La magia del restauro
Scritti in onore di Donatella Zari
a cura di
Giovanna Bonasegale
ep editori
paparo
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La magia del restauro
Scritti in onore di Donatella Zari
a cura di
Giovanna Bonasegale
Sommario
La magia del restauro
Scritti in onore di Donatella Zari
a cura di
Giovanna Bonasegale
Il volume contiene anche gli interventi
della giornata di studio in onore di Donatella Zari, svoltasi a
Roma, 26 giugno 2017, Aula Magna, Università degli Studi Roma Tre
Progetto grafico
editori paparo
Designer
Chiara Bianco
Si ringraziano
Paul Arenson
Elena Calandra
Gisella Capponi
Tiziano Casola
Emanuela Daffra
Giovanna De Palma
Carla Di Francesco
Silvia Ginzburg
Maria Laurenti
Fabio Mariano
Marina Massa
Maria Mata Caravaca
Tomaso Montanari
Elisabetta Mori
Stefania Nanni
Caterina Paparello
Mario Picchi
Matteo Positano
Antonia Pasqua Recchia
Paul Schwartzbaum
Gudrun Swoboda
Cinzia Virno
Si ringrazia Marina Giannetto, Sovrintendente dell'Archivio Storico della
Presidenza della Repubblica, per l'ospitalità, i suggerimenti e i consigli,
nonché per l'estrema disponibilità, in occasione della presentazione del
volume nella Sede dell’Archivio stesso in Palazzo Sant’Andrea.
7 Giovanna Bonasegale, Prefazione
9 Carlo Giantomassi, Per Dona
15 Carlo Bertelli, Donatella alle prese con la moschea delle bandiere in Kosovo
e con l’Università di Valencia
17 Serena Romano, Assisi, Padova, Roma, Napoli ... il medioevo Giantomassi
25 Gianluigi Colalucci, Una vita per la conservazione del patrimonio artistico mondiale
29 Giovanna Bonasegale, La Pala Gozzi di Tiziano nella Pinacoteca Civica di Ancona:
vicende museali e restauri
43 Lidia Rissotto, Formazione come passione del sapere e del sapere fare
47 Matteo Rossi Doria, Il restauro strutturale dei dipinti su tela. Esperienze, criteri di scelta, amicizia
53 Giovanna Sapori, Storia dell'arte e restauro. Un itinerario didattico a Roma Tre
59 Chiara Notarstefano, Diario di cantiere
63 Mario Micheli, Due ambasciatori del restauro italiano
69 Lucia Fornari Schianchi, Restauri a Parma e Piacenza (1983 - 2002). Morazzone e Guercino
nella cupola della Cattedrale di Piacenza, le Cappelle tre/quattrocentesche nel Duomo di Parma,
Parmigianino in Santa Maria della Steccata
77 Bruno Toscano, Figure del restauratore
83 Antonio Paolucci, Gli affreschi del Camposanto Monumentale di Pisa.
L’ultimo restauro di Donatella
Un particolare ringraziamento a Cristina e Pino
87 Stefano Lupo, ‘Giocando’ con gli affreschi del Camposanto Monumentale di Pisa
© 2019 editori paparo srl - Roma
via Boezio 4C - 00193 Roma
editori@editoripaparo.com
93 Lanfranco Secco Suardo, La tutela del fondo Zari Giantomassi
Euro 50,00
ISBN 978 88 31983 020
97 Ercole Sori, In viaggio con gli amici restauratori
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99 Anna Zanoli, Donatella piegata dal Trionfo della Morte
103 Caterina Bon Valsassina, Amarcord
111 Luigi Alberto Pucci, Restaurar viaggiando
115 Marco Cardinali, La volta con il Trionfo della Divina Sapienza di Andrea Sacchi
e il suo prototipo su tela. Alcune osservazioni tecniche e una proposta
127 Maria Beatrice De Ruggieri, Le tele della cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro:
problemi attributivi alla luce delle indagini tecnico-scientifiche
135 Costanza Costanzi, Una Pisana ad Ancona
137 Marco Pulieri, Paola Zari, Anime gemelle
143 Michela di Macco, Grazie Donatella
147 Giampiero Beltotto, Nel mondo di Donatella Zari e Carlo Giantomassi,
due tra i più grandi restauratori
151 Fabio Scaletti, La versione Mattei dell’Incredulità di San Tommaso di Caravaggio
159 Claudio Strinati, La seconda generazione caravaggesca
165 Alessandro Agresti, Melozzo da Forlì, Redentore in gloria. Il restauro del 1988
Palazzo del Quirinale, Scalone d’onore di Flaminio Ponzio
Affresco staccato proveniente dalla Chiesa dei S.S. Apostoli
181 Alessandro Agresti, La Galleria di Alessandro VII al Quirinale:
precisazioni su Frabrizio Chiari, Giovanni Paolo Schor e Jan Miel
201 Claudio Strinati, L’ultimo Caravaggio
203 Regesto dei restauri di Donatella Zari e Carlo Giantomassi
315 Bibliografia
La giornata di studio
Restauri su opere dal XIII
al XVII secolo in Italia e all’estero.
In memoria di Donatella Zari
si è svolta il 26 giugno 2017
presso l’Aula Magna dell’Università di Roma Tre
ed è stata curata da Silvia Ginzburg.
Prefazione
Giovanna Bonasegale
A Donatella Zari “che ha concluso una intensa
vita professionale dedicata alle operazioni di recupero
dei beni artistici e culminata con il restauro del Giudizio Universale del Camposanto di Pisa”, quest’anno
è stato assegnato il Premio Rotondi ai salvatori dell’Arte, Sezione Speciale alla Memoria, riconoscimento
importante in nome di Pasquale Rotondi – uno dei
‘padri’ dell’Istituto Centrale del Restauro – con il
quale Donatella aveva superato gli esami di ammissione e si era diplomata. Si sono intrecciate così, ancora una volta, le eco di due grandi personalità, accomunate dall’amore per le arti visive, nel loro aspetto
peculiare di riconoscimento e trasmissione della memoria storica.
Nell’Aula Magna dell’Università di Roma Tre, il
26 giugno 2017, si era tenuta una giornata di studio
curata da Silvia Ginzburg, Restauri su opere dal XIII
al XVII secolo in Italia e all’estero. In memoria di
Donatella Zari e da quella giornata, densa di interventi e di emozioni, prende spunto questo volume,
nel quale agli scritti dei relatori si sono aggiunte ulteriori testimonianze di storici dell’arte, che con Donatella hanno collaborato, condividendo lunghe pagine della sua vita.
Un libro, questo, che nasce da sentimenti contrapposti: il dolore per la perdita dell’amica e l’entusiasmo
di tutti noi affinché il suo lavoro non sia dimenticato e
continui a generare ‘mestiere’ e ‘passione’. Uso questi
due sostantivi non a caso: il mestiere, da una radice latina ministerium, che si incrociò per errore, per confusione, con mysterium. Un tempo il vocabolo mestiere
si usava prevalentemente riferendosi ad attività manuali; nel corso degli anni fu via via associato all’aspetto
non più soltanto strettamente pratico delle diverse attività, ma si estese agli aspetti professionali, artistici,
intellettuali, come a quel complesso di nozioni teoriche
e tecniche che è indispensabile tenere unite insieme
per poter compiere un determinato lavoro. In questo
modo, quasi per paradosso, il mestiere ritornò al suo
significato antico di ufficio, di missione, ma rimase comunque ancorato, morfologicamente, ma anche se-
manticamente, al mistero, quello che difficilmente si
capisce, si decodifica, si intende.
Il mestiere per Donatella è stato il tentativo continuo, di decifrare, di capire, di rivelare, di rendere manifesto l’ufficio che aveva scelto di assumersi. Unito
alla passione, in questo caso non nel significato etimologico, ma nel traslato moderno di amore, dedizione,
impeto nei confronti del suo lavoro, di qualsiasi opera
si trattasse: dal capolavoro alla produzione minore di
un minore. E la sua allegria, anche quando era unita
alla preoccupazione per interventi particolarmente
complicati, tradiva questa passione e insieme la consapevolezza di compiere un servizio utile alla società, un
mestiere appunto dedicato a tutti noi.
Noi storici dell’arte, che abbiamo avuto la fortuna
di lavorare con Donatella e con Carlo Giantomassi,
suo marito, nonché di frequentare i loro cantieri di
restauro, abbiamo cominciato innanzitutto a guardare
l’opera – oggetto e materia – con maggiore curiosità.
E sapevamo che per qualsiasi domanda o dubbio ci
sarebbe stata una risposta; con il tempo le nostre domande sono cambiate, si sono fatte più pertinenti e,
da dialoghi e conversazioni mentre il restauro era in
fieri prima ancora che dal risultato finito, abbiamo
imparato, sia pure in parte, a riconoscere quei dettagli
tecnici così caratteristici e identificativi di ogni singolo
artista – fondamentali per attribuzioni o datazioni –
che prima affidavamo esclusivamente alla ricerca in
archivio, in biblioteca e alla comparazione visiva: per
noi Donatella è stata una maestra.
E ‘maestra’ in senso più stretto è stata per i suoi
allievi di corsi e di cantieri, formando restauratori in
tutto il mondo, trascinati dalla sua capacità unica nel
raccontare, nell’incuriosire, nel mettere a fuoco con
semplicità, naturalezza, ma sempre con metodo, i
problemi più complessi.
Leggendo le pagine di questo volume emergeranno
infatti i tratti di una persona, la cui tenacia e sapienza
non le permettevano di fermarsi di fronte alle questioni e alle difficoltà più disparate e più impervie, al
contrario le imponevano di affrontarle e di risolverle
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con esiti preziosi attraverso la conoscenza profonda
di tecniche, di materiali e di strumenti, con l’acutezza
dello sguardo e alla luce di indagini sempre mirate,
mai superflue.
Così nel lavoro come nella vita, Donatella era dirompente, travolgente e i contributi in questi Scritti in
suo onore tracciano bene i contorni di una figura eterogenea che appariva semplice, ridanciana, smitizzante,
ironica, disinvolta, ma che al tempo stesso era ferma,
determinata, decisa, capace di modulare la complessità
della sua intelligenza alle esigenze del ‘fare’.
Per questo la sua attività non poteva che estendersi
su un ventaglio di interventi assai ampio, in un arco
temporale molto vasto: dagli affreschi ai mosaici, dalle
tele alle tavole, alle pitture murali, alle sculture, con
la capacità di saper risolvere problematiche inerenti
a ogni tipo di tecnica, di supporto, di preparazione,
guidata costantemente dalla coscienza di doversi piegare di volta in volta alle esigenze dell’opera su cui
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doveva intervenire, rispettandone l’essenza con sistematicità e rigore.
Il suo mestiere e la sua passione hanno dimostrato
in un lavoro di decenni, da sola e con Carlo, quanto
un bravo restauratore sia un punto di riferimento
per gli studi scientifici della disciplina storico-artistica, fino a rendere necessaria in molti casi una rilettura di artisti e di opere – capolavori ma anche
opere o artisti ‘minori’ – che si credevano ormai consolidati nella ricerca.
Questo libro che si chiude è anche il frutto di legami speciali tra gli autori, uniti da tante circostanze
e occasioni comuni di lavoro e di amicizia; e credo
di poter dire a nome di tutti che tramite Donatella
Zari siamo stati testimoni di quel tramandarsi di
esperienze e di vicende non comune e non scontato,
che attiene sì alla conservazione del nostro patrimonio storico-artistico, ma che in modo speciale riguarda il perpetuarsi della cultura stessa.
Per Dona
Carlo Giantomassi
Novembre 2004, aeroporto di Kabul, metà mattina.
Mi trovavo all’aeroporto per attendere l’arrivo di
Donatella da Dubai, io ero in città da almeno due settimane, passate nei primi giorni a sentirmi un perfetto
imbecille, poi spiegherò perché.
L’aereo era arrivato ma tutti gli esterni dovevano
stare fuori del recinto che delimitava la piazza, i passeggeri uscivano e io guardavo, guardavo ma non vedevo Donatella, finché davanti a me scorsi una persona, con la testa avvolta in un fazzoletto, che mi
salutava agitando freneticamente la mano e fattasi più
vicina mi apostrofò: oh non mi riconosci? Era Dona!
E come facevo a riconoscerla sotto la ‘pezza’?
Voglio subito chiarire che il termine ‘pezza’, come
noi chiamavamo il fazzoletto, non voleva assolutamente
essere offensivo per i costumi musulmani perché se
c’è una cosa a cui abbiamo fatto sempre attenzione è il
rispetto per le varie religioni con cui ci siamo confrontati nelle varie missioni in gran parte del mondo.
Ovviamente dopo l’incontro e dopo un castissimo
accenno di bacio, visto gli usi del posto e che oltretutto
era anche Ramadan, ci facemmo una grande risata,
nostra caratteristica principale, tanto che spesso ridevamo di noi stessi prendendoci in giro, specie se ad
uno di noi veniva un riconoscimento particolare.
Eravamo in missione a Kabul (figg. 2-4) per fare
formazione professionale ai restauratori afgani lavorando ai frammenti di sculture lapidee, ridotte come
‘massicciata’ dei binari del treno dai talebani che, per
giorni, erano entrati nel Museo Nazionale e avevano
distrutto a martellate tutte le sculture buddiste del
Ghandara.
I vecchi guardiani avevano raccolto e portato nei
sotterranei questi frammenti. Purtroppo il bravissimo
direttore era stato allontanato e per vivere si era messo
a vendere patate ma poi, sconfitti i talebani, era stato
reintegrato nel grado.
La visione che era apparsa prima a me e poi anche
a Dona era desolante: mucchi e mucchi di pietre grigie
verdastre con vaghe varietà tonali e, cosa terribile, era
del tutto assente la documentazione fotografica, ormai
dispersa in un museo semidistrutto, che si era trovato
oltretutto per più di vent’anni sulla linea del fuoco.
Allora il problema qual era? Si trattava di quante statue o altorilievi o bassorilievi o frammenti architettonici o altro? Nessuno lo sapeva!
La prima operazione era quella di dividere i frammenti per similitudine cromatica ma essendo tutte le
sculture in scisto le variazioni erano minime e l’unico
vantaggio, se così si può dire in tanto sconforto, era
che lo scisto è composto da lamelle e se due frammenti
non si incastravano perfettamente non erano assolutamente pertinenti.
Tra gli allievi che avremmo dovuto formare c’erano
alcuni che avevano lavorato nel museo e avevano già
cominciato ad assemblare alcuni frammenti mentre
io, per i primi tre giorni, mi ero aggirato disperato
nelle due stanze adibite a laboratorio non riuscendo a
trovare nessun pezzo che potesse combaciare con un
altro anche se, senza rendermene conto, avevo foto-
1. Consegna del
Dottorato Honoris
Causa in Lettere e
Filosofia a Donatella
Zari e Carlo
Giantomassi presso
l’Università di
Friburgo.
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2. Donatella Zari e
Carlo Giantomassi
durante il riordino
dei frammenti nel
Laboratorio di
restauro del Museo
Nazionale di
Kabul.
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grafato tutti i frammenti e la mattina del quarto giorno
«miracolo, miracolo!» trovai il primo attacco tra due
pezzi che stavano in stanze diverse. Da quel momento
non smisi più di trovare attacchi anche di frammenti
minuscoli.
Per Donatella fu la stessa cosa: era disperata perché
non trovava frammenti da assemblare e io la rassicuravo
dicendole di aspettare alcuni giorni. Ebbene anche lei,
passati tre giorni – evidentemente era il tempo necessario
per ‘fotografare’ mentalmente tutta la ‘massicciata’ –,
cominciò e non smise fino alla partenza di trovare gli
attacchi. Addirittura un giorno un giornalista americano
le chiese come facesse a trovare e assemblare i frammenti
così Donatella prese, quasi a caso, due lunghi e sottili
frammenti dicendo che se fossero stati contigui si sarebbero incastrati e mostrando come si faceva rimase
letteralmente di stucco perché i due frammenti erano
contigui! naturalmente il giornalista pensò che la cosa
fosse stata preparata ad arte e invece no!
Quando eravamo in missione in Tibet nel 1995
successe un altro episodio che potremmo definire comico. Una sera a Deghe, al confine tra Sichuan e Tibet,
ospiti in casa del Rimpoche (reincarnato) di Baya,
convento e tempio dove avremmo lavorato, ci prepararono un letto nella parte alta dell’abitazione, in una
camera che confinava con un terrazzo. Durante la
notte ci svegliammo per la necessità di orinare, ma il
‘bagno’ ovvero un piccolo capanno, si trovava fuori
della casa e faceva freddo.
Ci guardammo e in perfetta intesa eseguimmo
l’operazione sul terrazzo dove avevamo notato un discendente che andava verso il basso. Alla mattina successiva scendemmo nel cortile dove ci si lavava e sopra
un lavandino c’era un recipiente con applicato un rubinetto, una vera modernità, ci lavammo molto sommariamente e alla fine l’acqua era finita; a quel punto
un domestico ci fece cenno di attendere mentre infilava un secchio dentro un bidone dove, a sua volta,
scaricava il già descritto discendente, noi ci guardammo e tacendo ci allontanammo rapidamente. Non
sto a descrivere i servizi igienici del monastero, situato
a oltre 4.400 m. e dove si arrivava solo a cavallo perché
non c’era strada ed era talmente piccolo e isolato che
persino le guardie rosse lo avevano risparmiato.
Durante il viaggio per arrivare al già descritto sperduto monastero di Baya dovevamo percorrere una
giornata a cavallo che prevedeva una sosta per il thé.
In quell’occasione avevamo ventisette cavalli che servivano per noi, gli allievi e tutti i materiali. Ci si accampò in una radura, abituale luogo di sosta, cosparsa
di letame e, con nostra grande sorpresa, notammo
che i punti prescelti per stendere le coperte e sedersi
erano quelli dove la presenza del suddetto letame era
più intensa, ma il peggio doveva ancora arrivare perché oltre al thé c’era anche carne secca di yak che veniva sfibrata con dei coltellacci e lanciata ai partecipanti al banchetto, che dovevano prendere al volo i
brandelli per non farli atterrare in mezzo alle cacche
di Yak o dei cavalli. In realtà il problema del cibo,
oltre quello di non lavarsi o quasi, risulterà di notevole
importanza perché, per il mese di permanenza, a
pranzo c’era riso stracotto, a quell’altezza l’acqua non
bolle, con radici mentre alla sera c’era una brodaglia
composta da pasta d’orzo e sempre pezzi di radice.
Al termine della missione Dona ed io pesavamo cinque chilogrammi in meno, ma il posto era assolutamente affascinante, privo di tutto: acqua corrente,
luce, telefono, tagliati fuori dal mondo dove non ti
dovevi ammalare perché il rimedio sarebbe stato farsi
una giornata a cavallo e, una volta raggiunta la piccola
e tortuosa strada, attendere per ore il passaggio di
un mezzo per arrivare in un ospedale dove era sicuramente meglio non andare! Ma che volete farci a
noi tutto questo piaceva ed entusiasmava. Va fatta
una precisazione: l’acqua corrente c’era ed era quella
di un torrente che scendeva da settemila metri, di un
gelo mortale ma che ogni tanto dovevi affrontare per
sciacquarti i piedi in dieci secondi o con un ancora
più rapido bidè cinque secondi per non perdere le
relative frattaglie.
Durante una delle tante missioni in Birmania, in
un posto magico chiamato Pagan, antica capitale con
numerosissimi templi, ma allora senza illuminazione
elettrica in una notte di luna piena, con un cielo limpidissimo costellato di stelle avevamo da poco cenato
quando sentimmo una serie di ululati provenienti dal
cortile, ci affacciammo dalla finestra e scorgemmo una
intera famiglia di cani, padre, madre e cinque cuccioli
gli uni accanto agli altri con il muso verso la luna e
tutti insieme ad ululare: era la scuola di ululo dove i
genitori insegnavano ai figli.
Una cosa del genere ci sarebbe capitata anche in
Messico ed in Arizona con la differenza che si trattava
non di cani ma di coyotes.
Nel 2008 lavoravamo al Museo Egizio del Cairo
dove, accompagnati dagli allievi, ci spostavamo in diverse
stanze, portandoci dietro alcuni strumenti di lavoro che
poi, terminata la giornata, riportavamo nel laboratorio.
Alla fine della missione decidemmo di fare una
breve vacanza al mare a Sharm el Shekh e quindi prendemmo un aereo che ci condusse alla località e alla
fine della vacanza tornammo all’aeroporto del Cairo
e cambiando aereo tornammo a Roma. Vi chiederete
cosa c’è di interessante in tutto ciò: nulla. Tranne che
nello svuotare la sua borsetta Donatella si ritrovò con
un bisturi a lama fissa in mano, avevamo fatto tre
severi controlli alla sicurezza e nessuno lo aveva visto.
Tra l’altro se avessero rilevato l’‘arma’ saremmo passati
come possibili terroristi!
3. Arte del
Ghandara, Budda,
Kabul, Museo
Nazionale, durante
la ricomposizione.
4. Arte del
Ghandara, Budda,
Kabul, Museo
Nazionale, dopo il
restauro.
Kanchanaburi Tailandia, primi anni Ottanta
Eravamo in quella località, vicina al ponte (rifatto)
del fiume Kwai, assieme agli allievi thailandesi per
fare delle prove di pulitura su alcuni dipinti murali
in un tempio del XII secolo, anche se con una certa
difficoltà perché sulla superficie pittorica, eseguita a
secco, ricoperta da uno spesso strato di nerofumo
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5. Donatella Zari e
allievi in Myanmar,
Birmania.
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era stato applicato un fissativo a base di gomma lacca.
Dopo il lavoro tornammo in albergo, molto semplice perché condiviso con gli allievi, ed io andai al
lavandino che era interno alla camera, per lavarmi le
mani, accorgendomi però che mi stavo lavando anche
i piedi contemporaneamente perche non c’era il tubo
di discesa ma, pazienza, tanto faceva caldo mentre invece Donatella era entrata in bagno quando sento un
suo urlo terribile e conseguente rapidissima uscita retrocedendo: il mio pensiero è subito corso alla presenza di un cobra, non infrequente in quelle zone.
Armato di un asciugamano – era l’unica arma a
disposizione – ho guardato dentro il bagno ma non
ho notato nulla anche perché Dona mi ha spiegato
che da dietro il w.c. era spuntato un lucertolone che,
per lo spavento, aveva gonfiato il collare spaventando
a morte la ‘Zarina’, come spesso la chiamavo.
Ora la spiegazione era semplice anche perché la
parete di fondo era composta da un tipo di solarium
con molte aperture ed era facile per la bestia entrare
e uscire, povera bestia che, impaurita a morte dall’urlo
di Dona, avrà raccontato ai suoi pari di aver incontrato
una matta che la aveva terrorizzata con un urlo terrificante, roba da infarto!
Kosovo Pec/Peja 2001
Stavamo lavorando al restauro della Moschea di
Bayrakli, incendiata dai serbi durante la guerra, facendo come al solito un corso pratico di formazione
professionale con i locali, in questo caso tutti di etnia
albanese. Era venuto con noi anche un nostro allievo,
Fabio Fernetti detto Infernetto, e in quel momento
era presente anche Carlo Bertelli, profondo conosci-
tore dell’arte balcanica (anche!) per preparare un saggio per un volume che si stava predisponendo sull’intervento che l’ONG INTERSOS stava svolgendo per
i monumenti in Kosovo. Alla sera andammo tutti a
cena in un ristorante che si chiamava in italiano Le
Mille Bolle Blu accompagnati come sempre dall’architetto Francesco Della Corte.
Avevamo appena cominciato a mangiare quando
sentiamo a poca distanza da noi un crepitare di colpi,
poi una esplosione e ancora altri colpi. Fabio o meglio
Infernetto si alza subito di colpo entusiasta dicendoci:
“ci sono i fuochi di artificio, vado a vedere!” l’abbiamo
subito agguantato e fermato perché quelle erano raffiche di Kalashnikov e di una bomba a mano, altro che
fuochi, una resa di conti tra bande rivali, con un morto.
Questi sono solo alcuni degli episodi che ci sono
capitati durante le numerose missioni all’estero ma
ora vorrei ricordare due momenti di estrema felicità
per Donatella e me: il premio Zanotti Bianco assegnatoci da Italia Nostra, su segnalazione di Giovanni
Urbani, nel 1979 per il restauro degli affreschi del
Pintoricchio nella Cappella Baglioni di Spello e consegnatoci da Giorgio Bassani.
Il secondo è molto più recente e si tratta del conferimento, ad entrambi, del dottorato Honoris Causa
in Lettere e Filosofia dell’Università di Friburgo in
Svizzera (fig. 1), il 14 novembre 2015, proposta
avanzata da Michele Bacci, docente dell’università
che avevamo conosciuto in un convegno sul Kosovo
tenuto alla Normale di Pisa nei primissimi anni 2000.
6. Gruppo
convegno
UNESCO, Cina,
Taishan.
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