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INDICE
ROMANO MAMBRINI e GAVINO SINI, Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ROBERTO MALAVASI, Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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ANTONIO SERRA, Sguardo d’insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ELISABETTA LOFFREDO, La struttura dell’atto costitutivo e il sistema delle
clausole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CARLO IBBA, I limiti dell’autonomia statutaria (note preliminari) . . . . . . .
MONICA COSSU, I patti parasociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VALENTINO SANNA, La società non iscritta nel registro delle imprese . . . . . .
CRISTIANO CINCOTTI, I conferimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DINO CAGETTI, Le quote di partecipazione: spunti di riflessione . . . . . . . .
ALESSIO D. SCANO, Il conflitto fra più acquirenti della stessa quota . . . . . .
MANUELA TOLA, Usufrutto, pegno e sequestro di quota . . . . . . . . . . . . .
IVAN DEMURO, Il recesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FABIO NIEDDU ARRICA, L’esclusione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ALBERTO PICCIAU, Appunti in tema di amministrazione e rappresentanza . .
CLAUDIO MANNONI, I controlli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FABIANA MASSA FELSANI, Le decisioni dei soci . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIUSEPPE PAOLO ALLECA, L’invalidità delle decisioni dei soci . . . . . . . . . .
GABRIELE RACUGNO, Le operazioni sulle proprie partecipazioni . . . . . . . . .
FRANCO FARINA, Nuova s.r.l. e mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DIONIGI SCANO, I finanziamenti dei soci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PAOLO CONGIU, La rappresentazione della fiscalità anticipata e differita nel
nuovo bilancio d’esercizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
LILIANA PINTUS, Lo scioglimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
BARBARA BANCI, Nuova s.r.l. e società miste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ANTONELLO ANGIONI, L’arbitrato societario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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MONICA COSSU
I PATTI PARASOCIALI
SOMMARIO: 1. Premessa e antecedenti del dibattito. — 2. Le convenzioni parasociali
nella riforma delle società di capitali, con cenni alle s.p.a. — 3. Le convenzioni parasociali nella società a responsabilità limitata. — 4. Conclusioni.
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1. Premessa e antecedenti del dibattito.
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Il dato di partenza della nostra analisi è l’assenza, nella riforma
societaria, di una disciplina dei patti parasociali in società a responsabilità limitata. Questa constatazione impone da un lato di affrontare, anche alla luce di un’analisi sistematica, la questione preliminare dell’ammissibilità dei patti e della loro compatibilità con il tipo
societario in questione; dall’altro di verificare la loro eventuale
“utilità” entro l’assetto organizzativo della s.r.l. È necessario cioè
accertare, anche in ragione dell’ampiamento dell’autonomia statutaria, se abbia (ancora) un senso la stipula dei patti in questione, e
dunque se essi rispondano ad esigenze meritevoli di tutela non
conseguibili, alternativamente, attraverso una disciplina statutaria
di analogo contenuto.
La pratica dei patti parasociali in società a responsabilità limitata
è risalente, e la giurisprudenza, avallata da un’autorevole dottrina, si
è trovata in più occasioni a giudicare della validità di scritture private (1) in vario modo collegate al contratto sociale di s.r.l. (2).
(1) Il termine “scrittura privata” con riferimento al patto parasociale era
frequentemente in uso (e v. la giurisprudenza citata in nt. seg.).
(2) Gli accordi parasociali avevano molto spesso ad oggetto, in passato, la
definizione delle prestazioni dovute dai soci alla società: cfr. Cass. 6 maggio 1961,
n. 1058, in Dir. fall., 1961, II, p. 282 ss., con riferimento al patto parasociale
stipulato da tre soci di una s.r.l. con la società per l’integrazione e la precisazione
delle rispettive obbligazioni da conferimento; Id., 29 gennaio 1964, n. 234, ivi,
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Curiosamente, il fenomeno era tanto noto alla pratica quanto
negletto dalla dottrina, pure se qualche voce si è levata a sottolineare
che l’esigenza di ricorrere ad accordi parasociali doveva ritenersi
meritevole di tutela sia per l’elemento personalistico che spesso
anima il tipo societario in questione, sia per la natura largamente
dispositiva delle norme sulla sua organizzazione (3).
Il discorso deve essere affrontato, dunque, essenzialmente alla
luce dell’autonomia statutaria e contrattuale, e quindi della misura di
derogabilità della disciplina legale consentita al tipo s.r.l. Quanto al
primo aspetto, patti statutari e patti parasociali appartengono entrambi al ceppo comune delle regole di autonomia privata (4), e se pure
i secondi hanno, in linea di principio, una rilevanza solo interindivi-
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1964, II, p. 69, ove si ritenne valido il contratto parasociale con il quale gruppi di
soci “antagonisti” si obbligavano ad effettuare determinate prestazioni a favore
della società. Cfr., ancora, App. Roma, 8 maggio 1962, in Giur. it., 1962, I, 2, p.
703 ss., con nota critica di G. OPPO, Contratto parasociale a favore della società,
che negò la qualifica di contratto a favore di terzo al patto parasociale stipulato fra
soci di s.r.l., pure se vincolava costoro ad effettuare prestazioni a favore della
società; Trib. Roma, 29 agosto 1958, in Dir. fall., 1959, II, p. 133 ss., con nota di
G. RAGUSA MAGGIORE, Convenzioni parasociali e contratto a favore di terzi, con
riguardo al patto parasociale nel quale un socio di s.r.l. si obbligava, nei confronti
della società, ad effettuare un finanziamento e una fornitura a titolo di comodato,
e ad espletare gratuitamente le mansioni di amministratore unico. In questo caso,
diversamente dal precedente, il Tribunale definiva il patto quale contratto a favore
di terzo, secondo un’interpretazione che si era andata diffondendo in dottrina,
ovviamente con riferimento ad ipotesi nelle quali il patto avesse ad oggetto una
prestazione da effettuare a favore della società e non dei soci paciscenti: in
argomento cfr. G. OPPO, op. cit., p. 704 ss. Più recentemente nello stesso senso
Cass. 11 dicembre 1975, n. 4143, in Giur. comm., 1976, II, p. 309, che confermava
App. Roma, 10 luglio 1973, ivi, 1974, II, p. 347, con osservazioni di P. FERRO-LUZZI,
dove il S.C. giudicò valido il patto parasociale stipulato a favore di una s.p.a. non
ancora costituita, estendendo poi le proprie considerazioni a tutte le società con
personalità giuridica. In dottrina v. pure G. OPPO, I patti parasociali, Milano, 1942,
spec. p. 9 ss.; R. PROVINCIALI, Contratti sociali e parasociali, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1962, p. 1318 ss., anche in Studi in onore di Biondo Biondi, Milano, 1964.
(3) G. RACUGNO, voce Società a responsabilità limitata, in Enc. dir., XLII,
Milano, 1990, p. 1054.
(4) C. ANGELICI, Vicende associative e attività giuridiche, in G. B. FERRI-C.
ANGELICI, Studi sull’autonomia dei privati, Torino, 1997, p. 327, e già D. CORAPI, Gli
statuti delle società per azioni, Milano, 1971, p. 36 ss.
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I PATTI PARASOCIALI
duale, piuttosto che metaindividuale ed organizzativa (5), all’atto pratico incidono spesso sul funzionamento della società (6). Quanto al
secondo aspetto, le opinioni sono sostanzialmente concordi nel
senso della tendenziale elasticità dello schema legale (7), e del
predominio assoluto dell’autonomia privata (8).
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(5) C. ANGELICI, op. cit., p. 328 ss.
(6) Sull’interferenza del “parasociale” sul “sociale” v. D. CORAPI, op. cit., p. 187;
R. COSTI, Il problema della validità dei sindacati di voto alla luce della legislazione
più recente, in Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di Bonelli e Jaeger,
Milano, 1993, p. 25 ss. Osserva questa interferenza anche C. ANGELICI, op. cit., p. 328,
testo e nt. 81: l’A. precisa che in questi casi le norme parasociali disciplinano la
posizione del socio “... tramite e con riferimento all’assetto organizzativo della società”, ma comunque ammette che l’elemento parasociale “... può rappresentare un
momento della (esterno, ma influente sulla) valutazione per applicare le regole organizzative societarie”; da ultimo in argomento v. R. RORDORF, I sindacati di voto, in
Società, 2003, p. 26. Quanto poi alla rilevanza dell’elemento parasociale nel procedimento interpretativo delle regole statutarie il tema è stato ripreso, recentemente,
da C. ANGELICI, op. cit., p. 337 ss., e anche da C. IBBA, L’interpretazione degli statuti
societari fra criteri oggettivi e criteri soggettivi, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 536. In
giurisprudenza v. recentemente Cass. 21 novembre 2001, n. 14629, in Società, 2002,
p. 1246 ss., con commento di D. PROVERBIO, Brevi note in tema di rapporto tra sociale
e parasociale, dove il S.C. si trovò a valutare della violazione, prospettata dalla ricorrente, degli artt. 1420 e 1466 c.c., in tema, rispettivamente, di nullità dei conferimenti in conto aumento di capitale (a pagamento) e di risoluzione del contratto
sociale per impossibilità sopravvenuta. Il giudice di legittimità respingeva la tesi della
ricorrente circa il fatto che l’illiceità di taluni conferimenti in conto aumento di capitale — oltre a determinare la nullità del patto parasociale in esecuzione del quale
erano stati effettuati, a cagione della loro essenzialità — si riverberasse anche sull’aumento di capitale deliberato dall’assemblea straordinaria in esecuzione del patto.
E ciò proprio in ragione della separatezza tra i due piani, il piano sociale, rappresentato dalla delibera di aumento, e quello del patto parasociale, nell’ambito del quale
era stata assunta la determinazione relativa all’aumento del capitale. E osserva infatti,
in proposito, il commentatore che “... dichiarare la nullità della delibera di aumento
del capitale in quanto atto meramente esecutivo di un patto parasociale nullo — così
da poter conseguentemente affermare la nullità del versamento effettuato dalla ricorrente — avrebbe significato legittimare l’idea che, in presenza di sindacati di voto,
le delibere sociali siano ... nulla più che atti esecutivi di quanto convenuto in sede
parasociale e non già atti retti da una volontà e regole autonome e a queste ultime
soltanto rispondenti ...”, ivi, p. 1251.
(7) Sul punto, pure se con specifico riferimento alle ipotesi di recesso del
socio, G.C. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto civile
e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XXX, t. 1,
Milano, 1982, p. 353 s.; G. ZANARONE, Società a responsabilità limitata, in Trattato
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La contiguità funzionale fra i due ambiti, parasociale e statutario,
è particolarmente evidente nel raffronto fra sindacati di blocco e clausole statutarie preclusive, o comunque limitative, della circolazione
delle azioni, ivi comprese le clausole di gradimento. E ciò non solo
perché le une come le altre sono accomunate dall’effetto sostanziale
di limitare la circolazione della quota, ma anche perché in presenza
di clausole statutarie preclusive o limitative della circolazione — si
pensa in particolare alle clausole di gradimento — fino a quando la
società non consenta l’alienazione l’acquirente è titolare di una posizione giuridica (meramente) parasociale (9). Né è da dimenticare che
la linea distintiva fra clusole statutarie limitative della circolazione e
patti di blocco non è semplicissima da tracciare, se parte minoritaria
della dottrina e della giurisprudenza ha potuto sostenere e tuttora
sostiene la natura parasociale delle clausole di prelazione (10).
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di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, VIII,
Padova, 1985, p. 31 ss., dove riferimenti al metodo tipologico, mutuato dalla
dottrina tedesca, che segnala la rilevanza costruttiva, a fianco degli elementi propri
del tipo giuridico, di elementi propri del “modello vivente” di società. Entro questo
contesto l’A. valorizza la distinzione fra norme dispositive e norme cogenti, che
sarebbero entrambe essenziali alla ricostruzione del “tipo legale” — ossia del tipo
tenuto a mente dal legislatore — secondo il metodo tipologico. Si v. pure O.
CAGNASSO-M. IRRERA, voce Società a responsabilità limitata, in Digesto disc. priv.,
sez. comm., XIV, Torino, 1997, p. 186, che evidenziano un modello di società “...
adattabile ad una pluralità di esigenze, sul presupposto di una disciplina flessibile”.
(8) Sul tema, fra molti, G. MARASÀ, Modifiche del contratto sociale e modifiche dell’atto costitutivo, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e
Portale, 6, Modificazioni statutarie-Recesso-Riduzione del capitale, t. 1, Torino,
1993, p. 87; ANGELICI, op. cit., spec. p. 324 ss.
(9) In questi termini, con riferimento alle s.p.a., C. ANGELICI, La circolazione
della partecipazione azionaria, in Trattato delle società per azioni, cit., 2, AzioniGruppi, t. 1, Torino, 1991, p. 178.
(10) Si v., per una sintesi recente sull’argomento, M. CENTONZE, Sulla delibera
maggioritaria di eliminazione della clausola di prelazione dallo statuto delle s.p.a.,
nota a Trib. Milano, 11 ottobre 2001, in Banca, borsa, 2003, II, p. 188 ss. Nella
pronuncia in questione, peraltro, il Tribunale ribadisce l’orientamento prevalente, e
quindi ritiene la natura sociale della clausola di prelazione, sulla base del fatto che
le norme sociali perseguirebbero sempre e solo interessi del gruppo dei soci uti
socii, piuttosto che uti singuli, mentre le norme parasociali perseguirebbero
sempre e solo interessi dei singoli. Ma in realtà proprio quest’ultima considerazione, come del resto osserva lo stesso commentatore (ivi, p. 193), sarebbe poco
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I PATTI PARASOCIALI
Comunque sia, poiché la dottrina quasi unanime e la giurisprudenza prevalente ritenevano ammissibile, già prima della riforma e
sulla base dell’art. 2479, 1° co. (11), un regime statutario di totale
intrasferibilità delle quote (12), sarebbe stato incoerente, dal punto
di vista sistematico, vietare una pattuizione parasociale di
“blocco” (13). Alle ragioni di tecnica giuridica, le quali potevano
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esatta e non decisiva secondo la dottrina maggioritaria, che com’è noto sostiene
l’efficacia reale della clausola di prelazione. Sullo specifico punto v. R. RESCIO, La
distinzione del sociale dal parasociale (sulle c.d. clausole statutarie parasociali),
in Riv. soc., 1991, p. 615 ss.; sull’ampio dibattito, che non può essere certo
riassunto in questa sede, e per una prospettazione riepilogativa delle varie
posizioni si rinvia a G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società,
Vª ed., Torino, 2001, p. 241 ss., testo e note; per una più ampia ricognizione in
argomento v. diffusamente V. MELI, La clausola di prelazione negli statuti delle
società per azioni, Napoli, 1991. Con specifico riferimento al diritto di prelazione
sulle azioni inoptate spettante al socio in sede di aumento del capitale a pagamento
si v. Trib. Trieste, 27 luglio 2002 (ord.) e Id., 3 settembre 2002 (ord. G.D.), in
Società, 2003, p. 608 ss., con nota di M. SANTORO, Ammissibilità del sequestro
giudiziario a seguito di violazione del diritto di prelazione ai sensi dell’art. 2441,
terzo comma. In entrambe le pronunce il Tribunale ritiene, in controtendenza
rispetto all’orientamento giurisprudenziale dominante, la natura obbligatoria e non
reale della clausola di prelazione là dove la legge non la accompagni ad un diritto
di riscatto; al di fuori di quel caso, infatti, il titolare del relativo diritto potrebbe
vantare unicamente una pretesa di tipo risarcitorio. E questa sarebbe, appunto,
l’ipotesi di cui all’art. 2441, 3° co. c.c., pure se di prelazione legale si tratta. La
prima delle due pronunce, inoltre, esclude che ai diritti di credito nascenti dal
possesso di azioni possa riconoscersi una tutela reale: sul punto V. MELI, op. cit.,
p. 42.
(11) Dispone l’art. 2479, 1° co., ovviamente nella sua formulazione originaria, che “le quote sono trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di
morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”.
(12) Sul punto v. G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 553, testo e nt. 1. In senso
favorevole, fra gli altri, G. SANTINI, op. cit., p. 106; L. F. PAOLUCCI, Le società a
responsabilità limitata, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 17,
Impresa e lavoro, t. III, Torino, 1985, p. 279, testo e nt. 89; ma in senso contrario
L. BUTTARO, Sull’ampiezza e sulle conseguenze delle limitazioni alla circolazione
delle quote di società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 1992, p. 489 ss.
(13) Più esattamente si è osservato, in proposito, che “... potendosi stabilire
addirittura l’intrasferibilità delle quote, sarebbe incongruo ritenere invalide clausole di limitazione della trasferibilità ...”, anche considerando che “il campo di
applicazione dell’art. 22 della legge 281/1985 è, inoltre, limitato alle sole società
per azioni”: O. CAGNASSO-M. IRRERA, op. cit., p. 192.
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indurre a preferire il sindacato di blocco ad una clausola statutaria
di intrasferibilità delle quote, ex art. 2479, perché il primo (diversamente dalla seconda) non incide sull’assetto organizzativo dell’ente (14), si sommavano poi le ragioni pratiche più diverse, essendo
fuor di dubbio, comunque, che i patti sottendevano “interessi meritevoli di tutela” (15).
Non è fuori luogo, poi, ricordare che nell’evoluzione normativa,
e prima ancora dottrinale, in materia di s.p.a. la possibilità di
limitare la circolazione azionaria cresce mano a mano che la società
si allontana dal mercato, fino a raggiungere la massima estensione
nella società “chiusa”, là dove l’aggettivo è precipuamente riferito
alle modalità di circolazione della partecipazione. E non è un caso,
infatti, che proprio per le società quotate in borsa da un lato il
legislatore abbia sancito l’illegittimità delle clausole di gradimento (16), dall’altro taluni Autori abbiano sostenuto e tuttora
sostengano l’inammissibilità — o comunque l’inopportunità delle
convenzioni parasociali di voto e blocco (17).
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(14) G. RACUGNO, op. loc. cit.: “l’elasticità del modulo legale della società a
responsabilità limitata consente che una medesima clausola possa essere inserita
nell’atto costitutivo (per esempio, intrasferibilità delle quote, ex art. 2479 c.c.) o sia
contenuta in un patto parasociale (sindacato di blocco), con conseguente assoggettamento a diversa disciplina, stante l’incidenza che soltanto la prima riveste
nell’assetto organizzativo della società. Problema ulteriore è stabilire se la clausola
statutaria, invalida per incompatibilità con il modello legislativo, possa considerarsi
valida come patto parasociale”.
(15) G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, Art. 2472-2497-bis, in
Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 3ª ed., Bologna-Roma,
1984, p. 55, testo e nt. 4, che fa riferimento, in particolare, agli accordi parasociali
di finanziamento della società, o stipulati per garantire ad essa il godimento di certi
beni o brevetti; cfr. G. RACUGNO, op. loc. cit., con riguardo, parimenti, ai patti
parasociali “... che incidono sui finanziamenti dell’iniziativa o sull’apporto dei
conferimenti”.
(16) Il percorso di progressiva delegittimazione delle clausole di gradimento
nel settore delle società quotate è troppo noto per essere ricordato: si rinvia, per
tutti, a C. ANGELICI, op. ult. cit., p. 131 ss.
(17) G. ROSSI, Le diverse prospettive dei sindacati azionari nelle società
quotate e in quelle non quotate, in Riv. soc., 1991, p. 1353 ss., sostiene in proposito
che dette clausole “... sottraggono all’investitore medio non solo la garanzia della
separazione dei poteri fra gli organi sociali, ma anche il rigoroso trasparente
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I PATTI PARASOCIALI
Anche senza prendere partito su quest’ultima opinione, non si
può negare che nelle società “aperte” al mercato dei capitali l’introduzione di una disciplina parasociale che limiti la negoziabilità delle
partecipazioni certamente richiede una ponderazione più attenta, e
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rispetto di tutte le formalità di funzionamento degli organismi stessi e minacciano
di conseguenza i soli suoi strumenti di protezione”, ivi, p. 1363. L’A. ritiene, più in
generale, l’assoluta intolleranza della disciplina di mercato alle pattuizioni fondate
sull’intuitus personae piuttosto che sull’intuitus pecuniae, anche in ragione dei
poteri di gestione “indiretta” che l’azionista partecipante ad un sindacato di
comando è in grado di esercitare rispetto all’investitore qualunque. E non manca di
richiamare gli esempi di ordinamenti nordamericani nei quali alle società rette da
patti parasociali di voto o blocco è precluso il public offering: in particolare il §
342(a)3 del Delaware Code, ed i §§ 55-73(b) del North Carolina General Statute.
Sostanzialmente concordi A. CERRAI-A. MAZZONI, La tutela delle minoranze, in Riv.
soc., 1993, p. 65. Cfr. pure più recentemente, nello stesso senso e anche con
riferimento alla riforma societaria, C. FOIS, Le clausole generali e l’autonomia
statutaria nella riforma del sistema societario, in Giur. comm., 2001, I, p. 442 ss.;
ID., I patti parasociali, in corso di pubblicazione in Diritto societario: dai progetti
alla riforma, Atti del Convegno di studi, Courmayeur, 27-28 settembre 2002, p. 11
del dattiloscritto [recentemente pubblicato per i tipi della Giuffrè]; A. TOFFOLETTO,
Patti parasociali e società quotate, in Scritti giuridici per Guido Rossi, I, Milano,
2002, p. 292 ss.; G. NICOLETTI, Le minoranze di controllo nelle società quotate, ivi,
p. 368 ss. Critico rispetto a questa impostazione, in specie per la presunta
incertezza dei suoi risultati, R. RESCIO, I sindacati di voto, in Trattato delle società
per azioni, cit., 3, Assemblea, t. 1, Torino, 1994, p. 715 ss., il quale, in particolare,
osserva che i problemi che i patti parasociali possono generare in società quotate
sono tutti risolvibili attraverso un’adeguata trasparenza dei patti stessi e del loro
contenuto. Nello stesso senso R. COSTI, La Cassazione e i sindacati di voto: tra
dogmi e “natura” delle cose, nota a Cass. 23 novembre 2001, n. 14865, in Giur.
comm., 2002, II, p. 674, che anzi valuta l’opportunità di considerare le norme sulla
pubblicità dei patti parasociali di cui all’art. 122 t.u.f. quale espressione di un
principio generale. Cfr., con riguardo alle clausole di gradimento, B. LIBONATI,
Clausola di gradimento e appello al risparmio diffuso, in Riv. dir. comm., 1983, I,
p. 228, il quale osservava, con riferimento al regime previgente la l. n. 281/85, che
“la clausola di gradimento si presenta meno accettabile quando si tratta di grandi
società con azioni diffuse fra il pubblico ...”, ed evidenziava l’utilità de jure
condendo di pensare, in ordine al punto, ad una disciplina differenziata di “grandi”
e “piccole” società per azioni, giacché le prime si connotano per una struttura
“aperta” al possibile accesso di potenziali investitori e non possono, poi, tradire
questa dichiarata caratterizzazione. Non è difficile comprendere, dunque, che “da
sempre la clausola di gradimento è stata sentita come contraddittoria con la
quotazione in borsa”, ivi, p. 239.
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severi contrappesi in termini di trasparenza del patto, laddove quella
stessa disciplina è naturalmente congeniale alle società “chiuse”.
2. Le convenzioni parasociali nella riforma delle società di capitali, con cenni alle s.p.a.
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Queste prime conclusioni trovano una chiara conferma nel
regime differenziato previsto, sul punto, per le società i cui titoli
siano diffusi presso il pubblico in maniera rilevante (18) e per le
società non “aperte” al mercato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6
(19), che tra l’altro reca una disciplina dei patti parasociali inedita
per la sua collocazione sistematica (20). Per i (soli) patti stipulati
nelle prime, infatti, operano limiti all’autonomia privata quanto alla
durata del patto, come emerge dall’art. 2341-bis, 2° co. E difatti con
riguardo ai patti che abbiano il fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, descritti al 1o co., si impone il
limite massimo di cinque anni, con un’eventualità di rinnovo alla
scadenza che non è automatica. Si richiede, cioè, un’esplicita manifestazione di volontà dei paciscenti onde non trasformare quello che
è per legge un patto a tempo determinato rinnovabile in un patto a
tempo indeterminato con annesso diritto di recesso esercitabile ogni
cinque anni (21). È da ritenere che l’art. 2341-bis, 1° co., nella parte
in cui prevede che i patti che hanno il fine di stabilizzare gli assetti
proprietari o il governo della società non possono eccedere in nessun
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(18) Art. 2325-bis.
(19) In G.U. 22 gennaio 2003, n. 17, suppl. ord. n. 8/L.
(20) L’art. 2341-bis delimita le convenzioni parasociali “rilevanti” per il
legislatore: i patti, “... in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli
assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l’esercizio del
diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono
limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le
controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di
un’influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque
anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un
termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza”.
(21) In questi termini G. SEMINO, I patti parasociali nella riforma delle società
di capitali: prime considerazioni, in Società, n. 2-bis, 2003, p. 349, testo e nt. 19,
dove richiami alla dottrina favorevole al rinnovo espresso del patto alla scadenza.
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caso la durata di cinque anni, sia norma inderogabile; e perciò se le
parti dovessero prevedere un termine maggiore essi si considererebbero stipulati per cinque anni. Volendo assicurare una qualche
coerenza interna alla disciplina, allora, l’espressa previsione, a tenore del 2° co., di patti a tempo indeterminato non può che riferirsi
alle sole convenzioni che non rispondono ai fini di cui sopra, ossia a
patti diversi da quelli che mirano al fine di stabilizzare gli assetti
proprietari o il governo della società.
Quanto al regime pubblicitario l’art. 2341-ter prevede espressamente, per i patti in società “aperte”, un obbligo di comunicazione
alla società ed un obbligo di dichiarazione in ogni assemblea;
ulteriormente prevede che la dichiarazione sia trascritta nel verbale
e che quest’ultimo sia depositato per l’iscrizione nel registro delle
imprese, con funzioni, riteniamo, di mera certificazione anagrafica e
pubblicità-notizia (22).
Gli obblighi di trasparenza e pubblicità imposti ai patti di
società non quotate che fanno appello al mercato dei capitali di
rischio testimoniano che l’organizzazione del potere corporativo,
non appena l’ente si affacci sul mercato dei capitali, cessa di essere
(meramente) una “questione privata” fra i soci. E le norme eteronome si sovrappongono all’autonomia privata al punto che se manca
la dichiarazione del patto in apertura dell’adunanza i possessori
delle azioni sindacate non sono ammessi al voto, mentre la delibera
eventualmente assunta resta instabile, ai sensi dell’art. 2341-ter, 2°
co., ossia annullabile se non superi la “prova di resistenza”.
Complessivamente, dunque, il regime pubblicitario dei patti in
società con titoli diffusi è più severo rispetto a quello delle s.p.a.
“chiuse”, e meno severo rispetto al dettato dell’art. 122 t.u.f. (23),
(22) Arg. da G. OPPO, Patti parasociali: ancora una svolta legislativa, in Riv.
dir. civ., 1998, II, p. 218, ora anche in Scritti giuridici, VI, Padova, 2000, p. 431,
con riferimento al regime pubblicitario dei patti nelle società quotate.
(23) Ai sensi dell’art. 122 t.u.f. “1. i patti, in qualunque forma stipulati,
aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni quotate e
nelle società che le controllano sono: a) comunicati alla CONSOB entro cinque giorni
dalla stipulazione; b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro dieci
giorni dalla stipulazione; c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove
la società ha la sede legale entro quindici giorni dalla stipulazione. 2. La CONSOB
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riservato alle s.p.a. quotate (24). In quest’ultimo caso, tra l’altro, la
violazione degli adempimenti pubblicitari causa la nullità del patto,
laddove per le società con titoli diffusi la sanzione consiste nell’inibizione del voto mentre non è toccata la validità dell’accordo
sottostante. Lo stesso dubbio sulla necessità o meno di applicare ai
patti di s.p.a. non “aperte” gli obblighi pubblicitari imposti dalla
novella al codice — punto che in verità non risulta completamente
chiaro dalla lettura congiunta degli artt. 2341-bis e 2341-ter —
scaturisce dalla considerazione, contenuta nella legge delega, che
tutte le società per azioni, a prescindere dall’appello attuale al
risparmio diffuso, sono in potenza società “aperte” (25). Si spiega,
allora, perché secondo taluni commentatori gli obblighi pubblicitari
dovrebbero essere estesi alle società non “aperte” (26), anche se la
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stabilisce con regolamento le modalità e i contenuti della comunicazione, dell’estratto e della pubblicazione. 3. In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal
comma 1 i patti sono nulli (...)”.
(24) Questa ricostruzione è condivisa da G. SEMINO, op. cit., p. 351 s., che
sottolinea la scelta legislativa “... di modulare un regime di disclosure sempre più
penetrante man mano che la società si apre al mercato ...”. Tra l’altro il nuovo
regime dei patti in società con titoli diffusi è oggetto di critiche per la sua
inattitudine a portare a conoscenza il contenuto del patto, oltre che la sua esistenza:
R. RESCIO, Dei patti parasociali, in Parere dei componenti del Collegio dei docenti
del Dottorato di ricerca in diritto commerciale interno ed internazionale, Università
Cattolica di Milano, in Riv. soc., 2002, p. 1461.
(25) Si v. in tal senso l’art. 4, 1° co. l. 3 ottobre 2001, n. 366 (in G.U. 8
ottobre 2001, n. 234): “la disciplina della società per azioni è modellata sui principi
della rilevanza centrale dell’azione, della circolazione della partecipazione sociale e
della possibilità di ricorso al mercato del capitale di rischio. Essa, garantendo
comunque un equilibrio nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, degli
investitori, dei risparmiatori e dei terzi, prevederà un modello di base unitario e le
ipotesi nelle quali le società saranno soggette a regole caratterizzate da un maggiore
grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di
rischio”. E in argomento v. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a
responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, p. 67, che evidenzia come la s.r.l. si
differenzi dalla s.p.a. non quotata, ossia da una società che “... pur non facendo
ricorso al mercato del capitale di rischio, si riservi tuttavia la “possibilità” di tale
ricorso: ipotesi nella quale la pur mera potenzialità della presenza del socio
risparmiatore fa sì che lo spazio dell’autonomia statutaria, benché suscettibile di
ampliamento rispetto a quello concesso nel previgente ordinamento, debba pur
sempre essere ritagliato in un contesto di strutture organizzative date ...”.
(26) Espressamente in questo senso le Osservazioni di Borsa italiana s.p.a.,
in Riv. soc., 2002, p. 1568.
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legge delega e la relazione illustrativa al decreto sembrano deporre
in senso contrario (27).
3. Le convenzioni parasociali nella società a responsabilità limitata.
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Un primo, chiaro indizio a favore dell’ammissibilità delle convenzioni parasociali in s.r.l. anche nel nuovo quadro normativo ci
viene proprio dall’art. 2341-bis, appena esaminato, che disciplina
determinate tipologie di patti — ed in particolare quelli di voto e
blocco — con riferimento a tutte le s.p.a. ed alle “società che le
controllano”, senza precisare che la controllante debba essere a sua
volta una s.p.a. (28). Un secondo indizio « forte » proviene dalla
Relazione illustrativa al decreto, ove si evidenzia che la “disciplina,
inserita nel capo relativo alle società per azioni, ha inteso regolare la
fattispecie con riferimento a quel tipo sociale [la s.p.a., n.d.r.],
perché in esso è più sentita l’esigenza di garantire regole certe e
definite in considerazione della maggiore rilevanza per il pubblico e
per il mercato finanziario; essa, ovviamente, non intende escludere
la possibilità che analoghi patti riguardino altre forme di società, per
le quali ovviamente resterà applicabile la disciplina generale dell’autonomia privata e dei contratti, così per esempio per le società a
responsabilità limitata come anche per le società di persone”. E così
anche per le cooperative, ci sentiamo di aggiungere.
Ma veniamo alla disciplina specifica: la legge delega, il cui art. 3
è dedicato alla società a responsabilità limitata, pone al centro della
riforma un’ampia autonomia statutaria e una larga libertà di forme
(27) L’art. 4, 7° co., lett. c) della legge delega effettivamente circoscrive alle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ai sensi del 2° co., lett.
a), una disciplina dei patti parasociali che “... ne assicuri il necessario grado di
trasparenza attraverso forme adeguate di pubblicità”. La relazione illustrativa, al §
2, rimarca che la legge delega richiede forme di pubblicità per i (soli) patti delle
s.p.a. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
(28) Per il testo dell’art. 2341-bis v. supra, nt. 20.
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organizzative (29). L’autonomia statutaria è chiamata ad operare, in
particolare, “…riguardo alle strutture organizzative, ai procedimenti
decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei
soci…” (30).
E proprio la “libertà di forme organizzative” evoca le convenzioni parasociali di voto, poiché esse consentono di ovviare alla
rigidità del modello legale delle società di capitali (31); tanto più che
la riforma mira a svincolare la s.r.l. dall’archetipo della s.p.a. anche
affrancandola dall’obbligo di adottare un’organizzazione rigidamente corporativa (32). E vi è un parallelismo evidente fra l’autonomia statutaria nei procedimenti decisionali, che si esprime innanzi
tutto nella liberalizzazione e facoltizzazione del metodo assembleare (33), e l’autonomia contrattuale parasociale: la derogabilità
del metodo assembleare, esplicazione di autonomia statutaria, è
certamente favorita dall’autonomia parasociale, come si desume
agevolmente dal fatto che le convenzioni di voto sono in grado di
ridurre metodo assembleare e principio maggioritario ad un mero,
se pure irrinunciabile, rituale (34). Ed allora, se si accetta il dato
reale che nelle s.p.a. il patto parasociale, ed in specie il sindacato di
voto, può condurre ad una sostanziale eterodeterminazione delle
scelte gestorie (e che i poteri extra-assembleari dell’azionista controllante spesso si esplicano proprio tramite una convenzione di
voto) (35), a maggior ragione deve ammettersi che questa evenienza
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(29) Art. 3, 1° co., lett. b) e c).
(30) Art. 3, 2° co., lett. e).
(31) Da ultimo R. RORDORF, op. cit., p. 19.
(32) G. ZANARONE, op. ult. cit., p. 68, il quale osserva essere venuto meno per
la s.r.l. “... ogni obbligo di adozione della struttura corporativa, cioè di un sistema
basato sulla procedimentalizzazione dei momenti deliberativi e sulla rigida ripartizione delle competenze fra diversi organi sociali: strutture organizzative e meccanismi decisionali — in altre parole — devono essere lasciati integralmente all’autonomia statutaria”.
(33) Cfr. artt. 2379 e 2379-bis. E sul punto, pure se con riferimento ai
progetti di legge-delega Mirone e Veltroni, V. AFFERNI, “Progetto Mirone” e modelli
organizzativi per la piccola e media impresa, Milano, 2001, p. 167 s.
(34) Sul punto C. FOIS, Le clausole generali e l’autonomia statutaria nella
riforma del sistema societario, cit., p. 454.
(35) Sul punto, per le s.p.a., cfr. A. SERRA, L’assemblea: procedimento, in
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possa verificarsi nelle s.r.l., dove la distanza tra soci e amministratori è ancora più ridotta, ed anzi si assiste alla normale coincidenza
fra gli uni e gli altri (36).
A ciò si aggiunga che la legge delega prescrive “…un autonomo
ed organico complesso di norme, anche suppletive, modellato sul
principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali
tra i soci” (37). Ove si voglia valorizzare al massimo questa menzione
dei rapporti contrattuali fra i soci non si deve confinarla, ci sembra,
all’ambito dei rapporti corporativi, che riguardano i soci in quanto
membri della persona giuridica, e bisogna piuttosto estenderla ai
rapporti che coinvolgono i soci uti singuli. Se questa interpretazione
fosse corretta non vi sarebbe ragione, allora, di escludere dal novero
dei “rapporti contrattuali fra i soci” cui si riferisce la legge delega i
patti parasociali, che dei primi sono una specie, e fra le più rilevanti
nella pratica (38). La giurisprudenza di legittimità, tra l’altro, ha
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Trattato delle società per azioni, cit., 3, t. 1, cit., p. 55 s.; P. SCHLESINGER, I poteri
extra-assembleari dell’azionista di controllo, in Riv. dir. priv., 1996, p. 449 ss.; G.
ROSSI, Il mito della corporate governance, in Atti del Convegno di Studi, Courmayeur, 28-29 settembre 2001, Milano, 2002, p. 15.
(36) Cfr. L.F. PAOLUCCI, op. cit., p. 292; O. CAGNASSO-M. IRRERA, op. cit., p.
196; RACUGNO, op. cit., p. 1065; con riferimento alla riforma societaria cfr. G.
ZANARONE, op. ult. cit., p. 66 ss.
(37) Art. 3, 1° co., lett. a) della legge. Sottolinea il peculiare profilo della
“personalizzabilità” della s.r.l. entro la riforma P. RESCIGNO, Osservazioni sul
progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata,
in corso di pubblicazione in La riforma del diritto societario, Atti del Convegno di
studi, Courmayeur, 27-28 settembre 2002, cit., p. 11 del dattiloscritto, che in
particolare segnala che questa forma societaria si presta ad essere strumento ideale
per la costituzione di joint ventures paritarie. In questa prospettiva l’A. osserva, per
la verità senza approfondire il punto, che fra le forme convenzionali (contrattuali)
di risoluzione delle situazioni di impasse derivanti dalla struttura paritaria della
partecipazione quella del patto parasociale sarebbe poco consigliabile, in quanto
“problematica”. Ma l’osservazione è chiaramente ambivalente, essendo il piano
dell’opportunità diverso e distinto da quello dell’ammissibilità.
(38) Si v. V. SALAFIA, Lo schema di legge delega per la riforma del diritto
societario, in Società, 2000, p. 7. Con riferimento al Progetto Mirone l’A. esplicitamente osserva: “la prevista centralità dei rapporti contrattuali tra i soci, che
riguarda, secondo me, i patti parasociali, serve ad ulteriormente rafforzare l’autonomia che viene ampiamente riconosciuta alla società a r.l., come è anche dimostrato dal fatto che, a differenza di quanto lo schema prevede a proposito dei patti
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recentemente ribadito l’appartenenza dei patti al generale alveo dei
contratti atipici meritevoli di tutela, ex art. 1322, 2° co. c.c., e la
conseguente applicazione diretta agli stessi della disciplina generale
sui contratti, anche per l’aspetto della recedibilità ad nutum da
quelli stipulati a tempo indeterminato (39).
Nel sottolineare la centralità dei rapporti contrattuali fra i soci,
dunque, la legge delega pone l’autonomia contrattuale al fianco
dell’autonomia statutaria (40): entrambe infatti, al di là delle inne-
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parasociali inerenti alla società per azioni, nessuna limitazione, se non quella
discendente dall’applicazione delle norme generali, viene posta alla loro contrattazione”. Nel senso della generale ammissibilità dei patti parasociali in s.r.l. anche F.
KUSTERMANN, Considerazioni critiche sui patti parasociali, come previsti nella legge
delega n. 366 del 2001, ivi, 2002, p. 170 ss.; R. RESCIO, La disciplina dei patti
parasociali dopo la legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. soc.,
2002, p. 857 ss., che parimenti riporta l’ammissibilità dei patti direttamente all’art.
3, 1° co., lett. a) l. delega, ed ulteriormente osserva che “... sebbene ... nulla sia
previsto per la società a responsabilità limitata, non può ignorarsi che per i fruitori
di tale tipo sociale i patti parasociali costituiscono una realtà di rilievo. Né v’è
motivo di ritenere che detta realtà cessi o divenga scarsamente rilevante con la
riforma, nonostante l’ampliamento dell’autonomia statutaria che si promette. Certe
esigenze soddisfatte soltanto nei patti parasociali rimarranno immutate: si pensi ...
a intese che non si vogliono palesare agli estranei alla società con il loro inserimento
nello statuto sociale”. Decisa anche la posizione di G. SEMINO, op. cit., p. 350, testo
e nt. 23, dove precisamente è detto che “ragioni di ordine sistematico portano a non
poter dubitare della stipulabilità di accordi parasociali relativi a tipi sociali diversi
dalla società per azioni”. Esplicitamente favorevole ai patti in s.r.l., società di
persone e cooperative G. LOMBARDI, I patti parasociali nelle società non quotate e
la riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, p. 279.
(39) Si allude a Cass. 23 novembre 2001, n. 14865 (v. supra, nt. 17 e infra, nt.
43), la quale, in tal modo, ha “corretto” l’opposta valutazione di nullità dei patti
stipulati a tempo indeterminato espressa da Cass. 20 settembre 1995, n. 9975, in
Giur. comm., 1997, II, p. 58 ss., con interventi di V. BUONOCORE, V. CALANDRA BUONAURA, F. CORSI, R. COSTI, A. GAMBINO, P.G. JAEGER. Qui il S.C. osserva, in aggiunta,
che “... il ricorso allo strumento del recesso ad nutum, per assicurare la temporaneità
del vincolo negoziale, nei contratti, anche atipici, a tempo indeterminato, (od a termine eccessivamente protratto) risponde, d’altra parte, anche ad una non eludibile
esigenza di conformazione del contratto a buona fede che si impone in fase esecutiva
in virtù del disposto dell’art. 1375 c.c... e per via stessa di integrazione del contratto,
in ragione della riconducibilità della clausola di buona fede al dovere costituzionale
di solidarietà, operante ... anche all’interno del rapporto negoziale e con forza di
norma inderogabile, immediatamente e direttamente precettiva”.
(40) V. anche supra, inizio § 1.
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gabili diversità strutturali (41), sono espressione di autonomia
privata, ed entrambe, nel contesto della nuova s.r.l., sono autorizzate a dettare legge fra le parti (42). E di questa specie di rapporti
contrattuali, del resto, anche la pratica recente fornisce qualche
esempio, a breve distanza dal varo della riforma societaria (43).
Nel complesso, dunque, può dirsi che la riforma ha instaurato una
sorta di complementarietà fra patti sociali, frutto dell’autonomia statutaria, che sono destinati a regolare il funzionamento della società in
ragione della loro intrinseca attitudine metaindividuale ed organizzativa, e patti parasociali, manifestazione di un’autonomia privata di
stampo più soggettivistico (contrattuale), che sono destinati essenzialmente a regolare l’esercizio di taluni diritti sociali (44). Spetta, poi,
ai soci stessi e a nessun altro la scelta di implementare l’una o l’altra
specie di autonomia, e anche se si potrebbe forse ipotizzare che il forte
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(41) Non è dubbio che l’autonomia statutaria è fonte di norme che presentano un gradiente di oggettività ben superiore a quello dei comuni contratti, in
quanto norme dell’organizzazione (societaria), come tali improntate a quella rilevanza metaindividuale di cui si è già discorso (v. supra, § 1): in argomento si rinvia
a C. ANGELICI, Vicende associative e attività giuridiche, cit., p. 300 ss.
(42) ZANARONE, op. ult. cit., p. 84, e v. anche supra, inizio § 1, testo e nt. 4.
(43) Si allude al caso deciso da Cass. 23 novembre 2001, n. 14865, cit.
(supra, nt. 17, 39), pubblicata anche in Società, 2002, con nota di L. PICONE, p. 431
ss., e in Corr. giur., 2003, p. 323 ss., con nota di G. LOMBARDI, Questioni in tema di
durata dei patti parasociali. Nella fattispecie il S.C. (confermando App. Milano, 24
luglio 1998, in Giur. it., 1998, p. 2336 ss.), riteneva validi due patti parasociali
stipulati per la nomina degli amministratori in due s.r.l., delle quali l’una era
interamente posseduta dall’altra, ed in virtù dei quali uno dei soci della controllante, già amministratore della stessa, veniva nominato amministratore delegato
della controllata. In una situazione di perdita dell’intero capitale nelle due società
il S.C., considerando l’estraneità del patto parasociale sulla nomina degli amministratori all’organizzazione sociale, e sulla base dunque di una distinzione formale
tra i due piani — sociale e parasociale — riteneva che il primo (così come la
parallela scrittura privata sulla disciplina dei rapporti finanziari fra le due società)
non avrebbe potuto inficiare il funzionamento della seconda, ed in particolare del
suo organo assembleare. In altre parole, l’assemblea della controllata (pure se
composta unicamente dai soci sindacati) avrebbe comunque dovuto (potuto)
procedere alla riduzione del capitale per perdite, alla revoca dell’amministratore e
all’esercizio dell’azione di responsabilità nei suoi confronti.
(44) N. ABRIANI-L. CALVOSA-G. FERRI jr, Diritto delle società di capitali [Manuale breve], Milano, 2003, p. 119.
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incremento dell’autonomia statutaria abbia reso superfluo il ricorso
ai patti (45), questa ipotetica conclusione atterrebbe, comunque, al
piano dell’opportunità, in nulla incidendo sull’ammissibilità in via di
principio delle convenzioni parasociali, come chiariremo fra poco.
Ben più rilevante è, semmai, il problema di individuare i limiti
dell’autonomia statutaria, dando per presupposto che detti limiti ci
siano anche ora, ma che debbano essere rideterminati alla luce della
riforma (46).
4. Conclusioni.
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Possiamo concludere che i patti parasociali in s.r.l. non solo
sono validi alla luce della riforma, ma anzi proprio per l’assenza di
una disciplina espressa non soffrono alcuna limitazione di tipologia
e contenuto (47): la visibile opzione per una valorizzazione della
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(45) Ipotesi che, peraltro, non convince, sia perché l’autonomia statutaria —
per quanto ulteriormente ampliata — non è illimitata, sia perché resta ferma l’innegabile eventualità che i soci semplicemente preferiscano non dare dignità e rilievo
di norma statutaria a determinati accordi: sul punto già G. RACUGNO, op. cit., p. 1054.
(46) Sulla questione dei limiti all’autonomia statutaria si rinvia al contributo
di C. IBBA, in questo Quaderno. E. v. pure ID., In tema di autonomia statutaria e
norme inderogabili, in Atti del convegno di Padova-Abano Terme, 5-6-7 giugno
2003: Le grandi opzioni della riforma del diritto societario e del processo societario,
di prossima pubblicazione per i tipi della Cedam.
(47) Sul punto v. G. ZANARONE, op. loc. ultt. cit. Più radicalmente, taluna
giurisprudenza onoraria ipotizza, persino, che il patto concluso fra tutti i soci di una
s.r.l. abbia una rilevanza “reale”, e che ragionare altrimenti significherebbe optare
per una concezione esasperatamente realista della persona giuridica: in tal senso
Collegio Arbitrale, Lodo 7-12 giugno 2000, G.B. PORTALE-L.A. BIANCHI-R. SACCHI, in
Giur. it., 2001, p. 1208, che richiamandosi ad una certa giurisprudenza anni ’80 del
Bundesgerichtshof, seguita più recentemente anche dalla Suprema Corte austriaca,
ritiene che il patto parasociale stipulato fra tutti i soci in società a base spiccatamente personalistica sia, come tale, opponibile alla società. La dottrina italiana è in
larga prevalenza contraria a quest’impostazione: sul punto si rinvia a R. RESCIO, I
sindacati di voto, cit., p. 557; C. ANGELICI, op. ult. cit., p. 329, testo e nt. 83, dove
si osserva che sul piano assiologico non può attribuirsi “rilievo reale” (societario) a
tutto ciò che non riguarda oggettivamente l’agire della società e dove l’A. propone
la classica e formale distinzione “... tra la posizione del soggetto uti socius e uti
singulus, la distinzione, se si vuol dire, tra l’ipotesi in cui ci si pone nei confronti
dell’organizzazione societaria come “terzo”, seppur ovviamente ad essa interessato,
o come membro della compagine sociale ...”. E solo tramite il riconoscimento della
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fonte contrattuale rispetto alla fonte legale in materia di disciplina dei rapporti fra i soci, resa esplicita all’art. 3, 1° co., lett. a)
l. delega (48), opera infatti in un duplice senso. Essa “…va intesa
innanzi tutto in senso formale, a significare cioè che, sul piano dei
rapporti tra i soci, l’autonomia privata non ha bisogno di esplicita
autorizzazione né per regolare una materia non regolata dalla legge,
né per regolarla in modo diverso dalla legge, incontrando l’unico
limite dell’eventuale natura imperativa di quest’ultima…” (49). Va
intesa, poi, in senso sostanziale, e da questo punto di vista “…parlare di centralità dei rapporti contrattuali tra i soci significa sottolineare l’esigenza che, in tema di rapporti interni, il legislatore debba
fare un passo indietro e dunque o non regolare la materia o regolarla
con norme prevalentemente dispositive” (50), ciò che vale in primo
luogo per la tipologia delle convenzioni ed il relativo contenuto.
Quanto, poi, alla durata, sembra da riaffermare l’applicazione diretta agli stessi della disciplina generale sui contratti, come ha
recentemente ribadito la Suprema Corte, ivi compresa la recedibilità
ad nutum da quelli stipulati a tempo indeterminato (51). Vero,
infatti, che la s.r.l. rappresenta, entro il novero delle società di
capitali, il prototipo della società “chiusa”, e vera la circostanza che
lo statuto può precludere (anche) interamente la circolazione delle
quote, non v’è ragione alcuna di imporre un limite massimo alla
durata dei patti, ed in particolare di ipotizzare un’applicazione per
analogia dell’art. 2341-bis, 1° co. c.c. (52) e del relativo limite
personalità giuridica si può assegnare un significato metaindividuale all’assetto di
interessi societario; ciò che esclude in radice l’attribuibilità di questo carattere alla
convenzione parasociale, che non coinvolge la persona giuridica, mentre è irrilevante, a riguardo, il numero dei soci partecipanti al patto, quand’anche, appunto,
dovesse trattarsi della totalità di essi.
(48) V. supra, § 3, testo e nt. 37.
(49) G. ZANARONE, op. loc. ultt. cit.
(50) G. ZANARONE, op. loc. ultt. cit.
(51) V. supra, fine § 3.
(52) Si può incidentalmente ricordare che pure se la s.r.l. è stata “affrancata”,
per così dire, dai richiami sistematici alla disciplina delle s.p.a., ciò non preclude,
secondo i princìpi generali, il ricorso analogico a quest’ultima, là dove se ne ravvisi
l’opportunità: sul punto v. G. ZANARONE, op. ult. cit., p. 83 s.
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quinquennale di durata (53). Tanto più che lo stesso art. 2341-bis, al
2° co., contempla l’ipotesi del patto stipulato a tempo indeterminato, pure se subordina ad un preavviso di sei mesi l’eventualità del
recesso dal medesimo (54).
Resta, piuttosto, da dire che i patti sono destinati a restare
occulti, in assenza di uno specifico regolamento normativo sulla loro
pubblicizzazione (55); ed allora gioverebbe interrogarsi sull’utilità di
norme imperative in tema di trasparenza, le quali intervengano,
eventualmente, ad imporre idonee misure di pubblicità, inderogabili
dall’autonomia privata e adeguatamente calibrate sull’organizzazione della s.r.l., specie in materia di procedimenti decisionali (56). È
proprio questa assenza di conoscibilità, infatti, l’unica vera obiezione all’ammissibilità dei patti, poiché per il resto la scelta di un
accordo contrattuale piuttosto che di una clausola statutaria per la
disciplina di talune materie deve restare rimessa, come si è detto,
alla volontà dei soci. E ciò per la ragione fondamentale che non
parrebbe autorizzata qualunque interpretazione che volesse limitare
questa libertà di scelta sulla base di una valutazione aprioristica per
cui qualunque accordo contrattuale potrebbe (dovrebbe) tradursi in
una corrispondente clausola dello statuto.
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(53) Si segnala, anzi, in proposito, che proprio la s.r.l. è, fra i tipi di società
di capitali, quello che si presta a disciplinare rapporti contrattuali fra i soci a tempo
indeterminato, o comunque superiore ai cinque anni: G. LOMBARDI, op. cit., p. 280.
(54) Ma in proposito è opportuno richiamare l’opinione che ritiene comunque praticabile, anche se non espressamente previsto, il recesso ad nutum: G.
SEMINO, op. cit., p. 350, nt. 20.
(55) L’osservazione è di F. KUSTERMANN, op. cit., p. 169; critico sulla mancata
menzione dei patti nella legge delega anche R. RESCIO, La disciplina dei patti
parasociali dopo la legge delega per la riforma del diritto societario, cit., p. 857,
testo e nt. 24, che tuttavia ritiene non irrimediabilmente preclusiva la norma
delegante, nonostante l’insoddisfacente tenore letterale; esplicitamente nel senso
dell’ammissibilità anche G. SEMINO, op. cit., loc. ult. cit.
(56) È chiaro, ad esempio, che non si potrebbe fare affidamento su una
dichiarazione in assemblea dell’esistenza del patto, secondo la disciplina dettata per
le s.p.a., per la ragione già evidenziata che la presenza dell’assemblea — come di
una struttura corporativa in genere — è solo eventuale. Da questo punto di vista il
problema della pubblicità delle convenzioni in s.r.l. a struttura non corporativa e in
società di persone potrebbe forse essere affrontato e risolto in termini analoghi,
come analoghi sono, nei corrispondenti modelli, i procedimenti decisionali.
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Bisogna infatti prendere atto che, allo stato, appare decisamente
più calibrata, appunto sotto il profilo della trasparenza, la disciplina
delle limitazioni statutarie alla circolazione della quota: la presenza
di una clausola di intrasferibilità della partecipazione, ex art. 2469,
2° co., autorizza, infatti, il socio al recesso (57), la cui regolamentazione è affidata poi — per la prima volta tra l’altro — all’autonomia
statutaria proprio al fine di controbilanciare gli effetti delle clausole
di mero gradimento (58).
L’assenza di una disciplina sui patti, specie in termini di trasparenza degli stessi, appare problematica anche con riferimento alla
tutela dei soci di minoranza: pure se il tipo s.r.l. postula, di norma,
un rapporto stretto fra tutti i soci, è anche vero che non è, quest’ultimo, un elemento costitutivo della fattispecie, ossia del tipo giuridico, e che la sua “normalità” non equivale alla sua indefettibilità
bensì soltanto all’id quod plerumque accidit (59). Può dunque capitare che i soci di minoranza si trovino ad ignorare l’esistenza, il
contenuto e la composizione dei patti, ovvero, pur conoscendoli,
nell’impossibilità di autotutelarsi rispetto a quei mutamenti dell’organizzazione del potere, e delle sue regole, che solitamente l’esistenza dei patti porta con sé (60). A ciò si aggiunga che non solo i
soci di minoranza possono essere interessati a conoscere i patti, ma
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(57) Art. 3, 2° co., lett. f) l. delega, ai sensi del quale fra i criteri direttivi
rientrano quelli di “ampliare l’autonomia statutaria con riferimento alla disciplina
del contenuto e del trasferimento della partecipazione sociale, nonché del recesso,
salvaguardando in ogni caso il principio di tutela dell’integrità del capitale sociale
e gli interessi dei creditori sociali; prevedere, comunque, la nullità delle clausole di
intrasferibilità non collegate alla possibilità di esercizio del recesso”.
(58) M. RESCIGNO, op. cit., p. 4 del dattiloscritto.
(59) Sul punto si rinvia diffusamente, e per tutti, a P. SPADA, La tipicità delle
società, Milano, 1974, cui adde, per le s.r.l., G. ZANARONE, Società a responsabilità
limitata, cit., p. 19 ss.
(60) F. KUSTERMANN, op. cit., p. 171 ss., il quale evidenzia che l’unica “arma”
residuale a disposizione dei soci non sindacati è, nel caso in cui ravvisino l’illiceità
del patto o la sua lesività per la società, provare in giudizio prima di tutto la sua
esistenza, e secondariamente la sua invalidità per contrasto con le norme imperative, l’ordine pubblico o le regole di correttezza contrattuale. Altri osservano che
una tutela più incisiva dei patti potrebbe essere garantita dall’applicazione del
principio di buona fede al rapporto sociale e dal ricorso al giudizio arbitrale
secondo equità: R. RESCIO, op. ult. cit., p. 862.
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anche i creditori della società, ed in particolare quella specie qualificata di creditori che con la riforma fanno ingresso nelle s.r.l., e cioè
i “titolari di titoli di debito” (61).
Le obiezioni suaccennate non sono inverosimili, se si considera
che è vero che la riforma ha chiaramente indicato la s.r.l. come il
prototipo della società “chiusa” e a ristretta base sociale, ma in
primo luogo questo “suggerimento” non determina alcuna equivalenza fra s.r.l. ed impresa di piccole dimensioni, e in secondo luogo
non è detto che verrà seguito alla lettera: in altre parole il legislatore
non impone — come invece in altri ordinamenti — ma soltanto
suggerisce una corrispondenza fra dimensioni dell’impresa e opzione per un certo tipo societario (62). Non è dunque da escludere
che anche imprese medio-grandi continuino a ricorrere — come è
sempre avvenuto nella realtà italiana — al tipo s.r.l., ed anzi è facile
che l’opacità dei patti rappresenti un incentivo a ricorrere al tipo in
questione per occultare gli accordi negoziali fra i soci di controllo (63) e i conflitti d’interesse di costoro, e degli amministratori
da loro prescelti, con la società (64). Né è da tralasciare, infine, che
pure nelle s.r.l. si pone un problema di disciplina del gruppo
societario (65): il gruppo di s.r.l. resta interamente sottratto a
qualunque obbligo di trasparenza e pubblicità, salvo che non vi
partecipino anche s.p.a. e che la controllante sia una società a
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(61) R. RESCIO, op. ult. cit., p. 858. Ai sensi dell’art. 2483, 1° co., la società,
se l’atto costitutivo lo prevede, può emettere titoli di debito; precisa il 2° co. che i
titoli in questione potranno essere sottoscritti unicamente da investitori professionali sottoposti a vigilanza prudenziale secondo le leggi speciali. È rimessa, poi,
all’autonomia statutaria la determinazione delle condizioni del prestito (3° co.).
(62) Sul punto v. V. AFFERNI, op. cit., p. 164.
(63) F. KUSTERMANN, op. cit., p. 173.
(64) Ciò è quanto si è verificato nel caso deciso da Cass. 23 novembre 2001,
n. 14865, cit., dove la mancata revoca dell’amministratore, responsabile di non
avere evitato la perdita del capitale nelle due società, si doveva principalmente al
fatto che questi fosse stato nominato da un’assemblea composta unicamente da soci
sindacati.
(65) V. la sentenza citata da ultimo in nt. prec. Va anzi sottolineato che la s.r.l.
si presta non meno della s.p.a., specie nel sistema italiano, a fungere da strumento
di concentrazione economica, per il perseguimento di un disegno economico unitario
all’interno di una struttura di gruppo: v. G. RACUGNO, op. cit., p. 1043.
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responsabilità limitata. L’assenza, nelle s.r.l., di una disciplina sulla
trasparenza dei patti parasociali — che peraltro era abbozzata nel
Progetto “Veltroni”(66) — e più in generale di qualunque accordo
contrattuale (non statutario) sul controllo corporativo genera anche
un’incoerenza sistematica rispetto al t.u.f. Vero, infatti, che la nuova
disciplina delle società quotate, con titoli diffusi e non quotate,
azionarie e non, è frutto di un processo unitario e coerente (67), lo
“scarto” normativo appena segnalato rischia di compromettere la
riuscita complessiva di questa riforma intesa in senso ampio (68),
specie se si considera che l’economia italiana, notoriamente, è
l’economia delle molte, moltissime s.r.l., mentre poche sono, in
rapporto, le s.p.a. (69), e ancor meno le società “aperte”, come del
resto i grandi mercati.
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(66) Si v. la proposta di legge della Camera dei Deputati, n. 6751, d’iniziativa
Veltroni e altri, presentata il 10 febbraio 2000, nel corso della XIIIª legislatura,
pubblicata in appendice a ASSOGESTIONI, La riforma del diritto delle società nella
prospettiva del risparmio gestito, Milano, 2002, p. 147 ss. Così disponeva l’art. 6,
1° co., lett. i) del Progetto, che è rubricato “assemblee e patti parasociali”: “ la
riforma della disciplina dell’assemblea e dei patti parasociali deve essere ispirata ai
seguenti principi e criteri direttivi: (...) estendere a tutte le società la disciplina dei
patti parasociali dettata per le società quotate dal testo unico emanato con decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, con l’eccezione degli obblighi di comunicazione
per estratto sulla stampa quotidiana e di comunicazione alla ... CONSOB. Potranno
prevedersi forme alternative di pubblicazione per via telematica per le società con
strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico”. È da
dire, però, che la Relazione introduttiva alla Proposta (pubblicata ivi, p. 161 ss.)
confinava le poche considerazioni in materia di patti parasociali alle s.p.a.
(67) M. STELLA RICHTER JR, Dalla riforma del diritto delle società quotate alla
riforma del diritto delle società di capitali e ritorno, in ASSOGESTIONI, La riforma del
diritto delle società nella prospettiva del risparmio gestito, cit., p. 11.
(68) Sul punto v. R. RESCIO, op. loc. ultt. cit., evidenziando che l’interesse alla
conoscenza dei patti si pone in modo analogo nelle s.p.a. non quotate come nelle s.r.l.:
“pertanto, se si conviene sul punto che l’interesse generale alla conoscibilità dei patti
relativi a società non quotate esista e, quantunque non rivesta la stessa importanza
riconosciuta per le quotate, meriti riconoscimento giuridico, una adeguata forma di
pubblicità andrebbe prevista per tutti i rapporti parasociali tra soci di s.r.l. e di s.p.a.
non quotate; pur se con sanzioni per mancata pubblicità maggiormente efficaci per
quelle società non quotate che fanno ricorso al mercato dei capitali”.
(69) Dati numerici puntualissimi sono forniti, su questo punto, da G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, cit., p. 59.
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