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La magia del restauro

La magia del restauro

Scritti in onore di Donatella Zari Giantomassi Un viaggio tra i capolavori d’arte e i monumenti più noti d’Italia insieme con un percorso quasi pionieristico per il restauro e la conservazione di pitture e sculture collocate in terre ‘lontane’: questa è stata la vita di Donatella Zari. A Cimabue, Giotto, Mantegna, Raffaello, Parmigianino, Tiziano, Caravaggio e ad altri grandi, lei ha dedicato il suo lavoro, così come ai più importanti templi in Tibet, Afghanistan, India, Iraq, Cina, Birmania, Thailandia, ottenendo unanimi riconoscimenti internazionali. La sua passione per il ‘mestiere’ di restauratore ha formato decine di allievi in tutto il mondo, trascinati anche dalla sua capacità unica nel raccontare, nel mettere a fuoco con semplicità, naturalezza ed entusiasmo i problemi più complessi.

La magia del restauro Scritti in onore di Donatella Zari a cura di Giovanna Bonasegale ep editori paparo 1 La magia del restauro Scritti in onore di Donatella Zari a cura di Giovanna Bonasegale Sommario La magia del restauro Scritti in onore di Donatella Zari a cura di Giovanna Bonasegale Il volume contiene anche gli interventi della giornata di studio in onore di Donatella Zari, svoltasi a Roma, 26 giugno 2017, Aula Magna, Università degli Studi Roma Tre Progetto grafico editori paparo Designer Chiara Bianco Si ringraziano Paul Arenson Elena Calandra Gisella Capponi Tiziano Casola Emanuela Daffra Giovanna De Palma Carla Di Francesco Silvia Ginzburg Maria Laurenti Fabio Mariano Marina Massa Maria Mata Caravaca Tomaso Montanari Elisabetta Mori Stefania Nanni Caterina Paparello Mario Picchi Matteo Positano Antonia Pasqua Recchia Paul Schwartzbaum Gudrun Swoboda Cinzia Virno Si ringrazia Marina Giannetto, Sovrintendente dell'Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, per l'ospitalità, i suggerimenti e i consigli, nonché per l'estrema disponibilità, in occasione della presentazione del volume nella Sede dell’Archivio stesso in Palazzo Sant’Andrea. 7 Giovanna Bonasegale, Prefazione 9 Carlo Giantomassi, Per Dona 15 Carlo Bertelli, Donatella alle prese con la moschea delle bandiere in Kosovo e con l’Università di Valencia 17 Serena Romano, Assisi, Padova, Roma, Napoli ... il medioevo Giantomassi 25 Gianluigi Colalucci, Una vita per la conservazione del patrimonio artistico mondiale 29 Giovanna Bonasegale, La Pala Gozzi di Tiziano nella Pinacoteca Civica di Ancona: vicende museali e restauri 43 Lidia Rissotto, Formazione come passione del sapere e del sapere fare 47 Matteo Rossi Doria, Il restauro strutturale dei dipinti su tela. Esperienze, criteri di scelta, amicizia 53 Giovanna Sapori, Storia dell'arte e restauro. Un itinerario didattico a Roma Tre 59 Chiara Notarstefano, Diario di cantiere 63 Mario Micheli, Due ambasciatori del restauro italiano 69 Lucia Fornari Schianchi, Restauri a Parma e Piacenza (1983 - 2002). Morazzone e Guercino nella cupola della Cattedrale di Piacenza, le Cappelle tre/quattrocentesche nel Duomo di Parma, Parmigianino in Santa Maria della Steccata 77 Bruno Toscano, Figure del restauratore 83 Antonio Paolucci, Gli affreschi del Camposanto Monumentale di Pisa. L’ultimo restauro di Donatella Un particolare ringraziamento a Cristina e Pino 87 Stefano Lupo, ‘Giocando’ con gli affreschi del Camposanto Monumentale di Pisa © 2019 editori paparo srl - Roma via Boezio 4C - 00193 Roma editori@editoripaparo.com 93 Lanfranco Secco Suardo, La tutela del fondo Zari Giantomassi Euro 50,00 ISBN 978 88 31983 020 97 Ercole Sori, In viaggio con gli amici restauratori 3 99 Anna Zanoli, Donatella piegata dal Trionfo della Morte 103 Caterina Bon Valsassina, Amarcord 111 Luigi Alberto Pucci, Restaurar viaggiando 115 Marco Cardinali, La volta con il Trionfo della Divina Sapienza di Andrea Sacchi e il suo prototipo su tela. Alcune osservazioni tecniche e una proposta 127 Maria Beatrice De Ruggieri, Le tele della cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: problemi attributivi alla luce delle indagini tecnico-scientifiche 135 Costanza Costanzi, Una Pisana ad Ancona 137 Marco Pulieri, Paola Zari, Anime gemelle 143 Michela di Macco, Grazie Donatella 147 Giampiero Beltotto, Nel mondo di Donatella Zari e Carlo Giantomassi, due tra i più grandi restauratori 151 Fabio Scaletti, La versione Mattei dell’Incredulità di San Tommaso di Caravaggio 159 Claudio Strinati, La seconda generazione caravaggesca 165 Alessandro Agresti, Melozzo da Forlì, Redentore in gloria. Il restauro del 1988 Palazzo del Quirinale, Scalone d’onore di Flaminio Ponzio Affresco staccato proveniente dalla Chiesa dei S.S. Apostoli 181 Alessandro Agresti, La Galleria di Alessandro VII al Quirinale: precisazioni su Frabrizio Chiari, Giovanni Paolo Schor e Jan Miel 201 Claudio Strinati, L’ultimo Caravaggio 203 Regesto dei restauri di Donatella Zari e Carlo Giantomassi 315 Bibliografia La giornata di studio Restauri su opere dal XIII al XVII secolo in Italia e all’estero. In memoria di Donatella Zari si è svolta il 26 giugno 2017 presso l’Aula Magna dell’Università di Roma Tre ed è stata curata da Silvia Ginzburg. Prefazione Giovanna Bonasegale A Donatella Zari “che ha concluso una intensa vita professionale dedicata alle operazioni di recupero dei beni artistici e culminata con il restauro del Giudizio Universale del Camposanto di Pisa”, quest’anno è stato assegnato il Premio Rotondi ai salvatori dell’Arte, Sezione Speciale alla Memoria, riconoscimento importante in nome di Pasquale Rotondi – uno dei ‘padri’ dell’Istituto Centrale del Restauro – con il quale Donatella aveva superato gli esami di ammissione e si era diplomata. Si sono intrecciate così, ancora una volta, le eco di due grandi personalità, accomunate dall’amore per le arti visive, nel loro aspetto peculiare di riconoscimento e trasmissione della memoria storica. Nell’Aula Magna dell’Università di Roma Tre, il 26 giugno 2017, si era tenuta una giornata di studio curata da Silvia Ginzburg, Restauri su opere dal XIII al XVII secolo in Italia e all’estero. In memoria di Donatella Zari e da quella giornata, densa di interventi e di emozioni, prende spunto questo volume, nel quale agli scritti dei relatori si sono aggiunte ulteriori testimonianze di storici dell’arte, che con Donatella hanno collaborato, condividendo lunghe pagine della sua vita. Un libro, questo, che nasce da sentimenti contrapposti: il dolore per la perdita dell’amica e l’entusiasmo di tutti noi affinché il suo lavoro non sia dimenticato e continui a generare ‘mestiere’ e ‘passione’. Uso questi due sostantivi non a caso: il mestiere, da una radice latina ministerium, che si incrociò per errore, per confusione, con mysterium. Un tempo il vocabolo mestiere si usava prevalentemente riferendosi ad attività manuali; nel corso degli anni fu via via associato all’aspetto non più soltanto strettamente pratico delle diverse attività, ma si estese agli aspetti professionali, artistici, intellettuali, come a quel complesso di nozioni teoriche e tecniche che è indispensabile tenere unite insieme per poter compiere un determinato lavoro. In questo modo, quasi per paradosso, il mestiere ritornò al suo significato antico di ufficio, di missione, ma rimase comunque ancorato, morfologicamente, ma anche se- manticamente, al mistero, quello che difficilmente si capisce, si decodifica, si intende. Il mestiere per Donatella è stato il tentativo continuo, di decifrare, di capire, di rivelare, di rendere manifesto l’ufficio che aveva scelto di assumersi. Unito alla passione, in questo caso non nel significato etimologico, ma nel traslato moderno di amore, dedizione, impeto nei confronti del suo lavoro, di qualsiasi opera si trattasse: dal capolavoro alla produzione minore di un minore. E la sua allegria, anche quando era unita alla preoccupazione per interventi particolarmente complicati, tradiva questa passione e insieme la consapevolezza di compiere un servizio utile alla società, un mestiere appunto dedicato a tutti noi. Noi storici dell’arte, che abbiamo avuto la fortuna di lavorare con Donatella e con Carlo Giantomassi, suo marito, nonché di frequentare i loro cantieri di restauro, abbiamo cominciato innanzitutto a guardare l’opera – oggetto e materia – con maggiore curiosità. E sapevamo che per qualsiasi domanda o dubbio ci sarebbe stata una risposta; con il tempo le nostre domande sono cambiate, si sono fatte più pertinenti e, da dialoghi e conversazioni mentre il restauro era in fieri prima ancora che dal risultato finito, abbiamo imparato, sia pure in parte, a riconoscere quei dettagli tecnici così caratteristici e identificativi di ogni singolo artista – fondamentali per attribuzioni o datazioni – che prima affidavamo esclusivamente alla ricerca in archivio, in biblioteca e alla comparazione visiva: per noi Donatella è stata una maestra. E ‘maestra’ in senso più stretto è stata per i suoi allievi di corsi e di cantieri, formando restauratori in tutto il mondo, trascinati dalla sua capacità unica nel raccontare, nell’incuriosire, nel mettere a fuoco con semplicità, naturalezza, ma sempre con metodo, i problemi più complessi. Leggendo le pagine di questo volume emergeranno infatti i tratti di una persona, la cui tenacia e sapienza non le permettevano di fermarsi di fronte alle questioni e alle difficoltà più disparate e più impervie, al contrario le imponevano di affrontarle e di risolverle 7 con esiti preziosi attraverso la conoscenza profonda di tecniche, di materiali e di strumenti, con l’acutezza dello sguardo e alla luce di indagini sempre mirate, mai superflue. Così nel lavoro come nella vita, Donatella era dirompente, travolgente e i contributi in questi Scritti in suo onore tracciano bene i contorni di una figura eterogenea che appariva semplice, ridanciana, smitizzante, ironica, disinvolta, ma che al tempo stesso era ferma, determinata, decisa, capace di modulare la complessità della sua intelligenza alle esigenze del ‘fare’. Per questo la sua attività non poteva che estendersi su un ventaglio di interventi assai ampio, in un arco temporale molto vasto: dagli affreschi ai mosaici, dalle tele alle tavole, alle pitture murali, alle sculture, con la capacità di saper risolvere problematiche inerenti a ogni tipo di tecnica, di supporto, di preparazione, guidata costantemente dalla coscienza di doversi piegare di volta in volta alle esigenze dell’opera su cui 8 doveva intervenire, rispettandone l’essenza con sistematicità e rigore. Il suo mestiere e la sua passione hanno dimostrato in un lavoro di decenni, da sola e con Carlo, quanto un bravo restauratore sia un punto di riferimento per gli studi scientifici della disciplina storico-artistica, fino a rendere necessaria in molti casi una rilettura di artisti e di opere – capolavori ma anche opere o artisti ‘minori’ – che si credevano ormai consolidati nella ricerca. Questo libro che si chiude è anche il frutto di legami speciali tra gli autori, uniti da tante circostanze e occasioni comuni di lavoro e di amicizia; e credo di poter dire a nome di tutti che tramite Donatella Zari siamo stati testimoni di quel tramandarsi di esperienze e di vicende non comune e non scontato, che attiene sì alla conservazione del nostro patrimonio storico-artistico, ma che in modo speciale riguarda il perpetuarsi della cultura stessa. Per Dona Carlo Giantomassi Novembre 2004, aeroporto di Kabul, metà mattina. Mi trovavo all’aeroporto per attendere l’arrivo di Donatella da Dubai, io ero in città da almeno due settimane, passate nei primi giorni a sentirmi un perfetto imbecille, poi spiegherò perché. L’aereo era arrivato ma tutti gli esterni dovevano stare fuori del recinto che delimitava la piazza, i passeggeri uscivano e io guardavo, guardavo ma non vedevo Donatella, finché davanti a me scorsi una persona, con la testa avvolta in un fazzoletto, che mi salutava agitando freneticamente la mano e fattasi più vicina mi apostrofò: oh non mi riconosci? Era Dona! E come facevo a riconoscerla sotto la ‘pezza’? Voglio subito chiarire che il termine ‘pezza’, come noi chiamavamo il fazzoletto, non voleva assolutamente essere offensivo per i costumi musulmani perché se c’è una cosa a cui abbiamo fatto sempre attenzione è il rispetto per le varie religioni con cui ci siamo confrontati nelle varie missioni in gran parte del mondo. Ovviamente dopo l’incontro e dopo un castissimo accenno di bacio, visto gli usi del posto e che oltretutto era anche Ramadan, ci facemmo una grande risata, nostra caratteristica principale, tanto che spesso ridevamo di noi stessi prendendoci in giro, specie se ad uno di noi veniva un riconoscimento particolare. Eravamo in missione a Kabul (figg. 2-4) per fare formazione professionale ai restauratori afgani lavorando ai frammenti di sculture lapidee, ridotte come ‘massicciata’ dei binari del treno dai talebani che, per giorni, erano entrati nel Museo Nazionale e avevano distrutto a martellate tutte le sculture buddiste del Ghandara. I vecchi guardiani avevano raccolto e portato nei sotterranei questi frammenti. Purtroppo il bravissimo direttore era stato allontanato e per vivere si era messo a vendere patate ma poi, sconfitti i talebani, era stato reintegrato nel grado. La visione che era apparsa prima a me e poi anche a Dona era desolante: mucchi e mucchi di pietre grigie verdastre con vaghe varietà tonali e, cosa terribile, era del tutto assente la documentazione fotografica, ormai dispersa in un museo semidistrutto, che si era trovato oltretutto per più di vent’anni sulla linea del fuoco. Allora il problema qual era? Si trattava di quante statue o altorilievi o bassorilievi o frammenti architettonici o altro? Nessuno lo sapeva! La prima operazione era quella di dividere i frammenti per similitudine cromatica ma essendo tutte le sculture in scisto le variazioni erano minime e l’unico vantaggio, se così si può dire in tanto sconforto, era che lo scisto è composto da lamelle e se due frammenti non si incastravano perfettamente non erano assolutamente pertinenti. Tra gli allievi che avremmo dovuto formare c’erano alcuni che avevano lavorato nel museo e avevano già cominciato ad assemblare alcuni frammenti mentre io, per i primi tre giorni, mi ero aggirato disperato nelle due stanze adibite a laboratorio non riuscendo a trovare nessun pezzo che potesse combaciare con un altro anche se, senza rendermene conto, avevo foto- 1. Consegna del Dottorato Honoris Causa in Lettere e Filosofia a Donatella Zari e Carlo Giantomassi presso l’Università di Friburgo. 9 2. Donatella Zari e Carlo Giantomassi durante il riordino dei frammenti nel Laboratorio di restauro del Museo Nazionale di Kabul. 10 grafato tutti i frammenti e la mattina del quarto giorno «miracolo, miracolo!» trovai il primo attacco tra due pezzi che stavano in stanze diverse. Da quel momento non smisi più di trovare attacchi anche di frammenti minuscoli. Per Donatella fu la stessa cosa: era disperata perché non trovava frammenti da assemblare e io la rassicuravo dicendole di aspettare alcuni giorni. Ebbene anche lei, passati tre giorni – evidentemente era il tempo necessario per ‘fotografare’ mentalmente tutta la ‘massicciata’ –, cominciò e non smise fino alla partenza di trovare gli attacchi. Addirittura un giorno un giornalista americano le chiese come facesse a trovare e assemblare i frammenti così Donatella prese, quasi a caso, due lunghi e sottili frammenti dicendo che se fossero stati contigui si sarebbero incastrati e mostrando come si faceva rimase letteralmente di stucco perché i due frammenti erano contigui! naturalmente il giornalista pensò che la cosa fosse stata preparata ad arte e invece no! Quando eravamo in missione in Tibet nel 1995 successe un altro episodio che potremmo definire comico. Una sera a Deghe, al confine tra Sichuan e Tibet, ospiti in casa del Rimpoche (reincarnato) di Baya, convento e tempio dove avremmo lavorato, ci prepararono un letto nella parte alta dell’abitazione, in una camera che confinava con un terrazzo. Durante la notte ci svegliammo per la necessità di orinare, ma il ‘bagno’ ovvero un piccolo capanno, si trovava fuori della casa e faceva freddo. Ci guardammo e in perfetta intesa eseguimmo l’operazione sul terrazzo dove avevamo notato un discendente che andava verso il basso. Alla mattina successiva scendemmo nel cortile dove ci si lavava e sopra un lavandino c’era un recipiente con applicato un rubinetto, una vera modernità, ci lavammo molto sommariamente e alla fine l’acqua era finita; a quel punto un domestico ci fece cenno di attendere mentre infilava un secchio dentro un bidone dove, a sua volta, scaricava il già descritto discendente, noi ci guardammo e tacendo ci allontanammo rapidamente. Non sto a descrivere i servizi igienici del monastero, situato a oltre 4.400 m. e dove si arrivava solo a cavallo perché non c’era strada ed era talmente piccolo e isolato che persino le guardie rosse lo avevano risparmiato. Durante il viaggio per arrivare al già descritto sperduto monastero di Baya dovevamo percorrere una giornata a cavallo che prevedeva una sosta per il thé. In quell’occasione avevamo ventisette cavalli che servivano per noi, gli allievi e tutti i materiali. Ci si accampò in una radura, abituale luogo di sosta, cosparsa di letame e, con nostra grande sorpresa, notammo che i punti prescelti per stendere le coperte e sedersi erano quelli dove la presenza del suddetto letame era più intensa, ma il peggio doveva ancora arrivare perché oltre al thé c’era anche carne secca di yak che veniva sfibrata con dei coltellacci e lanciata ai partecipanti al banchetto, che dovevano prendere al volo i brandelli per non farli atterrare in mezzo alle cacche di Yak o dei cavalli. In realtà il problema del cibo, oltre quello di non lavarsi o quasi, risulterà di notevole importanza perché, per il mese di permanenza, a pranzo c’era riso stracotto, a quell’altezza l’acqua non bolle, con radici mentre alla sera c’era una brodaglia composta da pasta d’orzo e sempre pezzi di radice. Al termine della missione Dona ed io pesavamo cinque chilogrammi in meno, ma il posto era assolutamente affascinante, privo di tutto: acqua corrente, luce, telefono, tagliati fuori dal mondo dove non ti dovevi ammalare perché il rimedio sarebbe stato farsi una giornata a cavallo e, una volta raggiunta la piccola e tortuosa strada, attendere per ore il passaggio di un mezzo per arrivare in un ospedale dove era sicuramente meglio non andare! Ma che volete farci a noi tutto questo piaceva ed entusiasmava. Va fatta una precisazione: l’acqua corrente c’era ed era quella di un torrente che scendeva da settemila metri, di un gelo mortale ma che ogni tanto dovevi affrontare per sciacquarti i piedi in dieci secondi o con un ancora più rapido bidè cinque secondi per non perdere le relative frattaglie. Durante una delle tante missioni in Birmania, in un posto magico chiamato Pagan, antica capitale con numerosissimi templi, ma allora senza illuminazione elettrica in una notte di luna piena, con un cielo limpidissimo costellato di stelle avevamo da poco cenato quando sentimmo una serie di ululati provenienti dal cortile, ci affacciammo dalla finestra e scorgemmo una intera famiglia di cani, padre, madre e cinque cuccioli gli uni accanto agli altri con il muso verso la luna e tutti insieme ad ululare: era la scuola di ululo dove i genitori insegnavano ai figli. Una cosa del genere ci sarebbe capitata anche in Messico ed in Arizona con la differenza che si trattava non di cani ma di coyotes. Nel 2008 lavoravamo al Museo Egizio del Cairo dove, accompagnati dagli allievi, ci spostavamo in diverse stanze, portandoci dietro alcuni strumenti di lavoro che poi, terminata la giornata, riportavamo nel laboratorio. Alla fine della missione decidemmo di fare una breve vacanza al mare a Sharm el Shekh e quindi prendemmo un aereo che ci condusse alla località e alla fine della vacanza tornammo all’aeroporto del Cairo e cambiando aereo tornammo a Roma. Vi chiederete cosa c’è di interessante in tutto ciò: nulla. Tranne che nello svuotare la sua borsetta Donatella si ritrovò con un bisturi a lama fissa in mano, avevamo fatto tre severi controlli alla sicurezza e nessuno lo aveva visto. Tra l’altro se avessero rilevato l’‘arma’ saremmo passati come possibili terroristi! 3. Arte del Ghandara, Budda, Kabul, Museo Nazionale, durante la ricomposizione. 4. Arte del Ghandara, Budda, Kabul, Museo Nazionale, dopo il restauro. Kanchanaburi Tailandia, primi anni Ottanta Eravamo in quella località, vicina al ponte (rifatto) del fiume Kwai, assieme agli allievi thailandesi per fare delle prove di pulitura su alcuni dipinti murali in un tempio del XII secolo, anche se con una certa difficoltà perché sulla superficie pittorica, eseguita a secco, ricoperta da uno spesso strato di nerofumo 11 5. Donatella Zari e allievi in Myanmar, Birmania. 12 era stato applicato un fissativo a base di gomma lacca. Dopo il lavoro tornammo in albergo, molto semplice perché condiviso con gli allievi, ed io andai al lavandino che era interno alla camera, per lavarmi le mani, accorgendomi però che mi stavo lavando anche i piedi contemporaneamente perche non c’era il tubo di discesa ma, pazienza, tanto faceva caldo mentre invece Donatella era entrata in bagno quando sento un suo urlo terribile e conseguente rapidissima uscita retrocedendo: il mio pensiero è subito corso alla presenza di un cobra, non infrequente in quelle zone. Armato di un asciugamano – era l’unica arma a disposizione – ho guardato dentro il bagno ma non ho notato nulla anche perché Dona mi ha spiegato che da dietro il w.c. era spuntato un lucertolone che, per lo spavento, aveva gonfiato il collare spaventando a morte la ‘Zarina’, come spesso la chiamavo. Ora la spiegazione era semplice anche perché la parete di fondo era composta da un tipo di solarium con molte aperture ed era facile per la bestia entrare e uscire, povera bestia che, impaurita a morte dall’urlo di Dona, avrà raccontato ai suoi pari di aver incontrato una matta che la aveva terrorizzata con un urlo terrificante, roba da infarto! Kosovo Pec/Peja 2001 Stavamo lavorando al restauro della Moschea di Bayrakli, incendiata dai serbi durante la guerra, facendo come al solito un corso pratico di formazione professionale con i locali, in questo caso tutti di etnia albanese. Era venuto con noi anche un nostro allievo, Fabio Fernetti detto Infernetto, e in quel momento era presente anche Carlo Bertelli, profondo conosci- tore dell’arte balcanica (anche!) per preparare un saggio per un volume che si stava predisponendo sull’intervento che l’ONG INTERSOS stava svolgendo per i monumenti in Kosovo. Alla sera andammo tutti a cena in un ristorante che si chiamava in italiano Le Mille Bolle Blu accompagnati come sempre dall’architetto Francesco Della Corte. Avevamo appena cominciato a mangiare quando sentiamo a poca distanza da noi un crepitare di colpi, poi una esplosione e ancora altri colpi. Fabio o meglio Infernetto si alza subito di colpo entusiasta dicendoci: “ci sono i fuochi di artificio, vado a vedere!” l’abbiamo subito agguantato e fermato perché quelle erano raffiche di Kalashnikov e di una bomba a mano, altro che fuochi, una resa di conti tra bande rivali, con un morto. Questi sono solo alcuni degli episodi che ci sono capitati durante le numerose missioni all’estero ma ora vorrei ricordare due momenti di estrema felicità per Donatella e me: il premio Zanotti Bianco assegnatoci da Italia Nostra, su segnalazione di Giovanni Urbani, nel 1979 per il restauro degli affreschi del Pintoricchio nella Cappella Baglioni di Spello e consegnatoci da Giorgio Bassani. Il secondo è molto più recente e si tratta del conferimento, ad entrambi, del dottorato Honoris Causa in Lettere e Filosofia dell’Università di Friburgo in Svizzera (fig. 1), il 14 novembre 2015, proposta avanzata da Michele Bacci, docente dell’università che avevamo conosciuto in un convegno sul Kosovo tenuto alla Normale di Pisa nei primissimi anni 2000. 6. Gruppo convegno UNESCO, Cina, Taishan. 13