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LA TRADUZIONE TEATRALE STEFANO BOSELLI La semiotica dei teatro All'inizio degli anni Trenta la scuola di Praga ha avuto il merito di dare il via a una disciplina, la semiotica del teatro, che ha consentito agli studi teatrali di presentarsi come campo dotato di uno statuto scientifico ed autonomo rispetto alla critica letteraria. Molto presto si evidenziano le due anime della nuova scienza: l'abitudine a privilegiare l'aspetto letterario del teatro porta alcuni ad occuparsi esclusivamente del testo drammatico (d'ora in poi TD), mentre altri considerano solo il testo spettacolare (TS) - cioè l'attuazione scenica del TD - come oggetto di studio pertinente. Un fatto certo è tuttavia l'esistenza di un complesso di reciproci vincoli tra i due livelli che molto spesso si sovrappongono e si confondono all'interno di una poderosa intertestualità: ogni scrittura drammaturgica presuppone infatti i codici spettacolari e le convenzioni teatrali che ne dovrebbero garantire la rappresentabiltà. Proponiamo, in questa prospettiva, di utilizzare il termine «testo teatrale» (e la relativa abbreviazione TT) come comprensivo di TD e TS, ad indicare una 'testualità complessiva' propria del fatto teatrale. Traduzione e semiotica del teatro Il rapporto problematico e dialettico tra TD e TS può secondo noi trovare una parziale conciliazione proprio attraverso la teoria della traduzione. Ipotizziamo allora che per il TD sia sufficiente una traduzione strettamente linguistica, cioè basata solo su un codice, e corredata di note che costituiscano l'aggancio con la realtà extralinguistica: solo al TS spetterebbe il diritto di porre in essere una vera e propria traduzione semiotica pluricodica. Si tratta di un'ipotesi che semplifica molto (poiché in altri tipi di testo i due momenti 625 coincidono nel testo tradotto finale) ma che appare giustificata limitatamente al caso specifico del TT. La sicura determinazione di una gerarchia TD-TS è qui possibile perché mentre il TD 'originale' è un testo in fieri, un punto di passaggio non sempre obbligato, nel caso del TD tradotto il testo, la cui esistenza è garantita, è il vero e proprio punto di partenza da cui eventualmente codici e convenzioni possono essere recuperati a ritroso. L'accuratezza della traduzione è pertanto imprescindibile per una adeguata ricezione e fruizione del TT 'in lingua'. La traduzione del testo teatrale. Filologia e profitto La traduzione di pièces teatrali moderne su larga scala inizia in Europa nella seconda metà del XVII secolo. Rispondendo alla sempre maggiore richiesta di spettacoli e bisognose di un repertorio consistente e variato, le compagnie commissionano o producono da sé versioni di drammi e commedie con una velocità tale da pregiudicarne molto spesso la qualità. 1 Ma un altro tipo di traduzione nata con l'Umanesimo è rivolta quasi esclusivamente alla lettura e tematizza l'aspetto poetico-estetico rispetto alla possibilità della rappresentazione: si tratta della traduzione dei classici. Per questo motivo si è parlato di una doppia tradizione, 2 di una spaccatura che giunge fino ai nostri giorni. Ancora nel 1961 Peter Arnott racconta con un certo sconforto delle «triennial performances at Cambridge ... piously attended by delegations of classicists who occasionally lift their eyes from the texts in their hands io observe the action going forward on the stage.» 3 Non è un caso che quando Shakespeare fu tradotto con attenzione filologica nelle principali lingue europee, i destinatari di questa operazione non furono gli attori ma i lettori interessati alla poesia. 4 ' Il Settecento e l'Ottocento <<Stamparono a getto continuo, in verso e in prosa, versioni dal francese (con minor frequenza da altre lingue europee) ... commedie, farse, drammi, tragedie ad arricchire le patrie scene d'una produzione variata, coi fine di assecondare le smanie per lo spettacolo>>, R. Carloni Valentini, «Tra Settecento e Novecento: sul tradurre da opere letterarie», in V'ita e Pensiero, LI, Fase. X, 1968, p. 779. 2 S. Bassnett-McGuire, «Translating for the Theatre- Textual Complexities», in Essays in poetics, 15, l, Aprii, 1990, p. 79. 3 P. Arnott, op. cit., p. 83. Spettacoli triennali a Cambridge, frequentati devotamente da delegazioni di classicisti che di tanto in tanto sollevano gli occhi dai testi che hanno in mano per osservare l'azione in corso sul palcoscenico. 4 Vedi p. es. O. Lewinter (ed.), Shakespeare in Europe, Harmondsworth, Penguin, 1963. 626 La situazione italiana Se la scarsità di studi sulla storia della traduzione teatrale non permette ancora di formarsi un quadro completo di ogni passaggio, Shakespeare costituisce una sorta di filo rosso che accomuna molte ricerche. Angela Locatelli 5 esamina l'approccio ancora molto confuso nell'800 di traduttori anche di fama ai testi del drammaturgo inglese, con omissioni, aggiunte, parafrasi e pesanti censure non giustificate nemmeno da scritti teorici. 6 Una serie di articoli apparsi su riviste italiane di teatro a cavallo fra l'inizio e la fine della seconda guerra mondiale mostra una rinnovata consapevolezza dei problemi legati al tradurre. Ermanno Contini7 che pure, influenzato dalla frenesia fascista, propone di italianizzare tutte le commedie, auspica che le traduzioni siano affidate a «scrittori di teatro»; Mario Corsi 8 e Alberto Casella9 offrono un gustoso elenco di strafalcioni dal francese, lingua «facile» e ponte verso scrittori «esotici» come Ibsen; Corrado Pavolini 10 afferma con orgoglio che ogni sua versione è frutto dell'esperienza diretta del palcoscenico. Si giunge così, dopo la guerra, ad affidare le traduzioni a scrittori come Quasimodo, Valgimigli o Sbarbaro, 11 con la conseguenza, se non altro, che sull'italiano non grava ora «la pesante ipoteca di una stilizzazione letteraria egemonica: non abbiamo ... né un leopardismo, né un manzonismo, né un carduccianesimo». 12 Successivamente, e siamo ai nostri giorni, l'esperienza del teatro e il vantaggio economico di fare tutto da sé ha favorito le traduzioni 'interne' dei «registi che conoscono tutti almeno cinque lingue, russo e scandinavo compresi>>. 13 Con poche i l i l l 5 A. Locatelli, «Traduzioni ottocentesche dell' Othello in Italia: la problematica del contesto>>, in E. Giass e altri, op. cit., pp. 293-303. 6 L'autrice nota ad esempio come un certo tipo di biografismo esasperato e di eccesso melodrammatico non siano stati neutrali rispetto all'ingresso di Shakespeare sulle scene italiane: The Taming ofthe Shrew diventa per Rusconi La Malajèmmina Domata, ibidem, p. 300. 7 E. Contini, <<Chi traduce le commedie?>>, ne Il dramma, n. 296, 15 dicembre 1938, p. 32. 'M. Corsi, <<Processo ai traduttori», ne Il dramma, n. 283, l giugno 193 8, pp. 20-21. 9 A. Casella, «Delle traduzioni e del Peer Gynt>>, in Scenario, anno X, n. l, gennaio 1941, pp. 29-31. 10 C. Pavolini, «Zibaldone teatrale>>, in Scenario, anno XII, n. l, gennaio 1943, pp. 28-29. " S. Basnett-McGuire, <<Translating ... »,op. cit., p. 76, ci informa delle degenerazioni di questa pratica in Inghilterra, dove The National Theatre a Londra sostiene di saper distinguere tra una traduzione letterale e una recitabile, ma il più delle volte ciò significa associare il nome di un famoso commediografo solitamente monolingue alla traduzione di un bilingue meno conosciuto. 12 • A. Serpieri, op. cit., p. 39. " M. Cavalli, <<L'inutile nostalgia del grande traduttore>>, Hystrio, n. 3, 1988, p. 95. 627 eccezioni 14 continua dunque la dual tradition, il cui risultato più pernicioso è che in Italia le traduzioni per la scena non vengono pubblicate: per alcuni autori ci si deve accontentare di versioni di trenta o quarant'anni fa (Shaw è uno di questi), per altri certamente non minori bisogna rassegnarsi a ... imparare la lingua originale. Statuto speciale del testo drammatico Prima di procedere all'analisi dei vari livelli di traduzione del TD, è necessario sottolinearne una qualità costitutiva che dovrà essere tenuta costantemente presente. Si tratta della disponibilità ad alienarsi, a diventare altro, insomma la fluidità che lo rende non un vero e proprio testo irrigidito nella forma, ma un pretesto, 15 una specie di struttura intermedia in attesa di essere precisata da condizioni contingenti. Ricordiamo per esempio che alcuni testi considerati «sacri», soprattutto quelli shakespeariani, furono scritti a pezzetti, addirittura da più mani contemporaneamente, improvvisati, cambiati secondo le esigenze dello spettacolo. 16 Famosa è la vicenda ben più recente di Maksudov, protagonista del Romanzo teatrale di Michail Bulgakov, 17 che vede il suo testo, limato nei minimi particolari, diventare - ci si perdoni il gioco di parole pretesto per la creazione del sotto-testo stanislavskjiano. Una volta chiarito questo, si rivela la debolezza di alcune concezioni che riguardano la letteratura in generale, se riferite al teatro. Per esempio quella 18 che considera il testo originale come ipo-testo in qualche modo eterno, mentre le sue traduzioni sarebbero iper-testi caduchi, pur se necessari, legati a un gusto particolare e circoscritto nel tempo. Altrettanto ingiustificato appare il rifiuto di giungere alle estreme conseguenze della pretestualità e 14 P. es. le collaborazioni A. Lombardo -G. Strehler e A. Serpieri - G. Lavia. Ricordiamo inoltre la collana Copioni di teatro, Roma, Viviani Editore, che dal 1992 propone, accanto all'eventuale traduzione, il materiale critico e di regia relativo a una particolare messa in scena. 15 Ne parla in questi termini G. Melchiori, «Tradurre Shakespeare>>, in A. Lombardo, Shakespeare e ]onson, Il Teatro Elisabettiano oggi, Roma, Officina, 1979, p. 261. Vedi anche F. Ruffini, Semiotica del testo: l'esempio teatro, Roma, Bulzoni, 1978, pp. 83 e segg. 16 Vedi p. es. S. Wells (ed.), The Cambridge Companion to Shakespeare Studies, Cambridge, Cambridge U niversity Press, 1986. 17 M. Bulgakov, Romanzo teatrale, Torino, Einaudi, 1975. 18 A. Serpieri, op. ci t., p. 40, fa riferimento a G. Genette, Palimpsestes, Paris, Editions du Seui!, 1982. L'autore ammette però che in alcuni casi, in presenza di una traduzione particolarmente pregevole, questa può assumere la funzione di ipotesto. 628 negare 19 la possibilità di una traduzione "endolinguistica", come tradurre Shakespeare in inglese moderno o Goldoni in italiano. Crediamo invece che il discorso debba essere posto in termini di coerenza della singola realizzazione, evitando tentativi parziali e vagliando ogni singolo caso. 20 Questi atteggiamenti presuppongono una visione tradizionale della traduzione basata su un rapporto padrone-servitore, sia che il traduttore "migliori" o "civilizzi" il testo di partenza, sia che gli si avvicini con umiltà cercando di rendergli omaggio. 21 I traduttori brasiliani hanno recentemente introdotto un nuovo punto di vista che chiameremo "cannibalistico" secondo cui il traduttore divora il testo di partenza per crearne uno nuovo. 22 Il risultato del processo traduttivo è allora un'opera d'arte, un altro 'originale'Y Orientamenti per una traduzione teatrale Si tratta ora di indicare alcune direttive (o guidelines) che permettano a una traduzione di essere testo a pieno diritto. Si possono distinguere almeno tre livelli di fruizione della parola drammatica: «quello della lettura silenziosa, quello della lettura drammatica in assenza di pubblico, quello dello spettacolo vero e proprio in presenza di pubblico». 24 Dal primo di questi livelli, cioè da quello del testo non ancora pronunciato, si presentano già alcuni importanti problemi. 19 G. Melchiori, op.cit., p. 274, parla di tentativi "sciagurati". Non si propone naturalmente di tradurre p. es. tutto Goldoni quando è perfettamente comprensibile ma si potrebbe apprezzare un'operazione come quella di "tradurre" Le Baruffe Chiozzotte- scritte in un dialetto cosi t stretto da pregiudicarne la comprensione se rappresentate in una città come Milano -e non semplicemente corredarle di un vocabolario minimo, allegato al programma di sala, da "imparare" nelle pause tra gli atti. Ci riferiamo all'edizione strehleriana di circa trent'anni fa ripresa nella stagione 1992/93. 21 S. Bassnett-McGuire, La traduzione ... , op.cit., p. 6. 22 Vedi p. es. S. Santiago, Umaliteraturenostropicos. Ensaiosso-bredependènica culturali, Sao Paulo, Perspectiva, 1978, cit. da S. Bessnett-McGuire, La traduzione ... , op.cit., p. 5, nota 2. 2 ·' Il concetto di 'intertestualità' permette tra l'altro di sostenere che, in definitiva, non esiste un vero e proprio originale ma ogni testo, e quindi ogni traduzione, è originale in quanto unico. In proposito vedi O. Paz, «Traduzione: letteratura e letteralità», in Sigma, 3334, gennaio-giugno 1972, p. 5. 24 G. Serpillo, «Tradurre Yeats per il teatro: The Dreaming ofthe BoneS>>, in E. Glass, op. cit., p. 262. S. Bassnett, <<An Introduction to Theatre Semiotics», in Theatre Quarterly, n.38, 1980, p. 51, distingue cinque tipi di lettura: l) la lettura puramente letteraria (p. es. una commedia letta come parte di un corso universitario o un volume di 'opere complete' letto dall'inizio alla fine); 2) la lettura registica, per decidere se mettere in scena il testo; 3) la lettura attorale, attenta alla possibilità di impersonare certi ruoli; 4) la lettura alle prove con l'inclusione eventuale della gestualità; 5) la lettura fatta per la prima volta dopo una performance, che conterrà i ricordi della messa in scena. 20 629 In un recente saggio sulla teoria della traduzione drammatica, Alessandro Serpieri2 5 elenca una serie di "comparti problematici" da affrontare: a) il comparto filologico. Comprende la scelta del testo da tradurre (nel caso per esempio che esistano due o più lezioni autorevoli) e decisioni riguardanti punteggiatura, emendamenti e normalizzazioni; b) il comparto lessicale. Esistono parole con doppia valenza che andrebbero il più possibile riprodotte anche in LA; o addirittura le cosiddette pluriisotopie testuali cioè il caso di una doppia o tripla valenza semantica non più di un lessema o di un sintagma semplice ma di una frase o di un periodo. Inoltre paradigmi che si manifestano a livello più esteso nel dramma, che ruotano attorno ad alcuni temi come per esempio, in Amleto, la morte o la follia; metafore di cui bisogna sapientemente graduare l'innovatività rispetto al linguaggio normale; "unità culturali" alla base di presupposizioni, allusioni, riferimenti e intersechi testuali; disegni fonologici e inorfologici come per esempio i malapropisms. 26 c) il comparto delle scelte continue. Comprende la sintassi, che non va 'normalizzata' indiscriminatamente mantenendo invece la complessità della costruzione della frase; la retorica, basata su una stratifìcazione linguistica che si può rendere solo operando al di fuori di sistemi stilisti ci troppo vincolanti; lo stile, in bilico tra un'eccessiva sbinta verso il passato che rischia di creare un testo erudito ma falso e quella verso il presente che corre il rischio opposto di omologare e normalizzare «quella comunicazione altra da noi che ci raggiunge dal passato»; infine il ritmo e il metro. L'autore delinea questi elementi nella convinzione che la traduzione teatrale debba restare scrittura drammaturgica e che quindi le ragioni delle scelte appartengano interamente al traduttore; la scrittura scenica rimarrebbe così nelle mani del regista e degli attori. In questo modo tuttavia restano in ombra tutti i nodi successivi e la possibilità del traduttore di A. Serpieri, op.cit., pp. 44-71. Che comportano il rinvenimento di una forma in praesentia e di una in absentia, cioè la parola giusta e quella sbagliata che le assomiglia. 25 26 630 diventare un 'ritoccatore a fini scenici' del testoY Non basta una 'apertura' alla messinscena, l'intervento dello specialista è necessario anche, almeno, al secondo livello. Traduzione per gli attori «Good translations of plays will never come from those who have not had at least some training in the practice of theaten>. È questo il lapidario giudizio di Robert Corrigan contenuto nel suo saggio «Translating for Actors»: 28 uno dei requisiti fondamentali di una traduzione che tenga conto delle esigenze degli attori, assieme all'attenzione ai respiri (breathint) e alla correttezza della lingua, è la pronunciabilità («everything must be speakable» 29 ); quasi contemporaneamente Jiri Levy parla di Sprechbarkeit. 30 La consapevolezza di questa necessità è un dato acquisito da almeno trent'anni. È opportuno però raccogliere l'obiezione di Sergio Rufini che sottolinea la professionalità dell'attore, il suo essere un "tecnico" della parola detta, «capace di proferire qualsiasi concatenazione significante esperibile nell'ambito del proprio sistema linguistico, fino al caso limite dello scioglilingua ... Il problema della pronunciabilità non va dunque ignorato ma occorre tentare di risolverlo in un ambito più generale e assai più irrinunciabile ... cioè la riproduzione di una musicalità che ricordi in qualche modo la poesia». 31 Siamo al momento in cui il traduttore partecipa alle prove sulla base della propria traduzione. Anche la mera rettura drammatica senza pubblico può infatti rivelare problemi o soluzioni inaspettate. L'essere legati al testo scritto significherebbe accettare un vincolo "tipografico" fuorviante. Uno dei problemi per esempio è che una traduzione in versi con una ben precisa intelaiatura ritmica venga vanificata all'atto della dizione dall'attore, di solito più propenso a dare naturalezza al discorso. «Se - continua Rufini - l'appiattimento dei due registri non è comunque, nell'originale, mai completamente realizzabile proprio perché la 27 Utilizziamo un'espressione di G. Davico Sonino, cit. da F. Barberis, «La traduzione del testo teatrale dai classici ai contemporanei>>, in Dioniso, vol. LIX, fase. 11, 1990, p. 419. 2 ' R. W. Corrigan, «Translating for Actors>>, in W. Arrowsmith and R. Shattuck, op.cit., p. 100. (Buone traduzioni di opere teatrali non verranno mai da coloro che non abbiano fatto almeno un poco di pratica teatrale). 29 Ibidem, p. l 01 (Tutto deve essere pronunciabile). 30 J. Levy, Die literarische Obersetzung- Theorie einer Kunstgattung, trad. dal ceco, Frankfurt A/M-Bonn, Athenaum, 1969 [ed. orig. 1963], p. 128. "S. Rufini, <<Traducendo ]ulius Caesarper la scena», in E. Glass, op. cit, p. 283. 631 scrittura fa cospicuamente leva su altri effetti fonico timbrici ... il traduttore per la scena dovrà ricrearli non solo in corrispondenza dei luoghi in cui essi si verificano, ma anche, più liberamente, ovunque nella lingua di arrivo se ne presenti l'opportunìtà». 32 Lo stesso potrebbe verificarsi al livello semantico (nei puns, per esempio). È il concetto di effetto equivalente che discuteremo più specificamente nell'ultimo paragrafo. Un altro elemento che potrebbe rivelarsi è la necessità di tagli al testo. Se è vero che tutto è fino a un certo punto traducibile, è anche vero che alcuni brani, per le mutate condizioni culturali o della rappresentazione potrebbero non svolgere più una funzione pertinente, anzi ostacolare la progressione drammatica. È evidente infine che il legame tra voce, gesto e movimento, persino con la scenografia e le luci non può essere chiaro fino al momento della verifica sul campo. «Language in the theater must always be gestural. .. it is necessary ai ali times for the translator io hear the actor speaking in his mind's ear. He must be conscious of the gestures of the voice that speaks» dice CorriganY In tutti questi casi la traduzione per la scena obbliga a prendere posizione, a far dire (e fare) all'attore cose ben precise, senza la possibilità di relegare le perplessità in nota. 34 L'imminenza dell' hic et nunc agisce nel teatro come un formidabile catalizzatore di energie e decisioni necessarie. La prova del palcoscenico Il palco costituisce un garante della riuscita o meno della traduzione, non certo come struttura architettonica quanto come momento di "comunicazione" col pubblico (con relativo feedback, cioè la risposta in termini di attenzione e applausi)Y «La traduzione di poesia lirica- dice Mario Luzi- ... si 32 Ibidem, p. 285. R. Corrigan, op. ci t, p. 97 (Il linguaggio nel teatro deve sempre essere gestuale ... è necessario che il traduttore senta costantemente la voce dell'attore con l'orecchio della mente. Egli deve essere consapevole dei gesti della voce che parla). 34 P. Arnott, op. cit., p. 93 parla di <<writing the footnotes into the translation» (scrivere le note nella traduzione). Si riferisce alla possibilità di tradurre spiegando alcuni nomi nelle opere drammatiche greche. P. es. «that play by Euripides, The Perils ofAndromeda (quell'opera di Euripide, Le traversie di Andromeda), invece di un semplice e poco chiaro Andromeda, che non sarebbe assolutamente capito. L'altra possibilità, per esempio nelle commedie, è di lasciar 'scrivere' le note al pubblico, attraverso accenni- stiamo parlando di attacchi personali - a politici o persone famose contemporanee. 35 Sulla comunicazione a teatro vedi De Marinis, op. cit., pagg. 156 e segg. 33 632 risolve in un oscuro patteggiamento di concessioni, di resistenze, di pretese senza prova di legittimità ... un margine di arbitrio che il lavoro di traduzione di testi poetici teatrali riduce al minimo. Qui la contesa non è sorda e appartata ... Ciò che una traduzione ... permette di constatare è che le omissioni apparentemente innocue, le inesattezze e le improprietà lessicali, la fiacchezza o l'eccesso di tono si ripercuotono direttamente in vuoti scenici, in "buchi" su questo o quel personaggio». 36 Il requisito della recitabilità (o performability) è la vera e propria richiesta al traduttore da parte del TT di cui si privilegia la funzione rispetto alla esattezza filologica. Così come è il pubblico, in ultima analisi, a decidere della testualità di uno spettacolo, allo stesso modo esso è giudice, esterno e partecipe insieme, dotato, proprio in virtù della sua eterogeneità, di una elevata sensibilità corale, di una sorta di oggettività. 37 Traduzione e interpretazione Sul tortuoso percorso che va dalla traduzione alla messa in scena si schierano due scuole di pensiero. La prima è costituita da traduttori gelosi della propria autonomia che spesso considerano le loro traduzioni pubblicabili così come sono, indipendentemente da una particolare megsa in scena. Per questi la traduzione non dà un'interpretazione precisa, con l'intento di preservare il mistero e lasciar libero il campo ai futuri registi. È importante rendersi conto però che questa concezione privilegia l'ottica del testo di partenza e produce un testo "statico" che vorrebbe essere eterno. L'altra scuola invece concepisce la traduzione in funzione di un preciso spettacolo ed è questa che sentiamo più condivisibile. 38 Non si possono certo avere pretese olistiche nei confronti di un testo, tanto più se molto stratificato ed è inevitabile prendere una posizione fin dalla prima di quelle che Patrice Pavis chiama una serie di concretizzazioni, ciascuna con un peso sempre più determinante per l'interpretazione. 39 La traduzione si 36 M. Luzi, «Sulla traduzione teatrale», in Testo a fronte, n. 3, ottobre 1990, pp. 97-99 . .u Non consideriamo naturalmente in questa sede la possibilità che la capacità ovvero l'incapacità degli attori possano o rovinare un'ottima traduzione o salvarne una cattiva. 18 · Per una più precisa rassegna delle diverse posizioni vedi P. Pavis, <<Problems of translation for the stage: interculturalism and post-modern theatre», in H. Scolnicov and P. Holland (eds), The Play Out ofContext- Transjèrring Plays from Culture to Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p. 31. 39 L'autore, ibidem, pp. 27-29, chiamaTO il testo originale, TI la traduzione macrotestuale effettuata per rilevare l'impianto drammaturgico, T2 la vera e propria traduzione completa di movimento, T3 la prova del palcoscenico, T4 il testo dal punto di vista dei riceventi. 633 configura come un atto ermeneutico che diventa manifestazione dei valori che l'autore tradotto ha inteso esprimere ma soprattutto ne sottolinea il senso di riscrittura e i margini di reinterpretabilità da parte della cultura di arrivo. «Translation theory thus follows the generai trend of theatre semiotics, reorienting its objectives in the light of a theory of reception [Rezeptionsiisthetik]».40 Non esiste insomma una traduzione definitiva del testo nella nuova situazione di ricezione ma una traduzione il cui valore estetico e drammatico è determinato non solo dal variare del linguaggio, ma anche di tutta la cultura. In molti casi la riproposizione di alcuni testi risulta tanto più ardua in quanto non solo l'autore e i suoi contemporanei sono morti ma la rilevanza nel contesto è morta. 41 Quando la distanza temporale, linguistica e culturale aumenta, il teatro soffre se non ha il coraggio di diventare flessibile e fluido come al momento della creazione. Sono necessarie allora scelte ben più coraggiose di semplici alternative lessicali se si vuole che la comunicazione continui. Ai confini del testo: traduzione fra culture Il titolo di una recente raccolta di saggi, The Play Out of Context- Transforring Pldys from Culture to Culturé' 2 ci fa intravedere una concezione più ampia di traduzione, resa in italiano con termini imprecisi come "riduzione", "adattamento", "liberamente tratto da", che però in inglese è tuttavia nota come transldtio. Si tratta dei tentativi compiuti per trasferire un dramma in un contesto ben diverso da quello di partenza. Se la distanza è temporale, affiora subito alla mente la distinzione di George Bernard Shaw43 fra "usefol plays' e drammi irrilevanti, i primi strettamente legati al contesto, i secondi pressoché eterni. L'affronto peggiore che si possa fare a un dramma "utile" è quello di negargli la possibilità di essere rappresentato (ciò che successe appunto a Mrs Warrens Profession, che circolava liberamente in forma scritta, ma non ebbe l'autorizzazione della censura a passare in teatro per più di trent'anni). Una caratteristica di questo "genere" teatrale è però quella di acquistare nuova rile- 40 Ibidem, p. 41. (La teoria della traduzione segue così l'andamento generale della serniotica del teatro, rivedendo i suoi obiettivi alla luce di una teoria della ricezione.) 41 Vedi in proposito S. Bassnett, La traduzione, op.cit., p. 116. L'autrice si riferisce qui alla traduzione della poesia ma il concetto è tanto più valido per il teatro. 42 H. Scolnicov and P. Holland (eds), op. cit. 43 Ne parla J. Redmond <<'lf the salt have lost his savour': some 'useful' plays in and out of context on the London stage>>, in H. Scolnicov and P. Holland, op.cit., p. 63 e 75-78. 634 vanza in certe nuove circostanze, eventualmente con opportune modifiche. La distanza culturale è però sicuramente la più affascinante e difficile. Ogni cultura condivide un'enorme quantità di pregiudizi e di chiusure. In questo caso il testo "tradotto" assume i connotati di una corsia preferenziale per il dialogo interculturale.44 Esso permette a un'altra cultura di essere presentata in modo completo, con pregi e difetti, non solo con gli stereotipi che alimentano i pregiudizi; a far scoprire l'opinione degli "altri" sul "pubblico"; a mostrare come alcune contraddizioni vengano sanate nell'economia del dramma. Per fare solo due esempi lontani tra loro nel tempo pensiamo a Il mercante di Venezia e Indovina chi viene a cena. 45 Le modalità di questo trasferimento possono variare notevolmente a seconda del contesto e delle "dimensioni" attraversate. Ci sono esempi di cambiamenti significativi anche tra due culture molto simili come quella biltannica e quella americana, 46 o veri e propri "salti mortali" dall'antica India al mondo occidentale contemporaneo. 47 Certo è che solo il teatro oggi utilizza con tanta frequenza e produttività la pratica, definita da Gérard Genette, dell'ipertestualità cioè «il passaggio da un testo base noto ad uno nuovo che ne modifica l'aspetto pragmatico offrendone contemporaneamente una risemantizzazione».48 Resta da vedere secondo quali direzioni si attua una traduzione che amplifica il concetto di TD fin quasi alla sua dissoluzione. Traduzione e mito «Let' s assume that a translator' s aim should be to make the play have the same effect on his native audience that the author meant it to have on his English audience». Adrian Brine, in un articolo intitolato «The Translation Scandah>, 49 parla del concetto di effetto equivalente. Una commedia deve far " Vedi G. Shaked, «The play: gateway to cultura! dialogue», in H. Scolnikov and P. Holland, op.cit., pp. 7-24. 45 La prima, naturalmente di W. Shakespeare, tratta il problema dei 'giudei', la seconda di W. Rose, affronta la distanza razziale fra bianchi e neri, da cui il fortunato film di S. Kramer. "'Cfr. A.R. Glaap, '' Whose !ife is it Anyway? in London and on Broadway: a contrastive analysis of the British and American versions of Brian Clark's play», in H. Scolnicov and P. Holland, op.cit., pp. 214-223, in cui fra l'altro il protagonista 'cambia sesso' nella versione amencana. 17 Stiamo parlando del Mahabharata di Peter Brook. 18 G. Genette, op. cit. Utilizziamo la definizione data da M. Giulietti, «Traduzione l riscrittura di Shakespeare: Dogg's Hamlet, Caboot's Macbeth di Tom Stoppard>>, in E. Glass, op. cit., p. 314. 635 ridere o sorridere, una tragedia deve porre l'uomo di fronte agli interrogativi ultimi della vita e della morte, un dramma di idee deve far riflettere. Già a questo livello il traduttore dovrebbe sviluppare una sensibilità tale da evitare effetti indesiderati: Umberto Albini 50 ha recentemente elencato alcuni casi in cui alcune traduzioni perfette sulla carta, sortiscono un effetto ridicolo (uno per tutti il «ti ritiri?» che al pubblico dello Stabile di Genova fa rispondere «taratara»), da non usare per esempio con i personaggi delle tragedie. È evidente altresi che concepire una traduzione in termini di una sorta di equivalenza matematica può condurre a operazioni fuorvianti. Sarebbe impossibile ricreare un ipotetico "effetto equivalente totale" rispetto a due situazioni di ricezione irrimediabilmente diverse per esigenze e categorie. Più il contesto cambia più si parla di "appropriazione" del testo di partenza, messo in scena per quanto interessa al pubblico. Allontanandosi dal testo scritto, il traduttore di teatro deve cercare quello che Pavis chiama "language-body" ,51 l'unione di gesto, ritmo e testo peculiare a ciascuna cultura e avere il coraggiocon l'aiuto del regista- di elaborare soluzioni coraggiose che si distacchino anche molto dall'originale ma che per essere considerate "traduzioni" dovranno cercare un punto di contatto, la vera essenza mitica del dramma. Si potrà a questo punto fare una distinzione 52 fra due tipi di traduzione, fra la realizzazione di una delle significazioni del testo, che conserva il TD ancora integro, e la ripresa del contenuto-mito, in cui il testo originario si è dissolto. In entrambi i casi è ancora una volta il "cannibalismo" culturale a dare i frutti migliori, in quanto il trasferimento del teatro è un'operazione seminale, di creazione di nuove prospettive e significati. 53 49 A. Brine, <<The Translation Scandah>, in Plays and Players, August 1966, p. 50 (Supponiamo che l'aspirazione di un traduttore sia di fare in modo che l'opera abbia lo stesso effetto sul pubblico che parla la sua lingua di quello che l'autore ha voluto che ottenesse sul pubblico inglese). Si parla di "scandalo" perché quasi tutte le traduzioni di cui Brine si è servito hanno dovuto essere riscritte per accordarle con ciò che l'autore aveva scritto. Questo sarebbe anche il motivo dei mancato successo di commedie originalmente scritte in inglese e mai tradotte. 50 U. Albini, <<Problemi minori del tradurre teatrale>>, in Dioniso, vol. LX, fase. 11, 1990, p. 9. 51 P. Pavis, op. cit., p. 36. 52 vedi S. Jansen, <<Fondamenti per una teoria del testo drammatico», in AA.VV., lnterazione, dialogo, convenzioni: il caso del testo drammatico, Bologna, Clueb, 1983, p. 81. 53 A. Serpieri, op.cit., p. 40 parla di 'ibridazione'. Un'altra immagine suggestiva è quella di A. Lefevere che parla di 'rifrazione' in <<Why W aste Our Time on Rewrites? The Trouble with lnterpretation and the Role of Rewriting in an Alternative Paradigm», in T. Hermans (ed.), The Manipulation ofLiterature, London, Croom Helm, 1985, pp. 241-242, cit. da S. Bassnett-McGuire, La traduzione... , op. ci t., p. 8. 636 BIBLIOGRAFIA AKERHOLT M.B., «Henrik Ibsen in English Translation», in ZUBER (1980), pp. 104-120. ALBINI U., «Problemi minori del tradurre teatrale>>, in Dioniso, vol. LX, fase. II, Siracusa, IDI, 1990, pp. 9-14. ARNOTT P., «Greek Drama and the Modern Stage>>, in W. ARROWSMITH and R. SHATTUCK (eds), The Craft and Context of Translation, Austin, University of Texas Press, 1961, pp. 83-94. 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