I diritti sindacali nei luoghi di lavoro:
proselitismo e propaganda sindacale, i permessi e l’aspettativa per motivi sindacali
di
Alessia Gabriele
Abstract
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione di attività sindacale nei luoghi di lavoro. – 3. I diritti
sindacali nello Statuto dei lavoratori: inquadramento sistematico e dogmatico. – 4. Libertà di
manifestazione del
pensiero:
propaganda
sindacale e opera di proselitismo. – 5. Titolarità
del diritto di cui all’art. 26 St. lav. e individuazione non selettiva dei beneficiari della promozione.
– 6. Versamento ed esazione dei contributi sindacali: oggetto e funzione. – 7. Volontarietà della
trattenuta sindacale e sua qualificazione giuridica. – 8. La garanzia della segretezza del versamento dei contributi e la tutela della privacy del
lavoratore. – 8.1. (segue) La contrattazione collettiva e la riscossione dei contributi sindacali. 9. Il
limite all’esercizio dell’attività di proselitismo: il
pregiudizio al ‹‹normale svolgimento dell’attività
aziendale›› – 10. Svolgimento dell’attività sindacale ed esonero dall’obbligo di eseguire la prestazione di lavoro: la disciplina legale dei permessi e
dell’aspettativa per motivi sindacali. – 11. Permessi sindacali retribuiti (art. 23 St.lav.): natura e
titolarità del diritto. – 12. Limiti quantitativi all’esercizio del diritto. – 13. L’onere della comunicazione. – 14. Permessi sindacali non retribuiti (art.
24 St.lav.): titolarità e attività tutelata. – 16. Permessi retribuiti per i dirigenti sindacali esterni
(art. 30 St. lav.). - 17. Limiti e modalità di esercizio del diritto. 18. Aspettativa per motivi sindacali
(art. 31 St. lav.).
Fin dalle prime riflessioni dottrinali, la legge n.
300 del 1970, denominata Statuto dei lavoratori, è
stata definita una legge ‹‹policentrica››, per descrivere la complessa trama di intrecci tessuta dal
legislatore tra la tutela del singolo lavoratore,
quale parte del rapporto di lavoro, e la promozione del ruolo del soggetto collettivo in azienda,
quale unico titolare del contropotere sindacale1.
Se è vero che nelle successive elaborazioni è
poi sfumata una simile prospettiva dicotomica 2,
non può nascondersi come ancora oggi, nell’accostarsi allo studio e all’approfondimento dei diritti
sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori, è
dato riscontrare, se non proprio una contrapposizione dei soggetti, di certo un’alternanza nell’indicazione dei titolari dei diritti sindacali.
Quest’alternanza, voluta non a caso dal legislatore, risponde ad esigenze di politica del diritto
differenti, che riflettono l’esistenza di due prospettive di tutela: una promozionale del ruolo del
sindacato nell’ordinamento; ed un’altra di riconoscimento di alcuni diritti fondamentali individuali
dei lavoratori.
1
L’espressione è di VENTURA, Lo Statuto dei lavoratori: appunti per una ricerca, in Riv. giur. lav., 1970, I,
531.
2
Sul dibattito svoltosi all’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto cfr. per tutti TREU, Attività
antisindacale e interessi collettivi, in Politica del diritto, 1971, 1, 565 ss. Per le opere di carattere storiografico di portata generale v. U. ROMAGNOLI - T. TREU, I
sindacati in Italia: storia di una strategia (1945-1976),
Bologna, 2a ed., 1981.
1. Premessa.
1
2
Nel corso della presente trattazione, e con riferimento specifico all’attività sindacale nei luoghi di lavoro, si potrà osservare come entrambe le prospettive
siano presenti, a volte intrecciandosi tra loro, altre, invece, distinguendosi.
Una simile precisazione è necessaria al fine di
chiarire la metodologia da seguire.
L’interprete, infatti, non può trascurare come in
ogni disposizione sia celata una natura ambivalente,
il cui punto di equilibrio spesso appare confuso e di
difficile individuazione.
A tale scopo sarà, infatti, opportuno un approfondito esame della giurisprudenza di merito e di legittimità, e degli orientamenti dottrinali prevalenti.
2. La nozione di attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Il riconoscimento legislativo dell’organizzazione e
dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, costituisce
un’evidente ricaduta applicativa dell’affermazione del
principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. 3.
Della Costituzione, in realtà, lo Statuto adotta l’ispirazione fondamentale della valorizzazione del soggetto sindacale quale agente di trasformazione sociale e di eguaglianza sostanziale.
In tal senso si sostiene, infatti, che ‹‹il legislatore
non si è arrestato alla riproposizione in azienda del
principio costituzionale di libertà sindacale, ma ha voluto tutelare, in questo ambito, la libertà sindacale attraverso la libertà di azione sindacale›› 4.
L’attività sindacale, pertanto, rappresenta un’espressione dinamica del principio di libertà sindacale; quest’ultimo, infatti, rimarrebbe una mera astrazione ove non fosse garantito ai soggetti collettivi e ai
lavoratori il concreto esercizio nei luoghi di lavoro
delle attività materiali per inverare la previsione
costituzionale5.
Uno dei principali traguardi riconosciuti allo Statuto consiste nell’avere istituzionalizzato, all’interno dei
3
Sul principio di libertà sindacale si veda la prima parte del
presente volume.
4
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, Padova, 1981, 162.
5
PERA, Libertà sindacale (diritto vigente), in Enc. dir.,
XXIV, Milano,1974, 494 ss.; PERONE, L’organizzazione e
l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 194.
luoghi di lavoro, una sistematica presenza diretta del
sindacato6.
In realtà, il legislatore si è limitato a codificare un
complesso di situazioni attive strumentali allo sviluppo del sindacato nell’impresa, e corrispondenti
ad altrettante posizioni che già la contrattazione collettiva, in numerosi settori, si era guadagnata7.
E’ stato, pertanto, in forza di una legge che la presenza del soggetto sindacale si è radicata nell’ambito della specifica sfera dei processi produttivi, nel
cui alveo il conflitto industriale aveva affondato le radici8.
Se allora, proprio in tale logica conflittuale si muove lo Statuto dei lavoratori, nell’affermare il ‹‹diritto
di cittadinanza›› dei diritti sindacali in azienda non si
può prescindere dalla tutela dell’interesse dell’imprenditore al funzionamento dell’organizzazione produttiva; ciò che viene meno è invece la garanzia dell’interesse dello stesso imprenditore ad una ‹‹data organizzazione tecnica del lavoro››9; a questo infatti il
legislatore dello Statuto contrappone dialetticamente
la ‹‹garanzia dell’attività sindacale nell’impresa (…)
finalizzata all’istituzionalizzazione di un potere collettivo di controllo››10.
Ne consegue che avere offerto in via eteronoma la
garanzia della presenza e dell’attività sindacale nell’impresa ha avuto il significato profondo di un riconoscimento alla storica attività di autotutela del
sindacato quale “contropotere” dell’imprenditore11.
Tant’è che il riferimento alla dimensione aziendale,
per l’azione sindacale, assume un rilievo determinante, poiché non si tratta di un mero richiamo al luogo
fisico di svolgimento dell’attività sindacale, bensì con
la locuzione ‹‹attività sindacale nell’impresa›› si suole
rinviare sinteticamente ad una varietà di atti e comportamenti, dotati tutti di una loro tipicità pratica
6
BAGLIONI, Il sistema di relazioni industriali in Italia: caratteri ed evoluzione storica, in CELLA G. P. - TREU T. (a
cura di), Le nuove relazioni industriali. L’esperienza italiana nella prospettiva europea, Bologna, p. 13 ss.
7
RUSCIANO, Statuto dei lavoratori e ordinamento intersindacale, in Tratt. Rescigno, t. I, p. I, 2a ed., Torino, 2004,
114.
8
KHAN-FREUND, Labour and the law, London, 1977, 28 ss.
9
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, Milano, 1976,
57.
10
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 57.
11
In generale, sull’attività sindacale cfr. GRANDI, L’attività
sindacale nell’impresa, cit., 23 ss.
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3
e normativa, teleologicamente coordinati al sostegno
della presenza e dell’azione dell’organizzazione
sindacale localizzata in uno specifico ambito
funzionale: l’impresa.
E’ stata proprio l’azienda, rectius in origine la fabbrica fordista, il terreno più fertile in cui hanno preso
avvio e si sono sviluppate le relazioni sindacali, dal
momento che essa ha da sempre costituito il luogo fisico di massima rifrazione degli squilibri socio-economici12.
In una simile prospettiva, allora, l’affermazione del
diritto di esistenza del sindacato nei luoghi di lavoro si
è tradotta nella necessità di delimitarne con attenzione
i confini e gli ambiti di operatività, al fine non celato
di evitare che il conflitto divenisse prevalente sulle ragioni dell’organizzazione dei processi produttivi, assicurando così un equilibrio dinamico all’interno dell’impresa13.
Da ciò discende l’esigenza scientifica di una sistematizzazione dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro,
con l’accortezza di non cadere nel tranello di una classificazione esaustiva degli stessi, nella consapevolezza
che le norme dello Statuto non esauriscono le ipotesi in cui legittimamente può inverarsi la nozione di
attività sindacale14.
3. I diritti sindacali nei luoghi di lavoro: ammissibilità e limiti.
Seguendo lo schema interpretativo suggerito dalla
posizione che lo Statuto dei lavoratori assegna alla
maggior parte dei diritti sindacali, un criterio utile da
seguire potrebbe essere quello di classificare come tali
quelli previsti nel titolo III; sebbene non possa trascurarsi come siano da annoverare tra i diritti sindacali
12
U. ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nel prisma del diritto d’uguaglianza, in (a cura di) M. NAPOLI, Costituzione,
lavoro, pluralismo sociale, Vita e Pensiero, Milano, 1998;
CASTELVETRI, Il diritto del lavoro delle origini, Milano,
1994.
13
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 160.
14
In tal senso v. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa,
cit., 43, secondo il quale ‹‹una nozione chiusa dell’attività
sindacale risulterebbe contraddetta, tra l’altro, dalla formula
generale dell’art. 14, che assicura a tutti i lavoratori il diritto allo svolgimento dell’attività sindacale, e dall’art. 28, che
appresta la tutela del diritto dei sindacati al rispetto della libertà e dell’attività sindacale››.
anche quelli di cui agli artt. 30 e 31 St. lav., che a tale
titolo non appartengono15.
In generale la dottrina è concorde nel ritenere che i
diritti sindacali siano qualificabili come diritti soggettivi strumentali all’autotutela collettiva, corrispondenti, pertanto, a posizioni attive riconosciute ai
singoli o ai soggetti collettivi.
In questa prospettiva, variano poi le modalità di
esercizio del diritto, il tipo di bene oggetto di tutela
e lo scopo degli atti e dei comportamenti in cui si
estrinseca l’attività16.
L’unica possibilità di sistematizzazione dei diritti
sindacali ruota intorno a questi elementi, che seppur
differenti, possono essere utili al fine di costruire
un’unica e uniforme teoria dei limiti ai diritti sindacali
nei luoghi di lavoro17; non essendo possibile per altre
vie tentare di individuare un unico denominatore comune a tutte le fattispecie tipizzate dal legislatore.
Un primo ordine di limiti, di carattere generale, si
può rintracciare nella costruzione selettiva delle norme sull’attività sindacale, che riconoscono una ristretta funzione protettiva ad alcuni soggetti ritenuti
più qualificati sul piano della rappresentatività effettiva18.
15
V. anche gli artt. 9, 14, 15, lett. b), 16, 17, 18, commi 4-7,
28.
16
Per una diffusa rassegna delle opinioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di limiti all’azione sindacale, si veda
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 163 ss., che delimita rigorosamente l’oggetto dell’attività sindacale all’interesse sindacale e distingue tra nozione oggettiva e nozione soggettiva di interesse sindacale,
assumendo una posizione in netto contrasto con la dottrina
maggioritaria (v. nota 8, 169).
17
Poiché l’attività sindacale si concretizza in comportamenti di carattere manifestativo e attivistico diretti ad assicurare
l’effettività organizzativa ed operativa del sindacato nell’impresa, la dottrina ha individuato una serie di limiti di
carattere generale desunti dalla stessa struttura normativa,
sul punto cfr. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa,
cit., 52; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro
nell’impresa, cit., 161.
18
FONTANA, Profili della rappresentanza sindacale. Quale
modello di democrazia per il sindacato?, Torino, 2004;
CAMPANELLA P., Rappresentatività sindacale: fattispecie
ed effetti, Milano, 2000; ACCORNERO A., Rappresentanze
sindacali in azienda: ieri e oggi, in Industria e sindacato,
marzo, 1993; BELLOCCHI P., La parità di trattamento fra
sindacati: evoluzione giurisprudenziale e problemi attuali,
in Dir. rel. ind., 1992, p. 133. BELLOCCHI P., Libertà e pluralismo sindacale, Padova, 1998; BELLOMO S., Il nuovo
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4
Un secondo ordine di limiti, che possono definirsi
interni, riguarda l’oggetto degli atti e dei comportamenti con cui si manifesta il diritto.
Il legislatore, infatti, tende a delimitare l’area oggettiva di operatività del diritto di attività sindacale,
proprio riguardo allo specifico obiettivo di natura
sindacale che si intende garantire, realizzando il necessario contemperamento con la tutela dell’organizzazione produttiva dell’imprenditore.
Infine, si possono individuare anche dei limiti
esterni, con riguardo alle concrete modalità di esercizio dei vari diritti sindacali, quali ad esempio la
durata dei permessi retribuiti.
Ben vero, secondo una parte della dottrina, vi è poi
la necessità di individuare un limite di carattere generale all’esercizio dell’attività sindacale all’interno
dei luoghi di lavoro19.
E ciò si realizza attraverso l’appiglio normativo offerto dall’art. 26 St. lav. che, in relazione all’attività
di raccolta di contributi e all’opera di proselitismo,
prescrive che questa non arrechi pregiudizio al ‹‹normale svolgimento dell’attività aziendale››.
Da qui, trascurando lo specifico campo di azione
dell’art. 26 St. lav., il riferimento al concetto di “normalità” dell’attività aziendale sembra possa deporre
a favore dell’esistenza nell’ordinamento sindacale di
un limite generalizzato per l’esercizio dei diritti sindacali in azienda.
Secondo un’altra prospettiva, invece, considerando la specificità del criterio di composizione del conflitto e la natura del limite in questione, il rinvio alla
“normalità” dell’attività aziendale rimarrebbe circoscritto allo specifico ambito dell’attività di proselitismo e della raccolta di contributi 20; solo in questo senso, infatti, andrebbe interpretata la scelta del legislatore di collocare sistematicamente tale previsione nel ristretto contesto dell’art. 26 st. lav., senza richiamare
espressamente ad esso in nessun’altra ipotesi.
Peraltro, il riferimento alla “normalità”, secondo
un’altra tesi, varrebbe in generale per l’esercizio delart. 19 della legge n. 300 del 1970; problemi interpretativi,
in Arg. dir. lav., 4, 1997, 177; BIAGI M., Rappresentanza e
democrazia in azienda. Profili di diritto sindacale comparato, Rimini, 1990.
19
V. in tal senso FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori,
Milano, 1971, 3, 57; PERA, in ASSANTI, PERA (a cura di),
Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Padova,
1972, 10 ss.
20
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 53 ss.
l’attività sindacale, ma non opererebbe per le specifiche attività strumentali previste dal titolo III dello Statuto, in relazione alle quali sarebbe ammissibile ‹‹un
più o meno intenso sacrificio delle esigenze tecnico
produttive in ragione dell’ambito strumentale e qualitativo definito dal legislatore per ciascun istituto››21.
Tenuto conto dell’esistenza di questo divario, per
un’analisi approfondita del tema si rinvia alla parte
della presente sezione dedicata specificamente all’art.
26 st. lav.
Il legittimo esercizio dei diritti sindacali non può
comunque comportare una deroga all’adempimento dell’obbligazione di lavorare del prestatore di lavoro, ad eccezione dei casi in cui il legislatore lo abbia espressamente e temporaneamente previsto (v. artt.
20, comma 1, 23, 24 St. lav.), ovvero di quelle disposizioni che prevedono delle mere attività strumentali,
di spettanza sindacale, il cui esercizio non incide sulla
corretta esecuzione delle prestazioni di lavoro (quali
ad esempio l’affissione o le attività di riscossione di
contributi di cui all’art. 26 St. lav.)22.
3. I diritti all’attività sindacale nello Statuto dei lavoratori: inquadramento sistematico.
Se gli articoli 14, 15, 16, 17 e 28 St. lav. costituiscono una diretta manifestazione nell’ambito dei rapporti interprivati di lavoro del principio di cui al primo
comma dell’art. 39 cost., l’impianto normativo di
cui al titolo III dello Statuto fornisce concretamente alle organizzazioni sindacali un apparato giuridico funzionale a far sì che, nelle realtà aziendali,
l’immunità dal potere sanzionatorio del datore di
lavoro promessa dalla Costituzione diventi effettiva.
In tal senso, infatti, è stato autorevolmente sostenuto che ‹‹i diritti sindacali costituiscono un di più rispetto alle fondamentali garanzie di libertà
sindacale››23.
Nella logica sistematica dello Statuto è possibile
distinguere una protezione dell’attività sindacale intesa in senso lato, che trova la sua matrice princi21
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, in Digesto
comm., IV, Torino, 1989, 299.
22
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 53;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 194. DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali,
cit., 299.
23
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 299.
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5
pale nell’art. 14 St. lav., e poi invece la tipizzazione
di una serie di situazioni soggettive attive ulteriori
che incidono in via immediata sulla stessa sfera
datoriale.
Peraltro, il contenuto di determinate situazioni attive non si identifica in atti o comportamenti immediatamente qualificabili come attività sindacali, ma si
estrinseca ‹‹nella posizione di precondizioni, idonee
a consentire lo svolgimento delle attività stesse››24.
La dottrina concorda nel ritenere che si possa
escludere una configurazione dei diritti sindacali
come diritti della personalità, perché non hanno ad
oggetto beni o interessi fondamentali dei soggetti titolari; né tantomeno si ritiene che possano essere considerati quali diritti assoluti collettivi, dal momento che
la titolarità non sempre è collettiva, ma è anche individuale, e il soggetto passivo è frequentemente determinato ed individuato (nella persona del datore di lavoro)25.
Condivise queste premesse, la dottrina si divide in
due filoni principali.
Un primo orientamento adotta un criterio classificatorio di tipo teleologico ‹‹cioè la connessione funzionale di tali situazioni con la tutela di interessi collettivi››26 o, in alternativa, tenta di delineare una classificazione tenendo in considerazione il carattere preparatorio e strumentale di alcune situazioni giuridiche
soggettive, che fungono da presupposto per l’esercizio
dell’attività sindacale27.
24
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47, secondo cui appunto ‹‹il diritto ai permessi o il diritto ai locali
non hanno ad oggetto attività (di per sé) sindacali, ma la
creazione di condizioni giuridiche o materiali, atte a rendere
possibile l’esplicazione di determinate funzioni sindacali››.
25
Sul punto concordano in dottrina: GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47, secondo cui è da escludere una
simile ipotesi se per diritti assoluti ‹‹debbono intendersi
quelle situazioni attive, in cui è strutturalmente rilevante il
dovere di astensione di tutti i terzi indistintamente››;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali,
cit., 300.
26
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 47 s., il
quale però riconosce come una ricostruzione dogmatica non
possa fondarsi sull’elemento finalistico, anche se ‹‹la prospettiva finalistica non deve essere sottovalutata, in quanto
serve ad indicare non soltanto la funzione tipica dei diritti
sindacali, ma anche la loro prevalente struttura collettiva,
dal lato soggettivo (attivo)››.
27
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 49.
Un altro orientamento, invece, conduce un’opera
di inquadramento sistematico seguendo il filo della titolarità delle varie situazioni giuridiche prospettate
dallo Statuto28.
Invero, in ogni ipotesi considerata, assume rilievo
preminente la struttura soggettiva dei diritti all’attività sindacale, che manifesta una costante dal lato
passivo, essendo costituita generalmente da un soggetto determinato che è appunto il datore di lavoro29.
Ciò che muta in questa prospettiva è la situazione
di potere del titolare, e conseguentemente la situazione di soggezione del datore di lavoro, che in alcuni
casi si sostanzia in un semplice pati in cui l’imprenditore subisce nella propria sfera giuridica gli effetti
connessi all’iniziativa del soggetto attivo (ad esempio
in tema di godimento dei permessi, artt. 23 e 24 St.
lav., o in tema di propaganda sindacale e proselitismo,
art. 26 St. lav.); mentre, in altri casi, è previsto un dovere specifico di cooperazione attiva (ad esempio il
diritto ad ottenere la disponibilità degli appositi spazi
per le affissioni, art. 25 st. lav.).
In certi casi è lo stesso legislatore a indicare, quale
criterio identificativo, proprio la situazione soggettiva del datore di lavoro; qui, infatti, l’enunciato normativo, invece di riferirsi espressamente alla situazione attiva, si sofferma sulla descrizione del dovere di
cooperazione, da cui poi può tracciarsi solo di riflesso
il corrispondente diritto sindacale (si vedano a tal proposito gli artt. 21, 25, 26, 27 St. lav.)30.
Nei paragrafi che seguono verrà affrontata la trattazione dei diritti di propaganda e di proselitismo,
dei permessi sindacali e dell’aspettativa per motivi
sindacali, e per ogni ipotesi sarà illustrata la relativa
disciplina, adottando come schema tipico proprio
quello della titolarità, individuale o collettiva, per un
verso, e quello della teoria dei limiti interni ed esterni,
per altro verso.
Va precisato che la disciplina dei diritti sindacali,
predisposta dal legislatore del 1970, non consente di
trarre elementi che descrivano la presenza del sindaca28
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196.
29
Una conferma in questo senso viene anche dalla struttura
della tutela giurisdizionale dei diritti all’attività sindacale, v.
ad es. artt. 28, 17 e 15 St. lav., così GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 49.
30
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 48;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 196.
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6
to in azienda secondo una logica partecipativa che
escluda il conflitto.
Per questo ci si occuperà dei diritti di informazione
e consultazione in una sezione distinta; distinta per ragioni di carattere storico e anche per motivi di ordine
sistematico, dal momento che la prospettiva partecipativa e la logica conflittuale traggono le loro origini
ideologiche e sociali nell’ambito di differenti politiche
del diritto.
4. Libertà di manifestazione del pensiero: propaganda sindacale e opera di proselitismo.
Lo Statuto dei lavoratori con l’art. 26 riconosce il
diritto dei lavoratori di ‹‹raccogliere contributi e di
svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza
pregiudizio del normale svolgimento dell’attività
aziendale››31.
Oggetto della tutela dell’art. 26 è una pluralità di
situazioni giuridiche attive che possono essere individuate: nell’opera di proselitismo e di propaganda; e
nella raccolta di contributi (cosiddetto collettaggio).
Entrambi tali comportamenti costituiscono piena
espressione del favor del legislatore per la realizzazione dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, ma anche per tutte quelle attività che, ancor prima di essere
strumentali a garantire il pieno svolgimento dei diritti
sindacali, possano creare le precondizioni materiali
per l’agibilità sindacale delle aziende.
Sia l’attività di proselitismo, sia l’attività di collettaggio, infatti, sono fra loro strettamente collegate da
un nesso di necessità logica, tale per cui la raccolta di
adesioni (e dei contributi) per l’iscrizione al sindacato
non potrebbe essere realizzata se non fosse preceduta
da una ‹‹propaganda promozionale›› dei benefici derivanti dalla partecipazione operosa all’attività sindacale.
L’attività di proselitismo si caratterizza per una
sua tipicità storica discendente da una prassi consolidata delle relazioni industriali in azienda, tipicità pertanto che lo Statuto si è limitato a codificare.
I contenuti e le modalità concrete di tale attività
vengono infatti rimesse alla libera determinazione
degli attori sindacali, i quali possono legittimamente
godere di tale diritto nei limiti e con i contempera31
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
in Quaderni arg. dir. lav., 1996, 1, 65 ss.
menti emergenti dal riferimento dell’art. 26 st. lav. al
‹‹normale svolgimento dell’attività aziendale››.
Il nucleo originario e consolidato dell’attività di
proselitismo corrisponde alla ‹‹libertà dell’organizzazione sindacale di manifestare e diffondere il proprio
pensiero, mediante i veicoli vari della parola e dello
scritto›› ed è volta a realizzare una diffusa azione informativa che favorisca e accresca la capacità di giudizio e di scelta consapevole dei lavoratori.
Con riguardo alla natura giuridica e al relativo
inquadramento sistematico da attribuire all’attività
di proselitismo, in dottrina si profilano due orientamenti.
Un primo orientamento che ravvisa nel proselitismo ‹‹una forma qualificata di propaganda››, e pertanto una mera manifestazione del pensiero32.
E un secondo orientamento che, contrariamente al
primo, attribuisce all’attività di proselitismo di cui all’art. 26 st. lav. un quid pluris rispetto ad una mera attività manifestativa, riconoscendole soprattutto una
natura autonoma operativa e attivistica dotata di una
propria specificità ‹‹sul piano pratico funzionale›› 33.
L’adesione all’una o all’altra delle due posizioni
non è puramente di carattere speculativo, ma genera
delle conseguenze in merito alla diversa valutazione
che nell’uno e nell’altro caso si ha dei rapporti intercorrenti tra l’art. 26 st. lav., da un lato, e gli artt.
1 st. lav. e 21 Cost., dall’altro lato.
Nell’ambito della prima prospettiva, il diritto al
proselitismo non avrebbe necessariamente una qualificazione in senso sindacale, anzi sarebbe la piena
espressione del diritto di cui agli artt. 1 st. lav. e 21
Cost., giacché garantirebbe a tutti i lavoratori il diritto
di manifestare il proprio pensiero anche nell’ambito di
materie non strettamente connesse ad un fine sindacale34.
32
MANCINI, Sub art. 26, in Ghezzi, Mancini, Montuschi,
Romagnoli (a cura di), Statuto dei diritti dei lavoratori, in
Comm. Scialoja - Branca, Bologna – Roma, 1972, 389,
391.
33
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 161;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 217.
34
MANCINI, Sub art. 26, cit., 393, per convalidare questa
conclusione rinvia alla funzione storicamente determinante
dello Statuto che è la tutela della libertà e della dignità dei
lavoratori, principio questo dal quale discende ‹‹la negazione della logica che domanda al lavoratore di dimenticare,
nel momento in cui varca i cancelli dell’impresa, quegli
aspetti della sua umanità e della sua esperienza che non ser-
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7
Si sostiene pertanto che l’art. 26 st. lav. altro non
sia che una mera esplicitazione di quanto già garantito
dal legislatore all’art. 1 st. lav. e, quindi, una forma
qualificata di manifestazione del pensiero35.
Lo scenario di riferimento muta radicalmente
con la seconda tesi.
Questa opzione ermeneutica, infatti, adotta quale
premessa metodologica la qualificazione dell’attività
di proselitismo come un’attività non meramente manifestativa, ma operativa e dinamica e soprattutto connotata dalla specifica finalità di promuovere l’adesione di nuovi soggetti all’organizzazione sindacale. Non
ci sarebbe pertanto spazio, nell’ambito di questa prospettiva, per motivazioni di carattere extra sindacale 36.
Inoltre, solo argomentando così, potrebbe confutarsi la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale
dell’art. 26 st. lav.
Se, infatti, con quest’articolo il legislatore avesse
ripetuto sostanzialmente la formulazione dell’art. 21
Cost., i limiti imposti dal legislatore ordinario, e
non previsti dal costituente, sarebbero da considerare illegittimi, e conseguentemente lo sarebbe anche
la norma.
Ma, se invece all’art. 26 st. lav. si attribuisce un
campo di applicazione diverso e più ristretto, rispetto
all’ipotesi costituzionale, allora cadrebbe ogni sospetto di illegittimità, perché il legislatore ordinario avrebbe imposto dei limiti ad un’attività connotata in chiave
sindacale per contemperarne l’esercizio con la normale attività aziendale; e ciò in piena conformità al dato
costituzionale.
Peraltro, in questa prospettiva, se si vuole trovare
un fondamento all’art. 26 st. lav., questo va ricercato nell’ambito dell’art. 14 st. lav.; quest’ultimo,
infatti, individua la cornice generale dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro nel cui spazio si inquadra
ogni espressione specifica dei diritti sindacali.
vono all’esatto adempimento della prestazione››.
35
Per una prevalente adesione della giurisprudenza all’identificazione dell’oggetto dell’art. 26 st. lav. in una forma
qualificata di manifestazione del pensiero, riconducibile all’art. 1 st. lav . e all’art. 21 cost., vd. PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 217, nt. 58.
36
Nello stesso senso v. DELL’OLIO, Commento all’art. 26,
in PROSPERETTI, diretto da, Commentario dello Statuto dei
lavoratori, Milano, 1975, 824.
E proprio sulla scorta di tali considerazioni, dunque, si spiegherebbe la ‹‹specialità funzionale dell’attività di proselitismo››37.
5. Titolarità del diritto di cui all’art. 26 st. lav. e
individuazione non selettiva dei beneficiari della promozione.
L’art. 26 st. lav. si caratterizza per alcune peculiarità che ‹‹nell’ambito del titolo III lo isolano e ne fanno
in qualche modo un unicum››38.
Diversamente dalle altre previsioni dello Statuto,
infatti, solo in questo caso, i soggetti beneficiari dell’attività individuata dalla norma sono genericamente le “organizzazioni sindacali” dei lavoratori.
Nonostante tale articolo possa essere inserito a pieno titolo nella legislazione di sostegno, ‹‹la promozione che con esso si attua non ha carattere selettivo›› e, soprattutto, non si può inquadrare nell’ambito
delle disposizioni volte a favorire le rappresentanze
sindacali aziendali (d’ora in avanti r.s.a.) 39.
Come si è già accennato, beneficiarie dell’attività
di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo
sono tutte le associazioni sindacali dei lavoratori.
Ma queste non hanno un potere autonomo di indizione o di autorizzazione nei confronti della situazione soggettiva attiva prevista dalla norma, di cui invece
è titolare il singolo lavoratore.
Seppure in mancanza di un espresso riferimento
normativo in tal senso, in dottrina vi è chi teorizza anche la piena legittimazione del sindacato, le cui basi
giuridiche si rinvengono nell’ambito dello stesso Statuto (si veda ad esempio l’art. 28 St. lav.)40.
Questa libertà sarebbe presupposta anche dall’articolo in esame, che, attraverso il riconoscimento della
manifestazione e della diffusione del pensiero nei luoghi di lavoro, ha predisposto una tutela strumentale
alla libertà e all’attività organizzativa del sindacato.
Resta fermo che gli unici soggetti legittimati dalla norma a dare impulso all’iniziativa per l’esercizio del diritto sono i lavoratori in quanto tali, e non
in quanto investiti di una funzione qualificata in una
certa organizzazione; dalla formulazione del disposto
37
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 826; GRANDI,
L’attività sindacale nell’impresa, cit., 162.
38
MANCINI, Sub art. 26, cit., 389.
39
MANCINI, Sub art. 26, cit., 390; DE LUCA TAMAJO,
CORSO, Diritti sindacali, cit., 307.
40
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 159.
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8
emerge invero la volontà di valorizzare la figura del
lavoratore come persona intesa in una dimensione
individuale del principio di libertà sindacale41.
In realtà, ciò che rende la norma in esame un unicum risiede nello stretto legame che viene intessuto
tra momento individuale e momento collettivo.
La destinazione ultima e necessaria dell’attività
posta in essere dai lavoratori, infatti, è proprio la propaganda del pensiero sindacale e la raccolta di contributi per una data organizzazione sindacale:
un’attività sindacale individuale, quindi, rivolta
esclusivamente al soddisfacimento di interessi collettivi42.
Il vincolo stringente che lega i due momenti è la
rigorosa accezione di “sindacale” che la norma
espressamente conferisce alle organizzazioni 43.
Dalla logica promozionale dello Statuto sono pertanto escluse tutte le organizzazioni che perseguano
finalità diverse (politiche, religiose, assistenziali, ricreative, socio – culturali etc.), cui i lavoratori possano essere interessati44. Tale precisazione ribadisce la
delimitazione dell’oggetto dell’attività sindacale,
regolata e sostenuta all’interno delle imprese 45.
Una simile interpretazione, però, non è condivisa
in modo unanime in dottrina.
Esiste, infatti, un orientamento che, considerando
la libertà di propaganda e di proselitismo come mere
41
BRANCA, La raccolta dei contributi sindacali, in PERA, a
cura di, L’applicazione dello Statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, Milano, 1973, 331 s.; DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 830, secondo cui non è necessaria l’iscrizione ad un sindacato o un preventivo incarico da parte
di questo. Nello stesso senso PERA, Libertà e dignità dei lavoratori, in Noviss. Dig. it., vol. IV, 1982, 905.
42
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 825, secondo il
quale la continuità tra momento individuale e momento collettivo richiama l’art. 2 Cost.
43
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 828; GRANDI,
L’attività sindacale nell’impresa, cit., 162, nt. 17; PERONE,
L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit.,
214.
44
PERA, Libertà e dignità dei lavoratori, cit., 905;
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 827-828. In giurisprudenza in tal senso cfr. P. Milano 17.6.1993, in Orient.
giur. lav., 1993, 603; P. Milano 15.6.1993, in Riv. it. dir.
lav., 1994, II, 49; entrambe queste sentenze hanno negato il
diritto alle trattenute al Sindacato autonomista lombardo
(S.A.L.) in quanto associazione con fini politici e non sindacali.
45
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 215; contra MANCINI, Sub art. 26, cit., 391.
attività manifestative, non necessariamente caratterizzate in senso sindacale, giunge a sostenere che
in questo caso i lavoratori possano indirizzare la loro
attività anche nei confronti di organizzazioni di altro
genere per il perseguimento di fini diversi da quelli
puramente sindacali46.
Dalla formulazione della norma sono del pari
escluse le rappresentanze sindacali aziendali, per cui
la titolarità a riscuotere i contributi sindacali spetta
anche ai sindacati non in possesso dei requisiti di
rappresentatività richiesti dall’art. 19 st. lav.47.
La ratio di una simile esclusione va ricercata nella
necessità che, in relazione ad attività quali il collettaggio e la diffusione e la propaganda del pensiero, non si
restringa il campo di applicazione della norma nei
confronti di alcune diramazioni sindacali che hanno
già il riconoscimento di un ruolo collettivo in azienda
(quali appunto le r.s.a.), privando così le organizzazioni che tale ruolo non hanno di consolidarsi e di
aspirare a costituire esse stesse degli organismi
rappresentativi.
Diversamente, introdurre anche in questo caso una
logica selettiva avrebbe significato attribuire una posizione di monopolio solo ad alcuni sindacati e ‹‹condannare gli altri a un perpetuo stato di minorità o addirittura alla scomparsa, e, per ciò stesso, ridurre a una
vuota frase la garanzia dell’art. 39 cost.›› 48. D’altronde, è anche vero che il meccanismo selettivo di cui all’art. 19 St. lav. rappresenta di per sé un’eccezione,
tale per cui estenderlo oltre i casi in cui sia motivato
da esigenze di carattere aziendale avrebbe determinato
un’ingerenza del legislatore nelle finalità tipiche dell’attività sindacale49.
A proposito del diritto di riscuotere i contributi
sindacali, in passato era sorto il dubbio circa l’ammissibilità di un’estensione anche alle associazioni sindacali non firmatarie di alcun contratto collettivo.
46
MANCINI, Sub art. 26, cit., 391 secondo il quale ‹‹tali attività non possono che essere svolte a vantaggio di tutte le
organizzazioni a cui i lavoratori siano interessati: (…)››.
47
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
cit., 71; BRANCA, La raccolta dei contributi sindacali, cit.,
332 ss.; in giurisprudenza per tutti T. Milano, 23.06.1977,
in Orient. giur. lav., 1977, 744.
48
MANCINI, Sub art. 26, cit., 390; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 216.
49
Sul punto si vedano le motivazioni della Corte Costituzionale in merito alle questioni di legittimità sorte intorno
all’art. 19 st. lav.
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9
Dopo un ampio dibattito, caratterizzato da alterne
soluzioni contrastanti della giurisprudenza di legittimità e di merito50, si è giunti a sostenere la piena
legittimità della titolarità del diritto alla riscossione anche alle associazioni non stipulanti, considerando l’elemento della stipulazione del contratto collettivo come ‹‹estraneo alla lettera e alla ratio della disciplina statutaria››51.
La situazione soggettiva passiva corrispondente
ai diritti di proselitismo e di collettaggio è riferibile all’imprenditore52; questa dovrebbe potersi identificare
in una condotta passiva che si limiti a tollerare le
attività, non solo manifestative, ma anche operative
necessarie per il pieno godimento del diritto.
Il datore di lavoro, pertanto, nulla potrebbe contestare riguardo ai contenuti o alle attività mediante le
quali si esercita il diritto, fino al limite generale del
normale svolgimento dell’attività aziendale, e con il
rispetto degli ordinari parametri di buona fede e correttezza53.
6. Versamento ed esazione dei contributi sindacali:
oggetto e funzione.
La formulazione della norma in esame è stata oggetto di referendum abrogativo l’11 giugno 199554,
con cui sono stati abrogati i commi 2 e 3 che discipli-
navano nel dettaglio le modalità previste per la raccolta e per il versamento dei contributi sindacali 55.
Nella versione della disposizione originaria si poteva tentare di distinguere tra i contributi di cui al primo comma, che i lavoratori hanno diritto di raccogliere per le loro organizzazioni e che generalmente
venivano fatti coincidere con le contribuzioni occasionali e volontarie, e i contributi sindacali associativi,
che le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire tramite ritenuta sul salario (secondo
comma); nonché quelli di cui il lavoratore ha diritto
di chiedere il versamento all’associazione sindacale da
lui indicata, nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi (terzo comma).
A queste ultime due ipotesi corrispondevano le
quote che i lavoratori erano tenuti a versare sulla base
degli statuti associativi56. E le operazioni di trattenute
corrispondenti erano qualificate come un diritto del
sindacato di fonte legale57.
Il filo che legava, anche se in modo sottile, le tre
disposizioni andava rintracciato nella comune strumentalità dei diversi modi di raccolta dei contributi al rafforzamento organizzativo dei sindacati 58.
Nella versione attuale dell’art. 26 st. lav., rimane
intatto il primo comma, il cui richiamo generico ai
“contributi” deve intendersi oggi riferito a tutte le specie di concorso economico all’attività sindacale59.
55
50
Per la ricostruzione puntuale del dibattito in giurisprudenza v. LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 72.
51
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
cit., 73; Cass., 9.9.1991, n. 9470, in Riv. it. dir. lav., 1992,
II, 836, con nota di PASCUCCI, Sul diritto del sindacato dei
quadri a percepire i contributi sindacali.
52
Sull’esclusione dei datori di lavoro non imprenditori e
sulla ragionevolezza dell’esclusione si v. C. Cost., 8.7.1975,
n. 189, in Mass. giur. lav., 1975, 295.
53
Sulle attività sindacali manifestative nelle c.d. organizzazioni di tendenza, si veda GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 164 ss.
54
L’abrogazione è stata dichiarata con d.p.r. 28 luglio 1995,
n. 313, ed ha prodotto effetti dal 30 settembre 1995. Il referendum è stato reso ammissibile da C. Cost., 12.1.1995, n.
13, in Mass. giur. lav., 1995, 7; con la sentenza la Corte ha
precisato che l’abrogazione dei commi secondo e terzo dell’art. 26 st. lav. avrebbe determinato altresì l’abrogazione
della legislazione speciale della materia nei comparti del
pubblico impiego.
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
cit., 74 ss.
56
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829.
57
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 850; Cass.,
9.9.1992, n. 10318, in Notiziario giurispr. lav., 1992, 897,
secondo cui ‹‹il credito di un’associazione di categoria nei
confronti del datore di lavoro, in relazione ai contributi sindacali che il dipendente abbia deciso di versare, con ritenuta sul salario, secondo la previsione dell’art. 26, St. lav., e
mediante la “delega” all’uopo contemplata dai contratti collettivi, non gode del privilegio generale accordato a quest’ultimo dall'art. 2751 bis, n. 1, c. c., trattandosi di un diritto autonomo, che discende ex lege dal suddetto atto negoziale del lavoratore (atto non qualificabile né come cessione
di credito, in considerazione della sua unilateralità e revocabilità, né come delegatio solvendi, in considerazione del
suo carattere vincolante per il datore di lavoro), senza che
ciò comporti violazione dell’art. 3 Cost.››; Cass., 16.4.1991,
n. 4075, in Foro it., 1991, I, 2769, a proposito della
competenza per materia al rito speciale del lavoro.
58
MANCINI, Sub art. 26, cit., 389; TREU, Attività antisindacale e interessi collettivi, cit., 565.
59
Concordava già con questa ipotesi DELL’OLIO, Commen-
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
10
La previsione, infatti, non distingue più tra le differenti modalità di contribuzione, ma conferma il
diritto dei lavoratori uti singuli di raccogliere
quanto necessario per la sussistenza dell’organizzazione sindacale; tale mancata distinzione, pertanto,
conferma l’inutilità di catalogazioni di ordine sistematico60.
Peraltro, come già nella versione originaria della
norma, si ritiene ancora che l’ampiezza della formula
sia tale da potervi includere ogni specie di contributo
richiesto61.
L’elemento di differenziazione prevalente tra le varie formule di raccolta di contributi, allora, risiede
proprio nelle modalità di riscossione, in base alle
quali si distinguono anche le causali che danno origine al contributo.
Nella locuzione ‹‹diritto di raccogliere i contributi
(…) all’interno dei luoghi di lavoro››, può ritenersi
compreso il significato anche meno tecnico corrispondente alla semplice attività di collettaggio, non necessariamente coordinata ad una data organizzazione
sindacale, e svincolata dalla destinazione all’esazione
di contributi associativi; l’attività di raccolta ad iniziativa dei lavoratori, che così fungono da collettori, potrebbe essere finalizzata a sostenere economicamente
eventi straordinari (a beneficio ad esempio di un lavoratore licenziato o per finanziare una propaganda
sindacale mirata ad eventi straordinari dell’azienda), e
rientrerebbe comunque nella tutela apprestata dallo
Statuto.
Il legislatore sul punto non pone alcun limite. E
non si vede pertanto come si possa limitare tale diritto
in via interpretativa.
Altra ipotesi di riscossione è invece quella prevista in vario modo dagli statuti associativi e dai contratti collettivi, per la partecipazione attiva all’organizzazione sindacale, per cui generalmente è previsto
che i lavoratori siano tenuti a versare una quota iniziale di tesseramento all’atto di adesione e dei contributi associativi periodici.
to all’art. 26, cit., 829. Sulla specie e la natura dei contributi in generale v. CIPRESSI, I contributi sindacali, in Riv. dir.
civ., 1971, I, 52.
60
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829.
61
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 829 s.; PERONE,
L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit.,
221.
Rimane ad ogni modo fermo il ruolo della contrattazione collettiva, che detta in modo prevalente le
regole della relativa disciplina.
Del resto, da qualsivoglia fonte autonoma o eteronoma tragga origine il fondamento della “trattenuta
sindacale” è certo che alla manifestazione di volontà
del lavoratore in tal senso corrisponda una situazione
giuridica passiva che consiste in una collaborazione del datore di lavoro, il quale generalmente trattiene sulla retribuzione l’importo del contributo in base
ad una delega rilasciata dal lavoratore.
In effetti, quando tale modalità di riscossione era
prevista espressamente dal secondo comma dell’articolo in esame, veniva configurato un puntuale diritto
del sindacato alla percezione del contributo, tramite ritenuta sul salario, che postulava un simmetrico obbligo di collaborazione da parte del datore di lavoro62.
Questa ipotesi assumeva profili strutturali diversi
rispetto a quella delineata al primo comma; solo infatti in quest’ultimo caso è possibile parlare di diritto a
titolarità individuale per un interesse collettivo, nell’ipotesi legale di percezione dei contributi tramite ritenuta sulla retribuzione, invece, il relativo diritto era
imputato in via immediata all’organizzazione sindacale che ne beneficiava, rilevando pertanto un profilo tipicamente collettivo dell’attività sindacale.
Irrilevante in ogni caso è il titolo in base al quale il contributo viene riscosso.
E’ chiaro che in questa prospettiva lo strumento
del collettaggio è strettamente funzionale all’attività
di propaganda sindacale, ed è per questo che la tutela promozionale affianca le due ipotesi in un’unica
norma.
Proprio il collettaggio, o genericamente la raccolta
di contributi in azienda, costituisce un veicolo insostituibile affinché l’attivista divulghi l’ideologia da lui
rappresentata tra gli altri lavoratori con l’obiettivo di
accrescere in loro l’interesse e la partecipazione ai
problemi e alle ragioni del sindacato.
L’attività di collettaggio sarebbe pertanto funzionale al proselitismo, anzi sarebbe un mezzo per l’esercizio stesso del proselitismo e, al pari di questo, destinatario di tutela costituzionale63.
La disposizione in esame mira a garantire al sindacato uno strumento istituzionalizzato per contare su
fonti di finanziamento costanti e regolari.
62
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 307.
MANCINI, Sub art. 26, cit. 392, il quale considera il “collettaggio” quale veicolo principe del proselitismo, 393.
63
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11
Anche se la struttura originaria della norma, con la
diversificazione espressa delle tecniche di riscossione,
manifestava la differente ideologia che vi stava dietro.
La tecnica di riscossione tradizionale, infatti, rispondeva ad una logica spontaneistica e individualistica, rimessa all’esclusiva iniziativa dei lavoratori, in
cui il momento collettivo organizzato era tagliato fuori o era in ogni caso successivo. Queste caratteristiche
rendevano questa modalità di riscossione votata alla
precarietà e, soprattutto, destinata ad essere utilizzata
solo nei casi in cui si trattasse di esazione di contributi saltuari.
Per ovviare a tali criticità, prima la contrattazione
collettiva e poi lo stesso legislatore, hanno optato per
un sistema che garantisse un rafforzamento della
presenza sindacale nei luoghi di lavoro e, principalmente, una maggiore e più capillare riscossione delle
quote associative e dei versamenti periodici, introducendo così la percezione dei contributi sindacali tramite ritenuta sulla retribuzione quale diritto riconosciuto alle associazioni sindacali.
Peraltro, la stessa contrattazione disciplina le modalità per il rilascio della delega al datore, per il versamento dei contributi e anche i termini per la revoca 64.
In estrema sintesi, si può sostenere, allora, come la
promozione del referendum abbia avuto l’intento di
eliminare la base legale del diritto del sindacato
alla percezione dei contributi sindacali e del correlativo obbligo di intermediazione in capo al datore di
lavoro per restituire la materia all’autonomia privata
individuale e collettiva.
7. Volontarietà della trattenuta sindacale e sua
qualificazione giuridica.
Anche prima della modifica referendaria, i commentatori hanno considerato non ipotizzabile un diritto del sindacato alla riscossione delle quote associative a prescindere dalla delega individuale e hanno ritenuto che fosse essenziale l’adesione volontaria del
lavoratore65.
64
Sul punto cfr. ZOLI, Questioni in tema di contributi sindacali, in Giust. civ., 1987, II, 356 ss.
65
INGLESE, Brevi osservazioni sul quesito referendario in
materia di contributi sindacali, in Mass. giur. lav., 1995,
12; ALES, Diritti sindacali in azienda e sostegno legislativo: il referendum abrogativo dell’art. 26 st. lav., in Dir. lavoro, 1995, II, 25.
Nel rispetto del principio desumibile dallo stesso
art. 39, I comma, Cost., secondo cui i lavoratori godono anche della libertà sindacale negativa, è rimesso
alla piena ed incondizionata volontarietà dei soggetti
aderire o meno all’attività di raccolta dei contributi.
E ciò, si intenda, vale non solo per i soggetti che
devono corrispondere le quote associative o i versamenti occasionali mediante ritenuta sulla retribuzione,
ma anche per coloro che, in base al primo comma dell’art. 26 St. lav., si ritengano preposti alla raccolta
dei contributi, e che vengono generalmente definiti
appunto come collettori o attivisti.
Il punto, in quest’ultimo caso, è capire quale significato la norma intenda attribuire alla locuzione
“loro” organizzazioni sindacali; e cioè se sia necessario che tra i collettori e il sindacato vi sia un vincolo
associativo.
L’interpretazione letterale suggerisce di ritenere
applicabile la disposizione anche a iniziative del
tutto spontanee, dal momento che l’art. 26 st. lav.
non è inquadrabile tra i diritti sindacali in senso stretto, intesi come accrescitivi della sfera giuridica del
sindacalista interno.
Esso, viceversa, attribuisce diritti individuali al
prestatore di lavoro, prescindendo dalla sua qualità
di associato. Per converso, al datore di lavoro non è
riconosciuto alcun potere di indagine o di verifica dello specifico incarico assunto dal lavoratore.
In ogni caso, l’azione di raccolta intrapresa autonomamente dai lavoratori potrà sempre essere sconfessata dall’organizzazione sindacale66.
Nel caso in cui la riscossione dei contributi avvenga attraverso la decurtazione della somma dalla retribuzione, la manifestazione di volontà del prestatore
di lavoro espressa mediante la delega al datore di lavoro è condizione necessaria per far sorgere il diritto
di percezione del contributo in capo all’organizzazione sindacale67.
66
Nel caso di un simile comportamento, oltre a cadere la
protezione di cui all’art. 26 st. lav., rileverebbero anche profili di illiceità penale, cfr. DELL’OLIO, Commento all’art.
26, cit., 830, nt. 171. Non si può trascurare, tra l’altro, come
nel nostro ordinamento esista una previsione di pubblica sicurezza (art. 156 T.U. di pubblica sicurezza) che impone
l’assoggettamento di qualsiasi forma di ‹‹raccolte di fondi o
di oggetti, collette o questue›› ad una licenza di polizia. Su
tale norma cfr. C. Cost., 2.2.1972, n. 12, in Ced Cassazione,
1972, che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale.
67
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
cit., 70, secondo il quale la manifestazione di volontà del
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
12
Con tale conclusione concordano dottrina e giurisprudenza di legittimità.
Per quest’ultima non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 26 St. lav. tutte le modalità di riscossione “automatica” (quali ad esempio le cosiddette
quote di servizio, che poste a carico di tutti i lavoratori in occasione del rinnovo del contratto collettivo, a
prescindere dalla loro iscrizione al sindacato stipulante, non richiedevano l’espressa delega al datore di lavoro)68.
Il nodo cruciale però sta nella difficoltà di qualificare lo strumento giuridico attraverso il quale il lavoratore manifesta la sua volontà di attribuire al sindacato una quota della sua retribuzione.
Le ipotesi prese in considerazione da dottrina e
giurisprudenza sono principalmente due: l’istituto della cessione del credito ex art. 1260 c.c., e l’istituto
della delegazione di pagamento ex art. 1269 c.c.
L’interpretazione dell’art. 26 St. lav. risalente al
periodo prereferendario, configurava la raccolta di
contributi sindacali secondo lo schema della delegazione di pagamento69.
Il referendum, sebbene non abbia avuto una grande rilevanza sotto il profilo pratico, ha determinato il
venir meno dell’obbligo ex lege per il datore di lavoro di operare la trattenuta dei contributi sindacali sulla
retribuzione, in base ad una mera richiesta del lavoratore, a favore dell’associazione di appartenenza.
Nel vigore dell’attuale formulazione dell’art. 26
St. lav. l’obbligo del datore di lavoro di versare su rilavoratore si configura proprio come ‹‹condicio sine qua
non per l’attivazione del meccanismo di riscossione da parte delle associazioni sindacali››. Analogamente in dottrina,
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 856 e GRANDI,
L’attività sindacale nell’impresa, cit., 197.
68
Cass., 28.5.1992, n. 6394, in Foro it., 1992, I, 2659; per
la giurisprudenza di merito v. P. Milano, 22.7.1991, in Riv.
critica dir. lav., 1992, 116 e in Foro it., 1992, I, 264; ma anche T. Milano, 20.7.1993, in Notiziario giurispr. lav., 1993,
621, secondo cui sarebbe sufficiente un consenso tacito dei
lavoratori in relazione alla sussistenza di una prassi aziendale idonea ad integrare gli estremi di un uso negoziale. In
dottrina sul punto v. MAZZONE, Sindacato e tabù: ovvero
democrazia e finanziamento dei sindacati, in Riv. critica
dir. lav., 1992, 53 ss.; nonché CANNARSI, Contributi sindacali e quote di servizio, in Lavoro e prev. oggi, 1991, 1899
ss.
69
DEL CONTE, Contributi sindacali tra cessione del credito
e delegazione di pagamento, in Mass. giur. lav., 2004, 458,
nt. 1.
chiesta del lavoratore la trattenuta trova infatti la sua
fonte nel contratto collettivo.
L’unica conseguenza di un certo rilievo a cui ha
dato origine il referendum riguarda la necessità di accertare se la disciplina della trattenuta sulla retribuzione, ora rimessa solo all’autonomia privata, individuale
o collettiva, sia applicabile anche alle associazioni
sindacali che non abbiano firmato il contratto collettivo70.
Sul punto in giurisprudenza si sono confrontati
orientamenti divergenti.
Come divergenti sono anche le conseguenze dell’adesione all’una o all’altra soluzione.
Se, infatti, si afferma la non applicabilità della disciplina pattizia ai lavoratori aderenti alle organizzazioni sindacali non firmatarie del contratto collettivo,
si dovrà conseguentemente ritenere che il rifiuto del
datore di lavoro di operare dette trattenute non può costituire comportamento antisindacale ai sensi dell’art.
28 st. lav.71
Le argomentazioni offerte a favore di questa opzione interpretativa fanno capo alla motivazione della
Corte Costituzionale72 che ha dichiarato ammissibile
il referendum.
In quell’occasione, infatti, il giudice delle leggi riconobbe che l’abrogazione dei commi 2 e 3 dell’art.
26 avrebbe avuto lo scopo di restituire la disciplina
della materia all’autonomia contrattuale, individuale e collettiva.
Seguendo tali indicazioni, pertanto, l’obbligo del
datore di procedere alle trattenute sindacali può configurarsi solo in presenza di una disciplina pattizia che
lo vincoli, in conformità ai principi generali sui contratti.
Ne restano evidentemente esclusi tutti i lavoratori
che aderiscono alle associazioni sindacali che non
70
Per la ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali
prima del referendum cfr. PASCUCCI, Sul diritto del sindacato dei quadri a percepire i contributi sindacali, nota a
Cass, 9.9.1991, n. 9470, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 836;
nonché LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum, cit., 72 s.
71
In questo senso, per la giurisprudenza di legittimità cfr.
un orientamento minoritario espresso da Cass., 3.6.2004, n.
10616, in Riv. giur. lav., 2004, II, 613, con nota di ALLEVA,
La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?; conclude analogamente anche Cass., 3.2.2004, n. 1968, in Dir. lavoro,
2004, II, 239.
72
C. Cost., 12.1.1995, n. 13, in Foro it., 1995, I, 433.
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13
abbiano stipulato il contratto collettivo in cui è prevista la regolamentazione delle trattenute sulla retribuzione. Per questi lavoratori quindi non produrrà alcun
effetto legale la manifestazione del consenso, nemmeno se tale atto fosse qualificato come una cessione di
credito ex art. 1260 c.c.73.
Diversamente, verrebbe ripristinato de facto l’assetto legale che il referendum ha inteso chiaramente
abrogare e sarebbe del tutto disattesa la volontà popolare che con l’approvazione del quesito referendario
ha voluto rimettere la materia alla fonte contrattuale 74.
Quest’orientamento comunque è stato notevolmente discusso in dottrina75 e, come si vedrà, del tutto disatteso in giurisprudenza.
Nei casi esclusi da accordi collettivi, rimettere l’istituto della delega sindacale all’arbitrio del datore di
lavoro, significherebbe consegnare la praticabilità
del diritto in questione ad una mera concessione
datoriale, con l’evidente conseguenza di disconoscere il valore di un’iscrizione sindacale ad una organizzazione non firmataria del contratto collettivo
applicato in azienda.
Un consolidato filone della giurisprudenza di legittimità sembra quindi propendere per la tesi che ritiene
il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro sanzionabile ex art. 28 st. lav.
Sul piano degli effetti sanzionatori, alla luce di questa interpretazione giurisprudenziale, infatti, il rifiuto
del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato
stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria
attività76.
73
Per la riconducibilità dell’atto di disposizione dei lavoratori a favore di sindacati non firmatari del contratto collettivo applicato in azienda allo schema negoziale della delegazione di pagamento, cfr. P. Venezia, 31.10.1995, in Foro it.,
1996, 756, con nota di LAMBERTUCCI, La riscossione dei
contributi sindacali negli orientamenti giurisprudenziali; P.
Milano, 27.11.1995, in Notiziario giurispr. lav., 1995, 693;
Trib. Milano, 12.10.1999, in Orient. giur. lav., 1999, 598.
74
Cass., 3.2.2004, n. 1968, cit.
75
ALLEVA, La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?, cit.,
626.
76
App. Milano, 22.2.2007, in Lavoro nella giur., 2007, 11,
1149; App. Torino, 14.2.2007, in Riv. critica dir. lav., 2007,
2, 407.
L’iter logico seguito prende le mosse dalla considerazione secondo cui dopo l’intervento abrogativo
referendario sull’art. 26 st. lav., non sia stato introdotto alcun divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro. Sarebbe, infatti, venuto meno solo l’obbligo ex
lege del datore di lavoro di procedere alle ritenute sindacali, restando a tal fine utilizzabile qualunque istituto negoziale solutorio previsto e consentito dall’ordinamento. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell’esercizio della propria autonomia privata ed attraverso
lo strumento della cessione del credito in favore del
sindacato - cessione che non necessita, in via generale, del consenso del debitore - richiedere al datore di
lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso.
In questo caso, l’unico escamotage riconosciuto al
datore di lavoro è provare l’esistenza di un nuovo
onere aggiuntivo, causato dalla cessione del credito, insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex art. 1374 e
1375 c.c.
L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni
caso, non avrebbe conseguenze sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma potrebbe giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le
modalità della prestazione in modo da realizzare un
equo contemperamento degli interessi77.
77
Cass., S.U., 21.12.2005, n. 28269, in Foro it., 2007, 2,
550, secondo cui anche dopo l'abrogazione referendaria del
comma 2 e 3 dell'art. 26 dello Statuto dei lavoratori, è antisindacale la condotta del datore di lavoro che rifiuti, al cospetto di cessione da parte del lavoratore di quote retributive al sindacato non firmatario del contratto collettivo applicabile, di trattenere le quote e di versarle al sindacato cessionario. In senso conforme, Cass., 20.3.2009, in Dir. e giustizia, 2009; Cass., 7.8.2008, n. 21368, in Giust. civ. mass.,
2008, 7-8, 1255; Cass., 11.7.2008, n. 19275, in Foro it.,
2010, 2, 623; Cass., 1.2.2008, n. 2495, in Guida dir., 2008,
14, 57; Cass., 18.7.2006, n. 16383, in Notiziario giurispr.
lav., 2006, 5, 604; Cass. 6.6.2006, n. 13250, in Notiziario
giur. lav., 2006, 4, 425; Cass., 26.7.2004, n. 14032, in
Mass. giur. lav., 2004, 778, con nota di GRAMICCIA, In
tema di contributi sindacali: in attesa delle Sezioni Unite;
Cass., 26.2.2004, n. 3917, in Mass. giur. lav., 2004, 458,
con nota di DEL CONTE, Contributi sindacali tra cessione
del credito e delegazione di pagamento; Cass., sez. lav., 16
marzo 2001, n. 3813, in Orient. giur. lav., 2001, 227, con
nota di MARANDO, La contribuzione sindacale tramite rite-
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14
A conferma di tale orientamento può anche considerarsi come il referendum abbia lasciato in vigore
il comma 1 dell’art. 26 St. lav., che protegge i diritti
individuali dei lavoratori concernenti l'attività sindacale per quanto attiene, in particolare, alla raccolta dei
contributi: e come pertanto, stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della retribuzione
costituisca una modalità di esercizio dei detti diritti.
8. La garanzia della segretezza del versamento dei
contributi e la tutela della privacy del lavoratore.
Il secondo comma dell’art. 26 St. lav. prevedeva
il diritto delle associazioni sindacali di percepire il
contributo dei lavoratori tramite ritenuta sul salario effettuata dallo stesso imprenditore, con modalità stabilite dai contratti collettivi collettivi in modo da garantirne la segretezza.
L’ultimo comma, invece, riconosceva il diritto dei
lavoratori di richiedere il versamento del contributo liberamente assunto in favore delle associazioni sindacali indicate, sulla base delle previsioni statutarie delle
stesse organizzazioni o delle deliberazioni dei loro organi sociali78.
In questo modo lo Statuto aveva congegnato un sistema composito attraverso il quale garantire una duplice esigenza: il diritto alla segretezza dei lavoratori
in ordine alle loro opinioni sindacali; e per altro verso
nuta sul salario dopo l’abrogazione dell’art. 26 S.L.: una
nuova pronuncia della Corte di Cassazione. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Torino, 22.12.2006, in Notiziario giurispr. lav., 2006, 5, 604; Trib. Torino, 18.11.2006, in
Giur. piemontese, 2007, 2, 336; App. Napoli, 11.7.2006, in
Foro it., 2007, 2, 550, secondo cui dopo l'abrogazione referendaria del comma 2 e 3 dell'art. 26 dello Statuto dei lavoratori i lavoratori possono richiedere al datore di trattenere
sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato di
appartenenza sia attraverso lo strumento della cessione del
credito sia mediante la delegazione di pagamento; Trib. Milano, in Orient. giur. lav., 2005, I, 20; App. Milano,
29.1.2004, in Lavoro nella giur., 2004, 1005; Trib. Modena,
24.4.2003, in Mass. giur. lav., 2003, 721.
78
Prima dell’abrogazione referendaria, in dottrina, era assai
discusso se il diritto alla segretezza avesse valore assoluto o
relativo. Per il primo orientamento, cfr. MANCINI, Sub art.
26, cit., 399; ICHINO, Diritto alla riservatezza e diritto al
segreto nel rapporto di lavoro, Milano, 1979, 123 e 160.
Per il secondo orientamento cfr. G. SANTORO PASSARELLI,
Sub art. 26, in Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, diretto da Giugni, Milano, 1979, 437.
la libertà delle organizzazioni sindacali di ricevere le
quote associative in loro favore senza dar conto al
datore di lavoro della scelta delle modalità operative
per realizzare i versamenti79.
L’abrogazione ad opera del referendum di tali
norme ha determinato l’insorgere di alcune delicate
questioni in tema di segretezza del versamento dei
contributi sindacali.
Non può nascondersi che il sistema previgente
avesse l’obiettivo di evitare che la naturale asimmetria
dei rapporti di lavoro potesse condizionare indirettamente uno degli aspetti più significativi della libertà
sindacale, qual è appunto quello della raccolta di fondi
nei luoghi di lavoro80.
L’assenza di una disciplina legislativa che preveda espressamente di garantire la segretezza dei versamenti effettuati dai lavoratori, potrebbe astrattamente
far pensare al rischio che il datore di lavoro, una volta
venuto a conoscenza dei dati e dei beneficiari indicati
nella delega sindacale, possa influenzare la scelta e
l’adesione del lavoratore anche attraverso strumenti di
coazione indiretta e implicita, magari favorendo
un’associazione sindacale al posto di un’altra. O
ancora, sotto il profilo più strettamente individuale, il
datore di lavoro potrebbe utilizzare il dato relativo alla
opinione sindacale del lavoratore per attuare nei suoi
confronti una politica discriminatoria.
In realtà, analogo problema si poneva con riferimento a quelle associazioni che non erano firmatarie del contratto collettivo e alle quali, prima dell’abrogazione referendaria, veniva applicato il terzo comma dell’art. 26 St. lav.
In queste ipotesi, infatti, non era espressamente
prevista la segretezza dell’orientamento sindacale.
Sul punto, però, possono farsi valere le ragioni sostenute in quel contesto da un’autorevole dottrina,
secondo cui apprestare ‹‹una tutela preventiva contro
gli atti discriminatori appare particolarmente necessaria proprio in imprese marginali e sospette come sono,
79
ALLEVA, La delega per i contributi sindacali: la cassazione e il diritto octroyeè; una svolta verso il regresso?, cit.,
626.
80
Sulle origini del problema e sulle soluzioni individuate
dalle organizzazioni sindacali prima dell’entrata in vigore
della legge n. 300 del 1970 si veda CASTELVETRI, Diritto
del lavoro e tutela della privacy: i riflessi sulla riscossione
dei contributi sindacali, in Dir. rel. ind., 1997, 3, 166.
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15
di regola, quelle che rifiutano di assoggettarsi alla
disciplina collettiva dei rapporti di lavoro››81.
Una simile riflessione appare opportuna anche con
riferimento alla situazione attuale, considerando che
la conseguenza più immediata dell’abrogazione è stata
quella di aver trasferito le competenze che prima erano divise in modo coordinato tra legge e contratto collettivo, solo al contratto collettivo. Da qui discendono tutti i nodi irrisolti di un sistema in cui la contrattazione collettiva vincola solo gli aderenti alle
associazioni stipulanti (ex art. 1372 c.c.) e coloro
che, seppure non iscritti, abbiano aderito espressamente al contratto.
Nei fatti, l’attuale regolamentazione dei contributi sindacali in azienda non si discosta da quella
prevista dal legislatore del 1970, se non per la fonte
normativa da cui discende82; mentre infatti prima del
1995 le modalità del versamento dei contributi sindacali tramite ritenuta sul salario erano espressamente
delegate dalla legge alla contrattazione collettiva, oggi
la maggior parte dei contratti collettivi adotta schemi e
modelli standard che assicurino il versamento della
quota all’organizzazione sindacale indicata dal lavoratore in appositi moduli83.
Se pertanto su questo punto non si rilevano dubbi,
rimane sempre aperta la questione della segretezza
del versamento, che non va considerata superflua, per
gli evidenti profili di tutela della dignità dei lavoratori
che involve.
Perché se la contrattazione collettiva di certo ha
posto un argine allo sconfinamento del potere datoriale, in tema di modalità della trattenuta sindacale, non
ha però sciolto i dubbi più strettamente connessi al
profilo individuale, e cioè il possibile uso che il datore potrà fare del dato acquisito con la delega.
Preso atto dell’inesistenza di un diritto assoluto
di segretezza in materia di contributi sindacali, è
quindi legittimo chiedersi se si possa evincere dal si81
MANCINI, Sub art. 26, cit., 401.
LAMBERTUCCI, I contributi sindacali dopo il referendum,
cit., 77.
83
In senso analogo v. PELAGGI, L’organizzazione sindacale
in azienda ed il finanziamento dei sindacati dopo il referendum dell’11 giugno 1995, in Mass. giur. lav., 1996, 1, 36,
secondo cui ‹‹l’esito positivo del referendum non sembra
comunque destinato ad incidere in maniera significativa sul
sistema di riscossione dei contributi, se si considera che
oramai in tutti i comparti produttivi contratti o accordi collettivi prevedono già una delega del lavoratore al datore di
lavoro per il pagamento delle rispettive quote sindacali››.
82
stema complessivo attuale un diritto dei lavoratori alla
riservatezza dei dati contenuti nelle deleghe sindacali
per il versamento dei relativi contributi.
Numerose sono le ragioni di carattere tipicamente
lavoristico che indurrebbero nel senso di una risposta
affermativa, non ultima l’esigenza di tutelare il lavoratore da potenziali intenti discriminatori del datore di
lavoro.
Come numerose potrebbero essere le obiezioni ad
una siffatta tesi. Primo tra tutti proprio l’argomento di
carattere logico – sistematico dell’abrogazione del II
c. dell’art. 26 St. lav.
In realtà, nonostante non possa configurarsi un
obbligo legale a garantire la segretezza dei dati inerenti al versamento in favore di un’associazione
sindacale, può rintracciarsi un corpus normativo complessivamente volto a proteggere i lavoratori da un indebito utilizzo delle informazioni che li riguardino e
di cui il datore di lavoro entra in possesso. In tal senso, infatti, è stato varato dal legislatore il Testo unico
in materia di trattamento dei dati personali, con il
d.lgs. n. 196/2003 intitolato “Codice in materia di
protezione dei dati personali”84.
La lettura coordinata delle norme ivi contenute con
quelle già esistenti di cui agli artt. 8, 26 e 38 St.lav.,
impone ai soggetti in possesso di dati personali inerenti alle opinioni dei lavoratori in materia sindacale una serie di adempimenti notificatori e di oneri
finanziari ai quali non è facile sottrarsi, garantendone
così l’effettiva applicazione.
Certamente, il dato di cui le aziende dispongono
per attuare le trattenute sindacali appartiene alla categoria dei dati sensibili, e pertanto ogni operazione
che abbia ad oggetto tali informazioni deve rigorosamente essere preventivamente autorizzata e necessita del consenso del lavoratore.
Inoltre, con riguardo ai dati sensibili trattati dal datore di lavoro, il Garante ha emanato delle apposite
autorizzazioni, in forza della nuova base giuridica del
codice85.
84
BELLAVISTA, La disciplina della protezione dei dati personali e i rapporti di lavoro, in CARINCI, diretto da, Diritto
del lavoro. Commentario, vol. II, Torino, 2007, 447 ss.;
nonché ID., Esiste la tutela della privacy nel rapporto di lavoro?, in TULLINI (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, Padova, 2010,
p. 171 ss.
85
L’ultima è la n. 1/2009 del 16.12.2009, con decorrenza
fino al 30.6.2011, in Gazzetta Uff., 18.1.2010, n. 13. In ge-
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16
In questo caso, allora, vista l’irrilevanza del consenso del lavoratore, il Garante prevede che i dati sensibili potranno essere trattati dal datore di lavoro, anche senza consenso, ma solo quando ciò si profili necessario e indispensabile.
Può escludersi del tutto che il datore di lavoro
possa agire fuori dai rigorosi limiti indicati dal Garante e dal legislatore, anzi, ogni meccanismo per la
riscossione dei contributi sindacali in azienda deve
rendersi compatibile con questo corpus normativo.
8.1. La contrattazione collettiva e la riscossione
dei contributi sindacali.
Come appena visto, l’abrogazione di una disciplina
legislativa in materia di versamento dei contributi sindacali non ha comportato conseguenze irreparabili.
Tant’è, infatti, che la stessa contrattazione collettiva
ha provveduto quasi uniformemente a ratificare
delle prassi standard per il versamento dei contributi sindacali.
Dalla contrattazione collettiva esaminata emerge
un quadro uniforme, le cui linee portanti possono essere individuate nei seguenti elementi ricorrenti: la
delega individuale firmata dal lavoratore e consegnata
all’azienda, in cui devono essere indicate le generalità
del lavoratore, l’organizzazione sindacale cui l’azienda dovrà versare il contributo nonché la misura dello
stesso; nella maggior parte dei casi l’entità di questo
contributo è individuata dalla stessa contrattazione
collettiva ed è commisurata all’1% della paga base.
Le trattenute vengono effettuate periodicamente
(di solito mensilmente) dall’azienda, la quale provvederà a versarle sui conto correnti bancari indicati da
ciascun sindacato.
In alcuni casi è prevista una durata dell’efficacia
della delega rilasciata dal lavoratore, normalmente di
un anno, che può essere tacitamente rinnovato in mancanza di espressa revoca avvenuta entro la scadenza 86.
In altri casi la delega ha validità fino a revoca scritta
nerale sulle autorizzazioni del Garante in materia di rapporti di lavoro cfr. BELLAVISTA, La disciplina della protezione
dei dati personali e i rapporti di lavoro, cit., 463;
GRAGNOLI, L’uso della posta elettronica sui luoghi di lavoro e la strategia di protezione elaborata dall’autorità garante, in TULLINI (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro, cit., 53 ss.
86
In tal senso v. art. 63, CCNL Industria Chimica; art. 187,
CCNL Metalmeccanici; art. 187, CCNL terziario.
da parte del lavoratore interessato, e cioè viene
rilasciata a tempo indeterminato e può essere revocata
in qualsiasi momento dai lavoratori87.
Solo in alcuni esempi virtuosi si tiene conto della
normativa in materia di protezione dei dati sensibili dei lavoratori, che vengono in rilievo come contenuto della delega88.
In un caso (per i lavoratori del settore metalmeccanico) è previsto che nella delega sia contenuta un’esplicita “liberatoria” nei confronti del datore di lavoro per il trattamento dei dati sensibili, oggetto della
delega. In mancanza di tale liberatoria, infatti, è inibito all’azienda di procedere alla trattenuta, nonché ad
ogni operazione di carattere statistico – organizzativo.
In un altro caso (CCNL Poste), invece, è solo richiesto che il contenuto della delega debba espressamente contenere anche l’autorizzazione al trattamento
dei dati personali; non sono previste però conseguenze
nel caso in cui tale autorizzazione dovesse mancare.
La soluzione più immediata, sembra comunque essere
la stessa prevista dal contratto dei metalmeccanici, e
cioè che l’azienda non potrà in alcun modo servirsi
dei dati acquisiti con la delega; né dare luogo alla trattenuta.
Le clausole contrattuali che prevedono la disciplina delle trattenute sindacali sono ritenute dalla giurisprudenza come clausole di natura strettamente obbligatoria che pertanto regolano solo i rapporti tra le
associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione
del contratto collettivo, con la conseguenza che queste
clausole creano diritti e obblighi per le parti stipulanti e non per i singoli lavoratori89.
9. Il limite all’esercizio dell’attività di proselitismo: il pregiudizio al “normale svolgimento dell’attività aziendale”.
La parte finale dell’art. 26 St. lav. individua un limite all’attività di proselitismo e all’attività di raccolta di contributi in azienda. In particolare, secondo tale norma, le modalità di esercizio del diritto non
devono arrecare pregiudizio al “normale svolgimento
dell’attività aziendale”.
87
CCNL Recapito corrispondenza; art. 12, CCNL Poste;
CCNL edilizia cemento.
88
art. 12, CCNL Poste; art. 187, CCNL Metalmecanici.
89
Cfr. tra le tante cfr. Cass., 5.5.2000, n. 5625 e Cass.,
9.05.2002, n. 6656, in Riv. it. dir. lav., 2003, II, 14 ss.
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17
La portata di questo limite è stata individuata da
una sentenza della Suprema Corte, con una lettura
costituzionalmente orientata, dalla quale è appunto
emerso come il riconoscimento nei luoghi di lavoro
dei diritti di cui all’art. 26 St. lav. non possa prescindere da un bilanciamento degli stessi con interessi opposti, costituzionalmente garantiti e quindi altrettanto
meritevoli di tutela, quali la libertà di iniziativa economica e di organizzazione dell’impresa90.
Pertanto, è anche sulla scorta di tale riflessione
che, secondo un’opinione largamente condivisa, la
clausola di salvaguardia individuata con la formula
“normale svolgimento dell’attività aziendale”, non
faccia tanto riferimento ad un ipotizzabile conflitto tra
l’esercizio dei diritti di proselitismo e raccolta di contributi, da una parte, e il dovere di adempimento della
prestazione, dall’altra parte; ma, piuttosto, il conflitto
che il legislatore mira in tal modo a risolvere è
quello tra l’esercizio di questi diritti e il corretto
funzionamento dell’organizzazione produttiva91.
Il “normale svolgimento dell’attività aziendale”,
infatti, è da considerare un concetto più complesso
ed elastico di quello riferibile alla mera esecuzione
della prestazione individuale92, proprio in quanto
può prescindere dall’esatto adempimento della
prestazione di lavoro.
Non è infatti escluso che l’attivista sindacale, pur
adempiendo esattamente la sua prestazione, crei un intralcio alla normalità del funzionamento produttivo
nell’esercizio pratico delle sue funzioni di proselitismo verso la collettività dei lavoratori. Il che si spiega
con la natura “di relazione” delle stesse attività di proselitismo e di collettaggio, le quali mirano proprio ad
impegnare l’attenzione dei soggetti a cui sono rivolte, nonché a richiedere sovente la loro partecipazione attiva ad attività materiali, e ciò con ovvie
conseguenze sulle prestazioni di lavoro e sul complessivo funzionamento dell’organizzazione produttiva.
Allora, la normalità dell’attività aziendale designa
un criterio specifico di composizione del conflitto
sopra menzionato e rinvia a dei parametri di difficile rappresentazione oggettiva, la cui individuazio-
ne concreta non può ignorare le ragioni di una data
organizzazione tecnico produttiva.
Pertanto, ‹‹non potendo essere, tali attività, per
loro natura, assoggettate a specifiche modalità d’esercizio, per esse il legislatore ha disposto un limite
estrinseco generale di contenimento, che tiene conto
della loro possibile incidenza sul funzionamento
aziendale››93.
Così, si ritiene che il riferimento al criterio della
normalità non possa essere inteso in senso assoluto
come un richiamo ad uno schema generale ed astratto
dell’assetto produttivo dell’azienda, ma individui invece un criterio concreto e particolare che deve essere misurato di volta in volta come un valore relativo che muta da azienda ad azienda.
E’ questo un parametro diverso e variabile che non
può identificarsi a priori con l’esatto adempimento
della prestazione lavorativa; solo quest’ultimo, infatti,
può essere desunto dai principi generali dell’ordinamento e può essere richiamato comunque anche in assenza di espressa previsione del legislatore (fatti salvi
i casi in cui sia lo stesso legislatore a esonerare il lavoratore come nell’art. 23 St. lav.).
Considerata la portata elastica della previsione
del limite del “normale svolgimento dell’attività
aziendale”, rimane da chiarire allora quale sia il suo
ambito di applicazione e quale funzione sistematica
assegnare alla norma in commento nella logica dello
Statuto.
Secondo un orientamento, la clausola in questione andrebbe riferita a tutte le attività sindacali garantite ai lavoratori dallo Statuto e sarebbe una specificazione dell’art. 1 St.lav.94.
Contrariamente, un altro orientamento ritiene
che il criterio della normalità non possa essere esteso
ad altre norme dello Statuto, perché altrimenti non si
potrebbe instaurare alcuna differenza con il limite dell’esecuzione dell’obbligo lavorativo desumibile invece, come visto, dai principi generali95.
La normalità dell’attività aziendale designa un criterio specifico di composizione del conflitto così
93
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 164.
In giurisprudenza, Cass. 22.2.1982, n. 1325, cit., secondo
cui il normale svolgimento dell’attività aziendale rappresenta la specificazione di un principio di ordine generale,
enunciato dall’art. 1 dello Statuto; in dottrina v. PERA, in
ASSANTI, PERA (a cura di), Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., 10 ss.
95
G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 430.
94
90
Cass., 22.2.1983, n. 1325, in Mass. giur. lav., 1983, 21.
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 163;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 219; DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 836;
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 307.
92
G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 428.
91
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18
come si pone nell’ambito dell’art. 26 St. lav.,
attraverso il riferimento alla “normalità”. Criterio
questo che assolve ad un duplice funzione: delimitare
le modalità di svolgimento dell’attività sindacale di
proselitismo e raccolta di contributi; racchiudere le
ragioni dell’organizzazione produttiva nell’alveo di
uno svolgimento “normale”.
La linea di confine è labile ma la normalità si risolve in un illecito ogni qual volta sia volta ad attentare all’esercizio di quei diritti sindacali96.
Concordemente ad una dottrina, in tutte le altre
ipotesi previste dallo Statuto non si può ritenere
operante lo stesso limite, che rimane interno alla fattispecie tipizzata dal legislatore all’art. 26 St. lav.
In tutte le altre ipotesi, infatti, si realizza una specifica previsione di forme di attività sindacale privilegiata, dalle quali discende ‹‹un più o meno intenso sacrificio delle esigenze tecnico produttive in ragione
dell’ambito strumentale e qualitativo definito dal legislatore per ciascun istituto››97.
In tutti questi casi, allora, l’esercizio di tali diritti
dovrà essere contemperato con i limiti generali dell’ordinamento, nonché con i principi di buona fede
e correttezza (art. 1175 c.c.). E pur nel rispetto di tali
principi, non è escluso che l’esercizio dei diritti in parola possa legittimamente determinare anche l’interruzione totale o parziale dell’attività aziendale.
Se il giudizio per verificare il rispetto della clausola di salvaguardia deve mirare ad accertare se vi sia
stata un’effettiva e concreta alterazione della normalità produttiva, ciò appare più complesso quando l’esercizio dei diritti in questione si sia svolto durante
l’orario di lavoro98.
Una nozione elastica del criterio di normalità,
infatti, consente di calibrare il limite di tollerabilità
delle attività di proselitismo e di raccolta di contributi,
96
DELL’OLIO, Commento all’art. 26, cit., 842. Secondo
MENGONI, Diritto e valori, Bologna, 1985, 228, ‹‹la libertà
sindacale, mentre costituisce un limite al diritto di proprietà
sull’azienda, al quale l’imprenditore non può appellarsi per
ostacolare l’esercizio, incontra, a sua volta, un limite negli
obblighi di lavoro e di osservanza della disciplina aziendale, che ai lavoratori derivano dal contratto di lavoro››.
97
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 299.
98
Cfr. MANCINI, Sub art. 26, cit., 395, per il quale ‹‹non è
agevole immaginare forme di proselitismo o di raccolta di
contributi che rechino intralcio alla produzione e alla sicurezza dei lavoratori o degli impianti durante le pause o nei
luoghi e nei tempi destinati alla mensa››. PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 220.
evitando che si possano elaborare dei parametri di
giudizio del tutto svincolati dall’effettiva realtà
produttiva99.
Del pari, la natura intrinseca del limite in parola
comporta che con lo stesso siano ontologicamente incompatibili tutte quelle iniziative individuali o sindacali di relazione, intraprese durante l’orario di lavoro, che interferiscano con attività produttive caratterizzate da impegno assiduo o di estrema concentrazione100.
E, sovente, la giurisprudenza ha ritenuto inammissibili le attività più tipicamente di propaganda, quali il
volantinaggio o la promozione di cortei interni per
i reparti101. In questi casi, infatti, v’è chi ha negato in
radice lo svolgimento dell’attività di volantinaggio nei
luoghi di lavoro durante l’orario di lavoro senza una
turbativa del normale svolgimento dell’attività aziendale102; a meno che non si accerti che le modalità attraverso cui si realizza il volantinaggio siano tali da
renderlo irrilevante ai fini del disturbo all’attività
lavorativa nelle unità produttive103.
In questo senso, secondo una dottrina, si può sostenere che il proselitismo, anche nella forma pubblica del volantinaggio o della raccolta di contributi, potrà svolgersi anche durante l’orario di lavoro,
pur nel rispetto del limite di non arrecare alcuna modifica temporale o materiale (causando un’interruzione
o una disorganizzazione) alle modalità ordinarie di
espletamento dell’attività produttiva in quel determinato settore dell’azienda; e soprattutto di non assumere modalità di esercizio pericolose per l’incolumità fisica dei lavoratori addetti al reparto104.
99
Trib. Milano, 18.2.2003, in Riv. critica dir. lav., 2003,
304; Trib. Vicenza, 30.10.2000, n. 322, in Arg. dir. lav., 1,
2001, 333.
100
MANCINI, Sub art. 26, cit., 395 s.
101
Trib. Modena, 24.4.2003, in Mass. giur. lav., 2003, 721,
con nota di A. MISCIONE, Crumiraggio esterno e opposizione alla propaganda sindacale: limiti alla natura antisindacale della condotta datoriale.
102
Cass., 22.2.1983, n. 1325, cit.
103
Cfr. Trib. Milano, 17.2.2004, in Riv. critica dir. lav.,
2004, 312, secondo cui l’attività di volantinaggio,
non implicando interruzioni dell’attività lavorativa, non fa parte delle prerogative del solo
membro della Rsu, ma appartiene alla «agibilità sindacale» che rientra nella libertà sindacale
riconosciuta a ogni lavoratore.
104
G. SANTORO PASSARELLI, Sub art. 26, cit., 431; nello
stesso senso DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali,
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
19
10. Svolgimento dell’attività sindacale ed esonero
dall’obbligo di eseguire la prestazione di lavoro: la
disciplina legale dei permessi e dell’aspettativa per
motivi sindacali.
Tra i diritti sindacali che lo Statuto dei lavoratori
riconosce sui luoghi di lavoro, i permessi sindacali rivestono una rilevanza centrale per l’evidente natura
strumentale rispetto allo svolgimento dell’attività sindacale105.
Gli articoli 23 e 24 dello Statuto dei lavoratori
garantiscono ai cosiddetti ‹‹sindacalisti interni››, dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali (d’ora
in poi R.S.A.), il diritto di godere dei permessi sindacali; a tal fine il legislatore ha individuato le modalità
di esercizio e ha distinto i permessi in due tipologie:
in base alla natura dell’attività sindacale da svolgere e
in base ai soggetti beneficiari e alle finalità di tutela,
disponendo che il trattamento economico venga corrisposto solo per l’espletamento del mandato di cui all’art. 23 St. lav.106.
Per entrambe le ipotesi si realizza una sospensione
legale della prestazione di lavoro, con l’attribuzione
del diritto al lavoratore che abbia la qualifica di dirigente di una R.S.A. di essere esonerato dall’adempimento dell’obbligazione di lavoro, entro limiti detercit., 307; ma cfr. sul punto anche MANCINI, Sub art. 26, cit.,
395, secondo il quale anche le forme di proselitismo, quale
la diffusione di volantini, ‹‹saranno ammissibili se le operazioni a cui i prestatori di lavoro attendono consistono in
movimenti automatici o semiautomatici, compiuti senza
partecipazione individuale››.
105
CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, Milano, 1984; BASENGHI, I permessi e le aspettative
sindacali, in Diritto del lavoro. Commentario, diretto da F.
Carinci, vol. I, Le fonti. Il diritto sindacale, diretto da Zoli,
2007, 208 ss.; secondo DEL PUNTA, Permessi e aspettativa
del lavoratore, in Enc. Giur., vol. XXXIII, 1991, Roma, 1,
‹‹i permessi in esame si inquadrano, a pieno titolo, nella
c.d. legislazione di sostegno all’attività sindacale››; DE
LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305. Per un’evoluzione storica dell’istituto v. MORTILLARO, Sub artt. 2324, in U. PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, t. II, Milano, 1975, 762 ss.
106
BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, in F. CARINCI (a
cura di), Il Lavoro subordinato, I, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, vol. XXIV, Torino, 2007, 169. Secondo MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 769, ‹‹i due articoli, pur muovendosi nella stessa logica politica, intendono
affrontare esigenze di qualità e contenuti diversi››.
minati nella misura minima dallo stesso legislatore,
e salve clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro, per la tutela di interessi di tipo sindacale107.
Secondo la dottrina tradizionale, la situazione
attiva che si instaura in capo al lavoratore beneficiario, consisterebbe nel temporaneo esonero dall’adempimento dell’obbligazione di lavorare quale
strumento per l’esercizio di funzioni attinenti alla
qualifica di dirigente sindacale, assimilabile perciò
ad una specifica ipotesi legale di impossibilità della
prestazione non imputabile108.
Il legislatore, codificando così il diritto ai permessi, ha attestato la volontà di pervenire alla ‹‹creazione di condizioni giuridiche e materiali, atte a rendere possibile l’esplicazione di determinate funzioni
sindacali››109.
Le previsioni in esame costituiscono uno dei pilastri della legislazione promozionale di sostegno con
cui lo Statuto ha inteso favorire gli organismi di rappresentanza in azienda110.
La ratio sottesa va individuata nella necessità di
proteggere lo svolgimento dell’attività sindacale in
piena libertà ‹‹fuori da ogni condizionamento di ordine economico e politico››, così da riscattarla da evidenti pressioni e limitazioni che possono provenire
dalla controparte datoriale111.
La questione, infatti, va esaminata tenendo ben
presenti due profili che si intersecano tra loro: da un
lato, l’interesse del singolo lavoratore a non vedere
frustrate le sue legittime aspirazioni di cittadino portatore di istanze politiche e sindacali; dall’altro, l’interesse generale di stampo collettivo delle organizzazioni sindacali in azienda, di fruire di uno strumento
giuridico per garantire la cura dei diritti dei lavoratori
nei luoghi di lavoro112.
107
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 226.
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 229;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 185, ma anche 186. Sul punto cfr. funditus DEL
PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 1, secondo il quale tale concezione risente di una ‹‹perdurante assenza di un adeguato chiarimento teorico sul tema generale
della sospensione, ma coglie, in ogni caso, la dimensione
effettuale di tali vicende››.
109
GRANDI, I diritti all’attività sindacale nell’impresa: profili storici e sistematici, in Riv. dir. lav., 1975, 252.
110
C. Cost., 26.1.1990, n. 30, in Giust. civ., 1990, 1444.
111
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 762.
112
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 763.
108
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
20
In passato è stato sostenuto che mantenere inalterato l’obbligo retributivo del datore di lavoro (vedi i
permessi di cui all’art. 23 St. lav.), nonostante l’esonero dalla prestazione di lavoro, significasse ledere il
principio di corrispettività tra lavoro e retribuzione113. Tali perplessità sono state superate sostenendo
che i permessi possono ormai ritenersi pleno iure
strutturati nel contenuto sinallagmatico del rapporto di lavoro, che discostandosi dal modello del
contratto tradizionale, ammette anche che il rapporto
tra le prestazioni fondamentali delle parti sia ispirato
ad una logica di tutela della personalità morale del
lavoratore, senza che ciò comporti alcuna deroga
allo schema della corrispettività114.
Peraltro, nonostante la dicitura adoperata ‹‹permessi›› si deve fare notare come il diritto ai permessi sindacali vada configurato come diritto soggettivo perfetto e, pertanto, ‹‹svincolato, quanto all’esercizio, da
atti concessivi o autorizzativi datoriali che possano
costituire veicolo di una valutazione più o meno discrezionale circa l’opportunità della fruizione del diritto stesso in relazione, in particolare, all’interesse
dell’impresa››115.
11. Permessi sindacali retribuiti (art. 23 St. lav.):
titolarità del diritto e attività tutelata.
L’art. 23 St. lav. riconosce ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali il diritto ai permessi
113
DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit.,
1; parla di ‹‹graduale affievolimento del principio della corrispettività››; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 775, il
quale per spiegare la ratio dell’art. 23 richiama una lettura
dell’art. 36 Cost. orientata nel senso che la retribuzione
deve assicurare anche la possibilità per il lavoratore di
‹‹esprimere pienamente, e cioè senza condizionamenti e limitazioni, la sua qualità di soggetto di diritti politici (…) e
di diritti sindacali››, 777. Per il richiamo a principi diversi
da quelli sinallagmatici per il rapporto tra le prestazioni
fondamentali delle parti si veda Treu, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano, 1963, 344 ss. Ma
v. anche Pera, Interrogativi dello ‹‹Statuto›› dei lavoratori,
in Dir. lav., 1970 I, 188, secondo cui, con questa previsione,
le attività sindacali sarebbero state ‹‹addossate economicamente al datore di lavoro chiamato, quindi, a pagare la libertà sindacale avversaria››.
114
CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit., 226 ss.; DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 1.
115
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305;
GERMANO, Sub art. 23, cit., 395.
retribuiti per l’espletamento del loro mandato. Ratio
della norma è quella di garantire ai lavoratori
beneficiari della tutela di condurre la propria attività
sindacale in piena libertà, senza il possibile
disincentivo dovuto al timore di restare senza
retribuzione per le ore impiegate nello svolgimento
del mandato.
Resta in capo al datore di lavoro, infatti, l’obbligo
retributivo durante il periodo di fruizione del permesso, cosicché al lavoratore sarà corrisposto il trattamento economico ordinario percepito in caso di regolare svolgimento della prestazione, escluse
pacificamente le indennità collegate all’esistenza di
specifiche situazioni riferibili a concrete modalità
esecutive della prestazione116.
Per altro verso, durante i permessi sindacali, sono
pienamente vigenti nei confronti del lavoratore i
diritti e gli obblighi che discendono dal rapporto di
lavoro; così il lavoratore sarà tenuto al rispetto degli
obblighi di fedeltà e di segretezza ex art. 2105 c.c.,
restando pertanto in capo al datore di lavoro il corrispondente potere disciplinare117.
Inoltre, all’esercizio dei permessi sindacali va connesso anche il richiamo al principio di correttezza
ex art. 1175 c.c. e all’obbligo di eseguire il contratto
secondo buona fede, ex art. 1375 c.c.118, con la precisazione che, in ogni caso, l’utilizzo dei permessi costituisce una limitazione del potere imprenditoriale
e una riduzione dell’efficienza aziendale119.
Secondo una dottrina sarebbe utile individuare un
limite “interno” al contenuto delle situazioni soggettive ipotizzate, in relazione all’interesse concretamen116
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, 305; per
una dettagliata descrizione del panorama giurisprudenziale
sul punto Cfr. Basenghi, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 209.
117
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 782.
118
TULLINI, Clausole generali e rapporto di lavoro, Rimini, 1990.
119
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 785, che in presenza
di ‹‹gravi situazioni attinenti la vita dell’azienda (…) il datore di lavoro possa legittimamente chiedere (…) il rientro
in azienda del lavoratore in permesso››. GHEZZI, Sub art.
23 e 24, cit., 383, nt. 3; FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 107, rilevano che ‹‹il diritto non potrà comunque essere esercitato a fini emulativi, palesi quando l’attività, oggetto del permesso, potrebbe essere differita senza
pregiudizio per l’interesse sindacale, evitando al contempo
ingiustificati sacrifici per l’interesse contrapposto››. Contra
però v. ASSANTI, Sub art. 23, cit., 280, nt. 1.
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
21
te tutelato, anche se tale criterio non sia stato previsto
dal legislatore. In questa prospettiva, è inevitabile il
richiamo proprio ai principi di correttezza e di buona
fede, in base ai quali è possibile distinguere tra
interesse dell’organizzazione produttiva a vedere
assicurato il suo normale funzionamento, e
interesse della medesima alla salvaguardia di beni
essenziali, connessi ad esempio alla sicurezza delle
persone e all’incolumità degli impianti. Solo nel secondo caso, infatti, la tutela privilegiata del diritto ad
assentarsi dal lavoro per motivi sindacali ‹‹non ha più
ragione di avere la meglio ad ogni costo, ma deve
commisurarsi, in omaggio alla regola della buona
fede, alle esigenze non sacrificabili dell’organizzazione aziendale››120.
Non è ammesso che il datore di lavoro contesti
al lavoratore l’uso improprio del permesso retribuito, se la stessa contestazione non è riferita ad inadempienze direttamente connesse agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro violati in coincidenza e in
occasione di un uso strumentale del permesso121.
In questo senso, pertanto, la fruizione del permesso non può essere condizionata né alla valutazione
discrezionale del datore di lavoro, né all’eventuale
conflitto della richiesta di permesso con le obiettive
esigenze aziendali122. A meno che, secondo una
tesi,non vengano in rilievo ‹‹interessi “primari”››,
quali l’interesse all’esistenza economica dell’impresa,
la sua utilità sociale, nonché gli interessi
costituzionalmente protetti, quali la tutela della salute
e della sicurezza dei beni e delle persone123.
Il diritto ai permessi sindacali, infatti, è ritenuto
dalla giurisprudenza come un diritto pieno ed incondizionato, non essendo configurabile alcun potere discrezionale di autorizzazione o di concessione da par120
121
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 190.
Trib. Milano, 24.12.2003, in Orient. giur. lav., 2004, I,
21.
122
Cass., 20.11.1997, n. 11573, in Notiz. giur. lav., 1997,
693 s. Secondo la giurisprudenza, peraltro, il diritto in questione sarebbe talmente scevro da condizionamenti che
neanche la contrattazione collettiva può individuare delle limitazioni alla fruizione, pena la nullità delle clausole contrattuali che hanno subordinato l’esercizio del diritto alla
compatibilità con le esigenze aziendali, in tal senso v. Cass.,
26.06.1987, n. 5675, in Foro it., 1988, I, c. 170; Trib. Milano, 25.01.2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, 335; nonché
Cass. 14.01.2003, n. 454, in Riv. giur. lav., 2003, II, 595,
con nota di Frontini; Cass., 1.08.2003, n. 11759, in Guida
dir., 2003, 44, 64.
te del datore di lavoro124, malgrado la denominazione
“permesso”, che sembra indicare la necessità di
un’autorizzazione125. Né tantomeno il datore di lavoro
potrà esprimere una valutazione in merito alla natura
dell’attività sindacale che si intende svolgere 126.
In questo senso, infatti, si sostiene che il dirigente
abbia un diritto potestativo a fruire dei permessi retribuiti essendo unicamente tenuto a darne comunicazione scritta al datore di lavoro127.
Ad ogni modo, ove i permessi siano utilizzati per
fini personali o non siano stati destinati agli scopi
previsti dalla legge, si ritiene che il datore di lavoro
sia legittimato a contestarne l’abuso e ad esercitare il
proprio potere disciplinare per l’ingiustificata astensione dal lavoro128.
I permessi sono riconosciuti ai dirigenti, secondo
la dicitura dell’articolo in commento, ‹‹per l’espletamento del loro mandato››.
Secondo l’autorevole opinione della dottrina, con
tale locuzione si deve intendere tutta l’attività connessa alle funzioni proprie delle rappresentanze
sindacali aziendali, quali organismi interni all’unità
produttiva129.
123
In questo senso, v. DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti
sindacali, cit., 306.
124
Cass. 8.11.1996, n. 9765, in Giust. civ., 1997, I, 1885.
125
Così ASSANTI, Sub art. 23, cit., 279.
126
Cass. 14.01.2003, n. 454, in Mass. giur. lav., 2004, 6,
151; Trib. Trieste, 21.09.2009, in Lav. giur., 2009, 12, 1284;
Trib. Milano, 16.07.2007, in Lav. giur., 2008, 4, 425.
127
Trib. Pisa, 25.07.2003, in Gius, 2004, 2, 270.
128
Cass. 14.01.2003, n. 454, in Mass. giur. lav., 2004, 6,
151; Cass. 2.09.1996, n. 8032, in Dir. lav., 1997, II, con
nota di Palombini; Cass., 30.01.1990, n. 10476, in Mass.
giur. lav., 1990, 543; Cass., 9.10.1991, n. 10593, in Notiz.
giur. lav., 1992, 9; Cass., 22.04.1992, n. 4839, in Foro it.,
1993, I, c. 899; Cass., 14.01.2003, n. 454, in Notiz. giur.
lav., 2003, 665.
129
Freni, Giugni, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 105. Secondo Ghezzi, Sub artt. 23-24, cit., p. 380, per tali attività
si intendono ‹‹funzioni sia organizzative, quindi, che di
vera e propria rappresentanza nei confronti della direzione
aziendale o comunque del datore di lavoro, od anche nei
confronti, eventualmente, di enti locali, associazioni o gruppi dal medesimo datore diversi ed operanti fuori dall’azienda ma sempre con riferimento alla stessa››. ASSANTI, Sub
art. 23, cit., 280 ss., sembra fare riferimento ad un uso più
ampio del diritto, perché precisa ‹‹ciò non significa che si
tratta di attività da svolgere materialmente all’interno dell’unità produttiva››; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit.,
769, che, coerentemente, esclude le attività sindacali di ca-
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
22
Tale indicazione, infatti, induce a ritenere che il legislatore abbia così voluto circoscrivere l’utilizzazione del diritto in questione per lo svolgimento dell’attività sindacale “introaziendale”, attinente alla cura
degli specifici interessi dei lavoratori dell’azienda,
dalle attività organizzative e di propaganda e proselitismo, a quelle di rappresentanza vera e propria 130.
Un discrimine allora è stato individuato nella necessità che l’attività sindacale sia svolta ‹‹nell’interesse›› dei lavoratori dell’azienda, a ciò riferendosi
il termine ‹‹mandato››131.
Anche in questo caso è negato al datore di lavoro
ogni potere discrezionale di valutazione rispetto alle
modalità e alle esigenze individuate come sindacali,
ed è qualificabile come comportamento antisindacale
la pretesa del datore di lavoro di determinare tempi e
modalità di fruizione dei permessi sindacali132. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’inerenza dell’attività
svolta dal lavoratore durante il permesso all’attività
sindacale costituisce una questione esclusivamente
interna ai rapporti tra il membro dell’organismo
di rappresentanza aziendale e l’organizzazione sindacale di appartenenza che non è tenuta ad indicare al datore di lavoro le ragioni del permesso133.
Considerata la rilevanza degli interessi in campo
nessuno esclude che sia necessario di volta in volta effettuare un contemperamento tra principi costituzionalmente tutelati (art. 39, I comma e 41 Cost.),
ma si rimarca anche come tale contemperamento sia
tegoria o presso altre aziende; Germano, Sub artt. 23, cit.,
394.
130
DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit.,
5, che esclude il ‹‹criterio topografico›› osservando che
‹‹l’attività sindacale della r.s.a. può ben svolgersi anche all’esterno dell’azienda, presso la sede di associazioni sindacali o di enti pubblici, ma sempre con riferimento alla medesima››.
131
Per un’elencazione della casistica giurisprudenziale v.
DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 5.
132
Trib. Milano, 13.4.2001, in Riv. crit. dir. lav., 2001, 633;
Trib. Milano, 23.11.2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 134 ha
escluso che l’utilizzo dei permessi per un’attività di generica consulenza sindacale per l’organizzazione di categoria
fosse illegittimo e ha negato al datore di lavoro qualsiasi
potere discrezionale di valutazione, qualificando la condotta
come antisindacale.
133
Cass., 22.04.1992, n. 4839, in Foro it., 1993, I, c. 899
ss.; Trib. Milano (decreto), 24.12.2003, in Riv. crit. dir. lav.,
2004, 293, con nota di CAPURRO.
stato oggetto di una prevalutazione del legislatore in
sede di redazione della norma.
Proprio a conferma di una logica che tende a non
pregiudicare i lavoratori che abbiano usufruito di permessi sindacali, si segnala una recente giurisprudenza di legittimità secondo cui il bilanciamento tra gli
opposti principi costituzionali, la tutela dell’esercizio
dell’attività sindacale, da un lato, e il diritto al lavoro
di coloro che si sono dedicati esclusivamente all’attività professionale, va risolto secondo buona fede, bilanciando l’interesse di chi svolge l’attività sindacale
a non subire per ciò solo penalizzazioni relative agli
avanzamenti professionali con l’opposto interesse di
coloro che, invece, si dedicano a tempo pieno al proprio lavoro a non vedere privilegiato nella procedura
concorsuale chi abbia scelto di dedicarsi all’attività
sindacale134.
La compatibilità tra esigenze dell’organizzazione
produttiva ed esercizio dei diritti sindacali viene perseguita dal legislatore mediante l’individuazione di
stringenti limiti, e ciò sia con riferimento ai soggetti
titolari del diritto, sia per ciò che riguarda i limiti di
godimento fissati in un dato numero di ore di permesso che variano in relazione alle dimensioni dell’unità
produttiva135.
Con riguardo all’individuazione dei soggetti titolari dei diritti in questione, si possono individuare almeno due profili critici.
In primo luogo, secondo la giurisprudenza prevalente, è perfettamente coerente con lo schema dello
Statuto che la norma in commento riconosca la possibilità di beneficiare del diritto ai permessi, ai soli
componenti delle rappresentanze sindacali che presentino i requisiti di cui all’art. 19 St.lav., come modificato dal referendum del 1995; e che abbiano pertanto stipulato contratti collettivi nazionali, locali o
aziendali applicati all’unità produttiva136. Peraltro,
134
Cass., 14.04.2008, n. 9813, in Riv. giur. lav., 2008, II,
831 ss., con nota di BRUN.
135
L’art. 23 St. lav. individua i limiti numerici (meno di
200, meno di 3.000, più di 3.000 dipendenti) in relazione
alla “categoria” per cui è organizzata la r.s.a.; sul punto v.
ICHINO, Il contratto di lavoro, t. 2, in Tratt. Cicu-Messineo,
2000, 59; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit.,
306.
136
Sui requisiti necessari per l’accesso delle rappresentanze
sindacali ai permessi v. Cass., 5 aprile 2007, n. 8585, in
Mass. Giust. civ., 2007, 4, 749; Trib. Palermo, 14.2.2000, in
Dir. lav., 2000, II, 413, con nota di DI STASI, secondo cui
‹‹la sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro si confi-
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
23
sono dirigenti tutti i delegati che compongono la
rappresentanza, e le prerogative sindacali di cui agli
artt. 18, 22, 23 e 24 St. lav. spettano a ciascun
componente, per la cui nomina non è necessaria
alcuna formalità137.
La soluzione contraria, e cioè l’estensione pattizia dei permessi sindacali anche a chi non rivesta i
requisiti richiesti dall’art. 19 st.lav., è stata ritenuta
potenzialmente pregiudizievole dell’effettività dell’azione sindacale in azienda, in quanto direttamente
collegata al potere di accreditamento del datore di lavoro e pertanto lesiva dell’art. 17 St. lav. che vieta la
costituzione di sindacati di comodo138.
gura, anche nel lavoro pubblico, come “condicio sine qua
non” per il godimento dei diritti di cui agli artt. 23, 24 e
30››; Trib. Palermo, 27.12.1999, in Mass. giur. lav., 2000,
477 con nota di CAMMALLERI; Trib. Milano, 21.2.1998, in
Mass. giur. lav., 1998, 405. Cfr. anche Cass., 20.6.1998, n.
6166, in Giust. civ. mass., 1998, 1364, secondo cui ‹‹non è
ravvisabile nell’ordinamento alcuna norma, ordinaria o costituzionale, che imponga una parità di trattamento dei sindacati all’interno delle imprese››. Pertanto non costituisce
condotta antisindacale il rifiuto di permessi retribuiti a componenti degli organi direttivi di associazioni sindacali prive
del requisito di cui all’art. 19 st. lav., così Trib. Ravenna,
18.1.2001, in Lav. giur., 2001, 256. In senso analogo si
esprimeva la giurisprudenza anche prima del referendum in
favore delle confederazioni maggiormente rappresentative,
cfr. Cass., 19.3.1986, n. 1913, in Riv. it. dir. lav., II, 1986,
699, con nota di VALLEBONA.
137
Cass., 5.02.2003, n. 1684, in Guida dir., 2003, 13, 67.
138
Com’è noto, la Corte Costituzionale ha stabilito che il
diritto ai permessi non può essere esteso mediante accordi
aziendali tra le parti a soggetti sindacali privi dei requisiti
richiesti per la costituzione di R.S.A., dichiarando così infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt.
19, 17 e 23 St. lav. (in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.) v.
C. Cost., 26.1.1990, n.30, in Giust. civ.1990, I, 1444, con
nota di CHIAULA. Si v. anche C. Cost., 4.12.1995, n. 492, in
Foro it., 1996, I, 5, con nota di AMOROSO, secondo cui il
criterio di maggiore rappresentatività, quale criterio di differenziazione, è capace di far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli
interessi dei lavoratori e di evitare che l’eccessiva estensione dei beneficiari possa vanificare gli scopi promozionali
che si intendono perseguire. Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 7.2.1986, n. 783, in Mass. giur. lav., 1986,
345, con nota di SAETTA; nonché Cass., 19.03.1986, n.
1913, in Riv. giur. lav., 1986, II, 699, con nota critica di
VALLEBONA, secondo cui è nullo per illiceità dell’oggetto e
per violazione del divieto di sostenere sindacati di comodo,
Peraltro, secondo una recente giurisprudenza, a
seguito dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre
1993, i permessi sindacali vanno concessi anche ad
ogni singolo componente delle R.S.U. che subentrano nella titolarità dei diritti e delle tutele concesse alle
R.S.A. dal titolo III dello Statuto (art. 4, parte I, Accordo Interconfederale 30 dicembre 1993)139.
E, inoltre, con riguardo alle attività necessarie ai
suoi compiti, anche il rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza può avere le stesse prerogative previste dall’art. 23 per i dirigenti di rsa, così come previsto
oggi dall’art. 50 , comma secondo, del d.lgs. n. 81 del
2008140, con la precisazione che in questo caso i limiti
orari di fruibilità dei permessi saranno previsti dall’autonomia collettiva dal momento che il rappresentante per la sicurezza è eletto o designato in tutte le
aziende o le unità produttive, a prescindere dai requisiti dimensionali (art. 47, comma secondo, d.lgs. n.
181/2008)141.
Nel caso in cui il lavoratore sia stato l’unico componente di una R.S.A., la Cassazione ha ritenuto di
dover considerare questi come il dirigente142.
In questo senso, infatti, l’art. 23 St. lav. può ritenersi conforme alla logica selettiva di cui l’art. 19 St.lav. si può definire l’apripista143.
E’ stato ampiamente dibattuto in dottrina anche il
tema dell’individuazione concreta dei lavoratori
l’accordo con il quale il datore di lavoro riconosca analoghi
diritti ad altri sindacati sprovvisti dei requisiti richiesti dalla
legge.
139
C. app. L’Aquila, 13.02.2003, in Notiz. giur. lav., 2003,
265; In dottrina v. BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, cit.,
169.
140
Così Trib. Orvieto, 14.02.2002, in Riv. crit. dir. lav.,
2002, 332. Ma v. anche Trib. Verona, 28.12.2006, in Riv.
crit. dir. lav., 2007, 97, con nota di VESCOVINI.
141
Cecconi, I permessi sindacali, in MAZZOTTA (a cura di),
I diritti sindacali nell’impresa, Torino, 2010, 131.
142
Cass., 20.7.1996, n. 6524, in Foro it., 1997, I, 188; Trib.
Brescia, 7.08.1992, in Riv. crit. dir. lav., 1993, 86.
143
Anche tra le stesse associazioni sindacali dotate dei requisiti di legittimità ex art. 19 è possibile che sorga una
competizione e in questo senso, secondo Cass., 5.6.1981, n.
3635, in Mass. giur. lav., 1981, 558, non esiste alcun principio di parità tra le associazioni sindacali; nonché Cass.,
20.6.1998, n. 6166, in Giust. civ. Mass., 1998, 1364, per cui
non è possibile ravvisare nell’ordinamento, alcuna norma
ordinaria o costituzionale che imponga una parità di trattamento dei sindacati all’interno delle imprese. BASENGHI, I
permessi e le aspettative sindacali, cit., 210.
temilavoro.it – sinossi internet di diritto del lavoro e della sicurezza sociale
24
che all’interno dell’unità produttiva di appartenenza
possano godere dei permessi sindacali.
Data, infatti, la scarsa valenza definitoria della terminologia adoperata dal legislatore (“dirigenti delle
R.S.A.”), è stato compito degli interpreti delimitare
l’ambito soggettivo di applicabilità della misura
promozionale144.
Così si possono individuare due filoni interpretativi prevalenti, distinti tra chi presuppone di ancorare
il riconoscimento del ruolo di dirigente a criteri oggettivi ‹‹che consentano di fondare l’attribuzione del ruolo dirigenziale su di un giudizio di effettività agganciato alla sostanziale espressione di ruoli realmente
apicali›› e coloro che invece non riconoscono fondatezza a questo discrimen145.
Secondo il primo indirizzo dovrebbe riconoscersi
la qualità di dirigente sindacale, secondo criteri oggettivi, a quanti svolgano effettive funzioni dirigenziali,
rivestendo un carattere di stabilità nella carica con un
esercizio non sporadico delle funzioni di responsabilità e di guida146.
Un’altra tesi, più accreditata in dottrina, rimette
l’attribuzione della qualifica di dirigente sindacale all’autonoma valutazione delle R.S.A., che dovranno
procedere all’individuazione concreta dei titolari del
diritto; il fondamento di questa soluzione va rintracciato proprio nell’assenza di indicazioni vincolanti in
tal senso da parte del legislatore147.
144
Pone ‹‹l’avvertenza che il termine non è da intendersi in
senso rigorosamente tecnico, stando esso a designare chi ricopre una funzione anche temporanea nell’ambito della
r.s.a. o di sue articolazioni, per la quale non rileva il nome
adottato (segretario, responsabile, membro di organi direttivi o esecutivi, ecc.)›› DEL PUNTA, Permessi e aspettativa
del lavoratore, cit., 3. V. inoltre, FRENI, GIUGNI, Lo Statuto
dei lavoratori, cit., 106. Secondo GIUGNI, Diritto sindacale,
2010, Bari, 106, ‹‹Dirigenti delle RSA è espressione un po’
enfatica
e,
comunque,
indeterminata››.
Infine,
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 771, sostiene che l’elasticità e l’ampiezza del termine adoperato ‹‹ben si adatta ad
un sistema che, come il nostro, occulta una profonda crisi di
anomia (…)››.
145
Basenghi, I permessi e le aspettative sindacali, cit., 210.
146
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 771; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 232
ss.; ID., I diritti sindacali, in Tratt. Rescigno, t. I, parte II, II
ed., Torino, 2001, 173. In giurisprudenza v. Trib. Milano,
26.11.1975, in Orient. giur. lav., 1976, 47; così anche Cass.,
19.11.1997, n. 11521, in Notiz. giur. lav., 1986, 413.
147
BALLESTRERO, Diritto sindacale, Torino, 2004, 175;
ICHINO, Il contratto di lavoro, I, in Cicu - Messineo (già di-
In realtà, a conferma di quest’opinione, la querelle
appare risolta in via applicativa dalla stessa contrattazione collettiva che spesso dispone i criteri definitori della qualifica di dirigente sindacale e impone,
a carico degli organismi di rappresentanza in azienda,
l’obbligo di comunicare preventivamente e in forma
scritta i nominativi dei lavoratori eletti beneficiari del
monte ore permessi148. Simili previsioni collettive
confermano, seppur indirettamente, l’insindacabilità
da parte del datore di lavoro della designazione rimessa esclusivamente alla discrezionalità delle associazioni sindacali e costituiscono l’unica via per evitare che
possano verificarsi casi di ‹‹abuso del diritto›› per
l’eccessiva estensione della definizione 149.
retto da), Mengoni (continuato da), Trattato di diritto civile,
t. II, Milano, 2000, 191, secondo il quale la nomina dei
membri è riservata alle rispettive associazioni sindacali;
FRENI, GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, cit., 106;
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 187.
GHEZZI, Sub artt. 23-24, in Statuto dei diritti dei lavoratori,
a cura di Ghezzi, Mancini, Montuschi, Romagnoli, Comm.
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, 383.
148
V. artt. 158, 159 CCNL Servizi Agricoltura; art. 58, punti 5-6, CCNL Industria Chimica; artt. 189, 190, 191, CCNL
Commercio terziario; art. 15 CCNL Edilizia Cemento; artt.
189, 190, 191CCNL Metalmeccanici artigianato secondo
cui sono da considerare dirigenti sindacali i lavoratori che
fanno parte degli organi direttivi o collegiali nazionali o territoriali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente CCNL; ovvero di RSU costituite ai sensi
dell'art. 19, legge 20.5.70 n. 300 e del protocollo allegato al
presente contratto collettivo, nelle imprese che nell'ambito
dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti. Ma anche per i componenti dei Consigli o Comitati di cui al punto
a) dell’art. 181 sono previsti i necessari permessi o congedi
retribuiti, per partecipare alle riunioni degli Organi nella
misura massima di 75 ore annue. Con la precisazione che,
qualora il dirigente sindacale di cui al presente articolo sia
contemporaneamente componente di più Consigli o Comitati di cui al precedente punto. a) dell’art. 181, potrà usufruire di un monte ore non superiore globalmente a 130 ore
annue. Inoltre i componenti delle RSU di cui al punto lett.
b), art. 181, hanno diritto, per l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.; artt. 189, 190, 191, CCNL Commercio terziario; art. 15 CCNL Edilizia Cemento. Tale disciplina contrattuale va ritenuta migliorativa rispetto alla
previsione legale e pertanto legittima, in questo senso v.
GHEZZI, Sub artt. 23-24, cit., p. 382.
149
In questi termini v. DEL PUNTA, Permessi e aspettativa
del lavoratore, cit., 3; MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit.,
772 s., secondo il quale la soluzione adottata dallo Statuto
‹‹non appare soddisfacente ai fini della certezza del diritto
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25
Inoltre, la circostanza che la R.S.A. sia espressamente indicata come tramite per la richiesta del diritto
induce a ritenere che non si tratti di un diritto perfetto del singolo componente, ma che il legislatore
abbia inteso in tal modo assoggettare la fruizione del
beneficio al controllo della rsa, il cui esito è, come
detto, insindacabile150.
Anche con riguardo alla revoca dell’incarico di
dirigente le posizioni non sono univoche. Nel caso infatti di dirigenti componenti di R.S.A. o di R.S.U.,
data la partecipazione di agenti sindacali e lavoratori
alla costituzione degli organismi di rappresentanza,
secondo una parte della giurisprudenza si ritiene che
debbano entrambi concorrere alla revoca151.
Tuttavia, si segnalano anche posizioni opposte, che
per determinare la perdita del diritto ai permessi ritengono sufficiente la sola espulsione dal sindacato, con
la conseguente cancellazione del lavoratore dall’elenco dei dirigenti e la comunicazione all’imprenditore152.
13. Limiti quantitativi all’esercizio del diritto.
La titolarità del diritto ai permessi compete ai dirigenti nei limiti quantitativi contemplati dal secondo
comma dell’art. 23 St. lav.
Salve clausole più favorevoli della contrattazione
collettiva, infatti, il numero dei dirigenti beneficiari
dei permessi è fissato dall’art. 23 St. lav., con riguardo
a quello dei dipendenti dell’unità produttiva appartenenti alla categoria per cui agisce la rappresentan(…)››.
150
Così ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., 191; nel senso
che è un potere esclusivo delle rsa quello di qualificare una
determinata esigenza come sindacale cfr. CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di lavoro, cit., 129, secondo cui ‹‹deve ritenersi che nella logica dello Statuto sia affidato alla responsabilità delle organizzazioni sindacali anche
il qualificare o riconoscere come inerenti al mandato le attività per le quali sia astrattamente possibile richiedere il permesso retribuito; al datore non resta che la “garanzia” rappresentata dall’affidabilità dell’organizzazione stessa››. V.
anche Germano, Sub art. 23, cit., 396, nt. 13, secondo cui le
R.S.A. sarebbero investite dal legislatore del ruolo di ‹‹garanti della corretta gestione del diritto››.
151
Pret. Milano, 31.03.1992, in Dir. prat. lav., 1992, 2071;
Pret. Milano, 11.05.1992, in Or. giur. lav., 1992, 523.
152
Pret. Milano, 19.10.1993, in Dir. prat. lav., 1994, 20;
Pret. Milano, 19.01.1992, in Or. giur. lav., 1992, 14.
za sindacale nel cui ambito è assolto il mandato
dirigenziale153.
Qualche perplessità è sorta intorno all’uso del termine ‹‹categoria››, per l’accezione da attribuirvi nello specifico contesto normativo. Nella medesima unità
produttiva, infatti, potrebbero esservi lavoratori appartenenti a differenti categorie normative, o anche a diverse categorie merceologiche.
Secondo un’interpretazione ispirata alla ratio
dello Statuto, con cui si vuole garantire la massima
estensione e tutela dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, si ritiene che con tale vocabolo si debba fare riferimento sia alle categorie merceologiche sia alle
categorie normative154.
Di certo, in questo caso, la parola “categoria” viene adoperata in senso aspecifico; da alcuni, peraltro,
viene escluso che con essa si voglia fare riferimento
alla definizione di cui all’art. 2095 c.c., e in questa logica, sembra la soluzione più coerente ritenere che ‹‹il
criterio interpretativo da utilizzare debba ancorarsi
non all’attività del lavoratore (o di una categoria di lavoratori) ma al tipo di organizzazione scelta dalla rappresentanza dei lavoratori››155.
Nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti, il diritto ai permessi è riconosciuto a un dirigente per ogni rappresentanza sindacale aziendale (art.
23, 2° comma, lett. a).
Nelle unità produttive fino a 3000 dipendenti ha
diritto ai permessi un dirigente ogni 300 dipendenti o
frazione di 300 per ciascuna R.S.A. (art. 23, 2° comma, lett. b).
Nelle unità produttive di maggiori dimensioni, oltre al numero minimo di dirigenti garantito ex lett. b),
gode di tale diritto un dirigente ogni 500 o frazione di
500 dipendenti oltre i primi 3000 (art. 23, lett. c)156.
Ai permessi così commisurati al livello occupazionale dell’unità produttiva di appartenenza del dirigente sindacale, il 3° comma dell’art. 23 aggiunge il limi153
Parla di ‹‹carattere per così dire minimale››
MORTILLARO, Sub artt. 23 - 24, cit., 779.
154
MORTILLARO, Sub artt. 23 - 24, cit., 779; sono a favore
della tesi della categoria professionale FRENI, GIUGNI, Lo
Statuto dei lavoratori, cit., 103; GHEZZI, Sub art. 23 e 24,
cit., 381; ASSANTI, Sub art. 23, cit., 281 s.; PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 229.
155
GERMANO, Sub art. 23, cit., 398, che ritiene pertanto
che il riferimento sia alla categoria merceologica.
156
Per un’approfondita analisi delle ipotesi configurate dalla norma v. DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit., 3 s.
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26
te temporale fissato in un minimo di 8 ore mensili
nelle unità produttive di cui alle lettere b) e c); e in un
minimo di 1 ora all’anno per ciascun dipendente per le
aziende di cui alla lettera a).
Secondo una dottrina, ‹‹la ragione di entrambe le
limitazioni può ravvisarsi nel fatto che l’art. 19 St. lav.
non prevede che le RSA debbano essere costituite da
un numero determinato di componenti››, e pertanto
appare chiaro come il legislatore abbia individuato limiti rigorosi all’utilizzo di permessi retribuiti 157.
Questi limiti temporali non sono vincolati ad un
riferimento soggettivo, dal momento che il legislatore si astiene volontariamente da un precisazione in tal
senso.
La disponibilità che ne risulta permette di distribuire le ore in modo frazionato in capo a più dirigenti
della stessa rappresentanza sindacale, in relazione alle
effettive necessità dell’organizzazione sindacale che
così rimane garante del corretto esercizio del diritto 158.
D’altronde, la stessa contrattazione collettiva,
nell’esercizio della competenza a essa attribuita di derogare in melius la disciplina dei permessi rispetto al
dato normativo, si occupa di disciplinare la materia
individuando il ‹‹monte ore›› calcolato su ogni dipendente dell’unità produttiva, e generalmente, tende ad accrescere il numero di ore159.
Dal dato normativo non è chiaro se la quota oraria
vada imputata a ciascuna R.S.A. operante nell’unità
produttiva, ovvero a tutte complessivamente.
In giurisprudenza ha prevalso la prima tesi, sebbene vi fossero sentenze di merito che fondavano l’opinione contraria ritenendo che ‹‹un tale onore non può
essere duplicato o triplicato con il moltiplicarsi delle
rsa››160. La soluzione prescelta appare la più opportuna
anche sotto un profilo pratico, dal momento che evita
che possano crearsi spiacevoli inconvenienti tra le
singole organizzazioni sindacali che non si mettono
d’accordo tra loro per l’ammontare della quota di
permessi, così paralizzando di fatto l’effettivo
godimento dei diritti prescritti161.
Peraltro, a seguito dell’Accordo interconfederale
del dicembre 1993, il monte ore sarà anche attribuito
alla R.S.U. Rimane il dubbio se la distribuzione del
monte ore debba competere alla R.S.U. nel suo complesso, con una distribuzione uguale per tutti i componenti senza distinguere l’appartenenza sindacale, ovvero se il monte ore vada ripartito in modo proporzionale tra i vari sindacati.
Per alcuni, la questione andrebbe risolta nel primo
senso162, anche sulla scorta del criterio previsto dall’art. 29, c. I, St. lav., secondo cui i permessi andrebbero rapportati al numero delle associazioni in possesso dei requisiti di cui all’art. 19 St. lav. che siano unitariamente rappresentate nell’unità produttiva 163.
La quantità dei permessi fruibili, in ogni caso, è del
tutto svincolata dal numero degli aderenti alle associazioni sindacali o dal consenso che queste eventualmente raccolgano in altro modo nell’unità produttiva.
Tutte le associazioni che abbiano superato il vaglio
dell’art. 19 St. lav., hanno egualmente diritto alla nomina dello stesso numero di dirigenti e ciò a prescindere dalla circostanza che rappresentino un solo lavoratore ovvero ne rappresentino centinaia164.
La ratio della tutela, infatti, non è quella di applicare un filtro selettivo al godimento del diritto ai permessi, una volta che siano già a monte individuati i relativi criteri dall’art. 19 St. lav.
14. L’onere della comunicazione.
157
BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 175.
Sul punto v. MORTILLARO, Sub artt. 23-24, 788. Parla
correttamente delle r.s.a. come di ‹‹garanti della corretta destinazione sindacale del permesso››, Germano, cit., 395, nt.
13; DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 306;
in giurisprudenza Pret. Varese, 14.02.1997, in Riv. crit. lav.,
1997, 507; Pret. Milano, 29.03. 1988, in Orient. giur. lav.,
1988, 943.
159
V. art. 190, CCNL Commercio terziario; art. 190, CCNL
Metalmeccanici artigianato.
160
Per la prima tesi v. Cass. 30.07.1992, n. 9136, in Foro
it., 1993, I, 437; Cass. 6.06.1984, n. 3409, in Mass. giur.
lav., 1984, 294; contra v. Trib. Biella, 8.06.1981, in Orient.
giur. lav., 1982, I, 256; Trib. Padova, 4.010. 1988, in Giur.
merito, 1990, I, 554. In dottrina, sostiene la tesi dell’imputazione complessiva del monte ore DEL PUNTA, Permessi e
158
Oltre i limiti numerici sopra descritti, l’unico onere
di cui il legislatore ha investito il dirigente sindacale
che voglia esercitare il diritto ai permessi retribuiti è
la comunicazione scritta al datore di lavoro ‹‹di reaspettativa del lavoratore, cit., 4.
161
BASENGHI, I permessi e le aspettative sindacali, cit.,
212.
162
BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 175, che propende
per questa tesi riferendosi alla giurisprudenza di App. L’Aquila, 13 febbraio 2003, cit., 265.
163
In questo senso v. BELLOMO, Il sindacato nell’impresa,
cit., 170.
164
Ichino, Il contratto di lavoro, cit., 190.
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27
gola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali›› (art. 23, comma 4°).
Coerentemente alla natura del diritto, il contenuto
della comunicazione deve essere circoscritto alla natura sindacale del permesso senza che il lavoratore debba giustificare la motivazione dell’esercizio del diritto165. Si ricordi, a proposito, come il permesso non sia
soggetto ad alcuna condizione o valutazione discrezionale da parte del datore di lavoro e che pertanto la
previsione della comunicazione preventiva si spiega
con la necessità che il datore di lavoro sia posto
nelle condizioni di adottare le misure organizzative
per sopperire all’assenza del lavoratore166.
V’è, però, che il legislatore adotta un termine come
‹‹di regola›› che apre a ipotesi diverse. Non può
escludersi, infatti, che questa precisazione, in casi di
urgenza motivati, garantisca al lavoratore la possibilità di comunicare il godimento del diritto anche in un
frangente di tempo inferiore alle 24 ore167.
Rimarrebbe, in questo caso, la necessità della comunicazione scritta e, secondo correttezza 168, anche
della giustificazione scritta e tempestiva della motivazione che ne ha determinato l’urgenza 169, pena l’illegittimità dell’atto di esercizio del diritto per assenza
ingiustificata170.
15. Permessi sindacali non retribuiti: titolarità e
attività tutelata.
Ai dirigenti delle R.S.A., ovvero ai membri delle
R.S.U. subentrati a questi nei diritti sindacali del Titolo III St. lav. ex A.I. del 1993, l’art. 24 St. lav. ricono165
Cass. 9.10.1991, n. 10593 in Not. giur. lav., 1992, 9;
Cass. 30.10.1990, n. 10476, in Dir. prat. lav., 1991, 775.
166
DE LUCA TAMAJO, CORSO, Diritti sindacali, cit., 305;
Germano, Sub artt. 23, cit., 395; Basenghi, I permessi e le
aspettative sindacali, cit., 213.
167
La giurisprudenza ritiene che il termine delle 24 ore
vada riferito alle giornate lavorative dell’azienda. V. Cass.
1.12.1986, n. 7097, in Riv. giur. lav., 1987, II, 290 con nota
di Tursi. In dottrina v. ASSANTI, Sub art. 23, cit., 280.
168
Qualche autore insiste sulla necessità che l’esercizio del
diritto ai permessi sia comunque sempre assoggettato ai canoni della correttezza. V. Ghezzi, Sub art. 23 e 24, cit., 383,
nt. 3.
169
Così Pret. Roma, 19.12.1980, in Giur. it., 1981, I, 2,
660.
170
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 189;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 234.
sce il diritto a permessi non retribuiti finalizzati
alla partecipazione a trattative sindacali o a
congressi e convegni di natura sindacale, in misura
non inferiore a otto giorni l’anno.
La ratio della norma è stata ben individuata in
dottrina nella generica esigenza di promuovere le relazioni esterne tra i dirigenti sindacali in azienda e le
strutture associative di appartenenza, al fine di incrementare la formazione culturale e sindacale degli stessi, ‹‹con positive ripercussioni sul livello dei rapporti
sindacali in azienda e nell’interesse generale della categoria››171.
In questa sede verrano esaminati gli aspetti della
fattispecie che contraddistinguono questa previsione
rispetto alle ipotesi di cui all’art. 23 St. lav., dal momento che le analogie tra la struttura del diritto, le modalità di esercizio dell’attività e la titolarità consentono di rinviare alla trattazione già svolta.
I titolari del diritto in parola saranno i dirigenti
individuati di volta in volta secondo le caratteristiche
già delineate dall’art. 23 St. lav., ma non è detto che
coincideranno soggettivamente con coloro che usufruiscono dei permessi retribuiti172. La facoltà di scelta è infatti rimessa esclusivamente all'organizzazione sindacale che potrà decidere anche di frazionare le
ore tra più persone.
Anche in questo caso si ritiene che la natura sia di
un diritto potestativo del lavoratore non soggetto ad
alcun potere di autorizzazione o di controllo del datore
di lavoro173.
Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’elencazione delle attività che legittimano la richiesta del permesso, contenuta nel testo della norma,
non sia tassativa ma abbia anzi un mero valore esemplificativo174.
171
DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit.,
2.
172
GHEZZI, Sub art. 23-24, cit., 384, nt. 4; ASSANTI, Sub
art. 24, in ASSANTI, PERA (a cura di), Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., 283.
173
Pret. Thiene, 24.11.1980, in Orient. giur. lav., 1981, I,
285, che esclude espressamente la richiesta del consenso
del datore di lavoro; Cass., 8.11.1996, n. 9765, in Mass.
giur. lav., 1997, 15; Trib. Venezia, 22.2.1996, in Riv. it. dir.
lav., 1997, II, 518.
174
Cass., 8.11.1996, n. 9765, in Mass. giur. lav., 1997, 15,
con nota di DE MARINIS, che ha ritenuto legittimo l’esercizio del permesso non retribuito per la partecipazione ad un
corso di formazione sindacale; BALLESTRERO, Diritto sindacale, cit., 176; BASENGHI, I permessi e le aspettative sin-
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28
E’ l’interesse tutelato che delimita il confine tra
l’art. 23 St. lav. e l’enunciato normativo in questione:
mentre, infatti nella prima ipotesi l’attività presa in
considerazione è tipicamente endoaziendale, qui l’attività sindacale è tipicamente esterna sia secondo un
criterio meramente teleologico (perché non è finalizzata esclusivamente a tutelare gli interessi dei lavoratori dell’azienda, e quindi non è direttamente connessa
con il mandato di dirigente di R.S.A.); sia in base al
criterio topografico, perché è lo stesso legislatore a tipizzare la possibilità che l’attività si svolga al di fuori
del luogo di lavoro175.
Non è molto chiaro che cosa possa ritenersi compreso nell’accezione di ‹‹trattative sindacali››.
Secondo una prospettiva, con questa indicazione il
legislatore avrebbe voluto indicare anche tutte quelle
attività di contrattazione aziendale che pertanto, rientrando nell’espletamento del mandato del dirigente di
R.S.A., sarebbero contemporaneamente coperte dall’art. 23 St. lav. e dall’art. 24 St. lav., senza possibilità
di delineare alcuna distinzione tra le due norme 176.
La conseguenza, in questo caso, sarebbe che per le
stesse attività il lavoratore potrebbe prima esaurire il
monte ore di permessi retribuiti, e poi usufruire del restante periodo di permessi garantito ex art. 24 St. lav..
Una simile ricostruzione è però scartata dalla dottrina maggioritaria, che nella distinzione dei permessi in due articoli intravede la volontà del legislatore di tenere separate le due situazioni in ragione della
diversa natura degli interessi tutelati177.
Da qui la dottrina ha sostenuto che, con riferimento
alle ‹‹trattative sindacali››, i permessi sindacali non retribuiti vadano goduti per le sole attività negoziali extra aziendali, su questioni generali su scala locale o
nazionale, che riguardano pertanto solo indirettamente
i lavoratori dell’azienda. Mentre, la contrattazione
dacali, cit., 214; contra CINELLI, I permessi nelle vicende
del rapporto di lavoro, cit., 121.
175
DEL PUNTA, Permessi e aspettativa del lavoratore, cit.,
5.
176
Così CINELLI, I permessi nelle vicende del rapporto di
lavoro, cit.,121 s.; BELLOMO, Il sindacato nell’impresa, cit.,
172, ritiene che nella pratica si registra ‹‹una parziale sovrapposizione tra ipotesi che possono giustificare la fruizione dei permessi ai sensi tanto dell’art. 23 o dell’art. 24
(…)››.
177
GHEZZI, Sub artt.23- 24, cit., 381, secondo cui appare
chiaro che ‹‹l’analogo riferimento contenuto nella disciplina dei permessi non retribuiti attiene a trattative e convegni
extra - aziendali››; GERMANO, Sub art. 23, cit., 404 s.
aziendale sarà svolta usufruendo esclusivamente
dei permessi ex art. 23 St. lav.178.
Coerentemente a quanto già previsto con l’art. 23
St. lav., il legislatore anche stavolta individua un limite temporale all’esercizio del diritto che è fissato in
misura non inferiore ad otto giorni a favore di ciascun
dirigente sindacale, tuttavia in questo caso non è prescritta una soglia minima di lavoratori per i quali è costituita la R.S.A.
Dalla formulazione del disposto ‹‹non inferiori›› si
evince come la contrattazione collettiva potrà anche
derogare in melius rispetto al limite degli otto giorni,
anche se questa facoltà non è espressamente prevista
come nel caso dei permessi retribuiti179.
Altra differenza rispetto all’art. 23 St. lav. è data
dalla comunicazione che stavolta deve avvenire per
iscritto tramite le R.S.A., di regola entro il termine di
tre giorni di preavviso. Sul senso da attribuire all’espressione ‹‹di regola››, valgano le medesime riflessioni svolte in precedenza.
Il dirigente, in questo caso, è anche onerato di comunicare al datore di lavoro il luogo in cui si terrà
il convegno per cui esercita il diritto180.
In questo caso, se il dipendente usufruisce illegittimamente del permesso, anche se non retribuito, sarà
tenuto a corrispondere al datore di lavoro un’indennità
a titolo di risarcimento per la sua assenza; e, se ciò avviene con la complicità dell’organizzazione sindacale,
sarà questa a corrispondere il risarcimento a titolo di
responsabilità extracontrattuale181.
16. Permessi retribuiti per i dirigenti sindacali
esterni (art. 30 St. lav.).
L’art. 30 St. lav. dispone in favore dei componenti
degli organi direttivi provinciali e nazionali delle
R.S.A. (cosiddetti dirigenti sindacali esterni, secondo
l’espressione dell’art. 20, comma 3°, St. lav.) il diritto
ai permessi retribuiti ‹‹secondo le norme dei contratti
di lavoro››, precisando che l’astensione dal lavoro sia
178
MORTILLARO, Sub artt. 23-24, cit., 769 s.
GERMANO, Sub art. 23, cit., 406, considera ammissibili i
trattamenti di miglior favore anche alla luce dell’art. 40 St.
lav.
180
Cass., 1.12.1986, n. 7097, in Riv. giur. lav., 1987, II,
290, con nota di TURSI.
181
ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., 192; Trib. Bologna,
7.03.1991, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 150, con nota di
GHINOY.
179
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29
finalizzata alla partecipazione alle riunioni degli organi di cui i lavoratori fanno parte.
La norma rileva per l’importanza dell’interesse
tutelato e si collega con gli artt. 23 e 24 St.lav. che
la precedono, ponendosi come la norma di chiusura
dello Statuto in materia di permessi sindacali182.
L’individuazione dei beneficiari non presenta difficoltà ermeneutiche, perché lo stesso legislatore ha
operato un richiamo diretto dell’art. 19 St. lav.
Sono favoriti i lavoratori che svolgono attività sindacale con funzioni di dirigenti esterni.
Titolari di questi diritti sono pertanto i componenti
degli organi direttivi dei sindacati esterni collegati
alle rappresentanze sindacali in azienda, e pertanto
l’art. 30 st. lav. si inquadra nel sostegno selettivo all’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa, così come, nell’ambito dell’attività sindacale svolta nell’impresa vi si inquadrano gli artt. 23 e
24 St. lav.183.
La stessa selezione, come si vedrà, non si trova anche nell’ambito dell’articolo successivo (art. 31, 2°
comma, St. lav.) in cui è prevista l’aspettativa non retribuita per motivi sindacali.
La limitazione va spiegata proprio con il rinvio alla
maggiore incidenza che può avere sull’organizzazione
aziendale un lavoratore che fruisca di permessi retribuiti rispetto ad uno in aspettativa non retribuita184.
In origine, ovvero prima che l’art. 19 St. lav. venisse modificato dal referendum del 1995, l’intento perseguito dal legislatore con questa norma era proprio
quello di riconoscere delle posizioni di privilegio a
quei sindacati che rientravano nella selezione per la
costituzione di RSA.
Oggi, con la versione post referendaria dell’art. 19
St. lav. può ben sostenersi che questo intento selettivo e promozionale sia venuto meno185.
Rimane ad ogni modo confermata la ragione tipica
dei permessi retribuiti, che è quella di favorire l’attività sindacale in quanto piena espressione di un diritto
182
GERMANO, Sub art. 30, in Giugni (diretto da), Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, Milano, 1979, 528 ss.
183
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 236; LATTANZI, Sub art. 30, in PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, t. II,
Milano, 1975, 1053 s.
184
GERMANO, Sub art. 30, cit., 529.
185
BALLESTERO, Diritto sindacale, cit., 177.
costituzionalmente
garantito,
trasferendo
sull’impresa i relativi oneri186.
L’art. 31 St. lav. prefigura una situazione soggettiva attiva a contenuto potestativo che corrisponde a
quelle dei permessi di cui agli artt. 23 e 24 St. lav., nel
senso che si tratta sempre di diritti soggettivi pieni e
incondizionati del dirigente sindacale, rispetto ai quali, pertanto, il datore di lavoro non potrà porre alcun
ostacolo.
La fruizione del permesso, infatti, non dipende da
un atto discrezionale o di concessione o di autorizzazione del datore di lavoro, la cui volontà, di fronte all’esercizio di una situazione soggettiva a contenuto
potestativo è del tutto irrilevante187.
L’attività tutelata si svolge fuori dai locali aziendali e non è detto che riguardi direttamente temi e problemi afferenti all’azienda di cui è dipendente il lavoratore.
17. Limiti e modalità di esercizio del diritto.
La selezione dei limiti e le concrete modalità di
esercizio del diritto vengono rimesse alla contrattazione collettiva188. Questa, usualmente, prevede un
monte ore annuale di permessi calcolati sulla base del
numero complessivo degli iscritti al sindacato in un
determinato settore produttivo, senza indicare il numero dei beneficiari189.
La stessa collocazione dell’inciso ‹‹secondo le norme dei contratti di lavoro›› compreso tra due virgole,
mostra l’intenzione del legislatore di privilegiare una
prospettiva di contemperamento fra gli interessi
del sindacato e le esigenze della produzione190.
La natura piena e incondizionata del diritto comporta che alla contrattazione collettiva è sì rimessa la
concreta individuazione dei limiti, ma questa non potrà mai condizionare l’esercizio del diritto all’assenza di impedimenti di ordine tecnico aziendale
devoluti alla discrezionale valutazione del datore di
lavoro191.
186
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 186.
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 189.
188
L’istituto in esame era già presente nella contrattazione
collettiva più avanzata anche prima della previsione statutaria, sul punto v. GERMANO, Sub art. 30, cit., 529.
189
Trib. Roma, 30.07.1994, in Notiz. giur. lav., 1994, 701.
190
GERMANO, Sub art. 30, cit., 530.
191
LATTANZI, Sub art. 30, cit., 1055.
187
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30
In questo caso, infatti, sarebbe violato ‹‹l’interesse,
costituzionalmente garantito, sotteso all’art. 30 dello
statuto; il datore di lavoro, al fine di assicurare il pieno esercizio dell’attività sindacale, deve dunque modellare la propria organizzazione e disciplinare la forza lavoro in modo da rendere effettivo il godimento
del diritto ai permessi, non potendo appellarsi all’esigenza del regolare svolgimento dell’attività di impresa
per negare il suddetto diritto o limitarne il
contenuto››192; secondo la giurisprudenza, pertanto,
una simile previsione sarebbe affetta da nullità193.
Considerata la natura immediatamente precettiva
della norma194, in assenza di una disciplina contrattuale la determinazione dei limiti e delle concrete modalità di esercizio del diritto può essere concordata a livello individuale dagli stessi sindacalisti, e in caso di
contestazione o mancato accordo la decisione potrà
essere rimessa al giudice che potrà colmare tale lacuna
rinviando anche alla contrattazione collettiva di altri
settori195.
L’attività tutelata per cui il diritto si può esercitare è la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi provinciali e nazionali; risulta pertanto una
previsione particolarmente circoscritta, soprattutto se
si pone a confronto con le ragioni giustificatrici dei
permessi per le rappresentanze sindacali aziendali.
L’art. 30 St. lav., per la sua collocazione sistematica, è fuori dall’ambito di applicazione previsto per i
diritti di cui al titolo III dello Statuto e pertanto, i limiti di cui all’art. 35 St. lav. non trovano applicazione
(ammissibilità dei diritti per le unità produttive con
più di 15 dipendenti)196.
18. Aspettativa per motivi sindacali.
La disciplina prevista dall’art. 31 St. lav. riconosce
ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali il diritto ad un’aspettativa non
192
Cass., 1.08.2003, n. 11759, in Lav. giur., 2004, 6, 570.
Cass., 23.11.1985, n. 5847, in Giur. cost., 1986, I, 365,
con nota di DEL PUNTA.
194
Cass., 1.07.2004, n. 12105, in Notiz. giur. lav., 2004,
693.
195
POSO, Sub art. 30, Statuto dei lavoratori, in Grandi-Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Milano, 2001,
827 ss.; questa è stata l’opinione di LATTANZI, Sub art. 30,
1055. In giurisprudenza v. Cass., 20.7.1989, n. 3430, in Notiz. giur. lav., 1989, 517.
196
Sul punto v. RICCOBONO, I diritti sindacali nel titolo III
dello Statuto dei lavoratori, in www.temilavoro.it, 2011, 4 s.
193
retribuita, che rientra nell’ambito della più generale
disciplina delle aspettative per cariche e funzioni
pubbliche elettive.
Beneficiari ne saranno stavolta tutti i dirigenti
sindacali esterni, a qualunque sindacato appartengano, senza le limitazioni di cui all’art. 19 St. lav.;
il secondo comma dell’art. 31, infatti, contrariamente
all’art. 30 St. lav. in relazione ai permessi, individua i
soggetti titolari dell’aspettativa senza riguardo alla
rappresentatività delle organizzazioni in cui ricoprono cariche provinciali o nazionali, e pertanto al
di fuori da logiche selettive197.
Non si applicano anche in questo caso i limiti di
cui all’art. 35 St. lav., e poiché sovente può accadere
che nelle aziende con organici ridotti non vi sia alcun contratto collettivo di categoria applicato, i limiti
di esercizio del diritto ai permessi sindacali retribuiti e
alle aspettative non retribuite da accordarsi ai componenti degli organismi direttivi nazionali e provinciali
delle associazioni sindacali devono di necessità essere
determinati in via giudiziale198.
La natura del diritto è identificabile con una sospensione del rapporto di lavoro e con una temporanea inefficacia delle obbligazioni principali, la
cui finalità è garantire il pieno svolgimento dell’attività sindacale esterna, garantendo al lavoratore il diritto alla conservazione del posto e all’anzianità di
servizio.
Proprio in questa sua caratteristica si rinviene l’elemento che distingue tale ipotesi dal permesso retribuito per i sindacalisti esterni; solo nel primo caso infatti
l’incarico determina una situazione di incompatibilità
continuativa con lo svolgimento delle prestazioni lavorative199.
La natura di diritto potestativo garantisce che la
semplice richiesta da parte del lavoratore impedisca al
datore di lavoro di esercitare un rifiuto200.
Inoltre, al datore di lavoro non è consentita la facoltà di contestare il fondamento del ‹‹riconoscimento
di una carica propria dell’organizzazione sindacale,
non avendone l’interesse e, comunque, non disponen197
GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, cit., 184 s.;
PERONE, L’organizzazione e l’azione del lavoro nell’impresa, cit., 236.
198
Così P. S. Pietro Vernotico, 26.10.1981, in Lav. prev.
oggi, 1985, 247.
199
Cass., 20.7.1989, n. 3430, in Notiz. giur. lav., 1989, 517.
200
Cass., 7.2.1985, n. 953, in Notiz. giur. lav., 1985, 247.
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31
do di alcuna legittimazione a sindacare le violazioni di
procedure interne al sindacato››201.
Peraltro, al fine di poter accedere al godimento dell’aspettativa sindacale non retribuita prevista dall’art.
31 St.lav., nonché alla contribuzione figurativa a tal
fine riconosciuta dal d.lgs. n. 564 del 1996, è sufficiente che il lavoratore abbia ricevuto l’attribuzione
di un incarico, nazionale o provinciale, che comporti effettivamente lo svolgimento dell’attività sindacale in senso proprio, non essendo richiesto che si
tratti di una carica necessariamente conferita per via
elettiva202.
Durante il periodo di aspettativa non retribuita per
mandato sindacale, è frequente che i lavoratori possano essere remunerati dall’organizzazione sindacale
(cosiddetta indennità di carica), secondo la giurisprudenza questo compenso è assoggettato, quale
componente del reddito, alla contribuzione di malattia
prevista per i lavoratori dipendenti (quanto ai redditi
diversi da quelli derivanti dal lavoro subordinato) dall’art. 31, l. n. 41 del 1986203.
Ai lavoratori in aspettativa non retribuita, in quanto chiamati a ricoprire cariche sindacali, è dovuta la
contribuzione figurativa in conseguenza della formale investitura di una delle cariche previste dall’art.
3, d.lgs. n. 564 del 1996, rimanendo irrilevanti le mansioni effettivamente svolte a favore del sindacato distaccatario204.
Al contempo i lavoratori avranno diritto alla maturazione degli scatti di anzianità previsti eventualmente dalla contrattazione collettiva, nonché a premi aziendali legati all’anzianità di servizio, senza
che rilevi in queste ipotesi il requisito dell’effettività
della prestazione lavorativa quale condizione per accedere ai benefici205.
201
Trib. Milano, 18.8.2006, in Orient. giur. lav., 2006, I,
737.
202
Trib. Milano, 25.5.2007, in Orient. giur. lav., 2007, I,
440.
203
Cass., 1.12.1992, n. 12815, in Riv. it. dir. lav., 1993, II,
p. 622, con nota di Franco.
204
Così Cass., 21.02.2006, n. 3706, in Notiz. giur. lav.,
2006, 429; Trib. Milano, 25.05.2007, in Orient. giur. lav.,
2007, I, 440; circ. INPS n. 13 del 18.01.1995, con riguardo
alle disposizioni sulle modalità di accreditamento figurativo
per i periodi di aspettativa sindacale nella gestione previdenziale alla quale i lavoratori erano iscritti all’atto del collocamento in aspettativa.
205
Per il diritto alla maturazione degli scatti di anzianità v.
Cass., 24.09.1996, n. 8430, in Mass. giur. lav., 1996, 752,
Per converso, la giurisprudenza ritiene che il diritto alle ferie non possa maturare durante il periodo di
aspettativa, perché in questo caso il diritto presuppone
l’effettivo svolgimento del lavoro e matura giorno per
giorno; quando invece manchi di fatto l’attività lavorativa, come nel caso dell’aspettativa, ‹‹non sussistono
quelle esigenze di recupero delle energie psicofisiche
e di più intensa partecipazione alla vita familiare e sociale››206.
Sono in genere riconosciuti ai lavoratori in aspettativa tutti quei trattamenti previdenziali ed economici
collegati al rapporto di lavoro ma non all’effettivo
svolgimento della prestazione207, come quelli per malattia208, per maternità209, nonché per trattamento speciale di disoccupazione nei casi di lavoratori dipendenti da imprese industriali licenziati per cessazione
di attività o per riduzione di personale210.
Una precisazione va fatta con riguardo ai contratti
a finalità formative, perché in queste ipotesi secondo i
giudici, è necessario consentire una proroga del contratto di durata pari al periodo di sospensione per consentire l’assolvimento degli obblighi formativi211.
contra v. Cass. 1.06.1988, n. 3725, in Notiz. giur. lav., 1988,
507. Per il diritto ai premi aziendali ancorati all’anzianità di
servizio v. Cass., 29.4.1997, n. 3719, in Mass. giur. lav.,
1997, 392.
206
Cass., 5.1.2001, n. 96, in Notiz. giur. lav., 2001, 302.
207
Cass., 13.4.1999, n. 3635, in Orient. giur. lav., 1999, I,
328.
208
Cass., 12.4.1985, n. 2416, in Giur. civ., 1985, I, 2213,
con nota di MOSCA.
209
Cass., 3.3.2001, n. 3112, in Giust. civ., 2001, I, 1514;
Cass., 5.05.1994, n. 4353, in Giust. civ. Mass., 1994, 612;
Trib. Milano, 21.3.1995, in Orient. giur. lav., 1995, I, 498.
210
Cass., 13.8.1997, n. 7558, in Giust. civ. Mass., 1997, 2,
1415.
211
Cass., 5.10.2006, n. 21396, in Riv. it. dir. lav., 2007, II,
608, con riferimento ad un lavoratore che aveva chiesto l’aspettativa ex art. 31 St. lav. per funzioni pubbliche elettive,
avendo assunto la carica di sindaco.
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