26. Ludovico Ariosto
(Reggio Emilia 1474 - Ferrara 1533)
Fabrizio Clerici
(Milano 1913 - Roma 1993)
Ludovico Ariosto, Orlando furioso. Introduzione di Riccardo Bacchelli. Tavole e illustrazioni di Fabrizio Clerici,
Milano, Electa, 1967.
3 v.: XVIII, 340 p.; 80 c. di tav., alcune doppie; 78 c. di tav., alcune doppie ill.
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nella Tradizione Letteraria.
Fabrizio Clerici, pittore, incisore e scenografo, è stato
uno dei più importanti artisti di indirizzo surrealista e
metafisico del secolo scorso. Nato a Milano, nel 1920 si
trasferì con la famiglia a Roma dove si laureò in architettura nel 1937. Le impressioni della Roma controriformista e barocca – trasfuse in celebri quadri come il Sonno
romano (1955) – furono essenziali per la formazione della sua poetica, così come l’incontro nel 1936 con Alberto
Savinio, che per primo lo indusse a dedicarsi alla pittura,
e lo influenzò non solo dal punto di vista puramente artistico ma anche culturale. Quella di Clerici – amico e
collaboratore di scrittori quali Cocteau, Sciascia, Perec
e Consolo – è infatti una pittura colta, profondamente
pervasa da riferimenti non solo all’archeologia, all’architettura e alla tradizione storico-artistica ma anche letterari e mitologici. Essi continuamente emergono nelle sue
scelte tematiche e iconografiche, e caratterizzano i diversi
cicli che marcano le tappe principali della sua carriera.
Fin dagli anni Quaranta, e poi lungo tutta la sua vita,
Clerici si dedicò all’illustrazione di testi letterari, tanto
contemporanei quanto classici, attività che lo portò a
tradurre in immagini opere come il Milione (1970-72), le
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Metamorfosi (1978-79) e l’Orlando innamorato (199192). Nel 1961, inoltre, aveva illustrato in dodici tavole
il Principe di Machiavelli; nel 1964 pubblicava il Satyricon, e nello stesso anno iniziava a lavorare alla serie di
disegni e acquerelli per l’Orlando furioso. L’opera – un
lavoro capillare di trasposizione visiva del poema ariostesco – lo occupò per ben tre anni: solo nel 1967 uscirono presso l’editore Electa di Milano, con prefazione
di Riccardo Bacchelli, i tre volumi (due di tavole e uno
riservato al testo con piccoli bozzetti al principio di ogni
canto) della grande edizione d’arte. I materiali originali
furono esposti a più riprese, nei decenni successivi, in
varie mostre, a testimonianza di quanto l’artista tenesse
a questo lavoro.
Clerici, attratto soprattutto dalla dimensione visionaria e dalla ricchezza di situazioni fantastiche del poema ariostesco, vi si accosta con un metodo che coniuga automatismo e lucida progettazione. L’artista stesso
ha spiegato, in un’intervista televisiva concessa alla Rai
(«Approdo» 1967), di avere subito il fascino della «grandiosità delle invenzioni» ariostesche e di aver scoperto
nel poema molte situazioni congeniali al suo modo di
intendere la grafica. E, pur essendosi imposto un programma preciso, «architettonico», per organizzare il suo
lavoro, confessa di aver iniziato aprendo a caso il Furioso, lasciandosi ispirare dall’ottava che più aveva attirato
la sua attenzione. Il «segno» adottato nelle 158 tavole
e nei piccoli schizzi ad apertura di canto si trasforma di
volta in volta, e viene modulato a seconda delle situazioni. Quelle «umane», le vicende di armi e d’amori, gli
imponevano infatti «un segno più rapido e più libero»,
mentre il lato magico e soprannaturale della poesia di
Ariosto favoriva composizioni più elaborate e analitiche,
simili a quelle realizzate nelle sue tele.
Facilmente riconducibili alla prima tipologia sono le
tavole più piccole, opere grafiche di grande dinamismo,
raffiguranti spesso scene cariche di una violenza quasi
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espressionistica, o gli enigmatici ritratti, in cui Clerici dà
forma attraverso un groviglio di segni dai colori accesi
ai volti delle eroine e dei paladini ariosteschi, facendoli
emergere dalla malinconica solitudine della pagina bianca (fig. 26.1; tav. 24). Nelle tavole più grandi, non solo gli
episodi in cui è rintracciabile la componente meravigliosa
del poema ma anche le scene di conflitto delle battaglie e
dei duelli sono ambientate in architetture oniriche: a volte scenari rocciosi che ricordano la pittura romantica e i
paesaggi di rovine, a volte arene circondate da spalti che
rimandano insieme al teatro e all’aula di tribunale (fig.
26.2; tav. 71). Non a caso, in quel periodo l’artista stava
riprendendo il ciclo dei ‘processi’, il cui quadro più famoso era Il Minotauro accusa pubblicamente sua madre
(1949-50), che per più versi può ricordare certe soluzioni
grafiche delle illustrazioni ariostesche.
Nel raffinato impasto citazionistico delle tavole di
Clerici compaiono tracce, più o meno occultate, della tradizione illustrativa a lui precedente, dal più ovvio Dorè
(fig. 26.3; tav. 30) alle incisioni librarie cinquecentesche,
il tutto rifuso, come di consueto per l’artista, con suggestioni provenienti dall’archeologia e trasfigurato attraverso rimandi al cinema e addirittura alla fantascienza
(Clerici fu anche un estimatore di Kubrick). Tuttavia,
l’artista traduce qui in figura per la prima volta snodi del
poema mai affrontati prima, proprio in virtù di quell’approccio ossessivamente totalizzante che pervade la sua
idea d’illustrazione, e che lo porta a inserire il suo segno
anche all’interno del corpo tipografico, all’inizio e alla
fine di ogni canto, sotto forma di vignette enigmatiche,
quasi astratte, spesso prive di relazioni apparenti con il
referente testuale. Il Furioso trova attraverso l’opera di
Clerici, e «la libera consonanza fantastica con il gusto
ariostesco» (Bacchelli 1967, p. XVIII) che la contraddistingue, una trasposizione visiva al contempo millimetrica e visionaria, dotata insieme della suggestione dei
piccoli abbozzi e della potenza visiva degli affreschi, e
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che sa dar conto dei singoli snodi narrativi ma anche
della tramatura umana e magica che pervade il poema.
[FB, GR]
Bibliografia: Bacchelli 1967; Briganti 1968; Clerici 1968;
Clerici 1983; Consolo 1987; Millesimi 1988; Clerici 1992;
Pagano 2002; Clerici 2012. Cfr. anche il sito internet http://archivioclerici.com/.
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