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I diritti sindacali nei luoghi di lavoro: proselitismo e propaganda sindacale, i permessi e l’aspettativa per motivi sindacali di Alessia Gabriele Abstract SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione di attività sindacale nei luoghi di lavoro. – 3. I diritti sindacali nello Statuto dei lavoratori: inquadramento sistematico e dogmatico. – 4. Libertà di manifestazione del pensiero: propaganda sindacale e opera di proselitismo. – 5. Titolarità del diritto di cui all’art. 26 St. lav. e individuazione non selettiva dei beneficiari della promozione. – 6. Versamento ed esazione dei contributi sindacali: oggetto e funzione. – 7. Volontarietà della trattenuta sindacale e sua qualificazione giuridica. – 8. La garanzia della segretezza del versamento dei contributi e la tutela della privacy del lavoratore. – 8.1. (segue) La contrattazione collettiva e la riscossione dei contributi sindacali. 9. Il limite all’esercizio dell’attività di proselitismo: il pregiudizio al ‹‹normale svolgimento dell’attività aziendale›› – 10. Svolgimento dell’attività sindacale ed esonero dall’obbligo di eseguire la prestazione di lavoro: la disciplina legale dei permessi e dell’aspettativa per motivi sindacali. – 11. Permessi sindacali retribuiti (art. 23 St.lav.): natura e titolarità del diritto. – 12. Limiti quantitativi all’esercizio del diritto. – 13. L’onere della comunicazione. – 14. Permessi sindacali non retribuiti (art. 24 St.lav.): titolarità e attività tutelata. – 16. Permessi retribuiti per i dirigenti sindacali esterni (art. 30 St. lav.). - 17. Limiti e modalità di esercizio del diritto. 18. Aspettativa per motivi sindacali (art. 31 St. lav.). Fin dalle prime riflessioni dottrinali, la legge n. 300 del 1970, denominata Statuto dei lavoratori, è stata definita una legge ‹‹policentrica››, per descrivere la complessa trama di intrecci tessuta dal legislatore tra la tutela del singolo lavoratore, quale parte del rapporto di lavoro, e la promozione del ruolo del soggetto collettivo in azienda, quale unico titolare del contropotere sindacale1. Se è vero che nelle successive elaborazioni è poi sfumata una simile prospettiva dicotomica 2, non può nascondersi come ancora oggi, nell’accostarsi allo studio e all’approfondimento dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori, è dato riscontrare, se non proprio una contrapposizione dei soggetti, di certo un’alternanza nell’indicazione dei titolari dei diritti sindacali. Quest’alternanza, voluta non a caso dal legislatore, risponde ad esigenze di politica del diritto differenti, che riflettono l’esistenza di due prospettive di tutela: una promozionale del ruolo del sindacato nell’ordinamento; ed un’altra di riconoscimento di alcuni diritti fondamentali individuali dei lavoratori. 1 L’espressione è di VENTURA, Lo Statuto dei lavoratori: appunti per una ricerca, in Riv. giur. lav., 1970, I, 531. 2 Sul dibattito svoltosi all’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto cfr. per tutti TREU, Attività antisindacale e interessi collettivi, in Politica del diritto, 1971, 1, 565 ss. Per le opere di carattere storiografico di portata generale v. U. ROMAGNOLI - T. TREU, I sindacati in Italia: storia di una strategia (1945-1976), Bologna, 2a ed., 1981. 1. Premessa. 1 2 Nel corso della presente trattazione, e con riferimento specifico all’attività sindacale nei luoghi di lavoro, si potrà osservare come entrambe le prospettive siano presenti, a volte intrecciandosi tra loro, altre, invece, distinguendosi. Una simile precisazione è necessaria al fine di chiarire la metodologia da seguire. L’interprete, infatti, non può trascurare come in ogni disposizione sia celata una natura ambivalente, il cui punto di equilibrio spesso appare confuso e di difficile individuazione. A tale scopo sarà, infatti, opportuno un approfondito esame della giurisprudenza di merito e di legittimità, e degli orientamenti dottrinali prevalenti. 2. La nozione di attività sindacale nei luoghi di lavoro. Il riconoscimento legislativo dell’organizzazione e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, costituisce un’evidente ricaduta applicativa dell’affermazione del principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. 3. Della Costituzione, in realtà, lo Statuto adotta l’ispirazione fondamentale della valorizzazione del soggetto sindacale quale agente di trasformazione sociale e di eguaglianza sostanziale. In tal senso si sostiene, infatti, che ‹‹il legislatore non si è arrestato alla riproposizione in azienda del principio costituzionale di libertà sindacale, ma ha voluto tutelare, in questo ambito, la libertà sindacale attraverso la libertà di azione sindacale›› 4. L’attività sindacale, pertanto, rappresenta un’espressione dinamica del principio di libertà sindacale; quest’ultimo, infatti, rimarrebbe una mera astrazione ove non fosse garantito ai soggetti collettivi e ai lavoratori il concreto esercizio nei luoghi di lavoro delle attività materiali per inverare la previsione costituzionale5. Uno dei principali traguardi riconosciuti allo Statuto consiste nell’avere istituzionalizzato, all’interno dei 3 Sul principio di libertà sindacale si veda la prima parte del presente volume. 4 PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, Padova, 1981, 162. 5 PERA, Libertà sindacale (diritto vigente), in Enc. dir., XXIV, Milano,1974, 494 ss.; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 194. luoghi di lavoro, una sistematica presenza diretta del sindacato6. In realtà, il legislatore si è limitato a codificare un complesso di situazioni attive strumentali allo sviluppo del sindacato nell’impresa, e corrispondenti ad altrettante posizioni che già la contrattazione collettiva, in numerosi settori, si era guadagnata7. E’ stato, pertanto, in forza di una legge che la presenza del soggetto sindacale si è radicata nell’ambito della specifica sfera dei processi produttivi, nel cui alveo il conflitto industriale aveva affondato le radici8. Se allora, proprio in tale logica conflittuale si muove lo Statuto dei lavoratori, nell’affermare il ‹‹diritto di cittadinanza›› dei diritti sindacali in azienda non si può prescindere dalla tutela dell’interesse dell’imprenditore al funzionamento dell’organizzazione produttiva; ciò che viene meno è invece la garanzia dell’interesse dello stesso imprenditore ad una ‹‹data organizzazione tecnica del lavoro››9; a questo infatti il legislatore dello Statuto contrappone dialetticamente la ‹‹garanzia dell’attività sindacale nell’impresa (…) finalizzata all’istituzionalizzazione di un potere collettivo di controllo››10. Ne consegue che avere offerto in via eteronoma la garanzia della presenza e dell’attività sindacale nell’impresa ha avuto il significato profondo di un riconoscimento alla storica attività di autotutela del sindacato quale “contropotere” dell’imprenditore11. Tant’è che il riferimento alla dimensione aziendale, per l’azione sindacale, assume un rilievo determinante, poiché non si tratta di un mero richiamo al luogo fisico di svolgimento dell’attività sindacale, bensì con la locuzione ‹‹attività sindacale nell’impresa›› si suole rinviare sinteticamente ad una varietà di atti e comportamenti, dotati tutti di una loro tipicità pratica 6 BAGLIONI, Il sistema di relazioni industriali in Italia: caratteri ed evoluzione storica, in CELLA G. P. - TREU T. (a cura di), Le nuove relazioni industriali. L’esperienza italiana nella prospettiva europea, Bologna, p. 13 ss. 7 RUSCIANO, Statuto dei lavoratori e ordinamento intersindacale, in Tratt. Rescigno, t. I, p. I, 2a ed., Torino, 2004, 114. 8 KHAN-FREUND, Labour and the law, London, 1977, 28 ss. 9 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, Milano, 1976, 57. 10 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 57. 11 In generale, sull’attività sindacale cfr. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 23 ss. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 3 e normativa, teleologicamente coordinati al sostegno della presenza e dell’azione dell’organizzazione sindacale localizzata in uno specifico ambito funzionale: l’impresa. E’ stata proprio l’azienda, rectius in origine la fabbrica fordista, il terreno più fertile in cui hanno preso avvio e si sono sviluppate le relazioni sindacali, dal momento che essa ha da sempre costituito il luogo fisico di massima rifrazione degli squilibri socio-economici12. In una simile prospettiva, allora, l’affermazione del diritto di esistenza del sindacato nei luoghi di lavoro si è tradotta nella necessità di delimitarne con attenzione i confini e gli ambiti di operatività, al fine non celato di evitare che il conflitto divenisse prevalente sulle ragioni dell’organizzazione dei processi produttivi, assicurando così un equilibrio dinamico all’interno dell’impresa13. Da ciò discende l’esigenza scientifica di una sistematizzazione dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, con l’accortezza di non cadere nel tranello di una classificazione esaustiva degli stessi, nella consapevolezza che le norme dello Statuto non esauriscono le ipotesi in cui legittimamente può inverarsi la nozione di attività sindacale14. 3. I diritti sindacali nei luoghi di lavoro: ammissibilità e limiti. Seguendo lo schema interpretativo suggerito dalla posizione che lo Statuto dei lavoratori assegna alla maggior parte dei diritti sindacali, un criterio utile da seguire potrebbe essere quello di classificare come tali quelli previsti nel titolo III; sebbene non possa trascurarsi come siano da annoverare tra i diritti sindacali 12 U. ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nel prisma del diritto d’uguaglianza, in (a cura di) M. NAPOLI, Costituzione, lavoro, pluralismo sociale, Vita e Pensiero, Milano, 1998; CASTELVETRI, Il diritto del lavoro delle origini, Milano, 1994. 13 PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 160. 14 In tal senso v. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 43, secondo il quale ‹‹una nozione chiusa dell’attività sindacale risulterebbe contraddetta, tra l’altro, dalla formula generale dell’art. 14, che assicura a tutti i lavoratori il diritto allo svolgimento dell’attività sindacale, e dall’art. 28, che appresta la tutela del diritto dei sindacati al rispetto della libertà e dell’attività sindacale››. anche quelli di cui agli artt. 30 e 31 St. lav., che a tale titolo non appartengono15. In generale la dottrina è concorde nel ritenere che i diritti sindacali siano qualificabili come diritti soggettivi strumentali all’autotutela collettiva, corrispondenti, pertanto, a posizioni attive riconosciute ai singoli o ai soggetti collettivi. In questa prospettiva, variano poi le modalità di esercizio del diritto, il tipo di bene oggetto di tutela e lo scopo degli atti e dei comportamenti in cui si estrinseca l’attività16. L’unica possibilità di sistematizzazione dei diritti sindacali ruota intorno a questi elementi, che seppur differenti, possono essere utili al fine di costruire un’unica e uniforme teoria dei limiti ai diritti sindacali nei luoghi di lavoro17; non essendo possibile per altre vie tentare di individuare un unico denominatore comune a tutte le fattispecie tipizzate dal legislatore. Un primo ordine di limiti, di carattere generale, si può rintracciare nella costruzione selettiva delle norme sull’attività sindacale, che riconoscono una ristretta funzione protettiva ad alcuni soggetti ritenuti più qualificati sul piano della rappresentatività effettiva18. 15 V. anche gli artt. 9, 14, 15, lett. b), 16, 17, 18, commi 4-7, 28. 16 Per una diffusa rassegna delle opinioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di limiti all’azione sindacale, si veda PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 163 ss., che delimita rigorosamente l’oggetto dell’attività sindacale all’interesse sindacale e distingue tra nozione oggettiva e nozione soggettiva di interesse sindacale, assumendo una posizione in netto contrasto con la dottrina maggioritaria (v. nota 8, 169). 17 Poiché l’attività sindacale si concretizza in comportamenti di carattere manifestativo e attivistico diretti ad assicurare l’effettività organizzativa ed operativa del sindacato nell’impresa, la dottrina ha individuato una serie di limiti di carattere generale desunti dalla stessa struttura normativa, sul punto cfr. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 52; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 161. 18 FONTANA, Profili della rappresentanza sindacale. Quale modello di democrazia per il sindacato?, Torino, 2004; CAMPANELLA P., Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti, Milano, 2000; ACCORNERO A., Rappresentanze sindacali in azienda: ieri e oggi, in Industria e sindacato, marzo, 1993; BELLOCCHI P., La parità di trattamento fra sindacati: evoluzione giurisprudenziale e problemi attuali, in Dir. rel. ind., 1992, p. 133. BELLOCCHI P., Libertà e pluralismo sindacale, Padova, 1998; BELLOMO S., Il nuovo temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 4 Un secondo ordine di limiti, che possono definirsi interni, riguarda l’oggetto degli atti e dei comportamenti con cui si manifesta il diritto. Il legislatore, infatti, tende a delimitare l’area oggettiva di operatività del diritto di attività sindacale, proprio riguardo allo specifico obiettivo di natura sindacale che si intende garantire, realizzando il necessario contemperamento con la tutela dell’organizzazione produttiva dell’imprenditore. Infine, si possono individuare anche dei limiti esterni, con riguardo alle concrete modalità di esercizio dei vari diritti sindacali, quali ad esempio la durata dei permessi retribuiti. Ben vero, secondo una parte della dottrina, vi è poi la necessità di individuare un limite di carattere generale all’esercizio dell’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro19. E ciò si realizza attraverso l’appiglio normativo offerto dall’art. 26 St. lav. che, in relazione all’attività di raccolta di contributi e all’opera di proselitismo, prescrive che questa non arrechi pregiudizio al ‹‹normale svolgimento dell’attività aziendale››. Da qui, trascurando lo specifico campo di azione dell’art. 26 St. lav., il riferimento al concetto di “normalità” dell’attività aziendale sembra possa deporre a favore dell’esistenza nell’ordinamento sindacale di un limite generalizzato per l’esercizio dei diritti sindacali in azienda. Secondo un’altra prospettiva, invece, considerando la specificità del criterio di composizione del conflitto e la natura del limite in questione, il rinvio alla “normalità” dell’attività aziendale rimarrebbe circoscritto allo specifico ambito dell’attività di proselitismo e della raccolta di contributi 20; solo in questo senso, infatti, andrebbe interpretata la scelta del legislatore di collocare sistematicamente tale previsione nel ristretto contesto dell’art. 26 st. lav., senza richiamare espressamente ad esso in nessun’altra ipotesi. Peraltro, il riferimento alla “normalità”, secondo un’altra tesi, varrebbe in generale per l’esercizio delart. 19 della legge n. 300 del 1970; problemi interpretativi, in Arg. dir. lav., 4, 1997, 177; BIAGI M., Rappresentanza e democrazia in azienda. Profili di diritto sindacale comparato, Rimini, 1990. 19 V. in tal senso FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, Milano, 1971, 3, 57; PERA, in ASSANTI, PERA (a cura di), Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972, 10 ss. 20 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 53 ss. l’attività sindacale, ma non opererebbe per le specifiche attività strumentali previste dal titolo III dello Statuto, in relazione alle quali sarebbe ammissibile ‹‹un più o meno intenso sacrificio delle esigenze tecnico produttive in ragione dell’ambito strumentale e qualitativo definito dal legislatore per ciascun istituto››21. Tenuto conto dell’esistenza di questo divario, per un’analisi approfondita del tema si rinvia alla parte della presente sezione dedicata specificamente all’art. 26 st. lav. Il legittimo esercizio dei diritti sindacali non può comunque comportare una deroga all’adempimento dell’obbligazione di lavorare del prestatore di lavoro, ad eccezione dei casi in cui il legislatore lo abbia espressamente e temporaneamente previsto (v. artt. 20, comma 1, 23, 24 St. lav.), ovvero di quelle disposizioni che prevedono delle mere attività strumentali, di spettanza sindacale, il cui esercizio non incide sulla corretta esecuzione delle prestazioni di lavoro (quali ad esempio l’affissione o le attività di riscossione di contributi di cui all’art. 26 St. lav.)22. 3. I diritti all’attività sindacale nello Statuto dei lavoratori: inquadramento sistematico. Se gli articoli 14, 15, 16, 17 e 28 St. lav. costituiscono una diretta manifestazione nell’ambito dei rapporti interprivati di lavoro del principio di cui al primo comma dell’art. 39 cost., l’impianto normativo di cui al titolo III dello Statuto fornisce concretamente alle organizzazioni sindacali un apparato giuridico funzionale a far sì che, nelle realtà aziendali, l’immunità dal potere sanzionatorio del datore di lavoro promessa dalla Costituzione diventi effettiva. In tal senso, infatti, è stato autorevolmente sostenuto che ‹‹i diritti sindacali costituiscono un di più rispetto alle fondamentali garanzie di libertà sindacale››23. Nella logica sistematica dello Statuto è possibile distinguere una protezione dell’attività sindacale intesa in senso lato, che trova la sua matrice princi21 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, in Digesto comm., IV, Torino, 1989, 299. 22 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 53; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 194. DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 299. 23 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 299. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 5 pale nell’art. 14 St. lav., e poi invece la tipizzazione di una serie di situazioni soggettive attive ulteriori che incidono in via immediata sulla stessa sfera datoriale. Peraltro, il contenuto di determinate situazioni attive non si identifica in atti o comportamenti immediatamente qualificabili come attività sindacali, ma si estrinseca ‹‹nella posizione di precondizioni, idonee a consentire lo svolgimento delle attività stesse››24. La dottrina concorda nel ritenere che si possa escludere una configurazione dei diritti sindacali come diritti della personalità, perché non hanno ad oggetto beni o interessi fondamentali dei soggetti titolari; né tantomeno si ritiene che possano essere considerati quali diritti assoluti collettivi, dal momento che la titolarità non sempre è collettiva, ma è anche individuale, e il soggetto passivo è frequentemente determinato ed individuato (nella persona del datore di lavoro)25. Condivise queste premesse, la dottrina si divide in due filoni principali. Un primo orientamento adotta un criterio classificatorio di tipo teleologico ‹‹cioè la connessione funzionale di tali situazioni con la tutela di interessi collettivi››26 o, in alternativa, tenta di delineare una classificazione tenendo in considerazione il carattere preparatorio e strumentale di alcune situazioni giuridiche soggettive, che fungono da presupposto per l’esercizio dell’attività sindacale27. 24 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47, secondo cui appunto ‹‹il diritto ai permessi o il diritto ai locali non hanno ad oggetto attività (di per sé) sindacali, ma la creazione di condizioni giuridiche o materiali, atte a rendere possibile l’esplicazione di determinate funzioni sindacali››. 25 Sul punto concordano in dottrina: GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47, secondo cui è da escludere una simile ipotesi se per diritti assoluti ‹‹debbono intendersi quelle situazioni attive, in cui è strutturalmente rilevante il dovere di astensione di tutti i terzi indistintamente››; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 300. 26 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47 s., il quale però riconosce come una ricostruzione dogmatica non possa fondarsi sull’elemento finalistico, anche se ‹‹la prospettiva finalistica non deve essere sottovalutata, in quanto serve ad indicare non soltanto la funzione tipica dei diritti sindacali, ma anche la loro prevalente struttura collettiva, dal lato soggettivo (attivo)››. 27 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 49. Un altro orientamento, invece, conduce un’opera di inquadramento sistematico seguendo il filo della titolarità delle varie situazioni giuridiche prospettate dallo Statuto28. Invero, in ogni ipotesi considerata, assume rilievo preminente la struttura soggettiva dei diritti all’attività sindacale, che manifesta una costante dal lato passivo, essendo costituita generalmente da un soggetto determinato che è appunto il datore di lavoro29. Ciò che muta in questa prospettiva è la situazione di potere del titolare, e conseguentemente la situazione di soggezione del datore di lavoro, che in alcuni casi si sostanzia in un semplice pati in cui l’imprenditore subisce nella propria sfera giuridica gli effetti connessi all’iniziativa del soggetto attivo (ad esempio in tema di godimento dei permessi, artt. 23 e 24 St. lav., o in tema di propaganda sindacale e proselitismo, art. 26 St. lav.); mentre, in altri casi, è previsto un dovere specifico di cooperazione attiva (ad esempio il diritto ad ottenere la disponibilità degli appositi spazi per le affissioni, art. 25 st. lav.). In certi casi è lo stesso legislatore a indicare, quale criterio identificativo, proprio la situazione soggettiva del datore di lavoro; qui, infatti, l’enunciato normativo, invece di riferirsi espressamente alla situazione attiva, si sofferma sulla descrizione del dovere di cooperazione, da cui poi può tracciarsi solo di riflesso il corrispondente diritto sindacale (si vedano a tal proposito gli artt. 21, 25, 26, 27 St. lav.)30. Nei paragrafi che seguono verrà affrontata la trattazione dei diritti di propaganda e di proselitismo, dei permessi sindacali e dell’aspettativa per motivi sindacali, e per ogni ipotesi sarà illustrata la relativa disciplina, adottando come schema tipico proprio quello della titolarità, individuale o collettiva, per un verso, e quello della teoria dei limiti interni ed esterni, per altro verso. Va precisato che la disciplina dei diritti sindacali, predisposta dal legislatore del 1970, non consente di trarre elementi che descrivano la presenza del sindaca28 PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196. 29 Una conferma in questo senso viene anche dalla struttura della tutela giurisdizionale dei diritti all’attività sindacale, v. ad es. artt. 28, 17 e 15 St. lav., così GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 49. 30 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 48; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 6 to in azienda secondo una logica partecipativa che escluda il conflitto. Per questo ci si occuperà dei diritti di informazione e consultazione in una sezione distinta; distinta per ragioni di carattere storico e anche per motivi di ordine sistematico, dal momento che la prospettiva partecipativa e la logica conflittuale traggono le loro origini ideologiche e sociali nell’ambito di differenti politiche del diritto. 4. Libertà di manifestazione del pensiero: propaganda sindacale e opera di proselitismo. Lo Statuto dei lavoratori con l’art. 26 riconosce il diritto dei lavoratori di ‹‹raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale››31. Oggetto della tutela dell’art. 26 è una pluralità di situazioni giuridiche attive che possono essere individuate: nell’opera di proselitismo e di propaganda; e nella raccolta di contributi (cosiddetto collettaggio). Entrambi tali comportamenti costituiscono piena espressione del favor del legislatore per la realizzazione dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, ma anche per tutte quelle attività che, ancor prima di essere strumentali a garantire il pieno svolgimento dei diritti sindacali, possano creare le precondizioni materiali per l’agibilità sindacale delle aziende. Sia l’attività di proselitismo, sia l’attività di collettaggio, infatti, sono fra loro strettamente collegate da un nesso di necessità logica, tale per cui la raccolta di adesioni (e dei contributi) per l’iscrizione al sindacato non potrebbe essere realizzata se non fosse preceduta da una ‹‹propaganda promozionale›› dei benefici derivanti dalla partecipazione operosa all’attività sindacale. L’attività di proselitismo si caratterizza per una sua tipicità storica discendente da una prassi consolidata delle relazioni industriali in azienda, tipicità pertanto che lo Statuto si è limitato a codificare. I contenuti e le modalità concrete di tale attività vengono infatti rimesse alla libera determinazione degli attori sindacali, i quali possono legittimamente godere di tale diritto nei limiti e con i contempera31 LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, in Quaderni arg. dir. lav., 1996, 1, 65 ss. menti emergenti dal riferimento dell’art. 26 st. lav. al ‹‹normale svolgimento dell’attività aziendale››. Il nucleo originario e consolidato dell’attività di proselitismo corrisponde alla ‹‹libertà dell’organizzazione sindacale di manifestare e diffondere il proprio pensiero, mediante i veicoli vari della parola e dello scritto›› ed è volta a realizzare una diffusa azione informativa che favorisca e accresca la capacità di giudizio e di scelta consapevole dei lavoratori. Con riguardo alla natura giuridica e al relativo inquadramento sistematico da attribuire all’attività di proselitismo, in dottrina si profilano due orientamenti. Un primo orientamento che ravvisa nel proselitismo ‹‹una forma qualificata di propaganda››, e pertanto una mera manifestazione del pensiero32. E un secondo orientamento che, contrariamente al primo, attribuisce all’attività di proselitismo di cui all’art. 26 st. lav. un quid pluris rispetto ad una mera attività manifestativa, riconoscendole soprattutto una natura autonoma operativa e attivistica dotata di una propria specificità ‹‹sul piano pratico funzionale›› 33. L’adesione all’una o all’altra delle due posizioni non è puramente di carattere speculativo, ma genera delle conseguenze in merito alla diversa valutazione che nell’uno e nell’altro caso si ha dei rapporti intercorrenti tra l’art. 26 st. lav., da un lato, e gli artt. 1 st. lav. e 21 Cost., dall’altro lato. Nell’ambito della prima prospettiva, il diritto al proselitismo non avrebbe necessariamente una qualificazione in senso sindacale, anzi sarebbe la piena espressione del diritto di cui agli artt. 1 st. lav. e 21 Cost., giacché garantirebbe a tutti i lavoratori il diritto di manifestare il proprio pensiero anche nell’ambito di materie non strettamente connesse ad un fine sindacale34. 32 MANCINI, Sub art. 26, in Ghezzi, Mancini, Montuschi, Romagnoli (a cura di), Statuto dei diritti dei lavoratori, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna – Roma, 1972, 389, 391. 33 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 161; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 217. 34 MANCINI, Sub art. 26, cit., 393, per convalidare questa conclusione rinvia alla funzione storicamente determinante dello Statuto che è la tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, principio questo dal quale discende ‹‹la negazione della logica che domanda al lavoratore di dimenticare, nel momento in cui varca i cancelli dell’impresa, quegli aspetti della sua umanità e della sua esperienza che non ser- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 7 Si sostiene pertanto che l’art. 26 st. lav. altro non sia che una mera esplicitazione di quanto già garantito dal legislatore all’art. 1 st. lav. e, quindi, una forma qualificata di manifestazione del pensiero35. Lo scenario di riferimento muta radicalmente con la seconda tesi. Questa opzione ermeneutica, infatti, adotta quale premessa metodologica la qualificazione dell’attività di proselitismo come un’attività non meramente manifestativa, ma operativa e dinamica e soprattutto connotata dalla specifica finalità di promuovere l’adesione di nuovi soggetti all’organizzazione sindacale. Non ci sarebbe pertanto spazio, nell’ambito di questa prospettiva, per motivazioni di carattere extra sindacale 36. Inoltre, solo argomentando così, potrebbe confutarsi la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale dell’art. 26 st. lav. Se, infatti, con quest’articolo il legislatore avesse ripetuto sostanzialmente la formulazione dell’art. 21 Cost., i limiti imposti dal legislatore ordinario, e non previsti dal costituente, sarebbero da considerare illegittimi, e conseguentemente lo sarebbe anche la norma. Ma, se invece all’art. 26 st. lav. si attribuisce un campo di applicazione diverso e più ristretto, rispetto all’ipotesi costituzionale, allora cadrebbe ogni sospetto di illegittimità, perché il legislatore ordinario avrebbe imposto dei limiti ad un’attività connotata in chiave sindacale per contemperarne l’esercizio con la normale attività aziendale; e ciò in piena conformità al dato costituzionale. Peraltro, in questa prospettiva, se si vuole trovare un fondamento all’art. 26 st. lav., questo va ricercato nell’ambito dell’art. 14 st. lav.; quest’ultimo, infatti, individua la cornice generale dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro nel cui spazio si inquadra ogni espressione specifica dei diritti sindacali. vono all’esatto adempimento della prestazione››. 35 Per una prevalente adesione della giurisprudenza all’identificazione dell’oggetto dell’art. 26 st. lav. in una forma qualificata di manifestazione del pensiero, riconducibile all’art. 1 st. lav . e all’art. 21 cost., vd. PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 217, nt. 58. 36 Nello stesso senso v. DELL’OLIO, Commento all’art. 26, in PROSPERETTI, diretto da, Commentario dello Statuto dei lavoratori, Milano, 1975, 824. E proprio sulla scorta di tali considerazioni, dunque, si spiegherebbe la ‹‹specialità funzionale dell’attività di proselitismo››37. 5. Titolarità del diritto di cui all’art. 26 st. lav. e individuazione non selettiva dei beneficiari della promozione. L’art. 26 st. lav. si caratterizza per alcune peculiarità che ‹‹nell’ambito del titolo III lo isolano e ne fanno in qualche modo un unicum››38. Diversamente dalle altre previsioni dello Statuto, infatti, solo in questo caso, i soggetti beneficiari dell’attività individuata dalla norma sono genericamente le “organizzazioni sindacali” dei lavoratori. Nonostante tale articolo possa essere inserito a pieno titolo nella legislazione di sostegno, ‹‹la promozione che con esso si attua non ha carattere selettivo›› e, soprattutto, non si può inquadrare nell’ambito delle disposizioni volte a favorire le rappresentanze sindacali aziendali (d’ora in avanti r.s.a.) 39. Come si è già accennato, beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo sono tutte le associazioni sindacali dei lavoratori. Ma queste non hanno un potere autonomo di indizione o di autorizzazione nei confronti della situazione soggettiva attiva prevista dalla norma, di cui invece è titolare il singolo lavoratore. Seppure in mancanza di un espresso riferimento normativo in tal senso, in dottrina vi è chi teorizza anche la piena legittimazione del sindacato, le cui basi giuridiche si rinvengono nell’ambito dello stesso Statuto (si veda ad esempio l’art. 28 St. lav.)40. Questa libertà sarebbe presupposta anche dall’articolo in esame, che, attraverso il riconoscimento della manifestazione e della diffusione del pensiero nei luoghi di lavoro, ha predisposto una tutela strumentale alla libertà e all’attività organizzativa del sindacato. Resta fermo che gli unici soggetti legittimati dalla norma a dare impulso all’iniziativa per l’esercizio del diritto sono i lavoratori in quanto tali, e non in quanto investiti di una funzione qualificata in una certa organizzazione; dalla formulazione del disposto 37 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 826; GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 162. 38 MANCINI, Sub art. 26, cit., 389. 39 MANCINI, Sub art. 26, cit., 390; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 307. 40 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 159. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 8 emerge invero la volontà di valorizzare la figura del lavoratore come persona intesa in una dimensione individuale del principio di libertà sindacale41. In realtà, ciò che rende la norma in esame un unicum risiede nello stretto legame che viene intessuto tra momento individuale e momento collettivo. La destinazione ultima e necessaria dell’attività posta in essere dai lavoratori, infatti, è proprio la propaganda del pensiero sindacale e la raccolta di contributi per una data organizzazione sindacale: un’attività sindacale individuale, quindi, rivolta esclusivamente al soddisfacimento di interessi collettivi42. Il vincolo stringente che lega i due momenti è la rigorosa accezione di “sindacale” che la norma espressamente conferisce alle organizzazioni 43. Dalla logica promozionale dello Statuto sono pertanto escluse tutte le organizzazioni che perseguano finalità diverse (politiche, religiose, assistenziali, ricreative, socio – culturali etc.), cui i lavoratori possano essere interessati44. Tale precisazione ribadisce la delimitazione dell’oggetto dell’attività sindacale, regolata e sostenuta all’interno delle imprese 45. Una simile interpretazione, però, non è condivisa in modo unanime in dottrina. Esiste, infatti, un orientamento che, considerando la libertà di propaganda e di proselitismo come mere 41 BRANCA, La raccolta dei contributi sindacali, in PERA, a cura di, L’applicazione dello Statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, Milano, 1973, 331 s.; DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 830, secondo cui non è necessaria l’iscrizione ad un sindacato o un preventivo incarico da parte di questo. Nello stesso senso PERA, Libertà e dignità dei lavoratori, in Noviss. Dig. it., vol. IV, 1982, 905. 42 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 825, secondo il quale la continuità tra momento individuale e momento collettivo richiama l’art. 2 Cost. 43 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 828; GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 162, nt. 17; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 214. 44 PERA, Libertà e dignità dei lavoratori, cit., 905; DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 827-828. In giurisprudenza in tal senso cfr. P. Milano 17.6.1993, in Orient. giur. lav., 1993, 603; P. Milano 15.6.1993, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 49; entrambe queste sentenze hanno negato il diritto alle trattenute al Sindacato autonomista lombardo (S.A.L.) in quanto associazione con fini politici e non sindacali. 45 PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 215; contra MANCINI, Sub art. 26, cit., 391. attività manifestative, non necessariamente caratterizzate in senso sindacale, giunge a sostenere che in questo caso i lavoratori possano indirizzare la loro attività anche nei confronti di organizzazioni di altro genere per il perseguimento di fini diversi da quelli puramente sindacali46. Dalla formulazione della norma sono del pari escluse le rappresentanze sindacali aziendali, per cui la titolarità a riscuotere i contributi sindacali spetta anche ai sindacati non in possesso dei requisiti di rappresentatività richiesti dall’art. 19 st. lav.47. La ratio di una simile esclusione va ricercata nella necessità che, in relazione ad attività quali il collettaggio e la diffusione e la propaganda del pensiero, non si restringa il campo di applicazione della norma nei confronti di alcune diramazioni sindacali che hanno già il riconoscimento di un ruolo collettivo in azienda (quali appunto le r.s.a.), privando così le organizzazioni che tale ruolo non hanno di consolidarsi e di aspirare a costituire esse stesse degli organismi rappresentativi. Diversamente, introdurre anche in questo caso una logica selettiva avrebbe significato attribuire una posizione di monopolio solo ad alcuni sindacati e ‹‹condannare gli altri a un perpetuo stato di minorità o addirittura alla scomparsa, e, per ciò stesso, ridurre a una vuota frase la garanzia dell’art. 39 cost.›› 48. D’altronde, è anche vero che il meccanismo selettivo di cui all’art. 19 St. lav. rappresenta di per sé un’eccezione, tale per cui estenderlo oltre i casi in cui sia motivato da esigenze di carattere aziendale avrebbe determinato un’ingerenza del legislatore nelle finalità tipiche dell’attività sindacale49. A proposito del diritto di riscuotere i contributi sindacali, in passato era sorto il dubbio circa l’ammissibilità di un’estensione anche alle associazioni sindacali non firmatarie di alcun contratto collettivo. 46 MANCINI, Sub art. 26, cit., 391 secondo il quale ‹‹tali attività non possono che essere svolte a vantaggio di tutte le organizzazioni a cui i lavoratori siano interessati: (…)››. 47 LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 71; BRANCA, La raccolta dei contributi sindacali, cit., 332 ss.; in giurisprudenza per tutti T. Milano, 23.06.1977, in Orient. giur. lav., 1977, 744. 48 MANCINI, Sub art. 26, cit., 390; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 216. 49 Sul punto si vedano le motivazioni della Corte Costituzionale in merito alle questioni di legittimità sorte intorno all’art. 19 st. lav. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 9 Dopo un ampio dibattito, caratterizzato da alterne soluzioni contrastanti della giurisprudenza di legittimità e di merito50, si è giunti a sostenere la piena legittimità della titolarità del diritto alla riscossione anche alle associazioni non stipulanti, considerando l’elemento della stipulazione del contratto collettivo come ‹‹estraneo alla lettera e alla ratio della disciplina statutaria››51. La situazione soggettiva passiva corrispondente ai diritti di proselitismo e di collettaggio è riferibile all’imprenditore52; questa dovrebbe potersi identificare in una condotta passiva che si limiti a tollerare le attività, non solo manifestative, ma anche operative necessarie per il pieno godimento del diritto. Il datore di lavoro, pertanto, nulla potrebbe contestare riguardo ai contenuti o alle attività mediante le quali si esercita il diritto, fino al limite generale del normale svolgimento dell’attività aziendale, e con il rispetto degli ordinari parametri di buona fede e correttezza53. 6. Versamento ed esazione dei contributi sindacali: oggetto e funzione. La formulazione della norma in esame è stata oggetto di referendum abrogativo l’11 giugno 199554, con cui sono stati abrogati i commi 2 e 3 che discipli- navano nel dettaglio le modalità previste per la raccolta e per il versamento dei contributi sindacali 55. Nella versione della disposizione originaria si poteva tentare di distinguere tra i contributi di cui al primo comma, che i lavoratori hanno diritto di raccogliere per le loro organizzazioni e che generalmente venivano fatti coincidere con le contribuzioni occasionali e volontarie, e i contributi sindacali associativi, che le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire tramite ritenuta sul salario (secondo comma); nonché quelli di cui il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento all’associazione sindacale da lui indicata, nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi (terzo comma). A queste ultime due ipotesi corrispondevano le quote che i lavoratori erano tenuti a versare sulla base degli statuti associativi56. E le operazioni di trattenute corrispondenti erano qualificate come un diritto del sindacato di fonte legale57. Il filo che legava, anche se in modo sottile, le tre disposizioni andava rintracciato nella comune strumentalità dei diversi modi di raccolta dei contributi al rafforzamento organizzativo dei sindacati 58. Nella versione attuale dell’art. 26 st. lav., rimane intatto il primo comma, il cui richiamo generico ai “contributi” deve intendersi oggi riferito a tutte le specie di concorso economico all’attività sindacale59. 55 50 Per la ricostruzione puntuale del dibattito in giurisprudenza v. LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 72. 51 LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 73; Cass., 9.9.1991, n. 9470, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 836, con nota di PASCUCCI, Sul diritto del sindacato dei quadri a percepire i contributi sindacali. 52 Sull’esclusione dei datori di lavoro non imprenditori e sulla ragionevolezza dell’esclusione si v. C. Cost., 8.7.1975, n. 189, in Mass. giur. lav., 1975, 295. 53 Sulle attività sindacali manifestative nelle c.d. organizzazioni di tendenza, si veda GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 164 ss. 54 L’abrogazione è stata dichiarata con d.p.r. 28 luglio 1995, n. 313, ed ha prodotto effetti dal 30 settembre 1995. Il referendum è stato reso ammissibile da C. Cost., 12.1.1995, n. 13, in Mass. giur. lav., 1995, 7; con la sentenza la Corte ha precisato che l’abrogazione dei commi secondo e terzo dell’art. 26 st. lav. avrebbe determinato altresì l’abrogazione della legislazione speciale della materia nei comparti del pubblico impiego. LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 74 ss. 56 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829. 57 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 850; Cass., 9.9.1992, n. 10318, in Notiziario giurispr. lav., 1992, 897, secondo cui ‹‹il credito di un’associazione di categoria nei confronti del datore di lavoro, in relazione ai contributi sindacali che il dipendente abbia deciso di versare, con ritenuta sul salario, secondo la previsione dell’art. 26, St. lav., e mediante la “delega” all’uopo contemplata dai contratti collettivi, non gode del privilegio generale accordato a quest’ultimo dall'art. 2751 bis, n. 1, c. c., trattandosi di un diritto autonomo, che discende ex lege dal suddetto atto negoziale del lavoratore (atto non qualificabile né come cessione di credito, in considerazione della sua unilateralità e revocabilità, né come delegatio solvendi, in considerazione del suo carattere vincolante per il datore di lavoro), senza che ciò comporti violazione dell’art. 3 Cost.››; Cass., 16.4.1991, n. 4075, in Foro it., 1991, I, 2769, a proposito della competenza per materia al rito speciale del lavoro. 58 MANCINI, Sub art. 26, cit., 389; TREU, Attività antisindacale e interessi collettivi, cit., 565. 59 Concordava già con questa ipotesi DELL’OLIO, Commen- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 10 La previsione, infatti, non distingue più tra le differenti modalità di contribuzione, ma conferma il diritto dei lavoratori uti singuli di raccogliere quanto necessario per la sussistenza dell’organizzazione sindacale; tale mancata distinzione, pertanto, conferma l’inutilità di catalogazioni di ordine sistematico60. Peraltro, come già nella versione originaria della norma, si ritiene ancora che l’ampiezza della formula sia tale da potervi includere ogni specie di contributo richiesto61. L’elemento di differenziazione prevalente tra le varie formule di raccolta di contributi, allora, risiede proprio nelle modalità di riscossione, in base alle quali si distinguono anche le causali che danno origine al contributo. Nella locuzione ‹‹diritto di raccogliere i contributi (…) all’interno dei luoghi di lavoro››, può ritenersi compreso il significato anche meno tecnico corrispondente alla semplice attività di collettaggio, non necessariamente coordinata ad una data organizzazione sindacale, e svincolata dalla destinazione all’esazione di contributi associativi; l’attività di raccolta ad iniziativa dei lavoratori, che così fungono da collettori, potrebbe essere finalizzata a sostenere economicamente eventi straordinari (a beneficio ad esempio di un lavoratore licenziato o per finanziare una propaganda sindacale mirata ad eventi straordinari dell’azienda), e rientrerebbe comunque nella tutela apprestata dallo Statuto. Il legislatore sul punto non pone alcun limite. E non si vede pertanto come si possa limitare tale diritto in via interpretativa. Altra ipotesi di riscossione è invece quella prevista in vario modo dagli statuti associativi e dai contratti collettivi, per la partecipazione attiva all’organizzazione sindacale, per cui generalmente è previsto che i lavoratori siano tenuti a versare una quota iniziale di tesseramento all’atto di adesione e dei contributi associativi periodici. to all’art. 26, cit., 829. Sulla specie e la natura dei contributi in generale v. CIPRESSI, I contributi sindacali, in Riv. dir. civ., 1971, I, 52. 60 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829. 61 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829 s.; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 221. Rimane ad ogni modo fermo il ruolo della contrattazione collettiva, che detta in modo prevalente le regole della relativa disciplina. Del resto, da qualsivoglia fonte autonoma o eteronoma tragga origine il fondamento della “trattenuta sindacale” è certo che alla manifestazione di volontà del lavoratore in tal senso corrisponda una situazione giuridica passiva che consiste in una collaborazione del datore di lavoro, il quale generalmente trattiene sulla retribuzione l’importo del contributo in base ad una delega rilasciata dal lavoratore. In effetti, quando tale modalità di riscossione era prevista espressamente dal secondo comma dell’articolo in esame, veniva configurato un puntuale diritto del sindacato alla percezione del contributo, tramite ritenuta sul salario, che postulava un simmetrico obbligo di collaborazione da parte del datore di lavoro62. Questa ipotesi assumeva profili strutturali diversi rispetto a quella delineata al primo comma; solo infatti in quest’ultimo caso è possibile parlare di diritto a titolarità individuale per un interesse collettivo, nell’ipotesi legale di percezione dei contributi tramite ritenuta sulla retribuzione, invece, il relativo diritto era imputato in via immediata all’organizzazione sindacale che ne beneficiava, rilevando pertanto un profilo tipicamente collettivo dell’attività sindacale. Irrilevante in ogni caso è il titolo in base al quale il contributo viene riscosso. E’ chiaro che in questa prospettiva lo strumento del collettaggio è strettamente funzionale all’attività di propaganda sindacale, ed è per questo che la tutela promozionale affianca le due ipotesi in un’unica norma. Proprio il collettaggio, o genericamente la raccolta di contributi in azienda, costituisce un veicolo insostituibile affinché l’attivista divulghi l’ideologia da lui rappresentata tra gli altri lavoratori con l’obiettivo di accrescere in loro l’interesse e la partecipazione ai problemi e alle ragioni del sindacato. L’attività di collettaggio sarebbe pertanto funzionale al proselitismo, anzi sarebbe un mezzo per l’esercizio stesso del proselitismo e, al pari di questo, destinatario di tutela costituzionale63. La disposizione in esame mira a garantire al sindacato uno strumento istituzionalizzato per contare su fonti di finanziamento costanti e regolari. 62 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 307. MANCINI, Sub art. 26, cit. 392, il quale considera il “collettaggio” quale veicolo principe del proselitismo, 393. 63 temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 11 Anche se la struttura originaria della norma, con la diversificazione espressa delle tecniche di riscossione, manifestava la differente ideologia che vi stava dietro. La tecnica di riscossione tradizionale, infatti, rispondeva ad una logica spontaneistica e individualistica, rimessa all’esclusiva iniziativa dei lavoratori, in cui il momento collettivo organizzato era tagliato fuori o era in ogni caso successivo. Queste caratteristiche rendevano questa modalità di riscossione votata alla precarietà e, soprattutto, destinata ad essere utilizzata solo nei casi in cui si trattasse di esazione di contributi saltuari. Per ovviare a tali criticità, prima la contrattazione collettiva e poi lo stesso legislatore, hanno optato per un sistema che garantisse un rafforzamento della presenza sindacale nei luoghi di lavoro e, principalmente, una maggiore e più capillare riscossione delle quote associative e dei versamenti periodici, introducendo così la percezione dei contributi sindacali tramite ritenuta sulla retribuzione quale diritto riconosciuto alle associazioni sindacali. Peraltro, la stessa contrattazione disciplina le modalità per il rilascio della delega al datore, per il versamento dei contributi e anche i termini per la revoca 64. In estrema sintesi, si può sostenere, allora, come la promozione del referendum abbia avuto l’intento di eliminare la base legale del diritto del sindacato alla percezione dei contributi sindacali e del correlativo obbligo di intermediazione in capo al datore di lavoro per restituire la materia all’autonomia privata individuale e collettiva. 7. Volontarietà della trattenuta sindacale e sua qualificazione giuridica. Anche prima della modifica referendaria, i commentatori hanno considerato non ipotizzabile un diritto del sindacato alla riscossione delle quote associative a prescindere dalla delega individuale e hanno ritenuto che fosse essenziale l’adesione volontaria del lavoratore65. 64 Sul punto cfr. ZOLI, Questioni in tema di contributi sindacali, in Giust. civ., 1987, II, 356 ss. 65 INGLESE, Brevi osservazioni sul quesito referendario in materia di contributi sindacali, in Mass. giur. lav., 1995, 12; ALES, Diritti sindacali in azienda e sostegno legislativo: il referendum abrogativo dell’art. 26 st. lav., in Dir. lavoro, 1995, II, 25. Nel rispetto del principio desumibile dallo stesso art. 39, I comma, Cost., secondo cui i lavoratori godono anche della libertà sindacale negativa, è rimesso alla piena ed incondizionata volontarietà dei soggetti aderire o meno all’attività di raccolta dei contributi. E ciò, si intenda, vale non solo per i soggetti che devono corrispondere le quote associative o i versamenti occasionali mediante ritenuta sulla retribuzione, ma anche per coloro che, in base al primo comma dell’art. 26 St. lav., si ritengano preposti alla raccolta dei contributi, e che vengono generalmente definiti appunto come collettori o attivisti. Il punto, in quest’ultimo caso, è capire quale significato la norma intenda attribuire alla locuzione “loro” organizzazioni sindacali; e cioè se sia necessario che tra i collettori e il sindacato vi sia un vincolo associativo. L’interpretazione letterale suggerisce di ritenere applicabile la disposizione anche a iniziative del tutto spontanee, dal momento che l’art. 26 st. lav. non è inquadrabile tra i diritti sindacali in senso stretto, intesi come accrescitivi della sfera giuridica del sindacalista interno. Esso, viceversa, attribuisce diritti individuali al prestatore di lavoro, prescindendo dalla sua qualità di associato. Per converso, al datore di lavoro non è riconosciuto alcun potere di indagine o di verifica dello specifico incarico assunto dal lavoratore. In ogni caso, l’azione di raccolta intrapresa autonomamente dai lavoratori potrà sempre essere sconfessata dall’organizzazione sindacale66. Nel caso in cui la riscossione dei contributi avvenga attraverso la decurtazione della somma dalla retribuzione, la manifestazione di volontà del prestatore di lavoro espressa mediante la delega al datore di lavoro è condizione necessaria per far sorgere il diritto di percezione del contributo in capo all’organizzazione sindacale67. 66 Nel caso di un simile comportamento, oltre a cadere la protezione di cui all’art. 26 st. lav., rileverebbero anche profili di illiceità penale, cfr. DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 830, nt. 171. Non si può trascurare, tra l’altro, come nel nostro ordinamento esista una previsione di pubblica sicurezza (art. 156 T.U. di pubblica sicurezza) che impone l’assoggettamento di qualsiasi forma di ‹‹raccolte di fondi o di oggetti, collette o questue›› ad una licenza di polizia. Su tale norma cfr. C. Cost., 2.2.1972, n. 12, in Ced Cassazione, 1972, che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale. 67 LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 70, secondo il quale la manifestazione di volontà del temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 12 Con tale conclusione concordano dottrina e giurisprudenza di legittimità. Per quest’ultima non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 26 St. lav. tutte le modalità di riscossione “automatica” (quali ad esempio le cosiddette quote di servizio, che poste a carico di tutti i lavoratori in occasione del rinnovo del contratto collettivo, a prescindere dalla loro iscrizione al sindacato stipulante, non richiedevano l’espressa delega al datore di lavoro)68. Il nodo cruciale però sta nella difficoltà di qualificare lo strumento giuridico attraverso il quale il lavoratore manifesta la sua volontà di attribuire al sindacato una quota della sua retribuzione. Le ipotesi prese in considerazione da dottrina e giurisprudenza sono principalmente due: l’istituto della cessione del credito ex art. 1260 c.c., e l’istituto della delegazione di pagamento ex art. 1269 c.c. L’interpretazione dell’art. 26 St. lav. risalente al periodo prereferendario, configurava la raccolta di contributi sindacali secondo lo schema della delegazione di pagamento69. Il referendum, sebbene non abbia avuto una grande rilevanza sotto il profilo pratico, ha determinato il venir meno dell’obbligo ex lege per il datore di lavoro di operare la trattenuta dei contributi sindacali sulla retribuzione, in base ad una mera richiesta del lavoratore, a favore dell’associazione di appartenenza. Nel vigore dell’attuale formulazione dell’art. 26 St. lav. l’obbligo del datore di lavoro di versare su rilavoratore si configura proprio come ‹‹condicio sine qua non per l’attivazione del meccanismo di riscossione da parte delle associazioni sindacali››. Analogamente in dottrina, DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 856 e GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 197. 68 Cass., 28.5.1992, n. 6394, in Foro it., 1992, I, 2659; per la giurisprudenza di merito v. P. Milano, 22.7.1991, in Riv. critica dir. lav., 1992, 116 e in Foro it., 1992, I, 264; ma anche T. Milano, 20.7.1993, in Notiziario giurispr. lav., 1993, 621, secondo cui sarebbe sufficiente un consenso tacito dei lavoratori in relazione alla sussistenza di una prassi aziendale idonea ad integrare gli estremi di un uso negoziale. In dottrina sul punto v. MAZZONE, Sindacato e tabù: ovvero democrazia e finanziamento dei sindacati, in Riv. critica dir. lav., 1992, 53 ss.; nonché CANNARSI, Contributi sindacali e quote di servizio, in Lavoro e prev. oggi, 1991, 1899 ss. 69 DEL CONTE, Contributi sindacali tra cessione del credito e delegazione di pagamento, in Mass. giur. lav., 2004, 458, nt. 1. chiesta del lavoratore la trattenuta trova infatti la sua fonte nel contratto collettivo. L’unica conseguenza di un certo rilievo a cui ha dato origine il referendum riguarda la necessità di accertare se la disciplina della trattenuta sulla retribuzione, ora rimessa solo all’autonomia privata, individuale o collettiva, sia applicabile anche alle associazioni sindacali che non abbiano firmato il contratto collettivo70. Sul punto in giurisprudenza si sono confrontati orientamenti divergenti. Come divergenti sono anche le conseguenze dell’adesione all’una o all’altra soluzione. Se, infatti, si afferma la non applicabilità della disciplina pattizia ai lavoratori aderenti alle organizzazioni sindacali non firmatarie del contratto collettivo, si dovrà conseguentemente ritenere che il rifiuto del datore di lavoro di operare dette trattenute non può costituire comportamento antisindacale ai sensi dell’art. 28 st. lav.71 Le argomentazioni offerte a favore di questa opzione interpretativa fanno capo alla motivazione della Corte Costituzionale72 che ha dichiarato ammissibile il referendum. In quell’occasione, infatti, il giudice delle leggi riconobbe che l’abrogazione dei commi 2 e 3 dell’art. 26 avrebbe avuto lo scopo di restituire la disciplina della materia all’autonomia contrattuale, individuale e collettiva. Seguendo tali indicazioni, pertanto, l’obbligo del datore di procedere alle trattenute sindacali può configurarsi solo in presenza di una disciplina pattizia che lo vincoli, in conformità ai principi generali sui contratti. Ne restano evidentemente esclusi tutti i lavoratori che aderiscono alle associazioni sindacali che non 70 Per la ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali prima del referendum cfr. PASCUCCI, Sul diritto del sindacato dei quadri a percepire i contributi sindacali, nota a Cass, 9.9.1991, n. 9470, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 836; nonché LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 72 s. 71 In questo senso, per la giurisprudenza di legittimità cfr. un orientamento minoritario espresso da Cass., 3.6.2004, n. 10616, in Riv. giur. lav., 2004, II, 613, con nota di ALLEVA, La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?; conclude analogamente anche Cass., 3.2.2004, n. 1968, in Dir. lavoro, 2004, II, 239. 72 C. Cost., 12.1.1995, n. 13, in Foro it., 1995, I, 433. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 13 abbiano stipulato il contratto collettivo in cui è prevista la regolamentazione delle trattenute sulla retribuzione. Per questi lavoratori quindi non produrrà alcun effetto legale la manifestazione del consenso, nemmeno se tale atto fosse qualificato come una cessione di credito ex art. 1260 c.c.73. Diversamente, verrebbe ripristinato de facto l’assetto legale che il referendum ha inteso chiaramente abrogare e sarebbe del tutto disattesa la volontà popolare che con l’approvazione del quesito referendario ha voluto rimettere la materia alla fonte contrattuale 74. Quest’orientamento comunque è stato notevolmente discusso in dottrina75 e, come si vedrà, del tutto disatteso in giurisprudenza. Nei casi esclusi da accordi collettivi, rimettere l’istituto della delega sindacale all’arbitrio del datore di lavoro, significherebbe consegnare la praticabilità del diritto in questione ad una mera concessione datoriale, con l’evidente conseguenza di disconoscere il valore di un’iscrizione sindacale ad una organizzazione non firmataria del contratto collettivo applicato in azienda. Un consolidato filone della giurisprudenza di legittimità sembra quindi propendere per la tesi che ritiene il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro sanzionabile ex art. 28 st. lav. Sul piano degli effetti sanzionatori, alla luce di questa interpretazione giurisprudenziale, infatti, il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività76. 73 Per la riconducibilità dell’atto di disposizione dei lavoratori a favore di sindacati non firmatari del contratto collettivo applicato in azienda allo schema negoziale della delegazione di pagamento, cfr. P. Venezia, 31.10.1995, in Foro it., 1996, 756, con nota di LAMBERTUCCI, La riscossione dei contributi sindacali negli orientamenti giurisprudenziali; P. Milano, 27.11.1995, in Notiziario giurispr. lav., 1995, 693; Trib. Milano, 12.10.1999, in Orient. giur. lav., 1999, 598. 74 Cass., 3.2.2004, n. 1968, cit. 75 ALLEVA, La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?, cit., 626. 76 App. Milano, 22.2.2007, in Lavoro nella giur., 2007, 11, 1149; App. Torino, 14.2.2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 2, 407. L’iter logico seguito prende le mosse dalla considerazione secondo cui dopo l’intervento abrogativo referendario sull’art. 26 st. lav., non sia stato introdotto alcun divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro. Sarebbe, infatti, venuto meno solo l’obbligo ex lege del datore di lavoro di procedere alle ritenute sindacali, restando a tal fine utilizzabile qualunque istituto negoziale solutorio previsto e consentito dall’ordinamento. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell’esercizio della propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato - cessione che non necessita, in via generale, del consenso del debitore - richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso. In questo caso, l’unico escamotage riconosciuto al datore di lavoro è provare l’esistenza di un nuovo onere aggiuntivo, causato dalla cessione del credito, insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex art. 1374 e 1375 c.c. L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non avrebbe conseguenze sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma potrebbe giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi77. 77 Cass., S.U., 21.12.2005, n. 28269, in Foro it., 2007, 2, 550, secondo cui anche dopo l'abrogazione referendaria del comma 2 e 3 dell'art. 26 dello Statuto dei lavoratori, è antisindacale la condotta del datore di lavoro che rifiuti, al cospetto di cessione da parte del lavoratore di quote retributive al sindacato non firmatario del contratto collettivo applicabile, di trattenere le quote e di versarle al sindacato cessionario. In senso conforme, Cass., 20.3.2009, in Dir. e giustizia, 2009; Cass., 7.8.2008, n. 21368, in Giust. civ. mass., 2008, 7-8, 1255; Cass., 11.7.2008, n. 19275, in Foro it., 2010, 2, 623; Cass., 1.2.2008, n. 2495, in Guida dir., 2008, 14, 57; Cass., 18.7.2006, n. 16383, in Notiziario giurispr. lav., 2006, 5, 604; Cass. 6.6.2006, n. 13250, in Notiziario giur. lav., 2006, 4, 425; Cass., 26.7.2004, n. 14032, in Mass. giur. lav., 2004, 778, con nota di GRAMICCIA, In tema di contributi sindacali: in attesa delle Sezioni Unite; Cass., 26.2.2004, n. 3917, in Mass. giur. lav., 2004, 458, con nota di DEL CONTE, Contributi sindacali tra cessione del credito e delegazione di pagamento; Cass., sez. lav., 16 marzo 2001, n. 3813, in Orient. giur. lav., 2001, 227, con nota di MARANDO, La contribuzione sindacale tramite rite- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 14 A conferma di tale orientamento può anche considerarsi come il referendum abbia lasciato in vigore il comma 1 dell’art. 26 St. lav., che protegge i diritti individuali dei lavoratori concernenti l'attività sindacale per quanto attiene, in particolare, alla raccolta dei contributi: e come pertanto, stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della retribuzione costituisca una modalità di esercizio dei detti diritti. 8. La garanzia della segretezza del versamento dei contributi e la tutela della privacy del lavoratore. Il secondo comma dell’art. 26 St. lav. prevedeva il diritto delle associazioni sindacali di percepire il contributo dei lavoratori tramite ritenuta sul salario effettuata dallo stesso imprenditore, con modalità stabilite dai contratti collettivi collettivi in modo da garantirne la segretezza. L’ultimo comma, invece, riconosceva il diritto dei lavoratori di richiedere il versamento del contributo liberamente assunto in favore delle associazioni sindacali indicate, sulla base delle previsioni statutarie delle stesse organizzazioni o delle deliberazioni dei loro organi sociali78. In questo modo lo Statuto aveva congegnato un sistema composito attraverso il quale garantire una duplice esigenza: il diritto alla segretezza dei lavoratori in ordine alle loro opinioni sindacali; e per altro verso nuta sul salario dopo l’abrogazione dell’art. 26 S.L.: una nuova pronuncia della Corte di Cassazione. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Torino, 22.12.2006, in Notiziario giurispr. lav., 2006, 5, 604; Trib. Torino, 18.11.2006, in Giur. piemontese, 2007, 2, 336; App. Napoli, 11.7.2006, in Foro it., 2007, 2, 550, secondo cui dopo l'abrogazione referendaria del comma 2 e 3 dell'art. 26 dello Statuto dei lavoratori i lavoratori possono richiedere al datore di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato di appartenenza sia attraverso lo strumento della cessione del credito sia mediante la delegazione di pagamento; Trib. Milano, in Orient. giur. lav., 2005, I, 20; App. Milano, 29.1.2004, in Lavoro nella giur., 2004, 1005; Trib. Modena, 24.4.2003, in Mass. giur. lav., 2003, 721. 78 Prima dell’abrogazione referendaria, in dottrina, era assai discusso se il diritto alla segretezza avesse valore assoluto o relativo. Per il primo orientamento, cfr. MANCINI, Sub art. 26, cit., 399; ICHINO, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di lavoro, Milano, 1979, 123 e 160. Per il secondo orientamento cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, in Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, diretto da Giugni, Milano, 1979, 437. la libertà delle organizzazioni sindacali di ricevere le quote associative in loro favore senza dar conto al datore di lavoro della scelta delle modalità operative per realizzare i versamenti79. L’abrogazione ad opera del referendum di tali norme ha determinato l’insorgere di alcune delicate questioni in tema di segretezza del versamento dei contributi sindacali. Non può nascondersi che il sistema previgente avesse l’obiettivo di evitare che la naturale asimmetria dei rapporti di lavoro potesse condizionare indirettamente uno degli aspetti più significativi della libertà sindacale, qual è appunto quello della raccolta di fondi nei luoghi di lavoro80. L’assenza di una disciplina legislativa che preveda espressamente di garantire la segretezza dei versamenti effettuati dai lavoratori, potrebbe astrattamente far pensare al rischio che il datore di lavoro, una volta venuto a conoscenza dei dati e dei beneficiari indicati nella delega sindacale, possa influenzare la scelta e l’adesione del lavoratore anche attraverso strumenti di coazione indiretta e implicita, magari favorendo un’associazione sindacale al posto di un’altra. O ancora, sotto il profilo più strettamente individuale, il datore di lavoro potrebbe utilizzare il dato relativo alla opinione sindacale del lavoratore per attuare nei suoi confronti una politica discriminatoria. In realtà, analogo problema si poneva con riferimento a quelle associazioni che non erano firmatarie del contratto collettivo e alle quali, prima dell’abrogazione referendaria, veniva applicato il terzo comma dell’art. 26 St. lav. In queste ipotesi, infatti, non era espressamente prevista la segretezza dell’orientamento sindacale. Sul punto, però, possono farsi valere le ragioni sostenute in quel contesto da un’autorevole dottrina, secondo cui apprestare ‹‹una tutela preventiva contro gli atti discriminatori appare particolarmente necessaria proprio in imprese marginali e sospette come sono, 79 ALLEVA, La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?, cit., 626. 80 Sulle origini del problema e sulle soluzioni individuate dalle organizzazioni sindacali prima dell’entrata in vigore della legge n. 300 del 1970 si veda CASTELVETRI, Diritto del lavoro e tutela della privacy: i riflessi sulla riscossione dei contributi sindacali, in Dir. rel. ind., 1997, 3, 166. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 15 di regola, quelle che rifiutano di assoggettarsi alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro››81. Una simile riflessione appare opportuna anche con riferimento alla situazione attuale, considerando che la conseguenza più immediata dell’abrogazione è stata quella di aver trasferito le competenze che prima erano divise in modo coordinato tra legge e contratto collettivo, solo al contratto collettivo. Da qui discendono tutti i nodi irrisolti di un sistema in cui la contrattazione collettiva vincola solo gli aderenti alle associazioni stipulanti (ex art. 1372 c.c.) e coloro che, seppure non iscritti, abbiano aderito espressamente al contratto. Nei fatti, l’attuale regolamentazione dei contributi sindacali in azienda non si discosta da quella prevista dal legislatore del 1970, se non per la fonte normativa da cui discende82; mentre infatti prima del 1995 le modalità del versamento dei contributi sindacali tramite ritenuta sul salario erano espressamente delegate dalla legge alla contrattazione collettiva, oggi la maggior parte dei contratti collettivi adotta schemi e modelli standard che assicurino il versamento della quota all’organizzazione sindacale indicata dal lavoratore in appositi moduli83. Se pertanto su questo punto non si rilevano dubbi, rimane sempre aperta la questione della segretezza del versamento, che non va considerata superflua, per gli evidenti profili di tutela della dignità dei lavoratori che involve. Perché se la contrattazione collettiva di certo ha posto un argine allo sconfinamento del potere datoriale, in tema di modalità della trattenuta sindacale, non ha però sciolto i dubbi più strettamente connessi al profilo individuale, e cioè il possibile uso che il datore potrà fare del dato acquisito con la delega. Preso atto dell’inesistenza di un diritto assoluto di segretezza in materia di contributi sindacali, è quindi legittimo chiedersi se si possa evincere dal si81 MANCINI, Sub art. 26, cit., 401. LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 77. 83 In senso analogo v. PELAGGI, L’organizzazione sindacale in azienda ed il finanziamento dei sindacati dopo il referendum dell’11 giugno 1995, in Mass. giur. lav., 1996, 1, 36, secondo cui ‹‹l’esito positivo del referendum non sembra comunque destinato ad incidere in maniera significativa sul sistema di riscossione dei contributi, se si considera che oramai in tutti i comparti produttivi contratti o accordi collettivi prevedono già una delega del lavoratore al datore di lavoro per il pagamento delle rispettive quote sindacali››. 82 stema complessivo attuale un diritto dei lavoratori alla riservatezza dei dati contenuti nelle deleghe sindacali per il versamento dei relativi contributi. Numerose sono le ragioni di carattere tipicamente lavoristico che indurrebbero nel senso di una risposta affermativa, non ultima l’esigenza di tutelare il lavoratore da potenziali intenti discriminatori del datore di lavoro. Come numerose potrebbero essere le obiezioni ad una siffatta tesi. Primo tra tutti proprio l’argomento di carattere logico – sistematico dell’abrogazione del II c. dell’art. 26 St. lav. In realtà, nonostante non possa configurarsi un obbligo legale a garantire la segretezza dei dati inerenti al versamento in favore di un’associazione sindacale, può rintracciarsi un corpus normativo complessivamente volto a proteggere i lavoratori da un indebito utilizzo delle informazioni che li riguardino e di cui il datore di lavoro entra in possesso. In tal senso, infatti, è stato varato dal legislatore il Testo unico in materia di trattamento dei dati personali, con il d.lgs. n. 196/2003 intitolato “Codice in materia di protezione dei dati personali”84. La lettura coordinata delle norme ivi contenute con quelle già esistenti di cui agli artt. 8, 26 e 38 St.lav., impone ai soggetti in possesso di dati personali inerenti alle opinioni dei lavoratori in materia sindacale una serie di adempimenti notificatori e di oneri finanziari ai quali non è facile sottrarsi, garantendone così l’effettiva applicazione. Certamente, il dato di cui le aziende dispongono per attuare le trattenute sindacali appartiene alla categoria dei dati sensibili, e pertanto ogni operazione che abbia ad oggetto tali informazioni deve rigorosamente essere preventivamente autorizzata e necessita del consenso del lavoratore. Inoltre, con riguardo ai dati sensibili trattati dal datore di lavoro, il Garante ha emanato delle apposite autorizzazioni, in forza della nuova base giuridica del codice85. 84 BELLAVISTA, La disciplina della protezione dei dati personali e i rapporti di lavoro, in CARINCI, diretto da, Diritto del lavoro. Commentario, vol. II, Torino, 2007, 447 ss.; nonché ID., Esiste la tutela della privacy nel rapporto di lavoro?, in TULLINI (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, Padova, 2010, p. 171 ss. 85 L’ultima è la n. 1/2009 del 16.12.2009, con decorrenza fino al 30.6.2011, in Gazzetta Uff., 18.1.2010, n. 13. In ge- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 16 In questo caso, allora, vista l’irrilevanza del consenso del lavoratore, il Garante prevede che i dati sensibili potranno essere trattati dal datore di lavoro, anche senza consenso, ma solo quando ciò si profili necessario e indispensabile. Può escludersi del tutto che il datore di lavoro possa agire fuori dai rigorosi limiti indicati dal Garante e dal legislatore, anzi, ogni meccanismo per la riscossione dei contributi sindacali in azienda deve rendersi compatibile con questo corpus normativo. 8.1. La contrattazione collettiva e la riscossione dei contributi sindacali. Come appena visto, l’abrogazione di una disciplina legislativa in materia di versamento dei contributi sindacali non ha comportato conseguenze irreparabili. Tant’è, infatti, che la stessa contrattazione collettiva ha provveduto quasi uniformemente a ratificare delle prassi standard per il versamento dei contributi sindacali. Dalla contrattazione collettiva esaminata emerge un quadro uniforme, le cui linee portanti possono essere individuate nei seguenti elementi ricorrenti: la delega individuale firmata dal lavoratore e consegnata all’azienda, in cui devono essere indicate le generalità del lavoratore, l’organizzazione sindacale cui l’azienda dovrà versare il contributo nonché la misura dello stesso; nella maggior parte dei casi l’entità di questo contributo è individuata dalla stessa contrattazione collettiva ed è commisurata all’1% della paga base. Le trattenute vengono effettuate periodicamente (di solito mensilmente) dall’azienda, la quale provvederà a versarle sui conto correnti bancari indicati da ciascun sindacato. In alcuni casi è prevista una durata dell’efficacia della delega rilasciata dal lavoratore, normalmente di un anno, che può essere tacitamente rinnovato in mancanza di espressa revoca avvenuta entro la scadenza 86. In altri casi la delega ha validità fino a revoca scritta nerale sulle autorizzazioni del Garante in materia di rapporti di lavoro cfr. BELLAVISTA, La disciplina della protezione dei dati personali e i rapporti di lavoro, cit., 463; GRAGNOLI, L’uso della posta elettronica sui luoghi di lavoro e la strategia di protezione elaborata dall’autorità garante, in TULLINI (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, cit., 53 ss. 86 In tal senso v. art. 63, CCNL Industria Chimica; art. 187, CCNL Metalmeccanici; art. 187, CCNL terziario. da parte del lavoratore interessato, e cioè viene rilasciata a tempo indeterminato e può essere revocata in qualsiasi momento dai lavoratori87. Solo in alcuni esempi virtuosi si tiene conto della normativa in materia di protezione dei dati sensibili dei lavoratori, che vengono in rilievo come contenuto della delega88. In un caso (per i lavoratori del settore metalmeccanico) è previsto che nella delega sia contenuta un’esplicita “liberatoria” nei confronti del datore di lavoro per il trattamento dei dati sensibili, oggetto della delega. In mancanza di tale liberatoria, infatti, è inibito all’azienda di procedere alla trattenuta, nonché ad ogni operazione di carattere statistico – organizzativo. In un altro caso (CCNL Poste), invece, è solo richiesto che il contenuto della delega debba espressamente contenere anche l’autorizzazione al trattamento dei dati personali; non sono previste però conseguenze nel caso in cui tale autorizzazione dovesse mancare. La soluzione più immediata, sembra comunque essere la stessa prevista dal contratto dei metalmeccanici, e cioè che l’azienda non potrà in alcun modo servirsi dei dati acquisiti con la delega; né dare luogo alla trattenuta. Le clausole contrattuali che prevedono la disciplina delle trattenute sindacali sono ritenute dalla giurisprudenza come clausole di natura strettamente obbligatoria che pertanto regolano solo i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione del contratto collettivo, con la conseguenza che queste clausole creano diritti e obblighi per le parti stipulanti e non per i singoli lavoratori89. 9. Il limite all’esercizio dell’attività di proselitismo: il pregiudizio al “normale svolgimento dell’attività aziendale”. La parte finale dell’art. 26 St. lav. individua un limite all’attività di proselitismo e all’attività di raccolta di contributi in azienda. In particolare, secondo tale norma, le modalità di esercizio del diritto non devono arrecare pregiudizio al “normale svolgimento dell’attività aziendale”. 87 CCNL Recapito corrispondenza; art. 12, CCNL Poste; CCNL edilizia cemento. 88 art. 12, CCNL Poste; art. 187, CCNL Metalmecanici. 89 Cfr. tra le tante cfr. Cass., 5.5.2000, n. 5625 e Cass., 9.05.2002, n. 6656, in Riv. it. dir. lav., 2003, II, 14 ss. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 17 La portata di questo limite è stata individuata da una sentenza della Suprema Corte, con una lettura costituzionalmente orientata, dalla quale è appunto emerso come il riconoscimento nei luoghi di lavoro dei diritti di cui all’art. 26 St. lav. non possa prescindere da un bilanciamento degli stessi con interessi opposti, costituzionalmente garantiti e quindi altrettanto meritevoli di tutela, quali la libertà di iniziativa economica e di organizzazione dell’impresa90. Pertanto, è anche sulla scorta di tale riflessione che, secondo un’opinione largamente condivisa, la clausola di salvaguardia individuata con la formula “normale svolgimento dell’attività aziendale”, non faccia tanto riferimento ad un ipotizzabile conflitto tra l’esercizio dei diritti di proselitismo e raccolta di contributi, da una parte, e il dovere di adempimento della prestazione, dall’altra parte; ma, piuttosto, il conflitto che il legislatore mira in tal modo a risolvere è quello tra l’esercizio di questi diritti e il corretto funzionamento dell’organizzazione produttiva91. Il “normale svolgimento dell’attività aziendale”, infatti, è da considerare un concetto più complesso ed elastico di quello riferibile alla mera esecuzione della prestazione individuale92, proprio in quanto può prescindere dall’esatto adempimento della prestazione di lavoro. Non è infatti escluso che l’attivista sindacale, pur adempiendo esattamente la sua prestazione, crei un intralcio alla normalità del funzionamento produttivo nell’esercizio pratico delle sue funzioni di proselitismo verso la collettività dei lavoratori. Il che si spiega con la natura “di relazione” delle stesse attività di proselitismo e di collettaggio, le quali mirano proprio ad impegnare l’attenzione dei soggetti a cui sono rivolte, nonché a richiedere sovente la loro partecipazione attiva ad attività materiali, e ciò con ovvie conseguenze sulle prestazioni di lavoro e sul complessivo funzionamento dell’organizzazione produttiva. Allora, la normalità dell’attività aziendale designa un criterio specifico di composizione del conflitto sopra menzionato e rinvia a dei parametri di difficile rappresentazione oggettiva, la cui individuazio- ne concreta non può ignorare le ragioni di una data organizzazione tecnico produttiva. Pertanto, ‹‹non potendo essere, tali attività, per loro natura, assoggettate a specifiche modalità d’esercizio, per esse il legislatore ha disposto un limite estrinseco generale di contenimento, che tiene conto della loro possibile incidenza sul funzionamento aziendale››93. Così, si ritiene che il riferimento al criterio della normalità non possa essere inteso in senso assoluto come un richiamo ad uno schema generale ed astratto dell’assetto produttivo dell’azienda, ma individui invece un criterio concreto e particolare che deve essere misurato di volta in volta come un valore relativo che muta da azienda ad azienda. E’ questo un parametro diverso e variabile che non può identificarsi a priori con l’esatto adempimento della prestazione lavorativa; solo quest’ultimo, infatti, può essere desunto dai principi generali dell’ordinamento e può essere richiamato comunque anche in assenza di espressa previsione del legislatore (fatti salvi i casi in cui sia lo stesso legislatore a esonerare il lavoratore come nell’art. 23 St. lav.). Considerata la portata elastica della previsione del limite del “normale svolgimento dell’attività aziendale”, rimane da chiarire allora quale sia il suo ambito di applicazione e quale funzione sistematica assegnare alla norma in commento nella logica dello Statuto. Secondo un orientamento, la clausola in questione andrebbe riferita a tutte le attività sindacali garantite ai lavoratori dallo Statuto e sarebbe una specificazione dell’art. 1 St.lav.94. Contrariamente, un altro orientamento ritiene che il criterio della normalità non possa essere esteso ad altre norme dello Statuto, perché altrimenti non si potrebbe instaurare alcuna differenza con il limite dell’esecuzione dell’obbligo lavorativo desumibile invece, come visto, dai principi generali95. La normalità dell’attività aziendale designa un criterio specifico di composizione del conflitto così 93 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 164. In giurisprudenza, Cass. 22.2.1982, n. 1325, cit., secondo cui il normale svolgimento dell’attività aziendale rappresenta la specificazione di un principio di ordine generale, enunciato dall’art. 1 dello Statuto; in dottrina v. PERA, in ASSANTI, PERA (a cura di), Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., 10 ss. 95 G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 430. 94 90 Cass., 22.2.1983, n. 1325, in Mass. giur. lav., 1983, 21. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 163; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 219; DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 836; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 307. 92 G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 428. 91 temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 18 come si pone nell’ambito dell’art. 26 St. lav., attraverso il riferimento alla “normalità”. Criterio questo che assolve ad un duplice funzione: delimitare le modalità di svolgimento dell’attività sindacale di proselitismo e raccolta di contributi; racchiudere le ragioni dell’organizzazione produttiva nell’alveo di uno svolgimento “normale”. La linea di confine è labile ma la normalità si risolve in un illecito ogni qual volta sia volta ad attentare all’esercizio di quei diritti sindacali96. Concordemente ad una dottrina, in tutte le altre ipotesi previste dallo Statuto non si può ritenere operante lo stesso limite, che rimane interno alla fattispecie tipizzata dal legislatore all’art. 26 St. lav. In tutte le altre ipotesi, infatti, si realizza una specifica previsione di forme di attività sindacale privilegiata, dalle quali discende ‹‹un più o meno intenso sacrificio delle esigenze tecnico produttive in ragione dell’ambito strumentale e qualitativo definito dal legislatore per ciascun istituto››97. In tutti questi casi, allora, l’esercizio di tali diritti dovrà essere contemperato con i limiti generali dell’ordinamento, nonché con i principi di buona fede e correttezza (art. 1175 c.c.). E pur nel rispetto di tali principi, non è escluso che l’esercizio dei diritti in parola possa legittimamente determinare anche l’interruzione totale o parziale dell’attività aziendale. Se il giudizio per verificare il rispetto della clausola di salvaguardia deve mirare ad accertare se vi sia stata un’effettiva e concreta alterazione della normalità produttiva, ciò appare più complesso quando l’esercizio dei diritti in questione si sia svolto durante l’orario di lavoro98. Una nozione elastica del criterio di normalità, infatti, consente di calibrare il limite di tollerabilità delle attività di proselitismo e di raccolta di contributi, 96 DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 842. Secondo MENGONI, Diritto e valori, Bologna, 1985, 228, ‹‹la libertà sindacale, mentre costituisce un limite al diritto di proprietà sull’azienda, al quale l’imprenditore non può appellarsi per ostacolare l’esercizio, incontra, a sua volta, un limite negli obblighi di lavoro e di osservanza della disciplina aziendale, che ai lavoratori derivano dal contratto di lavoro››. 97 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 299. 98 Cfr. MANCINI, Sub art. 26, cit., 395, per il quale ‹‹non è agevole immaginare forme di proselitismo o di raccolta di contributi che rechino intralcio alla produzione e alla sicurezza dei lavoratori o degli impianti durante le pause o nei luoghi e nei tempi destinati alla mensa››. PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 220. evitando che si possano elaborare dei parametri di giudizio del tutto svincolati dall’effettiva realtà produttiva99. Del pari, la natura intrinseca del limite in parola comporta che con lo stesso siano ontologicamente incompatibili tutte quelle iniziative individuali o sindacali di relazione, intraprese durante l’orario di lavoro, che interferiscano con attività produttive caratterizzate da impegno assiduo o di estrema concentrazione100. E, sovente, la giurisprudenza ha ritenuto inammissibili le attività più tipicamente di propaganda, quali il volantinaggio o la promozione di cortei interni per i reparti101. In questi casi, infatti, v’è chi ha negato in radice lo svolgimento dell’attività di volantinaggio nei luoghi di lavoro durante l’orario di lavoro senza una turbativa del normale svolgimento dell’attività aziendale102; a meno che non si accerti che le modalità attraverso cui si realizza il volantinaggio siano tali da renderlo irrilevante ai fini del disturbo all’attività lavorativa nelle unità produttive103. In questo senso, secondo una dottrina, si può sostenere che il proselitismo, anche nella forma pubblica del volantinaggio o della raccolta di contributi, potrà svolgersi anche durante l’orario di lavoro, pur nel rispetto del limite di non arrecare alcuna modifica temporale o materiale (causando un’interruzione o una disorganizzazione) alle modalità ordinarie di espletamento dell’attività produttiva in quel determinato settore dell’azienda; e soprattutto di non assumere modalità di esercizio pericolose per l’incolumità fisica dei lavoratori addetti al reparto104. 99 Trib. Milano, 18.2.2003, in Riv. critica dir. lav., 2003, 304; Trib. Vicenza, 30.10.2000, n. 322, in Arg. dir. lav., 1, 2001, 333. 100 MANCINI, Sub art. 26, cit., 395 s. 101 Trib. Modena, 24.4.2003, in Mass. giur. lav., 2003, 721, con nota di A. MISCIONE, Crumiraggio esterno e opposizione alla propaganda sindacale: limiti alla natura antisindacale della condotta datoriale. 102 Cass., 22.2.1983, n. 1325, cit. 103 Cfr. Trib. Milano, 17.2.2004, in Riv. critica dir. lav., 2004, 312, secondo cui l’attività di volantinaggio, non implicando interruzioni dell’attività lavorativa, non fa parte delle prerogative del solo membro della Rsu, ma appartiene alla «agibilità sindacale» che rientra nella libertà sindacale riconosciuta a ogni lavoratore. 104 G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 431; nello stesso senso DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 19 10. Svolgimento dell’attività sindacale ed esonero dall’obbligo di eseguire la prestazione di lavoro: la disciplina legale dei permessi e dell’aspettativa per motivi sindacali. Tra i diritti sindacali che lo Statuto dei lavoratori riconosce sui luoghi di lavoro, i permessi sindacali rivestono una rilevanza centrale per l’evidente natura strumentale rispetto allo svolgimento dell’attività sindacale105. Gli articoli 23 e 24 dello Statuto dei lavoratori garantiscono ai cosiddetti ‹‹sindacalisti interni››, dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali (d’ora in poi R.S.A.), il diritto di godere dei permessi sindacali; a tal fine il legislatore ha individuato le modalità di esercizio e ha distinto i permessi in due tipologie: in base alla natura dell’attività sindacale da svolgere e in base ai soggetti beneficiari e alle finalità di tutela, disponendo che il trattamento economico venga corrisposto solo per l’espletamento del mandato di cui all’art. 23 St. lav.106. Per entrambe le ipotesi si realizza una sospensione legale della prestazione di lavoro, con l’attribuzione del diritto al lavoratore che abbia la qualifica di dirigente di una R.S.A. di essere esonerato dall’adempimento dell’obbligazione di lavoro, entro limiti detercit., 307; ma cfr. sul punto anche MANCINI, Sub art. 26, cit., 395, secondo il quale anche le forme di proselitismo, quale la diffusione di volantini, ‹‹saranno ammissibili se le operazioni a cui i prestatori di lavoro attendono consistono in movimenti automatici o semiautomatici, compiuti senza partecipazione individuale››. 105 CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, Milano, 1984; BASENGHI, I permessi e le aspettative sindacali, in Diritto del lavoro. Commentario, diretto da F. Carinci, vol. I, Le fonti. Il diritto sindacale, diretto da Zoli, 2007, 208 ss.; secondo DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, in Enc. Giur., vol. XXXIII, 1991, Roma, 1, ‹‹i permessi in esame si inquadrano, a pieno titolo, nella c.d. legislazione di sostegno all’attività sindacale››; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305. Per un’evoluzione storica dell’istituto v. MORTILLARO, Sub artt. 2324, in U. PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, t. II, Milano, 1975, 762 ss. 106 BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, in F. CARINCI (a cura di), Il Lavoro subordinato, I, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, vol. XXIV, Torino, 2007, 169. Secondo MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 769, ‹‹i due articoli, pur muovendosi nella stessa logica politica, intendono affrontare esigenze di qualità e contenuti diversi››. minati nella misura minima dallo stesso legislatore, e salve clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro, per la tutela di interessi di tipo sindacale107. Secondo la dottrina tradizionale, la situazione attiva che si instaura in capo al lavoratore beneficiario, consisterebbe nel temporaneo esonero dall’adempimento dell’obbligazione di lavorare quale strumento per l’esercizio di funzioni attinenti alla qualifica di dirigente sindacale, assimilabile perciò ad una specifica ipotesi legale di impossibilità della prestazione non imputabile108. Il legislatore, codificando così il diritto ai permessi, ha attestato la volontà di pervenire alla ‹‹creazione di condizioni giuridiche e materiali, atte a rendere possibile l’esplicazione di determinate funzioni sindacali››109. Le previsioni in esame costituiscono uno dei pilastri della legislazione promozionale di sostegno con cui lo Statuto ha inteso favorire gli organismi di rappresentanza in azienda110. La ratio sottesa va individuata nella necessità di proteggere lo svolgimento dell’attività sindacale in piena libertà ‹‹fuori da ogni condizionamento di ordine economico e politico››, così da riscattarla da evidenti pressioni e limitazioni che possono provenire dalla controparte datoriale111. La questione, infatti, va esaminata tenendo ben presenti due profili che si intersecano tra loro: da un lato, l’interesse del singolo lavoratore a non vedere frustrate le sue legittime aspirazioni di cittadino portatore di istanze politiche e sindacali; dall’altro, l’interesse generale di stampo collettivo delle organizzazioni sindacali in azienda, di fruire di uno strumento giuridico per garantire la cura dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro112. 107 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 226. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 229; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 185, ma anche 186. Sul punto cfr. funditus DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 1, secondo il quale tale concezione risente di una ‹‹perdurante assenza di un adeguato chiarimento teorico sul tema generale della sospensione, ma coglie, in ogni caso, la dimensione effettuale di tali vicende››. 109 GRANDI, I diritti all’attività sindacale nell’impresa: profili storici e sistematici, in Riv. dir. lav., 1975, 252. 110 C. Cost., 26.1.1990, n. 30, in Giust. civ., 1990, 1444. 111 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 762. 112 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 763. 108 temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 20 In passato è stato sostenuto che mantenere inalterato l’obbligo retributivo del datore di lavoro (vedi i permessi di cui all’art. 23 St. lav.), nonostante l’esonero dalla prestazione di lavoro, significasse ledere il principio di corrispettività tra lavoro e retribuzione113. Tali perplessità sono state superate sostenendo che i permessi possono ormai ritenersi pleno iure strutturati nel contenuto sinallagmatico del rapporto di lavoro, che discostandosi dal modello del contratto tradizionale, ammette anche che il rapporto tra le prestazioni fondamentali delle parti sia ispirato ad una logica di tutela della personalità morale del lavoratore, senza che ciò comporti alcuna deroga allo schema della corrispettività114. Peraltro, nonostante la dicitura adoperata ‹‹permessi›› si deve fare notare come il diritto ai permessi sindacali vada configurato come diritto soggettivo perfetto e, pertanto, ‹‹svincolato, quanto all’esercizio, da atti concessivi o autorizzativi datoriali che possano costituire veicolo di una valutazione più o meno discrezionale circa l’opportunità della fruizione del diritto stesso in relazione, in particolare, all’interesse dell’impresa››115. 11. Permessi sindacali retribuiti (art. 23 St. lav.): titolarità del diritto e attività tutelata. L’art. 23 St. lav. riconosce ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali il diritto ai permessi 113 DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 1; parla di ‹‹graduale affievolimento del principio della corrispettività››; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 775, il quale per spiegare la ratio dell’art. 23 richiama una lettura dell’art. 36 Cost. orientata nel senso che la retribuzione deve assicurare anche la possibilità per il lavoratore di ‹‹esprimere pienamente, e cioè senza condizionamenti e limitazioni, la sua qualità di soggetto di diritti politici (…) e di diritti sindacali››, 777. Per il richiamo a principi diversi da quelli sinallagmatici per il rapporto tra le prestazioni fondamentali delle parti si veda Treu, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano, 1963, 344 ss. Ma v. anche Pera, Interrogativi dello ‹‹Statuto›› dei lavoratori, in Dir. lav., 1970 I, 188, secondo cui, con questa previsione, le attività sindacali sarebbero state ‹‹addossate economicamente al datore di lavoro chiamato, quindi, a pagare la libertà sindacale avversaria››. 114 CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit., 226 ss.; DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 1. 115 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305; GERMANO, Sub art. 23, cit., 395. retribuiti per l’espletamento del loro mandato. Ratio della norma è quella di garantire ai lavoratori beneficiari della tutela di condurre la propria attività sindacale in piena libertà, senza il possibile disincentivo dovuto al timore di restare senza retribuzione per le ore impiegate nello svolgimento del mandato. Resta in capo al datore di lavoro, infatti, l’obbligo retributivo durante il periodo di fruizione del permesso, cosicché al lavoratore sarà corrisposto il trattamento economico ordinario percepito in caso di regolare svolgimento della prestazione, escluse pacificamente le indennità collegate all’esistenza di specifiche situazioni riferibili a concrete modalità esecutive della prestazione116. Per altro verso, durante i permessi sindacali, sono pienamente vigenti nei confronti del lavoratore i diritti e gli obblighi che discendono dal rapporto di lavoro; così il lavoratore sarà tenuto al rispetto degli obblighi di fedeltà e di segretezza ex art. 2105 c.c., restando pertanto in capo al datore di lavoro il corrispondente potere disciplinare117. Inoltre, all’esercizio dei permessi sindacali va connesso anche il richiamo al principio di correttezza ex art. 1175 c.c. e all’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede, ex art. 1375 c.c.118, con la precisazione che, in ogni caso, l’utilizzo dei permessi costituisce una limitazione del potere imprenditoriale e una riduzione dell’efficienza aziendale119. Secondo una dottrina sarebbe utile individuare un limite “interno” al contenuto delle situazioni soggettive ipotizzate, in relazione all’interesse concretamen116 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, 305; per una dettagliata descrizione del panorama giurisprudenziale sul punto Cfr. Basenghi, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 209. 117 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 782. 118 TULLINI, Clausole generali e rapporto di lavoro, Rimini, 1990. 119 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 785, che in presenza di ‹‹gravi situazioni attinenti la vita dell’azienda (…) il datore di lavoro possa legittimamente chiedere (…) il rientro in azienda del lavoratore in permesso››. GHEZZI, Sub art. 23 e 24, cit., 383, nt. 3; FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 107, rilevano che ‹‹il diritto non potrà comunque essere esercitato a fini emulativi, palesi quando l’attività, oggetto del permesso, potrebbe essere differita senza pregiudizio per l’interesse sindacale, evitando al contempo ingiustificati sacrifici per l’interesse contrapposto››. Contra però v. ASSANTI, Sub art. 23, cit., 280, nt. 1. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 21 te tutelato, anche se tale criterio non sia stato previsto dal legislatore. In questa prospettiva, è inevitabile il richiamo proprio ai principi di correttezza e di buona fede, in base ai quali è possibile distinguere tra interesse dell’organizzazione produttiva a vedere assicurato il suo normale funzionamento, e interesse della medesima alla salvaguardia di beni essenziali, connessi ad esempio alla sicurezza delle persone e all’incolumità degli impianti. Solo nel secondo caso, infatti, la tutela privilegiata del diritto ad assentarsi dal lavoro per motivi sindacali ‹‹non ha più ragione di avere la meglio ad ogni costo, ma deve commisurarsi, in omaggio alla regola della buona fede, alle esigenze non sacrificabili dell’organizzazione aziendale››120. Non è ammesso che il datore di lavoro contesti al lavoratore l’uso improprio del permesso retribuito, se la stessa contestazione non è riferita ad inadempienze direttamente connesse agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro violati in coincidenza e in occasione di un uso strumentale del permesso121. In questo senso, pertanto, la fruizione del permesso non può essere condizionata né alla valutazione discrezionale del datore di lavoro, né all’eventuale conflitto della richiesta di permesso con le obiettive esigenze aziendali122. A meno che, secondo una tesi,non vengano in rilievo ‹‹interessi “primari”››, quali l’interesse all’esistenza economica dell’impresa, la sua utilità sociale, nonché gli interessi costituzionalmente protetti, quali la tutela della salute e della sicurezza dei beni e delle persone123. Il diritto ai permessi sindacali, infatti, è ritenuto dalla giurisprudenza come un diritto pieno ed incondizionato, non essendo configurabile alcun potere discrezionale di autorizzazione o di concessione da par120 121 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 190. Trib. Milano, 24.12.2003, in Orient. giur. lav., 2004, I, 21. 122 Cass., 20.11.1997, n. 11573, in Notiz. giur. lav., 1997, 693 s. Secondo la giurisprudenza, peraltro, il diritto in questione sarebbe talmente scevro da condizionamenti che neanche la contrattazione collettiva può individuare delle limitazioni alla fruizione, pena la nullità delle clausole contrattuali che hanno subordinato l’esercizio del diritto alla compatibilità con le esigenze aziendali, in tal senso v. Cass., 26.06.1987, n. 5675, in Foro it., 1988, I, c. 170; Trib. Milano, 25.01.2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, 335; nonché Cass. 14.01.2003, n. 454, in Riv. giur. lav., 2003, II, 595, con nota di Frontini; Cass., 1.08.2003, n. 11759, in Guida dir., 2003, 44, 64. te del datore di lavoro124, malgrado la denominazione “permesso”, che sembra indicare la necessità di un’autorizzazione125. Né tantomeno il datore di lavoro potrà esprimere una valutazione in merito alla natura dell’attività sindacale che si intende svolgere 126. In questo senso, infatti, si sostiene che il dirigente abbia un diritto potestativo a fruire dei permessi retribuiti essendo unicamente tenuto a darne comunicazione scritta al datore di lavoro127. Ad ogni modo, ove i permessi siano utilizzati per fini personali o non siano stati destinati agli scopi previsti dalla legge, si ritiene che il datore di lavoro sia legittimato a contestarne l’abuso e ad esercitare il proprio potere disciplinare per l’ingiustificata astensione dal lavoro128. I permessi sono riconosciuti ai dirigenti, secondo la dicitura dell’articolo in commento, ‹‹per l’espletamento del loro mandato››. Secondo l’autorevole opinione della dottrina, con tale locuzione si deve intendere tutta l’attività connessa alle funzioni proprie delle rappresentanze sindacali aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva129. 123 In questo senso, v. DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 306. 124 Cass. 8.11.1996, n. 9765, in Giust. civ., 1997, I, 1885. 125 Così ASSANTI, Sub art. 23, cit., 279. 126 Cass. 14.01.2003, n. 454, in Mass. giur. lav., 2004, 6, 151; Trib. Trieste, 21.09.2009, in Lav. giur., 2009, 12, 1284; Trib. Milano, 16.07.2007, in Lav. giur., 2008, 4, 425. 127 Trib. Pisa, 25.07.2003, in Gius, 2004, 2, 270. 128 Cass. 14.01.2003, n. 454, in Mass. giur. lav., 2004, 6, 151; Cass. 2.09.1996, n. 8032, in Dir. lav., 1997, II, con nota di Palombini; Cass., 30.01.1990, n. 10476, in Mass. giur. lav., 1990, 543; Cass., 9.10.1991, n. 10593, in Notiz. giur. lav., 1992, 9; Cass., 22.04.1992, n. 4839, in Foro it., 1993, I, c. 899; Cass., 14.01.2003, n. 454, in Notiz. giur. lav., 2003, 665. 129 Freni, Giugni, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 105. Secondo Ghezzi, Sub artt. 23-24, cit., p. 380, per tali attività si intendono ‹‹funzioni sia organizzative, quindi, che di vera e propria rappresentanza nei confronti della direzione aziendale o comunque del datore di lavoro, od anche nei confronti, eventualmente, di enti locali, associazioni o gruppi dal medesimo datore diversi ed operanti fuori dall’azienda ma sempre con riferimento alla stessa››. ASSANTI, Sub art. 23, cit., 280 ss., sembra fare riferimento ad un uso più ampio del diritto, perché precisa ‹‹ciò non significa che si tratta di attività da svolgere materialmente all’interno dell’unità produttiva››; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 769, che, coerentemente, esclude le attività sindacali di ca- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 22 Tale indicazione, infatti, induce a ritenere che il legislatore abbia così voluto circoscrivere l’utilizzazione del diritto in questione per lo svolgimento dell’attività sindacale “introaziendale”, attinente alla cura degli specifici interessi dei lavoratori dell’azienda, dalle attività organizzative e di propaganda e proselitismo, a quelle di rappresentanza vera e propria 130. Un discrimine allora è stato individuato nella necessità che l’attività sindacale sia svolta ‹‹nell’interesse›› dei lavoratori dell’azienda, a ciò riferendosi il termine ‹‹mandato››131. Anche in questo caso è negato al datore di lavoro ogni potere discrezionale di valutazione rispetto alle modalità e alle esigenze individuate come sindacali, ed è qualificabile come comportamento antisindacale la pretesa del datore di lavoro di determinare tempi e modalità di fruizione dei permessi sindacali132. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’inerenza dell’attività svolta dal lavoratore durante il permesso all’attività sindacale costituisce una questione esclusivamente interna ai rapporti tra il membro dell’organismo di rappresentanza aziendale e l’organizzazione sindacale di appartenenza che non è tenuta ad indicare al datore di lavoro le ragioni del permesso133. Considerata la rilevanza degli interessi in campo nessuno esclude che sia necessario di volta in volta effettuare un contemperamento tra principi costituzionalmente tutelati (art. 39, I comma e 41 Cost.), ma si rimarca anche come tale contemperamento sia tegoria o presso altre aziende; Germano, Sub artt. 23, cit., 394. 130 DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 5, che esclude il ‹‹criterio topografico›› osservando che ‹‹l’attività sindacale della r.s.a. può ben svolgersi anche all’esterno dell’azienda, presso la sede di associazioni sindacali o di enti pubblici, ma sempre con riferimento alla medesima››. 131 Per un’elencazione della casistica giurisprudenziale v. DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 5. 132 Trib. Milano, 13.4.2001, in Riv. crit. dir. lav., 2001, 633; Trib. Milano, 23.11.2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 134 ha escluso che l’utilizzo dei permessi per un’attività di generica consulenza sindacale per l’organizzazione di categoria fosse illegittimo e ha negato al datore di lavoro qualsiasi potere discrezionale di valutazione, qualificando la condotta come antisindacale. 133 Cass., 22.04.1992, n. 4839, in Foro it., 1993, I, c. 899 ss.; Trib. Milano (decreto), 24.12.2003, in Riv. crit. dir. lav., 2004, 293, con nota di CAPURRO. stato oggetto di una prevalutazione del legislatore in sede di redazione della norma. Proprio a conferma di una logica che tende a non pregiudicare i lavoratori che abbiano usufruito di permessi sindacali, si segnala una recente giurisprudenza di legittimità secondo cui il bilanciamento tra gli opposti principi costituzionali, la tutela dell’esercizio dell’attività sindacale, da un lato, e il diritto al lavoro di coloro che si sono dedicati esclusivamente all’attività professionale, va risolto secondo buona fede, bilanciando l’interesse di chi svolge l’attività sindacale a non subire per ciò solo penalizzazioni relative agli avanzamenti professionali con l’opposto interesse di coloro che, invece, si dedicano a tempo pieno al proprio lavoro a non vedere privilegiato nella procedura concorsuale chi abbia scelto di dedicarsi all’attività sindacale134. La compatibilità tra esigenze dell’organizzazione produttiva ed esercizio dei diritti sindacali viene perseguita dal legislatore mediante l’individuazione di stringenti limiti, e ciò sia con riferimento ai soggetti titolari del diritto, sia per ciò che riguarda i limiti di godimento fissati in un dato numero di ore di permesso che variano in relazione alle dimensioni dell’unità produttiva135. Con riguardo all’individuazione dei soggetti titolari dei diritti in questione, si possono individuare almeno due profili critici. In primo luogo, secondo la giurisprudenza prevalente, è perfettamente coerente con lo schema dello Statuto che la norma in commento riconosca la possibilità di beneficiare del diritto ai permessi, ai soli componenti delle rappresentanze sindacali che presentino i requisiti di cui all’art. 19 St.lav., come modificato dal referendum del 1995; e che abbiano pertanto stipulato contratti collettivi nazionali, locali o aziendali applicati all’unità produttiva136. Peraltro, 134 Cass., 14.04.2008, n. 9813, in Riv. giur. lav., 2008, II, 831 ss., con nota di BRUN. 135 L’art. 23 St. lav. individua i limiti numerici (meno di 200, meno di 3.000, più di 3.000 dipendenti) in relazione alla “categoria” per cui è organizzata la r.s.a.; sul punto v. ICHINO, Il contratto di lavoro, t. 2, in Tratt. Cicu-Messineo, 2000, 59; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 306. 136 Sui requisiti necessari per l’accesso delle rappresentanze sindacali ai permessi v. Cass., 5 aprile 2007, n. 8585, in Mass. Giust. civ., 2007, 4, 749; Trib. Palermo, 14.2.2000, in Dir. lav., 2000, II, 413, con nota di DI STASI, secondo cui ‹‹la sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro si confi- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 23 sono dirigenti tutti i delegati che compongono la rappresentanza, e le prerogative sindacali di cui agli artt. 18, 22, 23 e 24 St. lav. spettano a ciascun componente, per la cui nomina non è necessaria alcuna formalità137. La soluzione contraria, e cioè l’estensione pattizia dei permessi sindacali anche a chi non rivesta i requisiti richiesti dall’art. 19 st.lav., è stata ritenuta potenzialmente pregiudizievole dell’effettività dell’azione sindacale in azienda, in quanto direttamente collegata al potere di accreditamento del datore di lavoro e pertanto lesiva dell’art. 17 St. lav. che vieta la costituzione di sindacati di comodo138. gura, anche nel lavoro pubblico, come “condicio sine qua non” per il godimento dei diritti di cui agli artt. 23, 24 e 30››; Trib. Palermo, 27.12.1999, in Mass. giur. lav., 2000, 477 con nota di CAMMALLERI; Trib. Milano, 21.2.1998, in Mass. giur. lav., 1998, 405. Cfr. anche Cass., 20.6.1998, n. 6166, in Giust. civ. mass., 1998, 1364, secondo cui ‹‹non è ravvisabile nell’ordinamento alcuna norma, ordinaria o costituzionale, che imponga una parità di trattamento dei sindacati all’interno delle imprese››. Pertanto non costituisce condotta antisindacale il rifiuto di permessi retribuiti a componenti degli organi direttivi di associazioni sindacali prive del requisito di cui all’art. 19 st. lav., così Trib. Ravenna, 18.1.2001, in Lav. giur., 2001, 256. In senso analogo si esprimeva la giurisprudenza anche prima del referendum in favore delle confederazioni maggiormente rappresentative, cfr. Cass., 19.3.1986, n. 1913, in Riv. it. dir. lav., II, 1986, 699, con nota di VALLEBONA. 137 Cass., 5.02.2003, n. 1684, in Guida dir., 2003, 13, 67. 138 Com’è noto, la Corte Costituzionale ha stabilito che il diritto ai permessi non può essere esteso mediante accordi aziendali tra le parti a soggetti sindacali privi dei requisiti richiesti per la costituzione di R.S.A., dichiarando così infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 17 e 23 St. lav. (in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.) v. C. Cost., 26.1.1990, n.30, in Giust. civ.1990, I, 1444, con nota di CHIAULA. Si v. anche C. Cost., 4.12.1995, n. 492, in Foro it., 1996, I, 5, con nota di AMOROSO, secondo cui il criterio di maggiore rappresentatività, quale criterio di differenziazione, è capace di far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori e di evitare che l’eccessiva estensione dei beneficiari possa vanificare gli scopi promozionali che si intendono perseguire. Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 7.2.1986, n. 783, in Mass. giur. lav., 1986, 345, con nota di SAETTA; nonché Cass., 19.03.1986, n. 1913, in Riv. giur. lav., 1986, II, 699, con nota critica di VALLEBONA, secondo cui è nullo per illiceità dell’oggetto e per violazione del divieto di sostenere sindacati di comodo, Peraltro, secondo una recente giurisprudenza, a seguito dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, i permessi sindacali vanno concessi anche ad ogni singolo componente delle R.S.U. che subentrano nella titolarità dei diritti e delle tutele concesse alle R.S.A. dal titolo III dello Statuto (art. 4, parte I, Accordo Interconfederale 30 dicembre 1993)139. E, inoltre, con riguardo alle attività necessarie ai suoi compiti, anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può avere le stesse prerogative previste dall’art. 23 per i dirigenti di rsa, così come previsto oggi dall’art. 50 , comma secondo, del d.lgs. n. 81 del 2008140, con la precisazione che in questo caso i limiti orari di fruibilità dei permessi saranno previsti dall’autonomia collettiva dal momento che il rappresentante per la sicurezza è eletto o designato in tutte le aziende o le unità produttive, a prescindere dai requisiti dimensionali (art. 47, comma secondo, d.lgs. n. 181/2008)141. Nel caso in cui il lavoratore sia stato l’unico componente di una R.S.A., la Cassazione ha ritenuto di dover considerare questi come il dirigente142. In questo senso, infatti, l’art. 23 St. lav. può ritenersi conforme alla logica selettiva di cui l’art. 19 St.lav. si può definire l’apripista143. E’ stato ampiamente dibattuto in dottrina anche il tema dell’individuazione concreta dei lavoratori l’accordo con il quale il datore di lavoro riconosca analoghi diritti ad altri sindacati sprovvisti dei requisiti richiesti dalla legge. 139 C. app. L’Aquila, 13.02.2003, in Notiz. giur. lav., 2003, 265; In dottrina v. BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, cit., 169. 140 Così Trib. Orvieto, 14.02.2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, 332. Ma v. anche Trib. Verona, 28.12.2006, in Riv. crit. dir. lav., 2007, 97, con nota di VESCOVINI. 141 Cecconi, I permessi sindacali, in MAZZOTTA (a cura di), I diritti sindacali nell’impresa, Torino, 2010, 131. 142 Cass., 20.7.1996, n. 6524, in Foro it., 1997, I, 188; Trib. Brescia, 7.08.1992, in Riv. crit. dir. lav., 1993, 86. 143 Anche tra le stesse associazioni sindacali dotate dei requisiti di legittimità ex art. 19 è possibile che sorga una competizione e in questo senso, secondo Cass., 5.6.1981, n. 3635, in Mass. giur. lav., 1981, 558, non esiste alcun principio di parità tra le associazioni sindacali; nonché Cass., 20.6.1998, n. 6166, in Giust. civ. Mass., 1998, 1364, per cui non è possibile ravvisare nell’ordinamento, alcuna norma ordinaria o costituzionale che imponga una parità di trattamento dei sindacati all’interno delle imprese. BASENGHI, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 210. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 24 che all’interno dell’unità produttiva di appartenenza possano godere dei permessi sindacali. Data, infatti, la scarsa valenza definitoria della terminologia adoperata dal legislatore (“dirigenti delle R.S.A.”), è stato compito degli interpreti delimitare l’ambito soggettivo di applicabilità della misura promozionale144. Così si possono individuare due filoni interpretativi prevalenti, distinti tra chi presuppone di ancorare il riconoscimento del ruolo di dirigente a criteri oggettivi ‹‹che consentano di fondare l’attribuzione del ruolo dirigenziale su di un giudizio di effettività agganciato alla sostanziale espressione di ruoli realmente apicali›› e coloro che invece non riconoscono fondatezza a questo discrimen145. Secondo il primo indirizzo dovrebbe riconoscersi la qualità di dirigente sindacale, secondo criteri oggettivi, a quanti svolgano effettive funzioni dirigenziali, rivestendo un carattere di stabilità nella carica con un esercizio non sporadico delle funzioni di responsabilità e di guida146. Un’altra tesi, più accreditata in dottrina, rimette l’attribuzione della qualifica di dirigente sindacale all’autonoma valutazione delle R.S.A., che dovranno procedere all’individuazione concreta dei titolari del diritto; il fondamento di questa soluzione va rintracciato proprio nell’assenza di indicazioni vincolanti in tal senso da parte del legislatore147. 144 Pone ‹‹l’avvertenza che il termine non è da intendersi in senso rigorosamente tecnico, stando esso a designare chi ricopre una funzione anche temporanea nell’ambito della r.s.a. o di sue articolazioni, per la quale non rileva il nome adottato (segretario, responsabile, membro di organi direttivi o esecutivi, ecc.)›› DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 3. V. inoltre, FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 106. Secondo GIUGNI, Diritto sindacale, 2010, Bari, 106, ‹‹Dirigenti delle RSA è espressione un po’ enfatica e, comunque, indeterminata››. Infine, MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 771, sostiene che l’elasticità e l’ampiezza del termine adoperato ‹‹ben si adatta ad un sistema che, come il nostro, occulta una profonda crisi di anomia (…)››. 145 Basenghi, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 210. 146 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 771; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 232 ss.; ID., I diritti sindacali, in Tratt. Rescigno, t. I, parte II, II ed., Torino, 2001, 173. In giurisprudenza v. Trib. Milano, 26.11.1975, in Orient. giur. lav., 1976, 47; così anche Cass., 19.11.1997, n. 11521, in Notiz. giur. lav., 1986, 413. 147 BALLESTRERO, Diritto sindacale, Torino, 2004, 175; ICHINO, Il contratto di lavoro, I, in Cicu - Messineo (già di- In realtà, a conferma di quest’opinione, la querelle appare risolta in via applicativa dalla stessa contrattazione collettiva che spesso dispone i criteri definitori della qualifica di dirigente sindacale e impone, a carico degli organismi di rappresentanza in azienda, l’obbligo di comunicare preventivamente e in forma scritta i nominativi dei lavoratori eletti beneficiari del monte ore permessi148. Simili previsioni collettive confermano, seppur indirettamente, l’insindacabilità da parte del datore di lavoro della designazione rimessa esclusivamente alla discrezionalità delle associazioni sindacali e costituiscono l’unica via per evitare che possano verificarsi casi di ‹‹abuso del diritto›› per l’eccessiva estensione della definizione 149. retto da), Mengoni (continuato da), Trattato di diritto civile, t. II, Milano, 2000, 191, secondo il quale la nomina dei membri è riservata alle rispettive associazioni sindacali; FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 106; GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 187. GHEZZI, Sub artt. 23-24, in Statuto dei diritti dei lavoratori, a cura di Ghezzi, Mancini, Montuschi, Romagnoli, Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, 383. 148 V. artt. 158, 159 CCNL Servizi Agricoltura; art. 58, punti 5-6, CCNL Industria Chimica; artt. 189, 190, 191, CCNL Commercio terziario; art. 15 CCNL Edilizia Cemento; artt. 189, 190, 191CCNL Metalmeccanici artigianato secondo cui sono da considerare dirigenti sindacali i lavoratori che fanno parte degli organi direttivi o collegiali nazionali o territoriali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente CCNL; ovvero di RSU costituite ai sensi dell'art. 19, legge 20.5.70 n. 300 e del protocollo allegato al presente contratto collettivo, nelle imprese che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti. Ma anche per i componenti dei Consigli o Comitati di cui al punto a) dell’art. 181 sono previsti i necessari permessi o congedi retribuiti, per partecipare alle riunioni degli Organi nella misura massima di 75 ore annue. Con la precisazione che, qualora il dirigente sindacale di cui al presente articolo sia contemporaneamente componente di più Consigli o Comitati di cui al precedente punto. a) dell’art. 181, potrà usufruire di un monte ore non superiore globalmente a 130 ore annue. Inoltre i componenti delle RSU di cui al punto lett. b), art. 181, hanno diritto, per l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.; artt. 189, 190, 191, CCNL Commercio terziario; art. 15 CCNL Edilizia Cemento. Tale disciplina contrattuale va ritenuta migliorativa rispetto alla previsione legale e pertanto legittima, in questo senso v. GHEZZI, Sub artt. 23-24, cit., p. 382. 149 In questi termini v. DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 3; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 772 s., secondo il quale la soluzione adottata dallo Statuto ‹‹non appare soddisfacente ai fini della certezza del diritto temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 25 Inoltre, la circostanza che la R.S.A. sia espressamente indicata come tramite per la richiesta del diritto induce a ritenere che non si tratti di un diritto perfetto del singolo componente, ma che il legislatore abbia inteso in tal modo assoggettare la fruizione del beneficio al controllo della rsa, il cui esito è, come detto, insindacabile150. Anche con riguardo alla revoca dell’incarico di dirigente le posizioni non sono univoche. Nel caso infatti di dirigenti componenti di R.S.A. o di R.S.U., data la partecipazione di agenti sindacali e lavoratori alla costituzione degli organismi di rappresentanza, secondo una parte della giurisprudenza si ritiene che debbano entrambi concorrere alla revoca151. Tuttavia, si segnalano anche posizioni opposte, che per determinare la perdita del diritto ai permessi ritengono sufficiente la sola espulsione dal sindacato, con la conseguente cancellazione del lavoratore dall’elenco dei dirigenti e la comunicazione all’imprenditore152. 13. Limiti quantitativi all’esercizio del diritto. La titolarità del diritto ai permessi compete ai dirigenti nei limiti quantitativi contemplati dal secondo comma dell’art. 23 St. lav. Salve clausole più favorevoli della contrattazione collettiva, infatti, il numero dei dirigenti beneficiari dei permessi è fissato dall’art. 23 St. lav., con riguardo a quello dei dipendenti dell’unità produttiva appartenenti alla categoria per cui agisce la rappresentan(…)››. 150 Così ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., 191; nel senso che è un potere esclusivo delle rsa quello di qualificare una determinata esigenza come sindacale cfr. CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit., 129, secondo cui ‹‹deve ritenersi che nella logica dello Statuto sia affidato alla responsabilità delle organizzazioni sindacali anche il qualificare o riconoscere come inerenti al mandato le attività per le quali sia astrattamente possibile richiedere il permesso retribuito; al datore non resta che la “garanzia” rappresentata dall’affidabilità dell’organizzazione stessa››. V. anche Germano, Sub art. 23, cit., 396, nt. 13, secondo cui le R.S.A. sarebbero investite dal legislatore del ruolo di ‹‹garanti della corretta gestione del diritto››. 151 Pret. Milano, 31.03.1992, in Dir. prat. lav., 1992, 2071; Pret. Milano, 11.05.1992, in Or. giur. lav., 1992, 523. 152 Pret. Milano, 19.10.1993, in Dir. prat. lav., 1994, 20; Pret. Milano, 19.01.1992, in Or. giur. lav., 1992, 14. za sindacale nel cui ambito è assolto il mandato dirigenziale153. Qualche perplessità è sorta intorno all’uso del termine ‹‹categoria››, per l’accezione da attribuirvi nello specifico contesto normativo. Nella medesima unità produttiva, infatti, potrebbero esservi lavoratori appartenenti a differenti categorie normative, o anche a diverse categorie merceologiche. Secondo un’interpretazione ispirata alla ratio dello Statuto, con cui si vuole garantire la massima estensione e tutela dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, si ritiene che con tale vocabolo si debba fare riferimento sia alle categorie merceologiche sia alle categorie normative154. Di certo, in questo caso, la parola “categoria” viene adoperata in senso aspecifico; da alcuni, peraltro, viene escluso che con essa si voglia fare riferimento alla definizione di cui all’art. 2095 c.c., e in questa logica, sembra la soluzione più coerente ritenere che ‹‹il criterio interpretativo da utilizzare debba ancorarsi non all’attività del lavoratore (o di una categoria di lavoratori) ma al tipo di organizzazione scelta dalla rappresentanza dei lavoratori››155. Nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti, il diritto ai permessi è riconosciuto a un dirigente per ogni rappresentanza sindacale aziendale (art. 23, 2° comma, lett. a). Nelle unità produttive fino a 3000 dipendenti ha diritto ai permessi un dirigente ogni 300 dipendenti o frazione di 300 per ciascuna R.S.A. (art. 23, 2° comma, lett. b). Nelle unità produttive di maggiori dimensioni, oltre al numero minimo di dirigenti garantito ex lett. b), gode di tale diritto un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti oltre i primi 3000 (art. 23, lett. c)156. Ai permessi così commisurati al livello occupazionale dell’unità produttiva di appartenenza del dirigente sindacale, il 3° comma dell’art. 23 aggiunge il limi153 Parla di ‹‹carattere per così dire minimale›› MORTILLARO, Sub artt. 23 - 24, cit., 779. 154 MORTILLARO, Sub artt. 23 - 24, cit., 779; sono a favore della tesi della categoria professionale FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 103; GHEZZI, Sub art. 23 e 24, cit., 381; ASSANTI, Sub art. 23, cit., 281 s.; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 229. 155 GERMANO, Sub art. 23, cit., 398, che ritiene pertanto che il riferimento sia alla categoria merceologica. 156 Per un’approfondita analisi delle ipotesi configurate dalla norma v. DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 3 s. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 26 te temporale fissato in un minimo di 8 ore mensili nelle unità produttive di cui alle lettere b) e c); e in un minimo di 1 ora all’anno per ciascun dipendente per le aziende di cui alla lettera a). Secondo una dottrina, ‹‹la ragione di entrambe le limitazioni può ravvisarsi nel fatto che l’art. 19 St. lav. non prevede che le RSA debbano essere costituite da un numero determinato di componenti››, e pertanto appare chiaro come il legislatore abbia individuato limiti rigorosi all’utilizzo di permessi retribuiti 157. Questi limiti temporali non sono vincolati ad un riferimento soggettivo, dal momento che il legislatore si astiene volontariamente da un precisazione in tal senso. La disponibilità che ne risulta permette di distribuire le ore in modo frazionato in capo a più dirigenti della stessa rappresentanza sindacale, in relazione alle effettive necessità dell’organizzazione sindacale che così rimane garante del corretto esercizio del diritto 158. D’altronde, la stessa contrattazione collettiva, nell’esercizio della competenza a essa attribuita di derogare in melius la disciplina dei permessi rispetto al dato normativo, si occupa di disciplinare la materia individuando il ‹‹monte ore›› calcolato su ogni dipendente dell’unità produttiva, e generalmente, tende ad accrescere il numero di ore159. Dal dato normativo non è chiaro se la quota oraria vada imputata a ciascuna R.S.A. operante nell’unità produttiva, ovvero a tutte complessivamente. In giurisprudenza ha prevalso la prima tesi, sebbene vi fossero sentenze di merito che fondavano l’opinione contraria ritenendo che ‹‹un tale onore non può essere duplicato o triplicato con il moltiplicarsi delle rsa››160. La soluzione prescelta appare la più opportuna anche sotto un profilo pratico, dal momento che evita che possano crearsi spiacevoli inconvenienti tra le singole organizzazioni sindacali che non si mettono d’accordo tra loro per l’ammontare della quota di permessi, così paralizzando di fatto l’effettivo godimento dei diritti prescritti161. Peraltro, a seguito dell’Accordo interconfederale del dicembre 1993, il monte ore sarà anche attribuito alla R.S.U. Rimane il dubbio se la distribuzione del monte ore debba competere alla R.S.U. nel suo complesso, con una distribuzione uguale per tutti i componenti senza distinguere l’appartenenza sindacale, ovvero se il monte ore vada ripartito in modo proporzionale tra i vari sindacati. Per alcuni, la questione andrebbe risolta nel primo senso162, anche sulla scorta del criterio previsto dall’art. 29, c. I, St. lav., secondo cui i permessi andrebbero rapportati al numero delle associazioni in possesso dei requisiti di cui all’art. 19 St. lav. che siano unitariamente rappresentate nell’unità produttiva 163. La quantità dei permessi fruibili, in ogni caso, è del tutto svincolata dal numero degli aderenti alle associazioni sindacali o dal consenso che queste eventualmente raccolgano in altro modo nell’unità produttiva. Tutte le associazioni che abbiano superato il vaglio dell’art. 19 St. lav., hanno egualmente diritto alla nomina dello stesso numero di dirigenti e ciò a prescindere dalla circostanza che rappresentino un solo lavoratore ovvero ne rappresentino centinaia164. La ratio della tutela, infatti, non è quella di applicare un filtro selettivo al godimento del diritto ai permessi, una volta che siano già a monte individuati i relativi criteri dall’art. 19 St. lav. 14. L’onere della comunicazione. 157 BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 175. Sul punto v. MORTILLARO, Sub artt. 23-24, 788. Parla correttamente delle r.s.a. come di ‹‹garanti della corretta destinazione sindacale del permesso››, Germano, cit., 395, nt. 13; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 306; in giurisprudenza Pret. Varese, 14.02.1997, in Riv. crit. lav., 1997, 507; Pret. Milano, 29.03. 1988, in Orient. giur. lav., 1988, 943. 159 V. art. 190, CCNL Commercio terziario; art. 190, CCNL Metalmeccanici artigianato. 160 Per la prima tesi v. Cass. 30.07.1992, n. 9136, in Foro it., 1993, I, 437; Cass. 6.06.1984, n. 3409, in Mass. giur. lav., 1984, 294; contra v. Trib. Biella, 8.06.1981, in Orient. giur. lav., 1982, I, 256; Trib. Padova, 4.010. 1988, in Giur. merito, 1990, I, 554. In dottrina, sostiene la tesi dell’imputazione complessiva del monte ore DEL PUNTA, Permessi e 158 Oltre i limiti numerici sopra descritti, l’unico onere di cui il legislatore ha investito il dirigente sindacale che voglia esercitare il diritto ai permessi retribuiti è la comunicazione scritta al datore di lavoro ‹‹di reaspettativa del lavoratore, cit., 4. 161 BASENGHI, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 212. 162 BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 175, che propende per questa tesi riferendosi alla giurisprudenza di App. L’Aquila, 13 febbraio 2003, cit., 265. 163 In questo senso v. BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, cit., 170. 164 Ichino, Il contratto di lavoro, cit., 190. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 27 gola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali›› (art. 23, comma 4°). Coerentemente alla natura del diritto, il contenuto della comunicazione deve essere circoscritto alla natura sindacale del permesso senza che il lavoratore debba giustificare la motivazione dell’esercizio del diritto165. Si ricordi, a proposito, come il permesso non sia soggetto ad alcuna condizione o valutazione discrezionale da parte del datore di lavoro e che pertanto la previsione della comunicazione preventiva si spiega con la necessità che il datore di lavoro sia posto nelle condizioni di adottare le misure organizzative per sopperire all’assenza del lavoratore166. V’è, però, che il legislatore adotta un termine come ‹‹di regola›› che apre a ipotesi diverse. Non può escludersi, infatti, che questa precisazione, in casi di urgenza motivati, garantisca al lavoratore la possibilità di comunicare il godimento del diritto anche in un frangente di tempo inferiore alle 24 ore167. Rimarrebbe, in questo caso, la necessità della comunicazione scritta e, secondo correttezza 168, anche della giustificazione scritta e tempestiva della motivazione che ne ha determinato l’urgenza 169, pena l’illegittimità dell’atto di esercizio del diritto per assenza ingiustificata170. 15. Permessi sindacali non retribuiti: titolarità e attività tutelata. Ai dirigenti delle R.S.A., ovvero ai membri delle R.S.U. subentrati a questi nei diritti sindacali del Titolo III St. lav. ex A.I. del 1993, l’art. 24 St. lav. ricono165 Cass. 9.10.1991, n. 10593 in Not. giur. lav., 1992, 9; Cass. 30.10.1990, n. 10476, in Dir. prat. lav., 1991, 775. 166 DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305; Germano, Sub artt. 23, cit., 395; Basenghi, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 213. 167 La giurisprudenza ritiene che il termine delle 24 ore vada riferito alle giornate lavorative dell’azienda. V. Cass. 1.12.1986, n. 7097, in Riv. giur. lav., 1987, II, 290 con nota di Tursi. In dottrina v. ASSANTI, Sub art. 23, cit., 280. 168 Qualche autore insiste sulla necessità che l’esercizio del diritto ai permessi sia comunque sempre assoggettato ai canoni della correttezza. V. Ghezzi, Sub art. 23 e 24, cit., 383, nt. 3. 169 Così Pret. Roma, 19.12.1980, in Giur. it., 1981, I, 2, 660. 170 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 189; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 234. sce il diritto a permessi non retribuiti finalizzati alla partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni l’anno. La ratio della norma è stata ben individuata in dottrina nella generica esigenza di promuovere le relazioni esterne tra i dirigenti sindacali in azienda e le strutture associative di appartenenza, al fine di incrementare la formazione culturale e sindacale degli stessi, ‹‹con positive ripercussioni sul livello dei rapporti sindacali in azienda e nell’interesse generale della categoria››171. In questa sede verrano esaminati gli aspetti della fattispecie che contraddistinguono questa previsione rispetto alle ipotesi di cui all’art. 23 St. lav., dal momento che le analogie tra la struttura del diritto, le modalità di esercizio dell’attività e la titolarità consentono di rinviare alla trattazione già svolta. I titolari del diritto in parola saranno i dirigenti individuati di volta in volta secondo le caratteristiche già delineate dall’art. 23 St. lav., ma non è detto che coincideranno soggettivamente con coloro che usufruiscono dei permessi retribuiti172. La facoltà di scelta è infatti rimessa esclusivamente all'organizzazione sindacale che potrà decidere anche di frazionare le ore tra più persone. Anche in questo caso si ritiene che la natura sia di un diritto potestativo del lavoratore non soggetto ad alcun potere di autorizzazione o di controllo del datore di lavoro173. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’elencazione delle attività che legittimano la richiesta del permesso, contenuta nel testo della norma, non sia tassativa ma abbia anzi un mero valore esemplificativo174. 171 DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 2. 172 GHEZZI, Sub art. 23-24, cit., 384, nt. 4; ASSANTI, Sub art. 24, in ASSANTI, PERA (a cura di), Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., 283. 173 Pret. Thiene, 24.11.1980, in Orient. giur. lav., 1981, I, 285, che esclude espressamente la richiesta del consenso del datore di lavoro; Cass., 8.11.1996, n. 9765, in Mass. giur. lav., 1997, 15; Trib. Venezia, 22.2.1996, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 518. 174 Cass., 8.11.1996, n. 9765, in Mass. giur. lav., 1997, 15, con nota di DE MARINIS, che ha ritenuto legittimo l’esercizio del permesso non retribuito per la partecipazione ad un corso di formazione sindacale; BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 176; BASENGHI, I permessi e le aspettative sin- temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 28 E’ l’interesse tutelato che delimita il confine tra l’art. 23 St. lav. e l’enunciato normativo in questione: mentre, infatti nella prima ipotesi l’attività presa in considerazione è tipicamente endoaziendale, qui l’attività sindacale è tipicamente esterna sia secondo un criterio meramente teleologico (perché non è finalizzata esclusivamente a tutelare gli interessi dei lavoratori dell’azienda, e quindi non è direttamente connessa con il mandato di dirigente di R.S.A.); sia in base al criterio topografico, perché è lo stesso legislatore a tipizzare la possibilità che l’attività si svolga al di fuori del luogo di lavoro175. Non è molto chiaro che cosa possa ritenersi compreso nell’accezione di ‹‹trattative sindacali››. Secondo una prospettiva, con questa indicazione il legislatore avrebbe voluto indicare anche tutte quelle attività di contrattazione aziendale che pertanto, rientrando nell’espletamento del mandato del dirigente di R.S.A., sarebbero contemporaneamente coperte dall’art. 23 St. lav. e dall’art. 24 St. lav., senza possibilità di delineare alcuna distinzione tra le due norme 176. La conseguenza, in questo caso, sarebbe che per le stesse attività il lavoratore potrebbe prima esaurire il monte ore di permessi retribuiti, e poi usufruire del restante periodo di permessi garantito ex art. 24 St. lav.. Una simile ricostruzione è però scartata dalla dottrina maggioritaria, che nella distinzione dei permessi in due articoli intravede la volontà del legislatore di tenere separate le due situazioni in ragione della diversa natura degli interessi tutelati177. Da qui la dottrina ha sostenuto che, con riferimento alle ‹‹trattative sindacali››, i permessi sindacali non retribuiti vadano goduti per le sole attività negoziali extra aziendali, su questioni generali su scala locale o nazionale, che riguardano pertanto solo indirettamente i lavoratori dell’azienda. Mentre, la contrattazione dacali, cit., 214; contra CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit., 121. 175 DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 5. 176 Così CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit.,121 s.; BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, cit., 172, ritiene che nella pratica si registra ‹‹una parziale sovrapposizione tra ipotesi che possono giustificare la fruizione dei permessi ai sensi tanto dell’art. 23 o dell’art. 24 (…)››. 177 GHEZZI, Sub artt.23- 24, cit., 381, secondo cui appare chiaro che ‹‹l’analogo riferimento contenuto nella disciplina dei permessi non retribuiti attiene a trattative e convegni extra - aziendali››; GERMANO, Sub art. 23, cit., 404 s. aziendale sarà svolta usufruendo esclusivamente dei permessi ex art. 23 St. lav.178. Coerentemente a quanto già previsto con l’art. 23 St. lav., il legislatore anche stavolta individua un limite temporale all’esercizio del diritto che è fissato in misura non inferiore ad otto giorni a favore di ciascun dirigente sindacale, tuttavia in questo caso non è prescritta una soglia minima di lavoratori per i quali è costituita la R.S.A. Dalla formulazione del disposto ‹‹non inferiori›› si evince come la contrattazione collettiva potrà anche derogare in melius rispetto al limite degli otto giorni, anche se questa facoltà non è espressamente prevista come nel caso dei permessi retribuiti179. Altra differenza rispetto all’art. 23 St. lav. è data dalla comunicazione che stavolta deve avvenire per iscritto tramite le R.S.A., di regola entro il termine di tre giorni di preavviso. Sul senso da attribuire all’espressione ‹‹di regola››, valgano le medesime riflessioni svolte in precedenza. Il dirigente, in questo caso, è anche onerato di comunicare al datore di lavoro il luogo in cui si terrà il convegno per cui esercita il diritto180. In questo caso, se il dipendente usufruisce illegittimamente del permesso, anche se non retribuito, sarà tenuto a corrispondere al datore di lavoro un’indennità a titolo di risarcimento per la sua assenza; e, se ciò avviene con la complicità dell’organizzazione sindacale, sarà questa a corrispondere il risarcimento a titolo di responsabilità extracontrattuale181. 16. Permessi retribuiti per i dirigenti sindacali esterni (art. 30 St. lav.). L’art. 30 St. lav. dispone in favore dei componenti degli organi direttivi provinciali e nazionali delle R.S.A. (cosiddetti dirigenti sindacali esterni, secondo l’espressione dell’art. 20, comma 3°, St. lav.) il diritto ai permessi retribuiti ‹‹secondo le norme dei contratti di lavoro››, precisando che l’astensione dal lavoro sia 178 MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 769 s. GERMANO, Sub art. 23, cit., 406, considera ammissibili i trattamenti di miglior favore anche alla luce dell’art. 40 St. lav. 180 Cass., 1.12.1986, n. 7097, in Riv. giur. lav., 1987, II, 290, con nota di TURSI. 181 ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., 192; Trib. Bologna, 7.03.1991, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 150, con nota di GHINOY. 179 temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 29 finalizzata alla partecipazione alle riunioni degli organi di cui i lavoratori fanno parte. La norma rileva per l’importanza dell’interesse tutelato e si collega con gli artt. 23 e 24 St.lav. che la precedono, ponendosi come la norma di chiusura dello Statuto in materia di permessi sindacali182. L’individuazione dei beneficiari non presenta difficoltà ermeneutiche, perché lo stesso legislatore ha operato un richiamo diretto dell’art. 19 St. lav. Sono favoriti i lavoratori che svolgono attività sindacale con funzioni di dirigenti esterni. Titolari di questi diritti sono pertanto i componenti degli organi direttivi dei sindacati esterni collegati alle rappresentanze sindacali in azienda, e pertanto l’art. 30 st. lav. si inquadra nel sostegno selettivo all’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa, così come, nell’ambito dell’attività sindacale svolta nell’impresa vi si inquadrano gli artt. 23 e 24 St. lav.183. La stessa selezione, come si vedrà, non si trova anche nell’ambito dell’articolo successivo (art. 31, 2° comma, St. lav.) in cui è prevista l’aspettativa non retribuita per motivi sindacali. La limitazione va spiegata proprio con il rinvio alla maggiore incidenza che può avere sull’organizzazione aziendale un lavoratore che fruisca di permessi retribuiti rispetto ad uno in aspettativa non retribuita184. In origine, ovvero prima che l’art. 19 St. lav. venisse modificato dal referendum del 1995, l’intento perseguito dal legislatore con questa norma era proprio quello di riconoscere delle posizioni di privilegio a quei sindacati che rientravano nella selezione per la costituzione di RSA. Oggi, con la versione post referendaria dell’art. 19 St. lav. può ben sostenersi che questo intento selettivo e promozionale sia venuto meno185. Rimane ad ogni modo confermata la ragione tipica dei permessi retribuiti, che è quella di favorire l’attività sindacale in quanto piena espressione di un diritto 182 GERMANO, Sub art. 30, in Giugni (diretto da), Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, Milano, 1979, 528 ss. 183 PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 236; LATTANZI, Sub art. 30, in PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, t. II, Milano, 1975, 1053 s. 184 GERMANO, Sub art. 30, cit., 529. 185 BALLESTERO, Diritto sindacale, cit., 177. costituzionalmente garantito, trasferendo sull’impresa i relativi oneri186. L’art. 31 St. lav. prefigura una situazione soggettiva attiva a contenuto potestativo che corrisponde a quelle dei permessi di cui agli artt. 23 e 24 St. lav., nel senso che si tratta sempre di diritti soggettivi pieni e incondizionati del dirigente sindacale, rispetto ai quali, pertanto, il datore di lavoro non potrà porre alcun ostacolo. La fruizione del permesso, infatti, non dipende da un atto discrezionale o di concessione o di autorizzazione del datore di lavoro, la cui volontà, di fronte all’esercizio di una situazione soggettiva a contenuto potestativo è del tutto irrilevante187. L’attività tutelata si svolge fuori dai locali aziendali e non è detto che riguardi direttamente temi e problemi afferenti all’azienda di cui è dipendente il lavoratore. 17. Limiti e modalità di esercizio del diritto. La selezione dei limiti e le concrete modalità di esercizio del diritto vengono rimesse alla contrattazione collettiva188. Questa, usualmente, prevede un monte ore annuale di permessi calcolati sulla base del numero complessivo degli iscritti al sindacato in un determinato settore produttivo, senza indicare il numero dei beneficiari189. La stessa collocazione dell’inciso ‹‹secondo le norme dei contratti di lavoro›› compreso tra due virgole, mostra l’intenzione del legislatore di privilegiare una prospettiva di contemperamento fra gli interessi del sindacato e le esigenze della produzione190. La natura piena e incondizionata del diritto comporta che alla contrattazione collettiva è sì rimessa la concreta individuazione dei limiti, ma questa non potrà mai condizionare l’esercizio del diritto all’assenza di impedimenti di ordine tecnico aziendale devoluti alla discrezionale valutazione del datore di lavoro191. 186 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 186. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 189. 188 L’istituto in esame era già presente nella contrattazione collettiva più avanzata anche prima della previsione statutaria, sul punto v. GERMANO, Sub art. 30, cit., 529. 189 Trib. Roma, 30.07.1994, in Notiz. giur. lav., 1994, 701. 190 GERMANO, Sub art. 30, cit., 530. 191 LATTANZI, Sub art. 30, cit., 1055. 187 temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 30 In questo caso, infatti, sarebbe violato ‹‹l’interesse, costituzionalmente garantito, sotteso all’art. 30 dello statuto; il datore di lavoro, al fine di assicurare il pieno esercizio dell’attività sindacale, deve dunque modellare la propria organizzazione e disciplinare la forza lavoro in modo da rendere effettivo il godimento del diritto ai permessi, non potendo appellarsi all’esigenza del regolare svolgimento dell’attività di impresa per negare il suddetto diritto o limitarne il contenuto››192; secondo la giurisprudenza, pertanto, una simile previsione sarebbe affetta da nullità193. Considerata la natura immediatamente precettiva della norma194, in assenza di una disciplina contrattuale la determinazione dei limiti e delle concrete modalità di esercizio del diritto può essere concordata a livello individuale dagli stessi sindacalisti, e in caso di contestazione o mancato accordo la decisione potrà essere rimessa al giudice che potrà colmare tale lacuna rinviando anche alla contrattazione collettiva di altri settori195. L’attività tutelata per cui il diritto si può esercitare è la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi provinciali e nazionali; risulta pertanto una previsione particolarmente circoscritta, soprattutto se si pone a confronto con le ragioni giustificatrici dei permessi per le rappresentanze sindacali aziendali. L’art. 30 St. lav., per la sua collocazione sistematica, è fuori dall’ambito di applicazione previsto per i diritti di cui al titolo III dello Statuto e pertanto, i limiti di cui all’art. 35 St. lav. non trovano applicazione (ammissibilità dei diritti per le unità produttive con più di 15 dipendenti)196. 18. Aspettativa per motivi sindacali. La disciplina prevista dall’art. 31 St. lav. riconosce ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali il diritto ad un’aspettativa non 192 Cass., 1.08.2003, n. 11759, in Lav. giur., 2004, 6, 570. Cass., 23.11.1985, n. 5847, in Giur. cost., 1986, I, 365, con nota di DEL PUNTA. 194 Cass., 1.07.2004, n. 12105, in Notiz. giur. lav., 2004, 693. 195 POSO, Sub art. 30, Statuto dei lavoratori, in Grandi-Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Milano, 2001, 827 ss.; questa è stata l’opinione di LATTANZI, Sub art. 30, 1055. In giurisprudenza v. Cass., 20.7.1989, n. 3430, in Notiz. giur. lav., 1989, 517. 196 Sul punto v. RICCOBONO, I diritti sindacali nel titolo III dello Statuto dei lavoratori, in www.temilavoro.it, 2011, 4 s. 193 retribuita, che rientra nell’ambito della più generale disciplina delle aspettative per cariche e funzioni pubbliche elettive. Beneficiari ne saranno stavolta tutti i dirigenti sindacali esterni, a qualunque sindacato appartengano, senza le limitazioni di cui all’art. 19 St. lav.; il secondo comma dell’art. 31, infatti, contrariamente all’art. 30 St. lav. in relazione ai permessi, individua i soggetti titolari dell’aspettativa senza riguardo alla rappresentatività delle organizzazioni in cui ricoprono cariche provinciali o nazionali, e pertanto al di fuori da logiche selettive197. Non si applicano anche in questo caso i limiti di cui all’art. 35 St. lav., e poiché sovente può accadere che nelle aziende con organici ridotti non vi sia alcun contratto collettivo di categoria applicato, i limiti di esercizio del diritto ai permessi sindacali retribuiti e alle aspettative non retribuite da accordarsi ai componenti degli organismi direttivi nazionali e provinciali delle associazioni sindacali devono di necessità essere determinati in via giudiziale198. La natura del diritto è identificabile con una sospensione del rapporto di lavoro e con una temporanea inefficacia delle obbligazioni principali, la cui finalità è garantire il pieno svolgimento dell’attività sindacale esterna, garantendo al lavoratore il diritto alla conservazione del posto e all’anzianità di servizio. Proprio in questa sua caratteristica si rinviene l’elemento che distingue tale ipotesi dal permesso retribuito per i sindacalisti esterni; solo nel primo caso infatti l’incarico determina una situazione di incompatibilità continuativa con lo svolgimento delle prestazioni lavorative199. La natura di diritto potestativo garantisce che la semplice richiesta da parte del lavoratore impedisca al datore di lavoro di esercitare un rifiuto200. Inoltre, al datore di lavoro non è consentita la facoltà di contestare il fondamento del ‹‹riconoscimento di una carica propria dell’organizzazione sindacale, non avendone l’interesse e, comunque, non disponen197 GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 184 s.; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 236. 198 Così P. S. Pietro Vernotico, 26.10.1981, in Lav. prev. oggi, 1985, 247. 199 Cass., 20.7.1989, n. 3430, in Notiz. giur. lav., 1989, 517. 200 Cass., 7.2.1985, n. 953, in Notiz. giur. lav., 1985, 247. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale 31 do di alcuna legittimazione a sindacare le violazioni di procedure interne al sindacato››201. Peraltro, al fine di poter accedere al godimento dell’aspettativa sindacale non retribuita prevista dall’art. 31 St.lav., nonché alla contribuzione figurativa a tal fine riconosciuta dal d.lgs. n. 564 del 1996, è sufficiente che il lavoratore abbia ricevuto l’attribuzione di un incarico, nazionale o provinciale, che comporti effettivamente lo svolgimento dell’attività sindacale in senso proprio, non essendo richiesto che si tratti di una carica necessariamente conferita per via elettiva202. Durante il periodo di aspettativa non retribuita per mandato sindacale, è frequente che i lavoratori possano essere remunerati dall’organizzazione sindacale (cosiddetta indennità di carica), secondo la giurisprudenza questo compenso è assoggettato, quale componente del reddito, alla contribuzione di malattia prevista per i lavoratori dipendenti (quanto ai redditi diversi da quelli derivanti dal lavoro subordinato) dall’art. 31, l. n. 41 del 1986203. Ai lavoratori in aspettativa non retribuita, in quanto chiamati a ricoprire cariche sindacali, è dovuta la contribuzione figurativa in conseguenza della formale investitura di una delle cariche previste dall’art. 3, d.lgs. n. 564 del 1996, rimanendo irrilevanti le mansioni effettivamente svolte a favore del sindacato distaccatario204. Al contempo i lavoratori avranno diritto alla maturazione degli scatti di anzianità previsti eventualmente dalla contrattazione collettiva, nonché a premi aziendali legati all’anzianità di servizio, senza che rilevi in queste ipotesi il requisito dell’effettività della prestazione lavorativa quale condizione per accedere ai benefici205. 201 Trib. Milano, 18.8.2006, in Orient. giur. lav., 2006, I, 737. 202 Trib. Milano, 25.5.2007, in Orient. giur. lav., 2007, I, 440. 203 Cass., 1.12.1992, n. 12815, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 622, con nota di Franco. 204 Così Cass., 21.02.2006, n. 3706, in Notiz. giur. lav., 2006, 429; Trib. Milano, 25.05.2007, in Orient. giur. lav., 2007, I, 440; circ. INPS n. 13 del 18.01.1995, con riguardo alle disposizioni sulle modalità di accreditamento figurativo per i periodi di aspettativa sindacale nella gestione previdenziale alla quale i lavoratori erano iscritti all’atto del collocamento in aspettativa. 205 Per il diritto alla maturazione degli scatti di anzianità v. Cass., 24.09.1996, n. 8430, in Mass. giur. lav., 1996, 752, Per converso, la giurisprudenza ritiene che il diritto alle ferie non possa maturare durante il periodo di aspettativa, perché in questo caso il diritto presuppone l’effettivo svolgimento del lavoro e matura giorno per giorno; quando invece manchi di fatto l’attività lavorativa, come nel caso dell’aspettativa, ‹‹non sussistono quelle esigenze di recupero delle energie psicofisiche e di più intensa partecipazione alla vita familiare e sociale››206. Sono in genere riconosciuti ai lavoratori in aspettativa tutti quei trattamenti previdenziali ed economici collegati al rapporto di lavoro ma non all’effettivo svolgimento della prestazione207, come quelli per malattia208, per maternità209, nonché per trattamento speciale di disoccupazione nei casi di lavoratori dipendenti da imprese industriali licenziati per cessazione di attività o per riduzione di personale210. Una precisazione va fatta con riguardo ai contratti a finalità formative, perché in queste ipotesi secondo i giudici, è necessario consentire una proroga del contratto di durata pari al periodo di sospensione per consentire l’assolvimento degli obblighi formativi211. contra v. Cass. 1.06.1988, n. 3725, in Notiz. giur. lav., 1988, 507. Per il diritto ai premi aziendali ancorati all’anzianità di servizio v. Cass., 29.4.1997, n. 3719, in Mass. giur. lav., 1997, 392. 206 Cass., 5.1.2001, n. 96, in Notiz. giur. lav., 2001, 302. 207 Cass., 13.4.1999, n. 3635, in Orient. giur. lav., 1999, I, 328. 208 Cass., 12.4.1985, n. 2416, in Giur. civ., 1985, I, 2213, con nota di MOSCA. 209 Cass., 3.3.2001, n. 3112, in Giust. civ., 2001, I, 1514; Cass., 5.05.1994, n. 4353, in Giust. civ. Mass., 1994, 612; Trib. Milano, 21.3.1995, in Orient. giur. lav., 1995, I, 498. 210 Cass., 13.8.1997, n. 7558, in Giust. civ. Mass., 1997, 2, 1415. 211 Cass., 5.10.2006, n. 21396, in Riv. it. dir. lav., 2007, II, 608, con riferimento ad un lavoratore che aveva chiesto l’aspettativa ex art. 31 St. lav. per funzioni pubbliche elettive, avendo assunto la carica di sindaco. temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale