ABITARE IL MUSEO
PRATICHE DI PROTAGONISMO CULTURALE DEI CITTADINI
PROGETTO MUDEC POP
CON IL SOSTEGNO DI
PROMOSSO DA
IN PARTENARIATO CON
MUDEC POP è un progetto realizzato dall’Associazione Città
Mondo in partenariato con ABCittà, Comune di Milano–Ufficio Reti
e Cooperazione Culturale e Mudec, grazie al contributo della
Fondazione Cariplo, in cui i cittadini sono stati invitati a partecipare in
maniera attiva e creativa.
L’idea, selezionata nell’ambito del bando “Protagonismo Culturale dei
Cittadini”, è stata quella di valorizzare il Mudec e il prezioso patrimonio
conservato nelle sue collezioni, fatto vivere nell’inedita rielaborazione
ideata dai cittadini eredi di quelle culture lontane.
Grazie agli attori dell’Associazione e del Forum Città Mondo, il progetto
MUDEC POP ha coinvolto infatti la cittadinanza, interpellandola e
chiedendole un ruolo propositivo nella lettura e nella personale
interpretazione del museo.
Gli oggetti conservati al Mudec sono diventati i mediatori per un
dialogo tra culture, attraverso cinque azioni e specifici strumenti
del percorso del progetto: percorso che, oltre che far avvicinare al
museo un pubblico di non addetti, è stato un esempio concreto della
possibilità e ricchezza di passare dalla differenza delle culture a una
cultura della differenza che permetta a tutti di riconoscere un’identità
molteplice della nostra comunità cittadina.
L’auspicio è che il processo così avviato possa ancora crescere ed
essere sempre più fertile, creando scambi, incontri e visioni: si è
infatti realizzata grazie a MUDEC POP un’originale forma di produzione
culturale da parte della città e dei cittadini. Il mio ringraziamento va
a tutti coloro che hanno ideato, organizzato promosso le iniziative e
questa idea inclusiva, aperta, democratica del Museo e della città.
Filippo Del Corno
Assessore alla Cultura | Comune di Milano
Il progetto è stato coordinato da
Dava Gjoka
Presidente dell’Associazione Città Mondo
Coadiuvata da
Anna Antonini, Linda Pasina, Besmir Rrjolli, Luca Tripeni Zanforlin
Anna Maria Maggiore
Direttore Area Valorizzazione Patrimonio Artistico e Sicurezza, Comune di Milano
Bianca Maria Aravecchia, Alessandra Cecchinato, Riccardo Tamburini
Ufficio Reti e Cooperazione Culturale, Comune di Milano
Renata Biancotto, Cristian Zanelli
ABCittà
Con il supporto di
Andrea Tripaldi
Consulente di progetto, Comune di Milano
Pubblicazione a cura di
Anna Chiara Cimoli, ABCittà - www.abcitta.org
Progetto grafico a cura di
Marta Vireca
MILANO, OTTOBRE 2017
INDICE
MUDEC POP
4
IL MUSEO DELLE
CULTURE VIVE
SULLA SCENA
8
MUDEC IN VALIGIA,
GLI OGGETTI
VIAGGIANTI
DI MUDEC POP
11
OUR WORLD, MY
WUNDERKAMMER.
SOCIAL MUDEC
17
BIBLIOTECA
VIVENTE:
UNA GUERRA
NON-VIOLENTA
AI PREGIUDIZI
20
LEMMI
RACCONTALO TU:
LE DIDASCALIE
COME ESPERIENZA
DI MUSEOLOGIA
PARTECIPATA
14
24
3
MUDEC POP
4
IL METODO
PARTECIPATIVO COME
CHIAVE DI LETTURA
DELLA COSTRUZIONE
DEL PROCESSOPROGETTO
CRISTIAN ZANELLI, ABCittà
Il progetto MUDEC POP nasce nel
giugno 2015 con riferimento al bando
di Fondazione Cariplo “Protagonismo
culturale dei cittadini”. Il Comune di
Milano e l’Associazione Città Mondo,
in risposta a una proposta formativoprogettuale di ABCittà (Società
cooperativa sociale onlus), hanno
dato concretezza a un processo
di ascolto reciproco basato sulle
tematiche progettuali promosse da
Cariplo: partecipazione, pluralismo e
fruizione.
Il percorso si è avviato il 22 giugno
2015, data in cui ABCittà ha
organizzato e facilitato un incontro
formativo e interattivo che da subito
ha spinto i soggetti interessati,
Comune e Città Mondo, a coniugare la
metodologia della partecipazione con
i temi della cultura o, per meglio dire,
delle culture.
La riflessione ha tratto spunto
dai seguenti obiettivi indicati da
Fondazione Cariplo:
1. coinvolgere i cittadini nella
produzione culturale, nella
valorizzazione e nella cura del
patrimonio della comunità di
appartenenza (PARTECIPAZIONE);
2. dare spazio e visibilità alle forme
di espressione artistica e culturale
delle diverse componenti della società
(PLURALISMO);
3. favorire l’incremento del pubblico
alle iniziative artistiche e culturali
(FRUIZIONE).
Il contesto del Museo delle Culture di
Milano e la mission dell’Associazione
Città Mondo, individuata come
ente capofila, hanno permesso di
ragionare su tali obiettivi non in senso
lato o astratto. La sollecitazione di
ABCittà, accolta anche dal Comune di
Milano, si è immediatamente spinta
a concretizzare l’azione di processoprogetto su specifici “oggetti e/o
ambiti”:
. Biblioteca Vivente
strumento messo in campo da ABCittà
a Milano già dal 2011 come forma di
azione in ambito interculturale volta
al superamento del pregiudizio e a
favorire l’incontro nei luoghi della
cultura della città;
. Interpretazione e partecipazione
quali forme di promozione della
cultura in chiave di apertura e
facilitazione all’accesso anche da
parte di pubblici “lontani”, poco
raggiungibili o considerati tali;
. Molteplicità dei linguaggi - come
valore arricchente dell’offerta al
pubblico, ma anche come canale di
valorizzazione delle diverse attitudini
e competenze delle realtà socie
dell’Associazione Città Mondo.
Ogni ambito è stato analizzato con i
partecipanti all’incontro in termini di
“punti di forza e debolezza”, “interesse
e criticità”, andando a delineare una
struttura di progetto che nei mesi
tra settembre e dicembre 2015 si
è arricchita, in forma partecipata,
dei contributi provenienti dalle
associazioni interessate di Città
Mondo e del Forum delle Culture.
Le risorse messe in campo dal
Comune di Milano hanno infatti
permesso di realizzare un percorso
partecipativo e, secondo la stessa
metodologia della partecipazione, di
costruire la proposta progettuale. Un
momento cruciale è stato il forum
del 24 novembre 2015 intitolato
“MUDEC | 5 AZIONI: Aspettative,
Opportunità, Rischi, Esempi
interessanti, Candidature”, evento
di coinvolgimento attivo allargato
alle associazioni socie di Città
Mondo che, individuate attraverso
call interne, hanno potuto non solo
conoscere in anteprima il progetto
in corso di elaborazione, ma anche
candidarsi alla sua realizzazione in
collaborazione con la costituenda
“cabina di regia”.
Questa cabina di regia, dall’incontro
del 24 novembre in poi, ha
coordinato ogni passaggio di
5
scrittura, costruzione del budget,
organizzazione degli eventi e delle
azioni del progetto.
Nel concreto, in un processo di
approfondimento delle tematiche
iniziali, allargamento della
partecipazione e sintesi, la cabina di
regia è riuscita a:
1. definire un progetto composto da
cinque azioni connesse e sinergiche (a
seguire la sintesi di ognuna);
2. realizzare un primo evento di
Biblioteca Vivente il 19 dicembre
2015, data che segna l’inizio ufficiale
dell’avventura di MUDEC POP.
Il parternariato (composto da
Associazione Città Mondo come
Capofila; Comune di Milano e ABCittà
come partner), facendo proprio uno
dei motti della Fondazione Cariplo, ha
così “gettato il cuore oltre l’ostacolo”,
creduto nella validità del processo
e affidato alla cabina di regia la
realizzazione delle cinque azioni.
MUDEC POP È COSÌ DIVENTATO
UN MODELLO DI AZIONE
PARTECIPATIVA PER OGNUNO DEI
SOGGETTI COINVOLTI.
Nella realizzazione del progetto,
ammesso al co-finanziamento di
Fondazione Cariplo nel giugno 2016,
ha saputo dimostrare la validità di
un metodo capace di valorizzare la
molteplicità delle provenienze, delle
identità e delle competenze che fanno
la forza del parternariato, della città e
dei suoi luoghi di cultura.
6
IL PROGETTO
DAVA GJOKA, PRESIDENTE
DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ MONDO
L’Associazione Città Mondo che
rappresenta numerose organizzazioni,
la maggior parte delle quali vedono
come protagonisti i cittadini immigrati,
nasce nel 2013, dal Forum della Città
Mondo, promosso dall’Assessorato
alla Cultura e condiviso dalla Giunta
Comunale di Milano. L’Associazione,
per la sua vocazione interculturale e
per la sua mission, si è consolidata
quale ambito deputato al dialogo,
alla conoscenza e allo scambio tra
portatori di differenti culture, alla
promozione e alla realizzazione
di progetti, attività e iniziative che
agevolano l’inclusione sociale sul
territorio di Milano e Lombardia. La
convenzione con il Comune di Milano
prevede spazi condivisi a disposizione
dell’Associazione presso il Museo
delle Culture, per la realizzazione
delle attività che hanno contribuito
e contribuiscono alla crescita e alla
diversificazione dell’offerta culturale
della città.
I cittadini immigrati, che partono
in cerca di fortuna, portano con sè
anche il loro “corredo culturale”:
sono dunque ideali trasmettitori di
rappresentazioni e valori culturali
propri, e nello stesso tempo ricettori
della cultura dominante del paese
in cui vivono. È ormai assodato che
la migrazione trasfoma colui che
ne ha fatto esperienza e determina
profondi processi di métissage
nell’intera società. Milano è testimone
del mutamento sociale e culturale
e, soprattutto nell’ultimo decennio,
è diventata una vera e propria città
multiculturale. La creazione di reti di
secondo livello, come l’Associazione
Città Mondo, è stata un passo avanti
per far sì che Milano diventasse una
città delle culture, un terreno sempre
più fertile in cui fiorisce la convivenza
e la co-integrazione delle diverse
culture che la abitano.
Il progetto MUDEC POP, il primo che
vede l’Associazione come capofila,
fortemente voluto dal Settore
Cultura del Comune e co-finanziato
dalla Fondazione Cariplo, ha
rappresentato un’importante iniziativa
dell’orientamento dello sguardo anche
verso il patrimonio culturale, sociale e
artistico del mondo presente a Milano.
La co-progettazione, ovvero il lavoro
in équipe di reti di diversi soggetti
complementari per competenze,
è stata un’esperienza significativa
di collaborazione e confronto con
i partner, il Comune di Milano e la
cooperativa sociale ABCittà. Il progetto
ha coinvolto più di 120 organizzazioni
socie e collaboratrici dell’Associazione
Città Mondo; hanno partecipato
attivamente per la realizzazione
delle attività più di 35 associazioni e
cooperative sociali. In quasi 18 mesi
il Museo delle Culture è stato abitato
da molteplici attività, cui protagoniste
sono state le organizzazioni che
compongono l’Associazione Città
Mondo.
Il progetto MUDEC POP, che ha
coinvolto la cittadinanza dandole
un ruolo attivo nella lettura e
nell’interpretazione del museo, ha
visto realizzare cinque macroazioni:
SULLA SCENA
Realizzata dall’Associazione Dora
e Pajtimit, ha accompagnato e
sostenuto le organizzazioni socie
che hanno proposto e organizzato
incontri, dibattiti, eventi presso il
Museo delle Culture, valorizzando in
questo modo le opere delle collezioni.
OGGETTI VIAGGIANTI
Realizzata dall’Associazione Sunugal,
che ha favorito il potenziamento della
cittadinanza culturale, con l’obiettivo
di migliorare la fruizione delle opere
artistiche presenti al Museo delle
Culture attraverso l’attività di “valigie
viaggianti” facendo uscire le opere
stesse dal museo per incontrare
direttamente il pubblico.
RACCONTALO TU
Realizzata dall’Associazione Mimondo,
che ha creato nuove didascalie
stimolando l’interazione del pubblico
con gli attori e ha dato voce alle
informazioni inerenti la cultura
immateriale di cui sono portatrici le
comunità di migranti, innescando un
processo di avvicinamento al museo e
alla sua fruizione abituale.
SOCIAL MUDEC
Realizzata dall’Associazione ARCI
Milano, che ha creato percorsi di
partecipazione online e offline
promuovendo la cultura digitale come
ambito di potenziamento dei processi
interculturali in atto, avvicinando
nuove persone alle realtà del museo.
BIBLIOTECA VIVENTE
Realizzata dalla cooperativa ABCittà,
tramite la quale si è offerta al pubblico
la possibilità di entrare in contatto
e dialogare con persone di diversa
provenienza, facilitando processi di
incontro tra persone, oggetti, storie,
elementi culturali e facendo emergere
specifiche tematiche connesse ai
processi di interazione interculturale
nella città, che nella quotidianità non
si avrebbe l’occasione di incontrare;
Concludendo, credo fortemente
che questa eccezionale esperienza
di lavoro collettivo servirà
come trampolino di lancio per
la realizzazione di progetti che
favoriscano il consolidamento
dell’Associazione Città Mondo, come
un laboratorio di empowerment
delle organizzazioni degli immigrati,
un’officina di stimoli continui per
tessere reti di progettazione e
collaborazione tra le realtà socie
dell’associazione, offrendo così alla
società strumenti che arricchiscono la
vita sociale e culturale di Milano.
Ringrazio il Comune di Milano e la
Fondazione Cariplo per aver creduto,
sostenuto e finanziato il progetto,
il Museo delle Culture per lo spirito
accoglienza e collaborazione, la
cooperativa ABCittà per la qualità del
servizio messo a disposizione, e le
organizzazioni referenti delle quattro
azioni, ovvero Mimondo, Dora e
Pajtimit, Sunugal e Arci Milano.
Ringrazio inoltre le organizzazioni
che hanno reso possibile la buona
riuscita del Progetto; Baobab, Jazz
Milano, Ajka – Essenza, Fondazione
A. Passarè, Cubeart, Maschere Nere,
Proficua, Alpiandes, Paradigma,
Celim, Arezzo Ballet, Venezuelana in
Lombardia, Compagnia Africana, Mille
Soleils, Equagruppo, Al Maghribia,
Raimondi, Comunità Venezuelana,
Vivafrica, Comunità Palestinese,
Donne cinesi in Milano, Watamu Youth,
Per i diritti umani, Shaolin Temple Italy,
Cuore Argentino, Colores Nazareos
Andino, Cultura Senza Frontiere, Isola
Solidale, Laurus e Primo Passo.
7
IL MUSEO DELLE
CULTURE VIVE
SULLA SCENA
BESMIR RRJOLLI E GIULIA INNOCENTI MALINI
8
L’INTENTO DELL’AZIONE SULLA SCENA
È STATO QUELLO DI SOSTENERE LA
PARTECIPAZIONE ATTIVA DELLE
ORGANIZZAZIONI DI MIGRANTI
MEMBRI DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ
MONDO (ACM), PROMUOVENDO
IL LORO PROTAGONISMO NELLA
PROGRAMMAZIONE DEL MUDEC CON
TESTIMONIANZE, MOSTRE ED EVENTI
INTERCULTURALI.
Questi gli obiettivi per due dei partner
del progetto MUDEC POP: l’Associazione
Città Mondo e il Comune di Milano.
L’Associazione, costituita dentro
il Forum Città Mondo, è una realtà
relativamente nuova che intende
rafforzare la propria presenza sul
territorio per divenire un punto di
riferimento concreto e un portavoce
pubblico e istituzionale per i propri
associati. Il Comune, nel sostenere il
non sempre facile percorso di ACM,
punta a fare del Mudec un generatore
di attività culturali e catalizzatore delle
diversità, grazie al dialogo diretto e
paritario con le associazioni straniere.
Mudec, infatti, rappresenta un’originale
evoluzione del museo delle culture del
mondo. La sua missione da una parte
è conservare attraverso le collezioni
storiche l’attenzione alle tradizioni
del mondo con le quali la città ha
interagito, dall’altra essere museo
della contemporaneità, in cui trovano
spazio le diverse ricerche artistiche
che si sviluppano nei cinque continenti
e che a Milano sono portate avanti da
un’attiva rappresentanza di artisti.
Nella struttura del museo convivono
soggetti che esprimono con il loro
agire integrato la natura complessa
del Mudec. Tra questi vi è il Tavolo
Mudec, che esercita una funzione di
mediazione tra le associazioni che
compongono il Forum Città Mondo,
parte delle quali è associata a ACM,
e che rappresentano le diverse
comunità straniere e gli operatori che
agiscono a tutti i livelli nel campo
dell’interculturalità a Milano. Il Tavolo
Mudec, durante i primi due anni di
collaborazione con il Comune di
Milano, con l’ACM e con il museo, ha
curato la programmazione di oltre
80 eventi culturali realizzati dalle
comunità straniere. Per promuovere
la partecipazione diretta e attiva
delle comunità, il Tavolo ha creato
un format operativo molto efficace,
che consiste nel proporre dei bandi
per la realizzazione degli eventi rivolti
ai membri del Forum e dell’ACM.
Per la loro realizzazione, il Tavolo
si è impegnato ad affiancare le
associazioni con minore esperienza
in fase di progettazione. Ha seguito
la fase di selezione dei progetti
presentati e la programmazione del
calendario delle attività, supportando
le diverse associazioni migranti
nella realizzaazione degli eventi. Si è
deciso dunque di migliorare il format
e, soprattutto, di dare continuità
all’approccio positivamente testato
volto a coinvolgere direttamente
le comunità. L’azione Sulla Scena
rappresenta l’evoluzione di un
processo che nasce dal basso e
vede la collaborazione di molteplici
professionalità e di diverse matrici
culturali. È importante sottolineare
che, se l’esperienza del Tavolo Mudec
ha goduto di tanta flessibilità, anche
in forza della natura del Forum Città
Mondo, ugualmente l’azione Sulla
Scena si è più volte rimodellata per
rispondere ai cambiamenti in corso
d’opera del progetto MUDEC POP e alle
esigenze dei partner.
PERCHÉ IL TEATRO
L’azione teatrale promuove l’incontro
tra persone e tra sistemi simbolici e
culturali diversi. L’interconnessione
è favorita da diversi fattori: in primo
luogo il teatro è animato da una
molteplicità di linguaggi, a partire
dall’espressione corporea. A questa
si aggiunge la dimensione della voce;
vi è poi l’allestimento dello spazio; la
possibilità di utilizzare maschere e
costumi; il testo scritto, oppure orale,
che va a comporre insieme a tutti gli
altri elementi la drammaturgia viva
dello spettacolo. È questa un’altra
caratteristica precipua dell’azione
teatrale che è, essenzialmente, una
relazione tra qualcuno che fa per
qualcuno che guarda (l’attore), e
9
qualcuno che guarda qualcuno che
fa per essere guardato (lo spettatore).
Senza questa relazione, non c’è teatro.
Allora, il teatro per sua natura implica
almeno due soggetti, posti in ruoli
differenti ma interagenti. In questo
senso possiamo affermare che il
teatro prevede sempre una dinamica
interculturale, perché si dà solo nella
relazione, e non esiste senza di essa.
Nella particolare accezione assunta
da Sulla Scena, si tratta poi di
riportare al centro del fatto teatrale
la partecipazione attiva di chiunque,
professionista o meno, come attore,
autore e spettatore. Per favorire questa
condizione, l’approccio scelto è quello
dell’azione produttiva che si intreccia
a quella riproduttiva, dando luogo alla
co-costruzione di nuovi processi e
prodotti teatrali che in parte tengono
il riferimento alle culture di partenza,
in parte le innovano. Il teatro è foriero
di momenti in cui sono sospesi i
normali assetti della quotidianità, per
inaugurare un tempo congiuntivo (il
“come se”) in cui ci si incontra come
persone e si può fruire delle istanze
culturali di ognuno: una teatralità
interculturale che è l’esito della
collaborazione tra persone e gruppi di
diversa cultura, connessi dal desiderio
di incontro e di festa, di confronto e di
scambio creativo.
In questa cornice, l’esperienza esorbita
dalle modalità folkloriche che spesso
dominano la conoscenza delle culture
10
altre, per operare uno scambio vivo
entro una relazione che può alimentare
legami duraturi, che possono rafforzare
il tessuto sociale di una grande città.
Di certo rafforzano l’interazione tra le
diverse associazioni che partecipano
al Forum delle Culture, spingendole
ad assumere un sempre maggiore
protagonismo culturale.
CALL FOR PROPOSAL SULLA SCENA
La pubblicazione della call è
avvenuta poco dopo la visita guidata
al patrimonio del museo con la
partecipazione delle conservatrici,
dei partner, dei referenti delle azioni
e delle associazioni che avevano
manifestato il proprio interesse a
partecipare a MUDEC POP. In tale sede
i rappresentanti delle associazioni
hanno avuto modo di conoscere le
opere del patrimonio e di scegliere
gli oggetti da promuovere e da cui
sviluppare delle storie che si sono
trasformate in performance. Dopo la
visita, i partecipanti si sono divisi in
gruppi e hanno potuto dialogare con
i referenti delle azioni per chiarire
l’impegno delle proprie associazioni
nelle successive fasi del progetto.
La stesura della call, tenendo conto
degli obiettivi entro cui si inscrive
l’azione Sulla Scena, ha cercato di
stimolare le associazioni a proporre
progetti di qualità orientati a favorire
la creazione di reti di collaborazione
interne alle associazioni socie di
Città Mondo e sviluppare le capacità
progettuali delle stesse; valorizzare
le opere delle collezioni attraverso
eventi partecipati, proposti e realizzati
dal Forum e dall’associazione Città
Mondo; accompagnare e sostenere
le associazioni, membri del Forum
e dell’Associazione Città Mondo,
nell’organizzare e proporre incontri,
dibattiti, eventi, mostre, workshop
e conferenze divenendo così cuore
pulsante del Museo delle Culture.
Hanno partecipato alla presentazione
dei progetti 14 realtà così suddivise:
Europa (5 associazioni e 1 fondazione);
Sud America (6 associazioni); Asia
(1); Africa (1). Le proposte sono
state valutate da una commissione
composta da 5 membri rappresentati
della cabina di regia del progetto, del
Comune di Milano e del Mudec. Infine,
è stata stilata una graduatoria che
successivamente è stata condivisa
con le associazioni partecipanti. I
progetti selezionati hanno condotto
alla realizzazione di 5 eventi, svolti
tra il 27 maggio e il 24 giugno presso
lo spazio delle culture Khaled alAsaad: Etnografia degli strumenti
a percussione nell’evoluzione della
musica Jazz (ente proponente: Associazione
Culturale JAZZ@MILANO); SECRETSHOW
Digital Nkisi (Fondazione Passarè); Manillas
bracciale del mare (Associazione Cubeart);
La poesia del Mudec (Associazione Baobab
Onlus); Intri raymi - La festa del sole (Isola
Solidale Aps).
MUDEC IN VALIGIA,
GLI OGGETTI
VIAGGIANTI
DI MUDEC POP
LINDA PASINA, ASSOCIAZIONE SOCIO CULTURALE SUNUGAL
11
Il progetto MUDEC POP è stato
concepito in base a tre cardini attorno
a cui ruotavano tutte le attività:
INTRODURRE ELEMENTI
INNOVATIVI DI INTERAZIONE TRA IL
PUBBLICO E IL MUSEO, AMPLIARE
IL TARGET DEL PUBBLICO E
COINVOLGERE LE ASSOCIAZIONI
FACENTI PARTE DI CITTÀ MONDO
NELL’IMPLEMENTAZIONE DEL
PROGETTO STESSO.
Da questo deriva l’acronimo POP:
Popoli, Oggetti, Partecipazione.
Ogni azione ha proposto un approccio
diverso, pur rimanendo comuni gli
obiettivi cui il progetto tendeva.
Oggetti Viaggianti si è configurata,
sin dalla sua ideazione, come l’azione
che avrebbe portato il patrimonio
del Mudec al di fuori delle mura del
museo. L’azione è stata identificata
quindi come il processo di raccordo tra
gli eventi del progetto previsti presso il
museo e la città di Milano.
Durante le attività di Oggetti
Viaggianti dieci animatori, provenienti
dalle realtà socie di Associazione
Città Mondo, si sono recati
contemporaneamente presso varie
biblioteche del Sistema Bibliotecario
Milano, portando con sé oggetti del
patrimonio del Mudec, e hanno messo
in scena narrazioni scaturite da
suggestioni ispirate dall’oggetto che
portavano nella valigia di cartone con
12
cui si spostavano per la città di Milano.
Il 24 giugno, durante l’evento finale di
MUDEC POP, alcuni viaggiatori hanno
ripetuto la performance presso la
Biblioteca del Mudec, permettendo
così agli oggetti di iniziare un viaggio
ideale nella città di Milano e di
terminarlo con un rito conclusivo
proprio all’interno del museo stesso.
“Oggetti Viaggianti” ha permesso al
Mudec di uscire dalle proprie mura e
incontrare la cittadinanza milanese,
per invitarla ad aprire una finestra sul
mondo del museo, per poi a tornare al
Mudec e approfondire questo primo
spunto.
Gli animatori che hanno dato vita a
Oggetti Viaggianti sono a loro volta
soggetti in viaggio: armati di valige
delle meraviglie, ispirate al concetto
base della Wunderkammer, elemento
della collezione permanente del
Mudec, si sono recati nelle biblioteche
per incontrare la cittadinanza e
condividere con i fruitori un’esperienza
di confronto con gli oggetti del
patrimonio museale.
Gli oggetti custoditi nelle valige sono
stati scelti e selezionati dall’animatore
durante una formazione presso il
Mudec. Nel corso della formazione,
l’animatore è diventato a sua volta
viaggiatore: è stato guidato dai
conservatori del museo a visitare
i depositi e le collezioni, dove ha
scelto gli oggetti da portare fuori
dal museo in un viaggio durante il
quale raccontare al pubblico la storia
dell’oggetto, il proprio vissuto e il
legame tra se stesso e l’oggetto.
Gli oggetti selezionati per l’azione
rientrano nel patrimonio del Mudec,
ma non sono ancora stati catalogati
in via definitiva: questo ha lasciato
agli animatori la libertà di elaborare le
informazioni in loro possesso, ma ha
anche permesso loro di arricchire la
storia dell’oggetto, dando libero sfogo
al proprio bagaglio immaginifico,
collegando la narrazione al proprio
vissuto e invitando il pubblico a fare
altrettanto.
La formazione degli animatori si è
strutturata in una serie di incontri
con un facilitatore, che ha invitato
i performer a interrogare l’oggetto
scelto e ad articolare un canovaccio
che parlasse di se stessi attraverso
quell’oggetto, raccontandone al
contempo caratteristiche e storia. I
viaggiatori, in seguito alla formazione
che li ha portati a scegliere oggetti
con cui si sono sentiti in sintonia,
hanno articolato delle narrazioni in
grado di comunicare i significati degli
oggetti e il loro essere ponte tra luoghi
diversi del mondo.
PROTAGONISTI DI OGGETTI
VIAGGIANTI SONO STATE LE
DUE ANIME DELLE CULTURE DA
CUI PRENDE NOME IL MUDEC:
GLI OGGETTI DI COLLEZIONI
E MAGAZZINI DEL MUSEO E
LE PERSONE DELLE DIVERSE
ASSOCIAZIONI CHE COMPONGONO
CITTÀ MONDO, E CHE
COSTITUISCONO IL PATRIMONIO
IMMATERIALE DEL MUSEO.
Gli incontri degli Oggetti Viaggianti
sono diventati propulsori di
arricchimento di significati per il
materiale del Museo delle Culture,
che come una spugna si è andato
imbevendo di tutte le nuove storie che
i fruitori degli incontri vi hanno scorto.
Obiettivo degli eventi di Oggetti
Viaggianti in Biblioteca è stato quello
di portare all’attenzione degli utenti
del Sistema Bibliotecario Milano il
fatto che gli oggetti di un museo, e in
particolar modo del Mudec, vadano
interrogati e interpretati proprio
come accade nella lettura di un libro.
L’idea di un libro come qualcosa che
debba essere interpretato dal lettore
è un concetto ormai sedimentato
nella cultura contemporanea: le
incursioni degli Oggetti Viaggianti
nelle biblioteche invitavano il pubblico
a instaurare questo tipo di interazione
“attiva” anche con gli oggetti
conservati al Mudec.
Durante gli eventi nelle biblioteche
è emerso il fatto che molte persone
abituate a fruire di servizi pubblici,
come quello bibliotecario, non
avevano mai visitato il Mudec, né
erano a conoscenza del fatto che
il Museo delle Culture è concepito
come un luogo di rappresentazione
delle diverse anime della Milano
cosmopolita, con ricchi palinsesti di
attività fruibili gratuitamente.
La narrazione sviluppatasi a partire
dalle valigie e dagli oggetti in esse
contenuti è stata anche l’occasione
per invitare le persone a spostare il
proprio sguardo nei confronti della
diversità culturale e dell’istituzione
museale.
In quest’ottica, durante gli eventi nelle
biblioteche, e soprattutto nei momenti
introduttivi di presentazione di MUDEC
POP, si è più volte sottolineato come
la forte volontà del Comune di Milano
di estendere la gratuità delle visite
alla collezione permanente del Mudec
fino al 31 dicembre 2017 rappresenti
un importante contributo alla
formazione di un’idea di bene comune
del patrimonio museale pubblico
milanese.
Formatore di Oggetti Viaggianti è
stato Olivier Elouti di Associazione
Mascherenere Laboratorio di Teatro .
I Viaggiatori e gli Oggetti Viaggianti di
MUDEC POP sono stati:
- Margarita Clement
per Associazione Proficua, con dei
cimbali tibetani.
- Victor Cretu
per Cooperativa Ajka- Essenza, con
cartoline di pelle raffiguranti l’incontro
tra la Regina di Saba e Re Salomone.
- Rufin Doh
per Associazione Mascherenere
Laboratorio di Teatro, con una
campana tibetana.
- Aly Koundia
per Cooperativa Ajka-Essenza, con un
libro di preghiere tibetano in legno.
- Marco Antonio Ribeiro Vieira Lima
con un aspensorio del Senegal in
legno.
- Svitlana Tachenko
per Cooperativa Ajka- Essenza, con
una corona di sonagli.
- Mela Tomaselli
per Associazione Arezzo Ballet, con
una testa di statua in terracotta.
- Carlos Weilg
per Associazione Paradigma, con una
statuina votiva tibetana in legno.
- Eliana Zanetti
per Celim Milano, con una teiera
marocchina in ceramica e acciaio.
- Leonardo Castiglione
per Associazione Baobab Onlus, con
un rocchetto per filo in legno del
Camerun.
13
RACCONTALO TU:
LE DIDASCALIE
COME ESPERIENZA
DI MUSEOLOGIA
PARTECIPATA
ALICE BITTO, ANNA ANTONINI, ROSSELLA DI MARCO, MIMONDO
14
AL PARI DELLE PERSONE,
AGLI OGGETTI APPARTIENE UNA
“VITA SOCIALE”, DETERMINATA
DALLA GENEALOGIA DEI VALORI
CHE A ESSI SI ATTRIBUISCONO.
I significati di cui ogni oggetto è
portatore, infatti, si consumano
attraverso un complesso processo
di codifiche e ri-codifiche: essi
mutano in relazione alla società, al
tempo e allo spazio che li generano
(Arjun Appadurai, Igor Kopytoff, The
Socal Life of Things: Commodities
in Cultural Perspective, 1986).
Catalogato all’interno di un museo, un
oggetto non solo viene sottratto della
qualità di merce, ma è trasformato
in opera: viene presentato per i
suoi valori estetici, storici, artistici,
simbolici. Rimangono a lato la vita
biografica dell’oggetto nonché le
sue stratificazioni semantiche,
dettate proprio dalla natura creativa
dei processi di significazione in
riferimento ai diversi contesti d’uso
(questione che si fa più complessa
di fronte a scambi tra individui che
appartengono a mondi culturali e
sociali differenti).
Tale premessa è utile per capire il
senso dell’iniziativa Raccontalo tu,
curata e coordinata dall’Associazione
Mimondo1.
1. Associazione nata nel 2011 con lo scopo di studiare
e promuovere le Culture del Mondo attraverso la
valorizzazione, la conservazione, la tutela e la fruizione
delle loro testimonianze materiali e immateriali.
Il progetto è nato con lo scopo di
avvicinare l’oggetto (nello specifico
un’opera facente parte del patrimonio
del Mudec) al suo osservatore, dando
vita a un processo di museologia
partecipata e di scambio interculturale
che unisce in un legame dinamico e
sempre vivo il patrimonio alla cultura
immateriale di cui ognuno è portatore.
L’azione si è concretizzata nel
raccontare una particolare opera non
secondo i criteri tecnico scientifici
della museologia classica, bensì
elaborando narrazioni legate agli usi,
alle sensazioni, alla memoria, alle
storie individuali e collettive ispirate
dall’oggetto stesso.
Protagonista di tale processo narrativo
non è stato allora il personale
scientifico operativo all’interno del
museo, ma il pubblico stesso, a cui è
stata data la parola con l’obiettivo di
trasformarlo da ricettore passivo di
informazioni a produttore attivo di
contenuti.
Per l’elaborazione dei racconti si è
scelto di partire dalla didascalia:
elemento fondamentale
per l’allestimento di un museo,
sebbene spesso esposto a critiche e
incomprensioni.
Per sua natura, infatti, la didascalia
rappresenta uno strumento molto
sintetico, attraverso il quale si cerca
di veicolare informazioni-chiave
riguardanti un oggetto, normalmente
definizione, provenienza, autore,
datazione, materiale. Si tratta di dati
all’apparenza neutri e insindacabili,
ma che, essendo frutto di un lungo
lavoro di sintesi da parte dello
staff scientifico del museo, oltre a
presentare un linguaggio tecnico
non sempre di facile comprensione
omettono talvolta aspetti che invece
un visitatore vorrebbe conoscere.
CIÒ RIFLETTE LA NATURA STESSA
DELL’OGGETTO, CHE NELL’ATTO
DELLA FRUIZIONE SUSCITA
IN OGNUNO SENSAZIONI
E CURIOSITÀ DIVERSE.
Sono proprio queste informazioni, nate
da domande ed esperienze vissute,
a essere state messe in risalto nelle
didascalie realizzate dai partecipanti
del progetto Raccontalo tu.
Il gruppo dei partecipanti è stato
costituito attraverso una call
rivolta a tutte le realtà facenti
parte dell’Associazione di secondo
livello Città Mondo, privilegiando
candidati con esperienza nel mondo
dell’archeologia o dell’antropologia, e
con un background migrante, così da
dare voce alle informazioni inerenti
la cultura immateriale di cui sono
portatori le comunità di migranti che
vivono oggi a Milano.
Costituito il gruppo2, il progetto
2. Ringraziamo Ana Maria, Betty, Meisam dell’Associazione
Cubeart; Carmela dell’Associazione Arezzo Ballet; Monica
dell’Associazione Per i Diritti Umani e Marco Antonio,
antropologo e musicista, che con entusiasmo e passione
hanno preso parte al progetto Raccontalo tu.
15
ha preso avvio con una fase di
formazione coordinata dal personale
dell’Associazione Mimondo, già da
tempo impegnata in collaborazioni
con il museo e in diverse attività di
ricerca inerenti il patrimonio.
Gli incontri (quattro incontri di due ore
ciascuno) sono stati dedicati alla
presentazione della collezione
conservata in museo, tanto nei
depositi visitabili, quanto nel percorso
della collezione permanente,
approfondendo l’educazione
all’osservazione dell’oggetto sotto
molteplici punti di vista, con nozioni
di museologia partecipata, criteri di
catalogazione e di realizzazione dei
testi di sala.
Nel corso delle giornate di formazione
è stato chiesto a ogni partecipante
di scegliere un oggetto esposto nel
percorso espositivo di cui elaborare,
insieme alla propria comunità di
riferimento, contenuti culturali da
presentare nella nuova didascalia
partecipata. Non sono stati indicati
criteri rigidi o particolari vincoli,
lasciando libera la scelta dell’opera,
determinata dunque solo dal gusto,
dalla preferenza, dalla storia o
dall’interesse della persona.
È interessante notare come non
necessariamente sia stata rispettata
l’equivalenza tra origini della persona
e provenienza dell’oggetto, bensì le
scelte siano state dettate da curiosità,
coinvolgimento estetico, relazione
16
con approfondimenti o ricerche già
condotte. In almeno un caso, invece,
risulta evidente il richiamo alle propria
discendenza, al proprio passato
atavico: Le Manillas mi hanno colpito
perché appena le ho viste ho avuto
una reazione forte e immediata,
senza neppure pensare. Come se
la loro visione mi avesse riportato a
qualcosa di terribile che mi riguarda.
Sicuramente perché sono afro
americana e le Manillas rappresentano
una storia che porto dentro. Ma
l’impatto era inaspettato (B. G.).
Le didascalie sono state realizzate da
ciascuno tramite il coinvolgimento
delle proprie comunità di riferimento
e dando spazio alle proprie sensibilità,
avvalendosi dei metodi comunicativi
a ognuno più familiari. I contenuti
così elaborati sono stati restituiti, su
supporto digitale, presentando
un’ampia rosa di tipologie narrative:
dai componimenti poetici a ricerche
condotte con una metodologia di
stampo etnografico.
Allestiti all’interno del percorso
espositivo accanto alle didascalie
tradizionali, e consultabili tramite
codice QR, tutti i lavori sono stati resi
fruibili al il pubblico del museo durante
le giornate conclusive dell’intero
progetto MUDEC POP 3.
3. Le didascalie sono consultabili sul sito
www.mimondo.world/mudec-pop-popoli-oggettipartecipazioni-bandocariplo/
PENSIAMO CHE L’ESPERIENZA
PORTATA AVANTI CON L’INIZIATIVA
RACCONTALO TU POSSA ESSERE
UNO STIMOLO PER AVVIARE UN
PROCESSO DI APPROPRIAZIONE
DEL PATRIMONIO MUSEALE
DA PARTE DELLE COMUNITÀ
MIGRANTI E DELL’INTERA
CITTADINANZA, E CHE POSSA
RENDERE IL MUSEO UN
LUOGO APERTO AL DIALOGO E
PRODUTTORE DI INFORMAZIONI
CONDIVISE.
OUR WORLD,
MY WUNDERKAMMER.
SOCIAL MUDEC
LUCA TRIPENI ZANFORLIN, ARCI MILANO
17
Quando abbiamo iniziato il percorso di
Social Mudec non sapevamo dove ci
avrebbe portato.
Avevamo un punto fermo, la
produzione di contenuti multimediali,
e un’ambizione, capire come in
un contesto di diversità culturale
venissero utilizzati e interpretati
strumenti di comunicazione ormai
d’uso comune e di massa.
La composizione variegata dei
membri dell’Associazione Città Mondo
ci ha permesso di strutturare una
sperimentazione che facesse lavorare
fianco a fianco persone più abituate
alla produzione multimediale, anche
di tipo professionale, con persone
che si avvicinavano per la prima
volta alle tecniche. L’acquisizione
della consapevolezza delle forme
espressive usate quotidianamente
è stato uno degli scopi che abbiamo
perseguito nel lavoro di gruppo.
SOCIAL MUDEC È STATA UN’AZIONE
DI GENERAZIONE DI CONTENUTI
CULTURALI FRUIBILI TRAMITE
LE NUOVE TECNOLOGIE CHE
HANNO ELABORATO I SIGNIFICATI
E I SIMBOLI PROVENIENTI DAL
PATRIMONIO DEL MUSEO, DALLE
CULTURE PRESENTI A MILANO
E DAI PRODOTTI DELLE ALTRE
AZIONI DEL PROGETTO.
Per realizzare questi contenuti, è
stata inviata una call finalizzata a
18
individuare persone che avessero
voglia di raccontare storie, tramite
parole, immagini e video. Hanno
risposto principalmente scrittori,
videomaker e illustratori, con diversi
tipi di esperienze pregresse, sia in
termini artistici e professionali, sia in
termini di background culturale, sia
in termini di generazione, arrivando a
coprire tutte le fasce d’età, una buona
parte delle aree geografiche e diverse
capacità espressive. Sulla base delle
competenze di partenza di coloro che
hanno risposto alla call sono state
sviluppate le attività di produzioni di
contenuto, che hanno visto un forte
lavoro di apprendimento peer-to-peer
durante il percorso.
Fin da subito il gruppo che si è
costituito ha lavorato in maniera molto
coesa e cooperativa e dopo i primi
incontri collettivi si è notevolmente
saldato in uno scambio reciproco
di conoscenze. Per questo motivo,
quando è arrivato il momento di
dividersi i compiti, si è scelto di far
partecipare alla redazione un numero
maggiore di persone rispetto a quelle
preventivate in fase di progetto,
decidendo di elaborare tutti i contenuti
con un lavoro di gruppo e lasciando
solo alcuni fasi di scrittura, disegno
e montaggio a singole persone
individuate di volta in volta dal gruppo
stesso.
Le attività del progetto sono partite
con una vista guidata condotta dalle
conservatrici del Mudec agli oggetti
della collezione permanente, che
sono stati il primo stimolo culturale
che abbiamo sviluppato, imparando
a conoscerci tramite la condivisione
delle motivazioni e delle suggestioni
che ci avevano portato a scegliere
ciascuno il proprio oggetto preferito.
Subito questo lavoro ci ha richiamato
i nostri background culturali
individuali, andando a ricercare nel
patrimonio delle nostre culture altri
oggetti particolarmente significativi
ai quali abbiamo voluto legare una
storia e un’esperienza. Man mano
che emergevano le particolarità che
ognuno di noi ha portato con i propri
oggetti al gruppo, si identificavano
anche gli elementi comuni che
sarebbero andati a definire i temi del
lavoro collettivo.
Ci siamo allora confrontati sugli
elementi, materiali e immateriali, che
ci avevano maggiormente interessato,
pur non appartenendo al nostro
bagaglio culturale. Qui sono iniziate
ad emergere delle forti differenze
interpretative dei segni delle altre
culture che ciascuno leggeva secondo
i propri canoni. Abbiamo iniziato a
scrivere per raccontare questi punti di
vista anche a chi era fuori dal nostro
gruppo e abbiamo gettato i semi di
quello che poi è diventato il nostro
Social Magazine.
Questo incontro tra i diversi
immaginari ci ha portato a costruire
le presentazioni dei personaggi
maggiormente rappresentativi della
propria e delle altre culture come se
dovessimo presentare un amico a
un altro amico, restituendo un tono
familiare nella descrizione.
Il percorso di emersione degli stimoli
culturali partito dagli oggetti del
Mudec si è concluso su qualcosa che
conosciamo molto bene: le feste più
importanti della cultura della propria
famiglia, in particolare quelle legate
all’inizio dell’anno. Oltre a condividere
le principali tradizioni e abitudini
legate alla festa, ci siamo lanciati
nella definizione di una sezione
culinaria del nostro Social Magazine,
organizzando la pubblicazione delle
ricette dei piatti tipici di queste
ricorrenze.
Tutto il materiale è stato categorizzato
secondo rubriche di un piano editoriale
che esplora le varie caratteristiche
delle diverse culture, che costituisce
lo scheletro sul quale si fonda il Social
Magazine Our World (http://medium.
com/our-world-social-mudec/).
Da questo materiale i membri del
gruppo competenti nella produzione
video hanno sviluppato due opere
utilizzando tecniche diverse: un
lavoro di computer grafica che illustra
i monumenti più importanti, e un
montaggio di spezzoni che raccontano
la poetica delle identità dei popoli.
Abbiamo lavorato anche su uno dei
linguaggi grafici più utilizzati in questi
anni: le emoticon e gli emoji sono
diffusi in tutto il mondo, e abbiamo
potuto osservare come assumano
diversi significati e sia necessario
ricercare un utilizzo interculturale che
sia comprensibile nella diversità.
Abbiamo individuato alcuni temi
secondo l’interesse di ciascun
partecipante e li abbiamo sviluppati
con il lavoro di alcuni sottogruppi,
ideando i contenuti multimediali
che dessero un segno del pensiero
sviluppato durante questo percorso di
incontro interculturale.
“POESIA, COLORE E
RIVOLUZIONE”, “FEDE, AMORE E
SPIRITUALITÀ”, “GIRO DEL MONDO,
MONUMENTI E MITI DELL’UOMO”
SONO I TEMI CHE HANNO ABBIAMO
AFFRONTATO E CHE SI POSSONO
RITROVARE NEI CONTENUTI
MULTIMEDIALI PRODOTTI.
In occasione degli eventi conclusivi
del 27 maggio e del 24 giugno 2017, il
gruppo ha lavorato sulla costruzione di
un ambiente abilitante che restituisse
nello spazio fisico e temporaneo
l’esplorazione virtuale e continua
sviluppata durante il percorso.
Abbiamo cercato di ridurre Our World,
come la testata del nostro magazine,
in una Wunderkammer, come quelle
che si trovano nella prima stanza del
Mudec, utilizzando sia oggetti fisici
che risultati di percorsi virtuali resi
possibili dai mezzi moderni.
“Our World / Mudecchiamo” è
la composizione materiale dei
piccoli esempi di Wunderkammern
che ciascun membro del gruppo
ha costruito sui propri interessi,
declinando i tre argomenti che il
gruppo ha scelto durante il percorso.
Nella sala hanno trovato posto un
bonsai con preghiere di diverse
religioni attaccate ai rami e alcune
virtù sui picciòli delle mele, la
riproduzione di un cervello costruita
con giornali e fil di ferro e poi con
stecchi e cartone, segnalibri e taccuini
realizzati ad hoc con immagini e
testi selezionati, la riproduzione di
due video di cui uno in computer
grafica, costumi tradizionali, bandiere,
fotografie e una grande tela bianca
che è stata colorata dai bambini
durante i due giorni per essere
protagonista dell’Abrazo Cultural che
abbiamo realizzato al Mudec come
conclusione di questo percorso
collettivo.
19
BIBLIOTECA VIVENTE:
UNA GUERRA
NON-VIOLENTA
AI PREGIUDIZI
ULDERICO MAGGI, ABCITTÀ
20
Gli stranieri ci portano via il lavoro,
sono pericolosi, sono pigri, bevono
troppo…
Sembrano espressioni di altri tempi.
Elencati uno dietro l’altro, poi, questi
pregiudizi vengono rigettati come
prodotto caricaturale di una cultura
malpensante ancora viva.
Questo è solo l’inizio di un elenco
di luoghi comuni che ha segnato le
prime mosse di Biblioteca Vivente al
Mudec, serie di edizioni di Biblioteca
Vivente che ABCittà ha dedicato alle
differenze etnico-culturali all’interno
del progetto MUDEC POP.
BIBLIOTECA VIVENTE È UN
DISPOSITIVO CHE PERMETTE
DI FAR USCIRE DALL’ANGOLO
PERSONE E GRUPPI DISCRIMINATI1.
Lo fa attraverso un meccanismo molto
semplice: una biblioteca i cui libri sono
delle persone, proprio come i lettori;
libro e lettore intrecciano un dialogo,
apparentemente naturale, per il poco
tempo di un “prestito”.
I pregiudizi che sono all’origine dei
meccanismi discriminatori sono
anche il punto di partenza di ogni
Biblioteca Vivente; conviene quindi
soffermarsi sulla natura dei pregiudizi.
1. L’idea di Biblioteca Vivente nasce a Copenhagen con
il nome di Human Library, creata da un piccolo gruppo
di giovani come risposta all’aggressione a sfondo
razzista subita da un loro compagno nel 1993. “Stop The
Violence”, l’associazione da loro fondata, mette a punto
e propone il metodo per il festival musicale di Roskilde
del 2000. L’iniziativa ha un enorme successo e dal 2003 è
riconosciuta dal Consiglio d’Europa come “buona prassi”.
Le mille forme di semplificazione,
necessarie a tutti per conoscere la
realtà, se si radicano senza nessuna
riflessione, facilmente generano
un’escalation: dalla categorizzazione
allo stereotipo, al pregiudizio, fino alla
discriminazione. Il processo che porta
alla formulazione di un pregiudizio
richiede da un punto di vista cognitivo
uno sforzo ridotto, mentre dal punto
di vista motivazionale produce una
buona visione di sé.
Lo straniero è una categoria
facilmente riconoscibile, “altra”,
che se non provoca paura, almeno
funge da catalizzatore sociale per
problemi di natura diversa. Insomma,
le categorie massificano, cercando
di produrre spiegazioni che in realtà
riducono la capacità di comprensione
e congelano le persone e le loro
storie in una definizione che non ne
esaurisce la complessità. I pregiudizi
più radicati e corrosivi di solito sono
prodotti dell’irrazionalità, e qui
proliferano; solo dopo arrivano alla
testa. Infatti, un pregiudizio che
funziona bene ha in sé delle robuste
componenti irrazionali, e lavora in
connessione con la paura come
motore, carburante e destinazione.
LA NARRAZIONE BIOGRAFICA,
UNA RISPOSTA CREATIVA
Biblioteca Vivente funziona bene in
questo senso - lo testimoniano gli
svariati percorsi realizzati in tutta Italia
da ABCittà2, oltre che da altre
organizzazioni, anche se con alcune
differenze metodologiche - perché
utilizza la narrazione biografica come
arma. Infatti, se il pregiudizio su una
categoria chiude il pensiero a imbuto,
la narrazione biografica apre a una
molteplicità di interpretazioni.
Il libro umano partecipa a un percorso
di auto-formazione nel corso del
quale è supportato dai facilitatori nel
mettere in atto alcune operazioni con
la propria memoria: si fa interrogare
dai pregiudizi individuati, scava,
ricorda (attribuisce nuovamente
cuore a un episodio passato), rievoca
l’episodio (gli dà nuovamente voce).
Attraverso la narrazione degli episodi
che ha scelto di condividere, la
persona diventata libro umano esce
dalla categoria in cui è stata spinta e
riacquista la sua molteplice identità
agli occhi del lettore, oltre che ai
propri. Lo “straniero” non è più solo
“uno nel mucchio”, ma è Alfred, papà
di due bambine che vanno a scuola,
con la sua storia, le sue origini, le sue
aspettative e i suoi progetti.
All’interno del percorso formativo ogni
libro umano decide la propria traccia
di episodi da narrare in relazione ai
pregiudizi che ha individuato.
La micro-relazione che si sviluppa
durante l’incontro tra libro e lettore
2. Per un elenco completo delle edizioni di Biblioteca
Vivente allestite da ABCittà si veda
www.bibliotecavivente.org
21
è un altro ingrediente del dispositivo
Biblioteca Vivente, che rende speciale
e irripetibile l’esperienza. Ciò che
avviene durante la consultazione,
nella mezz’ora a disposizione, non è
governabile né prevedibile, e rimane
un’esperienza privata. Si tratta di una
relazione molto intensa, per quanto
circoscritta, come viene testimoniato
da entrambe le parti. Come quando
abbiamo in mano un libro di carta non
siamo lettori passivi, così anche con
il libro umano la relazione è dinamica
e biunivoca. Se dovessimo dire chi sia
il protagonista di questo dispositivo,
dell’esperienza nel suo complesso,
potremmo dire che sono sia il libro
sia il lettore o, ancora meglio, il loro
incontro.
BIBLIOTECA VIVENTE
E LA RIELABORAZIONE DI ABCITTÀ
Attraverso oltre 30 edizioni di
Biblioteca Vivente, ABCittà ha messo
a punto alcune piste di ricerca per
sviluppare il dispositivo. Sono nati
da una parte alcuni percorsi che
hanno acceso i riflettori su uno
specifico luogo (es. il quartiere
Molise Calvairate, via Padova…);
dall’altra edizioni tematiche (carcere,
veganesimo, salute mentale, seconde
generazioni…), con il tentativo di
specificare in modo sempre più
dettagliato il focus di interesse e
dunque la questione da affrontare.
I quattro percorsi di Biblioteca Vivente
22
al Mudec appartengono a quest’ultimo
filone.
ABCittà ha inoltre strutturato il
dispositivo in termini di metodo
facendo riferimento all’approccio
della progettazione partecipata
e alla dimensione interculturale.
La Biblioteca Vivente è, secondo
il modello di ABCittà3, insieme
strumento e processo partecipato.
L’evento aperto al pubblico non
esaurisce l’azione, ma coincide
con il suo risultato più visibile.
ABCittà fa riferimento all’approccio
interculturale, sia per l’analisi dei
pregiudizi come fatto culturale, di cui
abbiamo detto, sia per i significati
dell’incontro che il dispositivo
provoca tra libro e lettore. L’approccio
interculturale ci spinge verso una
dinamica normalmente inconsueta,
proponendo di avventurarsi nelle
periferie dell’incontro e del noto, ma
soprattutto dell’interpretazione del
reale. Nell’incontro interculturale si
apre uno spazio per l’attribuzione di
nuovi e molteplici significati.
BIBLIOTECA VIVENTE AL MUDEC
MUDEC POP si prestava
particolarmente bene ad accogliere
una Biblioteca Vivente dedicata alle
differenze etnico-culturali. La ricerca
sperimentale, in questo specifico
contesto, ci ha condotti su almeno
3. Ulderico Maggi, Paola Meardi e Cristian Zanelli (a cura di),
Biblioteca Vivente. Narrazioni fuori e dentro il carcere. Ed.
Altreconomia, Milano 2015.
due piste di innovazione.
La prima riguarda l’ipotesi di utilizzare
alcuni oggetti della collezione come
“muse” dei libri umani, per facilitare
o contaminare l’emersione delle
narrazioni biografiche. Questa parte
della sperimentazione ha previsto che
gli aspiranti libri umani individuassero
un oggetto come ispiratore di
ulteriori narrazioni biografiche o
come catalizzatore di memorie.
L’esposizione di questi oggetti durante
la prima edizione di Biblioteca Vivente
al Mudec (19.12.2015) portava con sé
il rischio proprio di alcuni processi
interculturali noto come “reificazione
della cultura”. Questo rischio è
stato scongiurato dal superamento
di una logica di abbinamento
persona-oggetto di tipo meramente
geografico o culturale, a favore di
una selezione più sottile, basata su
valori e memorie individuali, facilitata
da uno strumento di mediazione
appositamente progettato. La
seconda pista di ricerca ha mirato
a specificare il focus di interesse
riguardo alla macro-questione delle
differenze etniche e culturali: ci si
voleva concentrare sulla città di
Milano e sui temi più rilevanti per la
contemporaneità. È stata sviluppata
un’indagine che ha coinvolto alcuni
testimoni privilegiati del mondo della
politica, del lavoro, della cultura, delle
tradizioni religiose. Sono emerse otto
aree tematiche che sostanziano la
questione immigrazione/integrazione:
luoghi dei migranti nella città; lo
straniero vicino di casa e lo straniero
sui giornali; giovani e cittadinanza;
famiglia, amore e valori; rapporti
tra “comunità etniche”; lavoro e
ruoli sociali; scuola e figli; cultura
e identità. Da qui è partito il nuovo
percorso che ha portato alle ultime
due edizioni di Biblioteca Vivente al
Mudec (6 e 27.5.2017). C’erano Ana che
raccontava del primo incontro con
la famiglia napoletana del marito;
Mustapha e Chan che interpretavano
in modo diametralmente opposto
la questione dell’identità e della
pratica religiosa; Jorge che rievocava
occasioni di volontariato come forma
di cittadinanza vissuta.
Un intrico di storie, sentimenti e
volti che hanno avuto la capacità
di trascinare tanti lettori in mondi
diversi e lontani, ma allo stesso tempo
così vicini, più comprensibili proprio
grazie all’incontro e alla narrazione
personale dei libri umani.
OGGETTI VIAGGIANTI
SOCIAL MUDEC
BIBLIOTECA VIVENTE
23
LEMMI
QUESTI LEMMI
RACCOLGONO ALCUNI
DEI TEMI EMERSI NEL
CORSO DELLA TAVOLA
ROTONDA “ABITARE
IL MUSEO. PRATICHE
DI PROTAGONISMO
CULTURALE
DEI CITTADINI”.
LA TAVOLA ROTONDA,
A CURA DI ANNA CHIARA
CIMOLI E MARIA CHIARA
CIACCHERI (ABCITTÀ),
SI È SVOLTA IL
23 GIUGNO 2017
AL MUDEC.
GLI AUTORI DEI LEMMI
SONO I MUSEOLOGI
- ANTROPOLOGI,
ARCHITETTI, STORICI
DELL’ARTE - CHE SONO
INTERVENUTI ALLA
TAVOLA ROTONDA.
24
ABITARE
L’ABITUDINE
Se guardi da quel foro vedi
semplicemente una stanza, e due
persone in fondo, una a sinistra e una a
destra: inspiegabilmente, una è enorme
e l’altra minuscola. Eppure non c’è lente
deformante che alteri quei corpi ai miei
occhi. Possibile che sia il mio stesso
sguardo a ingannarmi?
L’oftalmologo statunitense Adalbert
Ames Jr ha costruito la stanza che porta
il suo nome (“Camera di Ames”) nel
1946, su un’idea di Hermann Helmholtz
della fine del ‘8001. Ames era convinto
che la percezione ottica non fosse
un’attività ‘naturale’ e indipendente
dalla cultura d’appartenenza. Le sue
teorie sembravano inaccettabili a chi
riponeva nell’occhio (nelle caratteristiche
del suo funzionamento) l’ideale
dell’acquisizione di quella conoscenza
panottica e ‘indubitabilmente’ oggettiva,
alla base del potere dello sguardo
Europeo di affermarsi come normatività
universale. Per provare le sue teorie sulla
percezione Ames inizia a lavorare all’idea
di una «distorted room», uno spazio
costruito deformando l’idea tradizionale
della stanza: non rettangolare ma
trapezoidale, con un dislivello e due
differenti profondità, uno spazio che
«sottolineando l’aspetto prospettico in
realtà ne maschera la deformazione»2.
1. W. C. Bamberger, Adelbert Ames Jr. A Life of Vision and
Becomingness, Bamberger Books, Whitmore Lake, Michigan
2006.
Osservando da un piccolo foro, tuttavia,
non notiamo nessuna stranezza: questo
spazio ci appare come una normalissima
stanza. È solo la presenza al suo interno
di due persone che rende evidente la
distorsione, che avviene a livello della
nostra elaborazione dei dati di realtà. La
priorità è vedere ‘la stanza’ così come
la conosciamo, e a tale scopo siamo
disposti a distorcere le dimensioni di
quei corpi. Distorciamo la realtà di quei
corpi, pur di non mettere in discussione
la ‘forma’ culturale di quello spazio, cioè
la ‘stanza’, uno dei concetti alla base
della formazione della nostra conoscenza
del mondo e di noi stessi. Per cercare
una conferma della sua teoria, Ames
ha portato il suo esperimento in Sud
Africa, presso una popolazione che
aveva un’esperienza e una concezione
dello spazio abitativo radicalmente
diversa dalla nostra (non ortogonale, ma
circolare): in questo caso le persone che
guardavano da quel foro non avevano
nessuna difficoltà a percepire lo spazio
così com’era, con dislivelli e diverse
profondità, e i corpi all’interno delle loro
effettive dimensioni.
La nostra percezione dello spazio
è dipendente dal modello culturale
che abbiamo introiettato rispetto al
concetto stesso di ‘spazio’, e al suo
stereotipo visivo, la ‘stanza’, la forma
stessa dell’abitare. Vediamo quello
che già sappiamo, attraverso la nostra
memoria incorporata: vediamo quello
2. Museo Laboratorio della Mente, a cura di UOS Centro Studi
e Ricerche ASL Roma E, Studio Azzurro, Silvana Editoriale,
Milano 2010, p. 24. Al Museo della Mente di Roma è possibile
fare esperienza della Camera di Ames, proprio all’inizio del
percorso museale.
che siamo ‘abituati’ a vedere. Tutto
questo ha a che fare con il concetto
di habitus, elaborato da Marcel Mauss
(poi ripreso da Bourdieu nella sua Teoria
della pratica): «le modalità attraverso
cui le persone ‘abitano’ i loro corpi, così
che questi si ‘abituino’3». Ogni individuo
letteralmente incorpora una serie di
disposizioni e norme culturali e sociali,
«tecniche del corpo»4, attraverso le
quali conosce e impara a vivere il suo
mondo: un modo di dormire, di correre,
di mangiare, di camminare, al punto che
laddove ci sembra di essere più naturali,
siamo invece più culturali (non a caso
il concetto di habitus viene articolato
da Bourdieu proprio nei suoi studi sullo
spazio domestico – l’abitare come il
luogo in cui si ha una consuetudine, al
quale si è abituati)5. L’habitus agisce
sui comportamenti, ma anche sulle
percezioni individuali (come è evidente
nel caso della camera di Ames) tendendo
a uniformarle a quelle della società della
quale il soggetto fa parte.
(Che cosa vuol dire, dunque, ‘abitare’?)6
GIULIA GRECHI
ACCESSIBILITÀ
Accedere a un luogo della cultura è
un diritto, significa poterne varcare
le soglie, navigare gli spazi, avere la
possibilità di comprendere e apprendere,
ognuno in base alle proprie personali,
differenti, abilità e competenze. Perché
questo possa avvenire sempre più,
occorre che abbia luogo una presa di
coscienza sociale e una assunzione di
responsabilità da parte di tutti. Gli spazi
materiali e immateriali della cultura
(e dell’intera vita sociale) dovrebbero
essere pensati, costruiti e plasmati in
modo tale che chi consideriamo diverso
da noi non ne resti escluso.
Un museo accessibile è un museo
che sa accogliere ogni visitatore, non
considerandolo un problema da risolvere
ma un portatore di competenze e
conoscenze da includere nel proprio
bagaglio di storie. Non solo, è anche un
luogo dove alle capacità del singolo
visitatore viene data la possibilità di
manifestarsi e di accrescersi, in uno
scambio di arricchimento reciproco.
LUCILLA BOSCHI
3. Nancy Scheper-Hughes, Il sapere incorporato: pensare
con il corpo attraverso un’antropologia medica critica, in
Robert Borofsky, L’antropologia culturale oggi, Meltemi,
Roma 2000, p. 284.
4. Marcel Mauss, Le tecniche del corpo, in Teoria generale
della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965.
5. Pierre Bourdieu, Per una teoria della pratica, Raffaello
Cortina, Milano 2003.
6. Parte dello scritto è tratto da Di sicuro non si sente
reclamare a gran voce un bacio, in “Zeusi. Linguaggi
contemporanei di sempre”, 1, n. 3, Dell’abitare, Arte’m, Napoli,
giugno 2016.
ALTOPARLANTE
Jette Sandahl definiva il Museo di
Copenhagen, da lei diretto, “altoparlante
della città”. Il museo come ripetitore
e come voce, come luogo che veicola
istanze e proposte e le propaga
all’esterno. Molti anni prima John Kinard,
fondatore dell’Anacostia Neighbourhood
Museum di Washington, parlava del
museo come di un “orecchio che
ascolta” (The Museum in the Service of
Man: Today and Tomorrow, 1972).
L’ascolto va dunque nelle due direzioni:
il museo e il suo contesto, in un
impalpabile andirivieni fra dentro e
fuori il cui confine è del tutto labile,
pretestuoso. Ma non c’è ascolto senza
trasformazione, senza presa di posizione
(anche se provvisoria, transitoria, in
costante evoluzione): l’ascolto cui non
consegua un’azione è una retorica vuota
e controproducente.
Il museo, dunque, come apparato che
riceve e trasforma, ma anche come
generatore di contenuti: un fondale
su cui si depositano sostanze, scorie,
oggetti, pensieri che qui prendono una
nuova forma per essere restituiti alla
società. La metafora è quella della
traduzione, con tutti i suoi trabocchetti:
“Esporre oggetti etnografici”, scrive
Marco Aime nell’introduzione al volume
di Jean-Loup Amselle Il museo in scena
(2017), “è un po’ come tradurre un testo
da una lingua straniera e sappiamo
benissimo come i traduttori diventino
talvolta, inevitabilmente, traditori. Non
esiste un modo giusto, qualunque sia
la scelta sarà sempre frutto di una
interpretazione”.
Perché questa attività di costante
ri-negoziazione dei contenuti avvenga
servono due ingredienti: le persone (le
“comunità”, come si dice a volte con
25
leggerezza: mai quelle etniche, però,
dal nostro punto di vista, giacché è una
forzatura e un disservizio definirle in
quanto tali; ma quelle di comunanza,
di prossimità, che sia geografica,
culturale, di interessi), che interpretano,
discutono e se serve protestano; il
tempo necessario a conservatori,
curatori, mediatori del museo per
ascoltare, registrare e se serve mettere
in discussione.
ANNA CHIARA CIMOLI
AURA
C’è una questione preliminare
nell’accostarsi a qualsiasi museo che
è l’oltrepassamento di una soglia, che
porta, per esempio, da una strada a un
museo.
Ancor prima di incontrare un’opera,
quali aspettative nascono da
quest’oltrepassamento?
Ogni edificio pubblico dove facciamo
esercizio del nostro essere cittadini
partecipi a una vita collettiva che
cresce, ha una sua particolare aura
che li rende qualcosa di differente l’uno
dall’altro. L’aura è quel qualcosa che
circonda le cose talvolta prima e al di
sopra delle cose stesse. E per percepire
l’aura non è necessario vedere: ha
direttamente a che fare con lo spazio in
cui una collezione di oggetti materiali
o immateriali viene collocata. Gli spazi
sono in continuo divenire e possono
26
diventare abissi sempre nuovi. Per far
percepire questa possibilità basta aprire
il nostro apparato sensibile: ciò che
abitualmente fa un cieco quando passa
da un ambiente a un altro ascoltando
ogni rumore, a cominciare dai suoni
prodotti da se stesso e dagli altri, ad
esempio camminando. Ogni più piccola
vibrazione sonora, di temperatura,
riflesso dei propri passi: tutto questo
fornisce a chi vede e chi non vede i dati
per comprendere dimensioni, forme,
possibilità, vocazioni dell’ambiente, e
allo stesso tempo attiva le sue facoltà
immaginative. Questi stimoli
rappresentano la vita stessa, che è
flusso continuo, ininterrotto, una pasta
le cui componenti sono separabili solo
tramite quella presa di distanza che ci fa
percepire, per esempio, la singola voce
di una donna in una piazza.
FABIO FORNASARI
BACIARSI
Museo di arte contemporanea,
stanza. Tra i visitatori del museo,
un ragazzo e una ragazza iniziano a
baciarsi, lungamente, lentamente,
rotolandosi a terra, muovendosi nello
spazio, assumendo pose diverse,
senza interrompere la loro coreografia
amorosa. A un tratto una voce dagli
altoparlanti del museo dice: «Tino
Sehgal, Kiss». Nessun’altra informazione
sulla performance dell’artista. Forse
qualche visitatore avrà colto nelle figure
performate da quei corpi, le citazioni dei
baci raffigurati in alcune famose opere
d’arte (Canova, Koons, Rodin, Klimt,
Brancusi). È sconveniente baciarsi in un
museo, tutti lo sappiamo, a meno che
non siamo Amore o Psiche, e siamo fatti
di marmo bianco. In effetti la fruizione
dello spazio museale è un’esperienza
alquanto proibitiva, piena di divieti che
riguardano soprattutto la corporeità dei
visitatori, l’espressione di sé.
(Non parlare a voce alta, non avvicinarti
troppo, non toccare, non mangiare,
non fare fotografie, non correre,
non assumere comportamenti
“inappropriati”.)
Il museo non è un dispositivo innocente.
Ha fornito storicamente le risorse
immaginative e performative, gli
orizzonti cognitivi e le pratiche utili
all’esercizio del potere/sapere attraverso
il mostrare, ha costruito attraverso una
serie di opposizioni (dentro-fuori, séaltro, natura-cultura, visibile-invisibile)
delle «comunità immaginate7» in
senso nazionale e coloniale, e l’identità
del cittadino europeo moderno come
soggetto universale, e ‘ben educato’8.
Nel fare tutto questo, ha anche definito
e naturalizzato uno specifico regime di
‘abitabilità’ dei suoi spazi, rispetto agli
oggetti esposti e ai corpi dei visitatori.
Ha veicolato una serie di habitus,
cioè una serie di disposizioni e norme
7. Benedict Anderson, Comunità immaginate, Manifestolibri,
Roma 1996.
8. Tony Bennett, The Birth of a Museum, Routledge,
London-New York 1995. Iain Chambers, Giulia Grechi e Mark
Nash, The Ruined Archive, Politecnico di Milano, 2014.
comportamentali, che il ‘bravo’ visitatore
ha incorporato a tal punto da sentirle
come ‘naturali’9. Alla radice di questo
processo c’è una gerarchia sensoriale
sottintesa come norma, che privilegia
un vedere disincarnato come il senso
privilegiato della fruizione museale,
relegando gli altri sensi in posizioni
subalterne, o nell’ambito dell’interdetto.
Ma il modello sensoriale dei cinque sensi
non è uno schema universale: «it is only
one such ordering, and it is relatively
recent in European history»10.
Anche l’affermazione di una particolare
gerarchia sensoriale è stata funzionale
alla definizione del sé e dell’Altro: è
servita a costruire e naturalizzare la
superiorità del soggetto che vede
(Europeo, razionale, civilizzato, maschio,
pieno di cultura) sull’Altro istintivo e
irrazionale (sessualizzato o infantilizzato
che selvaggiamente annusa, tocca,
gusta). Il potere coloniale riguarda
anche la costruzione del sentire, e la
«psicogeografia del museo»11 è una delle
sue stanze dei giochi preferite.
(A volte occorre provare a disimparare
quello che ci sembra ‘normale’, solo
perché l’abbiamo sempre saputo).
GIULIA GRECHI
9. Helen Rees Leahy, Museum Bodies. The Politics and
Practices of Visiting and Viewing, Ashgate, Farnham Surrey
2012.
10. Elizabeth Edwards, Chris Gosden, e Ruth Phillips,
Sensible Objects. Colonialism, Museums and material
Culture, Berg, Oxford New York 2006, p. 5.
11. Barbara Kirshenblatt-Gimblett, The Museum-A Refuge
for Utopian Thought, in http://www.nyu.edu/ classes/bkg/
web/museutopia.pdf, 2004.
CONVERSAZIONE
Di Biblioteca Vivente al Mudec abbiamo
già parlato, in questa pubblicazione.
Aggiungiamo ora due riflessioni
museologiche.
La prima è sul legame fra l’episodio di
Biblioteca Vivente – che si fa anche in
piazze, giardini, mercati, in carcere,
insomma si fa ovunque abbia senso
farla – e il museo, questo museo. Non
ha senso organizzare una cosa qui
se non ha un legame specifico con il
luogo: il suo profilo, le sue collezioni,
la sua specificità. Abitare il museo
con il corpo: ma non ha senso fare
pilates, corsi di origami o sessioni di
piercing al museo solo per inseguire un
aumento degli ingressi, se non si tesse
un legame di senso profondo. Nella
prima edizione di Biblioteca Vivente
al Mudec abbiamo così lavorato con i
“libri umani” invitandoli ad andare nei
depositi con i conservatori e individuare
degli oggetti legati alla loro storia
(non sulla base dell’etnicità, tuttavia:
un punto importante, questo, troppo
spesso disatteso in molte pratiche che
semplicemente fanno “clic” fra persone
peruviane e oggetti peruviani, fra
persone cinesi e oggetti cinesi). Quegli
oggetti sono stati dapprima incontrati e
osservati, quindo scelti, fatti uscire dai
depositi e organizzati in una vetrina, con
delle didascalie pensate per l’occasione.
Organizzare Biblioteca Vivente al Mudec
ha voluto dire invitare le persone a far
conversazione al museo, facendolo così
diventare, letteralmente, quel “luogo di
convegno” di cui parlava Franco Russoli
ne Il museo nella società (1981).
Ed eccoci al secondo punto, quello
del parlarsi guardandosi in faccia, in
due o in piccoli gruppi: per negoziare,
decidere, confrontarsi, raccontarsi.
Come il museo, un museo in generale,
può facilitare questa pratica di
cittadinanza? Perché si tratta proprio di
cittadinanza: la sala del museo diventa
uno speaker’s corner da cui far sentire
le proprie istanze, da cui condividere
i propri punti di vista, in cui prendere
posizione su temi piccoli o grandi; con il
contenimento delle collezioni, entro la
cornice di una storia precisa, che guida
e sostiene il discorso. Una pratica di
democrazia.
Ci sono, nel mondo, molti programmi
interessanti che lavorano in questo
senso: Have conversations here del
Portland Art Museum; oppure New
Experts!, il programma dedicato ai
teenagers della Haus der Kulturen
der Welt di Berlino che affronta temi
controversi come migrazione e identità.
Anche Che cosa vedi?, un progetto
di peer-education fra adolescenti
sviluppato a partire da un’intuizione
di ABCittà al Museo del Novecento di
Milano (con il Liceo Crespi di Busto
Arsizio), invita a sedersi per terra e
discutere in piccoli gruppi. I ragazzi che
hanno sperimentato Che cosa vedi?
hanno parlato, nelle loro valutazione,
di “un modo diverso di stare al museo”.
Diverso da quale? Certamente da quello
verticale, che prevede la stazione
eretta come unica postura ammessa, e
dunque informa conversazioni brevi, le
27
persone affiancate mentre camminano.
Questo “modo diverso” prevede lo stare
seduti, che sia sulle sedie o per terra non
importa, e prevede dei tempi lunghi, più
o meno codificati. Lo spazio del museo
è quel cerchio che tiene insieme, che
con-tiene.
Antonio Tabucchi, in Requiem (1992),
descrive l’incontro fra il protagonista
del libro e un copista al Museo di
Arte Antica di Lisbona, di fronte alle
Tentazioni di Sant’Antonio di Bosch.
Prima c’è l’imbarazzo del condividere
uno stesso spazio di contemplazione,
quel salto di intimità che sta fra il
tacere e il dire. Ma poi c’è l’opera, o
l’oggetto della collezione, che guida
al di là dello specchio, che porta fuori
dall’imbarazzo, perché non si parla
di me e di te ma di noi attraverso
quell’oggetto: “Fu forse in conseguenza
di questa sensazione di malessere
che, invece di mettermi a guardare il
quadro di fronte, lo aggirai e mi misi a
guardare il retro del pannello laterale
di sinistra, la scena di Cristo nell’Orto
degli Ulivi. Cercai di concentrarmi su
quella scena, forse nella speranza
un po’ assurda che l’uomo chiudesse
il suo cavalletto e se ne andasse. Se
vuole vedere il quadro deve spicciarsi,
disse l’uomo dall’altra parte, il museo
sta per chiudere”. E poi si parla di quel
pesce, che non è una cernia ma una
tinca – solo l’osservazione ripetuta e
prolungata ha permesso di capirlo – e
non è un dettaglio, è sostanza, perché la
tinca ha delle caratteristiche particolari
(“È a cavallo di quella tinca grassa che
questi due personaggi vanno incontro al
28
diavolo, disse, non vede?”) , perché quel
dipinto stava in un ospedale e si pensava
avesse proprietà taumaturgiche, perché
il fuoco di Sant’Antonio è “un po’ come il
rimorso, se ne sta addormentato dentro
di noi e un bel giorno si sveglia e ci
attacca”. Così il museo rima con la vita
che conduciamo, con i nostri fantasmi,
le nostre sfide, e la conversazione porta
a emersione, permette di vedere.
ANNA CHIARA CIMOLI
CORNICE
Le cornici definiscono l’identità della
finzione: lo racconta bene Victor
Stoichita in un classico della letteratura
artistica quale L’invenzione del quadro.
Questa accezione, parafrasata, si adatta
ugualmente bene alla stessa istituzione
museale: “frammenti di realtà che
si distinguono per la loro capacità di
delimitare un campo visivo […] tutte,
nel medesimo tempo, negazione della
parete e affermazione di uno spazio
‘altro’ “ (p. 64). Il museo contenitore
cui siamo soliti riferirci, in questo
senso, ci restituisce delle narrative,
ne identifica talvolta una coralità e un
filo conduttore, esplicitandone però
raramente la cornice e i presupposti.
Eppure le prospettive della museologia
contemporanea spingono sempre di
più affinché sia possibile insegnare
ai visitatori a osservare e leggere
i contorni delle cose, in un’ottica
metacognitiva che consenta loro di
acquisire competenze progressive
necessarie a stimolare “repertori
intepretativi” sempre sovrapponibili
(Potter e Wetherell, Discourse and Social
Psychology, 1987). La spiegazione dei
perché, in ambito internazionale, è
sempre più spesso un’esigenza,
nella convinzione che non tutti i
pubblici siano dotati di strumenti per la
decodifica delle scelte espositive, per
altro non sempre significanti. Un’appello
alla trasparenza, alla promozione di
competenze di lettura dei percorsi
espositivi quali testi suggerisce
anche un nuovo valore da assegnare
all’accessibilità e alla mediazione,
secondo alti livelli qualitativo spesso
richiesti solo ai contenuti e agli oggetti
esposti. Una progressiva tendenza che,
dunque, si oppone a un paradosso,
quello per cui “the museum curatorially
constructs the mystery that its
education function must then solve for
the audience”12.
MARIA CHIARA CIACCHERI
DIDASCALIA
Al concetto di didascalia, nell’accezione
anglosassone di label, etichetta, la
12. Ailbhe Murphy e Ciaran Smyth, More Bite in the Real
World: Usership in Art-Based Research Practice, ONCurating
n. 24, 2014
museologia postmoderna assegna
un valore centrale. Secondo questo
approccio, infatti, il museo dovrebbe
essere il luogo capace di supportare
la costruzione di una competenza
critica e civile, attraverso la messa in
discussione degli stereotipi associati
alle cose e, di conseguenza, alle
persone. Basterebbe pensare ad un
vecchio mattone e collocarlo su di
un piedistallo con la giusta luce. Se il
mattone fosse conservato all’interno
di un museo della città, alcuni ne
leggerebbero la didascalia spinti dal
desiderio di conoscerne la provenienza
geografica e storica. In un museo di
arte contemporanea gli interrogativi
cercherebbero risposta nella
pretestuosità dell’oggetto. Un mattone,
dovrà necessariamente farsi portavoce
di un altro significato che forse un
testo a margine - facilmente scritto dal
museo - potrebbe tentare di declinare
in parole. La tipologia dell’istituzione
guida inevitabilmente le risposte che
cerchiamo associate agli oggetti. Ma se
un mattone fosse soltanto un mattone,
la cui memorabilità coincidesse solo con
la sua esistenza? Nella prospettiva di Urs
Moor, all’interno del un piccolo volume
Education, pubblicato dalla Rietveld
Academie di Amsterdam, una serie di
sei mattoni si racconta singolarmente.
Si tratta di oggetti che raccontano storie
qualsiasi; hanno l’identità, ingenua
o arguta, delle persone comuni e
una percezione storica di sé del tutto
parziale. Il loro sottotesto, una voce
debole che non racconta certo di storie
altisonanti, guarda alla molteplicità
di prospettive che possono assumere
stili, vocabolari e punti di vista opposti,
sottili eppure sempre reali. Mettere in
discussione le didascalie, domandando
persino ai bambini (come è stato fatto
al MUDEC) che cosa vedano negli
oggetti, può rappresentare un modo per
restituire ai musei la vitalità complessa
di quel mondo là fuori fatto di laterizi.
Un processo di sottintesa osmosi che
consenta di distinguere i fatti dalle
interpretazione e sappia assegnare
pari validità ai saperi allo scopo di
smascherare i pregiudizi sugli sguardi
che modellano il senso associato
agli oggetti. Didascalie che non siano
solo affermazioni, ma anche ipotesi
contrapposte capaci di aprire al dibattito
e dunque, soprattutto, domande.
MARIA CHIARA CIACCHERI
FRUIBILITÀ
Come dovrebbe essere un museo fruibile
per chi non vede? Prima ancora di
chi ha fatto studi di museologia, più
volte ce lo hanno mostrato gli artisti dal
Novecento ad oggi attraverso
l’installation art, l’arte concettuale
e relazionale: esiste una vasta area
dell’arte contemporanea dal carattere
spiccatamente sinestetico e non-visivo,
che permette una libera ricezione delle
opere sia da parte di non vedenti sia
da parte di coloro che vedono, senza
necessità di filtri intermedi. Come
dire che l’accessibilità fa parte della
consistenza intrinseca dell’opera la
quale, proprio per questo, non necessita
di alcun tipo di traduzione-trasposizione
ma soltanto di alcune informazioni
essenziali sull’esistenza di questa vasta
area.
Generalmente i ciechi pensano che non
ci sia nulla di fruibile nei musei, e che
quindi non possano partecipare al suo
godimento. Se questo è in gran parte
vero per l’arte del passato, soprattutto
per la pittura prospettica e tonale, non
sempre lo è per la scultura di qualsiasi
epoca. Tuttavia, salvo rare eccezioni,
nei musei non si possono toccare né
oggetti né opere di scultura.
Solo quando è a portata di mano nelle
piazze e nelle chiese la scultura può
essere toccata, anzi talvolta toccarla fa
parte della ritualità devozionale (dalla
statua di San Pietro a Roma a quella di
San Giacomo a Santiago de Compostela).
In alcuni casi di scultura contemporanea
l’esplorazione tattile può essere anche
sollecitata e voluta dagli stessi artisti
(come in Franz West o Kan Yasuda) e
diventa parte integrante dell’opera.
FABIO FORNASARI
29
L’INABITABILE
l’Inabitabile
mi circonda
provo a tracciarne i confini ma
restano in mano solo
brandelli di muri – e di pelle
(è così che
mi ricordo
il corpo
è lì
dove è sempre stato
piccolo squarcio
fessura luminosa
tra due porte chiuse
lì – dove posso assicurarmi
certamente
una consistenza)
GIULIA GRECHI
ISTRUZIONI
PER L’USO
La fruibilità dell’opera conosce una
mutazione senza precedenti verso una
diffusa multisensorialità a partire dagli
inizi del Novecento fino ai giorni nostri,
tanto che oggi ci sono sempre maggiori
possibilità che un cieco possa avvicinarsi
a un’opera, la possa comprendere
e possa provare coinvolgimento
estetico. Difficilmente però un cieco
visita un museo o un’esposizione
d’arte contemporanea, non solo per il
30
divieto di toccare e per la mancanza di
strutture in grado di accoglierlo in modo
adeguato, ma, ancor prima, perché
nei luoghi deputati all’istruzione e alla
formazione non si danno indicazioni
sulla fruibilità dell’opera al di fuori
dell’ambito visivo. L’orientamento della
didattica, in molti casi ancora di stampo
tradizionale, prevale sull’orientamento
estetico dell’oggetto stesso e
sulla sua capacità di comunicare
autonomamente. La storia dell’arte,
inoltre, viene spesso insegnata solo
fino ai primi decenni del Novecento
senza tenere sufficientemente conto
di ciò che accade dopo, oppure, nei
rari casi in cui ci si spinge oltre, si
sottovalutano le modificazioni che sono
intervenute nella concezione dell’arte
attraverso il progressivo affermarsi
di nuove discipline come l’estetica,
la psicoanalisi, l’antropologia, la
fenomenologia, l’intermedialità ecc.
FABIO FORNASARI
LIBERTÀ
Mi piacerebbe che alla National Gallery ci
fosse un cartello con scritto: ‘Non deve
per forza piacerti tutto’.
(Alan Bennett, Una visita guidata, 2008)
OROLOGIO
Al museo in genere non ci sono gli
orologi. Il luogo considerato fra le sedi
per eccellenza dell’apprendimento
informale non può certo avere i
connotati di un’aula scolastica.
Il tempo trascorso all’interno delle sale è
necessariamente soggetto alla volontà
del visitatore, libero, progressivo: si
cammina, ci si siede, si accelera e si
rallenta. La facilitazione cognitiva del
tempo, che potrebbe essere facilitata
da scelte di tipo espositive, spesso
non rappresenta un tema di indagine
trasformandosi così una barriera.
Eppure i musei, in questo, dovrebbero
essere sempre contemporanei,
innanzitutto a sé stessi, a dispetto della
storicità degli oggetti che possono
conservare. Una storicità che parimenti
andrebbe reinterpretata secondo
paradigmi non sempre lineari. Perché
la vera domanda, al museo, forse non è
più chi o cosa ma, come suggeriscono
Preziosi e Farago (2004, p. 3) è diventata
quando.
MARIA CHIARA CIACCHERI
PARADOSSI
DELL’INCLUSIONE
Quel che genera il cambiamento è la
differenza.
Per contribuire ad una riflessione
efficace sull’accessibilità dei musei non
basterà guardare ai visita-tori: servirà
che la differenza divenga elemento
costitutivo delle professionalità del
museo stesso e che, allo stesso tempo,
coloro che lavorano in questa istituzione
possano essere considerati anche alla
stregua di un pubblico.
MARIA CHIARA CIACCHERI
PARTECIPAZIONE
In vari settori della società si sente
parlare di partecipazione, e questo
mutamento riguarda sempre più anche
i musei. I musei diventano così spazi
relazionali, mettendosi in ascolto della
comunità
di cui fanno parte, disponibili ad
accoglierla e a intraprendere con essa
dei percorsi di conoscenza e crescita,
fino a diventare dei veri e propri crocevia
di culture, esperienze, relazioni.
La partecipazione dei pubblici non
avviene solo dentro le sale museali,
ma anche negli spazi immateriali
costituiti dai social media dei musei,
che dimostrano una sempre maggiore
attenzione alla propria community di
“followers”, al punto da farla diventare
parte attiva del processo di costruzione
del senso, in un percorso di innovazione
sociale oltre che culturale della
partecipazione.
LUCILLA BOSCHI
PUBBLICI
I musei da sempre sono in
trasformazione. Nati come luoghi di
conservazione, hanno accolto tra le
proprie mura i processi evolutivi della
società, aprendosi a pubblici sempre più
diversificati.
Non più semplici spazi frequentati
da persone di cultura, sono divenuti
ambienti accoglienti, in cui apprendere,
socializzare, conoscere, ri-conoscersi.
Oggi possiamo considerare i musei dei
veri e propri attivatori di cittadinanza.
I pubblici che li frequentano risultano
sempre più diversi, in uno scambio
osmotico in cui la diversità è una
ricchezza, un valore che si rispecchia
nell’evoluzione degli spazi, della
comunicazione e delle stesse collezioni.
Differenti abilità, competenze, lingue,
provenienze geografiche, culture, livelli
di istruzione, fragilità: un intreccio di
storie personali che si incontrano ed
entrano a far parte dei musei, in una
costruzione di senso continuamente
rinnovata.
LUCILLA BOSCHI
SGABELLI, SEDIE,
DIVANI (E LETTI)
Nel 1941 – siamo durante la guerra –
Franco Albini inserisce delle sedute
individuali davanti alle opere di Scipione,
nella mostra allestita alla Pinacoteca
di Brera. Le opere erano collocate entro
nicchie di mattoni, e la relazione con
esse risultava personale, ma non rigida:
le sedie si potevano spostare (ma chissà
se i guardiani lo hanno permesso).
Lo stesso Albini colloca la ‘tripolina’,
seduta leggera e pieghevole di coloniale
memoria, nei musei genovesi che
allestisce nei primi anni Cinquanta:
ancor più aperto incoraggiamento a
personalizzare la visione, muovendosi
a piacimento nello spazio. Come si fa a
casa propria, inseguendo magari la luce
migliore per leggere o riposare.
Quando Ignazio Gardella progetta il
Padiglione d’Arte Contemporanea,
a Milano, prevede sedie leggere, le
“chiavarine”. E piante verdi: come in un
appartamento.
Oggi, il Grassi Museum di Lipsia
mette il museo stesso sul divano
dello psicanalista: la serie di incontri
Museum on the Couch invita gli studenti
della facoltà di Antropologia, ma
anche chiunque altro, a raccogliersi
fisicamente intorno a dei manufatti e a
vivisezionare il museo: le sue scelte, i
partiti presi, i detti e i non-detti, in una
logica progettuale e propositiva.
Dallo sgabello dello studente di belle
arti, che agli albori della sua storia
andava al museo per copiare dal
vero le opere, a quelli pieghevoli, di
plastica, messi a disposizione oggi
da molte istituzioni, provvidenziali
per chi fa fatica a camminare, per gli
anziani, ma anche per tutti i visitatori:
chi vuole disegnare, per esempio, o
31
scrivere. Il come, il quando e il dove
del sedersi al museo: ci sarà molto da
osservare e da riflettere, per il museo
del futuro. Che già fa ricerca sul tema
dello sdraiarsi per dormire al museo,
come nel caso del Peabody Essex
Museum di Salem (Massachussets).
Intanto, il diecimilionesimo visitatore
del Rjiksmuseum dopo la riapertura è
stato premiato con un notturno solitario
davanti a un’opera di Rembrandt: La
ronda di notte, appunto.
ANNA CHIARA CIMOLI
SGUARDI
INCROCIATI
Visitare una mostra di arte
contemporanea in compagnia di un
cieco può arricchire il processo di
ricezione anche di chi vede. Chi è cieco
è infatti spesso in grado di mettere
in evidenza ciò che dovrebbe essere
assodato ma che, anche a causa dei
vecchi retaggi e dei comuni pregiudizi di
cui si è parlato, non lo è affatto. Come
sa bene ogni artista contemporaneo,
oggi, per provare godimento estetico,
vedere non basta più. D’altra parte è la
stessa opera d’arte che si trova, il più
delle volte, a pretendere di non essere
semplicemente vista ma ascoltata
e vissuta, scompaginando le nostre
convinzioni sui confini netti tra la sfera
del visivo e l’universo del non-visivo.
L’importanza sempre maggiore assunta
32
nell’arte dalla sinestesia ha fatto sì
che la ricezione non separi ma unisca
i diversi canali sensoriali, facendoli
cooperare fra loro in modo che possano
arrivare a colmare ciò che non c’è: dalla
parte del cieco ciò che egli non può
vedere, dalla parte ci chi vede ciò che
egli non è più in grado di sentire.
Diversamente da quello visivo, il
godimento estetico-sinestetico è
antispecialistico, anticlassificatorio,
antinozionistico, e si spinge
dinamicamente verso un’unità per
cercare di restituirne il senso al corpo
indivisibile del fruitore.
FABIO FORNASARI
SUONO
Chiedendo a un bambino di qualsiasi
provenienza che cosa sia una museo,
una tra le prime risposte che otterremo è
“un posto dove bisogna stare zitti”.
Senso troppo a lungo escluso dai
percorsi di conoscenza contenuti nei
musei tradizionali, pur essendo il primo
a formarsi nel nostro organismo, l’udito
permette di stabilire uno scambio
relazionale in un dialogo composto
da ricezione e trasmissione, in cui i
contenuti possono essere anche di
matrice non verbale. I musei sono
sempre meno silenziosi: nei loro percorsi
hanno cominciato a entrare di diritto
musiche, rumori, suoni. E le parole dei
visitatori.
Per chi non vede, il suono diviene una
vera e propria estensione del tatto,
rendendo oggetti, spazi e collezioni
presenti attraverso l’udito: anche per
questo assume sempre maggiore
importanza la valorizzazione del suono
nei musei.
LUCILLA BOSCHI
TATTO
Alla domanda “che cos’è un museo”, il
bambino in visita potrebbe rispondere:
“un posto dove non si può toccare
niente”. Un luogo dunque noioso,
distante, algido. Eppure, il tatto è uno dei
sensi con cui scopriamo il mondo, con
una percezione che passa attraverso
l’intera superficie del nostro corpo,
raggiungendo il proprio apice in zone
come mani e piedi. Con le mani dunque
abbiamo l’opportunità di conoscere ciò
che ci circonda con un punto di vista
differente. Per chi non vede, il tatto è
la via di accesso all’esistenza e alla
comprensione degli oggetti.
Partendo da casi di privazione sensoriale
come la cecità, i musei a poco a poco
cominciano ad aprirsi all’esplorazione
tattile e alla possibilità di toccare
almeno in parte quanto in essi
conservato, mentre sempre più attività
educative e laboratoriali sono rivolte
all’uso dei sensi diversi dalla vista.
LUCILLA BOSCHI
Grazie a tutte le persone e le
associazioni che a vario titolo
hanno contributo alla realizzazione
del progetto MUDEC POP:
ABCittà
Ajka Essenza
Al Maghribia
Alpiandes
Arci Milano
Arezzo Ballet
Baobab
Celim
Centro Antonio Raimondi
Colores Nazarenos y Andinos
Compagnia Africana
Comunità Palestinese in Lombardia
Comunità Venezuelana
Cubeart
Cultura Senza Frontiere
Cuore Argentino
Donne cinesi in Milano
Dora e Pajtmit
Equagruppo
Fondazione A. Passarè
Isola Solidale
Jazz Milano
Laurus
Marco Antonio Ribeiro Vieira Lima
Maschere Nere
Mille Soleils
Mimondo
Paradigma
Per i diritti umani
Primo Passo
Proficua
Shaolin Temple Italy
Sunugal
Venezuelani in Lombardia
Vivafrica
Watamu Youth
Un particolare ringraziamento
a Chiara Bartolozzi, Fondazione
Cariplo.