Preso con filosofia, il Covid trasforma.
Sintesi
La pandemia segnala la necessità di invertire la sequenza dei valori
che ci hanno portato all’innominabile attuale: da Libertà,
Uguaglianza, Fraternità a Fraternità, Uguaglianza, Libertà.
Sarebbe oltretutto opportuno riconoscere che in Atene, verso i IV
sec. a.C. hanno commesso un errore madornale chiamando Mortale
chi invece doveva essere chiamato Terrestre.
…
L’epidemia del Corona Virus rappresenta una opportunità inaudita
per far sorgere una coscienza planetaria in cui la Terra e i Mortali
che la abitano siano visti e vissuti come un unico organismo vivente.
La follia dell’Occidente si radica, come ci ha insegnato Severino,
nel concetto greco di cosa per cui ogni ente è oscillante tra il nulla
da cui sorge e il nulla in cui tramonta.
Così concepita, ogni cosa è a nostra disposizione, è sotto il nostro
dominio e può essere creata, trasformata, usata e gettata via senza
colpa alcuna perché, in fondo, ogni cosa è niente: altrimenti come
potrebbe essere il Nulla sua origine e destino?
Ma il nichilismo non è la follia originaria, non è la prima follia.
L’errore iniziale, il primo passo nel ‘Sentiero della Notte’, è stato
quello di chiamare l’Uomo ‘mortale’.
Affibbiando all’uomo questa etichetta, la conseguenza necessaria è
stata di fare della vita l’oggetto del contendere con gli Dèi.
La vita: limitata la nostra e illimitata la loro. Loro che comunque
pretendono di essere viventi, viventi senza misura. Da questa
asimmetria sgorga la tonalità vendicativa del vivere umano: la nostra
vita sarà pur limitata, ma noi possediamo la vissutezza (Bazlen) di
cui gli Dèi son privi, e facciamo in po’ quello che cazzo ci pare.
La ‘gloria’ riservata al mortale è dunque quella di vivere per la
vissutezza, oltretutto in modalità vendicativa. La presenza della
morte ha distrutto ogni limite e permesso al mortale di vivere in un
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continuo delirio di onnipotenza: «fin che la va, la va!», disse mio
nonno Fortunio Mastai Ferretti.
Tradotto: siccome devo morire, intanto che vivo faccio tutto il
possibile, vivo al massimo!
In questo delirio di onnipotenza è impossibile per noi mortali
condurci nel cammin di nostra vita come custodi del Creato. Se
invece ad Atene ci avessero chiamato ‘terrestri’ – abitatori della
Terra e non abitatori del Tempo – avremmo fatto della relazione
Terra-Mortale il perno della nostra vita. Magari saremmo anche
riusciti a pensare e vivere questa relazione come un singolo,
inscindibile organismo, senza che il Covid venisse ora a ricordarcelo.
Un doppio, una Terra-Mortale è un organismo vivente; l’abito che
ricopre l’Essere e il ‘luogo’ dove l’Essere abita, non più dimenticato
come si lamentava Heidegger.
Ma abbiamo veramente bisogno dell’Essere per ‘stare in piedi’: non
basta il verbo essere? Un dubbio che sale dopo che Andrea Emo ci
segnala che è proprio «l’incertezza segreta ciò che materialmente ci
tiene in piedi».
Soltanto se i Mortali raggiungono una coscienza planetaria
condivisa si potrà affidare il pieno mandato alla Tecnica di governare
il destino del Mondo, di portare l’organismo vivente verso l’ingresso
del ‘Sentiero del Giorno’, quel sentiero che condurrà il Mortale alla
‘terra che salva’; quella Terra che Severino dimostra quale
destinazione necessaria, sempre stante ma non ancora apparsa.
Dimostrazione che a noi non sembra però sufficiente a portare il
Mortale nella ‘terra che salva’. Dal 1980 – quando ne parlai con
Severino stesso – ad oggi tale Necessità non è riuscita a convincermi
di aver sussunto la Sufficienza. La Necessità porta il Mortale nella
‘Terra che salva’ alla sola drastica condizione di non domandarsi
‘quando’.
Il fatto che qualcosa debba necessariamente accadere non ci dice
affatto quando accadrà: sappiamo che accadrà, ma non quando.
Quando invece Necessità e Sufficienza si incontrano, allora ciò che
deve accadere accade immediatamente. ‘Basta una spinta’, come la
scritta sui palloni serviti da Bruno Conti a Paolo Rossi nel Mondiale
1982.
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Così, se ci accontentiamo della necessità, dobbiamo fare a meno del
tempo: accadrà quando accadrà, tanto è necessario che accada.
La grave conseguenza di cancellare il tempo è che viene trascinata
via anche la nostra storia interiore, il percorso vissuto che ci ha
condotti ad essere ciò che siamo, quel processo di cui abbiamo
coscienza e memoria di aver subìto o provocato, nel o per divenire
noi stessi. Ma è sufficiente che tutto sia necessario perché non ci sia
più Storia?
L’evidenza del divenire nel tempo è innanzitutto un’esperienza
interiore; questa è la terraferma su cui cresce la follia della certezza
che tutto oscilli tra essere e nulla. Noi siamo cresciuti, abbiamo
vissuto e siamo sempre noi stessi: il nostro passato non è scomparso
nel Nulla e non si nemmeno conservato nell’Eternità. Non abbiamo
esperienza né del primo, né della seconda: abbiamo solamente la
nostra memoria. Colli scrive appunto che noi tutti siamo soltanto
memoria.
…
Per poterci affidare alla Tecnica e sopportare i rigori imposti dalla
Ragione Calcolante sua ancella, è prima necessario sottrarla al
dominio del Capitale.
E non è certo cosa da poco: il potere è del Capitale, con i danee dei
capitalisti si sono già comprati l’anima della maggioranza dei
mortali, alimentandola di bisogni artificiali che ne hanno corroso la
natura autenticamente umana, ovvero ridotto la capacità di elaborare
il dolore per convertirlo in energia creativa.
In una situazione così compromessa, è più semplice allora puntare
sulla nascita e sul trionfo planetario di un socialismo liberale alla
guida di un capitalismo sociale in cui la riproduzione del capitale
viene ‘misurata’ alla Solidarietà, nome moderno della Fratellanza, la
povera orfanella della Parigi 1789.
Così come insistendo nella lettura del mondo circondiamo l’astratto
nel concreto, allo stesso modo dobbiamo circondare il profitto
individuale nella misura della fraternità.
Si può resistere allo ‘spirito animale’ keynesiano che soggiace allo
homo homini lupus soltanto nel nostro personale e collettivo
persistere in unità organica con la Terra.
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Il Covid sta dimostrando che ‘non ci si salva da soli’, ma anche che
non si vive da soli: se la Terra è la nostra casa comune e se sotto lo
stesso tetto abitano fratelli, allora il principio della libertà (di
impresa), reso legittimo dall’uguaglianza delle condizioni di
partenza, deve trovare un limite, deve essere circondato dalla
fratellanza.
Ma come fare per oltrepassare la logica suicida del capitalismo,
quella logica che in nome del profitto per il profitto sta dando fondo
alle risorse del pianeta dopo aver cancellato ogni memoria di
fratellanza?
Come e cosa fare per imboccare il ‘Sentiero del Giorno’, se ogni fare
è follia nichilista, secondo la grande incontrovertibile lezione di
Severino? Abbiamo comunque bisogno di una politica economica.
Da Severino abbiamo appreso che il Destino della Verità è l’essere
sé dell’essente. Ciò significa che qualsiasi determinazione, qualsiasi
cosa, qualsiasi ciò che, è relato ma non separabile dal proprio è.
Di conseguenza ogni ciò che è è eternamente: in altre parole l’essere
è un verbo che si colloca al di fuori del flusso del Tempo e tale
collocazione è imposta necessariamente dal Sé, principio e sostanza
di ogni ‘ciò che è eternamente’.
Insomma, l’essere – inteso come verbo – che viene indossato
dall’essente per giungere ad apparire nel proprio cerchio, non è un
verbo declinabile al passato o al futuro. Il Tempo infatti è esperito
dall’essente e dunque è anch’esso disposto, messo, collocato,
posizionato, relato.
Come scritto da Giulio Goggi, «La non separabilità dell’essenza
(quale che sia l’essenza che si consideri) dalla esistenza (e cioè dal
non essere un nulla della qualsiasi essenza considerata) è la stessa
affermazione dell’eternità dell’essente in quanto essente.»
Il Destino ci convince della propria inconfutabilità, ma ci lascia con
l’amaro in bocca perché l’eternità di ogni ente condanna ogni
volontà ad essere violenza e marca come fede folle la convinzione
che ogni cosa provenga dal nulla e lì vi ritorni, meglio quando ha
smesso di servirci: ci scalda la legna che arde nel camino diventando
lentamente cenere.
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E proprio come la legna, tutte le cose sono a nostra disposizione in
quanto sono, in fondo, nulla: come è nulla la legna in cenere. Se ogni
ente è nulla, allora certamente nulla può e, principalmente, non può
caricarci della colpa di volerne disporre violentando ciò che esso è:
la sua eterna identità a sé stesso.
Per questo motivo il Destino non può indicarci nessuna Etica, non
può mostrarci come dobbiamo comportarci, come ‘tirare avanti’. Il
Destino non detta alcuna politica economica
Il Destino ignora la domanda sul ‘che fare’, perché come fai,
qualunque cosa tu faccia per qualsiasi motivo, sbagli, ti inganni,
produci violenza, ovvero separi il ciò che dal suo è trasformandolo,
utilizzandolo per i tuoi scopi.
È una impasse fastidiosa come il ricordo di un peccato che non
abbiamo commesso ma da cui non riusciamo a liberarci. Fastidioso,
incomodante perché, nei fatti, se non proprio il destino, almeno il
nostro futuro è in qualche modo opera nostra, conseguenza del
nostro modo di stare al mondo.
Empiricamente il futuro ci appare a nostra disposizione nel senso
che possiamo decidere quali ‘cose’ saranno oggi da noi lì disposte
per apparire domani, in conseguenza delle decisioni attuali. Il futuro
dipende dalla qualità, ovvero dall’efficacia dell’insieme di atti – tutti
inevitabilmente violenti – che metteremo in pratica dopo averli
decisi.
In questa prospettiva il karma come «qualità etica della decisione
che muove l’azione» perde ogni esotismo, ogni profumo di curry,
per coincidere con l’occidentale «non fare ad altri ciò che non
vorresti che altri facesse a te» come insegnava il maestro Hillel il
Vecchio a Babilonia nel 60 a.C.
La domanda allora potrebbe suonare come ‘a che santo dobbiamo
votarci per uscire da questa impasse?’ Come e cosa dobbiamo fare
per giungere là dove inizia il ‘Sentiero del Giorno’? Severino
afferma che l’imbocco del ‘Sentiero del Giorno’ è da sempre aperto,
quindi se è da sempre allora è necessario ed è qualcosa come la
Lettera Scarlatta.
Ma come si può compiere il primo passo? E questo compiere non è
comunque un fare?
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La filosofia Zen, la sapienza ebraica e Gregory Bateson indicano che
si esce dal cul-de-sac soltanto frantumando il contesto, cambiando
punto di vista, abbandonando il paradigma dominante, perché
‘alzare gli occhi’ significa cambiare punto di vista, come ben
espresso in Genesi 22.4: «Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da
lontano vide quel luogo».
Con quale gesto noi Mortali, abitatori del tempo e ospitati dal Terra,
possiamo cambiare punto di vista? È scritto nel versetto a chiare
lettere: alzando gli occhi, ovvero elevando il pensiero dell’esser sé a
quel particolare essente che è la Terra che abitiamo.
Quando si alzano gli occhi ci si rende conto di dove siamo, vediamo
ciò che ci circonda, ci localizziamo: siamo sulla Terra e abitiamo
tutti allo stesso indirizzo.
Alzando gli occhi sulla Terra essa ci appare come organismo vivente
che ci ospita alimentato dall’energia del Sole e governato dalle leggi
della Natura.
Anche la Terra è un qualcosa, in particolare è un essere vivente che,
oltre a non poter essere separato dal proprio esser sé, possiede una
volontà: la volontà di persistere vivente, condizione specifica
dell’essere sé di quell’essente che la Terra è.
Nella loro gerarchia gli enti, nessuno separabile dal proprio esser sé,
il più grande, il più voluminoso e fragrante di vissutezza è
l’organismo formato dalla congiunzione della Terra ai Mortali che
la abitano nell’innominabile attuale (Calasso).
La struttura di questa congiunzione è l’essenza mistica allusa dal
silenzio che l’avvolge e la nasconde, esponendola nel punto più
evidente implicato dalla Struttura Originaria: l’essenza concreta
della relazione.
La relazione originaria non è quella lega il Cielo alla Terra ma
piuttosto quella tra questi due legati e il Vuoto.
Pensando quest’universale, il Mortale dona vita al Divino perché,
come ci ha insegnato Colli: «l’espressione di un particolare è un
universale» trattenendo in sé la vissutezza che, appunto, è ciò che
manca agli Dèi.
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Lo Spettatore Verace – da notare come suo nome sintetizzi la ragion
d’essere del Divino – è tenuto in tensione, ovvero al suo stesso sé,
proprio dalla vissutezza che, in quanto esperita empiricamente,
appartiene esclusivamente al Mortale: che gli Dèi stiano a guardare!
Ma allora come portarci all’ingresso del ‘Sentiero del Giorno’ e
cominciare a muovere i primi passi al suo interno? Non mi sembra
poter esserci altra via se non quella di rompere il contesto.
Con questa rottura ci liberiamo dalla paralisi che ci vede comunque
colpevoli di violenza, preda della follia che tutto sia a nostra
disposizione perché tutto, in fondo, non è null’altro che nulla.
Questa rottura consiste nel dire che il ‘fare’ è assolto dalla colpa di
essere violenza e follia solo, e solo se, il suo fine è quello di
‘produrre futuro’ per l’organismo in cui Terra e Mortali si
compenetrano, relati e distinti inseparabili.
Si può vedere nella Terra lo è dei Mortali, ovvero la Madre, lo sfondo,
la declinazione concreta, materiale, reale, fisica dell’essere
trascendentale che compete necessariamente al Sé; mentre si può
vedere nel Mortale il ciò che, la singola determinazione che viene
accolta dallo sfondo, fa il suo ingresso, permane e si congeda
dall’apparire.
Tenendo ‘in uno’ la Terra e il Mortale, così come teniamo ‘in uno’ il
ciò che al suo è è il gesto con cui l’Ecologia trova il proprio
fondamento sul Destino della verità dell’essere.
Fin qui le premesse.
Luis Sepúlveda narra le vicende, realmente avvenute, legate alle
riprese di un film sulle Ande cilene. Quando, scaricate le attrezzature,
la troupe si accinge a brindare l’inizio delle riprese, compare
improvvisamente dietro il profilo delle montagne possenti, una
nuvola nera a minacciare tempesta con sinistri lampeggiamenti e
tuoni lontani. Uno scenario biblico: ricorda la convocazione di
Moshé sulla vetta del Sinai.
Sepúlveda, che commerciava col simbolico già da molti anni,
capisce subito l’antifona e fa partecipe del rito propiziatorio
Pachamama – lo Spirito della Terra - versando una coppa di vino al
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suolo. E così, mentre il vino viene assorbito dalle zolle, le nuvole
nere sono spazzate via da un forte vento.
L’armonia tra Terra e Mortali è ristabilita con l’arma del rito, del
richiamo, e si nota appena che tra gli elementi coinvolti aria, acqua,
terra manca il fuoco. Il fuoco, si sa, è custodito altrove.
Se evadiamo dalla gabbia della convinzione che la Natura sia
inanimata, che sia priva di voce, allora con l’ebbrezza dell’evasore,
possiamo udire le ragioni del mito e intendere il messaggio senza
codici che Pachamama sta sussurrando: «la Terra e il Mortale sono
un organismo vivente».
Ed è dunque necessario che al Mortale sia assegnato il compito del
proteggerlo; non fosse altro perché altri non c’è: è il Mortale l’unico
custode del Creato.
In altre parole, sull’onda del Corona Virus oltrepassiamo la
condizione di mortali per indossare la Terra come nostro abito.
Solo così, ovvero avendo ripensato il Destino come Terrestri, e non
più semplicemente come Mortali, possiamo fare senza colpa: solo
partecipando come Terrestri all’esser sé della Terra siamo innocenti;
condizione propedeutica alla responsabilità: quella abilità necessaria
a percorre il ‘Sentiero del Giorno’.
Inserire nel tessuto del Destino, testimoniato da Severino, una fibra
animista per poter così considerare la Terra come organismo vivente
è alquanto esotico, ma se il Destino non ci dice ‘cosa fare’, allora è
inevitabile scendere giù dalle fredde altezze della Necessità per
percorrere i sentieri del Mito e gustarne, nel respiro pulsante, quel
non-so-che di vivo, di empirico, di materico che in esso si incontra,
si esperisce.
D’altronde, finché la Fisica dei Quanti e la Relatività non saranno
unificate in una Teoria del Tutto, fino a quando la ragione del Cosmo
non sarà evidente, la Ragione non potrà negare la sua natura di
rimedio contro la violenza, di farmaco contro il dolore e contro
l’angoscia di essere gettati nel mondo: anche l’Incontrovertibile
verità del Destino in quanto essere sé dell’essente, ha la sua ombra.
L’Incontrovertibile ha la sua ombra perché è prodotto, pensato,
raggiunto, detto, definito per mezzo della Ragione che non riesce e
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sembra mai riuscirà – come mostrano Godel e Heisenberg – a
giungere ad una ‘Teoria del Tutto’ (Barrow).
L’Incontrovertibile è il ‘Destino della verità dell’essere’ portato alla
luce da Severino e sintetizzato nella formula ‘l’essere sé
dell’essente’. Formula prodotta da una Ragione che porta in sé la
coppia formata dai principi di identità con se stesso e di opposizione
a tutto ciò che è altro da sé, in primis il nulla.
Qui la chiave è la congiunzione: la ‘e’ che lega ‘identità’ ad
‘opposizione’: un potentissimo ruolo. La ‘e’ si trova per la prima
volta nel primo versetto della Bibbia, se letta in ebraico, lingua
scritta senza vocali.
Ben diversamente da quanto fecero i Settanta, il versetto va tradotto:
«Facendo uso del concetto di inizio creava e Elo(h)im e i cieli e la
terra». Quella ‘e’ di troppo include gli Dèi nel Creato, come ebbe
poi a riscoprire Bergson.
Interessante, inoltre, quel «facendo uso del concetto di inizio».
L’Inizio, come ha dimostrato Cacciari, è un nodo irrisolvibile perché
non si sa dove ‘ancorarlo’. Così l’Inizio rimane sospeso sull’abisso
(come la Ruah divina in Genesi 1.2 «La terra era informe e deserta
e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle
acque.») soffrendo uno statuto ontologico traballante: «L’Inizio non
è dicibile con le parole del logos».
Il motivo di questa impossibilità è lo stesso per il quale al cuore della
Struttura Originaria – testimonianza iniziale del Destino in Severino
– insiste la ‘contraddizione C’.
Ma questo ‘facendo uso’ è molto intrigante, perché porta ad evidenza
l’eternità di ogni cosa, nascosta dietro la carta velina dell’Inizio.
Sembra che ci sia un tratto severiniano nella Bibbia! Vien da
‘staccare i cavalli’ per l’entusiasmo anche se la situazione è tragica:
una Ragione che non riesce a dar ragione del Tutto, un Inizio che
non si sa dove far iniziare e un’eternità degli essenti che sospende la
funzione creatrice del Divino. Insomma, più che ‘a vista’, si naviga
nella Tenebra.
Interrogato nel profondo, questo ‘facendo uso del concetto di inizio’
appare molto più che un semplice ‘recupero’ dell’eternità nell’Inizio
della Creazione (degli Dèi, dei Cieli e della Terra). ‘Facendo uso’ è
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la forma che la risoluzione della Aporetica del Nulla acquisisce nella
concettualità ebraica: quando il Dio Creatore apre il proprio spazio
interiore al Nulla, crea il Nulla dentro di sé, lo apre perché del Nulla
fa il contenitore degli enti da cui a mano a mano li estrae.
Quindi fa un uso del Nulla, un uso nichilistico, s’intende. In modo
analogo, la risoluzione dell’Aporetica del Nulla fa uso del
significato per porre un Nulla che non viene, suo malgrado,
contaminato dell’essere.
Così depurato, messo in salvo da ogni possibile contaminazione, il
Nulla può essere utilizzato e giocare il suo ruolo nell’opposizione
originaria.
Insomma, notiamo che anche Severino sta facendo uso del concetto
di Nulla – il nulla momento, il nulla in quanto nulla – per collegarlo
al Positivo Significato del Nulla nella risoluzione dell’Aporetica del
Nulla.
Il Positivo Significato del Nulla è un immediato e solare positivo che
viene relato ad un notturno autocontraddittorio (che ‘non è’ come
‘non è’ il contenuto di ogni contraddizione: il cerchio quadrato).
Abbiamo quindi un positivo che viene relato ad un significato; un
significato che ‘fa segno’ al fatto di non avere significato, ovvero di
non poter essere il terminale del gesto che invita: guarda là! Lo si
vede anche a colpo d’occhio che c’è una torsione nel mettere in
relazione un positivo, un ‘solare’ con quel ‘notturno’ che si sporge
dalla tenebra del ‘non’.
Il sopraggiungere del Corona Virus in forma di pandemia e lo
sguardo del Destino sono relati e inseparabili – analogamente a
come il ‘ciò che’ è relato e non separabile dal proprio ‘è’. Vediamo
come.
La follia del nichilismo è una cosa, un ente e, come tutti gli enti, è
destinata ad uscire dal ‘cerchio dell’apparire’. Destino della follia
che domina la ‘terra isolata’ è quello di essere ‘oltrepassata’, è
necessario che ceda il proprio spazio sul palcoscenico a ciò che da
sempre è il suo rimpiazzo: la ‘terra che salva’.
Da Oriente potrebbero aggiungere «per rinnovare lo spettacolo del
Cosmo a cui assiste lo Spettatore Verace.» (Coomaraswamy).
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L’oltrepassamento della follia, ovvero il mettersi in cammino lungo
il ‘Sentiero del Giorno’, è un evento ben strutturato.
A Gerusalemme gira voce che sia il primo evento privo di tensione,
privo di ogni eco dei conflitti che agitano (alla francese) gli Dèi
abitatori degli ordini inferiori dell’Essere.
Ma, come insegna Severino, non si dà oltrepassamento alcuno verso
la ‘terra che salva’ se non dopo il trionfo della Tecnica, ovvero
soltanto dopo che si sia realizzato il pieno domino della Ragione
Calcolante sulla ‘terra isolata’.
A un certo punto bisogna uscire dall’astratto ed entrare nel concreto.
ovvero rendersi conto che la ‘terra isolata’ dal Destino sta
collassando nello ‘innominabile attuale’ a causa di una frattura tra la
Terra i Mortali che, isolandola, pensano che sia infinitamente
disponibile ai loro scopi decisi dalle forze, così libere, del mercato.
La vicenda odierna del Corona Virus dimostra quanto profonda sia
l’impronta dell’Uomo sulla Terra. La Ragione Calcolante deve
applicarsi al sistema formato dalla Terra e dall’Uomo; un sistemastruttura complesso, governabile da leggi, comandi, misure e
relativa necessaria violenza, di ordine planetario.
La pandemia ha portato alla luce la necessità di un ‘equilibrio sociale
planetario’ incardinato in un Sistema Sanitario Mondiale – ospedali,
ambulanze, università e scuole di formazione – e innervato dal
valore condiviso della solidarietà di comunità; di comunità perché
un contadino del Sud Tirolo non sarà mai solidale col contadino
dell’Aspromonte.
La Solidarietà è il nome moderno di Fraternità. Dei tre valori della
Rivoluzione Francese, quello dimenticato, mancante all’appello.
Mancante come mancante nel poderoso edificio teorico del Destino
è la ‘stanza’ che contiene le forme, le chiavi, le linee di forza del
sentiero che porta allo oltrepassamento del nichilismo e all’ingresso
nella ‘terra che salva’.
Ma cos’è che porterà la Tecnica al dominio del Pianeta, condizione
necessaria per l’avvento della ‘terra che salva’? Per muoverci verso
la risposta a questa domanda dobbiamo definire il punto d’inizio.
Così dobbiamo iniziare imputando alla Tecnica che con la
information technology distribuisce, a livello planetario e in tempo
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reale, informazioni in qualsiasi formato, di essere la maggior
responsabile dei flussi migratori: i poveri del Sud del Mondo ci
guardano e vogliono venire a vivere da noi.
Dato che il nostro benessere è sotto gli occhi di tutti, possiamo
ridurre in modo significativo i flussi migratori verso l’Occidente
soltanto migliorando la qualità della vita degli abitanti del Sud del
Mondo, senza però compromettere gli equilibri ecologici del Pianeta,
già gravemente minacciati dal delirio consumistico dello Occidente
industriale.
È quindi necessario che la Tecnica progetti e il Capitale produca nel
Sud del Mondo beni di consumo e strumenti di produzione a basso
impatto ambientale, con fabbriche alimentate da energie rinnovabili.
Sarebbe ora che Europa si rendesse conto che è giunto il momento
di metter mano alla propria dotazione di cervelli e di tecnologia per
pianificare un processo di graduale e misurata introduzione della
tecnologia nell’Africa subsahariana.
Misurata affinché non distrugga il tessuto sociale, le tradizioni, i
costumi, le lingue, i molteplici sensi che gli africani hanno di
appartenere alla Terra.
Il trionfo della Tecnica sta nel pre-vedere e pre-calcolare le
conseguenze e i costi della propria presenza, della propria potenza
evolutiva dispiegata, in atto e, dopo aver visto, immaginato
calcolando il futuro, tornare indietro da questo futuro calcolato e
correggere il presente: correggere i valori attuali di quei parametri
che hanno generato eventi futuri nefasti. Correggiamo finché siamo
in tempo.
Per giungere al trionfo della Tecnica, grazie al dominio planetario
della Ragione Calcolante, sono necessarie leggi, politiche, azioni,
misure ed eventi tra loro variamente collegati in un’architettura di
complessità inaudita: ci si dovrà affidare senz’altro alla Intelligenza
Artificiale.
In ogni caso, ovvero per qualsiasi delle configurazioni possibili del
sentiero verso la ‘terra che salva’, la prima tappa è quella di porre la
Solidarietà come valore fondante e condiviso a livello planetario.
Non c’è alcun sentiero se non partendo da una esatta definizione di
sé: non raggiunge meta alcuna il viaggiatore che non sia cosciente
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di essere autocosciente e che non sappia da quale punto sta
muovendo e perché. Nessun sentiero esiste, tutti vanno pensati.
Soltanto quando la Tecnica si sarà liberata del domino del Capitale
e dalla coazione a produrre scopi – sintomo della sua stessa
frustrazione e appetito proprio della sua fase infantile – potrà
focalizzarsi su quello essenziale: salvaguardare la vita
dell’organismo Terra-Mortali, ovvero generare, riprodurre e
moltiplicare ‘capitale sociale’ in un ciclo coerente con la difesa delle
condizioni ambientali e gli equilibri sociali del Pianeta.
Nulla di più efficace per sostenere la ‘lotta di liberazione’ della
Tecnica dalla logica del Capitale se non la pandemia del Corona
Virus: uno ‘stato di eccezione’ dove viene in evidenza inconfutabile
ciò che è implicito e non detto fin dalla Rivoluzione Industriale: il
Capitalismo non è coerente con i valori fondanti dell’Occidente
giudaico-cristiano.
Dato che la logica capitalistica non mette a disposizione le risorse
per contrastare efficacemente la pandemia, moriranno a milioni.
Moriranno principalmente gli Ultimi lasciando senza dignità i Primi.
In Grecia (!) sparano ai profughi siriani che tentano di entrare in
Europa.
La pandemia che colpisce tutti, senza renderli per questo tutti
ugualmente difesi di fronte al virus, è l’occasione per aprire ed agire
la riflessione sul valore della Solidarietà, radicata sull’Uguaglianza.
La violenza implicata nel principio di Fraternità ed essenzialmente
rivolta contro i privilegi che oggi dominano la Terra, potrà essere
assolta da ogni colpa soltanto nella misura in cui mantiene come fine
ultimo la vita dell’organismo Terra-Mortale.
È necessario che alla ‘terra che salva’ ci conduca un ‘innocente’,
ovvero chi sta nella Verità incontrovertibile della relazione organica
tra Terra e Mortali.
Sebbene sia necessario avere fede nella Necessità, non possiamo
certo tacere che questa, in quanto necessaria si consideri ‘totale’ e
dunque non si curi del tempo: la ‘terra che salva’ accadrà
necessariamente quando accadrà.
Per costringere questo ‘quando’ alla sua ‘ora’ dobbiamo portarci
all’inizio del ‘Sentiero del Giorno’, dobbiamo fare qualcosa come
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‘prendere il Corona al balzo’ e cambiare paradigma: dall’uti al frui,
dall’ io al noi.
Un programma di vasta portata, direbbe Giorgio Colli.
Bibliografia essenziale
Bobi Bazlen, Note senza testo, Adelphi, 1970.
Andrea Emo, Le voci delle muse, Marsilio, 1992.
Emanuele Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, 1972.
Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1977.
Giulio Goggi, Il pensiero filosofico di Emanuele Severino,
in www.emanueleseverino.it, 2020.
Henry Bergson, Le due fonti della religione e della Morale, (1932), Laterza, 1998.
Massimo Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, 1990.
Hans Blumenberg, La leggibilità del mondo, (1981), Il Mulino, 1984.
J.D. Barrow, Teorie del Tutto, Adelphi, 1992.
Ananda K. Coomaraswamy, La tenebra divina, (1977), Adelphi, 2017.
Emanuele Severino, Oltrepassare, Adelphi, 2002.
Roberto Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi, 2017.
Giorgio Colli, La ragione errabonda, Adelphi, 1982.
Massimo Cacciari, Labirinto filosofico, Adelphi, 2014.
Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Adelphi, 1974.
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