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Anna Chiara Cimoli “LA INNOCENTE FUCILERIA DELLE NOCCIUOLE”. LE SERATE FUTURISTE DI MILANO “Marinetti è quella cosa che facendo il futurista ogni sera fa provvista di carciofi e di patat” Ettore Petrolini Lanci di ortaggi (le arance che Marinetti prende al volo e sbuccia, serafico, per la rabbia del pubblico); insulti di indiscussa efficacia (“Silenzio, tre volte mascalzone!”; “Taccia lei, tre volte futurista!”); perfetta fusione di arte e vita nelle zuffe che si inseguono per le vie delle città: le “tumultuose serate bisticcianti e cazzottatrici”1 a base di provocazioni, risse e serate al commissariato rappresentano una fra le intuizioni più acute, oltre che più profetiche, del movimento futurista. L’importanza di queste serate per la messa a punto della poetica del movimento è infatti centrale, sebbene solo in tempi relativamente recenti – a parte il delizioso memoriale di Francesco Cangiullo2 e gli appunti di Marinetti e di qualche suo sodale – siano state studiate approfonditamente e fatte emergere in tutta la loro originalità, annodando i fili che le legano alla più generale poetica del teatro futurista e, da qui, all’apparato performativo di cui si sarebbero dotati altri movimenti d’avanguardia come Dada, Espressionismo e Surrealismo3. Il succedersi delle serate futuriste costituisce una sorta di metronomo che segna il ritmo dell’avanzata del movimento lungo la Penisola nei suoi primi e più incisivi anni di vita, e insieme un canovaccio intorno a cui ruotano le principali intuizioni degli artisti che intorno alle serate si danno convegno. L’arte declamatoria, la poesia, il movimento (non ancora danza nelle date che qui si ripercorrono, ma certo organizzazione del corpo nello spazio), l’interlocuzione accesa con il pubblico come forma drammatica, costituiscono altrettanti paragrafi in cui si articola il capitolo della “serata”: che, debitore in partenza del teatro di varietà, finisce per costituire un genere a sé, con caratteristiche affatto irripetibili, caratterizzato, come scrive Giusi Baldissone, da “grande importanza propositiva e teorica”, oltre che da “un impatto fortissimo come provocazione culturale”4. Le serate costituiscono un corpus che andrebbe letto nel suo insieme, una narrazione fluida e continuativa le cui tappe fondamentali vanno, grossomodo, dal 1910 al 1914 (dopo la guerra si aprirà la stagione del teatro sintetico; le “serate” – o matinée – verranno ospitate anche in gallerie d’arte, come quella romana di Sprovieri; nel 1921, poi, partiranno le tournée del Teatro della Sorpresa creato da Cangiullo e Marinetti). Qui, tuttavia, ci concentriamo sulle serate di Milano sia perché sulla città è calibrato questo volume, sia perché gli episodi milanesi costituiscono alcuni fra i momenti maggiormente precoci e lucidi di definizione della “serata futurista” nei suoi tratti più genuini. Se l’esordio è quello del 12 gennaio 1910 al Politeama Rossetti di Trieste, Milano ospita, infatti, alcune fra le provocazioni più riuscite: quelle del 15 febbraio 1910 al Teatro Lirico (sede, anche, dell’azione di disturbo avvenuta due sere dopo), del 16 gennaio e del 21 aprile 1914 al Dal Verme, cui si potrebbero aggiungere, pur nella diversità delle occasioni, la manifestazione interventista del 15 settembre dello stesso anno, sempre al Dal Verme, con un seguito il giorno successivo in Galleria; e, poi, molti altri episodi che non hanno le caratteristiche delle “serate” in senso stretto, ma rappresentano comunque momenti di espressione a cavallo fra interventismo e performance. È il caso, per esempio, della manifestazione del maggio 1915, con i discorsi di Mussolini e di Marinetti sugli scalini del Duomo, oppure di tutto l’interessante capitolo della “cucina futurista”, il cui manifesto esce solo nel 1930 – anno della cena al ristorante milanese Penna d’Oca (15 novembre), cui segue quella alla torinese Taverna del Santopalato (8 marzo 1931; il volume La cucina futurista, firmato anche da Fillia, viene pubblicato l’anno successivo) – che prefigura con largo anticipo la tendenza, tornata in auge negli ultimi anni, a includere a pieno titolo la modalità di preparazione e di consumo del cibo (quello che oggi si chiama “food design”) nell’orizzonte culturale di un’epoca. 1 F. T. Marinetti, La grande Milano tradizionale e futurista. Una sensibilità italiana nata in Egitto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969, p. 104. Il titolo di questo saggio è invece tratto dall’articolo La serata futurista al teatro Dal Verme, in “Corriere della Sera”, 17 gennaio 1914. 2 F. Cangiullo, Le serate futuriste. Romanzo storico vissuto, Editrice Tirrena, Napoli 1930 (II edizione Casa Editrice Ceschina, Milano 1961). 3 Una sintesi viene tentata nel volume di S. Bertini, Marinetti e le “eroiche serate”, Interlinea edizioni, Novara 2002. 4 Dalla presentazione di S. Bertini 2002, op. cit., p. 7. 117 1 2 3 4 1, 2, 3, 4. Tavole tratte dall’opera di F. Cangiullo, “Caffeconcerto”: alfabeto a sorpresa, 1919. 118 Le date delle “serate futuriste”, come vedremo, si intrecciano con la pubblicazione dei primi e più incisivi manifesti nati nello studio di Marinetti: l’andirivieni fra serate e manifesti, fra prassi e sistematizzazione, in un calibrato gioco di rimandi, messe a punto, sperimentazioni, è puntuale e imprescindibile. Dal punto di vista del metodo, le serate si impostano su un canovaccio recitativo predefinito impostato da Marinetti che, dalla sua casa milanese, fornisce indicazioni e assesta qua e là il programma a seconda delle occasioni, come quando, il 15 gennaio 1914, scrive a Cangiullo: “Ti consiglio di fare delle modificazioni nella Serata futurista, dando (al posto di altri, meno futuristi) una grande importanza al carissimo ed enorme Balla. Introduci anche Folgore e D’Alba”5. A partire dalla scaletta impostata da Marinetti, il poeta-declamatore (e, in un secondo tempo, anche il pittore, il musicista ecc.) avrebbe improvvisato un dialogo con il pubblico: pubblico che è condizione necessaria – questa, è chiaro, l’intuizione più sfolgorante – per la costruzione del dramma. Esiste dunque una parte fissa (la declamazione dei testi poetici in base a una sequenza stabilita a priori, preceduta dalla lettura di un testo programmatico) e una zona di aleatorietà, data dalla variabile dell’umore degli ascoltatori. Il fatto, poi, che l’uditorio fosse in alcuni casi scelto, o per meglio dire incoraggiato (per esempio dal prezzo basso dei biglietti, come nella serata del 15 febbraio 19106), fa parte di quella componente di metodo che nulla toglie all’esito ultimo delle serate: la cui imprevedibilità resta, infatti, totale. La scaletta costruita su una sequenza di “numeri”, privi di qualsiasi nesso narrativo fra loro ma legati dalla regìa garantita dallo stesso Marinetti (che, come è noto, aveva alle spalle una ricca esperienza di declamatore, dunque una formazione para-attoriale di tutto rispetto), e la possibilità di una partecipazione attiva da parte del pubblico (non certo con lanci di ortaggi, ma con forme meno aggressive, come per esempio l’accompagnamento canoro) sono elementi propri anche di un tipo di spettacolo di grande successo in quegli anni: il teatro di varietà. Proprio questo genere funge da fonte di ispirazione per Marinetti, che nel 1913 dà alle stampe il Manifesto che porta lo stesso nome (pubblicato su “Lacerba” il 29 settembre e su “Daily Mail” il 21 novembre) in cui si conia la categoria del “meraviglioso futurista”, caratterizzato da: “1. caricature possenti; 2. abissi di ridicolo; 3. ironie impalpabili e deliziose; 4. simboli avviluppanti e definitivi; 5. cascate d’ilarità irrefrenabile; 6. analogie profonde fra l’umanità, il mondo animale, il mondo vegetale e il mondo meccanico; 7. scorci di cinismo rivelatore; 8. intrecci di motti spiritosi, di bisticci, d’indovinelli che servono ad aerare gradevolmente l’intelligenza; 9. tutta la gamma del riso e del sorriso per distendere i nervi”, e così via. Il Manifesto è importante perché mette in evidenza una componente, quella dell’ironia e del desiderio di divertire, spesso lasciata un po’ in ombra dagli studiosi del movimento. Se nel Manifesto dei Drammaturghi futuristi, uscito dalla casa di via Senato l’11 gennaio 1911, i contenuti forti erano il “disprezzo del pubblico”, l’“orrore del successo immediato”, la “voluttà di essere fischiati” e la promozione del verso libero, qui l’accento è sul gusto del comico, sulla sorpresa, sulla mancanza di radici storiche, e, in definitiva, sulla “praticità”. L’abilità dell’improvvisatore – in questo Marinetti è imbattibile, mentre l’irascibile Umberto Boccioni e il manesco Armando Mazza sembrano saper rispondere solo con insulti e ceffoni – consiste nel restare aderente al proprio 5. Ritratto di A. Mazza tratto dal volume di F. Cangiullo ruolo anche in mezzo al lancio di verdure e alla gragnuola di improperi: nel mantenere la propria vis “Le serate futuriste”, 1961. 5 Fondo Francesco Cangiullo, Archivio del Novecento, Museo del Novecento di Milano. Il fondo non è ancora inventariato né consultabile; l’indicazione relativa a questa lettera mi è stata fornita dal personale dell’ente, che ringrazio per la collaborazione. 6 Come affermato nell’articolo Una serata futurista al Lirico, uscito il giorno successivo sul “Corriere della Sera”, in cui si legge che “i prezzi erano così bassi che moltissimo spettatori non han pagato niente”. 119 6. F. T. Marinetti, F. Cangiullo, “Dinamismo di una serata futurista”, 1914 olio e collage su tavola, cm 60x50 (Rovereto, MART). senza rinunciare a quella singolare eleganza che, impeccabile nel suo stiffelius, Marinetti comunica in ogni sua uscita. Proprio nella tensione fra seriosità dei propositi enunciati/autorevolezza della presenza scenica/letterarietà dei testi da un lato, e disponibilità a rispondere alle provocazioni/battuta pronta/calata fragorosa fra il pubblico dall’altro, si incunea la componente ludica e ironica. Chi esprime – più o meno consapevolmente – questa frizione, in ciò soddisfacendo perfettamente le aspettative marinettiane, sono i giornalisti dei quotidiani, che descrivono le serate scegliendo il tono della cronaca mondana e aneddotica, o peggio ancora dell’indignazione. Pur nell’odio viscerale di Marinetti verso questi giornalisti7, non si può negare che è solo grazie alle loro cronache, un po’ provinciali e macchiettistiche, che le serate ci sono state consegnate anche come grande kermesse popolare, perfettamente in linea con la matrice francese ben nota al loro ideatore e con i propositi espressi nel manifesto del 1913. Caratteristica centrale delle serate futuriste milanesi – nonché indice del loro successo, dal punto di vista programmatico – è la forza propulsiva che le scaraventa fuori dal teatro e le proietta nelle strade della città notturna. La scelta di sedi “tradizionali” per innescare le micce della provocazione (sia il Lirico che il Dal Verme rientrano in questa categoria, avendo spesso in cartellone le grandi compagnie dell’epoca, che richiamavano un pubblico non certo amante dello sperimentalismo) è del tutto funzionale a tale direzionalità dal dentro al fuori: che è poi, anche, dalla selettività del biglietto d’ingresso alla democraticità dello “spettacolo per tutti”; dalla frontalità del palcoscenico alla circolarità del luogo pubblico e, dunque, dalla separazione attori-pubblico alla zuffa che rende tutti protagonisti, purché desiderosi di menare le mani e capaci di insulti pittoreschi. I tre aspetti ora evocati – la scaletta impostata su una catena di episodi autonomi; l’intento di divertire; la scelta di muoversi in ambiti “popolari” – riecheggiano il contesto in cui era avvenuto il battesimo poetico di Marinetti, ovvero quei Samedis populaires promossi da Catulle Mandès e Gustave Kahn, nell’ambito dei quali Sarah Bernhardt aveva letto il componimento in versi liberi Les viex marins, pubblicato nel 1898 sull’“Anthologie-Revue”. In questo episodio, tappa fondamentale della formazione e dell’affermazione di Marinetti, affondano le proprie radici le serate futuriste. 7 Si veda, per esempio, il giudizio espresso in F. T. Marinetti 1969, op. cit., p. 102: “Il ‘Corriere della Sera’ centrale severa del Grigio e del Conservato per Sempre dopo una serie di articoli per catalogarmi pazzo furioso e pericolo nazionale dà il compito di denigrarmi come pornografo al suo redattore Ettore Janni che pur mi aveva esaltato nel quotidiano ‘La Lombardia’ quale abile esperto introduttore del simbolismo francese in Italia”. 120 Teatro Lirico, 15 febbraio 1910 La serie delle serate futuriste, lo abbiamo accennato, ha inizio il 12 gennaio 1910 al Politeama Rossetti di Triste, dove già nel marzo del 1909 Marinetti aveva tenuto un discorso politico. Qui si enuncia per la prima volta il brogliaccio che man mano si codificherà, diventando uno schema-tipo passibile di variazioni, ma di fatto fisso nelle componenti fondamentali: Marinetti introduce la serata e lascia il posto alla lettura del Manifesto del Futurismo, compiuta da Armando Mazza (passato alla storia soprattutto per la possanza dei suoi bicipiti, capaci di fenomenali scazzottate). Seguono varie declamazioni da opere di Aldo Palazzeschi, Gian Pietro Lucini, Libero Altomare, Paolo Buzzi, Federico De Maria, Corrado Govoni, Marinetti stesso (Ode all’automobile). Secondo quest’ultimo – ma la notizia non pare certa – la serata sarebbe finita in rissa a causa di una provocazione antiaustriaca8. A Milano, qualche settimana dopo, si replica, stavolta con un maggiore e più certificato successo dal punto di vista dell’auspicato scontro con le autorità. Animata da Marinetti, Mazza, Palazzeschi, Zimolo, Carrieri, Sodini e Altomare (assente Sant’Elia perché malato), che declamano brani poetici9, la serata si conclude con l’arresto di Marinetti, Mazza e Zimolo “in una violenta dimostrazione studentesca che agita tutta Milano notturna”10. Zimolo, infatti, aveva declamato un’ode commissionata il giorno prima da Marinetti a Paolo Buzzi e dedicata ad Asinari di Bernezzo, un irredentista deposto dalla carica di generale per tale presa di posizione, venendo fischiato dalle file dei socialisti presenti fra il pubblico. Marinetti, incalzato dal vicequestore che lo accusava di fare politica, e non poesia, aveva concluso la serata al grido di “Abbasso l’Austria!”, grido cui era seguito un “tumulto frastuonante con massa di carabinieri questurini e commissari di polizia e un pugilato per arrestare l’atletico Mazza”11. Nel ricordo di Marinetti, “la folla ci segue in corteo, in Galleria e alla Questura. Innumerevoli capannelli di rissanti in Galleria”12. Secondo il “Corriere della Sera”, impegnato in una costante diminutio, la stessa scena si riduce a “un gruppo di giovinotti” che “aspetta i futuristi che escono dopo pochi minuti e li accompagna, gridando a favore e contro l’irredentismo, fino al Biffi”13. Con questo episodio il genere della serata compie il definitivo strappo con la tradizione della declamazione poetica e intraprende con decisione la strada della provocazione politica. Non senza compiacimento, fra l’altro, Marinetti ricorda come la serata sia stata anche l’occasione di una frattura rispetto alla percezione che i salotti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia milanesi avevano di lui: “...Nei palchi di donna Vittoria Cima Donne Baragiola Crespi Scotti vibrano gli stupori febbrili di tutte le serate e feste da ballo che avevano goduto la compagnia del poeta Marinetti garbato al punto da dirigere una quadriglia e organizzare un veglione [...] Questa sera Marinetti è ben diverso però nello scamiciamento sbraitante della zuffa e degli urli”14. Le cronache dell’epoca declinano diversi atteggiamenti rispetto alle provocazioni futuriste. Il “Corriere della Sera” sceglie il tono della narrazione divertita, registrando ugualmente le affermazioni dei futuristi e le reazioni del pubblico (“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli..., urla il futurista. E una voce: Attenti a non cadere!”), mentre “Il Secolo” esprime una più decisa stroncatura (della poesia Sulle rovine di Messina, di Lucini, l’articolista afferma che “era arte Futurista come io sono cinese, ma non importa”; e dopo aver descritto il tumultuoso esito della serata conclude che “il futurismo è passato, a rimorchio, ma è passato”15). Due sere dopo, il 17 settembre 1910, il Lirico è teatro di un’altra azione futurista, stavolta non sotto forma di serata vera e propria, ma di provocazione da un palco. Durante la declamazione del Castello del sogno di Enrico Annibale Butti a opera di Francesco Pastonchi, Marinetti e compagni gridano la loro insofferenza alla lettura, definita “chiesastica”. Alle proteste del pubblico, Mazza minaccia, incisivo: “Passatisti venite su che vi rompo il culto del passato”. Dopo un poco edificante botta-e-risposta, i futuristi vengono allontanati dal teatro, e anche stavolta lo spettacolo prosegue per strada. Il critico de “Il Secolo” annota: “Fuori dal teatro F. T. Marinetti (angelo scacciato dal paradiso terrestre) attendeva a piede libero i suoi nemici... Mentre la gente sfollava, un certo sig. Bimboni volle comunicargli che fra le arance lanciate il quindici sera sul palcoscenico quella che era riuscita a colpirlo al viso era stata gettata da lui. Il poeta futurista non accettò con gratitudine questo ricordo del passato. Ci furono dunque schiaffi, ingiurie, un’arma estratta dal lanciatore passatista e nuovo intervento della benemerita che separò gli altercanti”16. 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Secondo Simona Bertini, tale provocazione non avrebbe avuto luogo, giacché nessun giornale dell’epoca ne fa menzione. Le poesie declamate sono Sulle rovine di Messina di Lucini, L’orologio di Palazzeschi, Notturno veneziano, Inno alla poesia nuova e Ode ad Asinari di Bernezzo di Buzzi, Olla potrida, Nuotando nel Tevere e Desideri di Altomare, Caino di De Maria, Io e La campana della guerra di Cavacchioli, Sul fiume del tempo di Carrieri. In F. T. Marinetti, Marinetti e il futurismo, Edizioni Augustea, Roma-Milano 1929, p. 24. F. T. Marinetti 1969, op. cit., p. 95. F. Cangiullo 1930, op. cit., p. 93. Una serata futurista al Lirico 1910, op. cit. Ibidem. Una lettura critica delle reazioni della stampa alle serate futuriste milanesi è contenuta nel saggio di G. Lopez La città attorno a lui, in Boccioni a Milano, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, dicembre 1982-marzo 1983), Gabriele Mazzotta editore, Milano 1982, pp. 87-97. I. C., La lettura del “Castello del sogno” al Lirico, in “Il Secolo”, 18 febbraio 1910. 121 Merito principale degli episodi del Lirico è aver attratto al movimento Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, grazie al cui apporto, sancito dalla redazione dei manifesti che si susseguono in quei mesi, il programma delle serate affiancherà alla poesia interventi sulla necessità del rinnovamento nell’ambito delle arti figurative e della musica, contro ogni accademismo e resistenza al nuovo. L’innesto di Boccioni, in particolare, è la carta vincente: “Questi mi si rivela di colpo simpaticissimo genio e generatore di novità”, ricorda Marinetti. Ecco dunque “ormai formato il gruppo dei pittori scultori con Bonzagni Carrà il musicista chimico acquafortista e meccanico Luigi Russolo inventore di sistemi filosofici motori cuoi artificiali strumenti musicali e primi intonarumori”17. Nel giro di poche settimane, il Futurismo esce dalla bolla sociale che lo ha generato e compie il grande balzo della trasversalità, liberandosi dal complesso borghese da cui, lo abbiamo visto, non era immune il suo stesso ideatore. La varietà sociale e politica del pubblico che assiste, più o meno involontariamente, alle provocazioni futuriste – borghesi di mezza età e agitatori; socialisti e nobildonne multicognome con palco fisso – sembra contaminare anche la composizione del gruppo: a un Marinetti, benestante e di ricchi natali, bella casa in centro e amicizie comme il faut, si affianca il povero ed “emigrante” Boccioni, di cui il più fortunato compagno ricorda, con un po’ di paternalismo: “Lo faceva soffrire quella cameretta di appartamentuccio fuori Porta Genova abitato con sua madre e sua sorella costrette a vivere facendo camicie mentre lui offriva invano nei negozi acqueforti e tornato al dialogo solitario col caffè e latte sfogava l’estro alla finestra”18. Teatro Dal Verme, 16 gennaio 1914 Dopo gli episodi milanesi, le serate futuriste intraprendono una tournée che le porta, con variazioni sul tema, in tutta Italia: l’8 marzo 1910 al Politeama Chiarella di Torino; il 20 aprile 1910 al Teatro Mercadante di Napoli (con il famoso intervento di Gemito), il 21 febbraio e poi il 9 marzo 1913 al Teatro Costanzi di Roma (con l’innesto della Musica futurista di Balilla Pratella): occasioni, queste ultime, che vengono considerate i momenti di definitiva cristallizzazione del genere. Nel 1913-1914 viene presentata in diversi teatri Elettricità. Riduzione di Poupées électriques, pubblicato da Marinetti nel 1909, approda il 16 gennaio 1914 al Dal Verme: Milano, dopo circa quattro anni, ha di nuovo una serata futurista. Non che la città non avesse ospitato, fra il 1910 e il 1914, una costellazione di manifestazioni e provocazioni, che a modo loro costituiscono una serie dentro la serie: l’8 ottobre 1910, per esempio, inizia il processo per oltraggio al pudore contro Mafarka le futuriste, che lambisce i toni della performance (“Non appena, dalle prime frasi della lettura i Futuristi ebbero indovinato che il poeta Marinetti era assolto, scoppiò un uragano di applausi. Fu una vera marea di entusiasmo, nella quale l’autore di Mafarka il Futurista, sollevato tra le braccia dei suoi amici, fu portato in trionfo. La folla plaudente accompagnò i futuristi esultanti attraverso le vie centrali di Milano gridando a squarciagola: Viva Marinetti! Viva il futurismo!”19). Nel 1911, alla prima del Cavaliere della Rosa di Strauss alla Scala, i futuristi riempiono il teatro di manifesti in cui dichiarano: “Noi futuristi esigiamo [...] che la Scala, cessando di essere la Pompei del Teatro italiano o la vetrina chiassosa dei grandi editori, faccia in ogni stagione l’esperimento di almeno tre opere di giovani musicisti italiani, audacemente novatori e ancora sconosciuti”. Come ricorda Marinetti, “scoppiano risse nei corridoi, seguite da arresti”20. Ecco, dunque, i futuristi alla serata del gennaio 1914, ben attrezzati teoricamente e in formazione compatta. Lo schema è quello classico, definito lungo le tappe precedenti: introduzione, sequenza di declamazioni poetiche, insulti. Dalle cronache dell’epoca si evince che furono recitati La tempesta, Inno alla morte, Il bombardamento di Adrianopoli ed Elettricità di Marinetti (di quest’ultima pare non si fosse sentito nulla a causa dello strepito generale); L’orologio, Le beghine e La fontana malata di Palazzeschi, I tetti di Govoni. Con Addioooo di Cangiullo si introducono quelle che Marinetti presenta come “le parole libere, estremo punto di lirismo”. Marinetti battibecca col pubblico vaticinando a un suo esponente: “Lei si ucciderà con una bomba di sterco”; minaccia di “recitare una poesia degna di voi: la Vispa Teresa” e insulta le signore che avrebbero perso i “postiches” nella calca per ammirare la Gioconda (esposta a Milano in occasione del suo ritrovamento – dopo il furto a opera di Vincenzo Peruggia – prima di fare ritorno al Louvre). Boccioni interviene alla fine della serata dando al pubblico del “branco di carogne”21. Acidissimo, “Il Secolo” registra un’inversione di ruoli fra pubblico e “attori”: i futuristi spenti e sbiaditi, schiacciati dall’eccesso di volontà di stupire e dal difetto di contenuti; il pubblico niente affatto scandalizzato ma, al contrario, perfettamente attrezzato per gestire da protagonista i tempi e i modi dello spettacolo (“La serata non ha rivelato nulla 17 F. T. Marinetti 1969, op. cit., p. 99. 18 Ibidem, p. 101. A proposito della varietà del pubblico, non senza un sospetto di “arruolamento” da parte dei futuristi, nell’articolo uscito sul “Corriere della Sera” il 16 febbraio 1910 si legge: “Nei palchi e nelle poltrone, fra gente nota, ce n’era di quella mai vista, che evidentemente si lascia commuovere soltanto dalle serate futuriste”. 19 F. T. Marinetti 1929, op. cit., p. 49. 20 Ibidem, p. 53. 21 La serata futurista al teatro Dal Verme 1914, op. cit. 122 7. Teatro Dal Verme (Milano, Civico Archivio Fotografico). 8. Locandina del “Gran Concerto Futurista d’Intonarumori”, Milano, Teatro Dal Verme, 21 aprile 1914 (Milano, Civico Archivio Fotografico). di nuovo nel campo futurista della letteratura, ma ha dimostrato una certa maturità nel pubblico ad accogliere l’idea Marinettiana. Però, come incursione di gente per bene nel campo della cattiva educazione, è stata priva di genialità e di buon gusto. Non un’interruzione opportuna, non un arancio tirato a tempo, nulla di giocondamente ed argutamente bestiale”22). I futuristi, nelle parole del recensore, fanno la figura di poeti decadenti e intimisti: “Qualche volta gli attori si rassegnavano a far conto che il pubblico non ci fosse, e recitavano in forma privata, sotto una lenta pioggia di aranci e carote, ma han dovuto smettere”. Perfino la pioggia di ortaggi – orrore – è definita “lenta”: i futuristi non hanno davvero speranza. L’“Avanti!” parla di un “gettito discreto, temperato ed inoffensivo” e definisce le poesie “placidamente romantiche e di una tenue nostalgia sentimentale”23. Il “Corriere della Sera”, dal canto suo, riferisce di uno “spaziato ma impassibile stillicidio” di ortaggi lanciati sul palco, mentre “ogni tanto nella grande quantità di spettatori si raggrumano dei nuclei rissosi. Qualche produttore di strepiti è malmenato. Le guardie accorrono, minacciano espulsioni ed arresti. Ma invano”. 22 L. L., Marinetti... passatista alle prese con un pubblico futurista, in “Il Secolo”, 17 gennaio 1914. 23 Il Futurismo al Dal Verme, in “Avanti!”, 17 gennaio 1914. 123 Teatro Dal Verme, 21 aprile 1914: il concerto intonarumori Fra la prima e la seconda serata al Dal Verme i futuristi inscenano le prime declamazioni “dinamiche e sinottiche”: Piedigrotta di Cangiullo (29 marzo) e I funerali del filosofo passatista (13 aprile: il filosofo in questione è Benedetto Croce), entrambe alla Galleria Sprovieri di Roma. Qualche giorno dopo, approda al Dal Verme l’intonarumori di Luigi Russolo, accompagnato dalla presenza su scena di Boccioni, Carrà, Marinetti, Mazza, Piatti, e da quella amicale, dal pubblico, dell’attrice Lyda Borelli, che “sporgendosi da un palco applaude appassionatamente i futuristi, gridando Bravi! Bravi! Bravi! Con una voce deliziosamente voluttuosa, che centuplica lo scatto dei nostri pugni”24. Di fronte a un pubblico “non numeroso in platea, ma notevolmente affollato nella galleria e nei palchi”25, Russolo si produce nei tre pezzi previsti dal cartellone (Risveglio di una grande città, Pranzo sopra una terrazza del Kursaal, Convegno di automobili e di aeroplani ): peccato che nessuno senta nulla, tanto è lo strepito e il sovrapporsi di urla e vituperi, finché – mentre Russolo, imperterrito, continua a dirigere il concerto – Boccioni, Marinetti, Mazza e Piatti “spariscono dal palcoscenico, sbucano da una porticina nell’orchestra vuota, l’attraversano correndo, e si slanciano fra le poltrone, assalendo a pugni, a schiaffi e a bastonate gl’innumerevoli passatisti”26. Qui il recensore del “Corriere della Sera” decide di adottare lo stile paroliberista (in verità si limita a sopprimere articoli e preposizioni): ecco allora “Pugni. Carabinieri, delegati, poltrone sulla testa, urli, insolenze. Concerto continua. Pugni anche. Futuristi tratti palcoscenico dai carabinieri. Pubblico sfolla lentamente. Marinetti suoi compagni escono passano dinanzi pubblico. Urli invettive pugni. Piazza Cordusio altri pugni. Galleria nuovi pugni. Futuristi entrano Savini mentre infuria pugilato. Folla vuole rincorrerli. Calansi saracinesche ristorante. Futuristi chiusi dentro, buone condizioni salute, qualche cappello sfondato. Folla lentamente calmasi, disperdesi”. Al processo che ne segue, ricorda Marinetti, “il giudice elogiò me Russolo e i futuristi e anche i numerosissimi schiaffi di cui avevamo ancora piene le mani”27. Siamo, ormai, alla vigilia della guerra. Il Dal Verme è anche il luogo della manifestazione interventista inscenata il 15 settembre 1914 durante la rappresentazione della Fanciulla del West di Puccini e la sera successiva in Galleria. Al Dal Verme, al termine del primo atto, mentre “alla ribalta oscilla la ghirlanda cretina dei cantanti che domandano applausi con sorrisi da mendicanti”28, i futuristi sventolano bandiere da due palchi posti simmetricamente al palco: una tricolore, impugnata da Marinetti, che accompagna il gesto con il grido di “Abbasso l’Austria”, e l’altra giallo-nera, agitata da Boccioni, lanciata al pubblico che “la fece a brandelli”29. L’impresario spedisce Puccini in persona sul proscenio per distogliere l’attenzione dalla manifestazione, l’orchestra attacca a suonare la marcia reale e il prefetto abbandona la sala, mentre un carabiniere e un poliziotto irrompono nel palco di Marinetti che, “stanco della sua funzione di ventilatore”30, abbandona il teatro. La sera successiva, eccolo presentarsi in Galleria con un manipolo di sostenitori (“Dovevamo essere in 30. Eravamo soltanto 11”31), 9. Ritratto di Sarah Bernhardt, probabilmente lanciato contro la “gioia pacifica di grasse famiglie intorno ai risalente agli anni ’90 dell’Ottocento, epoca in cui gelati centellinati”32, armato di un tricolore e di una bandiera l’attrice recitò “Les vieux marins” di F. T. Mari- austriaca capovolta al grido di “Abbasso l’Austria! Abbasso la netti (Milano, Civico Archivio Fotografico, carto- Germania!”. Arrivati all’ottagono, i futuristi ottengono che l’orchestrina del Biffi suoni la marcia reale, incoraggiando le ostilità lina postale). 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Questo il ricordo di Marinetti riportato da F. Cangiullo 1930, op. cit. (p. 86 dell’edizione 1961). Gli “intonarumori futuristi”, in “Corriere della Sera”, 22 aprile 1914. F. Cangiullo 1930, op. cit., p. 86. F. T. Marinetti 1969, op. cit., p. 104. F. Cangiullo 1930, op. cit., p. 145. Una dimostrazione patriottica al Dal Verme per opera dei futuristi, in “Il Secolo”, 16 settembre 1914. Il futurismo-nazionalistico al Dal Verme, in “Avanti!”, 16 settembre 1914. Cangiullo 1930, op. cit., p. 146. Ibidem. 124 di un gruppo di “giovani sovversivi”: seguono “gli immancabili petto a petto”33, mentre i futuristi lanciano volantini inneggianti alla guerra e Marinetti fende la folla come “cinghiale che porta appesi fox-terriers convulsi”34. Oltre a Marinetti, vengono arrestati anche Boccioni e un certo numero di manifestanti che, trasferiti a San Vittore, vi scriveranno Sintesi futurista della guerra. Siamo anche alla vigilia della pubblicazione del manifesto Il Teatro Futurista Sintetico (11 gennaio-18 febbraio 1915), firmato da Marinetti, Corra e Settimelli, in cui si rinnegano senza troppi complimenti le intuizioni degli anni precedenti: “Scorrazzavamo per l’Italia alla testa di un eroico battaglione di comici che imponeva “ELETTRICITÀ” e altre sintesi futuriste (ieri vive e oggi da noi superate e condannate) a pubblici che erano rivoluzioni imprigionate nelle sale”. Qui si consuma la rottura definitiva con il teatro tradizionale, sia dal punto di vista del rapporto testoscena che da quello del contenitore spaziale (“Presto avremo in Milano il grande edificio metallico, animato da tutte le complicazioni elettromeccaniche, che solo potrà permetterci di attuare scenicamente le nostre più libere concezioni”). Da questo momento in poi, la riflessione sul teatro porta a conseguenze che allontanano progressivamente dalla formula della “serata” come l’abbiamo conosciuta fin qui35; finita la stagione eroica, Milano ospiterà altri momenti cruciali della vicenda futurista (la rappresentazione di Anhiccam del 3000 di Depero, Psicologia delle macchine di Prampolini e La danza dell’elica di Prampolini al Trianon nel gennaio 1924; il Primo Congresso Futurista al Dal Verme del 23-24 novembre 1924), ma la “serata” ha chiuso il suo ciclo di vita. Passata nel giro di brevi anni dal verso libero al paroliberismo (1913) e poi alla declamazione “dinamica e sinottica” (1914), si spingerà, con infinite variazione e sapore sempre più revivalistico, fino al dopoguerra (Tullio Crali anima “serate futuriste” fin negli anni Settanta). La fulmineità del suo ciclo vitale, così in linea con i dettami futuristi, preserva intatti i caratteri di preveggenza e di laboratorialità di un pensiero teatrale complesso e ramificato, i cui esiti non cessano di interrogare gli storici. 10. Ritratto dell’attrice Lyda Borelli, sostenitrice dei futuristi nella serata del 21 aprile 1914 al Teatro Dal Verme (Milano, Civico Archivio Fotografico, dono Balestrazzi). 33 I futuristi tentano una dimostrazione in Galleria, in “Il Secolo”, 17 settembre 1914. La cronaca riporta che i manifestanti arrestati, oltre a Marinetti e Boccioni, furono Olivo Manfredini, Pietro Formighi, Luigi Carate, Luigi Freddi, Umberto Zannuccoli, Ugo Piatti, Riccardo Bertacchini, Giulio Garbani. 34 F. Cangiullo 1930, op. cit., p. 146. 35 Del 12 maggio 1915 è il Manifesto Scenografia e coreografia futurista di Prampolini; dell’11 marzo 1916 Declamazione dinamica e sinottica; del 1917 il Manifesto della danza futurista; del 1921 Il Teatro della Sorpresa. 125 11 12 13 11, 12, 13. Menu futurista, denominato “Plastica Mangiabile modellata da Tapparelli, Prampolini, Fillia, Munari”, Galleria Pesaro, 16 giugno 1933 (Milano, Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Collezione Anselmo Bucci). 126