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Minacciare da sotto. Una conversazione con Paula Carrara sul Canto delle donne dell’asfalto. di Anna Chiara Cimoli. con un testo di…
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§violenza
Minacciare da sotto.
Una conversazione con Paula Carrara sul Canto
delle donne dell’asfalto
di Anna Chiara Cimoli
con un testo di Sara Del Corona
Sempre di più è strano dover parlare
Perché nel pavimento delle parole ciò che è sotto non appare mai
È come l’asfalto che copre le vie di questa città
Copre tutto
Il Canto delle donne dell’asfalto (O Canto das Mulheres do Asfalto) è un testo di Carlos
Canhameiro, messo in scena con la regia di Georgette Fadel nel 2015 in una piazza periferica di
São Paulo, poi in altri spazi pubblici della città e nei villaggi di campagna tutto intorno.
Il Canto nasce sugli alberi della piazza frequentata fra l’altro da prostitute e dall’universo gay
underground; nasce nelle gole di attori e attrici che devono urlare per farsi sentire, e il suono
delle parole è aspro, violento. I performer, creature senza tempo, antichissime e future,
scendono poi in strada, si insinuano nel tra co, lo disturbano, lo deviano. Finiscono sui cofani
delle macchine, strisciano a terra, vanno a cercare il pubblico. La sensazione che si ha,
guardando il video di quello spettacolo, è di pericolo; un’azione relazionale autentica e
coraggiosa fra clacson, semafori, rumori. Eppure il pubblico è immobile, attentissimo.
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Paula Carrara nel Canto delle donne dell’asfalto a São Paulo. Fonte: paulacarrara.com
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Che cosa è successo?utilizzare
Le donne
hanno
di non fare
non essere complici
di
un mondo allo sfascio. Lo a ermano e lo gridano
con una potenza straordinaria, mai per
Ok
giusti carsi ma solo per asserire una decisione già presa, irrevocabile: “Ce l’abbiamo fatta/oggi
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ci sarà tutta la spiegazione/oggi saremo asfalto che copre ogni emozione/oggi sarà il giorno
della precisione delle parole”. Riecheggia in sottofondo la Lisistrata di Aristofane, in cui le
donne di Atene, stanche della guerra, decidono di non avere più rapporti sessuali nché i
compagni non sceglieranno la pace; ma come cantano queste donne “s’inganna chi pensa che
ci sia ancora qualcuno che pensa che stiamo parlando di sciopero del sesso”, infatti è
“decisione decisa piantata curata cresciuta orita e frutti cata”. Non è commedia ma canto.
L’attrice e regista brasiliana Paula Carrara, una delle performer della prima edizione, ha
continuato a ri ettere sulla potenza di quel testo e lo ha presentato in due prove aperte,
l’ultima delle quali al Mudec-Museo delle Culture di Milano. In scena quattro donne, attrici non
professioniste diverse fra loro per età, biogra a e sicità. Uno spazio asettico, quasi da u cio,
con un tavolo e le sedie imbottite; minime tracce di quotidianità (le tazzine del ca è, il
bicchiere d’acqua); brevi sequenze corporee a punteggiare la forza del testo, che resta intatta
anche nella traduzione italiana (il testo è pubblicato in entrambe le lingue da Lamparina
luminosa, con meravigliose illustrazioni di Carolina Meirelles).
O CANTO DAS MULHERES DO
ASFALTO
from Bruta Flor Filmes
52:29
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Lo spettacolo al Mudec, con (da sinistra a destra) Maria Elena Santomauro, Sara Del Corona, Tiziana Colombo e
Francesca Savegnano. Fonte: paulacarrara.com
Le domande che pongo a Paula attraversano temi che sento molto attuali, anche in relazione ai
luoghi comuni sulla genitorialità, sul corpo femminile e le sue età, sulla capacità di una libera
autodeterminazione, sulle possibilità della lotta ovvero sui modi di trasformare il proprio
dissenso “privato” in lotta, su come essere incisivi e su come rappresentare tutto questo. In
che modo l’abdicazione alla maternità può costituire una risposta, e no a quando le donne
non faranno più gli? Perché questa scelta viene compiuta dalle donne ma il testo lo ha scritto
un uomo? Chi ha gli deve sentirsi in colpa (dentro la dimensione drammaturgica, ben inteso)?
Quanto sentimento di rinuncia c’è in questa lotta, ovvero – specularmente – quanto
l’astensione è generativa (penso alla dimensione della clausura, al boicottaggio, alla
meditazione, a ogni forma di apparente inazione che invece crea cerchi concentrici potenti)? La
violenza è essere arrivati a questo punto o “punire” il mondo fermandone la possibilità di
futuro, è subita o in itta? O forse non è punizione ma estrema o erta di salvezza (“non avremo
più motivi per cui lamentarsi”). La grande domanda che contiene tutte le precedenti è sul ruolo
del teatro nel sublimare queste tensioni, e quale spazio di discussione o crescita si possa
costruire una volta nito lo spettacolo.
Paula, l’energia cambia profondamente nel trasferimento/traduzione dallo spazio aperto e
caotico della piazza a quello asettico del museo. Come hai sentito questo spostamento? Il
Canto è diventato altra cosa? E allargando i con ni della domanda: che cosa cambia nel
passaggio dal Brasile all’Italia? Ha senso usare le stesse parole in questi due diversi contesti
culturali e sociali?
Per quanto riguarda l’ambientazione, ti confesso che all’inizio non capivo perché la regista ci
avesse chiesto di salire sugli alberi: come gli spettatori avrebbero potuto capire un testo così
complesso, duro, senza punteggiatura? Nel tempo, quella piazza è diventata un manifesto, un
manifesto dell’intensità di quella speci ca città con le sue relazioni intense, i suoi contatti
intensi, per no i suoi errori più intensi che altrove. Il tra co è violento, un viaggio in
metropolitana è un’esperienza violenta… Ma dopo un po’ di tempo tutto ha preso senso, piano
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più su, per essere più credibili. L’aspetto scenico è stato molto “pulito” nel passaggio in Italia:
Ok
nella prima prova aperta milanese alla Corte dei
Miracoli di Milano, e poi in forma alleggerita al
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Mudec, ci sono elementi che richiamavano alla sfera della cucina come sfera del privato,
storicamente dedicata al pensiero femminile; in fondo, un luogo di potere. Io ho vissuto in
prima persona la coda lunga di un pensiero che, almeno in Brasile, imponeva che per a ermare
il proprio essere creativo bisognava negare questa stanza/istanza privata che è la cucina, ma
ho voluto riappropriarmene per farne davvero un luogo di potenza e di potere. Nel Canto non
esiste una dimensione intima ma una dimensione collettiva che emerge in forma di quadri, non
si parla mai del “mio” dolore: la cucina allora non è il luogo dell’intimità ma quello in cui
progettare la rivoluzione.
Mi interessava portare il Canto in Italia anche in riferimento a una questione di età, all’”etàEuropa” in relazione alla popolazione giovane del Brasile. Questo dato colpisce profondamente,
a livello corporeo ancora prima che razionale: se cammini per strada in Europa o in Brasile
avverti una di erenza radicale nei corpi delle persone, e dunque nel tuo. In Brasile l’aspettativa
media di vita è di 65 anni: è un popolo giovane, ma questa immagine si è materializzata per me
solo quando sono arrivata in Europa, qui sono circondata da un popolo la cui pelle ha più
rughe, più anni, più segni. Mi interessava questa di erenza, perciò ho cercato interpreti sopra i
40 anni: volevo veri care come risuonava questo testo in un corpo femminile che veramente
avesse vissuto degli anni in più.
Qui in Italia, ho sentito l’esigenza di valorizzare la dimensione dell’ascolto, il bisogno di
consegnare questo testo in modo più integrale e fedele alla sua natura. Ho cercato l’estremo
opposto rispetto alla versione di São Paulo: un invito a un tavolo, quasi senza l’arti cio del
teatro tra l’attore e il pubblico ma da persona a persona. Per questo non ho cercato attrici
professioniste.
Parliamo della protesta insita nell’attesa, o comunque nella scelta di non fare qualcosa, che
non è una rinuncia ma una scelta. Non avere gli è un gesto attivo. La lotta attraverso l’attesa,
la cesura del tempo, la costruzione di un tempo diverso: a volte questa “rinuncia attiva” viene
relegata a una dimensione femminile (Penelope e la sua tela). Ma forse così la si sminuisce un
po’. Come può un atto di astensione generare una rivoluzione?
Questa tua domanda mi rimanda a un tema su cui ri etto spesso, quello del tempo come
moneta e unità di misura nella costruzione di un sistema economico: il successo a volte viene
misurato dalla mancanza di tempo, dal fatto di avere vite piene, senza un attimo di ozio o di
sospensione. Quanto la mia tensione a riempire il tempo è espressione di un sistema che vuole
togliermi la possibilità di vivere altre cose? Avendo una storia di attivista nei movimenti sociali
conosco quella pienezza dell’occupare le giornate, spostarsi velocemente, creare relazioni; ma
oggi mi interessa molto il ri uto delle donne del Canto a produrre altri corpi, corpi che
verranno catturati da un sistema che io posso criticare ma di cui faccio comunque parte. Per
me questo ri uto fa parte delle possibilità che bisogna comunque considerare. Che cosa
signi ca non produrre più corpi? Signi ca minacciare da sotto un sistema che dipende dai
corpi, dipende dalla gente.
È la dimensione di minaccia dal basso a creare quella dimensione ironica che non ci si
aspetterebbe in questo lavoro? Un “fare i dispetti” al sistema?
È un testo molto attivo. Già la presa di parola è un gesto molto attivo. Occupare lo spazio del
linguaggio è un gesto radicale, e anche questa è una minaccia. Ma non è una minaccia al
genere maschile, né al diverso, anzi dal mio punto di vista è un tentativo di denuncia che va
nella direzione opposta.
Minacciamo da sotto, tagliamo la radice dell’albero. In questo c’è l’ironia sublime di dire:
abbiamo sbagliato, abbiamo fallito; e ora che cosa possiamo fare? Non c’è vittimismo; non c’è
amarezza né desiderio di vendetta. C’è leggerezza nel dire anche le cose più dure, anzi trovo
così umano questo Canto delle donne, perché è il massimo della compassione riconoscere che
no, non istiamo
bene;
un voler
beneavere
allelapersone.
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ne sia
felice.e vedevo le ragazze a
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Minacciare da sotto. Una conversazione con Paula Carrara sul Canto delle donne dell’asfalto. di Anna Chiara Cimoli. con un testo di…
testa in su ad ascoltarci, ad accompagnarci. Quello che facciamo lassù è un esercizio di
potenza, io per fare il Canto non posso essere riposata come attrice, devo essere davvero
carica; io sto dicendo che l’umanità nisce ma in realtà desidero che ce ne sia di più.
Il testo del Canto delle donne dell’asfalto con le illustrazioni di Carolina Meirelles. Fonte: lamparinaluminosa.com
Un giorno Paula scrive: cerco delle attrici non professioniste sopra i 40 anni per portare in scena
il “Canto delle donne dell’asfalto”. Fate girare la voce?
Fra le persone che rispondono alla chiamata c’è Sara Del Corona, giornalista, che racconta così
quello che ha capito e vissuto.
Ci siamo ritrovate in quattro donne
Sara Del Corona
Ci siamo ritrovate in quattro donne, diverse che più diverse tra noi non potevamo essere,
sedute su una seggiola a turno, guardando una alla volta le altre che restituivano lo sguardo.
Con questo esercizio di presenza Paula ci ha buttate dentro il linguaggio ruvido, viscerale, in
molte parti respingente di Carlos Canhameiro.
A unirci da subito credo sia stato il colpo di istinto che ci ha fatto rispondere al richiamo di una
regista brasiliana che non conosce la paura: ultraquarantenni non-attrici cercansi per nonrecitare un testo teatrale.
Paula già sapeva che basta aver vissuto un congruo numero di anni da donna per avere tutto
quello che serve a questa storia. Noi però no, e ci sono volute un po’ di ore di lavoro sui canti
che compongono l’opera, sul nostro corpo e sui suoi movimenti.
Non è lotta di genere, è cosa ovvia. Basta guardare con gli occhi bene aperti, dice il Canto
senza
(il primo
capitolo).
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è cosa ovvia
aver
quel peso
tramandato di
questo
sitoprovato
noi assumiamo
chesulle
tu neali,
siaantichissimo,
felice.
madre in glia come una cosa preziosa, che non ci ha permesso certi voli che sappiamo,
ciascuna i suoi. E aver provato a spiegare a unOkuomo una qualche propria ragione – spiegarla
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con l’anima in gola così protesa che è mancato poco che cadesse fuori – senza la minima
possibilità di un incontro. Di un riscontro. E aver subìto l’insulto e il tradimento di frasi
inadeguate, o riduttive, o volgari, o violente, almeno quanto i pensieri che le spingevano fuori.
Le attrici di Hollywood e i lm indie, le neofemministe ma anche le vetero, i libri poetici
illustrati, le pubblicità dei biscotti, le amministratrici delegate e illuminate delle smart aziende,
anche certi uomini in gamba: ultimamente tutti non fanno che ricordarci che la disparità di
genere esiste, ed è dunque improrogabile un riscatto, inteso con una sua componente cruenta,
almeno un po’. Be’, con Il canto delle donne dell’asfalto si può scoprire qualcosa di più e di
diverso. Che non c’è lotta. Una cosa ovvia non ti chiede di combattere, non ti succhia energie.
Sta lì. È un puro, neutro dato di fatto, quindi – guarda cosa mi viene da pensare – con una sua
innocenza su cui non ci si deve accanire. Da cui si può semplicemente partire. Per concentrarci
su cosa fare di noi.
Tra un esercizio di respirazione e una lettura, l’ho capito a un certo punto in un sussulto che è
partito dalla pancia e si è fatto ascoltare, si è fatto vedere.
Ma allora serve a questo il Canto delle donne dell’asfalto, mi sono detta. E anche: ma allora
leggere i libri non basta, il teatro è davvero e per sempre necessario.
Paula Carrara. artista della scena, attrice e performer, esplora dispositivi di creazione alla
frontiera tra teatro, performance e musica. Da 2007 si dedica alla creazione in collaborazione
con artisti come Carlos Canhameiro, Georgete Fadel, Joao das Neves, Maria Tendlau, Renan
Marcondes, Cia.Estrela D’Alva, Cia. Ausencia em Cena and Cia.Les Commediens Tropicales.
Laureata in Pedagogia Teatrale, ha frequentato un master sulla Formazione dell’artista della
scena a l’Università di Sao Paulo. Attualmente sta lavorando a “Cassandra – a voice to nd” con
il sostegno di Mu.d Residenza Artistica (Napoli) e Kulturfactory Residency (Domicella).
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Croizet
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