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2024, "Allegoria", 89
2010
Rappresentato la prima volta postumo nel dicembre del 1954 a Bologna, e pubblicato su Sipario nel 1948, un mese dopo l'omonimo racconto apparso tuttavia in prima stesura sul Corriere d'informazione col titolo emblematico Morte ammazza noia, e successivamente nella raccolta Tutta la mia vita del 1953, col titolo sintetico La famiglia Mastinu ovvero Morte ammazza noia, La famiglia Mastinu è uno dei testi teatrali nei quali Savinio, subito dopo il secondo conflitto mondiale, scaglia la sua veemente polemica contro la società borghese, quella che, col suo lassismo e conformismo, ha permesso l'ascesa del fascismo e, soprattutto, la degradazione d'ogni valore etico 1 . Come il dramma Alcesti di Samuele, scritto durante lo stesso periodo, la pièce rientra perfettamente nella filosofia dell'arte saviniana che vede nell'artista, in accordo con il surrealismo 2 , colui che può far esplodere tutte le dighe entro le quali il borghese nuota tranquillamente, sicuro che nessuna onda potrebbe mai disturbare la sua quiete. L'artista saviniano è il creatore utopico nel senso adorniano, vale a dire colui che non si figura un mondo alternativo a quello nel quale vive, ma in esso riesce a scorgere e a provocare quelle fratture dalle quali filtrerà l'inquietudine vitale in grado di scuotere l'uomo intorpidito dalla sicurezza fino a farlo risvegliare.
fondazionemicheletti.it, 2018
Uno sciame di domande segue gli sciami delle locuste, che di tempo in tempo – fra la metà del Trecento e la metà dell’Ottocento – si son o abbattuti su tante regioni del Mediterraneo. A farsi infestare e a infestare con gli interrogativi sono i due storici Elina Gugliuzzo e Giuseppe Restifo, e non tanto per procedere sulla strada della sola rappresentazione culturale di questi animaletti, così piccoli, così nocivi. Avrebbero potuto farsi catturare dall’enfasi della loro prima apparizione alle luci della ribalta: le cavallette furono l’ottava piaga biblica, descritta nel libro dell’Esodo. Colpirono duramente l’Egitto del faraone, cui si contrapponeva Mosè alla guida del popolo ebraico: avvenimento indelebile nella memoria delle genti mediterranee, castigo meritato per le colpe e i peccati, cavallette vere e in metafora.
Il miscellaneo Matematico di Marco Galli, nasconde una piacevole sorpresa nei suoi contenuti: un inserto che potremmo definire traquillamente un piccolo trattato di gnomonica. Un libro, questo, rimasto sconosciuto al pubblico degli amatori di gnomoncia, finchè chi scrive l'ha trovato per caso in una delle innumerevoli ricerche tra i libri della vastissima biblioteca scientifica dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze. Una biblioteca digitale che non esito a definire una delle più grandi e ricche del mondo anche per rendere accessibile a tutti, gratuitamente, i suoi contenuti. Un patrimonio scientifico mondiale davvero a disposizione di tutti. Marco Galli è personaggio sconosciuto al mondo della gnomonica di oggi, ma ai suoi tempi, come tutti gli uomini di scienza, doveva avere la sua cultura personale in fatto di meridiane e di misurazione del tempo, fattore imprescindibile dalle necessità quotidiane. Dalle due righe biografiche trovate nella Storia della Letteratura Italiana nel XVIII secolo, risulta che Fra Marco Galli era un bolognese, frate Minore osservante di S. Francesco, morto a 65 anni nel 1710, e che la sua Miscellanea Maticatica era un'opera accreditata ai suoi tempi. In altri scorci bibliografici si legge che era un "orologiaio" e che aveva scritto sugli orologi solari. Detto ciò, passiamo ad esaminare la parte del Miscellaneo che più ci interessa, quella sugli orologi solari. L'approccio letterario di Galli è interessante perché inizia con un preambolo in cui giustifica l'inserimento di questo capitolo sugli orologi solari in quanto l'opera è una Miscellanea Matematica e gli sembrerebbe un torto non farlo per i lettori a cui pensa possa apparire utile tale scelta. Elenca sommariamente gli orologi solari che descriverà, aggiungendo (cosa inusuale) i principali modi in cui essi possono essere costruiti. Gli orologi "a sole" possono essere di più sorti: orizzontali, quadranti, cilindri, concavi, anelli, riflessi ed altri, e le "specie" sono l'Italiano, il Boreale, l'Astronomico, detto anche "Francese" o "Comune" e l'Antico (Temporario). Alcuni si chiamano ad ore "Eguali", altri ad ore "Ineguali", altri ad ore "Parallele", come di "Ore Polari", o "delle Stelle", e di varie altre sorti… Gli orologi poi "…si formano in vari modi, cioè col Compasso, con le Tavole e con l'ombra del Sole, come gli horizontali si possono fare con le tavole e anche col Compasso; i Cilindri si fanno con le Tavole e anche si possono fare con il Sole per mezzo dell'Horizontale, come per tal via si può fare ogni sorte d'horologio murale in picciolo, e poscia geometricamente si può ponere in grande…". Inizia con il modo e la regola di fare l'Orologio Italiano per mezzo di un "fondamento", costituito da un foglio di cartone o altro materiale su cui vengono riportati gli elementi principali per la costruzione dell'orologio, come si vede nella figura 61, relativi alla latitudine del luogo in cui si opera. Da subito Galli distingue l'orologio Italiano e Babilonico per le ore intere e di mezzora dopo il tramonto, per il suo adattamento all'orologio da ruota o "ad usum campanae". Siamo nel 1694, a circa mezzo secolo dopo la prima testimonianza scritta conosciuta (circa 1650) sull'uso delle ore Italiche "ad usum campanae". Simpatica la descrizione dell'orologio astronomico:
Con Macerie borghesi. Genealogie letterarie del presente, Antonio Tricomi offre ai suoi lettori un'antologia di scritti critici apparsi in vari contesti nel corso degli anni. L'obiettivo del volume, come dichiarato dall'autore, è quello di riflettere, attraverso la letteratura del secondo Novecento e dei giorni nostri, sulla crisi profonda della democrazia e sullo stato della società odierna, sottoposta alle logiche spietate del capitale. La raccolta, inoltre, inaugura una collana di critica letteraria il cui titolo, engageante, rinvia a uno scritto di Franco Fortini apparso sulla rivista «La Fiera letteraria» nel 1949 intitolato Vergogna della poesia. https://www.ospiteingrato.unisi.it/antonio-tricomimacerie-borghesimaria-teresa-gigliotti/ 9/9
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