Diana BaRiLLaRi
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy
a TRieSTe (1900-1906)
Prologo
Volendo stilare la sequenza cronologica dell’affacciarsi del Liberty a
Trieste (1) si potrebbe fare riferimento a quanto scrive Silvio Benco, quando
afferma «che per un momento l’architetto Berlam pare voglia farsi il precursore del modern style» (2) e, pur senza citarli direttamente fa riferimento ai
villini per Saul Modiano in via Rossetti (3) progettati nel 1900, data che segna
il turning point e coincide in maniera emblematica con l’alba del XX secolo.
Ma quello di Berlam è un approccio di breve durata e ne fornisce una motivazione Pietro Sticotti nella Commemorazione dell’architetto quando spiega
che non ebbe fortuna il tentativo di
«adattare al nostro gusto gli arzigogoli inorganici e nipponizzanti dello stile liberty o floreale o secession che dir si voglia: maniera, che non attecchì
nei nostri climi e fu talmente snaturata dai nostri artefici da diventare sempre più la caricatura della caricatura, finché s’inaridì e cessò del tutto». (4)
(1) in apertura una sintetica bibliografia sul Liberty a Trieste, M. WaLcheR, L’architettura a a Trieste dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, udine 1967; e.
caMPaiLLa, Trieste Liberty, Trieste 1980; M. PozzeTTo, Annotazioni per una storia
dell’architettura moderna a Trieste, «Parametro», n. 132, dic. 1984, pp. 14-49; M.
LoRBeR, Vienna e Trieste: la Wagnerschule alla periferia dell’impero, in «arte in
Friuli arte a Trieste», nn. 18-19, 1999, pp. 175-194; id., Presenze liberty nello sviluppo urbanistico a Trieste, in «Quaderni Giuliani di Storia», n. 1, genn.-giu. 2003, pp.
145-156; c. ViSinTini, Liberty a Trieste analisi e rilievo di alcune architetture, 2008;
G. PaVan, La Cappella dell’Episcopio a Trieste, di Ivan Vurnik (1913-1914), 2010;
Trieste Liberty costruire e abitare l’alba del Novecento, cat. mostra a cura di F. RoVeLLo, M. MeSSina, L. ReSciniTi, comune di Trieste 2011.
(2) S. Benco, Trieste, Trieste 1910, p. 144.
(3) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, 3/10-1, esibito
51987/1900.
(4) P. STicoTTi, Commemorazione dell’architetto Ruggero Berlam tenuta al Circolo Artistico di Trieste la sera del 22 dicembre del 1920, «archeografo Triestino»,
vol. iX, iii serie, XXXVii della raccolta, 1921, p. 10.
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ettore Luzzatto e isidoro Piani, casa in via Battisti angolo via Donizetti, particolari
della decorazione, 1902 (foto alida cartagine).
Sia Benco che Sticotti nel condannare la breve sortita di Ruggero Berlam con le novità del Liberty vi contrappongono il «tipo fiorentino del rinascimento» di cui l’esempio più riuscito è casa de Leitenburg in via Giulia
(1887). Per la città di Trieste che si appresta a entrare nel XX secolo la modernità è rappresentata secondo Benco da
«l’architettura policroma italiana […] in suo nome si lotta contro i girasoli,
i giaggioli, ogni specie di liliacee del modern style che adesca i giovani da
oltre monte e lusinga nei padroni di casa il desiderio di sbalordire a buon
mercato». (5)
La questione dello stile ripropone la dialettica tra quella parte della cultura cittadina che si sente profondamente italiana e individua nell’architettura
un mezzo per riaffermare la propria identità e una platea di committenti, progettisti e imprese che invece guardano a Vienna e alla Mitteleuropa, poiché vi
riconoscono una tensione verso l’innovazione che li fa sentire partecipi della
storia in atto. Gli eccessi e il cattivo gusto del modern style non impediscono
(5) S. Benco, op. cit. p. 143.
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Ruggero Berlam, casa de Leitenburg in via Giulia, Trieste, 1887 (archivio privato
Trieste).
il successo del nuovo linguaggio che, come riconosce anche Benco quando
afferma che i nuovi edifici devono «sbalordire a buon mercato», comporta
costi inferiori anche in virtù dei materiali, delle tecniche e degli impianti. La
nuova architettura ha poi il demerito di arrivare da «oltre monte» e questo per
i fautori dell’italianità costituisce un elemento negativo, che si aggiunge a
altre considerazioni che hanno a che fare con l’estetica e la questione dell’innovazione tecnologica. nel criticare l’apparato decorativo del nuovo stile
Benco dimostra di avere una conoscenza non superficiale di quelli che sono
gli elementi di base, gli «arzigogoli nipponizzanti» sono un pertinente riferimento a una fonte importante per l’arte europea della fine del XiX secolo,
fondamentale per la scelta in senso bidimensionale operata da tanti architetti.
a una critica abituata a confrontarsi con gli stili storici e l’eclettismo, dove il
mondo è ancora regolato dal rodato linguaggio degli ordini, le eleganze delle
linee e la semplicità dei corpi di fabbrica, l’impiego di pietra artificiale al
posto di quella naturale doveva apparire una irragionevole fuga in avanti, che
viene esorcizzata con il ricorso a un nazionalismo che si identifica con la
tradizione. non ci sono soltanto i villini Modiano quali esempi di un sia precoce interesse per il Liberty all’alba del XX secolo a Trieste ma anche un’ar-
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chitettura pubblica di notevole rilevanza per funzione e collocazione, quale il
Palazzo dell’imperial Regia Luogotenenza di emil artmann in piazza Grande (ora unità) (6). nel 1901 viene presentata la richiesta di costruzione di casa
agnani in via dell’acquedotto (ora viale XX settembre) dove al pianterreno
il proprietario aprì e arredò il caffè Secession: autore del progetto è l’ingegner
eugenio Geiringer. Gli edifici citati sono opera di tre progettisti diversi per
cultura e formazione, due, Ruggero Berlam e Geiringer operano a Trieste,
l’altro è un ingegnere viennese a capo dell’ufficio costruzioni del ministero
dell’interno. Per la sua funzione è il palazzo in piazza unità quello che offre
i maggiori problemi di termini di linguaggio espressivo, infatti deve confrontarsi con palazzo Stratti, la nuova sede municipale e palazzo Modello di Giuseppe Bruni, l’edificio del Lloyd austro-ungarico a opera di heinrich von
Ferstel, l’hotel Garni di Geiringer e palazzo Pitteri a opera di ulderico Moro,
tutte architetture dove risulta prevalente il ricorso all’eclettismo e agli stili
storici. La nuova sede della Luogotenenza (7), ovvero l’edificio che rappresenta a Trieste il potere politico e amministrativo dell’impero, offre una visione improntata a una prudente modernità nella quale si coniugano le esigenze
di monumentalità proprie di una sede governativa e una serie di rimandi al
gusto Secession, come il rivestimento a mosaico dei due piani superiori raffigurante le arti e gli stemmi della corona imperiale (Giuseppe Straka) e le figure di putti posti a coronamento del loggiato (anton Brenek). il loggiato a
doppio ordine che occupa l’avancorpo collocato al centro condensa le citazioni neorinascimentali che ci si potrebbero aspettare da un edificio pubblico
con funzioni di rappresentanza, colonne e paraste con fasce a bugnato al pianterreno, capitelli e pulvini, cornici marcapiano. Per un fautore dell’eclettismo
come Ruggero Berlam l’approccio al nuovo stile sperimentato nei villini Modiano avviene attraverso la mediazione con il familiare linguaggio degli ordini, infatti al posto del capitello le lesene che suddividono la trifora al primo
piano esibiscono ornati fitomorfi e teste leonine racchiuse entro palmette
acroteriali di cui il linguaggio modernista ha conservato solo la sagoma.
come rilevato da Marco Pozzetto i «due villini sono floreali nel senso della
decorazione fitomorfa, ma nello stesso tempo decisamente lontani dalla secessione, dal liberty e da altri tipi di modernismo» (8). un ulteriore tentativo
(6) Trieste 1872-1917 Guida all’architettura, a cura di F. RoVeLLo, Trieste 2007,
pp. 199-202; la scheda del’edificio è curata da M. LoRBeR.
(7) L. MeRLuzzi, Emil Artmann ed il Palazzo del Governo di Trieste: storia di un
cantiere pubblico (1901-1905), in «archeografo Triestino», serie 253-285. iV, vol.
LXX/2 (cXViii/» della raccolta), 2010, pp.
(8) M. PozzeTTo, Giovanni Andrea Ruggero Arduino Berlam un secolo di architettura, Trieste 1999, p. 103.
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emil artmann, Palazzo dell’imperial Regia Luogotenenza, Trieste, 1900, particolare
della facciata principale con i mosaici (archivio privato).
Ruggero lo effettuò nella prima casa Berlam in via dei Piccardi 36, dove accanto a elementi viennesi quali la
«stilizzazione dei fiori dipinti sul rivestimento degli ultimi due piani, ai
lisci rettangoli che incorniciano le finestre del primo piano, a quelle dell’ultimo piano prive di cornice, vi è l’uso medioevalista del cotto e del contrasto cromatico, dei capitelli e delle mensole, e infine appare il floreale nelle
testine e nei fiori in stucco sopra le finestre del primo piano e nei motivi
vegetali delle pitture». (9)
Più convincente come adesione al nuovo linguaggio è casa agnani soprattutto per la trionfante esuberanza dei ferri battuti e delle cornici con elementi vegetali, per la stilizzazione delle partiture classiche nelle mensole,
nelle incorniciature delle finestre, nel generale sovvertimento di consolidate
gerarchie in merito a proporzioni e relazione tra struttura e decorazione. Da
segnalare poi che la denominazione del caffè fa riferimento al movimento
artistico viennese che aveva trovato la propria sede nel palazzo delle esposizioni ideato da Joseph Maria olbrich nel 1897. Vale la pena di ricordare che
(9) c. LeTTiS, Casa Berlam, in Trieste 1872-1917... op. cit, p. 229.
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Joseph Maria olbrich, Palazzo della Secessione a Vienna, 1897 («Wiener neubauten»).
il nuovo stile ebbe l’avvallo dell’imperatore Francesco Giuseppe che partecipò all’inaugurazione della Secessionhaus accreditando con l’augusta presenza la liceità dello strappo operato nei confronti della tradizione accademica.
«Le curve smorfiose del modern style»
Tra i primi progetti decisamente improntati al modernismo vi sono casa
Basevi di Geiringer in via San Giorgio e il palazzo all’angolo tra via Battisti
e via Donizetti progettato da isidoro Piani e ettore Luzzatto, entrambi approvati nel 1902 e accomunati dal fatto che gli ideatori sono ingegneri, che non
si limitano a esercitare la professione, ma sono imprenditori, rivestono cariche politiche, prendono parte attiva alla vita economica e politica cittadina.
eugenio Geiringer (Gairinger (10) a partire dal 1900) fonda nel 1882 la Società degli ingegneri e degli architetti e ne assume la presidenza per 22 anni,
(10) Ringrazio Diana De Rosa per avermi fornito le precisazioni: il 6 maggio
1900 il podestà Scipione Sandrinelli conferì all’ingegnere la «cittadinanza triestina» e
questo riconoscimento unito al fatto che a partire da quella data il cognome oscilla tra
Geiringer e Gairinger, fa pensare, sostiene la studiosa, che avesse «optato per una
variazione fonologica che lo facesse apparire più italiano».
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eugenio Geiringer, palazzo Basevi, via San Giorgio, Trieste, 1902, (foto alida cartagine).
consigliere comunale e membro di molte commissioni è coinvolto nella realizzazione di numerose infrastrutture viarie della città (il tram di opicina)
nonché socio con Vallon di un’impresa edile molto attiva nella costruzione
dei magazzini di Porto vecchio: anche se sintetico il curriculum restituisce
l’immagine di un professionista attento a recepire le innovazioni sia di tipo
tecnico che culturale. Sottolineando il ruolo chiave della committenza nella
realizzazione di palazzo castiglioni (1903) a Milano a opera di Giuseppe
Sommaruga, Rossana Bossaglia precisava che l’ingegner ermenegildo castiglioni «era dunque esponente non soltanto dell’alta borghesia locale, ma del
mondo dei tecnici; erano gli ingegneri che volevano per sé le case più moderne e spregiudicate: prova ne sia che Sommaruga, come architetto di edifici di
abitazione, lavorò quasi sempre per ingegneri» (11). analoga considerazione
si può fare a Trieste perché sono proprio gli ingegneri-imprenditori a dare
prova di interesse verso la modernità, infatti se gli edifici realizzati da Geiringer alla fine dell’ottocento – dalla sede delle assicurazioni Generali alla ri-
(11) R. BoSSaGLia, Corso Venezia 47, in «Pirelli», marzo-aprile 1970, p. 75.
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strutturazione di palazzo Stratti all’hotel Garni alla propria dimora – possono
essere considerati dei modelli di riferimento per l’impiego del linguaggio
storicista, la svolta verso il modernismo di casa Basevi e del caffè Secessione
viene compiuta tra il 1901 e il 1902 non appena il nuovo linguaggio comincia
a diffondersi. il motivo che spinge imprenditori di successo e tecnici di valore a preferire il nuovo stile si può individuare nella generale attenzione verso
tutto ciò che è innovazione e sono molte le novità a livello di impianti, materiali e strutture che si palesano nell’ultimo quarto del secolo XiX, ma anche
per catturare il favore di una clientela che vuole stare al passo con i tempi e
considera lo storicismo un retaggio del passato. La casa commissionata dal
cavalier Giuseppe Basevi in via San Giorgio (12) fu utilizzata dal proprietario
per sistemare gli uffici della propria ditta al pianoterra mentre gli appartamenti dei piani superiori vennero affittati. nell’adozione di uno stile nuovo
un fattore da prendere in considerazione è la prospettiva economica e la convenienza in termini di reddito, al quale concorrono anche le scelte estetiche,
quali i pregiati ferri battuti dei balconi e del portoncino di ingresso, gli ornati
fitomorfi e le ghirlande, i medaglioni e le incorniciature delle finestre: girasoli, gigli e foglie di alloro sostituiscono ovoli, perline, fusarole, mutuli, vale a
dire il repertorio degli ordini. anche nel palazzo di Piani e Luzzatto viene
applicata la sostituzione delle partiture decorative che si traducono nei modi
eleganti e gradevoli del modernismo, concentrandosi in particolare nelle incorniciature, fasce marcapiano, lesene, balconi. in queste opere non si riscontra ciò che Silvio Benco (firmando con lo pseudonimo di Falco) sulle pagine
de «l’indipendente» definirà come «la volgarità del nuovo stile architettonico
che urla con le boccacce della sua pazzia contro il nobile positivismo della
nostra epoca» (13). nelle parole del critico si riflette lo sconcerto dell’uomo di
cultura che osserva l’avanzata di una nuova forma d’arte che è emblema di
«falsificazione: delle idee, dei materiali, dell’originalità. Le idee si pigliano sconclusionatamente, qua e là, nelle architetture d’oriente o nei negozi
di fiori artificiali. i cementi vogliono essere pietre bianche; lo zinco inverniciato vuol essere pietra grigia. L’originalità si compera a dozzina nelle
officine tedesche di pezzi architettonici». (14)
Risulta offensivo proprio ciò che rende conveniente sotto il profilo economico le costruzioni in modern style, vale a dire l’impiego di materiali meno
pregiati che imitano la pietra, oltre alla produzione in serie di apparati deco-
(12) F. GRiPPi, Casa Basevi, in Trieste 1872-1917… op. cit., pp. 203-204.
(13) FaLco, Ozi estivi, «L’indipendente», 10 agosto 1903.
(14) Ibidem.
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rativi: Silvio Benco sta osservando in presa diretta l’avvento dell’industrializzazione nel settore dell’edilizia e ciò che lo infastidisce è che questi prodotti si diffondano nel settore delle costruzioni private, trasformando l’architettura che a lui piace, quella fatta da «un’umile fila di arcate d’un altro tempo, semplici, coerenti, logiche e gravitanti in perfetto equilibrio» (15). È la
fine di un’epoca e di un modo di vivere, ai solidi valori del positivismo si
sostituisce un incubo architettonico, che secondo Benco rivela la perversione
di un’epoca dove si produce «architettura fine e alcolica, che vi penetrerà fino
allo stomaco, con un gusto acuto di droghe o con un gusto ondulante di assenzio». evocando gli scenari bohemienne e maledetti che contraddistinguono
una parte significativa dell’intensa stagione degli impressionisti francesi, che
si incontrano in caffè dove si possono trovare i bevitori di assenzio immortalati da Manet e Degas, Benco si fa portavoce di un sentimento nostalgico che
parte dell’opinione pubblica condivide, senza contare le tensioni nazionalistiche che scuotono periodicamente l’impero e si intersecano anche alle vicende
costruttive. Ma le reprimende del critico benpensante non arrestano i cantieri,
segno che le nuove architetture godono del favore di un pubblico al quale
piacciono
«le curve smorfiose del modern style, le teste leonine di gesso, le cascate
di fiori zuccherine e le ghirlandette massiccie […] le sagome carnevalesche dei coronamenti cincischiati di creste di gallo e di pinnacoli da pasticciere sovra le sinuosità di un’arte floscia».
Se «il catalogo è questo» si tratta di capire chi sono i committenti e alla
domanda Benco risponde che si tratta di «borghesi che hanno messo a lucro
il loro denaro nell’edificazione di questo mondo grottesco»: nell’affermazione si coglie tutta la sua contrarietà nei confronti di una classe sociale che a
suo parere compie scelte dettate dal criterio della convenienza economica
trascurando il dato estetico. Già l’architetto Pertsch aveva sottolineato le difficoltà incontrate a Trieste per consentire l’affermazione dei concetti d’arte
soprattutto a causa dello «spirito mercantile» dominante in città. Pur prendendo con la dovuta cautela le sferzanti critiche di Benco si coglie nell’affermazione del modernismo anche la sua convenienza economica, fattore indispensabile per spiegarne la fortuna. Benco si chiede come sia possibile vivere
in città «mascherate da selve di geroglifici, e se noi siamo tanto decaduti da
sorbirci in pace questa profanazione babilonese o cinese o malese». L’invettiva coglie un altro elemento caratterizzante il nuovo stile, rappresentato dalla corrente «biblico-babilonica» alla quale heinrich Pudor dedica un impor-
(15) Ibidem.
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tante saggio su «Der architekt» (16) indicando in Joseph hoffmann autore
dell’allestimento della mostra su Beethoven tenutasi nel 1902 nella Secessionhaus quando fu esposto il fregio di Klimt, il corifeo di questa nuova tendenza espressiva.
Il «glabro edificio balcanico» e alcune Miethaus a Trieste
Tracciando in rapidi cenni la storia dell’architettura triestina Giuseppe
Pagano in un articolo pubblicato in «casabella» nel 1935 tesse l’elogio
dell’architettura neoclassica «seria, compassata e concisa che, se non generò
capolavori mirabolanti, produsse tuttavia una serie di opere degne della
massima attenzione» (17), censura i vari eclettismi soprattutto quello che egli
qualifica come «rinascimento di maniera» e se la prende con la «questione
nazionale» che con la pretesa di ispirarsi all’architettura «aulica italiana» ha
creato i presupposti per una produzione «sfacciatamente retorica». Da questo panorama dominato dalla confusione degli stili, Pagano addita come
esempio riuscito di architettura moderna e allo stesso tempo coerente con
l’architettura triestina, «l’albergo Balkan dell’architetto friulano Fabiani,
operante a Vienna». Sono tanti i motivi che caratterizzano la peculiarità degli edifici di Trieste, «il rigore e la serietà di una legislazione molto cauta, le
ottime scuole professionali della regione e le influenze benefiche dell’accademia di Vienna» che hanno impedito il trionfo delle «libidini liberty» che
tanti danni, a suo dire, hanno procurato a Genova. anche Pagano condivide
con Benco il giudizio negativo sul modernismo che viene assimilato all’opera dei pasticceri più che degli architetti e persino la sostituzione della pietra
naturale con quella artificiale viene messo in conto ai difetti del Liberty. a
distanza di trent’anni si riconfermano le critiche al modern style, ma Pagano
mostra di apprezzare proprio l’edificio che all’epoca della sua costruzione
aveva attirato giudizi poco lusinghieri, a cominciare da quello espresso dalla commissione alle pubbliche costruzioni che dopo aver chiesto una prima
modifica, aveva rilasciato il permesso, rilevando che le facciate erano «poco
conformi all’importanza dell’ubicazione» (18). il progetto commissionato
(16) La traduzione in lingua italiana si trova in La Scuola di Wagner 1894-1912
Idee – premi – concorsi, cat. mostra a cura di M. PozzeTTo, comune di Trieste, 2 ed.
1981, pp. 209-212.
(17) G. PaGano, Architetti a Trieste, in «casabella», Viii, n. 88, aprile 1935, p.
16.
(18) archivio generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito 72094/1902,
F. £/10-1/1902.
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Max Fabiani, Narodni Dom, via Filzi, Trieste, 1902 (archivio privato).
dalla cassa Depositi e Prestiti slovena all’architetto Max Fabiani, contiene
diversi elementi di novità a cominciare dalla reputazione del progettista che
a Vienna è uno dei protagonisti del circolo degli innovatori che fa riferimento a otto Wagner e alla Secessione, ma anche per la funzione che l’edificio
dovrà assolvere: si tratta di realizzare una sede qualificata e importante per
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hubert Gessner, ingresso dell’arbeiterheim a Vienna («Der architekt», 1903).
ospitare le associazioni della comunità slovena. il Narodni Dom (casa della
cultura) ideato da Fabiani nel 1902 sia per le soluzioni tipologiche e funzionali (contiene teatro, ristorante, albergo, residence, sale di ritrovo, tipografia, uffici della banca, sale per le associazioni) ma anche con le facciate
spoglie e essenziali segna il turning point nella storia dell’architettura triestina del XX secolo, è il primo edificio a dare conto di quanto si stava rea-
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lizzando a Vienna, vale a dire il laboratorio di ricerca architettonica più
avanzato d’europa. Sempre nel 1902 nella capitale era stata completato
l’Arbeiterheim di hubert Gessner una struttura che per funzioni e soluzioni
architettoniche aveva diversi punti di contatto con l’edificio triestino, identica la scelta di facciate lisce e finestre senza cornici, le aperture nella zona
inferiore comprendenti pianterreno e mezzanino con la differenza a Vienna
non vi è traccia di nostalgie classiciste (19). il giudizio espresso da Pagano è
coerente con il suo obiettivo di innovare l’architettura italiana che lo porta a
avere più attenzione nei confronti dei precursori del razionalismo: le riserve
espresse dalla commissione edilizia nel 1902 nei confronti delle facciate
«poco conformi» e la definizione di «glabro edificio balcanico» (20) attribuita da Sticotti confermano la distanza da un linguaggio espressivo che propone pareti lisce e essenziali, una sobrietà che era sembrata eccessiva a coloro che sia per motivi estetici, ma anche culturali e politici, preferivano il
rassicurante universo degli stili storici sinonimo di italianità. La spiegazione
che offre Fabiani in merito alla semplicità è invece fondata su considerazioni economiche che determinarono la preferenza per una «facciata in mattoni
a vista con parziale rivestimento in pietra» (21) rispetto a quanto previsto
nella prima versione, dove pietra e decorazioni avevano una maggior rilevanza. nella versione definitiva, invece, la decorazione venne concentrata
nell’ingresso principale dove fu collocata la vetrata di Koloman Moser, distrutta nell’incendio del 1920 e documentata dalla foto pubblicata in «Der
architekt» (22). in quanto al carattere «meridionale» che l’architetto dichiarò
di aver impiegato per inserire l’edificio nel tessuto edilizio cittadino, sotto il
profilo del linguaggio espressivo si traduce in una interpretazione dell’architettura italiana e veneziana che si intona al genius loci triestino smorzando il rigore delle due architetture viennesi di Fabiani alle quali il Narodni
Dom è riferibile, il palazzo Portois e Fix (1899) con la sua essenziale facciata rivestita in mattonelle di pirogranito e l’artaria (1900) con le lastre di
marmo fissate alla muratura che ripropongono soluzioni offerte da otto Wagner (23). il disegno dei mattoni del rivestimento con lo schema a losanghe
di palazzo Ducale a Venezia e la pietra lavorata a bugnato liscio che circonda l’ingresso principale, sono gli elementi impiegati per rielaborare l’archi-
(19) J.a. LuX, Das Arbeiterheim, «Der architekt», iX, 1903, pp. 14-16.
(20) P. STicoTTi, Commemorazione… op. cit., p. 10.
(21) M. PozzeTTo, Max Fabiani, Trieste 1998, p. 155.
(22) «Der architekt», XiV, 1908, tav. 25.
(23) L. aBeLS, Zwei Wiener Geschäfthäuser, in «Der architekt», Viii, 1902, pp.
67-68; M. PozzeTTo, Max Fabiani, op. cit., pp. 155-158, 204.
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ingresso del Narodni Dom con la vetrata di Koloman Moser («Der architekt», 1908).
tettura cittadina, anche se il tentativo di Fabiani non venne apprezzato, dato
che finirono per prevalere considerazioni di ordine politico oltre ai difficili
rapporti tra italiani e slavi all’epoca. Mentre Fabiani a Vienna raccontava ai
colleghi dell’associazione austriaca ingegneri e architetti che erano stati i
vincoli imposti dal budget di spesa a determinare alcune scelte espressive, a
Trieste le questioni di estetica venivano utilizzate come strumento per uno
scontro ideologico, trasformando l’edificio in un simbolo contro il quale
scagliarsi o da idolatrare. Quando Sticotti nel 1921 giunge a motivare in
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Max Fabiani, palazzo Portois e Fix a Vienna in foto d’epoca, 1899-1900.
maniera pretestuosa il rogo appiccato dalle milizie fasciste al Narodni Dom,
spiegando che l’incendio era una risposta alla distruzione del leone alato che
sormontava palazzo Vianello di Ruggero Berlam (1903) poiché era stato
considerato come una minaccia al «glabro edificio balcanico», ci rivela che
le rilevanti differenze in termini di linguaggi espressivi dei due edifici sono
la metafora di uno scontro tra opposti nazionalismi, acuitosi durante il primo
conflitto mondiale. L’edificio di Berlam «con spettacolo di colonne doppiate e di gruppi statuari sopra una facciata dove il lusso sansovinesco si leva
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Ruggero Berlam, palazzo Vianello, via carducci, piazza oberdan, Trieste, 1903, facciata principale (archivio privato).
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sopra la rustica toscana» (24) è l’emblema di quell’architettura «inutilmente
retorica» che secondo Pagano è il risultato di un culto per la tradizione aulica
italiana che impedisce di guardare al futuro. i componenti della commissione
edilizia triestina, la cui sensibilità era stata messa a dura prova dall’eccessiva
sobrietà dei prospetti del Narodni Dom, tornano a confrontarsi con il rigorismo di Fabiani in occasione del progetto di casa Bartoli (1905-1906) (25),
dove la soluzione proposta per la facciata viene respinta per ben due volte,
dato che risulta non confacente «all’importanza dell’ubicazione» (26). Di
fronte ai dubbi e alle incomprensioni che si estendono anche alle tecnologie
costruttive innovative che Fabiani applica, l’architetto scrive direttamente
alla commissione spiegando di aver preferito l’intonaco alla pietra per le
decorazioni visto che si tratta di un edificio con negozio e appartamenti, e
che «le facciate furono sviluppate dalla disposizione interna e che ogni cambiamento esterno ne richiederebbe uno corrispondente all’interno» (27). in
questa dichiarazione si concentra la sostanziale diversità tra Fabiani che si
colloca nei termini di una cultura progettuale che otto Wagner teorizza nel
Moderne Architektur ritagliando a sua dimensione la celebre frase di Semper
«artis sola domina necessitas». Fabiani vive in un realtà quale quella viennese dove la ricerca e la sperimentazione sono retaggio di una cultura architettonica interessata al futuro, nella quale si sta elaborando il tema dell’influenza della tecnica sul linguaggio espressivo, il cruciale dibattito delle nuove
forme. Le ampie aperture del pianoterreno e mezzanino dove trovano posto i
negozi sono la logica trasposizione della struttura a pilastri impiegata che
rende questo spazio un antesignano del plan libre di Le corbusier. Questa
soluzione caratterizzata dallo svuotamento dei piani inferiori per gli edifici
che abbinano funzioni commerciali e residenziali – Miethaus – è uno dei temi
sul quale gli allievi della Scuola di Wagner sono chiamati a esercitarsi, preceduti dallo stesso maestro nell’ankerhaus a Vienna (1895) (28). e a Trieste
(24) S. Benco, Trieste... op. cit., p. 144.
(25) M. PozzeTTo, Max Fabiani, op. cit., pp. 176-178, 204; a. BoiTi, Casa Bartoli, Trieste 1872-1917 Guida... op. cit., pp. 249-252; F. PioVeSan, e. MaRTin, Studio di
Casa Bartoli, tesina corso Storia delle Tecniche architettoniche, Facoltà di ingegneria
Trieste, aa. 2009-2010.
(26) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n.
44845/1905-F. 3/10-1/1905, dd. 27.6.1905.
(27) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n.
36769/1906, F. 3/10-1/1906, dd. 29.5.1906.
(28) La Scuola di Wagner… op. cit., pp. 44-49; L. GRueFF, Disegni della Wagnerschule, Firenze 1989, pp. 11-13; e. GoDoLi, La Wagnerschule, in Vienne architecture
1900 a cura di F. BoRSi, Paris 1985.
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Diana BaRiLLaRi
Max Fabiani, casa Bartoli in piazza della Borsa, Trieste, 1905-1906 (archivio privato).
saranno gli edifici di Fabiani – Narodni Dom e casa Bartoli – a offrire il modello al quale faranno riferimento Romeo Depaoli nelle case Terni-Smolars
(1907) e Polacco (1908) (29) e Giuseppe Sommaruga con palazzo Viviani-
(29) e. GoDoLi, Trieste, Roma-Bari 1989, (2 ed.), pp. 182-183.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Romeo Depaoli, casa Polacco, corso italia via imbriani, Trieste, 1908 (foto alida cartagine).
Romeo Depaoli, casa Terni Smolars, via Dante alighieri via San nicolò, Trieste 1907
(foto alida cartagine).
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Diana BaRiLLaRi
Giberti (1907) (30). il conflitto innescato sulla facciata di casa Bartoli si risolve con il compromesso proposto dal progettista che fa germogliare dal cornicione una decorazione con foglie d’acanto e motivo a rombi (31) che si
estende lungo le quattro lesene che suddividono la facciata, quindi impiegando» pietra, marmo e mosaici in vetro nella parte inferiore» (32) e «poliornando i cassettoni della cornice e dei soffitti delle piastre in cemento armato». La facciata posteriore su via delle Beccherie proprio per la posizione
defilata conserva invece lo schema decorativo tanto avversato, composto da
fasce orizzontali di intonaco e nella parte inferiore al posto del rivestimento
in pietra si impiega il cemento la cui superficie è trattata a bugnato.
Giorgio Zaninovich, un allievo della Wagnerschule a Trieste
Dopo aver frequentato la Scuola di Wagner nel 1902 Giorgio zaninovich fa ritorno a Trieste e comincia subito la sua attività di progettista e imprenditore edile (anche se conseguirà la licenza di costruttore edile autorizzato solo l’anno dopo) mettendo a frutto l’esperienza fatta all’accademia, ma
anche di collaboratore presso la Pittel & Brausewetter (33) una delle maggiori
imprese di costruzione dell’impero: la sua condizione di studente e lavoratore
gli consente di verificare le nozioni che apprendeva a lezione e che erano
sviluppate a livello teorico nel testo di Moderne Architektur, sul quale si fonda il progetto pedagogico di Wagner che, per sua stessa ammissione, specificava di aver scritto «una guida ai suoi allievi in questo settore artistico». Ma
accanto alle motivazioni di ordine didattico, il testo era arricchito dalle riflessioni maturate a seguito dell’esperienza compiuta in campo professionale
proprio in quegli anni: dopo aver vinto il concorso per il piano regolatore di
Vienna (1892-93) nel 1894 Wagner ebbe l’incarico di progettazione delle
(30) D. BaRiLLaRi, L’architetto Sommaruga a Trieste e il palazzo liberty lungo il
viale, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXVii (cXV della raccolta), 2007,
pp. 359-384.
(31) Lo stesso pattern era stato utilizzato da Fabiani per la facciata della cassa di
Risparmio slovena a Gorizia del 1903, ora demolita, in Max Fabiani nuove frontiere
dell’architettura, cat. mostra a cura di M. PozzeTTo, Venezia 1988, p. 149. Secondo
Pozzetto il motivo a losanghe era riferibile alla chiesa di san Miniato al Monte, un
monumento che Fabiani aveva visitato durante il lungo viaggio di studio ottenuto con
la borsa Ghega.
(32) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n.
36769/1906, F. 3/10-1/1906, dd. 29.5.1906.
(33) Fondata nel 1870 a Bratislava da un ingegnere (Victor Brausewetter) e da un
produttore di cemento (adolf Pittel) la ditta inizialmente si specializza nella realizzazione di condotte fognarie, quindi si passa ai ponti e agli edifici civili.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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opere edilizie della metropolitana viennese, vale a dire lo sviluppo in senso
architettonico di una moderna infrastruttura, dai muri di riempimento e sostegno, ai parapetti, alle inferriate, dai ponti agli ingressi delle gallerie, oltre alle
stazioni. Se agli architetti della generazione precedente, quelli che avevano
realizzato il Ring per intendersi, era toccato in sorte di confrontarsi con tipologie consolidate dalla tradizione – palazzi, teatri, edifici di rappresentanza e
pubblici –Wagner si misura con un tema prettamente ingegneristico, che rappresenta una sfida poiché il linguaggio che si adopera fa riferimento al collaudato vocabolario dello storicismo e dell’eclettismo: soluzioni obsolete secondo Wagner che trasforma in occasione quello che poteva sembrare un incarico
di minore importanza sotto il profilo della progettazione architettonica, data
la preponderante presenza del fattore tecnico. ecco profilarsi per l’architettura un nuovo campo di intervento originato dall’impiego dei nuovi materiali e
dalle tipologie che vengono realizzate per soddisfare i bisogni della società
contemporanea. a una modernità interamente declinata secondo il paradigma
della tecnica, Wagner contrappone la necessità dell’arte
«L’ipotesi che l’utilitarismo possa soppiantare completamente l’idealismo
[…] è errata; come la deduzione che l’umanità possa vivere senza l’arte:
si deve invece ammettere che l’utilitarismo e il realismo anticipano quei
fenomeni che dovranno condurre all’arte e all’idealismo». (34)
Si comprende come l’incarico per la progettazione delle «opere edilizie» della metropolitana costituisse per l’architetto una opportunità straordinaria, un laboratorio nel quale testare in tempo reale le istanze della modernità e far crescere un nuovo linguaggio espressivo. Questo percorso si interseca con la direzione della Meisterklass di architettura che permette di travasare nella didattica quanto si va maturando nell’esperienza professionale.
L’incarico professionale di zaninovich comporta la progettazione della parte
architettoniche di alcune opere di ingegneria, in particolare i ponti, tra i quali quello del Giubileo imperiale a Lubiana, quello sullo «Swarza a Payerbach, l’hohebrücke sul Graben a Vienna, il ponte sul Langbadbach a ebensec e uno a Varsavia» (35). La brochure dell’impresa conservata nell’archivio
(34) o. WaGneR, Architettura …, op. cit., p.
(35) n. caRBoni Tonini, L’attività triestina dell’architetto Giorgio Zaninovich, in
«Quaderni Giuliani di Storia», V, n. 1, 1984, p. 242; F. PioVeSan, Un protagonista
dell’architettura modernista a Trieste: l’architetto Giorgio Zaninovich, tesi di laurea
triennale, Facoltà di ingegneria di Trieste, corso di laurea ingegneria edile, relatore D.
BaRiLLaRi, a.a. 2008-2009, id., Un protagonista dell’architettura modernista a Trieste: l’architetto Giorgio Zaninovich, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXX/2
(cXViii/2 della raccolta), 2010, pp. 329-347.
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Diana BaRiLLaRi
Giorgio zaninovich, ponte del Giubileo imperiale a Lubiana, 1900-1901 («Der architekt», 1903).
storico di Porto vecchio a Trieste – da attribuire al fatto che nel 1901 fu incaricata di realizzare il magazzino 2 (Kaffeemagazins) – ha consentito di individuare un altro stabilimento costruito, si tratta dello Jutificio Triestino (36),
(36) a. GaMBaRDeLLa, Sistemi costruttivi innovativi negli edifici del nuovo manicomio di Trieste 1903-1908, tesi di laurea triennale, Facoltà di ingegneria di Trieste, corso
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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realizzato nello stesso anno, nel quale fu impiegato il sistema Matrai. La
Pittel poi, in qualità di impresa specializzata nelle opere in calcestruzzo armato, ebbe l’incarico di costruire le fondazioni del Palazzo della Luogotenenza in piazza unità e nel 1904 vinse la gara d’appalto per i padiglioni del
nuovo frenocomio di San Giovanni (37), dove vennero applicati alcuni dei
brevetti che aveva in esclusiva, in particolare Matrai e Melan. L’impiego
presso la Pittel & Brausewetter per l’allievo della Scuola di Wagner ha la
funzione di un laboratorio dove mettere subito a frutto quanto andava apprendendo a lezione, anche perché proprio i ponti e i viadotti erano infrastrutture alle quali lo stesso Wagner dedicava molta attenzione, non solo in
quanto facevano parte del tracciato della metropolitana, ma anche perché
l’incarico conferitogli comprendeva la sistemazione delle sponde del Donaukanal: il tema pertanto costituiva un banco di prova molto stimolante. La
soluzione proposta dal maestro andava nella direzione di lasciare a vista la
componente ingegneristica vale a dire la struttura metallica, mentre erano i
piloni a interpretare le esigenze di tipo architettonico. il tema del ponte, particolarmente se realizzato in ambito urbano, nell’ottica di Wagner è di grande
interesse per sviluppare la riflessione sulla modernità, poiché è riconducibile
sia all’urbanistica che all’architettura e all’ingegneria. a tale proposito si può
prendere a modello la chiusa di nussdorf (1894-1898) dove a guardia dei
piloni sono sistemati dei leoni stanti, che evocano con il loro metaforico
ruggito lo scorrere impetuoso dell’acqua. i quattro draghi in bronzo con le
fauci spalancate e la coda arrotolata che troneggiano sui piedestalli posti
all’imbocco e i lampioni in bronzo a foggia di candelabri in testa ai parapetti,
conferiscono al ponte del Giubileo di Lubiana (1900) una nota decorativa
che appare ben coordinata alla parte strutturale in calcestruzzo armato. a
Lubiana infatti non viene impiegato il metallo a vista ma il sistema Melan
che trovava applicazione soprattutto nei ponti e costituiva uno dei brevetti
acquisiti dalla Pittel. La pubblicazione del ponte di «Georg zaninovich» su
«Der architekt» (38) la rivista che ospita opere e progetti della Scuola di Wagner e degli esponenti della Secessione, coincide con la conclusione del suo
periodo di formazione e vale come un diploma di merito, confermato anche
dalla pubblicazione di un altro progetto, questo non realizzato, di una
di laurea ingegneria edile, relatore D. BaRiLLaRi, correlatore e. VaLcoVich, a.a. 20082009; id., Sistemi costruttivi innovativi nel nuovo manicomio di Trieste, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXX/2 (cXViii/2 della raccolta), 2010, pp. 383-397.
(37) D. BaRiLLaRi, L’architettura per il frenocomio di Trieste, storia di un progetto e della sua realizzazione, in L’ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste.
Storia e cambiamento 1908-2008, cat. mostra, Milano 2008, pp. 127-128.
(38) «Der architekt», Viii, 1902, p. 9.
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Diana BaRiLLaRi
otto Wagner, chiusa di nussdorf a Vienna, 1894-1898 («Wiener neubauten»).
Miethaus con il pianterreno svuotato e occupato da una vetrata continua,
frontone curvilineo compreso tra le testate dei due pilastri che chiudono la
facciata (39). il progetto di una «casa villino per la signora Maria Tullingercarbucicchio» in viale Miramare 157 (40) presentato al Magistrato civico il
12 gennaio 1903 e approvato con alcune raccomandazioni, risulta modificato
rispetto al progetto conservato nell’archivio disegni del comune di Trieste,
sono scomparse infatti decorazioni di impronta secessionista, come le teste
leonine poste tra le finestre dell’ultimo piano, i ferri battuti dei balconcini, la
cornice ondulata con palmette posta a chiusura del frontone a gradoni che
incornicia la parte superiore dell’edificio. in altri progetti per case di abitazione, via Pauliana 6 e via Gozzi 3 fanno la loro apparizioni elementi tratti
dall’architettura medioevale e quelli secessionisti si ritraggono, per riemergere con maggior decisione nel progetto per la sede della Società Triestina
(39) ivi, tav. 35.
(40) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n. 2492/1903,
F. 3/10-1/1903, dd. 12.1.1903.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Giorgio zaninovich, Miethaus, 1902 («Der architekt», 1902).
austria (1904) con la sagoma dell’ingresso a tre quarti di cerchio sull’esempio di padiglioni espositivi di Wagner o Joseph Maria olbrich. a questi modelli aveva fatto riferimento nel progetto presentato al concorso indetto
dall’imperial Regia Luogotenenza di zara per l’educandato superiore fem-
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Diana BaRiLLaRi
minile della Fondazione San Demetrio nel 1901 (41) e nei coevi progetti per
un casinò da gioco a Lesina e caffè e ristorante a zara (42). Gli insegnamenti impartiti a Vienna sembrano stingersi a contatto con l’atmosfera ecletticostoricista dominante a Trieste, tanto che la facciata dell’edificio presenta
una finestra continua costituita da aperture archiacute con le colonnine modellate sul tipo del chiostro di Monreale, dove le bifore si alternano a una
finestra cieca. il bugnato che riveste la zona basamentale è in pietra artificiale modellata con pezzature irregolari che conferiscono alla superficie un
contrasto chiaroscurale con effetto da «non finito». in questo edificio si possono già vedere i prodromi del futuro percorso di zaninovich che affronta la
storia adoperandosi per modernizzarla, in questo allineandosi con l’evoluzione in atto a Vienna a opera dello stesso Wagner, di Fabiani e hoffmann,
tutti impegnati in un confronto con il linguaggio classico, in particolare
quello rinascimentale e barocco. Tale svolta può essere sintetizzata nella
copertina di «Der architekt» disegnata da emil hoppe per l’annata 1906,
dove alla chiesa del manicomio dello Steinhof si affiancano la cupola di San
Pietro e il prospetto di un tempio dorico esastilo in una visibile dichiarazione di evoluzione storica dove non restano dubbi sulle matrici di origine. Ma
nella stessa famiglia zaninovich il fratello minore Giovanni (detto Gino) (43)
aveva intrapreso il percorso formativo per diventare architetto e si era iscritto alla Meisterklass di architettura dell’accademia di Vienna diretta da Friedrich ohmann fautore di una riflessione sul classicismo più moderata rispetto a quella proposta da Wagner. È curioso rilevare che dei due fratelli è
Giovanni a detenere il numero maggiore di progetti pubblicato in «Der architekt», che pure era la rivista che dava ampio spazio alle proposte degli
allievi di Wagner; a firma di Johann zaninovich esce nel 1906 il progetto di
una villa a Trieste (44), nel 1907 la tavola acquerellata con l’interno del duo-
(41) n. caRBoni Tonini, L’attività triestina… op. cit., pp. 242, 250.
(42) ivi, pp. 247-248, 250.
(43) Giorgio zaninovich (Spalato 1876 – Buenos aires 1946) è il maggiore dei
tre figli maschi di antonio zaninovich, celebre esploratore polare che aveva preso
parte alla spedizione della Tegethoff. Giovanni (Gino) nasce a Spalato nel 1882 e con
la famiglia si trasferisce a Trieste nel 1887. Vi è poi un altro fratello, Francesco, che
risulta in società con l’impresa di costruzioni zaninovich che in una prima fase ha la
propria sede in porto vecchio. Secondo e. LuccheTTa (Gino Zaninovich architetto,
tra i protagonisti del neofiorentino triestino, in «archeografo Triestino», serie iV,
vol. LViii, cVi della raccolta, 1998, pp. 141-167), dopo Vienna Gino si reca a studiare architettura a Graz e solo nel 1912 ottiene l’autorizzazione di costruttore edile
a Trieste, superando l’esame di fronte alla commissione della quale fa parte il fratello
Giorgio.
(44) «Der architekt», Xii, 1906, tavv. 97, 108.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Giovanni zaninovich, casa in riva Mandracchio a Trieste, 1908 («Der architekt»,
1908).
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Diana BaRiLLaRi
mo di Parenzo (45) a corredo di un articolo e nel 1908 una casa a Trieste
sulla riva Mandracchio (46). La villa, ma soprattutto la casa d’abitazione,
presentano gli elementi caratterizzanti il linguaggio delle forme rinascimentali, aperture a tutto sesto, bugnato, capitelli e colonne restituiti in maniera
filologica, privi di quella capacità critica di interpretazione che rende originale il contributo offerto da Wagner.
Un Frenocomio di «assoluta modernità»
Portando all’approvazione del consiglio cittadino nel 1896 il programma al quale dovevano attenersi i partecipanti al concorso internazionale per
la costruzione del nuovo Frenocomio, il podestà Ferdinando Pitteri si dice
certo che il futuro complesso «dovrà avere un carattere di assoluta modernità
e dovrà quindi essere costruito in modo da permettere all’alienato la più ampia libertà compatibile con le sue condizioni». Modernità e libertà sono i due
punti fermi del programma fondato sulle recenti teorie psichiatriche che hanno radicalmente mutato il modo di curare la malattia mentale, proprio a partire dagli spazi in cui la cura viene esercitata, abolendo «muraglie» e «disposizioni simmetriche». Dopo alterne vicende relative all’ubicazione del complesso e alla individuazione del progettista, dal momento che il concorso si
era concluso senza un vincitore, il sottocomitato alle pubbliche costruzioni
presieduto da Geiringer affida nel 1902 l’incarico a Lodovico Braidotti che
nell’arco di tre mesi consegna un progetto che è frutto di un programma medico fondato sulle teorie dell’open door system che prevede un modello a
padiglioni, una tipologia più confacente alla terapeutica liberale che gli psichiatri triestini condividevano con i colleghi tedeschi e austriaci. il Frenocomio è strutturato come una piccola città suddivisa in aree funzionali che si
differenziano anche per lo stile prescelto, dato che la varietà è uno dei principi cardine delle nuove terapie che individuano nel contesto ambientale uno
dei possibili sistemi di cura. Tali principi comportano nuovi criteri distributivi che si basano sulla realizzazione di «quartieri bene distinti e disposti a seconda delle esigenze nel trattamento speciale ad ogni riparto» che procedendo da valle verso monte presentano, le ville per paganti di prima e seconda
classe, i padiglioni per i cronici e quello per la malattie del cuore (Ralli)
l’edificio per la Direzione e l’amministrazione, i padiglioni clinici – osservazione, per agitati, semi-agitati, sucidi e paralitici – i servizi generali – cucina,
(45) ivi, 1907, p. 64, tav. 107.
(46) ivi, 1908, p. 17.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Lodovico Braidotti, Frenocomio di San Giovanni a Trieste, viale principale con i padiglioni clinici, 1903-1908 (archivio privato Trieste).
lavanderia, disinfezione, sala macchine e caldaie, carbonile – il quartiere per
i tranquilli, il villaggio del lavoro (chiesa, casette rustiche, serra, laboratori),
l’ospedaletto per le malattie contagiose e necroscopia. Tale sistemazione è
agevolata dall’orografia del sito, situata «sul dorso di un contrafforte del
monte calvo» la cui pendenza è definita «dolce acclività». Le condizioni del
terreno consigliano di disporre gli edifici perpendicolarmente alla maggior
pendenza e questo spiega l’origine dell’asse viario principale che attraversa
tutto il complesso da valle (via San cilino) a monte (nuova strada per opicina
ora via Valerio), suddividendolo in due parti quasi uguali, una riservata alle
donne a l’altra agli uomini, mentre a metà circa si trovano i servizi generali.
Le architetture dovranno avere un aspetto «vario e gaio, raggiungendo un
concetto artistico con la disposizione delle masse, colla ripartizione dei fori,
col modo di costruzione, coi materiali e col colore. i giardini, i viali e gli orti
completeranno il quadro». Silvio Benco sostiene che Braidotti «s’ispirò per
lo più alla grazia pittoresca e colorita del quattrocento toscano» (47) e tale
(47) S. Benco, Trieste, op. cit., pp. 151-52.
30
Diana BaRiLLaRi
Lodovico Braidotti, la volta del teatrino realizzata con il sistema Melan (archivio
privato Trieste).
valutazione viene confermata dagli edifici ubicati nella parte aperta al pubblico compresa tra l’ingresso fino al padiglione di amministrazione, dove aperture a tutto sesto, le maioliche decorate secondo lo stile di «andrea della Robbia», i ferri battuti modellati sull’esempio del monumento funerario di Piero e
Giovanni de’ Medici di Verrocchio, ma in particolare il loggiato del padiglione
Ralli che ricalca quello dell’ospedale degli innocenti, offrono una riuscita applicazione di quello stile che esprimeva i sentimenti filo-italiani di una parte
della cultura architettonica triestina: l’orientamento non deve sorprendere se si
pensa che uno dei membri della sottocommissione incaricata di seguire la realizzazione del Frenocomio era Ruggero Berlam. Ma non è lo stile la preoccupazione maggiore della committenza che infatti raccomanda di impiegare «entro i limiti di una saggia economia» le migliorie «introdotte dall’arte di fabbricare» oltre che l’uso di «materiali e strutture che riescono a limitare le spese di
manutenzione». La traduzione di queste indicazioni secondo l’auspicio di assoluta modernità comporta l’utilizzo del calcestruzzo armato, che in una città
come Trieste dove i magazzini del porto costituiscono un esempio a livello
europeo in quanto a sperimentazione di brevetti e calcoli, è fattore di ordinaria
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
31
amministrazione. È stato Marco Pozzetto (48) a segnalare l’osmosi tra il porto
e l’edilizia cittadina in termini di impiego del calcestruzzo armato favorito
dalla presenza contemporanea di alcune tra le maggiori imprese di costruzione
italiane e austriache, alle quali si aggiungono quelle locali, creando un contesto che favorisce la sperimentazione. Sono i padiglioni finalizzati alla cura
delle malattie mentali quelli dove l’impiego delle nuove tecniche costruttive
trova corrispondenza nelle forme architettoniche impiegate, per esempio
l’adozione dei tetti piani e la semplificazione più accentuata delle partiture
decorative, mentre la dislocazione sempre diversa dei corpi di fabbrica prima
che all’estetica risponde alle esigenze funzionali che richiedono specifiche
cubature: solitamente gli ambienti più vasti sono quelli destinati a camerata e
sale di soggiorno o da pranzo, cosicché ogni padiglione viene ideato in base
agli spazi e alle necessità legate ai diversi tipi di malati. Riemergono in questo
modus operandi le considerazioni che Fabiani aveva espresso nella lettera alla
commissione edilizia nella quale illustrava le difficoltà di modificare la facciata di casa Bartoli, e trova conferma che la priorità dei parametri funzionali
costituisce un evidente indizio di modernità. negli stessi anni in cui a Trieste
si realizzava il Frenocomio, a Vienna si stava costruendo il grandioso complesso del manicomio am Steinhof per il quale Wagner collaborava in qualità
di consulente per la sistemazione urbanistica, oltre che di progettista della
celebre chiesa di St.Leopold (1902-1904). come le opere per la metropolitana
anche l’intervento allo Steinhof ha il sapore di una sfida con il tempo presente,
da un lato con grandi opere di infrastrutturazione rese possibili dallo sviluppo
dei mezzi di comunicazione, dall’altro un diverso approccio alla malattia
mentale che richiede di studiare una nuova tipologia di ospedale. a Trieste
come a Vienna viene realizzato un teatro, struttura che secondo il dottor canestrini è necessaria quanto la chiesa, infatti il primo edificio serve «a distrarre
il loro spirito dalla considerazione della sventura propria e di quella degli altri,
di cui sono testimoni», mentre l’altro mantiene «elevato il morale dei malati»
oltre «a conservar loro quei sentimenti religiosi che avevano quando erano
sani» (49). È singolare che nel teatro del Frenocomio triestino coesistano due
aspetti diametralmente opposti, da un lato la volta di copertura della sala teatrale in calcestruzzo armato che costituisce uno degli interventi più complessi
(48) M. PozzeTTo, Cemento armato, materiale nuovo nella scuola di Otto Wagner, in «L’industria italiana del cemento», n. 6, 1981, p. 418; id., Strutture portuali
triestine nella storia delle tecniche architettoniche, in a. caRoLi, Punto Franco Vecchio, Trieste 1996, pp. 73-75.
(49) L. caneSTRini, Note manicomiali, in Bollettino Associazione Medica Triestina, Vi, 1902-1903, Trieste, 1903, pp. 75-98.
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Diana BaRiLLaRi
Lodovico Braidotti, la porta di ingresso al padiglione di amministrazione (archivio
privato Trieste).
dal punto di vista strutturale dell’intero complesso, dall’altro l’intervento decorativo più ricco con il ciclo pittorico affidato a napoleone cozzi. il sistema
Melan impiegato per il teatrino di Trieste (50) è lo stesso che zaninovich aveva
(50) G. coSoLini, Il teatro dell’ospedale psichiatrico di Trieste: storia, architettura e confronti, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXX/2 (cXViii/2) della
raccolta, 2010, pp. 287-302.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Lodovico Braidotti, progetto del padiglione per uomini semiagitati, 1903-1908 (archivio Pianificazione urbana comune di Trieste).
usato per il ponte a Lubiana infatti costituiva uno dei brevetti più importanti
della Pittel & Brausewetter: nella foto scattata all’epoca da Strobl la grande
sala con volta ribassata lascia intravedere i tiranti d’acciaio indispensabili per
dare stabilità alla copertura in calcestruzzo armato, ma anche la decorazione
estesa al boccascena e al soffitto. Sia sotto il profilo strutturale che estetico il
confronto più calzante per questa soluzione è quello offerto dalla Saalgebäude
dell’Arbeiterheim di Vienna (1901-1902) (51) dove il sistema utilizzato è quello Melan e l’impresa di costruzioni ugualmente la Pittel & Brausewetter.
L’impiego per la volta del teatro della soluzione più avveniristica e moderna
realizzata nella capitale avviene quasi contemporaneamente e documenta che
nel primo porto dell’impero l’orizzonte è di livello internazionale in particolare sotto il profilo tecnico e strutturale. Mentre la Trieste neoclassica è legata a
una dimensione urbanistica che è quella del borgo teresiano, la diffusione del
Liberty nel tessuto urbano triestino è limitata a alcune aree o parte di strade
(via commerciale, via Boccaccio, piazza cornelia Romana, via Tigor) (52),
(51) J.a. LuX, Das Arbeiterheim, in «Der architekt», iX, 1903, pp. 14-16.
(52) M. LoRBeR, L’architettura a Trieste fra eclettismo e liberty, in Trieste 18721917... cit., p. 79.
34
Diana BaRiLLaRi
il padiglione Viii nel complesso dell’ospedale di S. Maria Maddalena a Trieste, 1908.
pertanto il complesso dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni configurato come una piccola città risulta un unicum nella pianificazione del XX secolo. in ossequio alle richieste di un «sistema misto» nel quale far coesistere
la varietà – i padiglioni disseminati nel parco – e la regolarità – il blocco compatto dei servizi – Braidotti realizza una sistemazione urbanistica che fa riferimento al modello della garden cities inglesi, ma lascia trapelare la conoscenza degli studi condotti a Vienna sui grandi complessi barocchi ai quali si
ispirarono Wagner ohmann Fabiani e divenne uno dei temi affrontati dagli
allievi della Wagnerschule. Se nel 1910 Benco poteva affermare che «Frenocomio e ospizio dei cronici costituiscono una delle opere più grandiose di
civiltà della contemporanea Trieste» (53) con il passare degli anni il complesso
si è trasformato nella «città dei matti» diventando un luogo non visitabile al-
(53) S. Benco, Trieste, op. cit., p. 150: «scaglionati alle faglie del monte che sovrasta al sobborgo di Guardiella, trenta padiglioni aggruppati pittorescamente ascendono con un ritmo alterno di tetti piatti e di rossi tetti spioventi, di grandi arcate e di
fasce policrome, verso un’agile campanile che rizza la sua lancia a frenare quella
scalata. all’armonia del quadro mancano ancora gli sfumati, le chiome degli alberi
che non si piantarono nei giardini. Ma a chi visita il Frenocomio, opera di sagacia e
d’amore, si prepara godimento inatteso quando, alla porta postica dell’edificio centrale, gli apparirà l’armonioso scenario dei padiglioni disposti come quinte intorno alla
grande semplicità della scala di pietre rustiche che porta ai ripiani più alti di codesta
piccola città.»
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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meno fino alla rivoluzione innescata da Franco Basaglia, che proprio da Trieste ha avviato il processo che avrebbe portato alla chiusura dei manicomi in
italia. uno dei primi passi di questa trasformazione fu l’apertura all’esterno,
attraverso concerti, spettacoli, laboratori, feste che dovevano contribuire a
riunire due città che convivevano senza mai incontrarsi. anche per questi
motivi le architetture del Frenocomio, ora finalmente restituite a nuove funzioni che hanno riscattato anni di incuria, sono rimaste sostanzialmente estranee alla storia dell’architettura cittadina e nazionale, mentre all’epoca della
loro realizzazione se ne era compreso il significato non solo estetico, ma soprattutto in termini di sociale. Gli amministratori operanti a Trieste agli inizi
del XX secolo si impegnarono a mettere ordine e innovare molte strutture di
cura e assistenza, infatti oltre ai malati mentali e ai cronici, il comune si occupò di coloro che avevano contratto la tubercolosi per i quali fu realizzato nel
complesso dell’ospedale per i contagiosi di Santa Maria Maddalena il padiglione Viii ideato dall’ufficio tecnico del comune nel 1901 (allora diretto da
ettore Lorenzutti) e costruito dall’impresa De Rin-Pucalovich tra il 1905 e il
1907 (54). Di questo edificio restano soltanto le fotografie a testimoniare l’irrimediabile perdita di pregevoli decorazioni Liberty come le balaustre i ferro
battuto delle terrazze e quelli in pietra e intonaco sulla facciata principale.
Dalle demolizioni si è invece salvata la sede dell’amministrazione (1895)
che Benco definisce «regina delle palazzine toscane più pittoresche» attribuendola a enrico nordio (55).
Uno scenario internazionale per il nuovo Tempio israelitico
Sono due i concorsi indetti a Trieste che vengono pubblicati dalla rivista
«Wiener Bauindustrie zeitung», rispettivamente nel 1896 quello per il nuovo
frenocomio (56) e nel 1903 per la sinagoga (57) e a documentare l’eco internazionale che suscitarono basterebbe scorrere l’elenco dei partecipanti. altro
punto di contatto è che in entrambi i casi non venne conferito il primo premio
né risultò tra i segnalati il progetto realizzato, poiché si preferì un’elaborazio-
(54) L. BacaRini, Lo «spedale per le malattie contagiose» di Santa Maria Maddalena a Trieste, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXVii (cXV della raccolta), 2007, pp. 618-621.
(55) S. Benco, Trieste, op. cit., p. 148. altri edifici di stile toscano sono la Guardia Medica e la redazione del Piccolo di icilio Turri e la villa Panfili sul colle di Gretta di Giacomo zammattio (1911, ora consolato della Repubblica di Serbia).
(56) «Wiener Bauindustrie zeitung», Xiii, n. 47, 20.8.1896, p. 589.
(57) ivi, XXi, 15.11.1903, pp. 63-64.
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Diana BaRiLLaRi
ne ex novo. il miglior risultato in termini di partecipazione è quello conseguito dal concorso per la sinagoga con 42 progetti. Scorrendo la provenienza dei
concorrenti le località più frequenti sono Vienna e Budapest, alle quali seguono Roma, Praga, Brno, Milano, Torino, Venezia, Stoccarda, Stoccarda,
Pressburg, napoli, Parma (58), mentre per quanto riguarda i partecipanti possono essere distinti in due filoni tenendo in considerazione le scelte architettoniche, quello moderno con esponenti della Secessione viennese e i tradizionalisti, il gruppo più numeroso. Presso l’archivio della comunità ebraica e i
civici musei di Trieste sono conservate le tavole dei cinque progetti ai quali
vennero attribuiti i premi (due secondi premi ex-aequo a Theodor Schreier e
ernst Lindner di Vienna (59), ernst Förk e Jiulius Sandy di Budapest, due
terzi premi ex aequo a oskar Marmorek di Vienna, Franz Matouschek e emil
adler di Budapest e premio di consolazione a Giovan Battista Milani) ma
altre indicazioni provengono dalle riviste, in particolare «Der architekt»
dove trovarono spazio quelli più innovativi esclusi dalla rosa dei premiati a
eccezione di Matouschek (60). La rivista ci permette di conoscere il progetto
di otto Schöntal e emil hoppe (61), allievi e collaboratori di studio di Wagner,
e quello di oskar e ernst Felgel (62). non è stato possibile rintracciare le tavole del progetto presentato da un altro ex allievo, Giorgio zaninovich, mentre
alfredo castelliz pubblicò il suo elaborato di concorso nel 1911 in «Wiener
Bauindustrie zeitung (63). La data di pubblicazione del progetto di Matouschek è il 1909 quando ormai l’incarico per la sinagoga era stato assegnato a
Ruggero e arduino Berlam, dopo che era stato sciolto il contratto con l’architetto ungherese, conferitogli nel 1905 dalla commissione di studio al termine
di una seconda fase del concorso a inviti. il motivo che portò all’esclusione
di Matousckhek alla vigilia della presentazione dei disegni al comune per la
licenza di costruzione non viene chiarito neppure nella cronaca pubblicata sul
«corriere israelitico» il 27 giugno 1912, data dell’inaugurazione del Tempio.
Sembra quindi che la pubblicazione su «Der architekt» abbia il sapore di un
risarcimento a fronte di un voltafaccia inspiegabile che nell’articolo viene
sintetizzato con una nota stringata, nella quale si informa come il risultato di
un concorso internazionale sia stato l’assegnazione dell’incarico a un archi-
(58) a. BoRaLeVi, Il ‘Tempio Israelitico’ di Trieste: storia di un concorso, in «Comunità Religiose di Trieste: contributi di conoscenza», Trieste, 1979, pp. 7-28.
(59) il progetto fu pubblicato su «academy architecture and architectural Review», 1905, 1, pp. 138-140.
(60) «Der architekt», XV, 1909, p. 48, tavv. 38-39.
(61) «Der architekt», Xi, 1905, tavv. 13-14, pp. 6-7.
(62) ivi, tavv. 49-50.
(63) «Wiener Bauindustrie zeitung», XXiX, n. 1, 6.10.1911, pp. 2-4,7, tavv. 3-4.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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emil hoppe, otto Schönthal, progetto di concorso per la sinagoga a Trieste, 1903
(«Der architekt», 1905).
tetto locale. Questa parabola ingloriosa è l’altra faccia di una città che appare
scissa in due, poiché se il dato tecnico-scientifico viene recepito in tempo
reale, il cambiamento in termini estetici e formali ha bisogno di tempi più
lunghi e il suo cammino è disseminato di ostacoli. Per quanto riguarda l’an-
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Diana BaRiLLaRi
alfredo castelliz, progetto di concorso per la sinagoga a Trieste, 1903 («Wiener Bauindustrie zeitung»).
nullamento del contratto per la realizzazione sinagoga quanto si può dedurre
dal resoconto sul giornale, è che l’architetto Matouschek non riuscì a soddisfare alcune richieste tecniche, anche se probabilmente ciò che ne decretò
l’allontanamento fu un misto di insoddisfazione legata agli aspetti tecnici, ma
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Franz Matouschek, progetto per la sinagoga a Trieste («Der architekt», 1909).
anche allo stile dal momento che costituiva uno degli elementi cruciali per la
comunità ebraica. Dopo l’emancipazione infatti era determinante individuare una forma che ne interpretasse l’identità, un fattore reso complicato dal
fatto che la «terra promessa» da secoli si trovava sotto il dominio di popoli
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Diana BaRiLLaRi
che professavano il credo islamico. nella relazione accompagnatoria del progetto per il nuovo Tempio israelitico redatta nel 1870 dall’ingegner Geiringer
si trova la condanna dell’uso indiscriminato del «moresco» impiegato in molte sinagoghe dell’epoca, dato che le rende simili a moschee «dimodochè ai
templi recentemente edificati a Berlino, a Vienna ed a Lipsia, non mancano
che le mezzelune sui fastigi, perché s’abbia a ritenerli consacrati al culto
maomettano» (64). Talora il moresco è stemperato dall’uso dello stile romanico o assiro-babilonese ma la nella maggior parte dei casi è presente una reminiscenza orientalista. i tanti Templi che vengono costruiti in tutti i territori
dell’impero asburgico sono quindi il banco di prova anche per gli architetti
che intendono affrontare le sfide della modernità, che si trovano a inventare
una tradizione e nel contempo proporne una versione innovativa nella quale
però deve essere riconoscibile il tema dell’identità, che nel variegato mosaico
di popoli dell’impero asburgico era una questione centrale e molto complessa.
il fervore che caratterizza l’emancipazione sotto il profilo edilizio si concretizza in concorsi, tra i quali quello per la nuova sinagoga sulla Leopoldsadt a
Budapest e a Szeged, sempre in ungheria (65); è quindi comprensibile l’interesse suscitato dal concorso triestino e anche la qualificata partecipazione
stimolata da un tema così attuale. Scorrendo i progetti pubblicati all’epoca
riecheggiano le considerazioni espresse da Pudor in merito all’ispirazione
biblico-babilonica in campo architettonico, dove le forme cubiche e a gradoni
ispirate alla ricostruzione dei templi caldei si intrecciano alle basiliche bizantine e alle chiese romaniche, rivelando la propria affinità con le nitide stereometrie del linguaggio modernista ma soprattutto con la bidimensionalità dell’apparato decorativo. il progetto dei Berlam che trae ispirazione «nello stile
della Siria mediana» (66) coniuga antico e moderno accostando cupole, rosone,
bifore, torrione e merlature a un sistema strutturale che offre soluzioni innovative e originali sotto il profilo della sperimentazione. il fascino dei volumi
semplici e il profilo dei corpi di fabbrica, rievocano non soltanto l’arte della
regione siriana dell’hauran, ma anche l’architettura araba e normanna della
Sicilia, riproponendo le diverse fonti d’ispirazione – tra le quali sono compresi gli altri progetti di concorso – in una sintesi efficace che i critici contemporanei apprezzarono definendo il Tempio «originale» (Piero Sticotti (67), cor-
(64) a. BoRaLeVi, op. cit., p. 10.
(65) alcuni progetti vengono pubblicati in «Der architekt» del 1899.
(66) S. Benco, Trieste, op. cit., p. 145.
(67) «ne risultò all’esterno un raggruppamento di masse quanto mai pittoresco e
austero per l’imponenza delle altissime pareti, delle cupole, delle porte, dei finestroni
a rosa, delle sagome potenti, e nell’interno un’architettura leggera, quasi ariosa di
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Ruggero e arduino Berlam, la nuova sinagoga per Trieste, 1908-1912 (archivio privato).
nelio Budinis) (68) e «fantasioso» (Benco). Secondo Marco Pozzetto nella
scelta dell’ispirazione siriana Ruggero Berlam fu influenzato dalle ricerche
effettuate per la tesi che attilio Tamaro stava componendo con Strzygowski
sull’architettura romana del Medio oriente. Di questo interesse per la Siria se
ne può trovare una testimonianza nello pseudonimo Baalbek con il quale
arduino Berlam firmò alcuni articoli di argomento architettonico pubblicati
sul «Palvese» nel 1907 (69). Le scelte di stile rischiano di distrarre l’attenzione
da quelle che sono state le scelte costruttive e le tecniche impiegate che abbinarono, come annotava il resoconto della costruzione, quanto di meglio offriva la moderna tecnica dei cemento armato e quella antichissima delle costru-
nicchie, d’arcate, di gallerie, in mezzo a un fasto di luci e di colori e di ricche decorazioni in marmi, in rami, in mosaici, in graffiti.» P. STicoTTi, Commemorazione… op.
cit., p. 11.
(68) c. BuDiniS, Ruggero Berlam (1854-1920), estratto dai fascicoli iii e iV di
«architettura e arti Decorative», i, 1921, p. 22.
(69) P. STicoTTi, L’architetto Arduino Berlam, «La Porta orientale», XXii, nn.
11-12, nov.-dic. 1952, p. 359.
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Diana BaRiLLaRi
zioni a volta romane e bizantine. non è un caso che il Tempio abbia sempre
incuriosito gli ingegneri che ne hanno apprezzato il carattere sperimentale
che rende questo edificio un caso esemplare. Sono realizzate in calcestruzzo
armato le gallerie laterali dei matronei quella dell’organo e le coperture, in
particolare la struttura di quella principale a detta di aulo Guagnini presenta
le caratteristiche più interessanti:
«si tratta, infatti, di uno dei primi esempi in europa di cupole a doppio
guscio sottile in calcestruzzo armato […] Per collegare le due calotte sono
state realizzate nervature distanti, alla base, circa due metri, per complessive ventiquattro travi curve dello spessore di soli 6 cm. Si tratta quindi di
una cupola leggera, resistente, dello spessore di 12 cm (quella interna) e di
15 cm (quella esterna), armate con rete di ferro. La soluzione dei progettisti ha portato alla realizzazione di una cupola leggera, molto resistente, che
non inducesse sforzi di flessione. in corrispondenza della chiave, probabilmente in corso d‘opera, si è provveduto ad inserire un’apertura circolare
vetrata al fine di permettere il passaggio della luce». (70)
oltre agli aspetti innovativi sotto il profilo strutturale Guagnini sottolinea il fatto che il cantiere della sinagoga di Trieste può essere definito un
«modello» meritevole di
«entrare nella storia delle costruzioni, non solo per l’originalità e la validità delle proposte architettoniche, delle scelte tecnico-ingegneristiche e per
il coraggioso approccio al cemento armato, ma anche e soprattutto per il
fatto che un edificio di tali proporzioni è stato realizzato in soli quattro
anni». (71)
«Il nuovo teatro all’Acquedotto»e altri palazzi
Viene pubblicato nel dicembre 1907 sul «Palvese» l’articolo di Baalbekarduino Berlam dedicato all’inaugurazione dell’edificio appena completato
in via dell’acquedotto (ora viale XX settembre) su progetto dell’architetto
milanese Giuseppe Sommaruga: il palazzo è l’unica architettura realizzata al
di fuori della Lombardia inoltre costituisce uno dei pochi esempi di edificio
progettato da un architetto italiano di rilevanza nazionale a Trieste, visto che
tutte le altre opere del Liberty sono di professionisti attivi in città o provenienti da altre località dell’impero asburgico. Ma più che al sentimento di italianità l’arrivo di Sommaruga si può attribuire alle opportunità offerte dal sistema
(70) a. GuaGnini, 1910: un coraggioso approccio al cemento armato. Il caso
della Sinagoga di Trieste, in atti del primo convegno di Storia dell’ingegneria, napoli, vol. pp. 1079-1086.
(71) id., op. cit., p. 1085: dal 6 aprile 1909 al 27 giugno 1912.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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Giuseppe Sommaruga, progetto per palazzo Viviani Giberti, viale XX settembre, Trieste, 1907 (archivio Pianificazione urbana comune di Trieste).
portuale che attira a Trieste imprenditori dinamici come quelli lombardi. in
quegli anni opera a Trieste l’esponente di una famiglia per la quale Sommaruga ha realizzato diversi progetti, si tratta dell’ingegner Pietro Faccanoni che è
socio dell’impresa di costruzioni portuali Faccanoni Galimberti e Piani presente in città dal 1903 e ben conosciuta a Vienna per la costruzione di importanti opere pubbliche. anche il nominativo di Galimberti riconduce all’ambiente lombardo e milanese dei committenti di Sommaruga infatti si tratta
dell’impresa che realizzò l’opera più importante dell’architetto, quel palazzo
castiglioni (1903) che viene considerato un manifesto del Liberty italiano. La
presenza di isidoro Piani è invece tutta triestina e documenta la partecipazione di un professionista molto attivo dove in sinergia con l’ingegner ettore
Luzzatto aveva realizzato il palazzo tra via Battisti e via Donizetti, tra i primi
esempi del Liberty in città. Le riserve manifestate da Ruggero Berlam nei
confronti del nuovo stile sono sostanzialmente condivise dal figlio arduino
che però esprime un giudizio positivo nei confronti del palazzo di Sommaruga, proprio perché l’architetto è riuscito nelle decorazione floreali a ideare
«un tipo nuovo, non copiato da riviste tedesche, non imposto dall’accademismo secessionista, ma liberamente ideato da una fantasia d’artista che
attinge direttamente dalla natura le sue ispirazioni. a questo proposito, no-
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Diana BaRiLLaRi
teremo incidentalmente che va resa grande lode al Sommaruga per aver
saputo fare del nuovo senza mettersi nel codazzo degli imitatori d’oltr’alpe e conservando un organismo statico e solido che mi fa piacere. Qui non
si vedono gli archi deformi arieggianti la forma di un pomodoro infracidito, qui non si vedono le inevitabili bende che, simili a volgari bretelle,
s’allungano stupidamente lungo i pilastri di cemento che fanno i mediocri
moderni. Qui invece v’è un organismo logico ed ornato – invece che con
gli ornati tramandatici dalla tradizione – da fogliami d’ippocastano e da
frutti studiati dal vero, da puttini e donne punto stecchiti, ma reali e, casomai, un po’ rubensiani». (72)
in queste valutazioni espresse con competenza di mestiere, il tema
dell’identità italiana resta sullo sfondo poiché il rifiuto della cultura architettonica «d’oltralpe» è fondato sulla scarsa qualità espressa dagli imitatori,
mentre tra i fattori positivi del palazzo di Sommaruga vi è la decorazione
ispirata al mondo della natura e la sua qualità monumentale espressa in maniera corretta dalle strutture portanti che sono massicce poiché devono sostenere «il forte blocco rossastro». arduino Berlam conosce bene le possibilità
offerte dalle nuove tecniche che impiegano il calcestruzzo armato e consentono di assottigliare pareti e piedritti, ma la sua scelta in termini di linguaggio
espressivo predilige la forma tradizionale della costruzione in muratura dove
da secoli le leggi della statica vincolano a forme che sono coerenti con i materiali e le tecniche impiegate. il palazzo di Sommaruga
«coronato da un cornicione e da un attico di linee larghe e maestose posa,
oltreché sulle spalle delle cariatidi, su pilastroni in muratura alternante i
corsi d’arenaria a bozze con altri di pietra bianca – artificiale, ma molto
ben fatta – che piantano bene e danno uno zoccolo conforme all’imponenza delle murature soprastanti». (73)
anche se le nuove tecniche consentono soluzioni diverse come quelle
applicate nelle Miethaus dove la zona basamentale risulta svuotata per fare
posto alle ampie vetrine dei negozi, il paradosso statico che ne consegue risulta, secondo arduino, sconveniente in termini estetici soprattutto negli
esterni, mentre per l’interno valgono considerazioni differenti. anzi nella descrizione della sala del teatro viene particolarmente apprezzata la mancanza
di colonne e sostegni per la galleria dato che la loro presenza avrebbe disturbato la vista del palcoscenico, facendo «inviperire» gli spettatori. in questo
caso l’ossatura in cemento armato realizzata dalla ditta Weiss e Westermann
di Graz offre una soluzione ideale al problema della visibilità dato che «tutto
(72) BaaLBeK, Il nuovo teatro all’Acquedotto, «il Palvese», i, n. 51, 23.12.1907.
(73) ibidem.
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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il cinema teatro di palazzo Viviani Giberti (archivio privato Trieste).
sta sospeso per propria forza e le tratte, ossieno gli oggetti [aggetti, n.d.r.],
sono pertanto molto forti e vengono caricati da un notevole sopracarico». il
commento di Berlam contiene seppure in modo più articolato le stesse riserve
espresse da Benco che per liberarsi dall’incubo architettonico del detestato
Liberty auspicava era di passeggiare lungo una via dove poter vedere
«un’umile fila d’arcate d’un altro tempo, semplici, coerenti, logiche e gravitanti in perfetto equilibrio» (74). L’architetto e il critico più che essere ascritti
al partito dei fautori della tradizione mettono a fuoco un tema cruciale nel
dibattito dell’architettura modernista, nella quale i nuovi materiali svolgono
un ruolo sempre più rilevante: il problema è quello dell’evoluzione delle forme a seguito delle innovazioni tecniche, un problema che Gottfried Semper
aveva affrontato nel 1849 nell’ambito dell’articolo Der Wintergarten zu Pa-
(74) FaLco, Ozi estivi, op. cit.
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Diana BaRiLLaRi
Le due cariatidi poste ai lati dell’ingresso al cinema-teatro di palazzo Viviani Giberti
realizzate da ambrogio Pirovano (civici Musei di Storia e arte di Trieste).
VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906)
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ris dove manifestava le sue perplessità riguardo l’impiego del ferro nell’architettura, infatti
«il ferro o altro materiale tenace viene prodotto in parte in sottili barre, in
parte in fili. a causa della limitata superficie che queste offrono, esse si
sottraggono alla vista, tanto di più di quanto più grande è l’edificio; e poiché l’effetto di un edificio viene afferrato tramite l’occhio, il materiale
scarsamente visibile non permette di valutare esattamente l’effetto delle
masse, ma solo quello delle superfici». (75)
in questo rifiuto dell’architettura in ferro Pozzetto intravede la difficoltà
di «accettare presupposti effettivamente nuovi di carattere formale come barre e superfici in luogo delle masse con tutti i corollari di carattere psicologico,
filosofico, estetico e di conseguenza anche operativo». a distanza di cinquant’anni dalle considerazioni di Semper permangono alcune delle motivazioni di fondo che impediscono ai nuovi materiali di essere impiegati in piena
coerenza, in particolare quando si tratta edifici a uso pubblico e monumentali,
mentre l’architettura industriale, dei servizi, le nuove tipologie edilizie offrono meno vincoli consentendo un margine di manovra più ampio.
L’aggettivo «rubensiano» che Berlam conia per i puttini che reggono il
balconcino al primo piano e le due cariatidi che troneggiano all’ingresso della sala teatrale (poi diventata cinema eden) è calzante in quanto disegna un
gusto per l’opulenza e le forme compiutamente tridimensionali che non ha
riscontri a Trieste, tanto da diventare in seguito un modello di riferimento, in
particolare negli edifici di via Tigor realizzati da Giovanni Maria Mosco
(1906-1909). contrariamente a quanto accaduto a Milano dove le due figure
femminili discinte opera di cesare Bazzaro vennero fatte togliere dall’ingresso di palazzo castiglioni per motivi di «decenza», a Trieste i due committenti-costruttori, gli ingegneri cesare Viviani e arturo Giberti, erano «fortunatamente privi di quei preconcetti di falsa morale», così l’architetto «poté decorare in pace la sua facciata» (76). L’opulenza dell’apparato decorativo e figurativo è caratteristica dell’architettura di Sommaruga che nella accentuazione
del senso plastico rivela una «simpatia» per il barocco che era stata riscontrata da camillo Boito nel progetto del palazzo milanese, ma da allora avrebbe
costituito la cifra caratteristica dell’architetto. La realizzazione degli ornati a
Trieste fu affidata a ambrogio Pirovano, storico collaboratore di Sommaruga
a Milano, che la realizzò in pietra artificiale, un materiale nuovo che però non
(75) M. PozzeTTo, Contributi filosofici di Gottfried Semper e il linguaggio della
Mitteleuropa, in La Mitteleuropa nel tempo, atti dell’Viii convegno internazionale
icM Gorizia 1973, Gorizia 1981, pp. 93-98.
(76) BaaLBeK, op. cit.
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ambrogio Pirovano, angelo reggibalconcino sulla facciata di palazzo Viviani Giberti,
1907 (foto alida cartagine).
suscitò critiche grazie anche alla grande qualità di esecuzione. il 1907 si chiude anche con un’altra importante novità, a Vienna viene emanata la legge che
regola le costruzioni in calcestruzzo armato e obbliga a presentare i disegni e
i calcoli statici utilizzati: il nuovo materiale ora è regolamentato e entra nella
pratica comune del costruire.
Ringraziamenti: a Gino Pavan, Alida e Paolo Cartagine, Giulia Cosolini, Diana
De Rosa, Adriano Dugulin (Civici Musei di Storia e Arte di Trieste), Oreste Fella
(Archivio Pianificazione urbana comune di Trieste) Andrea Gambardella, Aulo Guagnini, Federico Piovesan, Roberto Scrignari (biblioteca Civici Musei di Storia e Arte
di Trieste), Paola Ugolini (Archivio Generale comune di Trieste). Infine un affettuoso
ricordo di Marco Pozzetto.