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Charlotte Perriand e il fotomontaggio | Doppiozero
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Charlotte Perriand e il fotomontaggio
Anna Chiara Cimoli (/users/acimoli)
Il supermercato Monoprix si trova appena fuori dal centro di Arles, in una periferia uguale a
molte altre. Passando fra scaffali di detersivi e di quaderni (saremo nel posto giusto?), si sale al
primo piano. Qui, in un enorme spazio vuoto illuminato da neon industriali, è allestita la mostra
dedicata ai fotomontaggi monumentali progettati dall’architetta e designer francese Charlotte
Perriand (1903-99).
Fra i visitatori dei Rencontres de la Photographie di Arles non siamo in molti a spingerci fin qui:
confortati dalla prossimità delle mostre nelle vie del centro storico, o ipnotizzati dal neonato
edificio della Fondation Luma progettato da Frank Gehry, i più si arrendono alla fatica e al caldo.
Ma è un peccato: la mostra mette in luce una pagina breve ma folgorante della produzione di
Perriand e, in filigrana della riflessione sull’uso politico della fotografia alla vigilia della seconda
guerra mondiale. È una mostra bellissima, sia per i materiali esposti che per l’allestimento, sia
per la domanda da cui muove che per lo stile con cui cerca le risposte; splendido è anche il
catalogo, con contributi brevi e accessibili, ma sempre profondi.
I tre fotomontaggi monumentali che costituiscono l’oggetto della mostra sono quello per la III
Exposition de l’habitation al Salon des arts ménagers di Parigi (1936), per la sala d’attesa del
Ministero dell’agricoltura di rue de Varenne (1936) e per il Pavillon de l’agriculture all’Exposition
internationale des arts et des techniques de la vie moderne (1937).
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Al momento di questi incarichi, Perriand ha al suo attivo, oltre alla formazione nell’atelier del
pittore André Lhote, alla collaborazione con Le Corbusier e alla passione per la fotografia, una
militanza politica che la distanzia dall’origine familiare borghese e dai primi incarichi nel mondo
del lusso. Mai tradotta nell’iscrizione a un partito, questa militanza è sostanziata dalla formazione
marxista presso l’Université ouvrière, dai viaggi in Russia degli anni ’30 e dalla partecipazione a
gruppi di intellettuali progressisti, come l’AEAR-Association des écrivains et artistes
revolutionnaires (vi incontra i fotografi André Kollar e Nora Dumas, ai cui scatti attingerà nella
composizione dei fotomontaggi murali), l’UAM-Union des artistes modernes, di cui è
cofondatrice, e i CIAM-Congrès internationaux d’architecture moderne.
Nella cultura politica di Charlotte Perriand è innestata, intimamente, quella visiva dei
pronunciamenti di artisti sovietici quali Aleksandr Rodčenko ed El Lissitszky, di muralisti
messicani quali Gabriel Orozco e Diego Rivera, di Fernand Léger, che sarà partner nel progetto
per l’Exposition internationale del ’37; ma sono presenti anche le derive più graffianti e scomode
del dada tedesco (Hannah Höch, John Heartfield), del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Herbert
Bayer), del movimento moderno italiano (Luciano Baldessari, Marcello Nizzoli, Giuseppe
Terragni e altri).
Arte come manifesto da incorporare nei muri perché parli alla città, politica come messaggio per
l’azione, educazione popolare come strumento per la trasformazione: l’immediatezza propria
della fotografia si sposa, nella produzione di Perriand, con la grande dimensione. A differenza dei
tabloid e della stampa agit-prop che ne costituisce il modello, infatti, i suoi fotomontaggi parietali
non richiedono un avvicinamento fisico, una lettura di dettaglio: anzi, respingono il corpo a una
distanza che sconsiglia la contemplazione individuale per suggerire la partecipazione a uno
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sguardo collettivo. La stanza, o l’ambiente espositivo, diventa una porzione di città dai muri
parlanti, palpitanti. Immagini, spezzoni di frasi, grafici, mappe: i segni verbo-visivi si mescolano e
si potenziano a vicenda. Laddove resta una campitura vuota, il colore è protagonista. Da questa
grammatica nascono palinsesti assertivi, provocatori, gioiosi: Avant de la vie, la frase della
canzone divenuta motto del Front populaire, campeggia sul fotomontaggio del ’36.
Gli archivi Perriand restituiscono solo in parte la dinamica della cucina progettuale: ci sono
faldoni di ritagli (sia di sue fotografie che di scatti di agenzie quali Alliance Photo, Le Jour, Wide
World, General Picture e altre), lastre fotografiche, e poco di più. Gli scatti che confluiscono nei
fotomontaggi sono spesso scelti da quotidiani quali Paris-Soir o da periodici come Vu o Voilà. Il
lavoro di curatela, in capo a Damarice Amao in collaborazione con Sébastien Gokalp e gli archivi
Charlotte Perriand, è dunque soprattutto ricostruttivo. La componente “investigativa” – che
attiene alla ricostruzione delle fonti e dei modi di selezione degli scatti – viene sciolta in una
dimensione aperta e interrogativa, disponibile a futuri affondi. I documenti d’archivio, portati in
mostra, vengono interpolati con informazioni di contesto, riviste, manifesti, scatti dei
fotogiornalisti coinvolti dalla progettista e ricostruzioni 1:1 di alcuni fotomontaggi (bello vedere i
bambini aggirarsi con curiosità negli spazi della mostra: sempre un buon indicatore).
Si tratta di progetti a molte mani, in cui l’autorialità si scioglie nella dimensione del collettivo:
Perriand garantisce la progettazione d’insieme e la calibrazione dei contenuti, con un ruolo da
art-director, mentre altri si occupano di volta in volta della ricerca d’archivio e della
composizione grafica.
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Nel primo progetto, quello per l’Exposition de l’habitation, commissionato dalla rivista
L’Architecture d’Aujourh’hui, Perriand collabora con Jean Bossu, Émile Enci, Jacques Woong e
Georges Pollack. La richiesta iniziale era quella di lavorare sul tema delle case di abitazione a
prezzi calmierati, e in particolare sulle cellule “minime” di 3x4 m: ma all’architetta non interessa
progettare moduli-tipo. Decide dunque di impaginare una partitura interdisciplinare, che leghi
urbanistica, economia e storia, alludendo alle tappe dello sviluppo della città di Parigi dal nucleo
originario dell’Île de la Cité ai boulevards di Haussmann, e oltre.
Nasce dunque, grazie all’impaginazione di André Hernant, La grand misère de Paris, un
tracciato complesso entro cui i temi si intrecciano in modo evocativo. Se si può constatare
un’organizzazione dei materiali che ne favorisce la leggibilità (da sinistra a destra e dall’alto in
basso, su due registri appena accennati), la dimensione attribuita a ogni “quadro”, il gioco degli
ingrandimenti, il continuo spostamento del punto di vista fotografico negano la linearità della
lettura: se fosse musica, sarebbe un tappeto sonoro continuo e indistinto punteggiato da accenti
secchi. “Fui tacciata di comunismo. Nessuna medaglia, né d’oro né d’argento!”, ricorda la
progettista nella sua autobiografia Une vie de création (1998). “Ma ero in uno stato di diritto e
conservavo la mia libertà di pensare e di esprimermi”.
Libertà che si esprime di lì a poco nella sala d’attesa del Ministero dell’agricoltura, edificio del
XVIII secolo in cui si decide con gesto iconoclasta di sostituire le tappezzerie di broccato con
enormi fotomontaggi.
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L’invito viene dal ministro, Georges Monnet, affiancato dal suo consigliere Philippe Diolé,
caporedattore della rivista Beaux-Arts. La necessità immediata è quella di comunicare l’impegno
del Front Populaire in termini di politiche agricole, e in particolare la legge sull’Office du blé
votata nel mese di agosto del ’36, che regola il prezzo e il commercio del grano. Perriand
impagina un fraseggio dialettico molto chiaro: su una parete le dure condizioni di vita dei
contadini, su quella prospiciente un futuro radioso (costruzione di strade, elettrificazione,
distribuzione dell’acqua…), a collegarle i benefici attesi dalla legge (giusto salario e welfare).
Perriand risolve la necessità della compresenza di immagini monumentali e memorabili con
elementi documentari e statistici più asciutti riservando a quest’ultimi la fascia inferiore, ad
altezza d’occhio.
La collaborazione con il Ministero continua in occasione dell’Exposition Internationale del ’37. Il
padiglione dedicato all’agricoltura si trova presso il Bois de Boulogne, a Porte Maillot. Qui il
“diorama” di Perriand e Léger, posto all’ingresso, si può sviluppare con respiro largo: con i suoi
40 metri di diametro, si articola in 18 fotomontaggi che ribadiscono gli obiettivi di sviluppo
economico e tutela sociale del Front populaire. Le panchine al centro mimano la modalità di
visione degli antichi panorami dipinti: la vista a 360 gradi immerge in un palinsesto segnico
continuo, senza inizio né fine, come un moderno carrousel. Anche qui, senza radicali
trasformazioni lessicali rispetto al passato, Perriand lavora sull’inserimento di brevi frasi-slogan
entro la partitura visiva, in parte nata da fotografie commissionate ad hoc.
I fotomontaggi di Perriand non hanno, forse, la raffinatezza e la sottile calibrazione di quelli di un
Bayer o Moholy-Nagy; hanno tuttavia, strabordante, il senso dell’urgenza, la volontà
comunicativa, la fiducia nella condivisibilità del messaggio. Quello che soprattutto li caratterizza
è il sentimento spaziale e tridimensionale: si differenziano da altri esperimenti contemporanei,
come i grandi murales di Léger, perché riflettono sullo spazio nella sua dimensione
architettonica, e non solo sulla parete-foglio. Sono il libro, non la pagina.
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È propaganda allo stato puro: assertiva e solare, a gola spiegata. Ma di lì a poco inizia la guerra:
per due anni in Giappone, poi per quattro in Indocina, Perriand si nutre di altre forme, di altri
sguardi. Tornata in Francia nel 1946, sempre più critica verso l’ideologia comunista, continuerà a
interloquire fino alla fine con il mezzo fotografico tanto nelle sue pubblicazioni quanto negli
allestimenti e nelle architetture. Resta sempre viva la domanda del ’37, evocata nell’autobiografia
pubblicata un anno prima della morte: “C’è fra questi uomini e la terra che arricchiscono del loro
savoir-faire un rapporto amoroso, palpabile nella bellezza delle colture, dell’aratura, un’arte che,
si può dire, andrebbe considerata al pari dell’economia, un’arte necessaria come quella di un
pittore, di un musicista o di un poeta. Il problema resta: come vogliamo vivere?”.
Charlotte Perriand. Politique du photomontage, Rencontres de la Photographie, Arles, 14 luglio26 settembre 2021.
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Catalogo a cura di Emmanuelle Kouchner e Damarice Amao, Actes Sud, Parigi 2021, 39 euro, ISBN: 9782330150570.
19 settembre 2021
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