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MEDICINA TRADIZIONALE E GUARITORI NELL'APPENNINO PARMENSE1 Acua srén'na drìssa sta vén'na acua mòrta drìssa sta stòrta acua curìa ciapa sta storta e pòrtla via (Capacchi, 2002, 75) Premessa In quest'ultimo anno e mezzo mi sono occupata in modo piuttosto approfondito dei guaritori tradizionali e dei loro pazienti nel territorio dell'Appennino parmense e di Parma stessa. Con guaritori tradizionali faccio riferimento a specialisti della cura che si occupano di rituali diagnostico-terapeutici incentrati, in particolare, sul rituale della segnatura. Questa pratica di guarigione interviene su numerose malattie attraverso l'imposizione delle mani. L'azione è spesso potenziata dallo sfruttamento dell'efficacia simbolica di uno o più dei seguenti elementi: gesti, segni, oggetti e parole. Prima di entrare nel vivo dell'indagine etnografica del rituale vero e proprio, mi sembra interessante, e quasi dovuto, spendere qualche parola sul territorio che ospita tutt'ora quest'antica tradizione, spesso erroneamente ritenuta scomparsa. Come solitamente avviene per le indagine etnografiche, la zona prescelta si è scoperta in realtà malleabile e fluida, adattandosi a ciò che il fenomeno preso in esame rivela. È quindi proprio l'oggetto d'indagine a delineare il campo d'azione dello studioso stesso, e non viceversa. Per quanto riguarda la mia ricerca l'area d'interesse inizialmente si riduceva a Parma e la vicina provincia collinare. In seguito si è allargata alla bassa parmense e a diverse aree dell'Appennino, che in questa sede maggiormente ci interessa. In particolare nelle zone montuose dove tutt'ora è presente un'economia di tipo rurale, i mezzi e le vie di comunicazione con la città industrializzata sono scarsi e la vita scorre spesso al passo con i cicli della natura, queste tradizioni sono rimaste più radicate o, forse, è solo più semplice scovarle. Per l'Appennino ancora ricco di leggende e storie che alternano la furfanteria dei folletti all'inquietudine degli spiriti dei boschi, la medgòna (o il medgòn) è una figura che perfettamente si integra nel suo scenario. Così in Val Taro, Val Parma e Val d'Enza si ritrovano ancora uomini e donne che curano i malanni quotidiani con le erbe e le preghiere, con i gesti e le parole, con gli oggetti e le litanie. Quella che spesso oggi riconosciamo come mera sopravvivenza di un mondo che stiamo perdendo fa parte in realtà di rituali antichissimi perpetrati nei secoli e giunti fino a noi, che nell'epoca della supremazia della scienza cerchiamo di rinnegare. Per fortuna alcuni di noi non si lasciano irretire da questa “fiumana del progresso” e, per contro, anche se non necessariamente credono nell'efficacia del rituale, scelgono comunque di tramandarlo, 1 L'articolo è pubblicato sulla Rivista "Le Valli dei Cavalieri" XXIX, Parma: Palatina Editrice, 2012. in onore di una tradizione antica di secoli. Alcune di queste persone le troviamo nei nostri Appennini, nelle nostre campagne e così anche nel territorio delle Valli, ed è proprio a loro che dedico quest'articolo. Vado alla fontanella metto il piede sulla predella la predella la dà la vòta il piede dà la storta. Preghiamo Dio e Santa Léna che guarisca da questa véna (Formula di guarigione di una storta Scala, 1983, 25). Il rituale di guarigione Molti di voi avranno sentito parlare di segnature, di donne che curano, di preghiere e parole che salvano. Fino a non molto tempo fa erano gli stessi medici di paese che, in presenza di malattie piuttosto difficili da eliminare, suggerivano al paziente, in confidenza, di farsi segnare. Le patologie maggiormente curate sono: il fuoco di S.Antonio, la storta, i vermi, l'erisipela (rosipola), le malattie degli occhi e il mal di stomaco. Le modalità di cura sono differenti, variano da malattia a malattia e, spesso, da guaritore a guaritore. Si scovano però diversi tratti comuni che tendono a ripetersi per ogni guarigione: apertura del rituale mediante il segno della croce, messa in atto della terapia grazie all'imposizione delle mani, eventuale gestualità predefinita e utilizzo di oggetti. A queste caratteristiche si aggiunge la parola. Il rituale infatti è di norma accompagnato dalla ripetizione, a bassa voce o nella mente, di una “formula”. Si conclude infine nello stesso modo in cui si è aperto, con il segno della croce. Già attraverso questa scaletta si scorge una prima simbologia rilevante e comune a differenti rituali, proprio quella della croce. È probabile che la pratica si chiami segnatura proprio in relazione al gesto del segno della croce e della croce stessa che, per mezzo delle dita o di alcuni oggetti è, senza dubbio, la gestualità più diffusa durante il rituale. Qualche esempio può aiutare a comprendere maggiormente questa realtà fortemente simbolica. Il primo vede al centro una guaritrice della Val Parma che per la cura del fuoco di S.Antonio utilizza il carbone, poiché il carbone deriva dal fuoco, e con questo supporto traccia delle croci sull'area infetta. Nel secondo esempio, invece, la guaritrice cura le storte. Dopo un attento rituale per accertarsi dell'effettiva malattia, prende sei bastoncini di frumento e li lega insieme, a due a due con del filo di cotone, formando tre croci, per poi cucirle su una tela di canapa. Il tutto andrà ad avvolgere la caviglia del paziente. Infine riporto il caso di un guaritore 2 della Val d'Enza che sfrutta l'efficacia simbolica delle croci circondando il male e circoscrivendolo attraverso le dita. 2 Erroneamente è diffusa l'opinione che le guaritrici possano essere solo donne, in realtà non è così. Le modalità per divenire guaritore non prescindono quasi mai dal sesso. Quella delle croci non è però l'unica gestualità sfruttata dai nostri medgòn. Dobbiamo tenere presente che una stessa malattia, quale per esempio il fuoco di S.Antonio, può essere curata attraverso una modalità da un guaritore e un'altra completamente diversa da un altro. (Immagine delle tre croci di frumento usate per la segnatura della storta e della tela di canapa sulla quale vengono normalmente cucite) Non esiste un rituale giusto e uno sbagliato. È importante, inoltre, sottolineare che ogni guaritore non è confinato all'interno della cura di una specifica patologia. A seconda delle modalità di iniziazione alla pratica e degli insegnamenti trasmessi, può farsi carico di più malattie. Così per proseguire sul filone delle differenti gestualità un caso interessante, in rapporto al territorio che quest'annuario si prefigge d'indagare, è dato dal sigillo di Salomone. Il simbolo viene rintracciato all'interno della Clavicula Salomonis, un grimorio medievale, comprendente pentacoli e formule magiche per evocare spiriti di ogni sorta. Interessante è il fatto che, a seconda delle tradizioni popolari, differenti pentacoli vengano denominati “segno di Salomone”. Nel folklore appenninico parmense il pentacolo comunemente identificato come tale è rappresentato da una stella a cinque punte, con la punta singola rivolta verso l'alto mentre, per esempio, nella tradizione umbra è costituito da due triangoli intersecati tra loro (sempre una stella) o da tre circoli concentrici tagliati da una croce3. Questo antico pentacolo, risalente ad una profonda cultura esoterica, non perse la sua valenza nei secoli medievali, dove venne tramandato acquisendo svariati scopi. Uno di questi è la cura della rosipola, che secondo le fonti di medicina popolare veniva (e forse viene tutt'ora, ma nessun informatore l'ha riportato) curata attraverso questa gestualità. Un altro aspetto interessante di 3 Zanetti, 1978, 189. questo simbolo proprio in relazione alla nostra area di ricerca si riallaccia a quello che riporta Fontana nel precedente annuario delle Valli dei Cavalieri. L'articolo si focalizza su un portale di una casa di Castagneto, in Val d'Enza. Sull'architrave in pietra posto sopra la porta sono raffigurati tre simboli, individuati come pentacoli al comando degli spiriti dipendenti da Mercurio e Marte4. In basso a sinistra vediamo una stella a cinque punte, che in contesto parmense, come scrisse in una precedente rassegna la prof. Scala, raffigura proprio il nodo di Salomone, utile a scacciare il malocchio5 e, noi aggiungiamo, anche la rosipola. Alla simbologia della croce, che apparentemente ci direziona verso un rituale cristiano, vengono quindi associati e alternati simboli esoterici, magici e profani. Vedremo in seguito come si è sviluppato questo “sincretismo”. Dopo essermi soffermata sulla gestualità del rituale, vorrei spendere due parole su quelli che sono gli altri elementi che lo compongono: gli amuleti, che già in parte abbiamo avuto modo di vedere, e le “formule”. Mi premeva, in primis, chiarire che con il termine amuleto si fa riferimento a un oggetto di limitate dimensioni, cui venga attribuita una potenza magica di tipo protettivo o propiziatorio6. L'uomo del paleolitico utilizzava già diversi amuleti: ossa di animali, frammenti di corna di cervo, conchiglie, rami o oggetti raffiguranti genitali, simbolo di riproduttività e forza vitale. La principale spiegazione che viene rintracciata per il loro antico utilizzo è la paura: non avendo in se stessi sufficiente energia per fronteggiare le avversità, sfruttavano la fede negli oggetti e nel loro potere preventivo e propiziatorio. Molto spesso il principio seguito è quello della magia simpatica, tradizionalmente divisa in due rami: magia omeopatica e magia contagiosa. Nel primo caso si fa riferimento all'idea che il simile genera il simile, mentre nel secondo si sostiene che le cose venute in contatto reciproco continueranno a interagire anche quando il contatto fisico sarà interrotto7. Da questa concezione deriva, per esempio, la credenza che le piante di forma fallica abbiano un valore terapeutico, proprio in associazione all'idea implicita di fertilità e forza fisica. Altre volte la carica simbolica di un oggetto è conferita dal materiale di cui è fatto, così per segnare la rosipola una delle mie informatrici utilizza un'antica moneta d'argento, che viene posizionata per qualche tempo sull'area malata, dopo aver tracciato delle croci. L'importanza dell'argento, secondo alcuni, troverebbe riscontro nelle proprietà che lo stesso conserva, soprattutto in forma colloidale, come antisettico. Veniva infatti sfruttato per sconfiggere malattie infettive8. Al potere simbolico degli oggetti, altre volte, i guaritori associano quello dei meccanismi farmacologici derivanti da unguenti ed erbe. Per curare le storte una delle mie informatrici utilizza il 4 Fontana, 2010, 51-59. Scala, 1983, 25. 6 Seppilli, 1989, 51. 7 Frazer, 2006, 33. 8 Pazzini, 1948, 171. 5 grasso di maiale. Essendo una sostanza di comune diffusione in Emilia, non stupisce che sia stato scelto come materiale fluido per compiere con maggior scioltezza il massaggio che per la guaritrice è alla base della segnatura. Sempre il grasso di maiale è stato utilizzato da un'altra medgòna per curare il fuoco. L'informazione mi è giunta tramite la fonte indiretta di un paziente che mi ha raccontato come a questo unisse delle foglie del rovo, per creare un unguento. Le foglie andavano raccolte in un momento preciso della giornata, probabilmente l'alba o il tramonto, poi, unite al grasso, venivano spalmate sull'area interessata dal fuoco e bruciate una volta terminato il rito, lasciando agire solo il grasso. A questo proposito ricordiamo che già dal XVIII secolo il grasso di maiale era utilizzato come rimedio per diverse malattie della pelle. (Immagine della moneta con la quale una guaritrice della Val Parma segna la rosipola) Un'attenzione particolare meritano infine le parole-preghiere, che esprimono l'aspetto maggiormente delicato del rituale. Tutte le altre componenti, che comprendono gestualità, simbologia e utilizzo degli oggetti, sono visibili agli occhi del paziente. Le parole no, sono riservate, inaccessibili, segrete. Anche in questo caso emerge una differenza significativa da guaritore a guaritore. Quelle che noi chiamiamo parole possono essere in realtà preghiere cattoliche, formule profane o una mescolanza di entrambe, mediante l'invocazione di Cristo e i santi o l'evocazione di altri elementi cristiani. Con due ti lego con tre ti tiro il sangue ti bevo il cuor ti spartisco Cristo proteggimi (Formula contro il malocchio, informatore) L'iniziazione, ovvero come si diventa guaritore Le fonti storiche attestano che in passato i guaritori, per essere tali, dovevano possedere caratteristiche peculiari: essere settimini9, ovvero il settimo figlio dello stesso sesso, sia maschio che femmina (il termine non si riferiva come adesso a bambini nati di sette mesi), avere partorito dei gemelli (in alcuni contesti si parla di gemelli omozigote, in altri sia omozigote che eterozigote) o essere “nati con la camicia”10. Le antiche modalità di trasmissione sono andate scomparendo, probabilmente perché è diventato difficoltoso ripeterle in una società completamente cambiata. I fattori per diventare guaritore oggi sono differenti, non più legati a caratteristiche tipologiche involontarie e incontrollabili come in passato. Ai guaritori moderni è propria la scelta di diventare tali, scelta che dipende o dal soggetto stesso o da qualche familiare. Per questa ragione, o forse perché esistevano già anticamente, ma sono emerse solo in seguito, attualmente vi sono nuove modalità di trasmissione della pratica: trasmissione alla nascita e/o battesimo e trasmissione per insegnamento durante la notte di Natale. Entrambe sono state riscontrate sul territorio del parmense, non escludo, anzi è probabile, che ne esistano altre in contesti differenti. La prima modalità di trasmissione menzionata prevede che al bambino venga messo in mano un “oggetto” al momento della nascita e/o del battesimo, il quale rappresenta quello che il futuro guaritore sarà in grado di segnare. Esempi concreti del nostro territorio sono la rosa per la rosipola e l'avena o il grasso di maiale per la storta. Nei primi due casi il legame sembra principalmente fonetico: la distorsione può essere chiamata anche “vena torta” e da qui il legame con avena, mentre tra rosa e rosipola l'associazione risulta immediatamente evidente. Nell'ultimo caso, invece, l'oggetto iniziale non incarnerà solo la metafora della malattia, ma sarà lo stesso che si utilizzerà per guarirla. Riguardo all'aspetto tecnico del rituale, questo verrà appreso in seguito da un parente o amico con la stessa “virtù”. La seconda modalità di trasmissione mette al centro la notte del 24 dicembre a mezzanotte, data dalla forte carica simbolica. È usanza comune che il nuovo adepto si 9 Il valore dei settimini è attestato in diverse fonti non solo sul suolo italiano: in certe regioni del Portogallo si crede che i settimi figli si trasformino tutti i sabati in asini, e, sotto queste sembianze, possano essere perseguitati dai cani fino all'alba. In Catalogna la specialità dei settimini era curare la rabbia mentre nella Francia ed Inghilterra medievali, oltre ai re taumaturghi, vi erano anche molti guaritori tradizionali di scrofole nati dopo sei fratelli (Bloch, 1989, 227-239). 10 Con questa espressione si fa riferimento a coloro che al momento della nascita fuoriescono ricoperti dalle membrane amniotiche. È una tradizione che si riallaccia a un retaggio culturale molto più ampio di quello che stiamo indagando. Nel mondo slavo si credeva che i bambini nati con la camicia fossero destinati a diventare lupi mannari, mentre in Istria, Slovenia e Croazia sarebbero divenuti figure enigmatiche finalizzate a combattere stregoni e vampiri per scacciare malefizi e proteggere il raccolto. In Romania venivano associati agli strigoi, in Friuli ai benandanti, infine presso la popolazione siberiana Yurak-Samojedi, il futuro sciamano era determinato proprio da questa particolare caratteristica (Ginzburg, 2008, 130-151). rechi dal guaritore più “anziano” per apprendere i segreti del rituale. La sua trasmissione è quindi mediante insegnamento, è necessaria la presenza di uno specialista del culto a conoscenza delle modalità d'intervento (gesti, parole, strumenti). Il nuovo guaritore è di conseguenza vincolato alla presenza e alla volontà di trasmissione di chi prima di lui incarnava questo ruolo, poiché deve, in questo contesto, imparare una tecnica. La carne cotta la ritorni cruda (Formula di guarigione del fuoco di S.Antonio e delle scottature, guaritrice Val Parma) La segnatura come espressione di un “sincretismo” 11 Durante quest'analisi del fenomeno fin troppo evidenti sono gli elementi cristiani che saltano all'occhio: segno e simbolo della croce, preghiere, invocazione di santi, iniziazione durante la notte di Natale. Quello che viene da chiedersi è quanto sia profonda questa connessione tra religione e guarigione, quale sia il legame tra la pratica della segnatura e il cristianesimo, quanto influisca la fede in Cristo sul buon esito del rituale. Il fenomeno della segnatura è in realtà più complesso di quello che sembra. La sua complessità deriva da una commistione di elementi cristiani e pre-cristiani che, mischiandosi insieme, hanno prodotto, modificato e amalgamato, una tradizione di fortissima carica simbolica. Per chiarire un po' meglio questa situazione, prendiamo ad esempio la notte di Natale. Tale data è stata resa dal cristianesimo il giorno più importante dell'anno, ma se facciamo un passo indietro scopriamo che non ha un valore sacrale solo in questo contesto. Lo stesso giorno erano celebrati culti differenti in culture che lo erano altrettanto: Horus, dio egizio figlio di Iside, Tamuz e Shamas dei babilonesi, di cui il secondo dio del sole, Mitra, dio Persiano e successivamente Romano, solo per enumerarne qualcuno. Quest'ultimo in Iran era venerato come il dio del patto, degli eserciti e della luce, molto simile al dio del sole12. Venne introdotto per la prima volta nel pantheon romano da Eliogabalo che puntava a farne una divinità più importante dello stesso Giove. Veniva celebrato come Sole Invitto, durante il giorno del Natalis Invicti, giorno della rinascita del sole invincibile: il 25 dicembre 13. Sembra che tale data sia diffusamente connessa al culto del sole in diverse culture, con evidente 11 Il termine sincretismo va usato con cautela poiché tutti i processi in realtà sono “corrotti”, non esiste una purezza originaria, così lo stesso cristianesimo è stato contaminato da riti pre-cristiani. All'interno delle scienze antropologiche questo concetto attualmente è considerato come un processo contro-acculturativo che implica: manipolazione di miti, adozione di riti, associazione di simboli, talvolta con inversione semantica dei significati (Riviére, 2009, 723-724). Per chiarire in modo più approfondito l'uso di questo termine vedi: Eliade, 1987, ad vocem «Syncretism». Per avere una nozione più precisa dello stesso nel campo degli studi folklorici vedi: Cirese, 1973. 12 Arcella, 2002, 28. 13 Champeaux, 2002, 152. allusione all'evento astronomico del solstizio d'inverno. Il 21-22 dicembre sono infatti i giorni in cui vi è la notte più lunga dell'anno e il giorno più corto (appunto il solstizio d'inverno). Il fenomeno celeste di "inversione apparente del moto solare" però risulta visibile solamente dopo tre, quattro giorni, coincidendo proprio con il 25. Questo momento in cui il giorno inizia ad allungarsi e la notte ad accorciarsi rappresenta la vittoria della luce sulle tenebre e metaforicamente del bene sul male. Sembra questa un'ipotesi plausibile a spiegare la diffusione del culto in contesti tanto differenti. Tra gli Eschimesi centrali e orientali, ad esempio, vi è una celebrazione, denominata festa dei fuochi, che avviene proprio in occasione del solstizio d'inverno, nella quale vengono spenti e riaccesi cerimonialmente numerosi fuochi nel villaggio, al fine di inaugurare il favorevole corso del sole nel nuovo anno14. Analoghi rituali vengono compiuti presso diverse civiltà euroasiatiche: i Ciukci compiono sacrifici di renne e altrettanto fanno i Koriaki, mentre presso gli Jakuti il conflitto estateinverno assume aspetti mimici drammatici nel Capodanno. In questo contesto geografico in cui vi è un'alternanza netta fra la stagione estiva e quella invernale ed in particolare fra tempo della luce e tempo delle tenebre, il culto del sole è particolarmente forte. Per altre società, in particolare di cacciatori-raccoglitori, le cerimonie rituali durante il solstizio invernale sono da ricondursi con maggior forza all'economia della comunità stessa, che durante la stagione invernale, per la diminuzione del raccolto e della caccia, è in perdita. Si tratta di riti propiziatori con valenza prevalentemente agraria. Il valore simbolico di questa data è quindi immediatamente riallacciabile alla cultura cristiana della quale siamo figli, ma, in più, porta con sé una spiegazione astronomica utile a giustificare il perché sia stato scelto il 25 dicembre per celebrare la nascita di Gesù, portatore del bene e della luce. L'esempio del Natale è utile per capire come un evento che siamo naturalmente abituati a situare in un preciso contesto, incorpori in realtà significati ben più ampi. Va evidenziato, inoltre, che la simbologia cristiana che emerge dal rituale non sta ad indicare che questo dipenda da essa, ma, quasi sicuramente, che tutti gli elementi che la richiamano sono stati incorporati da una tradizione già preesistente, semplicemente per conformarla a quello che era il credo dell'epoca, che nei secoli è poi rimasto preponderante: il cristianesimo. Queste formule e questi caratteri acquisiti e consolidati nel tempo dalla pratica, ora semplicemente ne fanno parte perché il nostro paese è figlio di una profonda e radicata tradizione cattolica, ma questo non significa che anche il rituale stesso lo sia. Nella maggior parte dei casi, anche se non per tutti, quello che emerge dalle interviste è che la simbologia religiosa esiste in una sorta di modalità “passiva”. Non nel senso che non ripongono fiducia nel segno della croce o nell'invocazione dei santi, essendo persone con una cultura cattolica forte alle spalle, sono abituati a credere in questa simbologia, ma, non ritengono che sia questo l'aspetto che permette di ottenere la guarigione. Questi gesti e queste parole ormai fanno parte delle nostre tradizioni da così tanti secoli che nemmeno ci si 14 Lanternari, 2004, 186. interroga più sul loro ruolo. L'importanza affibbiata al cristianesimo non è quindi un aspetto preponderante del rituale, ma assume maggiore o minore forza a seconda della fede personale di ognuno. Per quanto il termine sincretismo vada spesso utilizzato con le pinze, in questa sede ne ho sfruttato la valenza per indicare con maggiore chiarezza l'articolata simbologia della segnatura. Mi è servito inoltre a sottolinearne la complessità che è una complessità che varia da guaritore a guaritore, non solo per i differenti aspetti che compongono il rituale, ma anche per la sua componente psicologica. È proprio questa che mi ha permesso di penetrare davvero nell'anima di quest'antica tradizione, ed ho avuto la possibilità di comprenderla solo grazie al contatto diretto con i guaritori tradizionali. I colloqui con loro, oltre a chiarire con precisione le modalità della pratica, mi hanno aiutato a capire come essi stessi interpretino la dottrina della segnatura e come considerino il loro ruolo di guaritori. Sono riusciti, inoltre, a svelarmi un mondo che erroneamente ritenevo quasi scomparso, e che, invece, è ancora presente e spesso cerca di emergere. Bibliografia AA. VV., L'erba delle donne. Maghe, streghe, guaritrici, la riscoperta di un'altra medicina, Roberto Napoleone, Roma, 1979. AA. VV., Tanto...male non fa, Toriazzi, Parma, 2006. Arcella S., I misteri del sole. Il culto di Mithra nell'Italia antica, Controcorrente, Napoli, 2002. Bergamaschi M., L'erba delle nostre donne. Maghe, streghe, guaritrici, la riscoperta di un'altra medicina, Napoleone, Roma, 1979. Bloch M., I re taumaturghi, Einaudi, Torino, 1989. Borghi G.P. e Roda R., «La medicina popolare/Emilia Romagna», in Le tradizioni popolari in Italia. Medicine e magie, Electa, Bergamo, 1989. Camporesi P. (a cura di), Cultura popolare nell'Emilia Romagna. Medicine, erbe e magia, Silvana Editoriale, Milano, 1981. Capacchi G., « Palanzano e le sue valli. 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