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articolo Alcune implicazioni e problemi bioetici della diagnosi prenatale Fernando Fabó, L.C. Introduzione ono passati più di 50 anni da quando si sono intraprese le prime prove di diagnostica prenatale1. In tutti questi anni la medicina clinica, la biologia molecolare, la genetica della tecnologia sono progredite molto. Il continuo sviluppo delle conoscenze scientifiche, soprattutto per quanto riguarda il campo della genetica, e la costante evoluzione delle nuove tecnologie, ci permettono oggi di avere diagnosi molto precoci di alcune malattie. Il fatto che la possibilità di intervenire per curare sia ancora molto scarsa crea numerosi problemi morali. La situazione si complica ancora di più se teniamo conto della cultura imperante fortemente edonista, e di molti usi sociali che si stanno consolidando sempre di più, come per esempio l’aumento dell’età media in cui viene concepito il primo figlio2. È questo un fattore di rischio che aumenta, in alcuni casi considerevolmente, il rischio di malformazioni e di altre patologie congenite com’è il caso della trisomia 21, più nota come “sindrome di Down”. Senza dubbio la tecnologia biomedica è di grande aiuto per la diagnosi di molte malattie, incluse quelle che riguardano la vita prenatale. Queste tecnologie ci permettono di identificare processi patologici in tappe molto precoci del suo sviluppo o perfino prima ancora del suo inizio o della sua manifestazione. Volendo dare una definizione, possiamo dire che la diagnosi prenatale abbraccia tutte quelle tecniche diagnostiche S Studia Bioethica - vol. 2 (2009) n. 1, pp. 36-47 Professore Ordinario della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum 36 che possono essere effettuate sull’embrione e sul feto, aventi come fine quello di evidenziare patologie (in maggioranza quelle di natura malformativa e/o genetica). Sono cioè quelle tecniche che ci permettono di riconoscere od escludere la presenza di anomalie congenite fetali. Queste tecniche possono essere classificate sostanzialmente in due modi diversi: a) Tecniche invasive di diagnosi prenatale, come ad esempio l’amniocentesi, villocentesi, la funicolocentesi e le biopsie dei tessuti fetali. Queste tecniche permettono di disporre dei tessuti fetali o degli annessi fetali per realizzare studi biochimici, infettivi e citogenetici. b) Tecniche non invasive di diagnosi prenatale, basate essenzialmente sulla diagnostica ultrasonica per immagini (ecografia), velocimetria Doppler, eccetera. Queste tecniche permettono l’identificazione in diverse tappe della gestazione di numerose anomalie strutturali percepite attraverso le onde ultrasoniche, ad esempio le alterazioni della crescita intrauterina. Permettono la realizzazione di un giudizio globale sullo stato di benessere del feto3. Possono essere stabilite altre distinzioni tra le tecniche, come quelle, ad esempio, in funzione del tempo. Si parla così di tecniche preimpianto (prima dell’impianto dell’embrione nella matrice), e tecniche post-impianto, cioè, realizzate dopo l’annidamento dell’embrione nell’utero materno. Queste tecniche sono qualificate da azioni o caratteristiche diverse: la prevenzione, la correzione e la precocità. Prevenzione significa capacità di una diagnosi prenatale di poter prevenire lo sviluppo o l’aggravamento di una patologia. Ad esempio, la diagnosi precoce della spina bifida permette un intervento intrauterino a cui consegue la risoluzione del problema4. Correzione si riferisce alla capacità di potere intervenire per correggere la patologia una volta effettuata la diagnosi. Precocità si riferisce alla celerità con cui una diagnosi può essere effettuata. Se includiamo la diagnosi genetica preimpianto (PGD) tra le tecniche di diagnosi prenatale è evidente che si tratta di una delle tecniche più precoci5. Attualmente le malattie genetiche dovute ad alterazione di un gene o di un cromosoma che è possibile diagnosticare in epoca prenatale sono circa 200 e costituiscono più o meno il 5% di tutte le patologie ereditarie conosciute6. La PGD La diagnosi genetica preimpianto è una procedura tramite la quale viene realizzata un’analisi genetica su embrioni ottenuti tramite la riproduzione assistita. Lo scopo è ben chiaro: trasferire nell’utero materno unicamente gli embrioni non difettosi e privi della carica genetica associata a determinate malattie7. Quando una malattia corrisponde ad un gene dominante presente in uno dei genitori (se il gene è presente si manifesta), allora esiste il 50% delle possibilità di trasmettere la malattia. Il bambino o la bambina possono essere o sani (quando il gene non è presente) o malati (quando vi è la presenza del gene in una metà del patrimonio genetico). Quando si parla di geni dominanti non esistono portatori sani. Ma questa è la teoria. Nella pratica, tuttavia, sono stati rilevati molti margini di incertezza e molte cose che ancora non conosciamo bene8. Diversi studi in corso stanno cercando di dimostrare la presenza di questi geni dominanti per alcuni tipi di cancro. I risultati però ancora non appaiono concludenti. La ricerca si estende anche ad altri tipi di malattia non solo tumorale, come la fibrosi cistica, il morbo di Huntin- gton o la talassemia. In Inghilterra alcuni ricercatori stanno lavorando su alcune forme di strabismo e sull’Alzheimer ma siamo ancora all’inizio9. Abbiamo già fatto menzione, all’inizio del nostro discorso, della cultura edonistica del nostro tempo e dei fattori di rischio sociale di grande attualità (come l’età per concepire il primo figlio). In questa cornice le tecniche di diagnosi prenatale rappresentano una grande sfida per la medicina, non solo nella pratica ordinaria o nelle sue implicazioni etiche, ma anche nelle sue diverse implicazioni di tipo giuridico ed economico. Ne parleremo più avanti. Certamente, le differenze culturali esistenti tra le diverse regioni del mondo possono caratterizzare in modo difforme questa problematica. Mentre nei paesi in via di sviluppo l’applicazione delle tecniche di diagnosi prenatale può contribuire alla soluzione di numerosi problemi, nei paesi del primo mondo un’applicazione esagerata di queste tecniche diagnostiche Il medico deve relazionarsi sta portando alla creazione non soltanto con i genitori, di più problemi senza offrire ma anche con quel piccolo le necessarie soluzioni10. paziente che è il bambino In alcuni casi è possibile dia- già concepito gnosticare in modo molto precoce e preciso le malformazioni del nascituro. Allo stesso tempo dobbiamo ammettere - ed esserne ben consapevoli - che le possibilità terapeutiche sono comparativamente ancora molto basse e in alcuni casi addirittura nulle, come accade - per esempio nella sindrome di Down. La situazione si complica tenendo conto che il medico deve relazionarsi non soltanto con i genitori, ma anche con il piccolo paziente che è il bambino già concepito (possibile portatore di una patologia), e con la famiglia allargata. Statisticamente parlando il 2% dei neonati soffre di un difetto morfologico che può interessare un solo organo, una zona corporea, oppure può presentarsi associato ad altre malformazioni, configurando, in questo caso, una vera e propria sindrome. Molte delle più comuni malformazioni congenite, ad esempio i difetti del tubo neurale (anencefalìa, spina bifida, eccetera), il labbro leporino, e il 37 palato fesso e numerose cardiopatie congenite sono dovute alla combinazione tra fattori genetici di predisposizione e fattori ambientali che scatenano la malformazione mediante un meccanismo di trasmissione che viene chiamato multifattoriale. Necessariamente questo insieme di agenti, che si influenzano a vicenda, rende molto più complicato effettuare una diagnosi corretta. Ed è molto difficile prevedere con certezza cosa accadrà oltre11. Purtroppo tra le varie caratteristiche della diagnosi prenatale di cui prima abbiamo fatto menzione (prevenzione, correzione e precocità) non esiste un rapporto di proporzionalità diretta con l’efficacia terapeutica, ed è questa la causa principale di una fortissima problematica etica. In altre parole, la domanda etica che ci si pone è: a cosa serve la diagnosi prenatale se non c’è possibilità di un intervento terapeutico? La diagnosi di una malattia, a questo punto incurabile, non equivale esclusivamente ad una sentenza di morte per il nascituro? Possibilità terapeutica e proposta etica Schematizzando molto, non potendo fare altrimenti vista la vastità del tema, possiamo dire che le posizioni più frequenti in campo etico riguardanti la diagnosi prenatale nella possibilità di intervento terapeutico sono le seguenti: a) Eutanasia neonatale È questa la posizione di alcuni conosciuti autori come ad esempio Peter Singer. Il fatto che alcuni neonati o alcuni pazienti abbiano gravi danni cerebrali li trasforma automaticamente in “non persone”, in senso morale. La loro incapacità di sperimentare piacere o dolore giustificherebbe la loro eliminazione, sia attiva che passiva12. Il cosiddetto aborto tera- Alcuni programmi di recente introduzione negli peutico è in realtà un Stati Uniti sottopongono aborto eugenetico, che sop- i neonati ad una serie di prime il paziente e non la prove per scoprire difetti congeniti. Senz’altro cumalattia 38 reranno e salveranno ogni anno migliaia di vite, su questo non c’è dubbio13. Ma necessariamente, aumentando il numero delle prove, cresce anche il rischio di falsi positivi. Il mondo scientifico e i governi sono oggi alla ricerca di nuove vie per migliorare la formazione dei medici e l’assistenza alle famiglie in questo campo14. Infatti, il diritto alle cure mediche, quando si tratta di bambini che presentano patologie per le quali i genitori pretendono un trattamento, è qualcosa che normalmente viene garantito nelle società occidentali. Il problema si pone quando alcune legislazioni permettono di scegliere tra iniziare o no un trattamento, o permettono di sospendere trattamenti e cure che potrebbero salvare la vita. In realtà c’è chi sostiene che la famiglia di un bambino gravemente malato potrebbe pretendere la sospensione di ogni trattamento. Che questo sia un diritto legittimo, quando si ha la certezza dell’inutilità dei trattamenti, è qualcosa che nessuno discute. Ma il problema si pone non quando la sospensione dei trattamenti viene proposta nell’interesse del bambino (ad esempio in caso di accanimento terapeutico) ma quando essa viene proposta nell’interesse di terzi, in primo luogo, della famiglia (la quale potrebbe demoralizzarsi e credere di non riuscire ad affrontare una simile situazione). È necessario, spiega Carlo Bellieni, essere chiari per evitare di ritornare alla barbarie del diritto di vita e di morte sulla prole del paterfamilias. La politica verso l’infanzia e l’handicap rivelano in quale tipo di Stato ci troviamo. Uno Stato moderno si fa carico dei bisogni, mette al primo posto tutto quello che riguarda l’educazione, la cultura e l’assegnazione di risorse economiche a chi ne ha necessità15. b) Aborto selettivo-feticidio Il cosiddetto aborto terapeutico risolverebbe in radice il problema. Ma in realtà quello che si sopprime è il paziente, non la malattia! Nei paesi in cui la legge prevede la possibilità dell’aborto - in realtà aborto eugenetico e non terapeutico - si procede all’interruzione della gravidanza in funzione di previste o confermate anomalie o malformazioni del nascituro che possano incidere negativamente sulla salute psicofisica della madre16. In genere la legge non specifica se si tratta di un rischio serio e attuale per la salute della madre e neanche fa riferimento alla gravità della malformazione. In pratica basta la semplice presenza di una malformazione per giustificare l’aborto. In realtà, e allargando ancora di più l’orizzonte, si dovrebbe parlare anche di semplici “rischio” di danno come di fatto succede in alcuni casi. Dal punto di vista etico e morale le cose si complicano anche di più.Viene introdotto un altro tipo di ipotesi che ha a che fare con la diagnosi predittiva e con le predisposizioni genetiche. In altre parole, siamo passati dalla “presenza”, accertata, di una malformazione, alla semplice “possibilità” di rischio di una malformazione o malattia futura. c) La proibizione totale della diagnosi prenatale Il 9 maggio del 2007 il New York Times pubblicava un articolo informando che, come conseguenza di una nuova raccomandazione dalla scuola americana di ostetriche e ginecologi, i medici avevano cominciato ad offrire un programma di analisi della sindrome di Down a tutte le donne incinte, indipendentemente dalla loro età. Circa il 90% delle donne a cui venne diagnosticato che il figlio o la figlia avrebbe patito questa sindrome fece ricorso all’aborto17. A questo punto, con il senno di poi, visto che il risultato a posteriori della diagnosi prenatale di una malattia o di una malformazione è quasi sempre l’aborto, alcuni sostengono che andrebbe proibito questo tipo di prove diagnostiche, tenendo conto che le possibilità di intervento terapeutico sono molto basse. A questo tipo di argomentazioni bisognerebbe replicare affermando che si tratta di una generalizzazione che non risponde alla realtà delle cose. Oggi la chirurgia fetale appare come una valida alternativa alla chirurgia convenzionale post-natale, soprattutto per quelle alterazioni fetali che peggiorano con l’avanzare della gravidanza. In questi casi si dovrebbe realizzare un trattamento che permetta al nascituro di arrivare in migliori condizioni in questo mondo per poi essere curato dopo la nascita. E questo tipo di interventi sarebbero impensabili senza una precoce diagnosi di queste malattie. Negli Stati Uniti si è andata sviluppando prevalentemente la cosiddetta chirurgia aperta mentre in Europa si stanno realizzando interventi intrauterini attraverso il fetoscopio18. Attualmente la totalità degli interventi fetali possono essere realizzati mediante la fetoscopia benché esista un intervento che ancora deve essere realizzato mediante chirurgia aperta, cioè, la riparazione della spina bifida. Oggi la chirurgia fetale incomincia a scindersi dal suo carattere sperimentale per apparire come una realtà già consolidata per più di una decina di patologie e malattie congenite che vanno necessariamente curate prima Oggi la chirurgia fetale indella nascita: - l’ernia diaframmatica: l’in- comincia a scindersi dal testino passa attraverso il dia- suo carattere sperimentale framma e comprime il pol- per apparire come una mone. Se non viene curata realtà già consolidata per in tempo i polmoni si rovipiù di una decina di patonano irreversibilmente. - ostruzioni renali: questa logie e malattie congenite anomalia chiude l’uscita dell’uretere e provocando una dilatazione progressiva del rene al punto di smettere di funzionare. Tramite un catetere si può rimandare l’urina nella cavità amniotica. Grazie a questo intervento la sopravvivenza dei feti si è triplicata. - sindrome da trasfusione gemellare: accade quando i cordoni ombelicali dei gemelli rimangono comunicanti e uno di loro riceve più sangue dell’altro. Tramite l’utero si chiude la comunicazione tra i cordoni in modo che venga regolato in modo equo la nutrizione e l’idratazione dei due feti. La sopravvivenza in questo caso è passata dal 12% al 42%. - occlusione del cordone: può capitare quando in una gestazione gemellare la morte o la malformazione di uno dei bambini compromette la vita dell’altro. Si procede al- 39 lora alla legatura del cordone per consentire la sopravvivenza del feto. - briglie amniotiche: consiste nell’eliminazione di alcuni filamenti duri della cavità amniotica che possano compromettere le estremità del bambino o le sue dita. - rovesci pleurali: tramite un catetere viene asportato il liquido dai polmoni, liberando questi e l’addome. - tumori: alcuni tumori possono arrivare ad essere più grandi della testa del bambino compromettendone lo sviluppo. Legando un’arteria del feto si può riuscire ad impedire la crescita del tumore e a salvare la vita del bambino. - labbro leporino: la correzione intrauterina di questa malformazione evita altre deformazioni facciali lasciando solo una piccola cicatrice. - l’anemia fetale: con ago aspirazioni ecografiche tramite il cordone ombelicale viene somministrato sangue al L’atto diagnostico ha un feto salvandolo così da valore etico positivo perché una morte sicura. La soè la premessa per un inter- pravvivenza negli ultimi 15 anni è passata dal 60% vento terapeutico o assi- al 92%. stenziale al servizio della - rottura di membrane e salute e della vita umana perdita di liquido amniotico: succede intorno al quarto quinto mese di gravidanza. Grazie alle nuove tecniche la sopravvivenza è passata negli ultimi 15 anni dal 0% al 40-60%. - scompensi cardiaci e presenza di liquidi in diverse cavità del corpo fetale: qui la sopravvivenza è passata dal 10 al 60%. Questi dati19 e l’esperienza accumulata negli ultimi vent’anni di investigazione dimostrano che la medicina fetale, fatta in modo etico, può arrivare a risultati prima impensabili, il che restituisce alle tecniche di diagnosi prenatale tutta la loro dignità trasformandole in momento propedeutico per curare e non per sopprimere. Oltre a questo tipo di considerazioni di ordine clinico e chirurgico conviene ricordare che la medicina non è solo funzionale e fisica e che l’aspetto psicologico ha un ruolo fondamentale in tutto ciò che riguarda il paziente e della sua famiglia. Le tecniche di 40 diagnosi prenatale, oltre a facilitare l’attenzione precoce di possibili patologie, preparano la famiglia all’accoglienza del neonato. Detto in altre parole: l’eticità di queste tecniche diagnostiche è fuori discussione. Quello che è necessario, dal punto di vista deontologico ed etico, è che si faccia un buon uso di queste tecniche. Principi etici per una diagnosi prenatale pienamente rispettosa del piccolo paziente La descrizione dettagliata e sistematica di tutte le tecniche di diagnosi prenatale invasive e non invasive è qualcosa che sfugge alla portata di questo lavoro. Abbiamo cercato piuttosto di concentrare la nostra attenzione sugli aspetti bioetici coinvolti nell’uso di queste tecniche e alle conseguenze che derivano dalla loro applicazione, lasciando fuori di queste considerazioni l’eticità o non eticità delle tecniche nei casi particolari, il che è qualcosa di complesso che implica una prudente analisi caso per caso.Tenteremo di analizzare alcune questioni relative alla stessa diagnosi. Spiegheremo in che cosa consiste la proporzionalità terapeutica ed i principi di un buon accompagnamento. Alla fine cercheremo di parlare riguardo ai problemi che riguardano il medico e l’operatore sanitario nel campo della diagnosi prenatale che sono fondamentalmente: problemi etico morali o problemi giuridico legali. Il valore positivo della diagnosi prenatale Un primo aspetto che va considerato è quello della stessa diagnosi. L’atto diagnostico ha un valore etico positivo perché è la premessa per un intervento terapeutico o assistenziale al servizio della salute e della vita umana. Quello che ulteriormente legittima l’intervento del medico non è la diagnosi, come non è il consenso del paziente. È necessario anche tenere in conto la previsione perché la malattia è una realtà che evolve nel tempo, è una realtà dinamica, mai statica. Diagnosticare, dunque, non basta ma bisogna tener conto di altri elementi, in questo caso l’accompagnamento di genitori fino alla na- scita del bambino (dimensione assistenziale), e la possibilità dell’intervento terapeutico per modificare la prognosi20. Forse un esempio ci aiuterà a capire quello che vogliamo dire: una donna madre di tre figli si presenta ad una revisione ecografica. Va da sola perché il marito lavora e non può accompagnarla. Il tecnico sanitario, donna come lei, fa l’ecografia di controllo e senza mezze parole guarda la paziente e le dice (cito testualmente): “devi abortire, è un anencefalico”. La paziente rimane senza parole e torna a casa distrutta. Dopo alcuni giorni, accompagnata da suo marito, va da un ginecologo specialista che appena iniziata l’ecografia si rivolge a loro due con queste parole: “è un maschietto. Quale nome avete pensato per lui?” In entrambi i casi l’anencefalia è e resta un problema grave ma solo nel secondo caso la diagnosi realizza veramente la sua funzione positiva21. Vita e dignità del feto È questo il primo principio di riferimento per una diagnosi davvero etica. E questa vita e dignità del feto è responsabilità non solo della madre, ma anche del padre e dell’operatore sanitario. Questo implica tra l’altro: a) che il feto venga trattato come qualunque individuo adulto. b) che la diagnosi prenatale sia lecita solo a determinate e precise condizioni. c) che il contesto privilegiato per determinare queste condizioni sia il counseling diagnostico. Principio di proporzionalità terapeutica Questa proporzionalità riguarda tanto la madre quanto il nascituro. Infatti, devono essere tutelati la vita e l’integrità fisica di entrambi. Proporzionalità terapeutica significa che l’atto diagnostico, così come la decisione terapeutica conseguente, non devono causare rischi sproporzionati. In altri termini, deve mantenersi sempre un equilibrio tra i rischi e benefici. Questa proporzionalità terapeutica richiede il rispetto di una serie di condizioni. In primo luogo è necessario procedere alla luce di indicazioni mediche oggettive22 che permettano di supporre al di là del rischio per la madre, un rischio anche per il nascituro, rischio procreativo prevedibile o un rischio fetale durante la gravidanza. A questo livello possono presentarsi diversi problemi: il primo, senza dubbio, è la possibilità di falsi positivi. Falso positivo significa che davanti a determinate prove biochimiche indicative di “possibilità” di rischio o piuttosto “probabilità” di rischio accade un errore: viene dichiarato malato chi è sano. Falso negativo sarebbe il contrario, quando viene dichiarato sano chi è malato. Il secondo problema riguarda l’uso di prove diagnostiche che riguardano patologie che ancora non sono evidenti o predisposizioni genetiche verso malattie incurabili. Da un altro punto di vista “proporzionalità terapeutica” significa minimizzare il rischio, cioè affrontare il minor rischio pos- Proporzionalità terapeutisibile. È evidente che più è ca significa che l’atto diainvasiva la tecnica diagnostica gnostico, così come la demaggiore è il grado di ri- cisione terapeutica conseschio per la madre e per il guente, non devono causafeto (possibilità di danno fisico, aborto spontaneo, ec- re rischi sproporzionati cetera). Per quanto riguarda questa proporzionalità non è trascurabile un altro fattore: l’affidabilità del risultato. Non tutte le tecniche diagnostiche prenatali hanno lo stesso grado di certezza. In molti casi si usano criteri di probabilità e in questo contesto dobbiamo capire che un falso positivo può significare un grave errore, e spesso è una sentenza di morte. Principi per l’accompagnamento prima e dopo la diagnosi prenatale La verità nel rispetto dei principi del processo comunicativo Verità in quello che si riferisce alle possibilità, ai limiti e rischi reali e possibili delle tecniche diagnostiche e delle terapie.Verità anche sul nascituro, sulle sue condizioni di salute, 41 sulla sua identità etica ed ontologica per favorire in questo modo la sua accoglienza. L’essenza di questo accompagnamento è fornire l’informazione necessaria che garantisca una piena comprensione delle implicazioni e delle responsabilità che quella scelta comporta, in modo da “prendere per mano” i coniugi ed assisterli nel dare il loro consenso “libero e informato”. L’obbligo di questo accompagnamento e del consenso informato sussiste sempre, non bisogna darlo mai per scontato, neanche quando si tratta di test che vengono applicati sistematicamente. I principi che reggono questo processo comunicativo sono la beneficialità e l’efficienza (certezza del contenuto), il rispetto del diritto di non sapere, confidenza e fiducia, rispetto e comprensione, segreto professionale, solidarietà alla famiglia nell’accoglienza del nascituro. Per quanto riguarda l’obbligatorietà del consenso informato va detto che le donne sottomesse a un test biochimico durante la gravidanza devono essere Quando si contempla prima informate sulla l’eventualità, in funzione possibilità di dover affrondei risultati, di provocare tare dopo la diagnosi una un aborto, la diagnosi decisione riguardante in prenatale è già viziata un modo o in un altro l’aborto. Questo implica nella sua radice che tutti devono essere informati opportunamente e chiaramente sulla possibilità di rifiutare un test. Sia la donna che la sua famiglia dovrebbero sapere sempre che le prove di diagnosi prenatale possono essere il primo passo verso l’aborto e questo riguarda anche una semplice ecografia. Tutti dovrebbero contare sulla possibilità di un opportuno accompagnamento alla diagnosi prenatale23. Libertà e responsabilità Responsabilità significa qui “nessuno può rispondere al nostro posto”. Si tratta di decisioni che non possono posporsi e nemmeno delegarsi. Ognuno deve accettare la propria responsabilità. Sono responsabili il medico e l’operatore sanitario come è re- 42 sponsabile il padre. È responsabile la madre che deve agire con libertà ma sempre con responsabilità. Questo significa che deve rispondere per il nascituro e che non può ignorare il padre. Il medico e l’operatore sanitario sono liberi, sono responsabili e hanno una coscienza. I genitori devono agire in coscienza, i medici anche. Ognuno deve assumere liberamente la responsabilità che gli compete. In sintesi: il rispetto per la vita, l’equilibrio tra i rischi ed i benefici soprattutto per il nascituro, la precisa indicazione medica, il consenso informato è il rispetto della coscienza sono elementi in gioco. I possibili conflitti per il medico: responsabilità verso la vita e il rispetto dell’autonomia personale A prima vista è evidente che i problemi che possono presentarsi al medico o all’operatore sanitario nel campo della diagnosi prenatale sono fondamentalmente di due tipi come dicevamo prima: problemi etico morali o problemi giuridico legali. Problemi bioetico-morali Dal punto di vista etico la diagnosi prenatale, indipendentemente dai metodi che si adottino, è moralmente illecita quando viene realizzata con una finalità selettiva, cioè, con lo scopo di eliminare i bambini handicappati. Detto in altre parole: quando si contempla l’eventualità, in funzione dei risultati, di provocare un aborto, la diagnosi prenatale è già viziata nella sua radice. Quando una diagnosi certifica l’esistenza di una malformazione o della malattia ereditaria e si trasforma automaticamente in una sentenza di morte si perverte l’atto medico nella sua stessa radice: non fare il male, non nuocere. Questo implica che la donna che ha richiesto la diagnosi con l’intenzione determinata e precisa di procedere all’aborto nel caso in cui il risultato confermasse l’esistenza di una malformazione o anomalia commetterebbe un’azione gravemente illecita. Ugualmente agisce in modo contrario all’etica e alla morale il coniuge, i parenti o qualunque persona che consigliasse o imponesse la diagnosi prenatale alla gestante con l’intenzione di arrivare all’aborto. In modo simile, lo specialista che realizzando la diagnosi o comunicando il risultato della diagnosi, contribuisse volontariamente o favorisse la relazione causa-effetto tra la diagnosi prenatale e l’aborto susseguente agirebbe in modo contrario all’etica e alla morale. In quest’ultima ipotesi si parla di “cooperazione al male”. Esistono due modi di cooperazione al male. Si parla di cooperazione materiale quando, chi coopera all’azione cattiva di un altro, ne procura un elemento, materialmente, ma non è a conoscenza in modo alcuno del fine cattivo perseguito dall’altro. Per esempio, chi vende la pistola ignorando che l’altro voglia suicidarsi. Si parla di cooperazione formale quando vi è la volontà di un soggetto di cooperare al male cercato da un altro. Si parla anche di cooperazione diretta quando è possibile stabilire una relazione di causalità tra la materia procurata da chi aiuta e il male cercato dall’altro. La cooperazione è indiretta se questa relazione di causalità non può essere stabilita in anticipo o non è in modo alcuno evidente. Quando uno specialista ha la certezza morale che la conseguenza diretta della diagnosi prenatale di una malformazione o anormalità sarà l’aborto, se procede, sta collaborando direttamente al male dell’altro, e perciò sta operando male e se ne fa suo complice. Ogni normativa o programma delle autorità civili e sanitarie o di organizzazioni scientifiche che favorisca la connessione tra diagnosi prenatale e aborto, o che induca le gestanti a sottomettersi alla diagnosi prenatale pianificata con l’intenzione di eliminare i feti portatori di malformazioni o malattie ereditarie è una violazione del diritto alla vita ed è un abuso sui diritti e doveri prioritari dei genitori. In questo contesto il diritto all’obiezione di coscienza sanitaria permette che il personale sanitario e gli operatori nell’area della salute non siano obbligati a collaborare in attività di questo tipo che necessariamente sono finalizzate all’aborto. Questo diritto si fonda sulla stessa dignità umana e non dipende dal suo riconoscimento giuridico. In realtà può e deve Il diritto all’obiezione di coesercitarsi anche se la legi- scienza sanitaria si fonda slazione non la prevede. È sulla stessa dignità umaconveniente legiferare e garantire, mediante leggi, na e non dipende dal suo l’esercizio di questo diritto riconoscimento giuridico: quando in una determinata può e deve esercitarsi anche situazione il libero esercizio se la legislazione non la possa essere messo in peri- prevede colo, ma questo non significa che sia la legge a stabilire questo diritto o che una legge possa cancellare il diritto all’obiezione di coscienza. Una legge che proibisse questo diritto sarebbe intrinsecamente cattiva e pertanto non sarebbe più una legge. Le attuali possibilità cognitive della diagnosi prenatale esigono dal diritto risposte ogni volta adeguate e argomentate. Funzione del diritto è proteggere i valori co-esistenziali rilevanti. Non c’è dubbio che davanti a una forma di discriminazione sociale legalizzata contro la vita umana imperfetta (handicap), la finalità eugenetica della diagnosi prenatale rappresenti una minaccia contro il diritto alla vita, contro l’uguaglianza di opportunità, ed è un’offesa contro la comune dignità di tutti gli uomini, contro la loro identità soggettiva e contro il diritto alla differenza genetica. I problemi giuridico legali La problematica in questo campo è molto semplice nella sua radice, infatti si tratta quasi sempre di questioni economiche, ma è molto complessa nelle sue manifestazioni che in altre variano in funzione della concezione che si tenga del diritto. Questa differente concezione del diritto spiega anche le differenze esistenti tra i tribunali europei e quelli che appartengono alla giurisprudenza nordamericana. Vediamo alcune di esse per farci un’idea di possibili problemi in questo campo. In alcune sentenze europee si dà, di fatto, il riconoscimento del nascituro-nato come centro di interessi giuridicamente tutelato, meritevole di risarcimento per atti lesivi da parte di terzi prima della nascita. Tuttavia si 43 esclude il risarcimento diretto per omessa o errata diagnosi che abbia ostacolato l’aborto24. La giustificazione a procedere in questo modo è determinata, da un lato, dalla mancanza di un nesso di causalità tra la condotta negligente del medico e la malformazione congenita da una parte, e dall’altra, dalla non esistenza o non riconoscimento di un interesse del nascituro a non nascere25. Invece, viene riconosciuto un gran danno biologico e patrimoniale ai genitori per violazione del dovere di informazione e di impedimento con ciò dell’aborto26. Altre linee di argomentazione in alcune sentenze sono la violazione della libertà e dell’autodeterminazione della donna, la violazione del diritto alla salute psichica27, così come il diritto al desiderio procreativo dei genitori. Nella giurisprudenza americana, invece, far nascere un figlio in condizioni poco soddisfacenti in termini di qualità di vita può equivalere a causargli un’ingiustizia. Perciò alcuni tribunali ricorrono al diritto alla diagnosi prenatale ed insistono particolarmente sul diritto al consenso informato nelle gravidanze ad alto rischio. Essendo la vita un interesse di diritto pubblico quando si tratta di una persona handicappata si arriva a parlare del figlio o della persona gravemente malata come centro di costi. Alcune sentenze, infatti, indirizzano verso la possibilità di conferire la paternità legale ai medici e al rischio di dover affrontare risarcimenti economici non indifferenti. La possibilità di risarcimento si è fatta realtà in una celebre sentenza del tribunale di cassazione francese conosciuta come “sentenza Perruche”. Questa sentenza28 ha causato una grande perplessità perché in essa si accenna a un presunto diritto di non nascere. Dal diritto all’aborto si deduce il diritto ad essere abortito. Si privilegia il principio della riparazione inteso in senso economico sul principio della solidarietà. L’esperienza clinica insegna che per salvaguardare il vero bene di tutte le persone coinvolte, la diagnosi prenatale deve essere promossa come cammino per sostenere ed accompagnare la gestante 44 Conclusione Oggi possiamo sapere sempre più precocemente chi è malato o chi lo sarà. Tuttavia, sono ancora scarse le risposte terapeutiche. Proprio per questo è urgente la ricerca nel campo della medicina fetale alla luce dei principi antropologici che fondano la verità dell’uomo e il rispetto della sua dignità. I problemi esposti in campo etico sono insuperabili e continueranno ad esserlo finché non siano riconosciuti al feto i suoi diritti e il suo statuto umano. Il feto è un bambino, è una bambina, cioè è un essere umano. E come mai un essere umano non è una persona? L’embrione ed il feto o sono essere umani, degni di essere tutelati nel loro diritto a nascere e a nascere sani, o sono solo una parte del corpo della madre della quale essa può disporre autonomamente?29. Attualmente le moderne tecnologie diagnostiche, l’avanzamento della medicina e la visione sempre più concorde tra gli scienziati sul feto come “piccolo paziente” conferiscono al medico la possibilità e la capacità di poter aiutare al nascituro. La visione utilitarista, impegnata unicamente a ridurre il costo umano ed economico per la società delle malattie genetiche si rivela incapace non solo di eliminare le malattie genetiche nella pratica ma anche di risolvere il dramma umano che accompagna la vita di una persona handicappata e della sua famiglia. È un’aberrazione, una mostruosità tradurre la prevenzione dalle malattie genetiche e dalle malformazioni in eliminazione di essere umani. La prevenzione dovrebbe essere intesa come ricerca terapeutica, come educazione-formazione per la vita e la salute, già prima della concezione tramite una completa e vera informazione scientifica sulle cause delle malattie genetiche e le possibilità diagnostiche e terapeutiche odierne. I problemi relativi alla salute fetale non hanno solo una causa genetica ma implicano, come abbiamo visto, una molteplicità di cause di origine personale, sociale ed etica che dipendono dalla riduttiva visione eugenetica e che ancor oggi sono da risolvere. Dobbiamo essere ben consci dell’immenso potere della tecnologia e della capacità che essa ha di generare stili di vita individuali e sociali. La consapevolezza di ciò è presupposto indispensabile per non cadere nella confusione tra modernità e bontà, tra novità tecnologica e il miglioramento effettivo della qualità di vita per ogni persona e per le generazioni future. Affermare che gli scienziati non sono responsabili delle loro azioni è qualcosa di improponibile. Non è vero. L’esperienza clinica insegna che per salvaguardare il vero bene di tutte le persone coinvolte, la diagnosi prenatale deve essere promossa non come strumento per cercare il feto malformato ad ogni costo, bensì come cammino per sostenere la gestante e accompagnarla già dalla fase previa alla concezione, poi durante la gravidanza e fino al dopo nascita. Senz’altro questo implica a livello collettivo che l’etica della responsabilità deve essere soprattutto una realtà fatta possibile attraverso l’assistenza, concepita in primo luogo come riorganizzazione dei servizi, delle strutture e come distribuzione finalizzata delle risorse disponibili. In secondo luogo è urgente favorire i programmi di recupero e riabilitazione. In terzo luogo, e con questo concludiamo, bisogna lavorare senza sosta per promuovere una vera cultura della solidarietà, una vera cultura della vita. Note 1 Cf. DC. BEVIS, «The antenatal prediction of haemolytic disease of the newborn», in Lancet, 1, (1952), 395-398; Cf. MW. STEELE,WR. BREG, «Chromosome analysis of human amniotic fluid cells», in Lancet, 1, (1966), 383-385. 2 Nei paesi occidentali l’incidenza di malattie genetiche gira attorno al 3%. Attualmente, meno del 15% delle patologie genetiche hanno una cura medica. In alcuni casi, gli interventi sono ancora sperimentali. L’incidenza della sindrome di Down è di 1 per ogni 600 nati. Tuttavia un numero crescente di donne partorisce il primo figlio dopo i 35 anni e questo aumenta il rischio di concepire un figlio Down. La percentuale passa da 1 su 380 ai 35 anni, fino a 1 su 240 dopo i 37 anni. Un altro tipo di problematiche riguarda i parti prematuri, neonati sotto peso, ecc. Può vedersi una sintesi in MARY ENGEL, Moms over 40 a risky trend, The Los Angeles Times, 3-12-2007. 3 La distinzione tra tecniche invasive e non invasive corrisponde ad un approccio obiettivo dall’esterno. Dal punto di vista soggettivo ed esperienziale le tecniche non invasive sono percepite nella pratica come il primo scalino di una strategia diagnostica. Se tra un test non invasivo ed uno invasivo il 94% delle pazienti ad alto rischio sceglie in primo, molte delle pazienti che si sono sottomesse al test non invasivo (il 49%) accetteranno comunque di fare dopo un test invasivo, anche se il risultato del primo test era corretto. 4 Gli effetti finali del trattamento intrauterino della spina bifida ancora devono essere valutati a livello mondiale, tuttavia è importante che si continuino a sviluppare tecniche meno aggressive per la sua riparazione, cioè, tecniche fetoscopiche. Per questo motivo, è necessario che i gruppi che lavorano in chirurgia fetale ed in sperimentazione animale continuino la ricerca affinché l’accesso fetoscopico diventi una realtà nel trattamento di questa patologia. 5 Questa tecnica presenta due rischi molto elevati: in primo luogo prevede il prelievo di una o due cellule di un embrione allo stadio di 6-8 cellule. Questo, oltre alla consistenza del “campione” in sé (da 1/6 a 1/4 delle cellule totali del nuovo essere umano), implica che per effettuare questo esame debba essere rotta la membrana che ricopre e protegge in modo naturale l’embrione stesso. In secondo luogo, questa tecnica non fornisce risultati “assolutamente” certi, tant’è che la letteratura scientifica raccomanda comunque di effettuare le normali prove di diagnosi prenatale (amniocentesi, villocentesi, eccetera), per verificare l’esattezza della PGD. In media, i falsi negativi o i falsi positivi oscillano intorno al 10%. Al riguardo, F. MARTÍNEZ, Nace por primera vez en la Sanidad pùblica un bebè libre de una patologìa hereditaria, in La Razòn, 25 luglio 2006. L’autore racconta il caso di un neonato che grazie alla PGD è nato sano senza soffrire della malattia di Duchenne, patologia muscolare ereditaria legata ad un gene del cromosoma X che si manifesta tra i due ed i tre anni di vita, benché non si diagnostichi, in generale, fino ai sette anni di età. Normalmente, la malattia immobilizza le gambe verso i 12 o 13 anni e colpisce 1 neonato su 6.000 nati vivi. 6 Cf. D. CHITAYAT, R. BABUL-HIRJI, «Genetic counselling in prenatally diagnosed non-chromosomal fetal abnormalities», in Curr Opin Obstet Gynecol, 12, (2000), 77-80. 7 Cf. CONFERENCIA EPISCOPAL ESPAÑOLA, La eugenesia no es curación., A propósito de supuestos avances de la sanidad. Madrid, 27 luglio 2006. «Con la diagnosi genetica preimpianto, pertanto, non si cura nessuno; quello che in realtà si fa è selezionare i malati per la morte e qualche sano affinché viva. L’etica riserva a questa pratica il nome di eugenetica. Eliminare embrioni (malati o sani) è attentare gravemente al diritto fondamentale alla vita degli esseri umani nelle prime fasi del suo sviluppo vitale. [...] La felicità che comporta la nascita di un bebè sano non basta per presen- 45 tare come progresso alcune pratiche che fanno a meno del diritto alla vita dei suoi fratelli generati in vitro. La giustizia e la solidarietà esigono da tutti il compromesso con la verità». Giuseppe Noia si domanda al riguardo: Che cosa è se non una manipolazione culturale e scientifica il fatto che dietro la PGD su 17.544 embrioni fecondati si siano ottenute solamente 279 nascite, pari al 1,5%? ESHRE Preimplantation Genetic Diagnosis Consortium, 2001. 8 Cf. RJ. GREEN ET AL., «Surveillance for second primary colorectal cancer after adjuvant chemotherapy», in Ann Intern Med, 136, (2002), 261-269. 9 Cf. Sunday Times (Londra), 6 maggio 2007. Si vedano anche le forti critiche a questa tecnica in VIVIANA DALOISO, Si elimina il malato. Sempre che lo sia, Intervista al prof. Licinio Contu, genetista e già Direttore del Centro regionale di trapianti della Sardegna, in Avvenire, 3-1-2008. 10 Richiama l’attenzione l’esempio dell’Italia dove più del 50% delle gravidanze è seguito molto da vicino con l’applicazione sistematica delle tecniche di diagnosi prenatale, in media più di 80.000 all’anno. Secondo un articolo edito l’11 marzo di 2007 in La Repubblica, nel 2005 il 79% delle donne italiane si è sottomesso almeno a tre ecografie durante la gravidanza. Negli ultimi 10 anni la domanda si è incrementata di un 90% nelle strutture pubbliche ed in un 276% nelle istituzioni di salute private. Il dato parla da solo. Un’altra investigazione dell’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che più del 90 percento delle donne si sottomette ad un numero medio di ecografie di gran lunga superiore a quello consigliabile. Nel sud dell’Italia si arriva a 6,2 ecografie per gravidanza, 5,5 nel centro della Repubblica e 4,9 nel nord. Solo il 17% delle donne si accontenta con i tre esami ecografici raccomandabili, uno in ogni trimestre della gravidanza, mentre il 50% fa tra 4 e 6 ecografie, ed il 30% sette o più. È soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza che si ricorre con maggior frequenza alle sonde transvaginali, le quali mettono il feto in contatto diretto col fascio ultrasonico. Studi sperimentali sugli animali hanno dimostrato lesioni epatiche in quei feti le cui madri sono state esposte abusivamente ad ultrasuoni, soprattutto in presenza di mezzi di contrasto. Cf. ALESSANDRA TURRISI, Troppe ecografie, in Avvenire, 07 maggio 2004. L’autrice si riferisce a dichiarazioni di Adelfio Elio Cardinale, Direttore della Facoltà di Medicina di Palermo ed al lavoro di Roberto Lagalla, Direttore del Dipartimento di Scienze Radiologiche a Palermo. Dello stesso parere Cf. SANDRINE BLANCHARD, L’Académie di médecine s’inquiète des “dangers” dell’échographie foetale in 3D, Le Monde, 07.10.2004. 11 Cf. A. QUEISSER-LUFT, H. STOPFKUCHEN, G. STOLZ, K. SCHLAEFER, E. MERZ, «Prenatal diagnosis of major malformations: quality control of routine ultrasound examinations based on a five-year study of 20248 newborn fetuses and infants», in Prenat Diagn, 18, (1998), 567-576. 46 12 Cf. H. Khuse, L’etica pratica di Peter Singer, in «Http://www.zadig.it/news2002/sci/new-10-101.php» (10-10-2002), Secondo un articolo del “Journal of American Medical Association”, Peter Singer giustifica l’infanticidio sulla base della “utilità totale”: “Quando la morte di un bambino handicappato favorisca la nascita di un altro bambino con migliori prospettive di vita felice, la quantità totale di felicità sarà maggiore se il bambino handicappato viene soppresso”. 13 Dal punto di vista etico i falsi positivi aprono la possibilità di scartare embrioni e feti in una tappa molto precoce o neonati se la diagnosi è tardiva che possono apparire come malati ma che in realtà sono sani. Questo è uno dei punti neri più difficili da risolvere. Al rispetto si veda G. GAMBINO, Diagnosi prenatale. Scienza, etica e diritto a confronto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma 2003, soprattutto 126-178. 14 Cf. SHIRLEY S. WANG, Addressing the Fallout Of Newborn Screening. Government and Researchers Seek to Reduce False Positives, Improve Physician Education and Follow-Up for Families,The Wall Street Journal, 30-102007, 1. 15 Cf. CARLO BELLIENI, Diritto alle cure: no alle differenze tra adulti e neonati, in Zenit.org, 4 novembre 2007. L’autore propone di utilizzare il termine “handifobia”: la fobia verso l’“handicap”, verso ciò che non è sotto il nostro controllo e che ci impedisce di interagire serenamente con il diversamente abile. Consigliamo di consultare il blog di questo autore, in italiano, nella seguente direzione: http://carlobellieni.splinder.com/tag/diagnosi_prenatale. 16 Si vedano ad esempio gli artt. 4 e 6 della l. 194/78, vigente nella Repubblica italiana. 17 Citato da JOHN FLYNN, En busca del bebé perfecto, Bebés eliminados mientras la nueva eugenesia gana fuerza, in www.zenit.org, Roma, 5 luglio 2007. 18 La chirurgia aperta consiste nell’aprire l’utero materno, raggiungere la parte malata del feto, eseguire l’intervento e reintrodurre il feto, riponendo il liquido amniotico, suturando le membrane. La chirurgia minimamente invasiva, invece, realizza gli interventi attraverso un fetoscopio (ago largo di due canali: uno per introdurre la fibra ottica che permette al chirurgo di vedere; un altro per lo strumento chirurgico: laser, forbici, etc.), in modo che, terminato l’intervento, si è realizzata solo una piccola incisione, simile ad un punto, nell’addome della madre. Gli esperti sostengono che la tendenza europea finirà per imporsi su quella aperta, grazie ai suoi eccellenti risultati ed alla sua minore aggressività. 19 Cf. N. RAMÍREZ DE CASTRO, Cirugía fetal, quo vadis?, in ABC, 08 Settembre 2007; Cf. G. NOIA, Da “I cure” a “I care”: una medicina che salva, accompagna e non sopprime la vita, in www.zenit.org, Roma, 21 maggio 2007. 20 Dal punto di vista della Chiesa Cattolica si trovano indicazioni precise sulla liceità della diagnosi prenatale soprattutto in due documenti: nella Dichiarazione de- lla Congregazione per la Dottrina della Fede Istruzione Donum vitae sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, 22 febbraio 1987, I, 3: AAS 80 (1988), 80 e nella Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, del 25 Marzo 1995. Nella Donum Vitae il Magistero della Chiesa dichiara che gli esami prenatali devono rispettare la vita e l’integrità dell’embrione o feto umano e che la sua finalità deve essere terapeutica, cioè, deve cercare la protezione e l’attenzione individuale del bambino concepito. Nell’orizzonte di questa finalità terapeutica si aggiunge anche il desiderio di informarsi sullo stato di salute del feto. È fondamentale che le tecniche che si usano non mettano sproporzionatamente a rischio la vita del bambino. Come giustificazione ultima di alcune di queste affermazioni esiste un altro documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre 1974, 12-13: AAS 66 (1974), 738 così come molti altri documenti e pronunce del Magistero dalle quali deriva l’inequivocabile posizione di condanna nei confronti dell’aborto volontario. 21 È molto interessante quanto è stato riportato in un documento della Santa Sede, la Lettera degli operatori sanitari, del Consiglio Pontificio per gli Operatori Sanitari, X - 1994, perché in una breve sintesi presenta i principali fattori etici implicati nella diagnosi prenatale e contemporaneamente espone in modo ordinato molti degli interventi di Giovanni Paolo II su questa tematica. Al principio di non affrontare un rischio sproporzionato (alle volte inerente alla stessa tecnica), il documento affianca – sottolineandola – l’importanza per la liceità degli esami della finalità terapeutica, cioè, della ricerca del bene sia della madre che del bambino. La lettera, da un lato, critica l’abuso della diagnostica prenatale finalizzata all’aborto selettivo, e, dall’altro, sottolinea la sua liceità per i benefici che può procurare. È quanto abbiamo tentato di dimostrare nel nostro lavoro. Giovanni Paolo II diceva nell’enciclica Evangelium Vitae n. 63: un’attenzione speciale merita la valutazione morale delle tecniche di diagnosi prenatale che permettono di identificare precocemente eventuali anomalie del bambino prima della nascita. In effetti, per la complessità di queste tecniche, questa valutazione deve essere molto diligente ed articolata. Esse sono moralmente lecite quando sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino o la madre, e sono orientate a facilitare una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole accettazione del nascituro. Ma, dato che le possibilità di cura prima della nascita sono oggi ancora scarse, succede spesso che queste tecniche si mettano al servizio di una mentalità eugenetica che accetta l’aborto selettivo per ostacolare la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è totalmente deplorevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana seguendo solo parametri di “normalità” e di benessere fisico, spianando così perfino la strada alla legittimazione dell’infanticidio e dell’eutanasia. 22 Sono indicazioni mediche obiettive: età materna superiore a 35 anni; antecedente di un altro figlio avente sindrome di Down (questo aumenta il rischio di un 2%); presenza in uno dei genitori di aberrazione cromosomica recessiva (aumenta il rischio dal 5% al 12%); presenza in uno dei genitori di un gene dominante che determina malattie cromosomiche o antecedente di un figlio con disordine recessivo di un gene patogeno; antecedente di un figlio con difetti nel cromosoma X, madre portatrice sana, (se il figlio è maschio il rischio è del 50%); antecedente di un figlio con deficit malformativo nel tubo neurale; antecedente di figli che soffrono gravi malformazioni congenite, esposizione dei genitori a dose di agenti mutogeni fisici, chimici o altri (radiazioni). 23 In tutto ciò che riguarda malformazioni, diritto al consenso informato e gravidanze a rischio è interessante la sentenza Supreme Court Texas, 1975 e circa ai test si veda District Court Alabama, 1994. AFP e Court of Appeals Michigan, 1996. 24 Si veda al riguardo Trib. Roma 13.12.1994; Trib. Bergamo, 16.11.1995. 25 Cf. App. Venezia, 1990. Si presume il maggior valore della vita in confronto alla non vita. 26 Cf. Sentenza Trib. Cassazione Penale, 1997. 27 Cf. art. 4 l.194/78 della legge italiana sull’aborto. 28 Cf. Cass. 17.11.2000; Cass. 13.07.2001; Cass. 28.11.2001. 29 Per la conclusione seguo quanto propone G. GAMBINO, Diagnosi Prenatale…, op. cit. 47