articolo
Alcune implicazioni e
problemi bioetici della
diagnosi prenatale
Fernando Fabó, L.C.
Introduzione
ono passati più di 50 anni da quando
si sono intraprese le prime prove di
diagnostica prenatale1. In tutti questi
anni la medicina clinica, la biologia molecolare, la genetica della tecnologia sono progredite molto. Il continuo sviluppo delle
conoscenze scientifiche, soprattutto per
quanto riguarda il campo della genetica, e la
costante evoluzione delle nuove tecnologie,
ci permettono oggi di avere diagnosi molto
precoci di alcune malattie. Il fatto che la
possibilità di intervenire per curare sia ancora
molto scarsa crea numerosi problemi morali.
La situazione si complica ancora di più se teniamo conto della cultura imperante fortemente edonista, e di molti usi sociali che si
stanno consolidando sempre di più, come
per esempio l’aumento dell’età media in cui
viene concepito il primo figlio2. È questo un
fattore di rischio che aumenta, in alcuni casi
considerevolmente, il rischio di malformazioni e di altre patologie congenite com’è il
caso della trisomia 21, più nota come “sindrome di Down”.
Senza dubbio la tecnologia biomedica è di
grande aiuto per la diagnosi di molte malattie, incluse quelle che riguardano la vita prenatale. Queste tecnologie ci permettono di
identificare processi patologici in tappe
molto precoci del suo sviluppo o perfino
prima ancora del suo inizio o della sua manifestazione. Volendo dare una definizione,
possiamo dire che la diagnosi prenatale abbraccia tutte quelle tecniche diagnostiche
S
Studia Bioethica - vol. 2 (2009) n. 1, pp. 36-47
Professore Ordinario
della Facoltà di
Bioetica dell’Ateneo
Pontificio Regina
Apostolorum
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che possono essere effettuate sull’embrione
e sul feto, aventi come fine quello di evidenziare patologie (in maggioranza quelle di
natura malformativa e/o genetica). Sono
cioè quelle tecniche che ci permettono di riconoscere od escludere la presenza di anomalie congenite fetali.
Queste tecniche possono essere classificate
sostanzialmente in due modi diversi:
a) Tecniche invasive di diagnosi prenatale, come
ad esempio l’amniocentesi, villocentesi, la
funicolocentesi e le biopsie dei tessuti fetali.
Queste tecniche permettono di disporre dei
tessuti fetali o degli annessi fetali per realizzare studi biochimici, infettivi e citogenetici.
b) Tecniche non invasive di diagnosi prenatale,
basate essenzialmente sulla diagnostica ultrasonica per immagini (ecografia), velocimetria
Doppler, eccetera. Queste tecniche permettono l’identificazione in diverse tappe della
gestazione di numerose anomalie strutturali
percepite attraverso le onde ultrasoniche, ad
esempio le alterazioni della crescita intrauterina. Permettono la realizzazione di un giudizio globale sullo stato di benessere del
feto3.
Possono essere stabilite altre distinzioni tra le
tecniche, come quelle, ad esempio, in funzione del tempo. Si parla così di tecniche preimpianto (prima dell’impianto dell’embrione
nella matrice), e tecniche post-impianto, cioè,
realizzate dopo l’annidamento dell’embrione
nell’utero materno.
Queste tecniche sono qualificate da azioni o
caratteristiche diverse: la prevenzione, la correzione e la precocità.
Prevenzione significa capacità di una diagnosi
prenatale di poter prevenire lo sviluppo o
l’aggravamento di una patologia. Ad esempio,
la diagnosi precoce della spina bifida permette un intervento intrauterino a cui consegue la risoluzione del problema4.
Correzione si riferisce alla capacità di potere
intervenire per correggere la patologia una
volta effettuata la diagnosi.
Precocità si riferisce alla celerità con cui una
diagnosi può essere effettuata. Se includiamo
la diagnosi genetica preimpianto (PGD) tra
le tecniche di diagnosi prenatale è evidente
che si tratta di una delle tecniche più precoci5. Attualmente le malattie genetiche dovute ad alterazione di un gene o di un cromosoma che è possibile diagnosticare in
epoca prenatale sono circa 200 e costituiscono più o meno il 5% di tutte le patologie
ereditarie conosciute6.
La PGD
La diagnosi genetica preimpianto è una procedura tramite la quale viene realizzata
un’analisi genetica su embrioni ottenuti tramite la riproduzione assistita. Lo scopo è
ben chiaro: trasferire nell’utero materno unicamente gli embrioni non difettosi e privi
della carica genetica associata a determinate
malattie7.
Quando una malattia corrisponde ad un
gene dominante presente in uno dei genitori
(se il gene è presente si manifesta), allora esiste il 50% delle possibilità di trasmettere la
malattia. Il bambino o la bambina possono
essere o sani (quando il gene non è presente)
o malati (quando vi è la presenza del gene in
una metà del patrimonio genetico). Quando
si parla di geni dominanti non esistono portatori sani. Ma questa è la teoria.
Nella pratica, tuttavia, sono stati rilevati molti
margini di incertezza e molte cose che ancora non conosciamo bene8. Diversi studi in
corso stanno cercando di dimostrare la presenza di questi geni dominanti per alcuni tipi
di cancro. I risultati però ancora non appaiono concludenti. La ricerca si estende anche
ad altri tipi di malattia non solo tumorale,
come la fibrosi cistica, il morbo di Huntin-
gton o la talassemia. In Inghilterra alcuni ricercatori stanno lavorando su alcune forme
di strabismo e sull’Alzheimer ma siamo ancora all’inizio9.
Abbiamo già fatto menzione, all’inizio del
nostro discorso, della cultura edonistica del
nostro tempo e dei fattori di rischio sociale
di grande attualità (come l’età per concepire
il primo figlio). In questa cornice le tecniche
di diagnosi prenatale rappresentano una
grande sfida per la medicina, non solo nella
pratica ordinaria o nelle sue implicazioni
etiche, ma anche nelle sue diverse implicazioni di tipo giuridico ed economico. Ne
parleremo più avanti. Certamente, le differenze culturali esistenti tra le diverse regioni
del mondo possono caratterizzare in modo
difforme questa problematica. Mentre nei
paesi in via di sviluppo l’applicazione delle
tecniche di diagnosi prenatale può contribuire alla soluzione di numerosi problemi,
nei paesi del primo mondo
un’applicazione esagerata di
queste tecniche diagnostiche Il medico deve relazionarsi
sta portando alla creazione non soltanto con i genitori,
di più problemi senza offrire ma anche con quel piccolo
le necessarie soluzioni10.
paziente che è il bambino
In alcuni casi è possibile dia- già concepito
gnosticare in modo molto
precoce e preciso le malformazioni del nascituro. Allo stesso tempo dobbiamo ammettere - ed esserne ben consapevoli - che
le possibilità terapeutiche sono comparativamente ancora molto basse e in alcuni casi addirittura nulle, come accade - per esempio nella sindrome di Down. La situazione si
complica tenendo conto che il medico deve
relazionarsi non soltanto con i genitori, ma
anche con il piccolo paziente che è il bambino già concepito (possibile portatore di
una patologia), e con la famiglia allargata.
Statisticamente parlando il 2% dei neonati
soffre di un difetto morfologico che può
interessare un solo organo, una zona corporea, oppure può presentarsi associato ad altre
malformazioni, configurando, in questo caso,
una vera e propria sindrome. Molte delle più
comuni malformazioni congenite, ad esempio i difetti del tubo neurale (anencefalìa,
spina bifida, eccetera), il labbro leporino, e il
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palato fesso e numerose cardiopatie congenite sono dovute alla combinazione tra fattori genetici di predisposizione e fattori ambientali che scatenano la malformazione
mediante un meccanismo di trasmissione
che viene chiamato multifattoriale. Necessariamente questo insieme di agenti, che si influenzano a vicenda, rende molto più complicato effettuare una diagnosi corretta. Ed è
molto difficile prevedere con certezza cosa
accadrà oltre11.
Purtroppo tra le varie caratteristiche della
diagnosi prenatale di cui prima abbiamo
fatto menzione (prevenzione, correzione e
precocità) non esiste un rapporto di proporzionalità diretta con l’efficacia terapeutica, ed
è questa la causa principale di una fortissima
problematica etica. In altre parole, la domanda etica che ci si pone è: a cosa serve la
diagnosi prenatale se non c’è possibilità di un
intervento terapeutico? La diagnosi di una
malattia, a questo punto incurabile, non
equivale esclusivamente ad una sentenza di
morte per il nascituro?
Possibilità terapeutica e proposta etica
Schematizzando molto, non potendo fare
altrimenti vista la vastità del tema, possiamo
dire che le posizioni più frequenti in campo
etico riguardanti la diagnosi prenatale nella
possibilità di intervento terapeutico sono le
seguenti:
a) Eutanasia neonatale
È questa la posizione di alcuni conosciuti autori come ad esempio Peter Singer. Il fatto
che alcuni neonati o alcuni pazienti abbiano
gravi danni cerebrali li trasforma automaticamente in “non persone”, in senso morale.
La loro incapacità di sperimentare piacere o
dolore giustificherebbe la loro eliminazione,
sia attiva che passiva12.
Il cosiddetto aborto tera- Alcuni programmi di recente introduzione negli
peutico è in realtà un Stati Uniti sottopongono
aborto eugenetico, che sop- i neonati ad una serie di
prime il paziente e non la prove per scoprire difetti
congeniti. Senz’altro cumalattia
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reranno e salveranno ogni anno migliaia di
vite, su questo non c’è dubbio13. Ma necessariamente, aumentando il numero delle
prove, cresce anche il rischio di falsi positivi.
Il mondo scientifico e i governi sono oggi
alla ricerca di nuove vie per migliorare la formazione dei medici e l’assistenza alle famiglie in questo campo14.
Infatti, il diritto alle cure mediche, quando si
tratta di bambini che presentano patologie
per le quali i genitori pretendono un trattamento, è qualcosa che normalmente viene
garantito nelle società occidentali. Il problema si pone quando alcune legislazioni
permettono di scegliere tra iniziare o no un
trattamento, o permettono di sospendere
trattamenti e cure che potrebbero salvare la
vita. In realtà c’è chi sostiene che la famiglia
di un bambino gravemente malato potrebbe
pretendere la sospensione di ogni trattamento. Che questo sia un diritto legittimo,
quando si ha la certezza dell’inutilità dei
trattamenti, è qualcosa che nessuno discute.
Ma il problema si pone non quando la sospensione dei trattamenti viene proposta
nell’interesse del bambino (ad esempio in
caso di accanimento terapeutico) ma quando
essa viene proposta nell’interesse di terzi, in
primo luogo, della famiglia (la quale potrebbe demoralizzarsi e credere di non riuscire ad affrontare una simile situazione).
È necessario, spiega Carlo Bellieni, essere
chiari per evitare di ritornare alla barbarie
del diritto di vita e di morte sulla prole del
paterfamilias. La politica verso l’infanzia e
l’handicap rivelano in quale tipo di Stato ci
troviamo. Uno Stato moderno si fa carico
dei bisogni, mette al primo posto tutto
quello che riguarda l’educazione, la cultura
e l’assegnazione di risorse economiche a chi
ne ha necessità15.
b) Aborto selettivo-feticidio
Il cosiddetto aborto terapeutico risolverebbe
in radice il problema. Ma in realtà quello che
si sopprime è il paziente, non la malattia! Nei
paesi in cui la legge prevede la possibilità dell’aborto - in realtà aborto eugenetico e non
terapeutico - si procede all’interruzione della
gravidanza in funzione di previste o confermate anomalie o malformazioni del nascituro che possano incidere negativamente
sulla salute psicofisica della madre16. In genere la legge non specifica se si tratta di un
rischio serio e attuale per la salute della madre e neanche fa riferimento alla gravità
della malformazione. In pratica basta la semplice presenza di una malformazione per
giustificare l’aborto.
In realtà, e allargando ancora di più l’orizzonte, si dovrebbe parlare anche di semplici
“rischio” di danno come di fatto succede in
alcuni casi. Dal punto di vista etico e morale
le cose si complicano anche di più.Viene introdotto un altro tipo di ipotesi che ha a che
fare con la diagnosi predittiva e con le predisposizioni genetiche. In altre parole, siamo
passati dalla “presenza”, accertata, di una
malformazione, alla semplice “possibilità” di
rischio di una malformazione o malattia futura.
c) La proibizione totale della diagnosi prenatale
Il 9 maggio del 2007 il New York Times pubblicava un articolo informando che, come
conseguenza di una nuova raccomandazione
dalla scuola americana di ostetriche e ginecologi, i medici avevano cominciato ad offrire un programma di analisi della sindrome
di Down a tutte le donne incinte, indipendentemente dalla loro età. Circa il 90% delle
donne a cui venne diagnosticato che il figlio
o la figlia avrebbe patito questa sindrome
fece ricorso all’aborto17. A questo punto, con
il senno di poi, visto che il risultato a posteriori della diagnosi prenatale di una malattia
o di una malformazione è quasi sempre
l’aborto, alcuni sostengono che andrebbe
proibito questo tipo di prove diagnostiche,
tenendo conto che le possibilità di intervento terapeutico sono molto basse.
A questo tipo di argomentazioni bisognerebbe replicare affermando che si tratta di
una generalizzazione che non risponde alla
realtà delle cose. Oggi la chirurgia fetale appare come una valida alternativa alla chirurgia convenzionale post-natale, soprattutto
per quelle alterazioni fetali che peggiorano
con l’avanzare della gravidanza. In questi
casi si dovrebbe realizzare un trattamento
che permetta al nascituro di arrivare in migliori condizioni in questo mondo per poi
essere curato dopo la nascita. E questo tipo
di interventi sarebbero impensabili senza una
precoce diagnosi di queste malattie.
Negli Stati Uniti si è andata sviluppando
prevalentemente la cosiddetta chirurgia
aperta mentre in Europa si stanno realizzando interventi intrauterini attraverso il fetoscopio18. Attualmente la totalità degli interventi fetali possono essere realizzati
mediante la fetoscopia benché esista un intervento che ancora deve essere realizzato
mediante chirurgia aperta, cioè, la riparazione della spina bifida. Oggi la chirurgia fetale incomincia a scindersi dal suo carattere
sperimentale per apparire come una realtà
già consolidata per più di una decina di patologie e malattie congenite che vanno necessariamente curate prima
Oggi la chirurgia fetale indella nascita:
- l’ernia diaframmatica: l’in- comincia a scindersi dal
testino passa attraverso il dia- suo carattere sperimentale
framma e comprime il pol- per apparire come una
mone. Se non viene curata realtà già consolidata per
in tempo i polmoni si rovipiù di una decina di patonano irreversibilmente.
- ostruzioni renali: questa logie e malattie congenite
anomalia chiude l’uscita
dell’uretere e provocando una dilatazione
progressiva del rene al punto di smettere di
funzionare. Tramite un catetere si può rimandare l’urina nella cavità amniotica. Grazie a questo intervento la sopravvivenza dei
feti si è triplicata.
- sindrome da trasfusione gemellare: accade
quando i cordoni ombelicali dei gemelli rimangono comunicanti e uno di loro riceve
più sangue dell’altro. Tramite l’utero si
chiude la comunicazione tra i cordoni in
modo che venga regolato in modo equo la
nutrizione e l’idratazione dei due feti. La sopravvivenza in questo caso è passata dal 12%
al 42%.
- occlusione del cordone: può capitare
quando in una gestazione gemellare la morte
o la malformazione di uno dei bambini
compromette la vita dell’altro. Si procede al-
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lora alla legatura del cordone per consentire
la sopravvivenza del feto.
- briglie amniotiche: consiste nell’eliminazione di alcuni filamenti duri della cavità
amniotica che possano compromettere le
estremità del bambino o le sue dita.
- rovesci pleurali: tramite un catetere viene
asportato il liquido dai polmoni, liberando
questi e l’addome.
- tumori: alcuni tumori possono arrivare ad
essere più grandi della testa del bambino
compromettendone lo sviluppo. Legando
un’arteria del feto si può riuscire ad impedire
la crescita del tumore e a salvare la vita del
bambino.
- labbro leporino: la correzione intrauterina
di questa malformazione evita altre deformazioni facciali lasciando solo una piccola cicatrice.
- l’anemia fetale: con ago aspirazioni ecografiche tramite il cordone ombelicale viene
somministrato sangue al
L’atto diagnostico ha un feto salvandolo così da
valore etico positivo perché una morte sicura. La soè la premessa per un inter- pravvivenza negli ultimi
15 anni è passata dal 60%
vento terapeutico o assi- al 92%.
stenziale al servizio della - rottura di membrane e
salute e della vita umana perdita di liquido amniotico: succede intorno al
quarto quinto mese di gravidanza. Grazie alle
nuove tecniche la sopravvivenza è passata negli ultimi 15 anni dal 0% al 40-60%.
- scompensi cardiaci e presenza di liquidi in
diverse cavità del corpo fetale: qui la sopravvivenza è passata dal 10 al 60%.
Questi dati19 e l’esperienza accumulata negli
ultimi vent’anni di investigazione dimostrano che la medicina fetale, fatta in modo
etico, può arrivare a risultati prima impensabili, il che restituisce alle tecniche di diagnosi prenatale tutta la loro dignità trasformandole in momento propedeutico per
curare e non per sopprimere.
Oltre a questo tipo di considerazioni di ordine clinico e chirurgico conviene ricordare
che la medicina non è solo funzionale e
fisica e che l’aspetto psicologico ha un ruolo
fondamentale in tutto ciò che riguarda il paziente e della sua famiglia. Le tecniche di
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diagnosi prenatale, oltre a facilitare l’attenzione precoce di possibili patologie, preparano la famiglia all’accoglienza del neonato.
Detto in altre parole: l’eticità di queste tecniche diagnostiche è fuori discussione.
Quello che è necessario, dal punto di vista
deontologico ed etico, è che si faccia un
buon uso di queste tecniche.
Principi etici per una diagnosi prenatale pienamente rispettosa del piccolo paziente
La descrizione dettagliata e sistematica di
tutte le tecniche di diagnosi prenatale invasive e non invasive è qualcosa che sfugge alla
portata di questo lavoro. Abbiamo cercato
piuttosto di concentrare la nostra attenzione
sugli aspetti bioetici coinvolti nell’uso di
queste tecniche e alle conseguenze che derivano dalla loro applicazione, lasciando fuori
di queste considerazioni l’eticità o non eticità delle tecniche nei casi particolari, il che
è qualcosa di complesso che implica una
prudente analisi caso per caso.Tenteremo di
analizzare alcune questioni relative alla stessa
diagnosi. Spiegheremo in che cosa consiste
la proporzionalità terapeutica ed i principi di
un buon accompagnamento. Alla fine cercheremo di parlare riguardo ai problemi che
riguardano il medico e l’operatore sanitario
nel campo della diagnosi prenatale che sono
fondamentalmente: problemi etico morali o
problemi giuridico legali.
Il valore positivo della diagnosi prenatale
Un primo aspetto che va considerato è
quello della stessa diagnosi. L’atto diagnostico
ha un valore etico positivo perché è la premessa per un intervento terapeutico o assistenziale al servizio della salute e della vita
umana. Quello che ulteriormente legittima
l’intervento del medico non è la diagnosi,
come non è il consenso del paziente. È necessario anche tenere in conto la previsione
perché la malattia è una realtà che evolve nel
tempo, è una realtà dinamica, mai statica.
Diagnosticare, dunque, non basta ma bisogna
tener conto di altri elementi, in questo caso
l’accompagnamento di genitori fino alla na-
scita del bambino (dimensione assistenziale),
e la possibilità dell’intervento terapeutico
per modificare la prognosi20.
Forse un esempio ci aiuterà a capire quello
che vogliamo dire: una donna madre di tre
figli si presenta ad una revisione ecografica.
Va da sola perché il marito lavora e non può
accompagnarla. Il tecnico sanitario, donna
come lei, fa l’ecografia di controllo e senza
mezze parole guarda la paziente e le dice
(cito testualmente): “devi abortire, è un
anencefalico”. La paziente rimane senza parole e torna a casa distrutta. Dopo alcuni
giorni, accompagnata da suo marito, va da
un ginecologo specialista che appena iniziata
l’ecografia si rivolge a loro due con queste
parole: “è un maschietto. Quale nome avete
pensato per lui?” In entrambi i casi l’anencefalia è e resta un problema grave ma solo
nel secondo caso la diagnosi realizza veramente la sua funzione positiva21.
Vita e dignità del feto
È questo il primo principio di riferimento
per una diagnosi davvero etica. E questa vita
e dignità del feto è responsabilità non solo
della madre, ma anche del padre e dell’operatore sanitario. Questo implica tra l’altro:
a) che il feto venga trattato come qualunque
individuo adulto.
b) che la diagnosi prenatale sia lecita solo a
determinate e precise condizioni.
c) che il contesto privilegiato per determinare queste condizioni sia il counseling diagnostico.
Principio di proporzionalità terapeutica
Questa proporzionalità riguarda tanto la madre quanto il nascituro. Infatti, devono essere
tutelati la vita e l’integrità fisica di entrambi.
Proporzionalità terapeutica significa che
l’atto diagnostico, così come la decisione terapeutica conseguente, non devono causare
rischi sproporzionati. In altri termini, deve
mantenersi sempre un equilibrio tra i rischi
e benefici.
Questa proporzionalità terapeutica richiede
il rispetto di una serie di condizioni. In
primo luogo è necessario procedere alla luce
di indicazioni mediche oggettive22 che permettano di supporre al di là del rischio per
la madre, un rischio anche per il nascituro, rischio procreativo prevedibile o un rischio fetale durante la gravidanza.
A questo livello possono presentarsi diversi
problemi: il primo, senza dubbio, è la possibilità di falsi positivi. Falso positivo significa
che davanti a determinate prove biochimiche indicative di “possibilità” di rischio o
piuttosto “probabilità” di rischio accade un
errore: viene dichiarato malato chi è sano.
Falso negativo sarebbe il contrario, quando
viene dichiarato sano chi è malato. Il secondo problema riguarda l’uso di prove diagnostiche che riguardano patologie che ancora non sono evidenti o predisposizioni
genetiche verso malattie incurabili.
Da un altro punto di vista “proporzionalità
terapeutica” significa minimizzare il rischio, cioè affrontare il minor rischio pos- Proporzionalità terapeutisibile. È evidente che più è ca significa che l’atto diainvasiva la tecnica diagnostica gnostico, così come la demaggiore è il grado di ri- cisione terapeutica conseschio per la madre e per il
guente, non devono causafeto (possibilità di danno fisico, aborto spontaneo, ec- re rischi sproporzionati
cetera).
Per quanto riguarda questa proporzionalità
non è trascurabile un altro fattore: l’affidabilità del risultato. Non tutte le tecniche diagnostiche prenatali hanno lo stesso grado di
certezza. In molti casi si usano criteri di
probabilità e in questo contesto dobbiamo
capire che un falso positivo può significare
un grave errore, e spesso è una sentenza di
morte.
Principi per l’accompagnamento prima e dopo la
diagnosi prenatale
La verità nel rispetto dei principi del processo comunicativo
Verità in quello che si riferisce alle possibilità,
ai limiti e rischi reali e possibili delle tecniche diagnostiche e delle terapie.Verità anche
sul nascituro, sulle sue condizioni di salute,
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sulla sua identità etica ed ontologica per favorire in questo modo la sua accoglienza.
L’essenza di questo accompagnamento è fornire l’informazione necessaria che garantisca
una piena comprensione delle implicazioni
e delle responsabilità che quella scelta comporta, in modo da “prendere per mano” i
coniugi ed assisterli nel dare il loro consenso
“libero e informato”.
L’obbligo di questo accompagnamento e del
consenso informato sussiste sempre, non bisogna darlo mai per scontato, neanche
quando si tratta di test che vengono applicati
sistematicamente.
I principi che reggono questo processo comunicativo sono la beneficialità e l’efficienza
(certezza del contenuto), il rispetto del diritto di non sapere, confidenza e fiducia, rispetto e comprensione, segreto professionale,
solidarietà alla famiglia nell’accoglienza del
nascituro.
Per quanto riguarda l’obbligatorietà del consenso informato va detto che le donne sottomesse a un test biochimico durante la gravidanza devono essere
Quando si contempla prima informate sulla
l’eventualità, in funzione possibilità di dover affrondei risultati, di provocare tare dopo la diagnosi una
un aborto, la diagnosi decisione riguardante in
prenatale è già viziata un modo o in un altro
l’aborto. Questo implica
nella sua radice
che tutti devono essere
informati opportunamente e chiaramente
sulla possibilità di rifiutare un test. Sia la
donna che la sua famiglia dovrebbero sapere
sempre che le prove di diagnosi prenatale
possono essere il primo passo verso l’aborto
e questo riguarda anche una semplice ecografia. Tutti dovrebbero contare sulla possibilità di un opportuno accompagnamento
alla diagnosi prenatale23.
Libertà e responsabilità
Responsabilità significa qui “nessuno può
rispondere al nostro posto”. Si tratta di decisioni che non possono posporsi e nemmeno delegarsi. Ognuno deve accettare la
propria responsabilità. Sono responsabili il
medico e l’operatore sanitario come è re-
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sponsabile il padre. È responsabile la madre
che deve agire con libertà ma sempre con responsabilità. Questo significa che deve rispondere per il nascituro e che non può
ignorare il padre.
Il medico e l’operatore sanitario sono liberi,
sono responsabili e hanno una coscienza. I
genitori devono agire in coscienza, i medici
anche. Ognuno deve assumere liberamente
la responsabilità che gli compete.
In sintesi: il rispetto per la vita, l’equilibrio tra
i rischi ed i benefici soprattutto per il nascituro, la precisa indicazione medica, il consenso informato è il rispetto della coscienza
sono elementi in gioco.
I possibili conflitti per il medico: responsabilità
verso la vita e il rispetto dell’autonomia personale
A prima vista è evidente che i problemi che
possono presentarsi al medico o all’operatore
sanitario nel campo della diagnosi prenatale
sono fondamentalmente di due tipi come dicevamo prima: problemi etico morali o problemi giuridico legali.
Problemi bioetico-morali
Dal punto di vista etico la diagnosi prenatale,
indipendentemente dai metodi che si adottino, è moralmente illecita quando viene
realizzata con una finalità selettiva, cioè, con
lo scopo di eliminare i bambini handicappati.
Detto in altre parole: quando si contempla
l’eventualità, in funzione dei risultati, di provocare un aborto, la diagnosi prenatale è già
viziata nella sua radice. Quando una diagnosi
certifica l’esistenza di una malformazione o
della malattia ereditaria e si trasforma automaticamente in una sentenza di morte si
perverte l’atto medico nella sua stessa radice:
non fare il male, non nuocere.
Questo implica che la donna che ha richiesto la diagnosi con l’intenzione determinata
e precisa di procedere all’aborto nel caso in
cui il risultato confermasse l’esistenza di una
malformazione o anomalia commetterebbe
un’azione gravemente illecita. Ugualmente
agisce in modo contrario all’etica e alla morale il coniuge, i parenti o qualunque persona
che consigliasse o imponesse la diagnosi prenatale alla gestante con l’intenzione di arrivare all’aborto. In modo simile, lo specialista
che realizzando la diagnosi o comunicando
il risultato della diagnosi, contribuisse volontariamente o favorisse la relazione causa-effetto tra la diagnosi prenatale e l’aborto susseguente agirebbe in modo contrario
all’etica e alla morale. In quest’ultima ipotesi
si parla di “cooperazione al male”.
Esistono due modi di cooperazione al male.
Si parla di cooperazione materiale quando,
chi coopera all’azione cattiva di un altro, ne
procura un elemento, materialmente, ma
non è a conoscenza in modo alcuno del
fine cattivo perseguito dall’altro. Per esempio,
chi vende la pistola ignorando che l’altro voglia suicidarsi. Si parla di cooperazione formale quando vi è la volontà di un soggetto
di cooperare al male cercato da un altro.
Si parla anche di cooperazione diretta
quando è possibile stabilire una relazione di
causalità tra la materia procurata da chi aiuta
e il male cercato dall’altro. La cooperazione
è indiretta se questa relazione di causalità
non può essere stabilita in anticipo o non è
in modo alcuno evidente. Quando uno specialista ha la certezza morale che la conseguenza diretta della diagnosi prenatale di
una malformazione o anormalità sarà
l’aborto, se procede, sta collaborando direttamente al male dell’altro, e perciò sta operando male e se ne fa suo complice.
Ogni normativa o programma delle autorità
civili e sanitarie o di organizzazioni scientifiche che favorisca la connessione tra diagnosi prenatale e aborto, o che induca le gestanti a sottomettersi alla diagnosi prenatale
pianificata con l’intenzione di eliminare i feti
portatori di malformazioni o malattie ereditarie è una violazione del diritto alla vita ed
è un abuso sui diritti e doveri prioritari dei
genitori.
In questo contesto il diritto all’obiezione di
coscienza sanitaria permette che il personale
sanitario e gli operatori nell’area della salute
non siano obbligati a collaborare in attività
di questo tipo che necessariamente sono finalizzate all’aborto. Questo diritto si fonda
sulla stessa dignità umana e non dipende dal
suo riconoscimento giuridico. In realtà può e deve Il diritto all’obiezione di coesercitarsi anche se la legi- scienza sanitaria si fonda
slazione non la prevede. È
sulla stessa dignità umaconveniente legiferare e garantire, mediante leggi, na e non dipende dal suo
l’esercizio di questo diritto riconoscimento giuridico:
quando in una determinata può e deve esercitarsi anche
situazione il libero esercizio se la legislazione non la
possa essere messo in peri- prevede
colo, ma questo non significa
che sia la legge a stabilire
questo diritto o che una legge possa cancellare il diritto all’obiezione di coscienza. Una
legge che proibisse questo diritto sarebbe intrinsecamente cattiva e pertanto non sarebbe
più una legge.
Le attuali possibilità cognitive della diagnosi
prenatale esigono dal diritto risposte ogni
volta adeguate e argomentate. Funzione del
diritto è proteggere i valori co-esistenziali rilevanti. Non c’è dubbio che davanti a una
forma di discriminazione sociale legalizzata
contro la vita umana imperfetta (handicap),
la finalità eugenetica della diagnosi prenatale
rappresenti una minaccia contro il diritto alla
vita, contro l’uguaglianza di opportunità, ed
è un’offesa contro la comune dignità di tutti
gli uomini, contro la loro identità soggettiva
e contro il diritto alla differenza genetica.
I problemi giuridico legali
La problematica in questo campo è molto
semplice nella sua radice, infatti si tratta quasi
sempre di questioni economiche, ma è
molto complessa nelle sue manifestazioni
che in altre variano in funzione della concezione che si tenga del diritto. Questa differente concezione del diritto spiega anche le
differenze esistenti tra i tribunali europei e
quelli che appartengono alla giurisprudenza
nordamericana. Vediamo alcune di esse per
farci un’idea di possibili problemi in questo
campo.
In alcune sentenze europee si dà, di fatto, il
riconoscimento del nascituro-nato come
centro di interessi giuridicamente tutelato,
meritevole di risarcimento per atti lesivi da
parte di terzi prima della nascita. Tuttavia si
43
esclude il risarcimento diretto per omessa o errata
diagnosi che abbia ostacolato l’aborto24. La giustificazione a procedere in
questo modo è determinata, da un lato, dalla
mancanza di un nesso di
causalità tra la condotta
negligente del medico e la
malformazione congenita
da una parte, e dall’altra, dalla non esistenza
o non riconoscimento di un interesse del nascituro a non nascere25. Invece, viene riconosciuto un gran danno biologico e patrimoniale ai genitori per violazione del dovere di
informazione e di impedimento con ciò
dell’aborto26.
Altre linee di argomentazione in alcune sentenze sono la violazione della libertà e dell’autodeterminazione della donna, la violazione del diritto alla salute psichica27, così
come il diritto al desiderio procreativo dei
genitori.
Nella giurisprudenza americana, invece, far
nascere un figlio in condizioni poco soddisfacenti in termini di qualità di vita può
equivalere a causargli un’ingiustizia. Perciò
alcuni tribunali ricorrono al diritto alla diagnosi prenatale ed insistono particolarmente
sul diritto al consenso informato nelle gravidanze ad alto rischio. Essendo la vita un interesse di diritto pubblico quando si tratta di
una persona handicappata si arriva a parlare
del figlio o della persona gravemente malata
come centro di costi. Alcune sentenze, infatti,
indirizzano verso la possibilità di conferire la
paternità legale ai medici e al rischio di dover affrontare risarcimenti economici non
indifferenti.
La possibilità di risarcimento si è fatta realtà
in una celebre sentenza del tribunale di cassazione francese conosciuta come “sentenza
Perruche”. Questa sentenza28 ha causato una
grande perplessità perché in essa si accenna
a un presunto diritto di non nascere. Dal diritto all’aborto si deduce il diritto ad essere
abortito. Si privilegia il principio della riparazione inteso in senso economico sul principio della solidarietà.
L’esperienza clinica insegna che per salvaguardare
il vero bene di tutte le persone coinvolte, la diagnosi
prenatale deve essere promossa come cammino per
sostenere ed accompagnare
la gestante
44
Conclusione
Oggi possiamo sapere sempre più precocemente chi è malato o chi lo sarà. Tuttavia,
sono ancora scarse le risposte terapeutiche.
Proprio per questo è urgente la ricerca nel
campo della medicina fetale alla luce dei
principi antropologici che fondano la verità
dell’uomo e il rispetto della sua dignità. I
problemi esposti in campo etico sono insuperabili e continueranno ad esserlo finché
non siano riconosciuti al feto i suoi diritti e
il suo statuto umano. Il feto è un bambino,
è una bambina, cioè è un essere umano. E
come mai un essere umano non è una persona? L’embrione ed il feto o sono essere
umani, degni di essere tutelati nel loro diritto
a nascere e a nascere sani, o sono solo una
parte del corpo della madre della quale essa
può disporre autonomamente?29.
Attualmente le moderne tecnologie diagnostiche, l’avanzamento della medicina e la visione sempre più concorde tra gli scienziati
sul feto come “piccolo paziente” conferiscono al medico la possibilità e la capacità di
poter aiutare al nascituro. La visione utilitarista, impegnata unicamente a ridurre il costo umano ed economico per la società delle
malattie genetiche si rivela incapace non
solo di eliminare le malattie genetiche nella
pratica ma anche di risolvere il dramma
umano che accompagna la vita di una persona handicappata e della sua famiglia.
È un’aberrazione, una mostruosità tradurre
la prevenzione dalle malattie genetiche e
dalle malformazioni in eliminazione di essere
umani. La prevenzione dovrebbe essere intesa come ricerca terapeutica, come educazione-formazione per la vita e la salute, già
prima della concezione tramite una completa e vera informazione scientifica sulle
cause delle malattie genetiche e le possibilità
diagnostiche e terapeutiche odierne. I problemi relativi alla salute fetale non hanno
solo una causa genetica ma implicano, come
abbiamo visto, una molteplicità di cause di
origine personale, sociale ed etica che dipendono dalla riduttiva visione eugenetica e
che ancor oggi sono da risolvere.
Dobbiamo essere ben consci dell’immenso
potere della tecnologia e della capacità che
essa ha di generare stili di vita individuali e
sociali. La consapevolezza di ciò è presupposto indispensabile per non cadere nella confusione tra modernità e bontà, tra novità
tecnologica e il miglioramento effettivo della
qualità di vita per ogni persona e per le generazioni future. Affermare che gli scienziati
non sono responsabili delle loro azioni è
qualcosa di improponibile. Non è vero.
L’esperienza clinica insegna che per salvaguardare il vero bene di tutte le persone
coinvolte, la diagnosi prenatale deve essere
promossa non come strumento per cercare
il feto malformato ad ogni costo, bensì come
cammino per sostenere la gestante e accompagnarla già dalla fase previa alla concezione,
poi durante la gravidanza e fino al dopo nascita.
Senz’altro questo implica a livello collettivo
che l’etica della responsabilità deve essere
soprattutto una realtà fatta possibile attraverso l’assistenza, concepita in primo luogo
come riorganizzazione dei servizi, delle
strutture e come distribuzione finalizzata
delle risorse disponibili. In secondo luogo è
urgente favorire i programmi di recupero e
riabilitazione. In terzo luogo, e con questo
concludiamo, bisogna lavorare senza sosta
per promuovere una vera cultura della solidarietà, una vera cultura della vita.
Note
1
Cf. DC. BEVIS, «The antenatal prediction of
haemolytic disease of the newborn», in Lancet, 1,
(1952), 395-398; Cf. MW. STEELE,WR. BREG, «Chromosome analysis of human amniotic fluid cells», in
Lancet, 1, (1966), 383-385.
2 Nei paesi occidentali l’incidenza di malattie genetiche gira attorno al 3%. Attualmente, meno del 15%
delle patologie genetiche hanno una cura medica. In
alcuni casi, gli interventi sono ancora sperimentali.
L’incidenza della sindrome di Down è di 1 per ogni
600 nati. Tuttavia un numero crescente di donne
partorisce il primo figlio dopo i 35 anni e questo aumenta il rischio di concepire un figlio Down. La percentuale passa da 1 su 380 ai 35 anni, fino a 1 su 240
dopo i 37 anni. Un altro tipo di problematiche riguarda i parti prematuri, neonati sotto peso, ecc. Può
vedersi una sintesi in MARY ENGEL, Moms over 40 a
risky trend, The Los Angeles Times, 3-12-2007.
3 La distinzione tra tecniche invasive e non invasive
corrisponde ad un approccio obiettivo dall’esterno.
Dal punto di vista soggettivo ed esperienziale le tecniche non invasive sono percepite nella pratica come
il primo scalino di una strategia diagnostica. Se tra un
test non invasivo ed uno invasivo il 94% delle pazienti
ad alto rischio sceglie in primo, molte delle pazienti
che si sono sottomesse al test non invasivo (il 49%) accetteranno comunque di fare dopo un test invasivo,
anche se il risultato del primo test era corretto.
4 Gli effetti finali del trattamento intrauterino della
spina bifida ancora devono essere valutati a livello
mondiale, tuttavia è importante che si continuino a
sviluppare tecniche meno aggressive per la sua riparazione, cioè, tecniche fetoscopiche. Per questo motivo, è necessario che i gruppi che lavorano in chirurgia fetale ed in sperimentazione animale continuino
la ricerca affinché l’accesso fetoscopico diventi una realtà nel trattamento di questa patologia.
5 Questa tecnica presenta due rischi molto elevati: in
primo luogo prevede il prelievo di una o due cellule
di un embrione allo stadio di 6-8 cellule. Questo, oltre
alla consistenza del “campione” in sé (da 1/6 a 1/4
delle cellule totali del nuovo essere umano), implica
che per effettuare questo esame debba essere rotta la
membrana che ricopre e protegge in modo naturale
l’embrione stesso. In secondo luogo, questa tecnica
non fornisce risultati “assolutamente” certi, tant’è
che la letteratura scientifica raccomanda comunque di
effettuare le normali prove di diagnosi prenatale (amniocentesi, villocentesi, eccetera), per verificare l’esattezza della PGD. In media, i falsi negativi o i falsi positivi oscillano intorno al 10%. Al riguardo, F.
MARTÍNEZ, Nace por primera vez en la Sanidad pùblica
un bebè libre de una patologìa hereditaria, in La Razòn,
25 luglio 2006. L’autore racconta il caso di un neonato che grazie alla PGD è nato sano senza soffrire
della malattia di Duchenne, patologia muscolare ereditaria legata ad un gene del cromosoma X che si manifesta tra i due ed i tre anni di vita, benché non si
diagnostichi, in generale, fino ai sette anni di età.
Normalmente, la malattia immobilizza le gambe verso
i 12 o 13 anni e colpisce 1 neonato su 6.000 nati vivi.
6 Cf. D. CHITAYAT, R. BABUL-HIRJI, «Genetic counselling in prenatally diagnosed non-chromosomal
fetal abnormalities», in Curr Opin Obstet Gynecol, 12,
(2000), 77-80.
7 Cf. CONFERENCIA EPISCOPAL ESPAÑOLA, La eugenesia no es curación., A propósito de supuestos avances de la
sanidad. Madrid, 27 luglio 2006. «Con la diagnosi genetica preimpianto, pertanto, non si cura nessuno;
quello che in realtà si fa è selezionare i malati per la
morte e qualche sano affinché viva. L’etica riserva a
questa pratica il nome di eugenetica. Eliminare embrioni (malati o sani) è attentare gravemente al diritto
fondamentale alla vita degli esseri umani nelle prime
fasi del suo sviluppo vitale. [...] La felicità che comporta la nascita di un bebè sano non basta per presen-
45
tare come progresso alcune pratiche che fanno a
meno del diritto alla vita dei suoi fratelli generati in
vitro. La giustizia e la solidarietà esigono da tutti il
compromesso con la verità». Giuseppe Noia si domanda al riguardo: Che cosa è se non una manipolazione culturale e scientifica il fatto che dietro la
PGD su 17.544 embrioni fecondati si siano ottenute
solamente 279 nascite, pari al 1,5%? ESHRE Preimplantation Genetic Diagnosis Consortium, 2001.
8 Cf. RJ. GREEN ET AL., «Surveillance for second primary
colorectal cancer after adjuvant chemotherapy», in Ann
Intern Med, 136, (2002), 261-269.
9 Cf. Sunday Times (Londra), 6 maggio 2007. Si vedano anche le forti critiche a questa tecnica in VIVIANA DALOISO, Si elimina il malato. Sempre che lo sia,
Intervista al prof. Licinio Contu, genetista e già Direttore del Centro regionale di trapianti della Sardegna, in Avvenire, 3-1-2008.
10 Richiama l’attenzione l’esempio dell’Italia dove più
del 50% delle gravidanze è seguito molto da vicino
con l’applicazione sistematica delle tecniche di diagnosi prenatale, in media più di 80.000 all’anno. Secondo un articolo edito l’11 marzo di 2007 in La Repubblica, nel 2005 il 79% delle donne italiane si è
sottomesso almeno a tre ecografie durante la gravidanza. Negli ultimi 10 anni la domanda si è incrementata di un 90% nelle strutture pubbliche ed in un
276% nelle istituzioni di salute private. Il dato parla
da solo. Un’altra investigazione dell’Istituto Superiore
di Sanità ha evidenziato che più del 90 percento
delle donne si sottomette ad un numero medio di
ecografie di gran lunga superiore a quello consigliabile. Nel sud dell’Italia si arriva a 6,2 ecografie per
gravidanza, 5,5 nel centro della Repubblica e 4,9 nel
nord. Solo il 17% delle donne si accontenta con i tre
esami ecografici raccomandabili, uno in ogni trimestre della gravidanza, mentre il 50% fa tra 4 e 6 ecografie, ed il 30% sette o più. È soprattutto nei primi
tre mesi di gravidanza che si ricorre con maggior frequenza alle sonde transvaginali, le quali mettono il
feto in contatto diretto col fascio ultrasonico. Studi
sperimentali sugli animali hanno dimostrato lesioni
epatiche in quei feti le cui madri sono state esposte
abusivamente ad ultrasuoni, soprattutto in presenza di
mezzi di contrasto. Cf. ALESSANDRA TURRISI, Troppe
ecografie, in Avvenire, 07 maggio 2004. L’autrice si riferisce a dichiarazioni di Adelfio Elio Cardinale, Direttore della Facoltà di Medicina di Palermo ed al lavoro di Roberto Lagalla, Direttore del Dipartimento
di Scienze Radiologiche a Palermo. Dello stesso parere Cf. SANDRINE BLANCHARD, L’Académie di médecine s’inquiète des “dangers” dell’échographie foetale in
3D, Le Monde, 07.10.2004.
11 Cf. A. QUEISSER-LUFT, H. STOPFKUCHEN, G. STOLZ,
K. SCHLAEFER, E. MERZ, «Prenatal diagnosis of major
malformations: quality control of routine ultrasound
examinations based on a five-year study of 20248
newborn fetuses and infants», in Prenat Diagn, 18,
(1998), 567-576.
46
12
Cf. H. Khuse, L’etica pratica di Peter Singer, in
«Http://www.zadig.it/news2002/sci/new-10-101.php» (10-10-2002), Secondo un articolo del “Journal of American Medical Association”, Peter Singer
giustifica l’infanticidio sulla base della “utilità totale”:
“Quando la morte di un bambino handicappato favorisca la nascita di un altro bambino con migliori
prospettive di vita felice, la quantità totale di felicità
sarà maggiore se il bambino handicappato viene soppresso”.
13 Dal punto di vista etico i falsi positivi aprono la possibilità di scartare embrioni e feti in una tappa molto
precoce o neonati se la diagnosi è tardiva che possono
apparire come malati ma che in realtà sono sani.
Questo è uno dei punti neri più difficili da risolvere.
Al rispetto si veda G. GAMBINO, Diagnosi prenatale.
Scienza, etica e diritto a confronto, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli-Roma 2003, soprattutto 126-178.
14 Cf. SHIRLEY S. WANG, Addressing the Fallout Of
Newborn Screening. Government and Researchers Seek to
Reduce False Positives, Improve Physician Education and
Follow-Up for Families,The Wall Street Journal, 30-102007, 1.
15 Cf. CARLO BELLIENI, Diritto alle cure: no alle differenze
tra adulti e neonati, in Zenit.org, 4 novembre 2007.
L’autore propone di utilizzare il termine “handifobia”:
la fobia verso l’“handicap”, verso ciò che non è sotto
il nostro controllo e che ci impedisce di interagire serenamente con il diversamente abile. Consigliamo di
consultare il blog di questo autore, in italiano, nella seguente
direzione:
http://carlobellieni.splinder.com/tag/diagnosi_prenatale.
16 Si vedano ad esempio gli artt. 4 e 6 della l. 194/78,
vigente nella Repubblica italiana.
17 Citato da JOHN FLYNN, En busca del bebé perfecto, Bebés eliminados mientras la nueva eugenesia gana fuerza, in
www.zenit.org, Roma, 5 luglio 2007.
18 La chirurgia aperta consiste nell’aprire l’utero materno, raggiungere la parte malata del feto, eseguire
l’intervento e reintrodurre il feto, riponendo il liquido
amniotico, suturando le membrane. La chirurgia minimamente invasiva, invece, realizza gli interventi attraverso un fetoscopio (ago largo di due canali: uno
per introdurre la fibra ottica che permette al chirurgo
di vedere; un altro per lo strumento chirurgico: laser,
forbici, etc.), in modo che, terminato l’intervento, si
è realizzata solo una piccola incisione, simile ad un
punto, nell’addome della madre. Gli esperti sostengono che la tendenza europea finirà per imporsi su
quella aperta, grazie ai suoi eccellenti risultati ed alla
sua minore aggressività.
19 Cf. N. RAMÍREZ DE CASTRO, Cirugía fetal, quo vadis?, in ABC, 08 Settembre 2007; Cf. G. NOIA, Da “I
cure” a “I care”: una medicina che salva, accompagna e non
sopprime la vita, in www.zenit.org, Roma, 21 maggio
2007.
20 Dal punto di vista della Chiesa Cattolica si trovano
indicazioni precise sulla liceità della diagnosi prenatale
soprattutto in due documenti: nella Dichiarazione de-
lla Congregazione per la Dottrina della Fede Istruzione Donum vitae sul rispetto della vita umana nascente
e la dignità della procreazione, 22 febbraio 1987, I, 3:
AAS 80 (1988), 80 e nella Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, del 25 Marzo 1995.
Nella Donum Vitae il Magistero della Chiesa dichiara
che gli esami prenatali devono rispettare la vita e l’integrità dell’embrione o feto umano e che la sua finalità deve essere terapeutica, cioè, deve cercare la protezione e l’attenzione individuale del bambino
concepito. Nell’orizzonte di questa finalità terapeutica
si aggiunge anche il desiderio di informarsi sullo
stato di salute del feto. È fondamentale che le tecniche
che si usano non mettano sproporzionatamente a
rischio la vita del bambino. Come giustificazione ultima di alcune di queste affermazioni esiste un altro
documento della Congregazione per la Dottrina della
Fede Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre
1974, 12-13: AAS 66 (1974), 738 così come molti altri documenti e pronunce del Magistero dalle quali
deriva l’inequivocabile posizione di condanna nei
confronti dell’aborto volontario.
21 È molto interessante quanto è stato riportato in un
documento della Santa Sede, la Lettera degli operatori
sanitari, del Consiglio Pontificio per gli Operatori Sanitari, X - 1994, perché in una breve sintesi presenta
i principali fattori etici implicati nella diagnosi prenatale e contemporaneamente espone in modo ordinato molti degli interventi di Giovanni Paolo II su
questa tematica. Al principio di non affrontare un rischio sproporzionato (alle volte inerente alla stessa
tecnica), il documento affianca – sottolineandola –
l’importanza per la liceità degli esami della finalità terapeutica, cioè, della ricerca del bene sia della madre
che del bambino. La lettera, da un lato, critica l’abuso
della diagnostica prenatale finalizzata all’aborto selettivo, e, dall’altro, sottolinea la sua liceità per i benefici
che può procurare. È quanto abbiamo tentato di dimostrare nel nostro lavoro. Giovanni Paolo II diceva
nell’enciclica Evangelium Vitae n. 63: un’attenzione
speciale merita la valutazione morale delle tecniche
di diagnosi prenatale che permettono di identificare
precocemente eventuali anomalie del bambino prima
della nascita. In effetti, per la complessità di queste tecniche, questa valutazione deve essere molto diligente
ed articolata. Esse sono moralmente lecite quando
sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino o
la madre, e sono orientate a facilitare una terapia
precoce o anche a favorire una serena e consapevole
accettazione del nascituro. Ma, dato che le possibilità
di cura prima della nascita sono oggi ancora scarse,
succede spesso che queste tecniche si mettano al servizio di una mentalità eugenetica che accetta l’aborto
selettivo per ostacolare la nascita di bambini affetti da
vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è totalmente deplorevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana seguendo solo parametri di
“normalità” e di benessere fisico, spianando così perfino la strada alla legittimazione dell’infanticidio e dell’eutanasia.
22 Sono indicazioni mediche obiettive: età materna
superiore a 35 anni; antecedente di un altro figlio
avente sindrome di Down (questo aumenta il rischio
di un 2%); presenza in uno dei genitori di aberrazione
cromosomica recessiva (aumenta il rischio dal 5% al
12%); presenza in uno dei genitori di un gene dominante che determina malattie cromosomiche o antecedente di un figlio con disordine recessivo di un
gene patogeno; antecedente di un figlio con difetti nel
cromosoma X, madre portatrice sana, (se il figlio è
maschio il rischio è del 50%); antecedente di un
figlio con deficit malformativo nel tubo neurale; antecedente di figli che soffrono gravi malformazioni
congenite, esposizione dei genitori a dose di agenti
mutogeni fisici, chimici o altri (radiazioni).
23 In tutto ciò che riguarda malformazioni, diritto al
consenso informato e gravidanze a rischio è interessante la sentenza Supreme Court Texas, 1975 e circa
ai test si veda District Court Alabama, 1994. AFP e
Court of Appeals Michigan, 1996.
24 Si veda al riguardo Trib. Roma 13.12.1994; Trib.
Bergamo, 16.11.1995.
25 Cf. App. Venezia, 1990. Si presume il maggior
valore della vita in confronto alla non vita.
26 Cf. Sentenza Trib. Cassazione Penale, 1997.
27 Cf. art. 4 l.194/78 della legge italiana sull’aborto.
28 Cf. Cass. 17.11.2000; Cass. 13.07.2001; Cass.
28.11.2001.
29 Per la conclusione seguo quanto propone G. GAMBINO, Diagnosi Prenatale…, op. cit.
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