostrava compiaciuto i nuovi acquisti, chiacchierando poi volentieri, similes enim cum similibus …, di ricerche, di scritti, di progetti, di studi. Parlava con chiarezza, scandendo le parole ed elevando talvolta il tono della voce per esprimere una sua personale convinzione. Ripeteva concetti più volte espressi in lunghe telefonate, rese difficili, negli ultimi anni, dai condizionamenti dovuti al suo male. Trovava in me un interlocutore affine per esperienza professionale e interessi culturali, disposto a capire che la storia si basasse sui documenti, ma che la loro sola trascrizione non ne avrebbe mai espresso la dignità, fondata sulla rielaborazione di un materiale grezzo, frutto, diceva lui, “di manovalanza”. Occorreva, dunque, rileggere criticamente le fonti, dando loro un senso che avesse nell’uomo un riferimento ideale, senza trascurare l’essenziale aspetto narrativo, aggiungevo io, fiducioso nel suo assenso, e la capacità di suscitare interesse nel lettore. Come diceva il dottor Ordano, che Giorgio stimava molto, nello studio della storia e della letteratura si potevano riprendere argomenti e documenti con infiniti sviluppi, ispirati a contesti storici diversi e a moderni parametri mentali, generati dalla vita stessa, che, in ogni suo aspetto, esclude per sua natura indagini esaustive. A tali principi, da me condivisi, non si adeguavano sempre, a suo giudizio, articoli pubblicati su riviste di fama, scientificamente qualificate nel loro apparato bibliografico e documentario, ma di un’oppressiva tetraggine, mancando di agganci con interessi presenti e universali, capaci di superare un rigore metodologico e un’acribia tecnicistica. In assemblee, consigli e incontri esprimeva polemicamente, ex abundantia cordis, le proprie idee, come nel corso, organizzato dal Ministero per trasformarci da presidi in Dirigenti scolastici. Di tale iniziativa, che ci vide seduti, come scolaretti, per più di un anno in banchi vicini, si dimostrò un appassionato animatore con interventi persino lirici nei confronti di fantasiose aberrazioni didattiche e metodologiche, imposte a scapito della dignità del sapere e della funzione educativa, come quando dimostrammo in gruppo la nostra manualità manageriale, costruendo tra due sedie, in un tempo fissato, un ponte di semplici graffette. Lo invitai a tenere conferenze presso L’Università Popolare Biellese. Mi voleva vicino sulla tribuna, non solo per la necessaria presentazione, ma anche perché alternassi ogni tanto la mia voce alla sua, compromessa da devastanti terapie, affrontate coraggiosamente col conforto degli studi, nella speranza di potercela fare. Fulvio Conti 337 Vita della Società Storica Bibliografia Storia e architettura di antichi conventi, monasteri e abbazie della città di Vercelli, catalogo mostra a cura di U. Bertagna, M. Cassetti, A. Cerutti, G. Giordano, Vercelli 1976. Un prefetto dell’impero francese a Vercelli: Carlo Giulio, Vercelli 1978. L’abbazia di Lucedio e le sue grange, in BSV 8 (1979), nn. 13-14, pp. 73-98. L’Archivio Storico della città di Casale Monferrato, a cura di M. Cassetti e G. Giordano, Casale 1980. La comunità di Viverone e Roppolo nei secoli XIII-XV, frammenti di storia: mostra documentaria, a cura di M. Cassetti e G. Giordano, s.l., s.d. [Vercelli 1983]. Inventario dell’Archivio Storico del comune di Roppolo, parte 1ª (1472-1986), a cura di M. Cassetti e G. Giordano, s.d. [1983]. Profilo di Gaspare De Gregory, in BSV 16 (1987), n. 29, pp. 61-83. I documenti dell’Archivio Storico del comune di Crescentino, a cura di G. Giordano, G. Marchese e M. Ogliaro, Crescentino, s.d. [1992]. Gaspare De Gregory e la coltura del riso nel Vercellese, in “Terre sul Po dal Medioevo alla Resistenza”, a cura di M. Ogliaro, 2-3 ottobre 1998, Vercelli 1998, pp. 153-177. Feliciano Arborio di Gattinara, in BSV 29 (2000), n. 54, pp. 137-150. Il sogno del marchese di Morano, in BSV, 33 (2004), n. 62, pp. 123-130. Boetti il vittorioso, in BSV 33 (2004), n. 63, pp. 93-104. Il generale Alessandro Finazzi, in BSV, 34 (2005), n. 65, pp. 105-129. Cavour e Leri, in BSV, 35 (2006), n. 66, pp. 97-117. Il bicentenario di un “vinto”: Carlo Pellion di Persano (1806-1883), in BSV 35 (2006), n. 67, pp. 79113. Celestino Usuelli (1877-1926), in BSV 36 (2007), n. 68, pp. 123-144. La caduta di Civitella del Tronto nelle carte del generale Finazzi, in BSV 36 (2007), n. 69, pp. 127-154. La camicia rossa e la feluca: Garibaldi e l’ammiraglio Persano nel 1860, in BSV 37 (2008), n. 70, pp. 159-180. Delle artificiali inondazioni fra la Sesia e la Dora Baltea nella campagna di Guerra del 1859, in BSV 37 (2008), n. 71, pp. 87-95. Un “pauvre officier de spahis bien oublié a Palestro”: Paul Gaschon de Molènes, in BSV 38 (2009), n. 72, pp. 73-102. I prodromi di una vittoria, in “Maggio 1859. Il Risorgimento sulle rive della Sesia”, a cura di G. Ferraris, G. Giordano e G. Tibaldeschi, Vercelli 2009, pp. 9-109. Ricordo di Alessandro Galante Garrone, in BSV 38 (2009), n. 73, pp. 163-174. Vercelli nel Risorgimento, in “Gli eroi ritrovati. Vercelli e i Vercellesi che fecero l’Italia (1821-1918)”, Museo Leone, Vercelli 2010, pp. 11-75. L’idea d’Italia fra Rivoluzione e Restaurazione, in “Il Risorgimento vercellese e l’impronta di Cavour”, a cura di M. Balboni e I. Gaddo, Associazione Culturale “Le Grange”, Novara 2011, pp. 31-50. Origini e sviluppo della S. Vincenzo di Vercelli. Nel bicentenario della nascita del beato Federico Ozanam, in BSV 43 (2014), n. 82, pp. 129-151. 338 Vita della Società Storica Maurizio Cassetti Mentre il presente Bollettino era in fase finale di stampa, è giunta la notizia del decesso di Maurizio Cassetti, avvenuta a Torino venerdì 25 ottobre. Tra i soci fondatori della Società Storica Vercellese, Cassetti vi ha collaborato come segretario, consigliere e poi consigliere onorario, pubblicando anche diversi saggi sul "Bollettino Storico Vercellese". Alla sua memoria sarà dedicato uno specifico "Ricordo" sul prossimo numero del "Bollettino". La Società Storica Vercellese si unisce al cordoglio dei famigliari. Antonio Corona Giunge in queste ultime ore la notizia della morte in data 18 novembre 2019 di Antonio Corona. Socio della Società Storica Vercellese fin dai primi momenti, è stato più volte eletto a consigliere del sodalizio, fino al 2011 quando le sue condizioni di salute lo hanno costretto alle dimissioni. Autore di numerose monografie e articoli, è stato il "cantore" del paese natale San Germano. La Società Storica Vercellese si unisce al cordoglio dei famigliari, rimandando al prossimo Bollettino un più ampio ricordo. 339 Finito di stampare nel mese di novembre 2019 presso Gallo Arti grafiche - Vercelli