MEDICINA TRADIZIONALE E GUARITORI NELL'APPENNINO PARMENSE1
Acua srén'na drìssa sta vén'na
acua mòrta drìssa sta stòrta
acua curìa ciapa sta storta e pòrtla via
(Capacchi, 2002, 75)
Premessa
In quest'ultimo anno e mezzo mi sono occupata in modo piuttosto approfondito dei guaritori
tradizionali e dei loro pazienti nel territorio dell'Appennino parmense e di Parma stessa. Con
guaritori tradizionali faccio riferimento a specialisti della cura che si occupano di rituali
diagnostico-terapeutici incentrati, in particolare, sul rituale della segnatura. Questa pratica di
guarigione interviene su numerose malattie attraverso l'imposizione delle mani. L'azione è spesso
potenziata dallo sfruttamento dell'efficacia simbolica di uno o più dei seguenti elementi: gesti,
segni, oggetti e parole.
Prima di entrare nel vivo dell'indagine etnografica del rituale vero e proprio, mi sembra
interessante, e quasi dovuto, spendere qualche parola sul territorio che ospita tutt'ora quest'antica
tradizione, spesso erroneamente ritenuta scomparsa. Come solitamente avviene per le indagine
etnografiche, la zona prescelta si è scoperta in realtà malleabile e fluida, adattandosi a ciò che il
fenomeno preso in esame rivela. È quindi proprio l'oggetto d'indagine a delineare il campo d'azione
dello studioso stesso, e non viceversa. Per quanto riguarda la mia ricerca l'area d'interesse
inizialmente si riduceva a Parma e la vicina provincia collinare. In seguito si è allargata alla bassa
parmense e a diverse aree dell'Appennino, che in questa sede maggiormente ci interessa. In
particolare nelle zone montuose dove tutt'ora è presente un'economia di tipo rurale, i mezzi e le vie
di comunicazione con la città industrializzata sono scarsi e la vita scorre spesso al passo con i cicli
della natura, queste tradizioni sono rimaste più radicate o, forse, è solo più semplice scovarle. Per
l'Appennino ancora ricco di leggende e storie che alternano la furfanteria dei folletti all'inquietudine
degli spiriti dei boschi, la medgòna (o il medgòn) è una figura che perfettamente si integra nel suo
scenario. Così in Val Taro, Val Parma e Val d'Enza si ritrovano ancora uomini e donne che curano i
malanni quotidiani con le erbe e le preghiere, con i gesti e le parole, con gli oggetti e le litanie.
Quella che spesso oggi riconosciamo come mera sopravvivenza di un mondo che stiamo perdendo
fa parte in realtà di rituali antichissimi perpetrati nei secoli e giunti fino a noi, che nell'epoca della
supremazia della scienza cerchiamo di rinnegare.
Per fortuna alcuni di noi non si lasciano irretire da questa “fiumana del progresso” e, per contro,
anche se non necessariamente credono nell'efficacia del rituale, scelgono comunque di tramandarlo,
1
L'articolo è pubblicato sulla Rivista "Le Valli dei Cavalieri" XXIX, Parma: Palatina Editrice, 2012.
in onore di una tradizione antica di secoli. Alcune di queste persone le troviamo nei nostri
Appennini, nelle nostre campagne e così anche nel territorio delle Valli, ed è proprio a loro che
dedico quest'articolo.
Vado alla fontanella
metto il piede sulla predella
la predella la dà la vòta
il piede dà la storta.
Preghiamo Dio e Santa Léna
che guarisca da questa véna
(Formula di guarigione di una storta
Scala, 1983, 25).
Il rituale di guarigione
Molti di voi avranno sentito parlare di segnature, di donne che curano, di preghiere e parole che
salvano. Fino a non molto tempo fa erano gli stessi medici di paese che, in presenza di malattie
piuttosto difficili da eliminare, suggerivano al paziente, in confidenza, di farsi segnare. Le
patologie maggiormente curate sono: il fuoco di S.Antonio, la storta, i vermi, l'erisipela (rosipola),
le malattie degli occhi e il mal di stomaco. Le modalità di cura sono differenti, variano da malattia a
malattia e, spesso, da guaritore a guaritore. Si scovano però diversi tratti comuni che tendono a
ripetersi per ogni guarigione: apertura del rituale mediante il segno della croce, messa in atto della
terapia grazie all'imposizione delle mani, eventuale gestualità predefinita e utilizzo di oggetti. A
queste caratteristiche si aggiunge la parola. Il rituale infatti è di norma accompagnato dalla
ripetizione, a bassa voce o nella mente, di una “formula”. Si conclude infine nello stesso modo in
cui si è aperto, con il segno della croce. Già attraverso questa scaletta si scorge una prima
simbologia rilevante e comune a differenti rituali, proprio quella della croce. È probabile che la
pratica si chiami segnatura proprio in relazione al gesto del segno della croce e della croce stessa
che, per mezzo delle dita o di alcuni oggetti è, senza dubbio, la gestualità più diffusa durante il
rituale.
Qualche esempio può aiutare a comprendere maggiormente questa realtà fortemente simbolica. Il
primo vede al centro una guaritrice della Val Parma che per la cura del fuoco di S.Antonio utilizza il
carbone, poiché il carbone deriva dal fuoco, e con questo supporto traccia delle croci sull'area
infetta. Nel secondo esempio, invece, la guaritrice cura le storte. Dopo un attento rituale per
accertarsi dell'effettiva malattia, prende sei bastoncini di frumento e li lega insieme, a due a due con
del filo di cotone, formando tre croci, per poi cucirle su una tela di canapa. Il tutto andrà ad
avvolgere la caviglia del paziente. Infine riporto il caso di un guaritore 2 della Val d'Enza che sfrutta
l'efficacia simbolica delle croci circondando il male e circoscrivendolo attraverso le dita.
2
Erroneamente è diffusa l'opinione che le guaritrici possano essere solo donne, in realtà non è così. Le modalità per
divenire guaritore non prescindono quasi mai dal sesso.
Quella delle croci non è però l'unica gestualità sfruttata dai nostri medgòn. Dobbiamo tenere
presente che una stessa malattia, quale per esempio il fuoco di S.Antonio, può essere curata
attraverso una modalità da un guaritore e un'altra completamente diversa da un altro.
(Immagine delle tre croci di frumento usate per la segnatura della storta e della tela di canapa sulla quale
vengono normalmente cucite)
Non esiste un rituale giusto e uno sbagliato. È importante, inoltre, sottolineare che ogni guaritore
non è confinato all'interno della cura di una specifica patologia. A seconda delle modalità di
iniziazione alla pratica e degli insegnamenti trasmessi, può farsi carico di più malattie. Così per
proseguire sul filone delle differenti gestualità un caso interessante, in rapporto al territorio che
quest'annuario si prefigge d'indagare, è dato dal sigillo di Salomone. Il simbolo viene rintracciato
all'interno della Clavicula Salomonis, un grimorio medievale, comprendente pentacoli e formule
magiche per evocare spiriti di ogni sorta. Interessante è il fatto che, a seconda delle tradizioni
popolari, differenti pentacoli vengano denominati “segno di Salomone”. Nel folklore appenninico
parmense il pentacolo comunemente identificato come tale è rappresentato da una stella a cinque
punte, con la punta singola rivolta verso l'alto mentre, per esempio, nella tradizione umbra è
costituito da due triangoli intersecati tra loro (sempre una stella) o da tre circoli concentrici tagliati
da una croce3. Questo antico pentacolo, risalente ad una profonda cultura esoterica, non perse la sua
valenza nei secoli medievali, dove venne tramandato acquisendo svariati scopi. Uno di questi è la
cura della rosipola, che secondo le fonti di medicina popolare veniva (e forse viene tutt'ora, ma
nessun informatore l'ha riportato) curata attraverso questa gestualità. Un altro aspetto interessante di
3
Zanetti, 1978, 189.
questo simbolo proprio in relazione alla nostra area di ricerca si riallaccia a quello che riporta
Fontana nel precedente annuario delle Valli dei Cavalieri. L'articolo si focalizza su un portale di una
casa di Castagneto, in Val d'Enza. Sull'architrave in pietra posto sopra la porta sono raffigurati tre
simboli, individuati come pentacoli al comando degli spiriti dipendenti da Mercurio e Marte4. In
basso a sinistra vediamo una stella a cinque punte, che in contesto parmense, come scrisse in una
precedente rassegna la prof. Scala, raffigura proprio il nodo di Salomone, utile a scacciare il
malocchio5 e, noi aggiungiamo, anche la rosipola.
Alla simbologia della croce, che apparentemente ci direziona verso un rituale cristiano, vengono
quindi associati e alternati simboli esoterici, magici e profani. Vedremo in seguito come si è
sviluppato questo “sincretismo”.
Dopo essermi soffermata sulla gestualità del rituale, vorrei spendere due parole su quelli che sono
gli altri elementi che lo compongono: gli amuleti, che già in parte abbiamo avuto modo di vedere, e
le “formule”. Mi premeva, in primis, chiarire che con il termine amuleto si fa riferimento a un
oggetto di limitate dimensioni, cui venga attribuita una potenza magica di tipo protettivo o
propiziatorio6. L'uomo del paleolitico utilizzava già diversi amuleti: ossa di animali, frammenti di
corna di cervo, conchiglie, rami o oggetti raffiguranti genitali, simbolo di riproduttività e forza
vitale. La principale spiegazione che viene rintracciata per il loro antico utilizzo è la paura: non
avendo in se stessi sufficiente energia per fronteggiare le avversità, sfruttavano la fede negli oggetti
e nel loro potere preventivo e propiziatorio. Molto spesso il principio seguito è quello della magia
simpatica, tradizionalmente divisa in due rami: magia omeopatica e magia contagiosa. Nel primo
caso si fa riferimento all'idea che il simile genera il simile, mentre nel secondo si sostiene che le
cose venute in contatto reciproco continueranno a interagire anche quando il contatto fisico sarà
interrotto7. Da questa concezione deriva, per esempio, la credenza che le piante di forma fallica
abbiano un valore terapeutico, proprio in associazione all'idea implicita di fertilità e forza fisica.
Altre volte la carica simbolica di un oggetto è conferita dal materiale di cui è fatto, così per segnare
la rosipola una delle mie informatrici utilizza un'antica moneta d'argento, che viene posizionata per
qualche tempo sull'area malata, dopo aver tracciato delle croci. L'importanza dell'argento, secondo
alcuni, troverebbe riscontro nelle proprietà che lo stesso conserva, soprattutto in forma colloidale,
come antisettico. Veniva infatti sfruttato per sconfiggere malattie infettive8.
Al potere simbolico degli oggetti, altre volte, i guaritori associano quello dei meccanismi
farmacologici derivanti da unguenti ed erbe. Per curare le storte una delle mie informatrici utilizza il
4
Fontana, 2010, 51-59.
Scala, 1983, 25.
6
Seppilli, 1989, 51.
7
Frazer, 2006, 33.
8
Pazzini, 1948, 171.
5
grasso di maiale. Essendo una sostanza di comune diffusione in Emilia, non stupisce che sia stato
scelto come materiale fluido per compiere con maggior scioltezza il massaggio che per la guaritrice
è alla base della segnatura. Sempre il grasso di maiale è stato utilizzato da un'altra medgòna per
curare il fuoco. L'informazione mi è giunta tramite la fonte indiretta di un paziente che mi ha
raccontato come a questo unisse delle foglie del rovo, per creare un unguento. Le foglie andavano
raccolte in un momento preciso della giornata, probabilmente l'alba o il tramonto, poi, unite al
grasso, venivano spalmate sull'area interessata dal fuoco e bruciate una volta terminato il rito,
lasciando agire solo il grasso. A questo proposito ricordiamo che già dal XVIII secolo il grasso di
maiale era utilizzato come rimedio per diverse malattie della pelle.
(Immagine della moneta con la quale una guaritrice della Val Parma segna la rosipola)
Un'attenzione
particolare
meritano infine
le
parole-preghiere, che
esprimono
l'aspetto
maggiormente delicato del rituale. Tutte le altre componenti, che comprendono gestualità,
simbologia e utilizzo degli oggetti, sono visibili agli occhi del paziente. Le parole no, sono
riservate, inaccessibili, segrete. Anche in questo caso emerge una differenza significativa da
guaritore a guaritore. Quelle che noi chiamiamo parole possono essere in realtà preghiere cattoliche,
formule profane o una mescolanza di entrambe, mediante l'invocazione di Cristo e i santi o
l'evocazione di altri elementi cristiani.
Con due ti lego
con tre ti tiro
il sangue ti bevo
il cuor ti spartisco
Cristo proteggimi
(Formula contro il malocchio, informatore)
L'iniziazione, ovvero come si diventa guaritore
Le fonti storiche attestano che in passato i guaritori, per essere tali, dovevano possedere
caratteristiche peculiari: essere settimini9, ovvero il settimo figlio dello stesso sesso, sia maschio che
femmina (il termine non si riferiva come adesso a bambini nati di sette mesi), avere partorito dei
gemelli (in alcuni contesti si parla di gemelli omozigote, in altri sia omozigote che eterozigote) o
essere “nati con la camicia”10.
Le antiche modalità di trasmissione sono andate scomparendo, probabilmente perché è diventato
difficoltoso ripeterle in una società completamente cambiata. I fattori per diventare guaritore oggi
sono differenti, non più legati a caratteristiche tipologiche involontarie e incontrollabili come in
passato. Ai guaritori moderni è propria la scelta di diventare tali, scelta che dipende o dal soggetto
stesso o da qualche familiare. Per questa ragione, o forse perché esistevano già anticamente, ma
sono emerse solo in seguito, attualmente vi sono nuove modalità di trasmissione della pratica:
trasmissione alla nascita e/o battesimo e trasmissione per insegnamento durante la notte di Natale.
Entrambe sono state riscontrate sul territorio del parmense, non escludo, anzi è probabile, che ne
esistano altre in contesti differenti.
La prima modalità di trasmissione menzionata prevede che al bambino venga messo in mano un
“oggetto” al momento della nascita e/o del battesimo, il quale rappresenta quello che il futuro
guaritore sarà in grado di segnare. Esempi concreti del nostro territorio sono la rosa per la rosipola e
l'avena o il grasso di maiale per la storta. Nei primi due casi il legame sembra principalmente
fonetico: la distorsione può essere chiamata anche “vena torta” e da qui il legame con avena, mentre
tra rosa e rosipola l'associazione risulta immediatamente evidente. Nell'ultimo caso, invece,
l'oggetto iniziale non incarnerà solo la metafora della malattia, ma sarà lo stesso che si utilizzerà per
guarirla. Riguardo all'aspetto tecnico del rituale, questo verrà appreso in seguito da un parente o
amico con la stessa “virtù”. La seconda modalità di trasmissione mette al centro la notte del 24
dicembre a mezzanotte, data dalla forte carica simbolica. È usanza comune che il nuovo adepto si
9
Il valore dei settimini è attestato in diverse fonti non solo sul suolo italiano: in certe regioni del Portogallo si crede che
i settimi figli si trasformino tutti i sabati in asini, e, sotto queste sembianze, possano essere perseguitati dai cani fino
all'alba. In Catalogna la specialità dei settimini era curare la rabbia mentre nella Francia ed Inghilterra medievali, oltre
ai re taumaturghi, vi erano anche molti guaritori tradizionali di scrofole nati dopo sei fratelli (Bloch, 1989, 227-239).
10
Con questa espressione si fa riferimento a coloro che al momento della nascita fuoriescono ricoperti dalle membrane
amniotiche. È una tradizione che si riallaccia a un retaggio culturale molto più ampio di quello che stiamo indagando.
Nel mondo slavo si credeva che i bambini nati con la camicia fossero destinati a diventare lupi mannari, mentre in
Istria, Slovenia e Croazia sarebbero divenuti figure enigmatiche finalizzate a combattere stregoni e vampiri per
scacciare malefizi e proteggere il raccolto. In Romania venivano associati agli strigoi, in Friuli ai benandanti, infine
presso la popolazione siberiana Yurak-Samojedi, il futuro sciamano era determinato proprio da questa particolare
caratteristica (Ginzburg, 2008, 130-151).
rechi dal guaritore più “anziano” per apprendere i segreti del rituale. La sua trasmissione è quindi
mediante insegnamento, è necessaria la presenza di uno specialista del culto a conoscenza delle
modalità d'intervento (gesti, parole, strumenti). Il nuovo guaritore è di conseguenza vincolato alla
presenza e alla volontà di trasmissione di chi prima di lui incarnava questo ruolo, poiché deve, in
questo contesto, imparare una tecnica.
La carne cotta
la ritorni cruda
(Formula di guarigione del
fuoco di S.Antonio
e delle scottature,
guaritrice Val Parma)
La segnatura come espressione di un “sincretismo”
11
Durante quest'analisi del fenomeno fin troppo evidenti sono gli elementi cristiani che saltano
all'occhio: segno e simbolo della croce, preghiere, invocazione di santi, iniziazione durante la notte
di Natale. Quello che viene da chiedersi è quanto sia profonda questa connessione tra religione e
guarigione, quale sia il legame tra la pratica della segnatura e il cristianesimo, quanto influisca la
fede in Cristo sul buon esito del rituale.
Il fenomeno della segnatura è in realtà più complesso di quello che sembra. La sua complessità
deriva da una commistione di elementi cristiani e pre-cristiani che, mischiandosi insieme, hanno
prodotto, modificato e amalgamato, una tradizione di fortissima carica simbolica. Per chiarire un po'
meglio questa situazione, prendiamo ad esempio la notte di Natale. Tale data è stata resa dal
cristianesimo il giorno più importante dell'anno, ma se facciamo un passo indietro scopriamo che
non ha un valore sacrale solo in questo contesto. Lo stesso giorno erano celebrati culti differenti in
culture che lo erano altrettanto: Horus, dio egizio figlio di Iside, Tamuz e Shamas dei babilonesi, di
cui il secondo dio del sole, Mitra, dio Persiano e successivamente Romano, solo per enumerarne
qualcuno. Quest'ultimo in Iran era venerato come il dio del patto, degli eserciti e della luce, molto
simile al dio del sole12. Venne introdotto per la prima volta nel pantheon romano da Eliogabalo che
puntava a farne una divinità più importante dello stesso Giove. Veniva celebrato come Sole Invitto,
durante il giorno del Natalis Invicti, giorno della rinascita del sole invincibile: il 25 dicembre 13.
Sembra che tale data sia diffusamente connessa al culto del sole in diverse culture, con evidente
11
Il termine sincretismo va usato con cautela poiché tutti i processi in realtà sono “corrotti”, non esiste una purezza
originaria, così lo stesso cristianesimo è stato contaminato da riti pre-cristiani. All'interno delle scienze antropologiche
questo concetto attualmente è considerato come un processo contro-acculturativo che implica: manipolazione di miti,
adozione di riti, associazione di simboli, talvolta con inversione semantica dei significati (Riviére, 2009, 723-724). Per
chiarire in modo più approfondito l'uso di questo termine vedi: Eliade, 1987, ad vocem «Syncretism». Per avere una
nozione più precisa dello stesso nel campo degli studi folklorici vedi: Cirese, 1973.
12
Arcella, 2002, 28.
13
Champeaux, 2002, 152.
allusione all'evento astronomico del solstizio d'inverno. Il 21-22 dicembre sono infatti i giorni in cui
vi è la notte più lunga dell'anno e il giorno più corto (appunto il solstizio d'inverno). Il fenomeno
celeste di "inversione apparente del moto solare" però risulta visibile solamente dopo tre, quattro
giorni, coincidendo proprio con il 25. Questo momento in cui il giorno inizia ad allungarsi e la notte
ad accorciarsi rappresenta la vittoria della luce sulle tenebre e metaforicamente del bene sul male.
Sembra questa un'ipotesi plausibile a spiegare la diffusione del culto in contesti tanto differenti. Tra
gli Eschimesi centrali e orientali, ad esempio, vi è una celebrazione, denominata festa dei fuochi,
che avviene proprio in occasione del solstizio d'inverno, nella quale vengono spenti e riaccesi
cerimonialmente numerosi fuochi nel villaggio, al fine di inaugurare il favorevole corso del sole nel
nuovo anno14. Analoghi rituali vengono compiuti presso diverse civiltà euroasiatiche: i Ciukci
compiono sacrifici di renne e altrettanto fanno i Koriaki, mentre presso gli Jakuti il conflitto estateinverno assume aspetti mimici drammatici nel Capodanno. In questo contesto geografico in cui vi è
un'alternanza netta fra la stagione estiva e quella invernale ed in particolare fra tempo della luce e
tempo delle tenebre, il culto del sole è particolarmente forte. Per altre società, in particolare di
cacciatori-raccoglitori, le cerimonie rituali durante il solstizio invernale sono da ricondursi con
maggior forza all'economia della comunità stessa, che durante la stagione invernale, per la
diminuzione del raccolto e della caccia, è in perdita. Si tratta di riti propiziatori con valenza
prevalentemente agraria. Il valore simbolico di questa data è quindi immediatamente riallacciabile
alla cultura cristiana della quale siamo figli, ma, in più, porta con sé una spiegazione astronomica
utile a giustificare il perché sia stato scelto il 25 dicembre per celebrare la nascita di Gesù, portatore
del bene e della luce. L'esempio del Natale è utile per capire come un evento che siamo
naturalmente abituati a situare in un preciso contesto, incorpori in realtà significati ben più ampi. Va
evidenziato, inoltre, che la simbologia cristiana che emerge dal rituale non sta ad indicare che
questo dipenda da essa, ma, quasi sicuramente, che tutti gli elementi che la richiamano sono stati
incorporati da una tradizione già preesistente, semplicemente per conformarla a quello che era il
credo dell'epoca, che nei secoli è poi rimasto preponderante: il cristianesimo.
Queste formule e questi caratteri acquisiti e consolidati nel tempo dalla pratica, ora semplicemente
ne fanno parte perché il nostro paese è figlio di una profonda e radicata tradizione cattolica, ma
questo non significa che anche il rituale stesso lo sia. Nella maggior parte dei casi, anche se non per
tutti, quello che emerge dalle interviste è che la simbologia religiosa esiste in una sorta di modalità
“passiva”. Non nel senso che non ripongono fiducia nel segno della croce o nell'invocazione dei
santi, essendo persone con una cultura cattolica forte alle spalle, sono abituati a credere in questa
simbologia, ma, non ritengono che sia questo l'aspetto che permette di ottenere la guarigione. Questi
gesti e queste parole ormai fanno parte delle nostre tradizioni da così tanti secoli che nemmeno ci si
14
Lanternari, 2004, 186.
interroga più sul loro ruolo. L'importanza affibbiata al cristianesimo non è quindi un aspetto
preponderante del rituale, ma assume maggiore o minore forza a seconda della fede personale di
ognuno.
Per quanto il termine sincretismo vada spesso utilizzato con le pinze, in questa sede ne ho sfruttato
la valenza per indicare con maggiore chiarezza l'articolata simbologia della segnatura. Mi è servito
inoltre a sottolinearne la complessità che è una complessità che varia da guaritore a guaritore, non
solo per i differenti aspetti che compongono il rituale, ma anche per la sua componente psicologica.
È proprio questa che mi ha permesso di penetrare davvero nell'anima di quest'antica tradizione, ed
ho avuto la possibilità di comprenderla solo grazie al contatto diretto con i guaritori tradizionali. I
colloqui con loro, oltre a chiarire con precisione le modalità della pratica, mi hanno aiutato a capire
come essi stessi interpretino la dottrina della segnatura e come considerino il loro ruolo di guaritori.
Sono riusciti, inoltre, a svelarmi un mondo che erroneamente ritenevo quasi scomparso, e che,
invece, è ancora presente e spesso cerca di emergere.
Bibliografia
AA. VV., L'erba delle donne. Maghe, streghe, guaritrici, la riscoperta di un'altra medicina,
Roberto Napoleone, Roma, 1979.
AA. VV., Tanto...male non fa, Toriazzi, Parma, 2006.
Arcella S., I misteri del sole. Il culto di Mithra nell'Italia antica, Controcorrente, Napoli, 2002.
Bergamaschi M., L'erba delle nostre donne. Maghe, streghe, guaritrici, la riscoperta di un'altra
medicina, Napoleone, Roma, 1979.
Bloch M., I re taumaturghi, Einaudi, Torino, 1989.
Borghi G.P. e Roda R., «La medicina popolare/Emilia Romagna», in Le tradizioni popolari in
Italia. Medicine e magie, Electa, Bergamo, 1989.
Camporesi P. (a cura di), Cultura popolare nell'Emilia Romagna. Medicine, erbe e magia, Silvana
Editoriale, Milano, 1981.
Capacchi G., « Palanzano e le sue valli. Per una storia delle Valli dei Cavalieri e delle Corti di
Monchio», in Le valli dei cavalieri, XIX, Palatina Editrice, Parma, 2002.
Castelli Zanzucchi M., Farmacopea popolare nell'Appennino emiliano, Edizione Zara, Parma,
1992.
Champeaux J., La religione dei romani, Il Mulino, Bologna, 2002.
Cirese A. M., Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo Editore, Palermo, 1973.
Di Nola A.M., «Le terapie magico-religiose», in Le tradizioni popolari in Italia. Medicine e magie,
Electa, Bergamo, 1989.
Di Pietro P., «Le antiche patologie» in Cultura popolare nell'Emilia Romagna. Medicina erbe e
magia, Silvana Editoriale, Milano, 1981.
Eliade M., (a cura di), «Syncretism», in The Encyclopedia of religion, XIV, Macmillan publishing
company, New York, 1987.
Fontana F., «Magia e stregoneria in alta Val D'Enza nell'analisi dei dati archeologici», in Le valli dei
cavalieri, XXVII, Palatina Editrice, Parma, 2010.
Frazer J.G, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e sulla religione, Newton & Compton, Roma, 2006,
[1890].
Ginzburg C., I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino,
2002 [1996].
Ginzburg C., Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 2008 [1985].
Lanternari V., Ciminelli M.L., Medicina, magia religione, valori, II, Liguori, Napoli, 1998.
Lanternari V., La grande festa, Edizioni Dedalo, Bari, 2004.
Lanternari. V., Medicina, magia, religione, I, Liguori, Napoli, 1996.
Pitrè G., La medicina popolare siciliana, G.Barbèra Editore, Firenze, 1949 [1896].
Riviére C., «Sincretismo», in Dizionario di antropologia e etnologia, Piccola Biblioteca Einaudi,
Torino, 2009.
Scala F., «Roba 'd 'na vota. Folclore di Caneto», in Le valli dei cavalieri, VI, Palatina Editrice,
Parma, 1983.
Seppilli T. (a cura di), La medicina popolare in Italia, VIII, Grafo Edizioni, Brescia, 1983.
Seppilli T. (a cura di), Le tradizioni popolari in Italia. Medicine e magie, Electa, Bergamo, 1989.
Seppilli T., «Gli amuleti: la collezione “Giuseppe Bellucci” di Perugia» in Le tradizioni popolari in
Italia. Medicine e magie, Electa, Bergamo, 1989.
Zanetti Z., La medicina delle nostre donne, Ediclio Editrice, Foligno, 1978.