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Giovanni Minnucci
Sulle tracce di Bartolomeo da Colle di Val d’Elsa, predicatore dell’Osservanza
Francescana.
A proposito di un libro di Marco Arosio.1
Ho aderito molto volentieri al gentile invito della «Società degli Amici dell’Arte
di Colle di Val d’Elsa», formulato dal suo Presidente, Alessandro Malandrini, e dal
carissimo amico Curzio Bastianoni – un’amicizia, la nostra, di lunga data – a intervenire
in questa occasione per illustrare, brevemente, un testo che rappresenta la dimostrazione
più evidente di come la ricerca – una ricerca seria e rigorosa, condotta direttamente sulle
fonti – possa contribuire a sciogliere alcuni nodi storiografici e a gettare nuova luce sulle
complesse vicende umane di personaggi apparentemente di secondaria importanza.
Già oggetto, ormai un secolo fa, di alcuni studi dovuti a Ernesto Mattone-Vezzi,
la figura del dotto francescano osservante fra’ Bartolomeo da Colle di Val d’Elsa
(«Lingua et memoria disertissimus ac predicator egregius per Italiam et Graeciam
famosus») è riemersa, una ventina d’anni or sono, grazie alle prime proficue indagini di
Marco Arosio (1999, 2003), e a due ‘note’ bio-bibliografiche, risalenti al biennio 20042005, dovute a Saverio Bellomo e ad Arianna Terzi, apparse rispettivamente nel
Dizionario dei Commentatori danteschi e nel Dizionario biografico degli Italiani. La
successiva approfondita ricerca di Arosio, oggetto di queste brevi note – un testo ampio
dato alle stampe postumo, per la prematura scomparsa del suo autore – sollecitata da P.
Cesare Cenci al quale, come un vero e proprio maestro, l’Autore volle dedicare la sua
opera – contribuisce in maniera decisiva a ricostruire, non solo la vita del francescano
colligiano, ma anche ad individuare l’importanza dell’azione di fra’ Bartolomeo in una
temperie culturale, politica e sociale – quella quattrocentesca – caratterizzata da
cambiamenti epocali dei quali, per alcuni aspetti, fu pienamente partecipe anche la
predicazione osservante.
Il riferimento è a M. AROSIO, Bartolomeo da Colle di Val d’Elsa Predicatore dell’Osservanza
Francescana. Uno studio storico-filosofico, a cura di A. NANNINI, Prefazione di I. ZAVATTERO («Flumen
Sapientiae», Studi sul pensiero medievale, 5) Roma, Aracne editrice, 2017. Riproduco, momentaneamente
privo dell’apparato di note, il testo della Conferenza tenuta a Colle di Val d’Elsa l’8 aprile 2022, presso la
sede della «Società degli Amici dell'Arte», Piazza del Duomo, 1.
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Nato nel 1421 dal fabbricante di carta Giovanni di Lippo e Santa – da non
confondere con ser Giovanni di Pietro di Lippo, padre dell’umanista Lorenzo Lippi,
talvolta erroneamente indicato come il fratello del Nostro – studente a Perugia, anche se
non è certo quale delle due Sapientiae perugine frequentasse, nel 1440 Bartolomeo dopo
aver ascoltato la predicazione di Giovanni da Capestrano entra nell’Osservanza
francescana e frequenta il noviziato nel Convento di Monteripido fuori Porta S. Angelo:
un Convento testimone della presenza oltreché del Capestrano, anche di Bernardino da
Siena e di Giacomo della Marca. Le cronache francescane narrano che nel 1446 il
Capitolo generale dell’Osservanza lo abbia eletto Guardiano del Convento romano
dell’Aracoeli: un incarico che sarebbe stato successivamente confermato, anche se appare
piuttosto singolare che, data la giovane età, gli possa essere stato affidato un incarico di
tale rilievo. In ogni caso, il 21 dicembre 1448, un «fr. Bartholomeus de Colle ord. Min.»
risulta tra i promossi al presbiterato. Se dunque, come ha sottolineato Marco Arosio, sono
da assumere con una certa cautela le notizie circa il guardianato all'Aracoeli, possiamo
però essere certi che egli abbia soggiornato in quel luogo, secondo quanto afferma Marco
da Bologna in una lettera indirizzata a Giovanni da Capestrano, il 19 gennaio 1455.
Ma fra’ Bartolomeo era comunque destinato a rivestire ruoli importanti. I timori
nati dopo la caduta di Costantinopoli il 29 maggio 1453 – conquistata da Maometto II –
e la successiva avanzata Ottomana avevano rafforzato le fila dei sostenitori di una nuova
crociata. Nel 1455 Callisto III che, nel frattempo, aveva intensificato la propaganda a
favore della Crociata, scelse fr. Bartolomeo come «nuncius cum amplissima potestate
apostolicae sedis». Egli predicò e riscosse decime ed elemosine per finanziare l’impresa
a Narni, Rieti, Terni, Tivoli e presso l'abbazia di Farfa in Sabina; nulla rimane della
predicazione di questi anni, salvo l'indiretta testimonianza del suo Tractatus de fide.
Completato tra il luglio e il dicembre 1461 tra Velletri e Narni, il Trattato si compone di
singole esposizioni delle diverse parti del simbolo niceno; ma è soprattutto la compagine
di testi allestita nel manoscritto autografo che lo conserva (Vat. lat. 7618), comprendente
passi dai Padri della Chiesa, citazioni classiche e dantesche, organizzati in complessi
indici, che porta a leggervi una raccolta funzionale alla predicazione.
Nel frattempo, e comunque prima del 1458, Bartolomeo dovette ricoprire la carica
di vicario provinciale di Candia e di Terrasanta; in quell'anno, infatti, il Capitolo generale
istituì «Bartholomeum de Colle, Candiae sive Cretensis insulae Vicarium», commissario
e visitatore del convento del monte Sion di Gerusalemme. Sotto il pontificato di Pio II
(1458-1464) Bartolomeo diventa nunzio apostolico e predicatore pontificio nella Marca
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anconitana e nella Massa Trabaria, e tale rimane per i successivi nove anni. Sono molte
le fonti storiche che documentano i suoi viaggi: fu nella diocesi di Recanati per la raccolta
delle indulgenze, tenne dei quaresimali a Orvieto nel 1463, nel 1464 era ad Ancona da
cui raggiunse Ascoli e Pesaro; ad Ascoli il 4 marzo 1464 raccoglie 1000 ducati per la
Crociata; ad Ancona 253. E proprio ad Ancona l’idea della Crociata – che comunque
aveva incontrato soverchi problemi – avrà termine con la morte di Pio II avvenuta il 15
agosto 1464.
Bartolomeo – come del resto non pochi membri dell’Osservanza minoritica – era
celebre anche per le sue prediche contro l'usura. All'interno di quella che potrebbe essere
definita una vera e propria teoria economica francescana, i frati minori iniziavano –
ancorché non senza contrasti all’interno della stessa Osservanza – ad elaborare teorie
contro l’uso improduttivo del denaro e furono determinanti nel sostenere la fondazione
dei Monti frumentari e dei Monti di pietà. Possiamo leggere nel Tractatus de
confessione di Bartolomeo una distinzione delle diverse forme dell'usura, e il suo
contributo sulla questione che si svolse sovente sotto forma di polemica antiebraica. Nel
1463, fra l’altro, il Nostro promosse la fondazione del Mons Christi di Orvieto, secondo
Monte di Pietà in Italia dopo quello di Perugia. Un tema, quello del Monte di Pietà
orvietano – approvato da Pio II il 3 giugno 1463, proprio su istanza di fra’ Bartolomeo –
che Arosio approfondisce in alcune pagine assai pregevoli ponendo in evidenza come
l’istituzione del Monte fosse finalizzata a porre un argine alle usurae. Tema complesso,
quello del divieto, che ovviamente non può essere in questa sede oggetto di ulteriori
approfondimenti, che si fondava su passi del Vecchio e del Nuovo Testamento (Ex. 22.2426; Deut. 23.19-21; Lc. 6.35), oggetto di riflessioni nell’età medievale da parte della
dottrina giuridica e teologica. Basterà ricordare, ai nostri fini, che il prestito a interesse
dei Monti di Pietà venne considerato non usuraio a condizione che l’interesse non fosse
espressione di uno scopo di lucro, ma il legittimo rimborso delle spese di funzionamento
della banca: il centro della questione era dunque lo scopo di quell’interesse, lo «spirito»
di quella piccola somma aggiunta al capitale (circa il 5%). Lo spirito non doveva essere
il lucro, ma la copertura dei costi. Vi era, inoltre – e in questa sede vi si può solamente
accennare – un tipo di interesse che era soltanto la giusta compensazione per alcuni aspetti
inerenti alla stessa attività economica e commerciale: il fattore rischio. I francescani
compresero
che
se
i
mercanti
non
avessero
incluso
la
remunerazione
del rischio nell’ambito dei loro contratti, quell’attività non si sarebbe potuta sviluppare, e
sarebbe stato un grave danno per le città: pagare un premio assicurativo per le imprese
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marittime o a chi prestava i capitali per una lunga missione commerciale in Oriente, era
ben diverso dal prendere denaro a usura da un banco. Di qui tutta una serie di riflessioni
teologiche e canonistiche, con l’individuazione di numerose fattispecie, attribuendo un
ruolo centrale a un istituto caratterizzante tutta l’età medievale – la publica fama – che
consentiva di distinguere un usuraio da un mercante. Come è stato rilevato:
«nell’economia, e in ogni ambito complesso della vita, l’attività economica che uccide e
quella che fa vivere si intrecciano ogni giorno, in ogni luogo. Solo chi sa entrare, per
amore della propria gente, nelle midolla vive di questo intreccio riesce a servire
l’economia e la vita. Il resto è, ieri e oggi, astratto moralismo, che finisce quasi sempre
per nuocere alle persone oneste. Tutto questo l’Economia di Francesco lo sapeva,
l’Economia di Francesco lo sa». Un tema – quello economico – che appare anche in un
altro ambito oggetto della predicazione osservante: quello relativo alla repressione del
lusso (le cd. Leggi suntuarie). Apparentemente finalizzato in maniera esclusiva alla
moralizzazione dei costumi medievali, le disposizioni statutarie, spesso sollecitate dai
predicatori osservanti che attraversano gran parte della Penisola, sono finalizzate ad una
più equa distribuzione della ricchezza da perseguire attraverso la promozione del
commercio e lo sviluppo di una corretta economia di mercato, anche tramite la
devoluzione ai Monti di Pietà di quanto viene riscosso a titolo di ammenda.
Ma torniamo alle vicende di fra’ Bartolomeo. Nel maggio 1475 sarebbe stato
riconfermato vicario provinciale in Candia, ma preferì il ritiro nel convento di S. Lucchese
a Poggibonsi. Della nomina a guardiano di quel convento nell'aprile dello stesso anno dà
notizia egli stesso nell'epistola del 28 maggio 1475, indirizzata a Lorenzo de' Medici,
nella quale «scribit ut subsidium, quod pro reparatione ecclesie S. Luchesii ad Podium
Boniti ei promiserat, largiatur». Lettera alle quali seguono ulteriori due missive dell’11
dicembre di quell’anno, e del marzo-aprile 1478, senza peraltro alcun cenno di risposta.
Ultima traccia di una vita densa di avvenimenti che deve essere considerata anche il
termine dopo il quale (post-quem) va ascritta la sua definitiva conclusione non essendoci
ancora prove certe circa la sua data di morte.
Autore del Tractatus de fide e di un Tractatus de confessione, predicatore
autorevolissimo, trascrittore di passi (florilegi) tratti da Agostino, Girolamo, Cipriano,
della Legenda beati Luchesii di Bartolomeo de' Tolomei (1477), postillatore, oltreché
trascrittore, della Commedia dantesca, Bartolomeo da Colle fu dunque – come emerge
dalle belle e innovative pagine di Marco Arosio, frutto di una pregevolissima ricerca a
tappeto sulle fonti - un uomo di elevata cultura, un predicatore di indiscutibile fama, un
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frate dell’Osservanza francescana di indiscussa autorevolezza. Queste stesse pagine, per
il fatto che hanno visto la luce per la cura attenta e preziosa di Andrea Nannini, essendo
l’autore prematuramente scomparso, costituiscono un eccellente studio che, se da un lato
contribuiscono a gettare sprazzi di vivida luce sulla vicenda umana del francescano
colligiano, dall’altra dovrebbero indurre la storiografia – come giustamente sottolinea il
curatore – a proseguire nelle indagini, condotte da Arosio con grande accuratezza e
acribia, nel tentativo di sciogliere quei nodi storiografici che ancora richiedono studio e
approfondimento, nel tentativo di continuare «il cammino, come avrebbe forse fatto, se
ne avesse avuto la possibilità, l’autore stesso».