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ABITARE IL MUSEO PRATICHE DI PROTAGONISMO CULTURALE DEI CITTADINI PROGETTO MUDEC POP CON IL SOSTEGNO DI PROMOSSO DA IN PARTENARIATO CON MUDEC POP è un progetto realizzato dall’Associazione Città Mondo in partenariato con ABCittà, Comune di Milano–Ufficio Reti e Cooperazione Culturale e Mudec, grazie al contributo della Fondazione Cariplo, in cui i cittadini sono stati invitati a partecipare in maniera attiva e creativa. L’idea, selezionata nell’ambito del bando “Protagonismo Culturale dei Cittadini”, è stata quella di valorizzare il Mudec e il prezioso patrimonio conservato nelle sue collezioni, fatto vivere nell’inedita rielaborazione ideata dai cittadini eredi di quelle culture lontane. Grazie agli attori dell’Associazione e del Forum Città Mondo, il progetto MUDEC POP ha coinvolto infatti la cittadinanza, interpellandola e chiedendole un ruolo propositivo nella lettura e nella personale interpretazione del museo. Gli oggetti conservati al Mudec sono diventati i mediatori per un dialogo tra culture, attraverso cinque azioni e specifici strumenti del percorso del progetto: percorso che, oltre che far avvicinare al museo un pubblico di non addetti, è stato un esempio concreto della possibilità e ricchezza di passare dalla differenza delle culture a una cultura della differenza che permetta a tutti di riconoscere un’identità molteplice della nostra comunità cittadina. L’auspicio è che il processo così avviato possa ancora crescere ed essere sempre più fertile, creando scambi, incontri e visioni: si è infatti realizzata grazie a MUDEC POP un’originale forma di produzione culturale da parte della città e dei cittadini. Il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno ideato, organizzato promosso le iniziative e questa idea inclusiva, aperta, democratica del Museo e della città. Filippo Del Corno Assessore alla Cultura | Comune di Milano Il progetto è stato coordinato da Dava Gjoka Presidente dell’Associazione Città Mondo Coadiuvata da Anna Antonini, Linda Pasina, Besmir Rrjolli, Luca Tripeni Zanforlin Anna Maria Maggiore Direttore Area Valorizzazione Patrimonio Artistico e Sicurezza, Comune di Milano Bianca Maria Aravecchia, Alessandra Cecchinato, Riccardo Tamburini Ufficio Reti e Cooperazione Culturale, Comune di Milano Renata Biancotto, Cristian Zanelli ABCittà Con il supporto di Andrea Tripaldi Consulente di progetto, Comune di Milano Pubblicazione a cura di Anna Chiara Cimoli, ABCittà - www.abcitta.org Progetto grafico a cura di Marta Vireca MILANO, OTTOBRE 2017 INDICE MUDEC POP 4 IL MUSEO DELLE CULTURE VIVE SULLA SCENA 8 MUDEC IN VALIGIA, GLI OGGETTI VIAGGIANTI DI MUDEC POP 11 OUR WORLD, MY WUNDERKAMMER. SOCIAL MUDEC 17 BIBLIOTECA VIVENTE: UNA GUERRA NON-VIOLENTA AI PREGIUDIZI 20 LEMMI RACCONTALO TU: LE DIDASCALIE COME ESPERIENZA DI MUSEOLOGIA PARTECIPATA 14 24 3 MUDEC POP 4 IL METODO PARTECIPATIVO COME CHIAVE DI LETTURA DELLA COSTRUZIONE DEL PROCESSOPROGETTO CRISTIAN ZANELLI, ABCittà Il progetto MUDEC POP nasce nel giugno 2015 con riferimento al bando di Fondazione Cariplo “Protagonismo culturale dei cittadini”. Il Comune di Milano e l’Associazione Città Mondo, in risposta a una proposta formativoprogettuale di ABCittà (Società cooperativa sociale onlus), hanno dato concretezza a un processo di ascolto reciproco basato sulle tematiche progettuali promosse da Cariplo: partecipazione, pluralismo e fruizione. Il percorso si è avviato il 22 giugno 2015, data in cui ABCittà ha organizzato e facilitato un incontro formativo e interattivo che da subito ha spinto i soggetti interessati, Comune e Città Mondo, a coniugare la metodologia della partecipazione con i temi della cultura o, per meglio dire, delle culture. La riflessione ha tratto spunto dai seguenti obiettivi indicati da Fondazione Cariplo: 1. coinvolgere i cittadini nella produzione culturale, nella valorizzazione e nella cura del patrimonio della comunità di appartenenza (PARTECIPAZIONE); 2. dare spazio e visibilità alle forme di espressione artistica e culturale delle diverse componenti della società (PLURALISMO); 3. favorire l’incremento del pubblico alle iniziative artistiche e culturali (FRUIZIONE). Il contesto del Museo delle Culture di Milano e la mission dell’Associazione Città Mondo, individuata come ente capofila, hanno permesso di ragionare su tali obiettivi non in senso lato o astratto. La sollecitazione di ABCittà, accolta anche dal Comune di Milano, si è immediatamente spinta a concretizzare l’azione di processoprogetto su specifici “oggetti e/o ambiti”: . Biblioteca Vivente strumento messo in campo da ABCittà a Milano già dal 2011 come forma di azione in ambito interculturale volta al superamento del pregiudizio e a favorire l’incontro nei luoghi della cultura della città; . Interpretazione e partecipazione quali forme di promozione della cultura in chiave di apertura e facilitazione all’accesso anche da parte di pubblici “lontani”, poco raggiungibili o considerati tali; . Molteplicità dei linguaggi - come valore arricchente dell’offerta al pubblico, ma anche come canale di valorizzazione delle diverse attitudini e competenze delle realtà socie dell’Associazione Città Mondo. Ogni ambito è stato analizzato con i partecipanti all’incontro in termini di “punti di forza e debolezza”, “interesse e criticità”, andando a delineare una struttura di progetto che nei mesi tra settembre e dicembre 2015 si è arricchita, in forma partecipata, dei contributi provenienti dalle associazioni interessate di Città Mondo e del Forum delle Culture. Le risorse messe in campo dal Comune di Milano hanno infatti permesso di realizzare un percorso partecipativo e, secondo la stessa metodologia della partecipazione, di costruire la proposta progettuale. Un momento cruciale è stato il forum del 24 novembre 2015 intitolato “MUDEC | 5 AZIONI: Aspettative, Opportunità, Rischi, Esempi interessanti, Candidature”, evento di coinvolgimento attivo allargato alle associazioni socie di Città Mondo che, individuate attraverso call interne, hanno potuto non solo conoscere in anteprima il progetto in corso di elaborazione, ma anche candidarsi alla sua realizzazione in collaborazione con la costituenda “cabina di regia”. Questa cabina di regia, dall’incontro del 24 novembre in poi, ha coordinato ogni passaggio di 5 scrittura, costruzione del budget, organizzazione degli eventi e delle azioni del progetto. Nel concreto, in un processo di approfondimento delle tematiche iniziali, allargamento della partecipazione e sintesi, la cabina di regia è riuscita a: 1. definire un progetto composto da cinque azioni connesse e sinergiche (a seguire la sintesi di ognuna); 2. realizzare un primo evento di Biblioteca Vivente il 19 dicembre 2015, data che segna l’inizio ufficiale dell’avventura di MUDEC POP. Il parternariato (composto da Associazione Città Mondo come Capofila; Comune di Milano e ABCittà come partner), facendo proprio uno dei motti della Fondazione Cariplo, ha così “gettato il cuore oltre l’ostacolo”, creduto nella validità del processo e affidato alla cabina di regia la realizzazione delle cinque azioni. MUDEC POP È COSÌ DIVENTATO UN MODELLO DI AZIONE PARTECIPATIVA PER OGNUNO DEI SOGGETTI COINVOLTI. Nella realizzazione del progetto, ammesso al co-finanziamento di Fondazione Cariplo nel giugno 2016, ha saputo dimostrare la validità di un metodo capace di valorizzare la molteplicità delle provenienze, delle identità e delle competenze che fanno la forza del parternariato, della città e dei suoi luoghi di cultura. 6 IL PROGETTO DAVA GJOKA, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ MONDO L’Associazione Città Mondo che rappresenta numerose organizzazioni, la maggior parte delle quali vedono come protagonisti i cittadini immigrati, nasce nel 2013, dal Forum della Città Mondo, promosso dall’Assessorato alla Cultura e condiviso dalla Giunta Comunale di Milano. L’Associazione, per la sua vocazione interculturale e per la sua mission, si è consolidata quale ambito deputato al dialogo, alla conoscenza e allo scambio tra portatori di differenti culture, alla promozione e alla realizzazione di progetti, attività e iniziative che agevolano l’inclusione sociale sul territorio di Milano e Lombardia. La convenzione con il Comune di Milano prevede spazi condivisi a disposizione dell’Associazione presso il Museo delle Culture, per la realizzazione delle attività che hanno contribuito e contribuiscono alla crescita e alla diversificazione dell’offerta culturale della città. I cittadini immigrati, che partono in cerca di fortuna, portano con sè anche il loro “corredo culturale”: sono dunque ideali trasmettitori di rappresentazioni e valori culturali propri, e nello stesso tempo ricettori della cultura dominante del paese in cui vivono. È ormai assodato che la migrazione trasfoma colui che ne ha fatto esperienza e determina profondi processi di métissage nell’intera società. Milano è testimone del mutamento sociale e culturale e, soprattutto nell’ultimo decennio, è diventata una vera e propria città multiculturale. La creazione di reti di secondo livello, come l’Associazione Città Mondo, è stata un passo avanti per far sì che Milano diventasse una città delle culture, un terreno sempre più fertile in cui fiorisce la convivenza e la co-integrazione delle diverse culture che la abitano. Il progetto MUDEC POP, il primo che vede l’Associazione come capofila, fortemente voluto dal Settore Cultura del Comune e co-finanziato dalla Fondazione Cariplo, ha rappresentato un’importante iniziativa dell’orientamento dello sguardo anche verso il patrimonio culturale, sociale e artistico del mondo presente a Milano. La co-progettazione, ovvero il lavoro in équipe di reti di diversi soggetti complementari per competenze, è stata un’esperienza significativa di collaborazione e confronto con i partner, il Comune di Milano e la cooperativa sociale ABCittà. Il progetto ha coinvolto più di 120 organizzazioni socie e collaboratrici dell’Associazione Città Mondo; hanno partecipato attivamente per la realizzazione delle attività più di 35 associazioni e cooperative sociali. In quasi 18 mesi il Museo delle Culture è stato abitato da molteplici attività, cui protagoniste sono state le organizzazioni che compongono l’Associazione Città Mondo. Il progetto MUDEC POP, che ha coinvolto la cittadinanza dandole un ruolo attivo nella lettura e nell’interpretazione del museo, ha visto realizzare cinque macroazioni: SULLA SCENA Realizzata dall’Associazione Dora e Pajtimit, ha accompagnato e sostenuto le organizzazioni socie che hanno proposto e organizzato incontri, dibattiti, eventi presso il Museo delle Culture, valorizzando in questo modo le opere delle collezioni. OGGETTI VIAGGIANTI Realizzata dall’Associazione Sunugal, che ha favorito il potenziamento della cittadinanza culturale, con l’obiettivo di migliorare la fruizione delle opere artistiche presenti al Museo delle Culture attraverso l’attività di “valigie viaggianti” facendo uscire le opere stesse dal museo per incontrare direttamente il pubblico. RACCONTALO TU Realizzata dall’Associazione Mimondo, che ha creato nuove didascalie stimolando l’interazione del pubblico con gli attori e ha dato voce alle informazioni inerenti la cultura immateriale di cui sono portatrici le comunità di migranti, innescando un processo di avvicinamento al museo e alla sua fruizione abituale. SOCIAL MUDEC Realizzata dall’Associazione ARCI Milano, che ha creato percorsi di partecipazione online e offline promuovendo la cultura digitale come ambito di potenziamento dei processi interculturali in atto, avvicinando nuove persone alle realtà del museo. BIBLIOTECA VIVENTE Realizzata dalla cooperativa ABCittà, tramite la quale si è offerta al pubblico la possibilità di entrare in contatto e dialogare con persone di diversa provenienza, facilitando processi di incontro tra persone, oggetti, storie, elementi culturali e facendo emergere specifiche tematiche connesse ai processi di interazione interculturale nella città, che nella quotidianità non si avrebbe l’occasione di incontrare; Concludendo, credo fortemente che questa eccezionale esperienza di lavoro collettivo servirà come trampolino di lancio per la realizzazione di progetti che favoriscano il consolidamento dell’Associazione Città Mondo, come un laboratorio di empowerment delle organizzazioni degli immigrati, un’officina di stimoli continui per tessere reti di progettazione e collaborazione tra le realtà socie dell’associazione, offrendo così alla società strumenti che arricchiscono la vita sociale e culturale di Milano. Ringrazio il Comune di Milano e la Fondazione Cariplo per aver creduto, sostenuto e finanziato il progetto, il Museo delle Culture per lo spirito accoglienza e collaborazione, la cooperativa ABCittà per la qualità del servizio messo a disposizione, e le organizzazioni referenti delle quattro azioni, ovvero Mimondo, Dora e Pajtimit, Sunugal e Arci Milano. Ringrazio inoltre le organizzazioni che hanno reso possibile la buona riuscita del Progetto; Baobab, Jazz Milano, Ajka – Essenza, Fondazione A. Passarè, Cubeart, Maschere Nere, Proficua, Alpiandes, Paradigma, Celim, Arezzo Ballet, Venezuelana in Lombardia, Compagnia Africana, Mille Soleils, Equagruppo, Al Maghribia, Raimondi, Comunità Venezuelana, Vivafrica, Comunità Palestinese, Donne cinesi in Milano, Watamu Youth, Per i diritti umani, Shaolin Temple Italy, Cuore Argentino, Colores Nazareos Andino, Cultura Senza Frontiere, Isola Solidale, Laurus e Primo Passo. 7 IL MUSEO DELLE CULTURE VIVE SULLA SCENA BESMIR RRJOLLI E GIULIA INNOCENTI MALINI 8 L’INTENTO DELL’AZIONE SULLA SCENA È STATO QUELLO DI SOSTENERE LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DELLE ORGANIZZAZIONI DI MIGRANTI MEMBRI DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ MONDO (ACM), PROMUOVENDO IL LORO PROTAGONISMO NELLA PROGRAMMAZIONE DEL MUDEC CON TESTIMONIANZE, MOSTRE ED EVENTI INTERCULTURALI. Questi gli obiettivi per due dei partner del progetto MUDEC POP: l’Associazione Città Mondo e il Comune di Milano. L’Associazione, costituita dentro il Forum Città Mondo, è una realtà relativamente nuova che intende rafforzare la propria presenza sul territorio per divenire un punto di riferimento concreto e un portavoce pubblico e istituzionale per i propri associati. Il Comune, nel sostenere il non sempre facile percorso di ACM, punta a fare del Mudec un generatore di attività culturali e catalizzatore delle diversità, grazie al dialogo diretto e paritario con le associazioni straniere. Mudec, infatti, rappresenta un’originale evoluzione del museo delle culture del mondo. La sua missione da una parte è conservare attraverso le collezioni storiche l’attenzione alle tradizioni del mondo con le quali la città ha interagito, dall’altra essere museo della contemporaneità, in cui trovano spazio le diverse ricerche artistiche che si sviluppano nei cinque continenti e che a Milano sono portate avanti da un’attiva rappresentanza di artisti. Nella struttura del museo convivono soggetti che esprimono con il loro agire integrato la natura complessa del Mudec. Tra questi vi è il Tavolo Mudec, che esercita una funzione di mediazione tra le associazioni che compongono il Forum Città Mondo, parte delle quali è associata a ACM, e che rappresentano le diverse comunità straniere e gli operatori che agiscono a tutti i livelli nel campo dell’interculturalità a Milano. Il Tavolo Mudec, durante i primi due anni di collaborazione con il Comune di Milano, con l’ACM e con il museo, ha curato la programmazione di oltre 80 eventi culturali realizzati dalle comunità straniere. Per promuovere la partecipazione diretta e attiva delle comunità, il Tavolo ha creato un format operativo molto efficace, che consiste nel proporre dei bandi per la realizzazione degli eventi rivolti ai membri del Forum e dell’ACM. Per la loro realizzazione, il Tavolo si è impegnato ad affiancare le associazioni con minore esperienza in fase di progettazione. Ha seguito la fase di selezione dei progetti presentati e la programmazione del calendario delle attività, supportando le diverse associazioni migranti nella realizzaazione degli eventi. Si è deciso dunque di migliorare il format e, soprattutto, di dare continuità all’approccio positivamente testato volto a coinvolgere direttamente le comunità. L’azione Sulla Scena rappresenta l’evoluzione di un processo che nasce dal basso e vede la collaborazione di molteplici professionalità e di diverse matrici culturali. È importante sottolineare che, se l’esperienza del Tavolo Mudec ha goduto di tanta flessibilità, anche in forza della natura del Forum Città Mondo, ugualmente l’azione Sulla Scena si è più volte rimodellata per rispondere ai cambiamenti in corso d’opera del progetto MUDEC POP e alle esigenze dei partner. PERCHÉ IL TEATRO L’azione teatrale promuove l’incontro tra persone e tra sistemi simbolici e culturali diversi. L’interconnessione è favorita da diversi fattori: in primo luogo il teatro è animato da una molteplicità di linguaggi, a partire dall’espressione corporea. A questa si aggiunge la dimensione della voce; vi è poi l’allestimento dello spazio; la possibilità di utilizzare maschere e costumi; il testo scritto, oppure orale, che va a comporre insieme a tutti gli altri elementi la drammaturgia viva dello spettacolo. È questa un’altra caratteristica precipua dell’azione teatrale che è, essenzialmente, una relazione tra qualcuno che fa per qualcuno che guarda (l’attore), e 9 qualcuno che guarda qualcuno che fa per essere guardato (lo spettatore). Senza questa relazione, non c’è teatro. Allora, il teatro per sua natura implica almeno due soggetti, posti in ruoli differenti ma interagenti. In questo senso possiamo affermare che il teatro prevede sempre una dinamica interculturale, perché si dà solo nella relazione, e non esiste senza di essa. Nella particolare accezione assunta da Sulla Scena, si tratta poi di riportare al centro del fatto teatrale la partecipazione attiva di chiunque, professionista o meno, come attore, autore e spettatore. Per favorire questa condizione, l’approccio scelto è quello dell’azione produttiva che si intreccia a quella riproduttiva, dando luogo alla co-costruzione di nuovi processi e prodotti teatrali che in parte tengono il riferimento alle culture di partenza, in parte le innovano. Il teatro è foriero di momenti in cui sono sospesi i normali assetti della quotidianità, per inaugurare un tempo congiuntivo (il “come se”) in cui ci si incontra come persone e si può fruire delle istanze culturali di ognuno: una teatralità interculturale che è l’esito della collaborazione tra persone e gruppi di diversa cultura, connessi dal desiderio di incontro e di festa, di confronto e di scambio creativo. In questa cornice, l’esperienza esorbita dalle modalità folkloriche che spesso dominano la conoscenza delle culture 10 altre, per operare uno scambio vivo entro una relazione che può alimentare legami duraturi, che possono rafforzare il tessuto sociale di una grande città. Di certo rafforzano l’interazione tra le diverse associazioni che partecipano al Forum delle Culture, spingendole ad assumere un sempre maggiore protagonismo culturale. CALL FOR PROPOSAL SULLA SCENA La pubblicazione della call è avvenuta poco dopo la visita guidata al patrimonio del museo con la partecipazione delle conservatrici, dei partner, dei referenti delle azioni e delle associazioni che avevano manifestato il proprio interesse a partecipare a MUDEC POP. In tale sede i rappresentanti delle associazioni hanno avuto modo di conoscere le opere del patrimonio e di scegliere gli oggetti da promuovere e da cui sviluppare delle storie che si sono trasformate in performance. Dopo la visita, i partecipanti si sono divisi in gruppi e hanno potuto dialogare con i referenti delle azioni per chiarire l’impegno delle proprie associazioni nelle successive fasi del progetto. La stesura della call, tenendo conto degli obiettivi entro cui si inscrive l’azione Sulla Scena, ha cercato di stimolare le associazioni a proporre progetti di qualità orientati a favorire la creazione di reti di collaborazione interne alle associazioni socie di Città Mondo e sviluppare le capacità progettuali delle stesse; valorizzare le opere delle collezioni attraverso eventi partecipati, proposti e realizzati dal Forum e dall’associazione Città Mondo; accompagnare e sostenere le associazioni, membri del Forum e dell’Associazione Città Mondo, nell’organizzare e proporre incontri, dibattiti, eventi, mostre, workshop e conferenze divenendo così cuore pulsante del Museo delle Culture. Hanno partecipato alla presentazione dei progetti 14 realtà così suddivise: Europa (5 associazioni e 1 fondazione); Sud America (6 associazioni); Asia (1); Africa (1). Le proposte sono state valutate da una commissione composta da 5 membri rappresentati della cabina di regia del progetto, del Comune di Milano e del Mudec. Infine, è stata stilata una graduatoria che successivamente è stata condivisa con le associazioni partecipanti. I progetti selezionati hanno condotto alla realizzazione di 5 eventi, svolti tra il 27 maggio e il 24 giugno presso lo spazio delle culture Khaled alAsaad: Etnografia degli strumenti a percussione nell’evoluzione della musica Jazz (ente proponente: Associazione Culturale JAZZ@MILANO); SECRETSHOW Digital Nkisi (Fondazione Passarè); Manillas bracciale del mare (Associazione Cubeart); La poesia del Mudec (Associazione Baobab Onlus); Intri raymi - La festa del sole (Isola Solidale Aps). MUDEC IN VALIGIA, GLI OGGETTI VIAGGIANTI DI MUDEC POP LINDA PASINA, ASSOCIAZIONE SOCIO CULTURALE SUNUGAL 11 Il progetto MUDEC POP è stato concepito in base a tre cardini attorno a cui ruotavano tutte le attività: INTRODURRE ELEMENTI INNOVATIVI DI INTERAZIONE TRA IL PUBBLICO E IL MUSEO, AMPLIARE IL TARGET DEL PUBBLICO E COINVOLGERE LE ASSOCIAZIONI FACENTI PARTE DI CITTÀ MONDO NELL’IMPLEMENTAZIONE DEL PROGETTO STESSO. Da questo deriva l’acronimo POP: Popoli, Oggetti, Partecipazione. Ogni azione ha proposto un approccio diverso, pur rimanendo comuni gli obiettivi cui il progetto tendeva. Oggetti Viaggianti si è configurata, sin dalla sua ideazione, come l’azione che avrebbe portato il patrimonio del Mudec al di fuori delle mura del museo. L’azione è stata identificata quindi come il processo di raccordo tra gli eventi del progetto previsti presso il museo e la città di Milano. Durante le attività di Oggetti Viaggianti dieci animatori, provenienti dalle realtà socie di Associazione Città Mondo, si sono recati contemporaneamente presso varie biblioteche del Sistema Bibliotecario Milano, portando con sé oggetti del patrimonio del Mudec, e hanno messo in scena narrazioni scaturite da suggestioni ispirate dall’oggetto che portavano nella valigia di cartone con 12 cui si spostavano per la città di Milano. Il 24 giugno, durante l’evento finale di MUDEC POP, alcuni viaggiatori hanno ripetuto la performance presso la Biblioteca del Mudec, permettendo così agli oggetti di iniziare un viaggio ideale nella città di Milano e di terminarlo con un rito conclusivo proprio all’interno del museo stesso. “Oggetti Viaggianti” ha permesso al Mudec di uscire dalle proprie mura e incontrare la cittadinanza milanese, per invitarla ad aprire una finestra sul mondo del museo, per poi a tornare al Mudec e approfondire questo primo spunto. Gli animatori che hanno dato vita a Oggetti Viaggianti sono a loro volta soggetti in viaggio: armati di valige delle meraviglie, ispirate al concetto base della Wunderkammer, elemento della collezione permanente del Mudec, si sono recati nelle biblioteche per incontrare la cittadinanza e condividere con i fruitori un’esperienza di confronto con gli oggetti del patrimonio museale. Gli oggetti custoditi nelle valige sono stati scelti e selezionati dall’animatore durante una formazione presso il Mudec. Nel corso della formazione, l’animatore è diventato a sua volta viaggiatore: è stato guidato dai conservatori del museo a visitare i depositi e le collezioni, dove ha scelto gli oggetti da portare fuori dal museo in un viaggio durante il quale raccontare al pubblico la storia dell’oggetto, il proprio vissuto e il legame tra se stesso e l’oggetto. Gli oggetti selezionati per l’azione rientrano nel patrimonio del Mudec, ma non sono ancora stati catalogati in via definitiva: questo ha lasciato agli animatori la libertà di elaborare le informazioni in loro possesso, ma ha anche permesso loro di arricchire la storia dell’oggetto, dando libero sfogo al proprio bagaglio immaginifico, collegando la narrazione al proprio vissuto e invitando il pubblico a fare altrettanto. La formazione degli animatori si è strutturata in una serie di incontri con un facilitatore, che ha invitato i performer a interrogare l’oggetto scelto e ad articolare un canovaccio che parlasse di se stessi attraverso quell’oggetto, raccontandone al contempo caratteristiche e storia. I viaggiatori, in seguito alla formazione che li ha portati a scegliere oggetti con cui si sono sentiti in sintonia, hanno articolato delle narrazioni in grado di comunicare i significati degli oggetti e il loro essere ponte tra luoghi diversi del mondo. PROTAGONISTI DI OGGETTI VIAGGIANTI SONO STATE LE DUE ANIME DELLE CULTURE DA CUI PRENDE NOME IL MUDEC: GLI OGGETTI DI COLLEZIONI E MAGAZZINI DEL MUSEO E LE PERSONE DELLE DIVERSE ASSOCIAZIONI CHE COMPONGONO CITTÀ MONDO, E CHE COSTITUISCONO IL PATRIMONIO IMMATERIALE DEL MUSEO. Gli incontri degli Oggetti Viaggianti sono diventati propulsori di arricchimento di significati per il materiale del Museo delle Culture, che come una spugna si è andato imbevendo di tutte le nuove storie che i fruitori degli incontri vi hanno scorto. Obiettivo degli eventi di Oggetti Viaggianti in Biblioteca è stato quello di portare all’attenzione degli utenti del Sistema Bibliotecario Milano il fatto che gli oggetti di un museo, e in particolar modo del Mudec, vadano interrogati e interpretati proprio come accade nella lettura di un libro. L’idea di un libro come qualcosa che debba essere interpretato dal lettore è un concetto ormai sedimentato nella cultura contemporanea: le incursioni degli Oggetti Viaggianti nelle biblioteche invitavano il pubblico a instaurare questo tipo di interazione “attiva” anche con gli oggetti conservati al Mudec. Durante gli eventi nelle biblioteche è emerso il fatto che molte persone abituate a fruire di servizi pubblici, come quello bibliotecario, non avevano mai visitato il Mudec, né erano a conoscenza del fatto che il Museo delle Culture è concepito come un luogo di rappresentazione delle diverse anime della Milano cosmopolita, con ricchi palinsesti di attività fruibili gratuitamente. La narrazione sviluppatasi a partire dalle valigie e dagli oggetti in esse contenuti è stata anche l’occasione per invitare le persone a spostare il proprio sguardo nei confronti della diversità culturale e dell’istituzione museale. In quest’ottica, durante gli eventi nelle biblioteche, e soprattutto nei momenti introduttivi di presentazione di MUDEC POP, si è più volte sottolineato come la forte volontà del Comune di Milano di estendere la gratuità delle visite alla collezione permanente del Mudec fino al 31 dicembre 2017 rappresenti un importante contributo alla formazione di un’idea di bene comune del patrimonio museale pubblico milanese. Formatore di Oggetti Viaggianti è stato Olivier Elouti di Associazione Mascherenere Laboratorio di Teatro . I Viaggiatori e gli Oggetti Viaggianti di MUDEC POP sono stati: - Margarita Clement per Associazione Proficua, con dei cimbali tibetani. - Victor Cretu per Cooperativa Ajka- Essenza, con cartoline di pelle raffiguranti l’incontro tra la Regina di Saba e Re Salomone. - Rufin Doh per Associazione Mascherenere Laboratorio di Teatro, con una campana tibetana. - Aly Koundia per Cooperativa Ajka-Essenza, con un libro di preghiere tibetano in legno. - Marco Antonio Ribeiro Vieira Lima con un aspensorio del Senegal in legno. - Svitlana Tachenko per Cooperativa Ajka- Essenza, con una corona di sonagli. - Mela Tomaselli per Associazione Arezzo Ballet, con una testa di statua in terracotta. - Carlos Weilg per Associazione Paradigma, con una statuina votiva tibetana in legno. - Eliana Zanetti per Celim Milano, con una teiera marocchina in ceramica e acciaio. - Leonardo Castiglione per Associazione Baobab Onlus, con un rocchetto per filo in legno del Camerun. 13 RACCONTALO TU: LE DIDASCALIE COME ESPERIENZA DI MUSEOLOGIA PARTECIPATA ALICE BITTO, ANNA ANTONINI, ROSSELLA DI MARCO, MIMONDO 14 AL PARI DELLE PERSONE, AGLI OGGETTI APPARTIENE UNA “VITA SOCIALE”, DETERMINATA DALLA GENEALOGIA DEI VALORI CHE A ESSI SI ATTRIBUISCONO. I significati di cui ogni oggetto è portatore, infatti, si consumano attraverso un complesso processo di codifiche e ri-codifiche: essi mutano in relazione alla società, al tempo e allo spazio che li generano (Arjun Appadurai, Igor Kopytoff, The Socal Life of Things: Commodities in Cultural Perspective, 1986). Catalogato all’interno di un museo, un oggetto non solo viene sottratto della qualità di merce, ma è trasformato in opera: viene presentato per i suoi valori estetici, storici, artistici, simbolici. Rimangono a lato la vita biografica dell’oggetto nonché le sue stratificazioni semantiche, dettate proprio dalla natura creativa dei processi di significazione in riferimento ai diversi contesti d’uso (questione che si fa più complessa di fronte a scambi tra individui che appartengono a mondi culturali e sociali differenti). Tale premessa è utile per capire il senso dell’iniziativa Raccontalo tu, curata e coordinata dall’Associazione Mimondo1. 1. Associazione nata nel 2011 con lo scopo di studiare e promuovere le Culture del Mondo attraverso la valorizzazione, la conservazione, la tutela e la fruizione delle loro testimonianze materiali e immateriali. Il progetto è nato con lo scopo di avvicinare l’oggetto (nello specifico un’opera facente parte del patrimonio del Mudec) al suo osservatore, dando vita a un processo di museologia partecipata e di scambio interculturale che unisce in un legame dinamico e sempre vivo il patrimonio alla cultura immateriale di cui ognuno è portatore. L’azione si è concretizzata nel raccontare una particolare opera non secondo i criteri tecnico scientifici della museologia classica, bensì elaborando narrazioni legate agli usi, alle sensazioni, alla memoria, alle storie individuali e collettive ispirate dall’oggetto stesso. Protagonista di tale processo narrativo non è stato allora il personale scientifico operativo all’interno del museo, ma il pubblico stesso, a cui è stata data la parola con l’obiettivo di trasformarlo da ricettore passivo di informazioni a produttore attivo di contenuti. Per l’elaborazione dei racconti si è scelto di partire dalla didascalia: elemento fondamentale per l’allestimento di un museo, sebbene spesso esposto a critiche e incomprensioni. Per sua natura, infatti, la didascalia rappresenta uno strumento molto sintetico, attraverso il quale si cerca di veicolare informazioni-chiave riguardanti un oggetto, normalmente definizione, provenienza, autore, datazione, materiale. Si tratta di dati all’apparenza neutri e insindacabili, ma che, essendo frutto di un lungo lavoro di sintesi da parte dello staff scientifico del museo, oltre a presentare un linguaggio tecnico non sempre di facile comprensione omettono talvolta aspetti che invece un visitatore vorrebbe conoscere. CIÒ RIFLETTE LA NATURA STESSA DELL’OGGETTO, CHE NELL’ATTO DELLA FRUIZIONE SUSCITA IN OGNUNO SENSAZIONI E CURIOSITÀ DIVERSE. Sono proprio queste informazioni, nate da domande ed esperienze vissute, a essere state messe in risalto nelle didascalie realizzate dai partecipanti del progetto Raccontalo tu. Il gruppo dei partecipanti è stato costituito attraverso una call rivolta a tutte le realtà facenti parte dell’Associazione di secondo livello Città Mondo, privilegiando candidati con esperienza nel mondo dell’archeologia o dell’antropologia, e con un background migrante, così da dare voce alle informazioni inerenti la cultura immateriale di cui sono portatori le comunità di migranti che vivono oggi a Milano. Costituito il gruppo2, il progetto 2. Ringraziamo Ana Maria, Betty, Meisam dell’Associazione Cubeart; Carmela dell’Associazione Arezzo Ballet; Monica dell’Associazione Per i Diritti Umani e Marco Antonio, antropologo e musicista, che con entusiasmo e passione hanno preso parte al progetto Raccontalo tu. 15 ha preso avvio con una fase di formazione coordinata dal personale dell’Associazione Mimondo, già da tempo impegnata in collaborazioni con il museo e in diverse attività di ricerca inerenti il patrimonio. Gli incontri (quattro incontri di due ore ciascuno) sono stati dedicati alla presentazione della collezione conservata in museo, tanto nei depositi visitabili, quanto nel percorso della collezione permanente, approfondendo l’educazione all’osservazione dell’oggetto sotto molteplici punti di vista, con nozioni di museologia partecipata, criteri di catalogazione e di realizzazione dei testi di sala. Nel corso delle giornate di formazione è stato chiesto a ogni partecipante di scegliere un oggetto esposto nel percorso espositivo di cui elaborare, insieme alla propria comunità di riferimento, contenuti culturali da presentare nella nuova didascalia partecipata. Non sono stati indicati criteri rigidi o particolari vincoli, lasciando libera la scelta dell’opera, determinata dunque solo dal gusto, dalla preferenza, dalla storia o dall’interesse della persona. È interessante notare come non necessariamente sia stata rispettata l’equivalenza tra origini della persona e provenienza dell’oggetto, bensì le scelte siano state dettate da curiosità, coinvolgimento estetico, relazione 16 con approfondimenti o ricerche già condotte. In almeno un caso, invece, risulta evidente il richiamo alle propria discendenza, al proprio passato atavico: Le Manillas mi hanno colpito perché appena le ho viste ho avuto una reazione forte e immediata, senza neppure pensare. Come se la loro visione mi avesse riportato a qualcosa di terribile che mi riguarda. Sicuramente perché sono afro americana e le Manillas rappresentano una storia che porto dentro. Ma l’impatto era inaspettato (B. G.). Le didascalie sono state realizzate da ciascuno tramite il coinvolgimento delle proprie comunità di riferimento e dando spazio alle proprie sensibilità, avvalendosi dei metodi comunicativi a ognuno più familiari. I contenuti così elaborati sono stati restituiti, su supporto digitale, presentando un’ampia rosa di tipologie narrative: dai componimenti poetici a ricerche condotte con una metodologia di stampo etnografico. Allestiti all’interno del percorso espositivo accanto alle didascalie tradizionali, e consultabili tramite codice QR, tutti i lavori sono stati resi fruibili al il pubblico del museo durante le giornate conclusive dell’intero progetto MUDEC POP 3. 3. Le didascalie sono consultabili sul sito www.mimondo.world/mudec-pop-popoli-oggettipartecipazioni-bandocariplo/ PENSIAMO CHE L’ESPERIENZA PORTATA AVANTI CON L’INIZIATIVA RACCONTALO TU POSSA ESSERE UNO STIMOLO PER AVVIARE UN PROCESSO DI APPROPRIAZIONE DEL PATRIMONIO MUSEALE DA PARTE DELLE COMUNITÀ MIGRANTI E DELL’INTERA CITTADINANZA, E CHE POSSA RENDERE IL MUSEO UN LUOGO APERTO AL DIALOGO E PRODUTTORE DI INFORMAZIONI CONDIVISE. OUR WORLD, MY WUNDERKAMMER. SOCIAL MUDEC LUCA TRIPENI ZANFORLIN, ARCI MILANO 17 Quando abbiamo iniziato il percorso di Social Mudec non sapevamo dove ci avrebbe portato. Avevamo un punto fermo, la produzione di contenuti multimediali, e un’ambizione, capire come in un contesto di diversità culturale venissero utilizzati e interpretati strumenti di comunicazione ormai d’uso comune e di massa. La composizione variegata dei membri dell’Associazione Città Mondo ci ha permesso di strutturare una sperimentazione che facesse lavorare fianco a fianco persone più abituate alla produzione multimediale, anche di tipo professionale, con persone che si avvicinavano per la prima volta alle tecniche. L’acquisizione della consapevolezza delle forme espressive usate quotidianamente è stato uno degli scopi che abbiamo perseguito nel lavoro di gruppo. SOCIAL MUDEC È STATA UN’AZIONE DI GENERAZIONE DI CONTENUTI CULTURALI FRUIBILI TRAMITE LE NUOVE TECNOLOGIE CHE HANNO ELABORATO I SIGNIFICATI E I SIMBOLI PROVENIENTI DAL PATRIMONIO DEL MUSEO, DALLE CULTURE PRESENTI A MILANO E DAI PRODOTTI DELLE ALTRE AZIONI DEL PROGETTO. Per realizzare questi contenuti, è stata inviata una call finalizzata a 18 individuare persone che avessero voglia di raccontare storie, tramite parole, immagini e video. Hanno risposto principalmente scrittori, videomaker e illustratori, con diversi tipi di esperienze pregresse, sia in termini artistici e professionali, sia in termini di background culturale, sia in termini di generazione, arrivando a coprire tutte le fasce d’età, una buona parte delle aree geografiche e diverse capacità espressive. Sulla base delle competenze di partenza di coloro che hanno risposto alla call sono state sviluppate le attività di produzioni di contenuto, che hanno visto un forte lavoro di apprendimento peer-to-peer durante il percorso. Fin da subito il gruppo che si è costituito ha lavorato in maniera molto coesa e cooperativa e dopo i primi incontri collettivi si è notevolmente saldato in uno scambio reciproco di conoscenze. Per questo motivo, quando è arrivato il momento di dividersi i compiti, si è scelto di far partecipare alla redazione un numero maggiore di persone rispetto a quelle preventivate in fase di progetto, decidendo di elaborare tutti i contenuti con un lavoro di gruppo e lasciando solo alcuni fasi di scrittura, disegno e montaggio a singole persone individuate di volta in volta dal gruppo stesso. Le attività del progetto sono partite con una vista guidata condotta dalle conservatrici del Mudec agli oggetti della collezione permanente, che sono stati il primo stimolo culturale che abbiamo sviluppato, imparando a conoscerci tramite la condivisione delle motivazioni e delle suggestioni che ci avevano portato a scegliere ciascuno il proprio oggetto preferito. Subito questo lavoro ci ha richiamato i nostri background culturali individuali, andando a ricercare nel patrimonio delle nostre culture altri oggetti particolarmente significativi ai quali abbiamo voluto legare una storia e un’esperienza. Man mano che emergevano le particolarità che ognuno di noi ha portato con i propri oggetti al gruppo, si identificavano anche gli elementi comuni che sarebbero andati a definire i temi del lavoro collettivo. Ci siamo allora confrontati sugli elementi, materiali e immateriali, che ci avevano maggiormente interessato, pur non appartenendo al nostro bagaglio culturale. Qui sono iniziate ad emergere delle forti differenze interpretative dei segni delle altre culture che ciascuno leggeva secondo i propri canoni. Abbiamo iniziato a scrivere per raccontare questi punti di vista anche a chi era fuori dal nostro gruppo e abbiamo gettato i semi di quello che poi è diventato il nostro Social Magazine. Questo incontro tra i diversi immaginari ci ha portato a costruire le presentazioni dei personaggi maggiormente rappresentativi della propria e delle altre culture come se dovessimo presentare un amico a un altro amico, restituendo un tono familiare nella descrizione. Il percorso di emersione degli stimoli culturali partito dagli oggetti del Mudec si è concluso su qualcosa che conosciamo molto bene: le feste più importanti della cultura della propria famiglia, in particolare quelle legate all’inizio dell’anno. Oltre a condividere le principali tradizioni e abitudini legate alla festa, ci siamo lanciati nella definizione di una sezione culinaria del nostro Social Magazine, organizzando la pubblicazione delle ricette dei piatti tipici di queste ricorrenze. Tutto il materiale è stato categorizzato secondo rubriche di un piano editoriale che esplora le varie caratteristiche delle diverse culture, che costituisce lo scheletro sul quale si fonda il Social Magazine Our World (http://medium. com/our-world-social-mudec/). Da questo materiale i membri del gruppo competenti nella produzione video hanno sviluppato due opere utilizzando tecniche diverse: un lavoro di computer grafica che illustra i monumenti più importanti, e un montaggio di spezzoni che raccontano la poetica delle identità dei popoli. Abbiamo lavorato anche su uno dei linguaggi grafici più utilizzati in questi anni: le emoticon e gli emoji sono diffusi in tutto il mondo, e abbiamo potuto osservare come assumano diversi significati e sia necessario ricercare un utilizzo interculturale che sia comprensibile nella diversità. Abbiamo individuato alcuni temi secondo l’interesse di ciascun partecipante e li abbiamo sviluppati con il lavoro di alcuni sottogruppi, ideando i contenuti multimediali che dessero un segno del pensiero sviluppato durante questo percorso di incontro interculturale. “POESIA, COLORE E RIVOLUZIONE”, “FEDE, AMORE E SPIRITUALITÀ”, “GIRO DEL MONDO, MONUMENTI E MITI DELL’UOMO” SONO I TEMI CHE HANNO ABBIAMO AFFRONTATO E CHE SI POSSONO RITROVARE NEI CONTENUTI MULTIMEDIALI PRODOTTI. In occasione degli eventi conclusivi del 27 maggio e del 24 giugno 2017, il gruppo ha lavorato sulla costruzione di un ambiente abilitante che restituisse nello spazio fisico e temporaneo l’esplorazione virtuale e continua sviluppata durante il percorso. Abbiamo cercato di ridurre Our World, come la testata del nostro magazine, in una Wunderkammer, come quelle che si trovano nella prima stanza del Mudec, utilizzando sia oggetti fisici che risultati di percorsi virtuali resi possibili dai mezzi moderni. “Our World / Mudecchiamo” è la composizione materiale dei piccoli esempi di Wunderkammern che ciascun membro del gruppo ha costruito sui propri interessi, declinando i tre argomenti che il gruppo ha scelto durante il percorso. Nella sala hanno trovato posto un bonsai con preghiere di diverse religioni attaccate ai rami e alcune virtù sui picciòli delle mele, la riproduzione di un cervello costruita con giornali e fil di ferro e poi con stecchi e cartone, segnalibri e taccuini realizzati ad hoc con immagini e testi selezionati, la riproduzione di due video di cui uno in computer grafica, costumi tradizionali, bandiere, fotografie e una grande tela bianca che è stata colorata dai bambini durante i due giorni per essere protagonista dell’Abrazo Cultural che abbiamo realizzato al Mudec come conclusione di questo percorso collettivo. 19 BIBLIOTECA VIVENTE: UNA GUERRA NON-VIOLENTA AI PREGIUDIZI ULDERICO MAGGI, ABCITTÀ 20 Gli stranieri ci portano via il lavoro, sono pericolosi, sono pigri, bevono troppo… Sembrano espressioni di altri tempi. Elencati uno dietro l’altro, poi, questi pregiudizi vengono rigettati come prodotto caricaturale di una cultura malpensante ancora viva. Questo è solo l’inizio di un elenco di luoghi comuni che ha segnato le prime mosse di Biblioteca Vivente al Mudec, serie di edizioni di Biblioteca Vivente che ABCittà ha dedicato alle differenze etnico-culturali all’interno del progetto MUDEC POP. BIBLIOTECA VIVENTE È UN DISPOSITIVO CHE PERMETTE DI FAR USCIRE DALL’ANGOLO PERSONE E GRUPPI DISCRIMINATI1. Lo fa attraverso un meccanismo molto semplice: una biblioteca i cui libri sono delle persone, proprio come i lettori; libro e lettore intrecciano un dialogo, apparentemente naturale, per il poco tempo di un “prestito”. I pregiudizi che sono all’origine dei meccanismi discriminatori sono anche il punto di partenza di ogni Biblioteca Vivente; conviene quindi soffermarsi sulla natura dei pregiudizi. 1. L’idea di Biblioteca Vivente nasce a Copenhagen con il nome di Human Library, creata da un piccolo gruppo di giovani come risposta all’aggressione a sfondo razzista subita da un loro compagno nel 1993. “Stop The Violence”, l’associazione da loro fondata, mette a punto e propone il metodo per il festival musicale di Roskilde del 2000. L’iniziativa ha un enorme successo e dal 2003 è riconosciuta dal Consiglio d’Europa come “buona prassi”. Le mille forme di semplificazione, necessarie a tutti per conoscere la realtà, se si radicano senza nessuna riflessione, facilmente generano un’escalation: dalla categorizzazione allo stereotipo, al pregiudizio, fino alla discriminazione. Il processo che porta alla formulazione di un pregiudizio richiede da un punto di vista cognitivo uno sforzo ridotto, mentre dal punto di vista motivazionale produce una buona visione di sé. Lo straniero è una categoria facilmente riconoscibile, “altra”, che se non provoca paura, almeno funge da catalizzatore sociale per problemi di natura diversa. Insomma, le categorie massificano, cercando di produrre spiegazioni che in realtà riducono la capacità di comprensione e congelano le persone e le loro storie in una definizione che non ne esaurisce la complessità. I pregiudizi più radicati e corrosivi di solito sono prodotti dell’irrazionalità, e qui proliferano; solo dopo arrivano alla testa. Infatti, un pregiudizio che funziona bene ha in sé delle robuste componenti irrazionali, e lavora in connessione con la paura come motore, carburante e destinazione. LA NARRAZIONE BIOGRAFICA, UNA RISPOSTA CREATIVA Biblioteca Vivente funziona bene in questo senso - lo testimoniano gli svariati percorsi realizzati in tutta Italia da ABCittà2, oltre che da altre organizzazioni, anche se con alcune differenze metodologiche - perché utilizza la narrazione biografica come arma. Infatti, se il pregiudizio su una categoria chiude il pensiero a imbuto, la narrazione biografica apre a una molteplicità di interpretazioni. Il libro umano partecipa a un percorso di auto-formazione nel corso del quale è supportato dai facilitatori nel mettere in atto alcune operazioni con la propria memoria: si fa interrogare dai pregiudizi individuati, scava, ricorda (attribuisce nuovamente cuore a un episodio passato), rievoca l’episodio (gli dà nuovamente voce). Attraverso la narrazione degli episodi che ha scelto di condividere, la persona diventata libro umano esce dalla categoria in cui è stata spinta e riacquista la sua molteplice identità agli occhi del lettore, oltre che ai propri. Lo “straniero” non è più solo “uno nel mucchio”, ma è Alfred, papà di due bambine che vanno a scuola, con la sua storia, le sue origini, le sue aspettative e i suoi progetti. All’interno del percorso formativo ogni libro umano decide la propria traccia di episodi da narrare in relazione ai pregiudizi che ha individuato. La micro-relazione che si sviluppa durante l’incontro tra libro e lettore 2. Per un elenco completo delle edizioni di Biblioteca Vivente allestite da ABCittà si veda www.bibliotecavivente.org 21 è un altro ingrediente del dispositivo Biblioteca Vivente, che rende speciale e irripetibile l’esperienza. Ciò che avviene durante la consultazione, nella mezz’ora a disposizione, non è governabile né prevedibile, e rimane un’esperienza privata. Si tratta di una relazione molto intensa, per quanto circoscritta, come viene testimoniato da entrambe le parti. Come quando abbiamo in mano un libro di carta non siamo lettori passivi, così anche con il libro umano la relazione è dinamica e biunivoca. Se dovessimo dire chi sia il protagonista di questo dispositivo, dell’esperienza nel suo complesso, potremmo dire che sono sia il libro sia il lettore o, ancora meglio, il loro incontro. BIBLIOTECA VIVENTE E LA RIELABORAZIONE DI ABCITTÀ Attraverso oltre 30 edizioni di Biblioteca Vivente, ABCittà ha messo a punto alcune piste di ricerca per sviluppare il dispositivo. Sono nati da una parte alcuni percorsi che hanno acceso i riflettori su uno specifico luogo (es. il quartiere Molise Calvairate, via Padova…); dall’altra edizioni tematiche (carcere, veganesimo, salute mentale, seconde generazioni…), con il tentativo di specificare in modo sempre più dettagliato il focus di interesse e dunque la questione da affrontare. I quattro percorsi di Biblioteca Vivente 22 al Mudec appartengono a quest’ultimo filone. ABCittà ha inoltre strutturato il dispositivo in termini di metodo facendo riferimento all’approccio della progettazione partecipata e alla dimensione interculturale. La Biblioteca Vivente è, secondo il modello di ABCittà3, insieme strumento e processo partecipato. L’evento aperto al pubblico non esaurisce l’azione, ma coincide con il suo risultato più visibile. ABCittà fa riferimento all’approccio interculturale, sia per l’analisi dei pregiudizi come fatto culturale, di cui abbiamo detto, sia per i significati dell’incontro che il dispositivo provoca tra libro e lettore. L’approccio interculturale ci spinge verso una dinamica normalmente inconsueta, proponendo di avventurarsi nelle periferie dell’incontro e del noto, ma soprattutto dell’interpretazione del reale. Nell’incontro interculturale si apre uno spazio per l’attribuzione di nuovi e molteplici significati. BIBLIOTECA VIVENTE AL MUDEC MUDEC POP si prestava particolarmente bene ad accogliere una Biblioteca Vivente dedicata alle differenze etnico-culturali. La ricerca sperimentale, in questo specifico contesto, ci ha condotti su almeno 3. Ulderico Maggi, Paola Meardi e Cristian Zanelli (a cura di), Biblioteca Vivente. Narrazioni fuori e dentro il carcere. Ed. Altreconomia, Milano 2015. due piste di innovazione. La prima riguarda l’ipotesi di utilizzare alcuni oggetti della collezione come “muse” dei libri umani, per facilitare o contaminare l’emersione delle narrazioni biografiche. Questa parte della sperimentazione ha previsto che gli aspiranti libri umani individuassero un oggetto come ispiratore di ulteriori narrazioni biografiche o come catalizzatore di memorie. L’esposizione di questi oggetti durante la prima edizione di Biblioteca Vivente al Mudec (19.12.2015) portava con sé il rischio proprio di alcuni processi interculturali noto come “reificazione della cultura”. Questo rischio è stato scongiurato dal superamento di una logica di abbinamento persona-oggetto di tipo meramente geografico o culturale, a favore di una selezione più sottile, basata su valori e memorie individuali, facilitata da uno strumento di mediazione appositamente progettato. La seconda pista di ricerca ha mirato a specificare il focus di interesse riguardo alla macro-questione delle differenze etniche e culturali: ci si voleva concentrare sulla città di Milano e sui temi più rilevanti per la contemporaneità. È stata sviluppata un’indagine che ha coinvolto alcuni testimoni privilegiati del mondo della politica, del lavoro, della cultura, delle tradizioni religiose. Sono emerse otto aree tematiche che sostanziano la questione immigrazione/integrazione: luoghi dei migranti nella città; lo straniero vicino di casa e lo straniero sui giornali; giovani e cittadinanza; famiglia, amore e valori; rapporti tra “comunità etniche”; lavoro e ruoli sociali; scuola e figli; cultura e identità. Da qui è partito il nuovo percorso che ha portato alle ultime due edizioni di Biblioteca Vivente al Mudec (6 e 27.5.2017). C’erano Ana che raccontava del primo incontro con la famiglia napoletana del marito; Mustapha e Chan che interpretavano in modo diametralmente opposto la questione dell’identità e della pratica religiosa; Jorge che rievocava occasioni di volontariato come forma di cittadinanza vissuta. Un intrico di storie, sentimenti e volti che hanno avuto la capacità di trascinare tanti lettori in mondi diversi e lontani, ma allo stesso tempo così vicini, più comprensibili proprio grazie all’incontro e alla narrazione personale dei libri umani. OGGETTI VIAGGIANTI SOCIAL MUDEC BIBLIOTECA VIVENTE 23 LEMMI QUESTI LEMMI RACCOLGONO ALCUNI DEI TEMI EMERSI NEL CORSO DELLA TAVOLA ROTONDA “ABITARE IL MUSEO. PRATICHE DI PROTAGONISMO CULTURALE DEI CITTADINI”. LA TAVOLA ROTONDA, A CURA DI ANNA CHIARA CIMOLI E MARIA CHIARA CIACCHERI (ABCITTÀ), SI È SVOLTA IL 23 GIUGNO 2017 AL MUDEC. GLI AUTORI DEI LEMMI SONO I MUSEOLOGI - ANTROPOLOGI, ARCHITETTI, STORICI DELL’ARTE - CHE SONO INTERVENUTI ALLA TAVOLA ROTONDA. 24 ABITARE L’ABITUDINE Se guardi da quel foro vedi semplicemente una stanza, e due persone in fondo, una a sinistra e una a destra: inspiegabilmente, una è enorme e l’altra minuscola. Eppure non c’è lente deformante che alteri quei corpi ai miei occhi. Possibile che sia il mio stesso sguardo a ingannarmi? L’oftalmologo statunitense Adalbert Ames Jr ha costruito la stanza che porta il suo nome (“Camera di Ames”) nel 1946, su un’idea di Hermann Helmholtz della fine del ‘8001. Ames era convinto che la percezione ottica non fosse un’attività ‘naturale’ e indipendente dalla cultura d’appartenenza. Le sue teorie sembravano inaccettabili a chi riponeva nell’occhio (nelle caratteristiche del suo funzionamento) l’ideale dell’acquisizione di quella conoscenza panottica e ‘indubitabilmente’ oggettiva, alla base del potere dello sguardo Europeo di affermarsi come normatività universale. Per provare le sue teorie sulla percezione Ames inizia a lavorare all’idea di una «distorted room», uno spazio costruito deformando l’idea tradizionale della stanza: non rettangolare ma trapezoidale, con un dislivello e due differenti profondità, uno spazio che «sottolineando l’aspetto prospettico in realtà ne maschera la deformazione»2. 1. W. C. Bamberger, Adelbert Ames Jr. A Life of Vision and Becomingness, Bamberger Books, Whitmore Lake, Michigan 2006. Osservando da un piccolo foro, tuttavia, non notiamo nessuna stranezza: questo spazio ci appare come una normalissima stanza. È solo la presenza al suo interno di due persone che rende evidente la distorsione, che avviene a livello della nostra elaborazione dei dati di realtà. La priorità è vedere ‘la stanza’ così come la conosciamo, e a tale scopo siamo disposti a distorcere le dimensioni di quei corpi. Distorciamo la realtà di quei corpi, pur di non mettere in discussione la ‘forma’ culturale di quello spazio, cioè la ‘stanza’, uno dei concetti alla base della formazione della nostra conoscenza del mondo e di noi stessi. Per cercare una conferma della sua teoria, Ames ha portato il suo esperimento in Sud Africa, presso una popolazione che aveva un’esperienza e una concezione dello spazio abitativo radicalmente diversa dalla nostra (non ortogonale, ma circolare): in questo caso le persone che guardavano da quel foro non avevano nessuna difficoltà a percepire lo spazio così com’era, con dislivelli e diverse profondità, e i corpi all’interno delle loro effettive dimensioni. La nostra percezione dello spazio è dipendente dal modello culturale che abbiamo introiettato rispetto al concetto stesso di ‘spazio’, e al suo stereotipo visivo, la ‘stanza’, la forma stessa dell’abitare. Vediamo quello che già sappiamo, attraverso la nostra memoria incorporata: vediamo quello 2. Museo Laboratorio della Mente, a cura di UOS Centro Studi e Ricerche ASL Roma E, Studio Azzurro, Silvana Editoriale, Milano 2010, p. 24. Al Museo della Mente di Roma è possibile fare esperienza della Camera di Ames, proprio all’inizio del percorso museale. che siamo ‘abituati’ a vedere. Tutto questo ha a che fare con il concetto di habitus, elaborato da Marcel Mauss (poi ripreso da Bourdieu nella sua Teoria della pratica): «le modalità attraverso cui le persone ‘abitano’ i loro corpi, così che questi si ‘abituino’3». Ogni individuo letteralmente incorpora una serie di disposizioni e norme culturali e sociali, «tecniche del corpo»4, attraverso le quali conosce e impara a vivere il suo mondo: un modo di dormire, di correre, di mangiare, di camminare, al punto che laddove ci sembra di essere più naturali, siamo invece più culturali (non a caso il concetto di habitus viene articolato da Bourdieu proprio nei suoi studi sullo spazio domestico – l’abitare come il luogo in cui si ha una consuetudine, al quale si è abituati)5. L’habitus agisce sui comportamenti, ma anche sulle percezioni individuali (come è evidente nel caso della camera di Ames) tendendo a uniformarle a quelle della società della quale il soggetto fa parte. (Che cosa vuol dire, dunque, ‘abitare’?)6 GIULIA GRECHI ACCESSIBILITÀ Accedere a un luogo della cultura è un diritto, significa poterne varcare le soglie, navigare gli spazi, avere la possibilità di comprendere e apprendere, ognuno in base alle proprie personali, differenti, abilità e competenze. Perché questo possa avvenire sempre più, occorre che abbia luogo una presa di coscienza sociale e una assunzione di responsabilità da parte di tutti. Gli spazi materiali e immateriali della cultura (e dell’intera vita sociale) dovrebbero essere pensati, costruiti e plasmati in modo tale che chi consideriamo diverso da noi non ne resti escluso. Un museo accessibile è un museo che sa accogliere ogni visitatore, non considerandolo un problema da risolvere ma un portatore di competenze e conoscenze da includere nel proprio bagaglio di storie. Non solo, è anche un luogo dove alle capacità del singolo visitatore viene data la possibilità di manifestarsi e di accrescersi, in uno scambio di arricchimento reciproco. LUCILLA BOSCHI 3. Nancy Scheper-Hughes, Il sapere incorporato: pensare con il corpo attraverso un’antropologia medica critica, in Robert Borofsky, L’antropologia culturale oggi, Meltemi, Roma 2000, p. 284. 4. Marcel Mauss, Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965. 5. Pierre Bourdieu, Per una teoria della pratica, Raffaello Cortina, Milano 2003. 6. Parte dello scritto è tratto da Di sicuro non si sente reclamare a gran voce un bacio, in “Zeusi. Linguaggi contemporanei di sempre”, 1, n. 3, Dell’abitare, Arte’m, Napoli, giugno 2016. ALTOPARLANTE Jette Sandahl definiva il Museo di Copenhagen, da lei diretto, “altoparlante della città”. Il museo come ripetitore e come voce, come luogo che veicola istanze e proposte e le propaga all’esterno. Molti anni prima John Kinard, fondatore dell’Anacostia Neighbourhood Museum di Washington, parlava del museo come di un “orecchio che ascolta” (The Museum in the Service of Man: Today and Tomorrow, 1972). L’ascolto va dunque nelle due direzioni: il museo e il suo contesto, in un impalpabile andirivieni fra dentro e fuori il cui confine è del tutto labile, pretestuoso. Ma non c’è ascolto senza trasformazione, senza presa di posizione (anche se provvisoria, transitoria, in costante evoluzione): l’ascolto cui non consegua un’azione è una retorica vuota e controproducente. Il museo, dunque, come apparato che riceve e trasforma, ma anche come generatore di contenuti: un fondale su cui si depositano sostanze, scorie, oggetti, pensieri che qui prendono una nuova forma per essere restituiti alla società. La metafora è quella della traduzione, con tutti i suoi trabocchetti: “Esporre oggetti etnografici”, scrive Marco Aime nell’introduzione al volume di Jean-Loup Amselle Il museo in scena (2017), “è un po’ come tradurre un testo da una lingua straniera e sappiamo benissimo come i traduttori diventino talvolta, inevitabilmente, traditori. Non esiste un modo giusto, qualunque sia la scelta sarà sempre frutto di una interpretazione”. Perché questa attività di costante ri-negoziazione dei contenuti avvenga servono due ingredienti: le persone (le “comunità”, come si dice a volte con 25 leggerezza: mai quelle etniche, però, dal nostro punto di vista, giacché è una forzatura e un disservizio definirle in quanto tali; ma quelle di comunanza, di prossimità, che sia geografica, culturale, di interessi), che interpretano, discutono e se serve protestano; il tempo necessario a conservatori, curatori, mediatori del museo per ascoltare, registrare e se serve mettere in discussione. ANNA CHIARA CIMOLI AURA C’è una questione preliminare nell’accostarsi a qualsiasi museo che è l’oltrepassamento di una soglia, che porta, per esempio, da una strada a un museo. Ancor prima di incontrare un’opera, quali aspettative nascono da quest’oltrepassamento? Ogni edificio pubblico dove facciamo esercizio del nostro essere cittadini partecipi a una vita collettiva che cresce, ha una sua particolare aura che li rende qualcosa di differente l’uno dall’altro. L’aura è quel qualcosa che circonda le cose talvolta prima e al di sopra delle cose stesse. E per percepire l’aura non è necessario vedere: ha direttamente a che fare con lo spazio in cui una collezione di oggetti materiali o immateriali viene collocata. Gli spazi sono in continuo divenire e possono 26 diventare abissi sempre nuovi. Per far percepire questa possibilità basta aprire il nostro apparato sensibile: ciò che abitualmente fa un cieco quando passa da un ambiente a un altro ascoltando ogni rumore, a cominciare dai suoni prodotti da se stesso e dagli altri, ad esempio camminando. Ogni più piccola vibrazione sonora, di temperatura, riflesso dei propri passi: tutto questo fornisce a chi vede e chi non vede i dati per comprendere dimensioni, forme, possibilità, vocazioni dell’ambiente, e allo stesso tempo attiva le sue facoltà immaginative. Questi stimoli rappresentano la vita stessa, che è flusso continuo, ininterrotto, una pasta le cui componenti sono separabili solo tramite quella presa di distanza che ci fa percepire, per esempio, la singola voce di una donna in una piazza. FABIO FORNASARI BACIARSI Museo di arte contemporanea, stanza. Tra i visitatori del museo, un ragazzo e una ragazza iniziano a baciarsi, lungamente, lentamente, rotolandosi a terra, muovendosi nello spazio, assumendo pose diverse, senza interrompere la loro coreografia amorosa. A un tratto una voce dagli altoparlanti del museo dice: «Tino Sehgal, Kiss». Nessun’altra informazione sulla performance dell’artista. Forse qualche visitatore avrà colto nelle figure performate da quei corpi, le citazioni dei baci raffigurati in alcune famose opere d’arte (Canova, Koons, Rodin, Klimt, Brancusi). È sconveniente baciarsi in un museo, tutti lo sappiamo, a meno che non siamo Amore o Psiche, e siamo fatti di marmo bianco. In effetti la fruizione dello spazio museale è un’esperienza alquanto proibitiva, piena di divieti che riguardano soprattutto la corporeità dei visitatori, l’espressione di sé. (Non parlare a voce alta, non avvicinarti troppo, non toccare, non mangiare, non fare fotografie, non correre, non assumere comportamenti “inappropriati”.) Il museo non è un dispositivo innocente. Ha fornito storicamente le risorse immaginative e performative, gli orizzonti cognitivi e le pratiche utili all’esercizio del potere/sapere attraverso il mostrare, ha costruito attraverso una serie di opposizioni (dentro-fuori, séaltro, natura-cultura, visibile-invisibile) delle «comunità immaginate7» in senso nazionale e coloniale, e l’identità del cittadino europeo moderno come soggetto universale, e ‘ben educato’8. Nel fare tutto questo, ha anche definito e naturalizzato uno specifico regime di ‘abitabilità’ dei suoi spazi, rispetto agli oggetti esposti e ai corpi dei visitatori. Ha veicolato una serie di habitus, cioè una serie di disposizioni e norme 7. Benedict Anderson, Comunità immaginate, Manifestolibri, Roma 1996. 8. Tony Bennett, The Birth of a Museum, Routledge, London-New York 1995. Iain Chambers, Giulia Grechi e Mark Nash, The Ruined Archive, Politecnico di Milano, 2014. comportamentali, che il ‘bravo’ visitatore ha incorporato a tal punto da sentirle come ‘naturali’9. Alla radice di questo processo c’è una gerarchia sensoriale sottintesa come norma, che privilegia un vedere disincarnato come il senso privilegiato della fruizione museale, relegando gli altri sensi in posizioni subalterne, o nell’ambito dell’interdetto. Ma il modello sensoriale dei cinque sensi non è uno schema universale: «it is only one such ordering, and it is relatively recent in European history»10. Anche l’affermazione di una particolare gerarchia sensoriale è stata funzionale alla definizione del sé e dell’Altro: è servita a costruire e naturalizzare la superiorità del soggetto che vede (Europeo, razionale, civilizzato, maschio, pieno di cultura) sull’Altro istintivo e irrazionale (sessualizzato o infantilizzato che selvaggiamente annusa, tocca, gusta). Il potere coloniale riguarda anche la costruzione del sentire, e la «psicogeografia del museo»11 è una delle sue stanze dei giochi preferite. (A volte occorre provare a disimparare quello che ci sembra ‘normale’, solo perché l’abbiamo sempre saputo). GIULIA GRECHI 9. Helen Rees Leahy, Museum Bodies. The Politics and Practices of Visiting and Viewing, Ashgate, Farnham Surrey 2012. 10. Elizabeth Edwards, Chris Gosden, e Ruth Phillips, Sensible Objects. Colonialism, Museums and material Culture, Berg, Oxford New York 2006, p. 5. 11. Barbara Kirshenblatt-Gimblett, The Museum-A Refuge for Utopian Thought, in http://www.nyu.edu/ classes/bkg/ web/museutopia.pdf, 2004. CONVERSAZIONE Di Biblioteca Vivente al Mudec abbiamo già parlato, in questa pubblicazione. Aggiungiamo ora due riflessioni museologiche. La prima è sul legame fra l’episodio di Biblioteca Vivente – che si fa anche in piazze, giardini, mercati, in carcere, insomma si fa ovunque abbia senso farla – e il museo, questo museo. Non ha senso organizzare una cosa qui se non ha un legame specifico con il luogo: il suo profilo, le sue collezioni, la sua specificità. Abitare il museo con il corpo: ma non ha senso fare pilates, corsi di origami o sessioni di piercing al museo solo per inseguire un aumento degli ingressi, se non si tesse un legame di senso profondo. Nella prima edizione di Biblioteca Vivente al Mudec abbiamo così lavorato con i “libri umani” invitandoli ad andare nei depositi con i conservatori e individuare degli oggetti legati alla loro storia (non sulla base dell’etnicità, tuttavia: un punto importante, questo, troppo spesso disatteso in molte pratiche che semplicemente fanno “clic” fra persone peruviane e oggetti peruviani, fra persone cinesi e oggetti cinesi). Quegli oggetti sono stati dapprima incontrati e osservati, quindo scelti, fatti uscire dai depositi e organizzati in una vetrina, con delle didascalie pensate per l’occasione. Organizzare Biblioteca Vivente al Mudec ha voluto dire invitare le persone a far conversazione al museo, facendolo così diventare, letteralmente, quel “luogo di convegno” di cui parlava Franco Russoli ne Il museo nella società (1981). Ed eccoci al secondo punto, quello del parlarsi guardandosi in faccia, in due o in piccoli gruppi: per negoziare, decidere, confrontarsi, raccontarsi. Come il museo, un museo in generale, può facilitare questa pratica di cittadinanza? Perché si tratta proprio di cittadinanza: la sala del museo diventa uno speaker’s corner da cui far sentire le proprie istanze, da cui condividere i propri punti di vista, in cui prendere posizione su temi piccoli o grandi; con il contenimento delle collezioni, entro la cornice di una storia precisa, che guida e sostiene il discorso. Una pratica di democrazia. Ci sono, nel mondo, molti programmi interessanti che lavorano in questo senso: Have conversations here del Portland Art Museum; oppure New Experts!, il programma dedicato ai teenagers della Haus der Kulturen der Welt di Berlino che affronta temi controversi come migrazione e identità. Anche Che cosa vedi?, un progetto di peer-education fra adolescenti sviluppato a partire da un’intuizione di ABCittà al Museo del Novecento di Milano (con il Liceo Crespi di Busto Arsizio), invita a sedersi per terra e discutere in piccoli gruppi. I ragazzi che hanno sperimentato Che cosa vedi? hanno parlato, nelle loro valutazione, di “un modo diverso di stare al museo”. Diverso da quale? Certamente da quello verticale, che prevede la stazione eretta come unica postura ammessa, e dunque informa conversazioni brevi, le 27 persone affiancate mentre camminano. Questo “modo diverso” prevede lo stare seduti, che sia sulle sedie o per terra non importa, e prevede dei tempi lunghi, più o meno codificati. Lo spazio del museo è quel cerchio che tiene insieme, che con-tiene. Antonio Tabucchi, in Requiem (1992), descrive l’incontro fra il protagonista del libro e un copista al Museo di Arte Antica di Lisbona, di fronte alle Tentazioni di Sant’Antonio di Bosch. Prima c’è l’imbarazzo del condividere uno stesso spazio di contemplazione, quel salto di intimità che sta fra il tacere e il dire. Ma poi c’è l’opera, o l’oggetto della collezione, che guida al di là dello specchio, che porta fuori dall’imbarazzo, perché non si parla di me e di te ma di noi attraverso quell’oggetto: “Fu forse in conseguenza di questa sensazione di malessere che, invece di mettermi a guardare il quadro di fronte, lo aggirai e mi misi a guardare il retro del pannello laterale di sinistra, la scena di Cristo nell’Orto degli Ulivi. Cercai di concentrarmi su quella scena, forse nella speranza un po’ assurda che l’uomo chiudesse il suo cavalletto e se ne andasse. Se vuole vedere il quadro deve spicciarsi, disse l’uomo dall’altra parte, il museo sta per chiudere”. E poi si parla di quel pesce, che non è una cernia ma una tinca – solo l’osservazione ripetuta e prolungata ha permesso di capirlo – e non è un dettaglio, è sostanza, perché la tinca ha delle caratteristiche particolari (“È a cavallo di quella tinca grassa che questi due personaggi vanno incontro al 28 diavolo, disse, non vede?”) , perché quel dipinto stava in un ospedale e si pensava avesse proprietà taumaturgiche, perché il fuoco di Sant’Antonio è “un po’ come il rimorso, se ne sta addormentato dentro di noi e un bel giorno si sveglia e ci attacca”. Così il museo rima con la vita che conduciamo, con i nostri fantasmi, le nostre sfide, e la conversazione porta a emersione, permette di vedere. ANNA CHIARA CIMOLI CORNICE Le cornici definiscono l’identità della finzione: lo racconta bene Victor Stoichita in un classico della letteratura artistica quale L’invenzione del quadro. Questa accezione, parafrasata, si adatta ugualmente bene alla stessa istituzione museale: “frammenti di realtà che si distinguono per la loro capacità di delimitare un campo visivo […] tutte, nel medesimo tempo, negazione della parete e affermazione di uno spazio ‘altro’ “ (p. 64). Il museo contenitore cui siamo soliti riferirci, in questo senso, ci restituisce delle narrative, ne identifica talvolta una coralità e un filo conduttore, esplicitandone però raramente la cornice e i presupposti. Eppure le prospettive della museologia contemporanea spingono sempre di più affinché sia possibile insegnare ai visitatori a osservare e leggere i contorni delle cose, in un’ottica metacognitiva che consenta loro di acquisire competenze progressive necessarie a stimolare “repertori intepretativi” sempre sovrapponibili (Potter e Wetherell, Discourse and Social Psychology, 1987). La spiegazione dei perché, in ambito internazionale, è sempre più spesso un’esigenza, nella convinzione che non tutti i pubblici siano dotati di strumenti per la decodifica delle scelte espositive, per altro non sempre significanti. Un’appello alla trasparenza, alla promozione di competenze di lettura dei percorsi espositivi quali testi suggerisce anche un nuovo valore da assegnare all’accessibilità e alla mediazione, secondo alti livelli qualitativo spesso richiesti solo ai contenuti e agli oggetti esposti. Una progressiva tendenza che, dunque, si oppone a un paradosso, quello per cui “the museum curatorially constructs the mystery that its education function must then solve for the audience”12. MARIA CHIARA CIACCHERI DIDASCALIA Al concetto di didascalia, nell’accezione anglosassone di label, etichetta, la 12. Ailbhe Murphy e Ciaran Smyth, More Bite in the Real World: Usership in Art-Based Research Practice, ONCurating n. 24, 2014 museologia postmoderna assegna un valore centrale. Secondo questo approccio, infatti, il museo dovrebbe essere il luogo capace di supportare la costruzione di una competenza critica e civile, attraverso la messa in discussione degli stereotipi associati alle cose e, di conseguenza, alle persone. Basterebbe pensare ad un vecchio mattone e collocarlo su di un piedistallo con la giusta luce. Se il mattone fosse conservato all’interno di un museo della città, alcuni ne leggerebbero la didascalia spinti dal desiderio di conoscerne la provenienza geografica e storica. In un museo di arte contemporanea gli interrogativi cercherebbero risposta nella pretestuosità dell’oggetto. Un mattone, dovrà necessariamente farsi portavoce di un altro significato che forse un testo a margine - facilmente scritto dal museo - potrebbe tentare di declinare in parole. La tipologia dell’istituzione guida inevitabilmente le risposte che cerchiamo associate agli oggetti. Ma se un mattone fosse soltanto un mattone, la cui memorabilità coincidesse solo con la sua esistenza? Nella prospettiva di Urs Moor, all’interno del un piccolo volume Education, pubblicato dalla Rietveld Academie di Amsterdam, una serie di sei mattoni si racconta singolarmente. Si tratta di oggetti che raccontano storie qualsiasi; hanno l’identità, ingenua o arguta, delle persone comuni e una percezione storica di sé del tutto parziale. Il loro sottotesto, una voce debole che non racconta certo di storie altisonanti, guarda alla molteplicità di prospettive che possono assumere stili, vocabolari e punti di vista opposti, sottili eppure sempre reali. Mettere in discussione le didascalie, domandando persino ai bambini (come è stato fatto al MUDEC) che cosa vedano negli oggetti, può rappresentare un modo per restituire ai musei la vitalità complessa di quel mondo là fuori fatto di laterizi. Un processo di sottintesa osmosi che consenta di distinguere i fatti dalle interpretazione e sappia assegnare pari validità ai saperi allo scopo di smascherare i pregiudizi sugli sguardi che modellano il senso associato agli oggetti. Didascalie che non siano solo affermazioni, ma anche ipotesi contrapposte capaci di aprire al dibattito e dunque, soprattutto, domande. MARIA CHIARA CIACCHERI FRUIBILITÀ Come dovrebbe essere un museo fruibile per chi non vede? Prima ancora di chi ha fatto studi di museologia, più volte ce lo hanno mostrato gli artisti dal Novecento ad oggi attraverso l’installation art, l’arte concettuale e relazionale: esiste una vasta area dell’arte contemporanea dal carattere spiccatamente sinestetico e non-visivo, che permette una libera ricezione delle opere sia da parte di non vedenti sia da parte di coloro che vedono, senza necessità di filtri intermedi. Come dire che l’accessibilità fa parte della consistenza intrinseca dell’opera la quale, proprio per questo, non necessita di alcun tipo di traduzione-trasposizione ma soltanto di alcune informazioni essenziali sull’esistenza di questa vasta area. Generalmente i ciechi pensano che non ci sia nulla di fruibile nei musei, e che quindi non possano partecipare al suo godimento. Se questo è in gran parte vero per l’arte del passato, soprattutto per la pittura prospettica e tonale, non sempre lo è per la scultura di qualsiasi epoca. Tuttavia, salvo rare eccezioni, nei musei non si possono toccare né oggetti né opere di scultura. Solo quando è a portata di mano nelle piazze e nelle chiese la scultura può essere toccata, anzi talvolta toccarla fa parte della ritualità devozionale (dalla statua di San Pietro a Roma a quella di San Giacomo a Santiago de Compostela). In alcuni casi di scultura contemporanea l’esplorazione tattile può essere anche sollecitata e voluta dagli stessi artisti (come in Franz West o Kan Yasuda) e diventa parte integrante dell’opera. FABIO FORNASARI 29 L’INABITABILE l’Inabitabile mi circonda provo a tracciarne i confini ma restano in mano solo brandelli di muri – e di pelle (è così che mi ricordo il corpo è lì dove è sempre stato piccolo squarcio fessura luminosa tra due porte chiuse lì – dove posso assicurarmi certamente una consistenza) GIULIA GRECHI ISTRUZIONI PER L’USO La fruibilità dell’opera conosce una mutazione senza precedenti verso una diffusa multisensorialità a partire dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, tanto che oggi ci sono sempre maggiori possibilità che un cieco possa avvicinarsi a un’opera, la possa comprendere e possa provare coinvolgimento estetico. Difficilmente però un cieco visita un museo o un’esposizione d’arte contemporanea, non solo per il 30 divieto di toccare e per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo in modo adeguato, ma, ancor prima, perché nei luoghi deputati all’istruzione e alla formazione non si danno indicazioni sulla fruibilità dell’opera al di fuori dell’ambito visivo. L’orientamento della didattica, in molti casi ancora di stampo tradizionale, prevale sull’orientamento estetico dell’oggetto stesso e sulla sua capacità di comunicare autonomamente. La storia dell’arte, inoltre, viene spesso insegnata solo fino ai primi decenni del Novecento senza tenere sufficientemente conto di ciò che accade dopo, oppure, nei rari casi in cui ci si spinge oltre, si sottovalutano le modificazioni che sono intervenute nella concezione dell’arte attraverso il progressivo affermarsi di nuove discipline come l’estetica, la psicoanalisi, l’antropologia, la fenomenologia, l’intermedialità ecc. FABIO FORNASARI LIBERTÀ Mi piacerebbe che alla National Gallery ci fosse un cartello con scritto: ‘Non deve per forza piacerti tutto’. (Alan Bennett, Una visita guidata, 2008) OROLOGIO Al museo in genere non ci sono gli orologi. Il luogo considerato fra le sedi per eccellenza dell’apprendimento informale non può certo avere i connotati di un’aula scolastica. Il tempo trascorso all’interno delle sale è necessariamente soggetto alla volontà del visitatore, libero, progressivo: si cammina, ci si siede, si accelera e si rallenta. La facilitazione cognitiva del tempo, che potrebbe essere facilitata da scelte di tipo espositive, spesso non rappresenta un tema di indagine trasformandosi così una barriera. Eppure i musei, in questo, dovrebbero essere sempre contemporanei, innanzitutto a sé stessi, a dispetto della storicità degli oggetti che possono conservare. Una storicità che parimenti andrebbe reinterpretata secondo paradigmi non sempre lineari. Perché la vera domanda, al museo, forse non è più chi o cosa ma, come suggeriscono Preziosi e Farago (2004, p. 3) è diventata quando. MARIA CHIARA CIACCHERI PARADOSSI DELL’INCLUSIONE Quel che genera il cambiamento è la differenza. Per contribuire ad una riflessione efficace sull’accessibilità dei musei non basterà guardare ai visita-tori: servirà che la differenza divenga elemento costitutivo delle professionalità del museo stesso e che, allo stesso tempo, coloro che lavorano in questa istituzione possano essere considerati anche alla stregua di un pubblico. MARIA CHIARA CIACCHERI PARTECIPAZIONE In vari settori della società si sente parlare di partecipazione, e questo mutamento riguarda sempre più anche i musei. I musei diventano così spazi relazionali, mettendosi in ascolto della comunità di cui fanno parte, disponibili ad accoglierla e a intraprendere con essa dei percorsi di conoscenza e crescita, fino a diventare dei veri e propri crocevia di culture, esperienze, relazioni. La partecipazione dei pubblici non avviene solo dentro le sale museali, ma anche negli spazi immateriali costituiti dai social media dei musei, che dimostrano una sempre maggiore attenzione alla propria community di “followers”, al punto da farla diventare parte attiva del processo di costruzione del senso, in un percorso di innovazione sociale oltre che culturale della partecipazione. LUCILLA BOSCHI PUBBLICI I musei da sempre sono in trasformazione. Nati come luoghi di conservazione, hanno accolto tra le proprie mura i processi evolutivi della società, aprendosi a pubblici sempre più diversificati. Non più semplici spazi frequentati da persone di cultura, sono divenuti ambienti accoglienti, in cui apprendere, socializzare, conoscere, ri-conoscersi. Oggi possiamo considerare i musei dei veri e propri attivatori di cittadinanza. I pubblici che li frequentano risultano sempre più diversi, in uno scambio osmotico in cui la diversità è una ricchezza, un valore che si rispecchia nell’evoluzione degli spazi, della comunicazione e delle stesse collezioni. Differenti abilità, competenze, lingue, provenienze geografiche, culture, livelli di istruzione, fragilità: un intreccio di storie personali che si incontrano ed entrano a far parte dei musei, in una costruzione di senso continuamente rinnovata. LUCILLA BOSCHI SGABELLI, SEDIE, DIVANI (E LETTI) Nel 1941 – siamo durante la guerra – Franco Albini inserisce delle sedute individuali davanti alle opere di Scipione, nella mostra allestita alla Pinacoteca di Brera. Le opere erano collocate entro nicchie di mattoni, e la relazione con esse risultava personale, ma non rigida: le sedie si potevano spostare (ma chissà se i guardiani lo hanno permesso). Lo stesso Albini colloca la ‘tripolina’, seduta leggera e pieghevole di coloniale memoria, nei musei genovesi che allestisce nei primi anni Cinquanta: ancor più aperto incoraggiamento a personalizzare la visione, muovendosi a piacimento nello spazio. Come si fa a casa propria, inseguendo magari la luce migliore per leggere o riposare. Quando Ignazio Gardella progetta il Padiglione d’Arte Contemporanea, a Milano, prevede sedie leggere, le “chiavarine”. E piante verdi: come in un appartamento. Oggi, il Grassi Museum di Lipsia mette il museo stesso sul divano dello psicanalista: la serie di incontri Museum on the Couch invita gli studenti della facoltà di Antropologia, ma anche chiunque altro, a raccogliersi fisicamente intorno a dei manufatti e a vivisezionare il museo: le sue scelte, i partiti presi, i detti e i non-detti, in una logica progettuale e propositiva. Dallo sgabello dello studente di belle arti, che agli albori della sua storia andava al museo per copiare dal vero le opere, a quelli pieghevoli, di plastica, messi a disposizione oggi da molte istituzioni, provvidenziali per chi fa fatica a camminare, per gli anziani, ma anche per tutti i visitatori: chi vuole disegnare, per esempio, o 31 scrivere. Il come, il quando e il dove del sedersi al museo: ci sarà molto da osservare e da riflettere, per il museo del futuro. Che già fa ricerca sul tema dello sdraiarsi per dormire al museo, come nel caso del Peabody Essex Museum di Salem (Massachussets). Intanto, il diecimilionesimo visitatore del Rjiksmuseum dopo la riapertura è stato premiato con un notturno solitario davanti a un’opera di Rembrandt: La ronda di notte, appunto. ANNA CHIARA CIMOLI SGUARDI INCROCIATI Visitare una mostra di arte contemporanea in compagnia di un cieco può arricchire il processo di ricezione anche di chi vede. Chi è cieco è infatti spesso in grado di mettere in evidenza ciò che dovrebbe essere assodato ma che, anche a causa dei vecchi retaggi e dei comuni pregiudizi di cui si è parlato, non lo è affatto. Come sa bene ogni artista contemporaneo, oggi, per provare godimento estetico, vedere non basta più. D’altra parte è la stessa opera d’arte che si trova, il più delle volte, a pretendere di non essere semplicemente vista ma ascoltata e vissuta, scompaginando le nostre convinzioni sui confini netti tra la sfera del visivo e l’universo del non-visivo. L’importanza sempre maggiore assunta 32 nell’arte dalla sinestesia ha fatto sì che la ricezione non separi ma unisca i diversi canali sensoriali, facendoli cooperare fra loro in modo che possano arrivare a colmare ciò che non c’è: dalla parte del cieco ciò che egli non può vedere, dalla parte ci chi vede ciò che egli non è più in grado di sentire. Diversamente da quello visivo, il godimento estetico-sinestetico è antispecialistico, anticlassificatorio, antinozionistico, e si spinge dinamicamente verso un’unità per cercare di restituirne il senso al corpo indivisibile del fruitore. FABIO FORNASARI SUONO Chiedendo a un bambino di qualsiasi provenienza che cosa sia una museo, una tra le prime risposte che otterremo è “un posto dove bisogna stare zitti”. Senso troppo a lungo escluso dai percorsi di conoscenza contenuti nei musei tradizionali, pur essendo il primo a formarsi nel nostro organismo, l’udito permette di stabilire uno scambio relazionale in un dialogo composto da ricezione e trasmissione, in cui i contenuti possono essere anche di matrice non verbale. I musei sono sempre meno silenziosi: nei loro percorsi hanno cominciato a entrare di diritto musiche, rumori, suoni. E le parole dei visitatori. Per chi non vede, il suono diviene una vera e propria estensione del tatto, rendendo oggetti, spazi e collezioni presenti attraverso l’udito: anche per questo assume sempre maggiore importanza la valorizzazione del suono nei musei. LUCILLA BOSCHI TATTO Alla domanda “che cos’è un museo”, il bambino in visita potrebbe rispondere: “un posto dove non si può toccare niente”. Un luogo dunque noioso, distante, algido. Eppure, il tatto è uno dei sensi con cui scopriamo il mondo, con una percezione che passa attraverso l’intera superficie del nostro corpo, raggiungendo il proprio apice in zone come mani e piedi. Con le mani dunque abbiamo l’opportunità di conoscere ciò che ci circonda con un punto di vista differente. Per chi non vede, il tatto è la via di accesso all’esistenza e alla comprensione degli oggetti. Partendo da casi di privazione sensoriale come la cecità, i musei a poco a poco cominciano ad aprirsi all’esplorazione tattile e alla possibilità di toccare almeno in parte quanto in essi conservato, mentre sempre più attività educative e laboratoriali sono rivolte all’uso dei sensi diversi dalla vista. LUCILLA BOSCHI Grazie a tutte le persone e le associazioni che a vario titolo hanno contributo alla realizzazione del progetto MUDEC POP: ABCittà Ajka Essenza Al Maghribia Alpiandes Arci Milano Arezzo Ballet Baobab Celim Centro Antonio Raimondi Colores Nazarenos y Andinos Compagnia Africana Comunità Palestinese in Lombardia Comunità Venezuelana Cubeart Cultura Senza Frontiere Cuore Argentino Donne cinesi in Milano Dora e Pajtmit Equagruppo Fondazione A. Passarè Isola Solidale Jazz Milano Laurus Marco Antonio Ribeiro Vieira Lima Maschere Nere Mille Soleils Mimondo Paradigma Per i diritti umani Primo Passo Proficua Shaolin Temple Italy Sunugal Venezuelani in Lombardia Vivafrica Watamu Youth Un particolare ringraziamento a Chiara Bartolozzi, Fondazione Cariplo.