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“Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum in Milan, in “Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, numero monografico su “Creative dialogue with... more
“Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum in Milan, in “Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, numero monografico su “Creative dialogue with the city. Artistic revitalization of public space”, n. 17, vol. 375, 2022, pp. 61-72, online.
The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnographie du Trocadéro, later Musée de l’Homme, in Paris. Analysing the scholar’s contribution, in particular the method she adopted during her... more
The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnographie du Trocadéro, later Musée de l’Homme, in Paris. Analysing the scholar’s contribution, in particular the method she adopted during her fieldwork in Algeria among the Amazigh populations and its subsequent impact on the museum, the essay brings to light not only a half-forgotten profile, but also a relevant page in the history of the Musée de l’Homme. The analysis develops around the themes of gender, distance/proximity to the object of study, and adherence or non-adherence to a normativity imposed from above in the strongly hierarchical structure of the museum. What emerges is the figure of an ethnographer who entrusts relationships and imaginative power with the ability to understand and represent a culture. The collection of photographs, the letters, and the album of the ‘dessins indigènes’ show how her practice was not at odds with an unobjectionable scientific rigour. The long years in a psychiatric hospital, however, also suggest a reflection on the boundaries between truth and fiction, the relationship between sight and mental health, the impact of war and much more to be explored.
For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of rewriting its labelling apparatus. It has done so by conducting a series of interrelated actions aimed at the adoption of a more inclusive... more
For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of rewriting its labelling apparatus. It has done so by conducting a series of interrelated actions aimed at the adoption of a more inclusive approach and the resurfacing of silenced stories and points of view, in particular with respect to gender and sexual orientations. The article critically analyzes the process, highlighting the methodology, as well as the change at the level of internal organization and impact on audiences.
A reflection upon the paradigm shift in social museology, in the aftermath of BLM and other political protests against marginalisation and racialisation.
La relazione di amicizia fra Carla Marzoli e Fernanda Wittgens, cementata dall'attivismo politico e culturale, viene analizzata attraverso fonti d'archivio e testimonianze orali di chi ha conosciuto e frequentato la libreria La Bibliofila... more
La relazione di amicizia fra Carla Marzoli e Fernanda Wittgens, cementata dall'attivismo politico e culturale, viene analizzata attraverso fonti d'archivio e testimonianze orali di chi ha conosciuto e frequentato la libreria La Bibliofila di via Manzoni, cenacolo di artisti e letterati dell'immediato dopoguerra. Sullo sfondo la Resistenza, l'aiuto agli ebrei e poi ai reduci di guerra, l'attività di ricerca mai interrotta nonostante la carcerazione (per Wittgens) e le difficoltà del periodo bellico (per Marzoli). Una sezione dell'articolo è dedicata alla progettazione della libreria, opera giovanile di Renzo Mongiardino.
Una riflessione su tre fotomontaggi murali curati da Charlotte Perriand negli anni Trenta, a partire dalla mostra allestita ai Rencontres de la Photographie di Arles.
Inclusion is a slippery concept: in the end, who includes whom? In a globalized world, who is entitled to welcome others, therefore stressing their “otherness”? We all are “others” to someone, hence our uniqueness as human beings as well... more
Inclusion is a slippery concept: in the end, who includes whom? In a globalized world, who is entitled to welcome others, therefore stressing their “otherness”? We all are “others” to someone, hence our uniqueness as human beings as well as cultural subjects. Museums have always been, since their very birth, the home of the unusual, the diverse, therefore the interesting. Homeliness is not in the museum’s dna. So why are cultural institutions of our times still considering cultural diversity as an issue to deal with, rather than their real drive? While we might anticipate intuitively a few answers, the article tries to describe the status quo, at least as far as the Italian institutions are concerned, in terms of the relationship between museums and the dynamic notion of intercultural dialogue, within a social and communicative framework more and more openly characterized by antisemitism, racism, sexism, to name a few. While no happy ending seems to be in view, cultural institutions have the duty to face any form of discrimination through their tools and choices. The ethical questions concerning equality, social justice and representation are more than ever under scrutiny.
Qualche anno fa, di fronte alla "crisi dei migranti", abbiamo lanciato un blog che si chiama "Museums and Migration". È uno strumento semplice nella forma, che non vive di alcun finanziamento, prodotto in città diverse (Milano e Lisbona).... more
Qualche anno fa, di fronte alla "crisi dei migranti", abbiamo lanciato un blog che si chiama "Museums and Migration". È uno strumento semplice nella forma, che non vive di alcun finanziamento, prodotto in città diverse (Milano e Lisbona). Quando abbiamo inaugurato il blog non ci conoscevamo di persona: ci siamo reciprocamente "riconosciute" online intorno a temi e battaglie di comune interesse sul ruolo sociale della cultura, sulla museografia radicale, su un più vasto concetto di accessibilità.
Recensione di "Con mano che vede" di Claudio Ballestracci, Panozzo Editore.
Nel settembre 1951, la Triennale di Milano fu il teatro di una performance d’eccezione, con Le Corbusier nel ruolo di un protagonista. Il tema in discussione riguardava le proporzioni nelle arti e il discussant di primo piano era Rudolf... more
Nel settembre 1951, la Triennale di Milano fu il teatro di una performance d’eccezione, con Le Corbusier nel ruolo di un protagonista. Il tema in discussione riguardava le proporzioni nelle arti e il discussant di primo piano era Rudolf Wittkower. Se, per lo storico, l’ordine matematico doveva continuare a essere alla base dell’arte, per Le Corbusier tutti i corollari del sapere esoterico celati dentro la questione della ‘divina’ proporzione erano ormai cose morte: contro i ‘miracoli della geometria’, propone la nuova idea dello ‘spazio indicibile’. Il convegno naufraga sulle sue stesse premesse; ma la teatralizzazione delle opzioni mette in luce il disagio dell’architettura a fronte di ogni rigidita normativa: l’impossibilita di una teoria che non tenga conto della realta del corpo, dunque del grottesco e della materialita come fondamenti della ricerca
Il rapporto fra i musei e il concetto di empatia è divenuto sempre più centrale nelle politiche museologiche contemporanee. Eppure è un tema antico, tornato poi in auge alla fine dell’Ottocento. Ma perché è oggetto di discussione adesso?... more
Il rapporto fra i musei e il concetto di empatia è divenuto sempre più centrale nelle politiche museologiche contemporanee. Eppure è un tema antico, tornato poi in auge alla fine dell’Ottocento. Ma perché è oggetto di discussione adesso? È solo uno slogan, o piuttosto un bisogno profondo? E in che modo i musei possono far riferimento all’empatia per contrastare i pregiudizi e gli stereotipi?
In questo articolo parto dal presupposto che il tratto comune e fondante di molte esperienze che ruotano intorno al concetto di empatia, e loro requisito fondamentale, sia la presenza del corpo, la messa in gioco di persona, non delegabile. Di più. L’empatia è in sé un concetto profondamente corporeo: non esiste senza un moto fisico, un gioco di rispecchiamento che chiama in causa innanzitutto il corpo. In particolare, lo sguardo e il contatto sono centrali nelle pratiche (anche quelle museali) fondate sull’empatia, e ne costituiscono il punto di forza e di innovazione rispetto al “please don’t touch”, il classico mantra museale.