- Anna Chiara Cimoli is a museologist and cultural mediator based in Milan. At present (starting March 2021) she works ... moreAnna Chiara Cimoli is a museologist and cultural mediator based in Milan. At present (starting March 2021) she works as lecturer in History of Contemporary Art at the Università degli Studi of Bergamo. After graduating in Art History, she earned a diploma in Museology at the Ecole du Louvre in Paris and a Ph.D. in History of Architecture from the Polytechnic of Turin. She has been an associate of ABCittà since 2001. In this context, she designs experimental projects aimed at audience development, social inclusion and a more layered representation of cultural diversities. Her focus is expecially on migration and “otherness”. She has been teaching Italian to the immigrants for 20 years and her knowledge stems mainly from this hands-on, in-the-field experience. In 2012-14, she has collaborated as a free-lance researcher at the MeLa* Project-European Museums in an age of migrations, within the Polytechnic of Milan research unit. She has taught Social History of Art, as well as Museum mediation at the State University in Milan (2016-21). She has published extensively in the field of the relationship between museums and society.
Anna is the editor of the blog "Museums and Migration" (with Maria Vlachou) and co-director of the online magazine roots§routes (with Giulia Grechi and Viviana Gravano).edit
Il bar Craja, progettato nel 1930 da Luciano Baldessari con Luigi Figini e Gino Pollini e con interventi artistici di Fausto Melotti e Marcello Nizzoli, è passato alla storia come un locale-laboratorio dal sapore quasi mitico, capace di... more
Il bar Craja, progettato nel 1930 da Luciano Baldessari con Luigi Figini e Gino Pollini e con interventi artistici di Fausto Melotti e Marcello Nizzoli, è passato alla storia come un locale-laboratorio dal sapore quasi mitico, capace di chiamare a raccolta le menti più creative della Milano dell’epoca. A pochi passi dal Teatro alla Scala e dalla Galleria del Milione, il Craja – sulla scia del Cabaret Fledermaus di Vienna, del Cabaret Voltaire di Zurigo o del Café L’Aubette di Strasburgo – rappresentava un incubatore di idee di futuro, anche e soprattutto sotto il fascismo.
Da questa “stazione planetaria”, che si proponeva come alternativa razionalista e antiborghese ai più paludati caffè storici del centro cittadino, sono passati Marinetti e Persico, Toscanini e de Sabata, Sarfatti e de Chirico, i pittori chiaristi e il gruppo di “Campo Grafico”, formando schieramenti a tratti inconciliabili, altre volte cautamente dialoganti. “L’arte ci veniva rivelata per aspetti nuovi, impensati, fino a quel momento sconosciuti. C’era qualcosa di profondamente consapevole, di scopertamente vivo, di grandemente umano. Tutti disperati d’amore e di passione, insofferenti, anarchici”: così ricordava lo scultore Luigi Broggini.
Il mémoir scritto dalla figlia dei proprietari, Enrica Craja, restituisce la variegata gamma dei toni di voce che nelle lunghe serate si sovrapponevano, a volte litigando furiosamente, altre intrecciando alleanze creative. A questo racconto, che ha il retrogusto struggente di una gioventù tanto individuale quanto collettiva, si giustappone una raccolta di testi commissionati dalla stessa Enrica agli artisti che avevano frequentato il locale, a comporre una pagina inedita e preziosa della cultura milanese del Novecento.
Da questa “stazione planetaria”, che si proponeva come alternativa razionalista e antiborghese ai più paludati caffè storici del centro cittadino, sono passati Marinetti e Persico, Toscanini e de Sabata, Sarfatti e de Chirico, i pittori chiaristi e il gruppo di “Campo Grafico”, formando schieramenti a tratti inconciliabili, altre volte cautamente dialoganti. “L’arte ci veniva rivelata per aspetti nuovi, impensati, fino a quel momento sconosciuti. C’era qualcosa di profondamente consapevole, di scopertamente vivo, di grandemente umano. Tutti disperati d’amore e di passione, insofferenti, anarchici”: così ricordava lo scultore Luigi Broggini.
Il mémoir scritto dalla figlia dei proprietari, Enrica Craja, restituisce la variegata gamma dei toni di voce che nelle lunghe serate si sovrapponevano, a volte litigando furiosamente, altre intrecciando alleanze creative. A questo racconto, che ha il retrogusto struggente di una gioventù tanto individuale quanto collettiva, si giustappone una raccolta di testi commissionati dalla stessa Enrica agli artisti che avevano frequentato il locale, a comporre una pagina inedita e preziosa della cultura milanese del Novecento.
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Progettare in termini teatrali voleva dire, per Luciano Baldessari, pensare in movimento: traiettorie, scorci, chiaroscuri animano i suoi volumi, che si tratti di scene teatrali vere e proprie o di interni domestici, di allestimenti per... more
Progettare in termini teatrali voleva dire, per Luciano Baldessari, pensare in movimento: traiettorie, scorci, chiaroscuri animano i suoi volumi, che si tratti di scene teatrali vere e proprie o di interni domestici, di allestimenti per mostre d'arte o di padiglioni industriali. Che cosa c'è là in fondo? Che cosa sta nascosto fra le quinte? Quale sorpresa dietro la curva, oltre l'angolo, in cima alla scala?
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Nell’immaginario comune le didascalie sono strumenti scientifici per eccellenza, precisi e definitivi. In verità si tratta di atti interpretativi, situati nel tempo e nello spazio, imperfetti e provvisori. La museologia recente ci parla... more
Nell’immaginario comune le didascalie sono strumenti scientifici per eccellenza, precisi e definitivi. In verità si tratta di atti interpretativi, situati nel tempo e nello spazio, imperfetti e provvisori. La museologia recente ci parla infatti di didascalie critiche, “polivocali”, sempre più attente all’accessibilità e alla presa in conto di punti di vista e sensibilità diverse.
Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia?
Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia?
Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
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Questo libro raccoglie le voci di chi ha fatto una scommessa: la scommessa che il museo, se lo si desidera, può essere uno spazio di crescita e riflessione su di sé e sul mondo, un osservatorio, una lente attraverso cui guardare alla... more
Questo libro raccoglie le voci di chi ha fatto una scommessa: la scommessa che il museo, se lo si desidera, può essere uno spazio di crescita e riflessione su di sé e sul mondo, un osservatorio, una lente attraverso cui guardare alla complessità che circonda la vita di tutti, e quella degli adolescenti in particolare. Il museo può essere tante cose che la scuola, per sua natura, non è: uno spazio di educazione informale in cui i tempi si dilatano, i silenzi sono ammessi e persino coltivati, le domande sono più importanti delle risposte, il corpo trova un suo agio.
Vero è che non basta esporre il pubblico degli adolescenti alle collezioni, per contatto: è utile una mediazione sensibile, progettata a partire dalle domande di quei visitatori, dai loro bisogni, urgenze e curiosità. I metodi, dunque, sono al centro di questo volume: metodi di traduzione, avvicinamento, contenimento. E, a monte, metodi di progettazione per gli operatori – curatori, educatori, esperti di interpretazione, allestitori e così via – chiamati a rinnovare il proprio sguardo e linguaggio.
Il volume nasce dall’esperienza di “Che cosa vedi?”, uno strumento di mediazione fra pari progettato da un liceo lombardo presso il Museo del Novecento di Milano. Intorno a quella esperienza si coagulano criticamente le voci di altri operatori culturali che si interrogano sui visitatori adolescenti: le voci di Alessio Bertini (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Federica Pascotto (Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia), Lorena Giuranna (Museo MA*GA, Gallarate), e ancora di Maria Chiara Ciaccheri, esperta di accessibilità (ABCittà/Musei Senza Barriere); Stefano Laffi, sociologo (Codici Ricerca e Intervento) e di Franca Zuccoli, ricercatrice universitaria (Università degli Studi di Milano-Bicocca).
Ne emerge un quadro di grande vitalità, in cui gli adolescenti non si accontentano di essere visitatori “qualunque”, ma diventano protagonisti di un momento cruciale della loro formazione.
Vero è che non basta esporre il pubblico degli adolescenti alle collezioni, per contatto: è utile una mediazione sensibile, progettata a partire dalle domande di quei visitatori, dai loro bisogni, urgenze e curiosità. I metodi, dunque, sono al centro di questo volume: metodi di traduzione, avvicinamento, contenimento. E, a monte, metodi di progettazione per gli operatori – curatori, educatori, esperti di interpretazione, allestitori e così via – chiamati a rinnovare il proprio sguardo e linguaggio.
Il volume nasce dall’esperienza di “Che cosa vedi?”, uno strumento di mediazione fra pari progettato da un liceo lombardo presso il Museo del Novecento di Milano. Intorno a quella esperienza si coagulano criticamente le voci di altri operatori culturali che si interrogano sui visitatori adolescenti: le voci di Alessio Bertini (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Federica Pascotto (Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia), Lorena Giuranna (Museo MA*GA, Gallarate), e ancora di Maria Chiara Ciaccheri, esperta di accessibilità (ABCittà/Musei Senza Barriere); Stefano Laffi, sociologo (Codici Ricerca e Intervento) e di Franca Zuccoli, ricercatrice universitaria (Università degli Studi di Milano-Bicocca).
Ne emerge un quadro di grande vitalità, in cui gli adolescenti non si accontentano di essere visitatori “qualunque”, ma diventano protagonisti di un momento cruciale della loro formazione.
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Sottratta a quel cono d'ombra in cui la sua intima coerenza e il riserbo del suo protagonista rischiavano di relegarla, la vicenda artistica dello scultore meratese Giuseppe Mozzanica (1892-1983) viene qui raccontata per la prima volta.... more
Sottratta a quel cono d'ombra in cui la sua intima coerenza e il riserbo del suo protagonista rischiavano di relegarla, la vicenda artistica dello scultore meratese Giuseppe Mozzanica (1892-1983) viene qui raccontata per la prima volta. L'amore intransigente per la realtà, lo studio accanito della natura, la fedeltà totale al vero ne costituiscono le note salienti: una vera e propria fede, oltre che un modo di guardare.
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“Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum in Milan, in “Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, numero monografico su “Creative dialogue with... more
“Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum in Milan, in “Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, numero monografico su “Creative dialogue with the city. Artistic revitalization of public space”, n. 17, vol. 375, 2022, pp. 61-72, online.
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The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnographie du Trocadéro, later Musée de l’Homme, in Paris. Analysing the scholar’s contribution, in particular the method she adopted during her... more
The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnographie du Trocadéro, later Musée de l’Homme, in Paris. Analysing the scholar’s contribution, in particular the method she adopted during her fieldwork in Algeria among the Amazigh populations and its subsequent impact on the museum, the essay brings to light not only a half-forgotten profile, but also a relevant page in the history of the Musée de l’Homme. The analysis develops around the themes of gender, distance/proximity to the object of study, and adherence or non-adherence to a normativity imposed from above in the strongly hierarchical structure of the museum. What emerges is the figure of an ethnographer who entrusts relationships and imaginative power with the ability to understand and represent a culture. The collection of photographs, the letters, and the album of the ‘dessins indigènes’ show how her practice was not at odds with an unobjectionable scientific rigour. The long years in a psychiatric hospital, however, also suggest a reflection on the boundaries between truth and fiction, the relationship between sight and mental health, the impact of war and much more to be explored.
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For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of rewriting its labelling apparatus. It has done so by conducting a series of interrelated actions aimed at the adoption of a more inclusive... more
For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of rewriting its labelling apparatus. It has done so by conducting a series of interrelated actions aimed at the adoption of a more inclusive approach and the resurfacing of silenced stories and points of view, in particular with respect to gender and sexual orientations. The article critically analyzes the process, highlighting the methodology, as well as the change at the level of internal organization and impact on audiences.
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A reflection upon the paradigm shift in social museology, in the aftermath of BLM and other political protests against marginalisation and racialisation.
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La relazione di amicizia fra Carla Marzoli e Fernanda Wittgens, cementata dall'attivismo politico e culturale, viene analizzata attraverso fonti d'archivio e testimonianze orali di chi ha conosciuto e frequentato la libreria La Bibliofila... more
La relazione di amicizia fra Carla Marzoli e Fernanda Wittgens, cementata dall'attivismo politico e culturale, viene analizzata attraverso fonti d'archivio e testimonianze orali di chi ha conosciuto e frequentato la libreria La Bibliofila di via Manzoni, cenacolo di artisti e letterati dell'immediato dopoguerra. Sullo sfondo la Resistenza, l'aiuto agli ebrei e poi ai reduci di guerra, l'attività di ricerca mai interrotta nonostante la carcerazione (per Wittgens) e le difficoltà del periodo bellico (per Marzoli). Una sezione dell'articolo è dedicata alla progettazione della libreria, opera giovanile di Renzo Mongiardino.
Research Interests: Cultural Studies, Visual Studies, Cultural Heritage, Visual Culture, Museología, and 8 moreItalian fascism, Storia Dell'Architettura, Storia Dell'Arte Contemporanea, Storia Della Critica D'Arte, Museums Studies, Storia Dell'Architettura Contemporanea, Storia di Milano, and Architettura italiana del Secondo Dopoguerra
Una riflessione su tre fotomontaggi murali curati da Charlotte Perriand negli anni Trenta, a partire dalla mostra allestita ai Rencontres de la Photographie di Arles.
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Inclusion is a slippery concept: in the end, who includes whom? In a globalized world, who is entitled to welcome others, therefore stressing their “otherness”? We all are “others” to someone, hence our uniqueness as human beings as well... more
Inclusion is a slippery concept: in the end, who includes whom? In a globalized world, who is entitled to welcome others, therefore stressing their “otherness”? We all are “others” to someone, hence our uniqueness as human beings as well as cultural subjects. Museums have always been, since their very birth, the home of the unusual, the diverse, therefore the interesting. Homeliness is not in the museum’s dna. So why are cultural institutions of our times still considering cultural diversity as an issue to deal with, rather than their real drive? While we might anticipate intuitively a few answers, the article tries to describe the status quo, at least as far as the Italian institutions are concerned, in terms of the relationship between museums and the dynamic notion of intercultural dialogue, within a social and communicative framework more and more openly characterized by antisemitism, racism, sexism, to name a few. While no happy ending seems to be in view, cultural institutions have the duty to face any form of discrimination through their tools and choices. The ethical questions concerning equality, social justice and representation are more than ever under scrutiny.
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Qualche anno fa, di fronte alla "crisi dei migranti", abbiamo lanciato un blog che si chiama "Museums and Migration". È uno strumento semplice nella forma, che non vive di alcun finanziamento, prodotto in città diverse (Milano e Lisbona).... more
Qualche anno fa, di fronte alla "crisi dei migranti", abbiamo lanciato un blog che si chiama "Museums and Migration". È uno strumento semplice nella forma, che non vive di alcun finanziamento, prodotto in città diverse (Milano e Lisbona). Quando abbiamo inaugurato il blog non ci conoscevamo di persona: ci siamo reciprocamente "riconosciute" online intorno a temi e battaglie di comune interesse sul ruolo sociale della cultura, sulla museografia radicale, su un più vasto concetto di accessibilità.
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Recensione di "Con mano che vede" di Claudio Ballestracci, Panozzo Editore.
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Nel settembre 1951, la Triennale di Milano fu il teatro di una performance d’eccezione, con Le Corbusier nel ruolo di un protagonista. Il tema in discussione riguardava le proporzioni nelle arti e il discussant di primo piano era Rudolf... more
Nel settembre 1951, la Triennale di Milano fu il teatro di una performance d’eccezione, con Le Corbusier nel ruolo di un protagonista. Il tema in discussione riguardava le proporzioni nelle arti e il discussant di primo piano era Rudolf Wittkower. Se, per lo storico, l’ordine matematico doveva continuare a essere alla base dell’arte, per Le Corbusier tutti i corollari del sapere esoterico celati dentro la questione della ‘divina’ proporzione erano ormai cose morte: contro i ‘miracoli della geometria’, propone la nuova idea dello ‘spazio indicibile’. Il convegno naufraga sulle sue stesse premesse; ma la teatralizzazione delle opzioni mette in luce il disagio dell’architettura a fronte di ogni rigidita normativa: l’impossibilita di una teoria che non tenga conto della realta del corpo, dunque del grottesco e della materialita come fondamenti della ricerca
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Il rapporto fra i musei e il concetto di empatia è divenuto sempre più centrale nelle politiche museologiche contemporanee. Eppure è un tema antico, tornato poi in auge alla fine dell’Ottocento. Ma perché è oggetto di discussione adesso?... more
Il rapporto fra i musei e il concetto di empatia è divenuto sempre più centrale nelle politiche museologiche contemporanee. Eppure è un tema antico, tornato poi in auge alla fine dell’Ottocento. Ma perché è oggetto di discussione adesso? È solo uno slogan, o piuttosto un bisogno profondo? E in che modo i musei possono far riferimento all’empatia per contrastare i pregiudizi e gli stereotipi?
In questo articolo parto dal presupposto che il tratto comune e fondante di molte esperienze che ruotano intorno al concetto di empatia, e loro requisito fondamentale, sia la presenza del corpo, la messa in gioco di persona, non delegabile. Di più. L’empatia è in sé un concetto profondamente corporeo: non esiste senza un moto fisico, un gioco di rispecchiamento che chiama in causa innanzitutto il corpo. In particolare, lo sguardo e il contatto sono centrali nelle pratiche (anche quelle museali) fondate sull’empatia, e ne costituiscono il punto di forza e di innovazione rispetto al “please don’t touch”, il classico mantra museale.
In questo articolo parto dal presupposto che il tratto comune e fondante di molte esperienze che ruotano intorno al concetto di empatia, e loro requisito fondamentale, sia la presenza del corpo, la messa in gioco di persona, non delegabile. Di più. L’empatia è in sé un concetto profondamente corporeo: non esiste senza un moto fisico, un gioco di rispecchiamento che chiama in causa innanzitutto il corpo. In particolare, lo sguardo e il contatto sono centrali nelle pratiche (anche quelle museali) fondate sull’empatia, e ne costituiscono il punto di forza e di innovazione rispetto al “please don’t touch”, il classico mantra museale.
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in Federica Sossi (a cura di), Immaginare la storia. Abbecedario del colonialismo italiano, Ombre corte, Verona 2023, pp. 141-159.
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in Michela Bassanelli, Imma Forino, Luca Lanini e Marco Lucchini (a cura di), "Per una Nuova Casa Italiana. Prospettive di ricerca e di progetto per la post-pandemia", atti del convegno nazionale “Per una Nuova Casa Italiana 2”, a cura di... more
in Michela Bassanelli, Imma Forino, Luca Lanini e Marco Lucchini (a cura di), "Per una Nuova Casa Italiana. Prospettive di ricerca e di progetto per la post-pandemia", atti del convegno nazionale “Per una Nuova Casa Italiana 2”, a cura di DESTEC-Università di Pisa e DAStU-Politecnico di Milano, 15 giugno 2022, Pisa University Press, Pisa 2023, pp. 64-73.
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Atti del convegno presso Politecnico di Milano, 25-26 novembre 2021, a cura di Daniele Villa e Franca Zuccoli, Springer, 2023, pp. 455-464.
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Catalogo della mostra presso Fondazione PInAC, Rezzato (BS), 20 novembre 2021-31 luglio 2022, pp. 28-30.
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Un progetto di Rataplan e ABCittà promosso da Croce Rossa Italiana-Comitato Regionale Lombardia e Museo Internazionale Croce Rossa, con il contributo di Regione Lombardia.
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Un confronto su alcuni progetti di piazze per la città di Milano a partire dalle fonti archiviste del CASVA-Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del Comune di Milano. Il testo è la trascrizione di una tavola rotonda svoltasi al... more
Un confronto su alcuni progetti di piazze per la città di Milano a partire dalle fonti archiviste del CASVA-Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del Comune di Milano. Il testo è la trascrizione di una tavola rotonda svoltasi al Politecnico di Milano il 20 ottobre 2015. Altri intervenuti: Francesco Gnecchi-Ruscone, Mariella Brenna, Pierfrancesco Sacerdoti.
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Riedizione di "From Representation to Participation: The Voice of the Immigrants in Italian Migration Museums", in “The Journal of the Inclusive Museum”, Vol. 6, n. 3, maggio 2014, pp. 111-121).
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Questions of restitution are key to the attainment of social justice for marginalised communities. Crucial to this conversation are the debates around the restitution of human remains, and objects or artworks removed during colonial or... more
Questions of restitution are key to the attainment of social justice for marginalised communities. Crucial to this conversation are the debates around the restitution of human remains, and objects or artworks removed during colonial or nationalist projects. In this context, the history of slavery in particular is deeply entangled with the formation of archives and museum collections in both the US and North America. Of central concern to questions of restitution are also silenced narratives, whether exceptional or commonplace, and the multiplicity of archives where ritual, religious, cultural, political and anthropological matters are deeply entangled.
In the face of clear demands advanced by those who were formerly colonized and continue to be marginalized, deceived, and blackmailed, the amnesia of cultural institutions has never greater. Even when cultural institutions engage with the restitution of contested heritages, how can we ensure such practices don’t reinforce neo-colonial ideologies?
In the face of clear demands advanced by those who were formerly colonized and continue to be marginalized, deceived, and blackmailed, the amnesia of cultural institutions has never greater. Even when cultural institutions engage with the restitution of contested heritages, how can we ensure such practices don’t reinforce neo-colonial ideologies?
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How do you look when there’s nothing left to move? The title of Yvonne Rainer’s performance (2015, Getty Museum and MoMA) in Italian has a beautiful ambiguity between the action of looking and that of appearing in someone else’s eyes.... more
How do you look when there’s nothing left to move? The title of Yvonne Rainer’s performance (2015, Getty Museum and MoMA) in Italian has a beautiful ambiguity between the action of looking and that of appearing in someone else’s eyes. When there is nothing left to move, here we remain ourselves in our bodies: seemingly passive, yet perfectly receptive. The relationship between gaze, comprehension and movement, investigated by neuroscience, remains marginal in the field of education, often because of the spatial conformation of the places that host educational relationships; but also because of the training of teachers, because of the implicit assumptions of how one should “teach a lesson”, for questions of proxemics or opportunity. Also, above all, because of a vertical, transmissive and strictly hierarchical conception of education, where the acceptance of the body as a place of the sensitive would introduce variables that are risky for the authority implicit in the didactic architecture. And then: which bodies for which education? Described, evoked, silenced, assimilated, labelled, positioned. And the “others”? Modernity is studded with groups of students/actors/dancers/performers who have tackled the study of visual culture by moving within forms, before designing them: from Hellerau to Monte Verità, passing through the Goetheanum, the Bauhaus and other European avant-gardes, up to the psychogeographical Situationist drifts, to Black Mountain College, to the fertile area of experimentation between art and feminism, to some Italian architecture faculties in the 70s, and beyond.
The present call welcomes contributions on the theme of corporeality in education, and in visual education in particular. It stems from a question that stops being personal when it bounces among many colleagues and solicits stories of experimentation, alliances and possible paradigms. The topics on the table are numerous and intertwined: the status of the body in school, the spaces of education and their consideration of the diversity of bodies, the relationship body-school-museum, the language of bodies and their representation in education, the eye as a body attribute, body consciousness in artistic education, the intersection between performance and museums, the possibility and the criticality of a pedagogy of movement, and much more.
The present call welcomes contributions on the theme of corporeality in education, and in visual education in particular. It stems from a question that stops being personal when it bounces among many colleagues and solicits stories of experimentation, alliances and possible paradigms. The topics on the table are numerous and intertwined: the status of the body in school, the spaces of education and their consideration of the diversity of bodies, the relationship body-school-museum, the language of bodies and their representation in education, the eye as a body attribute, body consciousness in artistic education, the intersection between performance and museums, the possibility and the criticality of a pedagogy of movement, and much more.
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https://www.artribune.com/attualita/2016/09/curatela-ricerca-libro-shelley-ruth-butler-erica-lehrer/
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Review of Domenico Sergi, "Museums, Refugees and Communities", London: Routledge, 2021, paperback £120.00, pp.170.