Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Preso con filosofia, il Covid trasforma

Sintesi La pandemia segnala la necessità di invertire la sequenza dei valori che ci hanno portato all'innominabile attuale: da Libertà, Uguaglianza, Fraternità a Fraternità, Uguaglianza, Libertà. Sarebbe oltretutto opportuno riconoscere che in Atene, verso i IV sec. a.C. hanno commesso un errore madornale chiamando Mortale chi invece doveva essere chiamato Terrestre. … L'epidemia del Corona Virus rappresenta una opportunità inaudita per far sorgere una coscienza planetaria in cui la Terra e i Mortali che la abitano siano visti e vissuti come un unico organismo vivente. La follia dell'Occidente si radica, come ci ha insegnato Severino, nel concetto greco di cosa per cui ogni ente è oscillante tra il nulla da cui sorge e il nulla in cui tramonta. Così concepita, ogni cosa è a nostra disposizione, è sotto il nostro dominio e può essere creata, trasformata, usata e gettata via senza colpa alcuna perché, in fondo, ogni cosa è niente: altrimenti come potrebbe essere il Nulla sua origine e destino? Ma il nichilismo non è la follia originaria, non è la prima follia. L'errore iniziale, il primo passo nel 'Sentiero della Notte', è stato quello di chiamare l'Uomo 'mortale'. Affibbiando all'uomo questa etichetta, la conseguenza necessaria è stata di fare della vita l'oggetto del contendere con gli Dèi. La vita: limitata la nostra e illimitata la loro. Loro che comunque pretendono di essere viventi, viventi senza misura. Da questa asimmetria sgorga la tonalità vendicativa del vivere umano: la nostra vita sarà pur limitata, ma noi possediamo la vissutezza (Bazlen) di cui gli Dèi son privi, e facciamo in po' quello che cazzo ci pare. La 'gloria' riservata al mortale è dunque quella di vivere per la vissutezza, oltretutto in modalità vendicativa. La presenza della morte ha distrutto ogni limite e permesso al mortale di vivere in un

Preso con filosofia, il Covid trasforma. Sintesi La pandemia segnala la necessità di invertire la sequenza dei valori che ci hanno portato all’innominabile attuale: da Libertà, Uguaglianza, Fraternità a Fraternità, Uguaglianza, Libertà. Sarebbe oltretutto opportuno riconoscere che in Atene, verso i IV sec. a.C. hanno commesso un errore madornale chiamando Mortale chi invece doveva essere chiamato Terrestre. … L’epidemia del Corona Virus rappresenta una opportunità inaudita per far sorgere una coscienza planetaria in cui la Terra e i Mortali che la abitano siano visti e vissuti come un unico organismo vivente. La follia dell’Occidente si radica, come ci ha insegnato Severino, nel concetto greco di cosa per cui ogni ente è oscillante tra il nulla da cui sorge e il nulla in cui tramonta. Così concepita, ogni cosa è a nostra disposizione, è sotto il nostro dominio e può essere creata, trasformata, usata e gettata via senza colpa alcuna perché, in fondo, ogni cosa è niente: altrimenti come potrebbe essere il Nulla sua origine e destino? Ma il nichilismo non è la follia originaria, non è la prima follia. L’errore iniziale, il primo passo nel ‘Sentiero della Notte’, è stato quello di chiamare l’Uomo ‘mortale’. Affibbiando all’uomo questa etichetta, la conseguenza necessaria è stata di fare della vita l’oggetto del contendere con gli Dèi. La vita: limitata la nostra e illimitata la loro. Loro che comunque pretendono di essere viventi, viventi senza misura. Da questa asimmetria sgorga la tonalità vendicativa del vivere umano: la nostra vita sarà pur limitata, ma noi possediamo la vissutezza (Bazlen) di cui gli Dèi son privi, e facciamo in po’ quello che cazzo ci pare. La ‘gloria’ riservata al mortale è dunque quella di vivere per la vissutezza, oltretutto in modalità vendicativa. La presenza della morte ha distrutto ogni limite e permesso al mortale di vivere in un 1 continuo delirio di onnipotenza: «fin che la va, la va!», disse mio nonno Fortunio Mastai Ferretti. Tradotto: siccome devo morire, intanto che vivo faccio tutto il possibile, vivo al massimo! In questo delirio di onnipotenza è impossibile per noi mortali condurci nel cammin di nostra vita come custodi del Creato. Se invece ad Atene ci avessero chiamato ‘terrestri’ – abitatori della Terra e non abitatori del Tempo – avremmo fatto della relazione Terra-Mortale il perno della nostra vita. Magari saremmo anche riusciti a pensare e vivere questa relazione come un singolo, inscindibile organismo, senza che il Covid venisse ora a ricordarcelo. Un doppio, una Terra-Mortale è un organismo vivente; l’abito che ricopre l’Essere e il ‘luogo’ dove l’Essere abita, non più dimenticato come si lamentava Heidegger. Ma abbiamo veramente bisogno dell’Essere per ‘stare in piedi’: non basta il verbo essere? Un dubbio che sale dopo che Andrea Emo ci segnala che è proprio «l’incertezza segreta ciò che materialmente ci tiene in piedi». Soltanto se i Mortali raggiungono una coscienza planetaria condivisa si potrà affidare il pieno mandato alla Tecnica di governare il destino del Mondo, di portare l’organismo vivente verso l’ingresso del ‘Sentiero del Giorno’, quel sentiero che condurrà il Mortale alla ‘terra che salva’; quella Terra che Severino dimostra quale destinazione necessaria, sempre stante ma non ancora apparsa. Dimostrazione che a noi non sembra però sufficiente a portare il Mortale nella ‘terra che salva’. Dal 1980 – quando ne parlai con Severino stesso – ad oggi tale Necessità non è riuscita a convincermi di aver sussunto la Sufficienza. La Necessità porta il Mortale nella ‘Terra che salva’ alla sola drastica condizione di non domandarsi ‘quando’. Il fatto che qualcosa debba necessariamente accadere non ci dice affatto quando accadrà: sappiamo che accadrà, ma non quando. Quando invece Necessità e Sufficienza si incontrano, allora ciò che deve accadere accade immediatamente. ‘Basta una spinta’, come la scritta sui palloni serviti da Bruno Conti a Paolo Rossi nel Mondiale 1982. 2 Così, se ci accontentiamo della necessità, dobbiamo fare a meno del tempo: accadrà quando accadrà, tanto è necessario che accada. La grave conseguenza di cancellare il tempo è che viene trascinata via anche la nostra storia interiore, il percorso vissuto che ci ha condotti ad essere ciò che siamo, quel processo di cui abbiamo coscienza e memoria di aver subìto o provocato, nel o per divenire noi stessi. Ma è sufficiente che tutto sia necessario perché non ci sia più Storia? L’evidenza del divenire nel tempo è innanzitutto un’esperienza interiore; questa è la terraferma su cui cresce la follia della certezza che tutto oscilli tra essere e nulla. Noi siamo cresciuti, abbiamo vissuto e siamo sempre noi stessi: il nostro passato non è scomparso nel Nulla e non si nemmeno conservato nell’Eternità. Non abbiamo esperienza né del primo, né della seconda: abbiamo solamente la nostra memoria. Colli scrive appunto che noi tutti siamo soltanto memoria. … Per poterci affidare alla Tecnica e sopportare i rigori imposti dalla Ragione Calcolante sua ancella, è prima necessario sottrarla al dominio del Capitale. E non è certo cosa da poco: il potere è del Capitale, con i danee dei capitalisti si sono già comprati l’anima della maggioranza dei mortali, alimentandola di bisogni artificiali che ne hanno corroso la natura autenticamente umana, ovvero ridotto la capacità di elaborare il dolore per convertirlo in energia creativa. In una situazione così compromessa, è più semplice allora puntare sulla nascita e sul trionfo planetario di un socialismo liberale alla guida di un capitalismo sociale in cui la riproduzione del capitale viene ‘misurata’ alla Solidarietà, nome moderno della Fratellanza, la povera orfanella della Parigi 1789. Così come insistendo nella lettura del mondo circondiamo l’astratto nel concreto, allo stesso modo dobbiamo circondare il profitto individuale nella misura della fraternità. Si può resistere allo ‘spirito animale’ keynesiano che soggiace allo homo homini lupus soltanto nel nostro personale e collettivo persistere in unità organica con la Terra. 3 Il Covid sta dimostrando che ‘non ci si salva da soli’, ma anche che non si vive da soli: se la Terra è la nostra casa comune e se sotto lo stesso tetto abitano fratelli, allora il principio della libertà (di impresa), reso legittimo dall’uguaglianza delle condizioni di partenza, deve trovare un limite, deve essere circondato dalla fratellanza. Ma come fare per oltrepassare la logica suicida del capitalismo, quella logica che in nome del profitto per il profitto sta dando fondo alle risorse del pianeta dopo aver cancellato ogni memoria di fratellanza? Come e cosa fare per imboccare il ‘Sentiero del Giorno’, se ogni fare è follia nichilista, secondo la grande incontrovertibile lezione di Severino? Abbiamo comunque bisogno di una politica economica. Da Severino abbiamo appreso che il Destino della Verità è l’essere sé dell’essente. Ciò significa che qualsiasi determinazione, qualsiasi cosa, qualsiasi ciò che, è relato ma non separabile dal proprio è. Di conseguenza ogni ciò che è è eternamente: in altre parole l’essere è un verbo che si colloca al di fuori del flusso del Tempo e tale collocazione è imposta necessariamente dal Sé, principio e sostanza di ogni ‘ciò che è eternamente’. Insomma, l’essere – inteso come verbo – che viene indossato dall’essente per giungere ad apparire nel proprio cerchio, non è un verbo declinabile al passato o al futuro. Il Tempo infatti è esperito dall’essente e dunque è anch’esso disposto, messo, collocato, posizionato, relato. Come scritto da Giulio Goggi, «La non separabilità dell’essenza (quale che sia l’essenza che si consideri) dalla esistenza (e cioè dal non essere un nulla della qualsiasi essenza considerata) è la stessa affermazione dell’eternità dell’essente in quanto essente.» Il Destino ci convince della propria inconfutabilità, ma ci lascia con l’amaro in bocca perché l’eternità di ogni ente condanna ogni volontà ad essere violenza e marca come fede folle la convinzione che ogni cosa provenga dal nulla e lì vi ritorni, meglio quando ha smesso di servirci: ci scalda la legna che arde nel camino diventando lentamente cenere. 4 E proprio come la legna, tutte le cose sono a nostra disposizione in quanto sono, in fondo, nulla: come è nulla la legna in cenere. Se ogni ente è nulla, allora certamente nulla può e, principalmente, non può caricarci della colpa di volerne disporre violentando ciò che esso è: la sua eterna identità a sé stesso. Per questo motivo il Destino non può indicarci nessuna Etica, non può mostrarci come dobbiamo comportarci, come ‘tirare avanti’. Il Destino non detta alcuna politica economica Il Destino ignora la domanda sul ‘che fare’, perché come fai, qualunque cosa tu faccia per qualsiasi motivo, sbagli, ti inganni, produci violenza, ovvero separi il ciò che dal suo è trasformandolo, utilizzandolo per i tuoi scopi. È una impasse fastidiosa come il ricordo di un peccato che non abbiamo commesso ma da cui non riusciamo a liberarci. Fastidioso, incomodante perché, nei fatti, se non proprio il destino, almeno il nostro futuro è in qualche modo opera nostra, conseguenza del nostro modo di stare al mondo. Empiricamente il futuro ci appare a nostra disposizione nel senso che possiamo decidere quali ‘cose’ saranno oggi da noi lì disposte per apparire domani, in conseguenza delle decisioni attuali. Il futuro dipende dalla qualità, ovvero dall’efficacia dell’insieme di atti – tutti inevitabilmente violenti – che metteremo in pratica dopo averli decisi. In questa prospettiva il karma come «qualità etica della decisione che muove l’azione» perde ogni esotismo, ogni profumo di curry, per coincidere con l’occidentale «non fare ad altri ciò che non vorresti che altri facesse a te» come insegnava il maestro Hillel il Vecchio a Babilonia nel 60 a.C. La domanda allora potrebbe suonare come ‘a che santo dobbiamo votarci per uscire da questa impasse?’ Come e cosa dobbiamo fare per giungere là dove inizia il ‘Sentiero del Giorno’? Severino afferma che l’imbocco del ‘Sentiero del Giorno’ è da sempre aperto, quindi se è da sempre allora è necessario ed è qualcosa come la Lettera Scarlatta. Ma come si può compiere il primo passo? E questo compiere non è comunque un fare? 5 La filosofia Zen, la sapienza ebraica e Gregory Bateson indicano che si esce dal cul-de-sac soltanto frantumando il contesto, cambiando punto di vista, abbandonando il paradigma dominante, perché ‘alzare gli occhi’ significa cambiare punto di vista, come ben espresso in Genesi 22.4: «Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo». Con quale gesto noi Mortali, abitatori del tempo e ospitati dal Terra, possiamo cambiare punto di vista? È scritto nel versetto a chiare lettere: alzando gli occhi, ovvero elevando il pensiero dell’esser sé a quel particolare essente che è la Terra che abitiamo. Quando si alzano gli occhi ci si rende conto di dove siamo, vediamo ciò che ci circonda, ci localizziamo: siamo sulla Terra e abitiamo tutti allo stesso indirizzo. Alzando gli occhi sulla Terra essa ci appare come organismo vivente che ci ospita alimentato dall’energia del Sole e governato dalle leggi della Natura. Anche la Terra è un qualcosa, in particolare è un essere vivente che, oltre a non poter essere separato dal proprio esser sé, possiede una volontà: la volontà di persistere vivente, condizione specifica dell’essere sé di quell’essente che la Terra è. Nella loro gerarchia gli enti, nessuno separabile dal proprio esser sé, il più grande, il più voluminoso e fragrante di vissutezza è l’organismo formato dalla congiunzione della Terra ai Mortali che la abitano nell’innominabile attuale (Calasso). La struttura di questa congiunzione è l’essenza mistica allusa dal silenzio che l’avvolge e la nasconde, esponendola nel punto più evidente implicato dalla Struttura Originaria: l’essenza concreta della relazione. La relazione originaria non è quella lega il Cielo alla Terra ma piuttosto quella tra questi due legati e il Vuoto. Pensando quest’universale, il Mortale dona vita al Divino perché, come ci ha insegnato Colli: «l’espressione di un particolare è un universale» trattenendo in sé la vissutezza che, appunto, è ciò che manca agli Dèi. 6 Lo Spettatore Verace – da notare come suo nome sintetizzi la ragion d’essere del Divino – è tenuto in tensione, ovvero al suo stesso sé, proprio dalla vissutezza che, in quanto esperita empiricamente, appartiene esclusivamente al Mortale: che gli Dèi stiano a guardare! Ma allora come portarci all’ingresso del ‘Sentiero del Giorno’ e cominciare a muovere i primi passi al suo interno? Non mi sembra poter esserci altra via se non quella di rompere il contesto. Con questa rottura ci liberiamo dalla paralisi che ci vede comunque colpevoli di violenza, preda della follia che tutto sia a nostra disposizione perché tutto, in fondo, non è null’altro che nulla. Questa rottura consiste nel dire che il ‘fare’ è assolto dalla colpa di essere violenza e follia solo, e solo se, il suo fine è quello di ‘produrre futuro’ per l’organismo in cui Terra e Mortali si compenetrano, relati e distinti inseparabili. Si può vedere nella Terra lo è dei Mortali, ovvero la Madre, lo sfondo, la declinazione concreta, materiale, reale, fisica dell’essere trascendentale che compete necessariamente al Sé; mentre si può vedere nel Mortale il ciò che, la singola determinazione che viene accolta dallo sfondo, fa il suo ingresso, permane e si congeda dall’apparire. Tenendo ‘in uno’ la Terra e il Mortale, così come teniamo ‘in uno’ il ciò che al suo è è il gesto con cui l’Ecologia trova il proprio fondamento sul Destino della verità dell’essere. Fin qui le premesse. Luis Sepúlveda narra le vicende, realmente avvenute, legate alle riprese di un film sulle Ande cilene. Quando, scaricate le attrezzature, la troupe si accinge a brindare l’inizio delle riprese, compare improvvisamente dietro il profilo delle montagne possenti, una nuvola nera a minacciare tempesta con sinistri lampeggiamenti e tuoni lontani. Uno scenario biblico: ricorda la convocazione di Moshé sulla vetta del Sinai. Sepúlveda, che commerciava col simbolico già da molti anni, capisce subito l’antifona e fa partecipe del rito propiziatorio Pachamama – lo Spirito della Terra - versando una coppa di vino al 7 suolo. E così, mentre il vino viene assorbito dalle zolle, le nuvole nere sono spazzate via da un forte vento. L’armonia tra Terra e Mortali è ristabilita con l’arma del rito, del richiamo, e si nota appena che tra gli elementi coinvolti aria, acqua, terra manca il fuoco. Il fuoco, si sa, è custodito altrove. Se evadiamo dalla gabbia della convinzione che la Natura sia inanimata, che sia priva di voce, allora con l’ebbrezza dell’evasore, possiamo udire le ragioni del mito e intendere il messaggio senza codici che Pachamama sta sussurrando: «la Terra e il Mortale sono un organismo vivente». Ed è dunque necessario che al Mortale sia assegnato il compito del proteggerlo; non fosse altro perché altri non c’è: è il Mortale l’unico custode del Creato. In altre parole, sull’onda del Corona Virus oltrepassiamo la condizione di mortali per indossare la Terra come nostro abito. Solo così, ovvero avendo ripensato il Destino come Terrestri, e non più semplicemente come Mortali, possiamo fare senza colpa: solo partecipando come Terrestri all’esser sé della Terra siamo innocenti; condizione propedeutica alla responsabilità: quella abilità necessaria a percorre il ‘Sentiero del Giorno’. Inserire nel tessuto del Destino, testimoniato da Severino, una fibra animista per poter così considerare la Terra come organismo vivente è alquanto esotico, ma se il Destino non ci dice ‘cosa fare’, allora è inevitabile scendere giù dalle fredde altezze della Necessità per percorrere i sentieri del Mito e gustarne, nel respiro pulsante, quel non-so-che di vivo, di empirico, di materico che in esso si incontra, si esperisce. D’altronde, finché la Fisica dei Quanti e la Relatività non saranno unificate in una Teoria del Tutto, fino a quando la ragione del Cosmo non sarà evidente, la Ragione non potrà negare la sua natura di rimedio contro la violenza, di farmaco contro il dolore e contro l’angoscia di essere gettati nel mondo: anche l’Incontrovertibile verità del Destino in quanto essere sé dell’essente, ha la sua ombra. L’Incontrovertibile ha la sua ombra perché è prodotto, pensato, raggiunto, detto, definito per mezzo della Ragione che non riesce e 8 sembra mai riuscirà – come mostrano Godel e Heisenberg – a giungere ad una ‘Teoria del Tutto’ (Barrow). L’Incontrovertibile è il ‘Destino della verità dell’essere’ portato alla luce da Severino e sintetizzato nella formula ‘l’essere sé dell’essente’. Formula prodotta da una Ragione che porta in sé la coppia formata dai principi di identità con se stesso e di opposizione a tutto ciò che è altro da sé, in primis il nulla. Qui la chiave è la congiunzione: la ‘e’ che lega ‘identità’ ad ‘opposizione’: un potentissimo ruolo. La ‘e’ si trova per la prima volta nel primo versetto della Bibbia, se letta in ebraico, lingua scritta senza vocali. Ben diversamente da quanto fecero i Settanta, il versetto va tradotto: «Facendo uso del concetto di inizio creava e Elo(h)im e i cieli e la terra». Quella ‘e’ di troppo include gli Dèi nel Creato, come ebbe poi a riscoprire Bergson. Interessante, inoltre, quel «facendo uso del concetto di inizio». L’Inizio, come ha dimostrato Cacciari, è un nodo irrisolvibile perché non si sa dove ‘ancorarlo’. Così l’Inizio rimane sospeso sull’abisso (come la Ruah divina in Genesi 1.2 «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.») soffrendo uno statuto ontologico traballante: «L’Inizio non è dicibile con le parole del logos». Il motivo di questa impossibilità è lo stesso per il quale al cuore della Struttura Originaria – testimonianza iniziale del Destino in Severino – insiste la ‘contraddizione C’. Ma questo ‘facendo uso’ è molto intrigante, perché porta ad evidenza l’eternità di ogni cosa, nascosta dietro la carta velina dell’Inizio. Sembra che ci sia un tratto severiniano nella Bibbia! Vien da ‘staccare i cavalli’ per l’entusiasmo anche se la situazione è tragica: una Ragione che non riesce a dar ragione del Tutto, un Inizio che non si sa dove far iniziare e un’eternità degli essenti che sospende la funzione creatrice del Divino. Insomma, più che ‘a vista’, si naviga nella Tenebra. Interrogato nel profondo, questo ‘facendo uso del concetto di inizio’ appare molto più che un semplice ‘recupero’ dell’eternità nell’Inizio della Creazione (degli Dèi, dei Cieli e della Terra). ‘Facendo uso’ è 9 la forma che la risoluzione della Aporetica del Nulla acquisisce nella concettualità ebraica: quando il Dio Creatore apre il proprio spazio interiore al Nulla, crea il Nulla dentro di sé, lo apre perché del Nulla fa il contenitore degli enti da cui a mano a mano li estrae. Quindi fa un uso del Nulla, un uso nichilistico, s’intende. In modo analogo, la risoluzione dell’Aporetica del Nulla fa uso del significato per porre un Nulla che non viene, suo malgrado, contaminato dell’essere. Così depurato, messo in salvo da ogni possibile contaminazione, il Nulla può essere utilizzato e giocare il suo ruolo nell’opposizione originaria. Insomma, notiamo che anche Severino sta facendo uso del concetto di Nulla – il nulla momento, il nulla in quanto nulla – per collegarlo al Positivo Significato del Nulla nella risoluzione dell’Aporetica del Nulla. Il Positivo Significato del Nulla è un immediato e solare positivo che viene relato ad un notturno autocontraddittorio (che ‘non è’ come ‘non è’ il contenuto di ogni contraddizione: il cerchio quadrato). Abbiamo quindi un positivo che viene relato ad un significato; un significato che ‘fa segno’ al fatto di non avere significato, ovvero di non poter essere il terminale del gesto che invita: guarda là! Lo si vede anche a colpo d’occhio che c’è una torsione nel mettere in relazione un positivo, un ‘solare’ con quel ‘notturno’ che si sporge dalla tenebra del ‘non’. Il sopraggiungere del Corona Virus in forma di pandemia e lo sguardo del Destino sono relati e inseparabili – analogamente a come il ‘ciò che’ è relato e non separabile dal proprio ‘è’. Vediamo come. La follia del nichilismo è una cosa, un ente e, come tutti gli enti, è destinata ad uscire dal ‘cerchio dell’apparire’. Destino della follia che domina la ‘terra isolata’ è quello di essere ‘oltrepassata’, è necessario che ceda il proprio spazio sul palcoscenico a ciò che da sempre è il suo rimpiazzo: la ‘terra che salva’. Da Oriente potrebbero aggiungere «per rinnovare lo spettacolo del Cosmo a cui assiste lo Spettatore Verace.» (Coomaraswamy). 10 L’oltrepassamento della follia, ovvero il mettersi in cammino lungo il ‘Sentiero del Giorno’, è un evento ben strutturato. A Gerusalemme gira voce che sia il primo evento privo di tensione, privo di ogni eco dei conflitti che agitano (alla francese) gli Dèi abitatori degli ordini inferiori dell’Essere. Ma, come insegna Severino, non si dà oltrepassamento alcuno verso la ‘terra che salva’ se non dopo il trionfo della Tecnica, ovvero soltanto dopo che si sia realizzato il pieno domino della Ragione Calcolante sulla ‘terra isolata’. A un certo punto bisogna uscire dall’astratto ed entrare nel concreto. ovvero rendersi conto che la ‘terra isolata’ dal Destino sta collassando nello ‘innominabile attuale’ a causa di una frattura tra la Terra i Mortali che, isolandola, pensano che sia infinitamente disponibile ai loro scopi decisi dalle forze, così libere, del mercato. La vicenda odierna del Corona Virus dimostra quanto profonda sia l’impronta dell’Uomo sulla Terra. La Ragione Calcolante deve applicarsi al sistema formato dalla Terra e dall’Uomo; un sistemastruttura complesso, governabile da leggi, comandi, misure e relativa necessaria violenza, di ordine planetario. La pandemia ha portato alla luce la necessità di un ‘equilibrio sociale planetario’ incardinato in un Sistema Sanitario Mondiale – ospedali, ambulanze, università e scuole di formazione – e innervato dal valore condiviso della solidarietà di comunità; di comunità perché un contadino del Sud Tirolo non sarà mai solidale col contadino dell’Aspromonte. La Solidarietà è il nome moderno di Fraternità. Dei tre valori della Rivoluzione Francese, quello dimenticato, mancante all’appello. Mancante come mancante nel poderoso edificio teorico del Destino è la ‘stanza’ che contiene le forme, le chiavi, le linee di forza del sentiero che porta allo oltrepassamento del nichilismo e all’ingresso nella ‘terra che salva’. Ma cos’è che porterà la Tecnica al dominio del Pianeta, condizione necessaria per l’avvento della ‘terra che salva’? Per muoverci verso la risposta a questa domanda dobbiamo definire il punto d’inizio. Così dobbiamo iniziare imputando alla Tecnica che con la information technology distribuisce, a livello planetario e in tempo 11 reale, informazioni in qualsiasi formato, di essere la maggior responsabile dei flussi migratori: i poveri del Sud del Mondo ci guardano e vogliono venire a vivere da noi. Dato che il nostro benessere è sotto gli occhi di tutti, possiamo ridurre in modo significativo i flussi migratori verso l’Occidente soltanto migliorando la qualità della vita degli abitanti del Sud del Mondo, senza però compromettere gli equilibri ecologici del Pianeta, già gravemente minacciati dal delirio consumistico dello Occidente industriale. È quindi necessario che la Tecnica progetti e il Capitale produca nel Sud del Mondo beni di consumo e strumenti di produzione a basso impatto ambientale, con fabbriche alimentate da energie rinnovabili. Sarebbe ora che Europa si rendesse conto che è giunto il momento di metter mano alla propria dotazione di cervelli e di tecnologia per pianificare un processo di graduale e misurata introduzione della tecnologia nell’Africa subsahariana. Misurata affinché non distrugga il tessuto sociale, le tradizioni, i costumi, le lingue, i molteplici sensi che gli africani hanno di appartenere alla Terra. Il trionfo della Tecnica sta nel pre-vedere e pre-calcolare le conseguenze e i costi della propria presenza, della propria potenza evolutiva dispiegata, in atto e, dopo aver visto, immaginato calcolando il futuro, tornare indietro da questo futuro calcolato e correggere il presente: correggere i valori attuali di quei parametri che hanno generato eventi futuri nefasti. Correggiamo finché siamo in tempo. Per giungere al trionfo della Tecnica, grazie al dominio planetario della Ragione Calcolante, sono necessarie leggi, politiche, azioni, misure ed eventi tra loro variamente collegati in un’architettura di complessità inaudita: ci si dovrà affidare senz’altro alla Intelligenza Artificiale. In ogni caso, ovvero per qualsiasi delle configurazioni possibili del sentiero verso la ‘terra che salva’, la prima tappa è quella di porre la Solidarietà come valore fondante e condiviso a livello planetario. Non c’è alcun sentiero se non partendo da una esatta definizione di sé: non raggiunge meta alcuna il viaggiatore che non sia cosciente 12 di essere autocosciente e che non sappia da quale punto sta muovendo e perché. Nessun sentiero esiste, tutti vanno pensati. Soltanto quando la Tecnica si sarà liberata del domino del Capitale e dalla coazione a produrre scopi – sintomo della sua stessa frustrazione e appetito proprio della sua fase infantile – potrà focalizzarsi su quello essenziale: salvaguardare la vita dell’organismo Terra-Mortali, ovvero generare, riprodurre e moltiplicare ‘capitale sociale’ in un ciclo coerente con la difesa delle condizioni ambientali e gli equilibri sociali del Pianeta. Nulla di più efficace per sostenere la ‘lotta di liberazione’ della Tecnica dalla logica del Capitale se non la pandemia del Corona Virus: uno ‘stato di eccezione’ dove viene in evidenza inconfutabile ciò che è implicito e non detto fin dalla Rivoluzione Industriale: il Capitalismo non è coerente con i valori fondanti dell’Occidente giudaico-cristiano. Dato che la logica capitalistica non mette a disposizione le risorse per contrastare efficacemente la pandemia, moriranno a milioni. Moriranno principalmente gli Ultimi lasciando senza dignità i Primi. In Grecia (!) sparano ai profughi siriani che tentano di entrare in Europa. La pandemia che colpisce tutti, senza renderli per questo tutti ugualmente difesi di fronte al virus, è l’occasione per aprire ed agire la riflessione sul valore della Solidarietà, radicata sull’Uguaglianza. La violenza implicata nel principio di Fraternità ed essenzialmente rivolta contro i privilegi che oggi dominano la Terra, potrà essere assolta da ogni colpa soltanto nella misura in cui mantiene come fine ultimo la vita dell’organismo Terra-Mortale. È necessario che alla ‘terra che salva’ ci conduca un ‘innocente’, ovvero chi sta nella Verità incontrovertibile della relazione organica tra Terra e Mortali. Sebbene sia necessario avere fede nella Necessità, non possiamo certo tacere che questa, in quanto necessaria si consideri ‘totale’ e dunque non si curi del tempo: la ‘terra che salva’ accadrà necessariamente quando accadrà. Per costringere questo ‘quando’ alla sua ‘ora’ dobbiamo portarci all’inizio del ‘Sentiero del Giorno’, dobbiamo fare qualcosa come 13 ‘prendere il Corona al balzo’ e cambiare paradigma: dall’uti al frui, dall’ io al noi. Un programma di vasta portata, direbbe Giorgio Colli. Bibliografia essenziale Bobi Bazlen, Note senza testo, Adelphi, 1970. Andrea Emo, Le voci delle muse, Marsilio, 1992. Emanuele Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, 1972. Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1977. Giulio Goggi, Il pensiero filosofico di Emanuele Severino, in www.emanueleseverino.it, 2020. Henry Bergson, Le due fonti della religione e della Morale, (1932), Laterza, 1998. Massimo Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, 1990. Hans Blumenberg, La leggibilità del mondo, (1981), Il Mulino, 1984. J.D. Barrow, Teorie del Tutto, Adelphi, 1992. Ananda K. Coomaraswamy, La tenebra divina, (1977), Adelphi, 2017. Emanuele Severino, Oltrepassare, Adelphi, 2002. Roberto Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi, 2017. Giorgio Colli, La ragione errabonda, Adelphi, 1982. Massimo Cacciari, Labirinto filosofico, Adelphi, 2014. Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Adelphi, 1974. 14