STVDI MEDIEVALI
SERIE
TERZA
Anno LIII - Fasc. II
2012
FON DAZ ION E
CENTR O ITALI ANO DI S TU DI
S ULL’ALTO ME DIOE VO
SPOLETO
Il Liber instrumentorum del monastero
di San Salvatore a Maiella *
I. INTRODUZIONE
Negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo, alcuni monaci del cenobio benedettino di San Salvatore a Maiella in
Abruzzo si accinsero alla redazione di un’opera che la storiografia successiva avrebbe ricordato come “cartulario” dell’omonimo ente ecclesiastico.
Esso si presenta come un petit cahier 1 di ridotte dimensioni,
un libellus membranaceo, attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana nel fondo Archivio del Capitolo di
S. Pietro, Pergamene, caps. LXXII, fasc. 53, n. 1. Il codice è
noto anche come Liber instrumentorum monasterii Sancti Salvatoris
de Maiella, dalla dicitura apposta in epoca successiva sulle coperte antiche ora staccate.
Esso tuttavia non contiene solo instrumenta relativi al monastero, come ha messo in rilievo anche l’erudito Antonio Martinetti, cui si deve un primo approfondito studio 2, ma si pre* Il presente contributo prende le mosse dalle tesi di laurea di Lorenza Iannacci
(Il cartulario di San Salvatore a Maiella: documenti dal 1021 al 1070) e di Tatiana Capraro
(Il cartulario di San Salvatore a Maiella: documenti dal 1071 al 1196), discusse nel 2005
presso l’Università di Bologna (relatore: Giovanni Feo; correlatore: Berardo Pio).
Desidero qui ringraziare il dott. Luigi Cacciaglia e tutto il personale della Biblioteca Apostolica Vaticana per la disponibilità e la cortesia dimostrate.
1. L. FELLER, Casaux et castra dans les Abruzzes: San Salvatore a Maiella et San
Clemente a Casauria (XIe-XIIIe siècle), in Mélanges de l’Ecole Française de Rome. MoyenÂge, Temps modernes, 97 (1985), pp.145-182.
2
A. MARTINETTI, Dissertatio de antiquitate, ditione, iuribus, variaque fortuna Abbatiae
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LORENZA IANNACCI
senta estremamente composito e costituito da diverse parti
aventi origini e caratteristiche profondamente differenti, qui
raccolte a formare un unico codice: una breve biografia del
priore Giovanni, una bolla pontificia del 1175 nella quale Alessandro III conferma a San Salvatore diversi possedimenti ed
immunità, un diploma di Ruggero II emanato a favore del
monastero, un indice di alcuni beni del monastero ed una raccolta di regesti, non ordinati cronologicamente, tratti da documenti notarili che attestano diverse proprietà acquisite per
mezzo di donazioni da San Salvatore nel corso di circa due secoli (XI e XII secolo). A questa prima parte, che forma il cartulario vero e proprio, sono poi affiancati alcuni inventari dei
possedimenti e dei beni del monastero, il primo dei quali venne compilato nel 1220 su istanza dell’abate Rainaldo, nonché la
trascrizione integrale di alcuni documenti che potremmo definire “avventizi”, ovvero di molto posteriori alla data di composizione del nucleo originario. Il manoscritto appare insomma
oggi costituito da nuclei testuali assai eterogenei stratificatisi nel
tempo e frutto del lavoro di diverse mani.
Il fondo documentario conservato presso l’Archivio del Capitolo di S. Pietro comprende la documentazione superstite riguardante il monastero di San Salvatore, qui confluita in seguito all’aggregazione della fondazione benedettina al Capitolo vaticano, avvenuta alla fine del XIII secolo. I pezzi più antichi
contenuti all’interno del fondo archivistico, oltre al libellus oggetto del presente studio, sono alcuni inventari di beni, in particolare l’inventario redatto nel 1362 e i due censimenti di beni
del 1372, oltre a documenti di affitti, elezioni abbaziali e riepiloghi di introiti dei secoli XV e XVI 3. Di questo non esiguo
Sancti Salvatoris ad Montem Magelle, in appendice a ID., Collectionis bullarum sacrosanctae
basilicae Vaticanae, I, Romae, 1747. Cfr. anche FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1),
p. 145 nota 1.
3. La restante documentazione relativa all’abbazia di San Salvatore a Maiella è
conservata sempre presso Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di S. Pietro, Pergamene, caps. XX, fascc. 39-41; caps. LIX, fasc. 72
e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di S.
Pietro, Abbazie, reg. n. 23. In particolare quest’ultimo registro è il primo di una serie di 147 registri concernenti la storia del monastero di San Salvatore a Maiella e di
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
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patrimonio documentario il nostro codice rappresenta, dunque,
la testimonianza più antica, nonché una fonte di una certa importanza nel panorama della documentazione abruzzese conosciuta 4.
L’intero fondo fu esaminato e in parte edito per la prima
volta dal Martinetti che pubblicò la Dissertatio de antiquitate, ditione, iuribus, variaque fortuna Abbatiae Sancti Salvatoris ad Montem
Magelle nel 1747, in appendice ad una edizione di Bolle pontificie 5. A lui si deve anche la prima datazione del codice, che
fu poi accettata e ripresa anche da tutta la storiografia successiva, ma che a nostro avviso non è del tutto esatta e necessita di
alcune correzioni, come vedremo. Lo studioso, infatti, datò il
codice quandoquidem circa initia seculi XIII 6, basandosi sull’ordinatio del già citato inventario di beni del monastero, voluto nel
1220 dall’abate Rainaldo, che è trascritta a f. 29r del codice, in
apertura dell’inventario stesso:
Rerum gestarum series ideo literis commendatur ne temporum mutationibus hominumque successionibus aliquando oblivioni tradatur. Inde est quod ego Rainaldus ecclesie Maiellane humilis minister, unacum fratribus meis de reditibus et servitiis ecclesie, pro eo quod nobis ignota erant, consilio habito, quosdam de colle Sancti Pancratii, et de omnibus castellis, in quibus ecclesia possessiones habebat, ad sancta Dei
Evangelia iurare fecimus, ut falsa reticerent et vera loquerentur; qui iurantes talia retulerunt, qualia in libello isto inveniri possunt. Actum est hoc anno Dominice incarnationis MCCXX, indictione VIII, anno vero ingressionis mee in amministratione
iam dicte ecclesie IIII.
San Martino di Fara; esso contiene sostanzialmente una raccolta di atti posteriore alla
sottomissione delle due istituzioni monastiche al Capitolo vaticano.
4. Per una panoramica della documentazione abruzzese, edita e non, in periodo
medievale si vedano L. PELLEGRINI, Abruzzo medioevale. Un itinerario storico attraverso la
documentazione, Altavilla Silentina, 1988 (Studi e ricerche sul Mezzogiorno medievale, 6); L. FELLER, Sur le sources de l’histoire des Abruzzes entre IXe et XIIe siècles, in Contributi per una storia dell’Abruzzo adriatico nel medioevo, a cura di R. PACIOCCO - L.
PELLEGRINI, Chieti, 1992, pp. 47-69; ID., Les Abruzzes médiévales. Territoire, économie et
société en Italie centrale du IXe au XIIe siècle, Roma, 1998, pp. 7-46.
5. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. VI. Il Martinetti inoltre inserisce all’interno della sua Dissertatio anche altra documentazione riferibile al monastero di
San Salvatore a Maiella, ma non presente all’interno del cartulario o del fondo Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di S. Pietro,
Pergamene, caps. LXXII, fasc. 53.
6. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. IV.
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LORENZA IANNACCI
Martinetti, probata codicis authoritate 7, presentò i regesti trascritti all’interno del libellus in ordine cronologico dal 1000 al
1196, estremi temporali riportati in tutti gli studi che, citando il
nostro cartulario, hanno utilizzato il Martinetti come fonte 8;
l’erudito inoltre osservò, a premessa della trascrizione della documentazione di San Salvatore a Maiella, come l’intero codice
fosse interamente compilato da un unico scrittore.
Il libellus ha quindi conosciuto negli anni una duplice fortuna.
Dopo la trascrizione ad opera del Martinetti, esso è sempre stato
individuato come fonte di primo piano non solo da storici locali
in prevalenza del secolo scorso 9 ma anche in lavori più attuali e
di più ampio respiro: basti ricordare lo studio di Laurent Feller
sull’organizzazione territoriale dei possedimenti di San Salvatore e
della vicina e potente abbazia di San Clemente a Casauria 10, e sulle alterne influenze socio-politiche che, nei secoli XI e XII, condizionarono la vita dei due enti ecclesiastici.
Inoltre il cartulario è stato recentemente accostato, seppure
con le dovute eccezioni e le notevoli differenze materiali e
contenutistiche, alle note “cronache con cartulario” prodotte
tra XI e XII secolo nell’ambito dell’area di influenza benedetti7. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. V.
8. Cfr. E. CARUSI, Cenni sull’abbazia di S. Barbato di Pollutri dalla sua fondazione
alla fine del sec. XVIII, in Bullettino della Regia Deputazione Abruzzese di Storia Patria,
ser. III, VII-VIII (1916-1917), pp. 22-23, n. 2; G. SABATINI, La “Monda della Maiella”
già proprietà di Benedettini e Cistercensi, in Bullettino della Regia Deputazione Abruzzese
di Storia Patria, ser. III, XX-XXI (1929-1930), pp. 25-164, con l’edizione della dissertazione di P. POLLIDORO, De eremiti et monasterio Sancti Salvatoris Maiellae, pp. 157160; R. AVESANI - M. C. DI FRANCO - V. JEMOLO, Nuove testimonianze di scrittura beneventana in biblioteche romane, in Studi Medievali, 3a serie, VIII, 2 (1967), pp. 857881, in particolare pp. 866-875 (I. Da codici di San Salvatore a Maiella); U. PIETRANTONIO, Il Monachesimo Benedettino nell’Abruzzo e nel Molise, Lanciano, 1988, pp. 265-267;
L. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 145; B. PIO, Alcune considerazioni sulle cronache con cartulario, in Ovidio Capitani: quaranta anni per la storia medioevale, a cura di
M. C. DE MATTEIS, Bologna, 2003, pp. 309-321 (sia FELLER sia PIO riportano come
data del documento più antico il 1010); da ultima I. DELLA MORGIA, Il monastero di S.
Salvatore a Maiella: strutture insediative ed evidenze architettoniche in Cantieri e maestranze
dell’Italia medievale. Atti del Convegno di studi (Chieti – San Salvo, 16-18 maggio
2008), Spoleto, 2010, pp. 575-594.
9. Cfr. ad esempio SABATINI, La “Monda della Maiella” cit. (nota 8), e gli studi
precedenti ivi citati.
10. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1).
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
721
no-cassinese, ovvero alle compilazioni di Santa Maria di Farfa,
San Vincenzo al Volturno, Santa Sofia di Benevento, San Benedetto di Montecassino, San Clemente a Casauria e San Bartolomeo di Carpineto 11.
Il presente contributo, dunque, si propone di indagare in
maniera più approfondita e sotto molteplici punti di vista (storico, paleografico, diplomatistico, codicologico e stilistico) il
cartulario di San Salvatore, per cercare di collocarlo al meglio
nelle vicende storiche del periodo e dell’istituzione, ma anche
per tentare di comprenderne i significati più intimamente legati
al contesto di produzione e alle motivazioni che portarono alla
sua composizione, in sintesi: quando e perché il cartulario venne redatto? Quale la ratio compositiva?
In secondo luogo, facendo riferimento al nutrito dibattito
storiografico e diplomatistico sui cartulari, si tenterà di capire
analogie e differenze del nostro codice con le più note cronache-cartulario di area centro-meridionale. Fondamentale è stato
in questo senso un confronto diretto in particolare con il Chronicon casauriense 12. Il parallelo con il noto codice prodotto a Casauria, la cui magnificenza e complessità peraltro non possono essere paragonate al nostro libellus, di fattura certamente meno pregevole, si è del resto reso necessario se si considerano le strettissime relazioni intercorse fra i due monasteri – ben evidenziate dal
Feller – nell’ambito del generale contesto regionale.
In terza ma non ultima istanza, il presente studio si propone
come preliminare quanto necessaria premessa a quella che ci
auguriamo possa essere una definitiva e ragionata edizione critica del Liber instrumentorum di San Salvatore.
Ma prima di procedere nell’analisi è necessario fornire qualche informazione sulla storia del monastero e su quanto di essa
sappiamo proprio grazie al nostro codice.
11. Ibid., p. 145; PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 319; ALEXANDRI MONACHI
Chronicorum liber monasterii Sancti Bartolomei de Carpineto, a cura di B. PIO, Roma, 2001
(Fonti per la Storia dell’Italia Medievale, Rerum Italicarum Scriptores, 5), p. XIX.
12. GIOVANNI DI BERARDO, Liber instrumentorum seu chronicorum monasterii
Casauriensis. Codicem Parisinum Latinum 5411 quam simillime expressum edidimus,
riproduzione a cura dell’Amministrazione Provinciale dell’Aquila, Comitato per il V
centenario dell’introduzione della stampa in Abruzzo, L’Aquila, 1982 (con allegato:
A. PRATESI, Prefazione, pp. 5-26).
722
LORENZA IANNACCI
BREVE
STORIA DEL MONASTERO
Le origini e i primi anni
Il monastero di San Salvatore si innalzava a più di mille
metri d’altitudine, nei pressi dell’attuale Rapino in provincia di
Chieti, lontano da centri abitati e dalle principali arterie di comunicazione, in un luogo consono ad un umile cenobium 13:
non sorprende, tuttavia, in un territorio come quello abruzzese,
trovare una fondazione monastica, anche di una certa importanza, ad una tale altitudine 14. Invero la tipicità di San Salvatore sta nell’aver conservato, anche grazie alla raccolta di attestazioni tradite dal cartulario, un archivio abbastanza ampio e
completo, avvicinabile a quello tramandato da complessi monastici della regione più prestigiosi e noti, come San Clemente a
Casauria, San Bartolomeo di Carpineto e Santa Maria di Picciano 15. Nonostante ciò, come viene sottolineato negli studi più
recenti, « si tratta di un insediamento ancora poco noto alla letteratura scientifica che ne ha indagato solo alcuni aspetti » 16.
Sembra improbabile la notizia riportata dal Lubin 17 di un
primitivo centro benedettino sorto attorno al VI secolo nei
pressi della civitas di Tazze, antica città preromana già all’epoca
abbandonata; secondo il Pietrantonio, tuttavia, un originario
13. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 147.
14. Basti vedere, ad esempio, il repertorio di monasteri benedettini per il territorio teramano di G. DI CESARE, Problemi storici e storiografici del Monachesimo benedettino
teramano, Teramo, 1983, p. 110 (S. Salvatore di Castelli), p. 115 (SS. Salvatore e Nicolò di Fano a Corno), p. 117 (S. Silvestro ad Aielli) e rif. ad indicem.
15. GIOVANNI DI BERARDO, Liber instrumentorum cit. (nota 12); ALEXANDRI MONACHI Chronicorum, ed. cit. (nota 11); A. CLEMENTI, S. Maria di Picciano. Un’abbazia
scomparsa e il suo cartulario: sec. XI, L’Aquila, 1982.
16. DELLA MORGIA, Il monastero di S. Salvatore cit. (nota 8), p. 576 che continua in
nota: « [...] manca ancora una completa analisi che vada al di là di un’interpretazione
puramente storica e che raccordi i temi di archeologia e topografia di età pienamente medievale ». Sul risvegliato interesse per il monastero di S. Salvatore a Maiella e
in generale per il versante orientale della Maiella si segnala qui la tesi di dottorato di
Sabrina Cimini, in corso di completamento: S. CIMINI, Insediamenti monastici e territorio in Abruzzo: il versante orientale della Maiella tra IX e XIII secolo, tutor Prof. Marco
Vendittelli, XXV Ciclo del Corso di Dottorato di Ricerca in “Cultura e Territorio”
presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
17. A. LUBIN, Abbatiarum Italiae brevis notitia, Romae, 1963.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
723
nucleo eremitico doveva essere già presente in zona a partire
dall’VIII secolo 18, come attestato anche in altre parti della regione. Le prime notizie certe riguardo l’istituzione monastica
risalgono però solo all’XI secolo e sono tramandate dalla biografia del priore Giovanni, trascritta in apertura del cartulario,
che ci illumina sugli anni del suo priorato. Egli resse il monastero nella prima metà dell’XI secolo, dopo la rinuncia del suo
predecessore Oddo, menzionato nella stessa biografia, e rimase
in carica sicuramente fino al 1040. Per San Salvatore questo fu
senz’altro un periodo di grande sviluppo e splendore. Giovanni,
infatti, sostituì l’ecclesiam parvam et obscuram, ac aedificia omnia lignea et vetusta con una costruzione maestosa, caratterizzata da
un edifico di culto con tre altari e da strutture interamente in
muratura, segno questo di una certa agiatezza e disponibilità
economica 19. Lavori di abbellimento e ammodernamento sono
attestati in questo periodo anche per la vicina abbazia di San
Liberatore a Maiella, prepositura cassinese 20: qui, in coincidenza con il priorato di Giovanni a San Salvatore, l’abate Teobaldo
(1022-1035), reggente del monastero per conto di Montecassino, si distinse per la sua opera di rinnovatore e costruttore, realizzando il medesimo passaggio da strutture lignee a strutture in
muratura 21. Nonostante le parole della biografia di Giovanni
18. PIETRANTONIO, Il monachesimo benedettino cit. (nota 8).
19. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 148.
20. Com’è noto, d’altronde, i secoli XI e XII sono caratterizzati dal fenomeno
dell’ « evergetismo monastico » che ebbe tra le sue figure più celebri in Italia l’abate
Desiderio (1058-1086) per le ricostruzioni di Montecassino (1066-1071) e di Sant’Angelo in Formis (1071-1087), cfr. F. REDI, Le chiese benedettine: soluzioni architettoniche e prassi costruttiva fra tradizione e innovazione (secc. VIII-XIV), in Cantieri e maestranze cit. (nota 8), pp. 43-72, qui in particolare pp. 53-55; si veda inoltre G. CARBONARA, Iussu Desiderii. Montecassino e l’architettura campano-abruzzese nell’undicesimo secolo,
Roma, 1979.
21. « In monasterio sancti Liberatoris quod in comitatu Teatino iuxta Laentum
fluvium situm est [...] ubi cum parvam admodum ecclesiam et valde oscura reperisset, ceteras vero officina set ligneas et vetustas, intra breve tempus ab ipsis fundamentis omne illud monasterium petrinis parietibus aedificavit [..]. », [Chronica monasterii Casiniensis. Die Chronik von Montecassino, II, 52, herausgegeben von H. HOFFMAN, Hannover, 1980, in M.G.H. (Scriptores, XXXIV), pp. 262-263]. Si veda inoltre
M. C. SOMMA, Cantieri e maestranze dei monasteri benedettini abruzzesi, in Cantieri e
maestranze cit. (nota 8), pp. 97-134, in particolare pp. 100-101. Rispetto a San Liberatore e a San Salvatore, invece, a circa un secolo più tardi (1105) risale l’intervento
724
LORENZA IANNACCI
abbiano « il sapore di un vero e proprio topos » 22, o comunque
di un racconto quasi formulare, se si confrontano con le fonti
relative proprio a San Liberatore, significativa appare l’attestazione del quasi coevo passaggio dal legno alla pietra e così pure
della tipologia di intervento strutturale, e non è dunque da
escludere che tra i due enti ecclesiastici, vista la vicinanza territoriale, vi sia stata una reciproca e stretta influenza nelle soluzioni architettoniche adottate.
Nulla quindi ci è dato sapere esattamente, per mezzo della
documentazione superstite, riguardo l’origine e la data di fondazione del monastero; tuttavia proprio il contrasto tra l’opera
innovatrice del priore Giovanni e il tableau noir 23 precedente al
suo arrivo fornisce, indirettamente, una preziosa informazione:
se infatti agli inizi dell’XI secolo gli edifici in legno erano già
in condizioni tali da costringere i monaci ad una totale ricostruzione, si può lecitamente supporre che essi fossero stati edificati almeno una trentina d’anni prima. È dunque più che probabile che già alla fine del X secolo esistesse una comunità monastica a San Salvatore, nonostante sia impossibile « dire quel
genre de vie les moins instalées là pratiquient, s’il s’agissaient
d’heremum à part entiér au d’un véritable cenobium » 24.
Nell’opera di rinnovamento promossa dal priore Giovanni,
ad ogni modo, si inserisce anche una nuova attenzione rivolta
alla dotazione libraria e alla biblioteca del monastero, similmente a quanto si osserva nell’XI secolo anche in altri centri monastici italiani 25. Infatti, la notizia riportata nel prosieguo della
di ristrutturazione di San Clemente a Casauria, dove tuttavia l’abate Leonate, per ragioni finanziarie, dovette accontentarsi del legno per le abitazioni dei monaci e riservare la pietra alla sola chiesa. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 148 e nota
5 e SOMMA, Cantieri e maestranze cit., in particolare pp. 101-102. Per l’utilizzo del legno nelle prime costruzioni monastiche e per il successivo passaggio alla pietra nelle
opere di ristrutturazione o riedificazione cfr. anche REDI, Le chiese benedettine cit.
(nota 20), p. 59 e F. R. STASOLLA, L’organizzazione dei cantieri monastici, in Cantieri e
maestranze cit. (nota 8), pp. 73-95, in particolare pp. 85-90.
22. DELLA MORGIA, Il monastero cit. (nota 8), p. 579.
23. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 148.
24. Ibid., pp. 148-149.
25. Notevoli acquisizioni librarie si hanno ad esempio a Montecassino ai tempi
dell’abate Teobaldo, il quale « codices quoque nonnullos quorum hic maxima paupertas usque ad id temporis erat, describi praecepit », e poi di Desiderio, come ricor-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
725
biografia, libros autem LXIIII scribere feci, ragionevolmente induce
a ipotizzare un’attenzione speciale da parte del priore alla vita
anche culturale, e non solo materiale, dei monaci e alla formazione del suo clero, con la costituzione di una biblioteca attrezzata di tutto l’occorrente per gli usi liturgici. La presenza di
una raccolta libraria parrebbe essere supportata anche dall’esistenza di alcune copertine antiche, formate da frammenti di codici in scrittura beneventana, applicate su alcuni quaderni e registri conservati presso il fondo vaticano di San Salvatore, tra
cui lo stesso Liber instrumentorum 26. Secondo Rino Avesani, che
le ha censite e descritte 27, « siccome non c’è motivo per dubitare che tali copertine non siano state applicate sul posto, sembra legittimo ritenere che esse rappresentino tre codici scritti in
quel monastero, o almeno ad esso appartenute » 28. Tuttavia, se
l’esistenza di una biblioteca a San Salvatore è sicura, non altrettanto lo è quella di un vero e proprio scriptorium, sostenuta
apertamente, sulla scorta dello stesso Avesani, da Laurent Feller 29. La frase libros scribere feci che ricorre nella fonte non permette infatti di concludere nulla di certo al riguardo, se non
da la Chronica monasterii Casiniensis, ed. cit. (nota 21), II, 53, p. 265; cfr. in proposito
anche D. M. IGUANEZ, Catalogi codicum Casinensium antiqui (saec. VIII-XV), Montecassino, 1941 (Miscellanea Cassinese, 21); la stessa cosa avviene anche a Nonantola al
tempo dell’abate Rodolfo I (1003-1035), come ricorda il più antico catalogo dei libri
dell’abbazia, per cui cfr. G. GULLOTTA, Gli antichi cataloghi e i codici dell’abbazia di Nonantola, Città del Vaticano, 1955 (Studi e testi, 182); J. RUYSSCHAERT, Les manuscrits
de l’abbaye de Nonantola. Table de concordance annotée et index des manuscrits, Città del
Vaticano, 1955 (Studi e testi, 182 bis); Lo splendore riconquistato. Nonantola nei secoli
XI-XII. Rinascita e primato culturale del monastero dopo le distruzioni, a cura di M. PARENTE e L. PICCININI, Modena, 2003 e da ultimo M. MODESTI - M. MEZZETTI, Il monastero di Nonantola tra scriptorium e biblioteca (secoli VIII-XI), in Sit liber gratus,
quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi per il suo 90° compleanno, I, a cura di P. CHERUBINI - G. NICOLAJ, Città del Vaticano, 2012, pp. 65-78. Un
altro caso, fra i molti che si potrebbero citare, è quello di Pomposa sotto l’abate Girolamo (1078-1093?), per cui cfr. G. MERCATI, Il catalogo della Biblioteca di Pomposa, in
Studi e documenti di storia e di diritto, 17 (1895), pp. 145-177, ora in G. MERCATI, Opere minori, I, Città del Vaticano, 1937 (Studi e testi, 76), pp. 358-388.
26. Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Archivio del Capitolo di S.
Pietro, Pergamene, caps. XXVII, fasc. n. 53.
27. Per l’esistenza e le vicende relative alla biblioteca di San Salvatore, con la bibliografia precedente sull’argomento, cfr. AVESANI, Nuove testimonianze cit. (nota 8).
28. Ibid., p. 867.
29. Ibidem; FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p.148.
726
LORENZA IANNACCI
che sotto il priorato di Giovanni il monastero venne dotato di
64 nuovi manoscritti: nulla esclude infatti che i libri siano stati
commissionati a qualche altro centro scrittorio della regione 30.
D’altronde, oltre il Liber instrumentorum, realizzato quasi due secoli più tardi, non conosciamo nessun codice integro proveniente da San Salvatore, né si hanno veri e propri cataloghi di
libri appartenuti al monastero 31; a parte la citata biografia, le
uniche notizie certe sulla presenza di codici presso il cenobio
abruzzese provengono da fonti più tarde, nello specifico da
un’elencazione di beni dati in pegno dal monastero, riportata in
un atto di enfiteusi del 1271 32, e dall’inventario di beni immobili e suppellettili redatto da Giovanni di Comino nel 1365 33
su istanza del Capitolo di S. Pietro. Ciò che invece si può senza dubbio affermare, sulla scorta del Feller, è che la possibilità
di dotare il monastero di nuovi testi è certamente il segnale di
un elevato livello culturale e di una certa agiatezza economica
nel periodo del priorato di Giovanni. A prescindere da dove
siano stati copiati i codici in questione, la notizia può quindi
essere indirettamente letta come la spia della circolazione libraria e degli scambi culturali anche con centri monastici più
grandi e importanti, primo fra tutti Montecassino, probabile riferimento culturale dell’istituzione monastica abruzzese 34.
30. Com’è noto, le fonti dirette che attestano l’esistenza e l’attività degli scriptoria
nel medioevo sono relativamente scarse: in mancanza di queste ci si deve rifare, ovviamente, alle informazioni che è possibile ricavare dai codici stessi e da poche altre
notizie tramandate indirettamente, come quella in questione: la prudenza però, in
questi casi, è necessaria se non si vuole incorrere in forzature o in conclusioni troppo affrettate, come fanno notare, a proposito dello scriptorium nonantolano, MODESTI
- MEZZETTI, Il monastero di Nonantola cit. (nota 25), con bibliografia ivi citata.
31. Sugli errori e gli equivoci della storiografia precedente riguardo l’esistenza di
codici appartenuti e prodotti a San Salvatore, cfr. AVESANI, Nuove testimonianze cit.
(nota 8), pp. 867-868.
32. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. XXXIX.
33. Ibid., p. XLI-XLIV; AVESANI, Nuove testimonianze cit. (nota 8), pp. 869-870.
34. D’altra parte, proprio ai tempi del già citato Teobaldo, abate di Montecassino
e “reggente” della prepositura abruzzese di San Liberatore, nel monastero cassinese
« si verificò una vigorosa ripresa della produzione di manoscritti, in una tipizzazione
della beneventana con caratteristiche via via più precise. » A. PETRUCCI, Breve storia
della scrittura latina, Roma, ristampa del 1992, p. 91. Sulla produzione libraria e la circolazione di testi nell’area beneventano-cassinese si vedano ad esempio: G. CAVALLO,
La trasmissione dei testi nell’area beneventano-cassinese, in La cultura antica nell’occidente la-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
727
I rapporti fra i due monasteri sono peraltro confermati dal
racconto della cronaca cassinese, che ricorda come nel 1053
Desiderio, futuro abate di Montecassino e poi papa Vittore III,
scelse per il proprio ritiro spirituale proprio il monastero di San
Salvatore, a quell’epoca noto per la fama degli eremiti che vi
conducevano la propria esistenza:
[Desiderius] Audiens autem celebre tunc nomen heremitarum Maielle degentium illuc
properare ac Deo secretius servire desiderans predictum comitem, ut ibidem trasmitteretur, oravit; quod et factum est. Ubi cum tribus circiter mensibus, a principio videlicet Februarii usque in tertiam post Pascha ebdomadam, sub ingentia continentia armoratus fuisset, transmissus est illuc sopranominatus Iacquintus cum litteris ex parte
apostolici ad heremi ipsius priorem, quarum tenor et priori sub interminatione iubebat, ne illum amplius retinere presumeret, et illi nichilominus mandat, ne vel minimas ibi moras innecteret. Ita regressus ad Sancte Sophiae monasterium est 35.
tino dal VII all’XI secolo. Atti della XXII Settimana di studio del Centro Italiano di
Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto, 18-24 aprile 1974), Spoleto, 1975, pp. 357-414;
ID., Qualche riflessione sulla cultura cassinese nel secolo XI, in L’età dell’abate Desiderio, II.
La decorazione libraria. Atti della tavola rotonda (Montecassino, 17-18 maggio 1987), a
cura di G. CAVALLO, Montecassino, 1989 (Miscellanea cassinese, 60), pp. 7-11; ID.,
Qualche riflessione (e ripetizione) sulla cultura negli ambienti monastici di area beneventanocassinese, in Montecassino. Dalla prima alla seconda distruzione. Momenti e aspetti di storia
cassinese (secc. VI-IX). Atti del II Convegno di studi sul Medioevo meridionale (Cassino – Montecassino, 27-31 maggio 1984), a cura di F. AVAGLIANO, Montecassino,
1987 (Miscellanea cassinese, 55), pp. 363-382, tavv. I-IV; ID., Libri e cultura a Montecassino in età teobaldiana, in Rabano Mauro, “De rerum naturis”. Codex Casin. 132, Archivio dell’Abbazia di Montecassino, Commentari, a cura di G. CAVALLO, Pavone Canavese, 1994, pp. 83-88; ID., Libri nella quiete. Montecassino e l’area beneventana, in I luoghi della memoria scritta: i libri del silenzio, i libri del decoro, i libri della porpora. Manoscritti, incunaboli, libri a stampa di biblioteche statali italiane, dir. scientifica di G. CAVALLO,
Roma, 1994 (I luoghi della memoria scritta), pp. 11-16. Per la decorazione libraria
dei codici cassinesi: I codici decorati dell’Archivio di Montecassino, a cura di G. OROFINO,
Roma, 1994-2006; ID., All’ombra di Montecassino: programmi iconografici nella Terra di
San Benedetto, in De lapidibus sententiae. Scritti di storia dell’arte per Giovanni Lorenzoni, a cura di T. FRANCO - G. VALENZANO, Padova, 2003, 285-293. Infine per la produzione documentaria più antica relativa a San Liberatore a Maiella si veda: Le carte
di S. Liberatore alla Maiella conservate nell’archivio di Montecassino, I. Introduzione storica,
paleografica e archivistica. Edizione dei documenti più antichi (†798-1000) e regesti di quelli
posteriori di età medievale (1005-1500), a cura di M. DELL’OMO, Montecassino, 2003
(Miscellanea Cassinese, 84).
35. Chronica monasterii Casiniensis, ed. cit. (nota 21), III, 6, p. 367.
728
LORENZA IANNACCI
La biografia del priore Giovanni lascia peraltro intendere
chiaramente come nel corso della prima metà dell’XI secolo la
sua politica fosse orientata, oltreché al restauro architettonico e
al rinnovamento culturale del monastero, soprattutto al suo sviluppo economico e patrimoniale, perseguito tenacemente attraverso la ricerca di beni e rendite, che garantissero al monastero
di San Salvatore una certa stabilità economica. Nella biografia
stessa sono elencati gli enti ecclesiastici e i possedimenti terrieri
acquisiti durante il suo priorato grazie a donazioni da parte di
fedeli e di signorie laiche locali, le quali consentirono a San
Salvatore di uscire dalla condizione di piccolo ed oscuro eremo
che l’aveva fino a quel momento caratterizzato, a partire dall’atto del 1021 con il quale i fratelli Tresidio, Trasmondo e
Giovanni beneficiano il priore Giovanni della prima donazione,
l’intera valle di Rivosecco, sottostante il monastero, nonché
della chiesa dedicata a San Salvatore edificata all’interno della
valle 36.
L’apogeo di San Salvatore a Maiella
In questo quadro, mancante di quelle fonti narrative o cronachistiche che ci permettano di chiarire la storia dell’ente prima del priorato di Giovanni, a parte le scarne notizie tramandate nella sua biografia, i documenti trascritti all’interno del
cartulario diventano uno strumento fondamentale per ricostruire la formazione del patrimonio di San Salvatore, che fino al
1196 – data dell’ultimo documento regestato – ricevette ben
124 donazioni. Questa raccolta di documentazione attesta l’estesa autorità che il monastero acquisì gradualmente dall’inizio
dell’XI secolo, grazie anche alle intercessioni a favore di San
Salvatore di potenti famiglie signorili abruzzesi, come i conti di
Loritello e di Manoppello, su di un’area che si estende dal territorio di Spoltore, a nord del fiume Pescara, fino alla regione
di Casalbordino, al sud del Sangro.
In particolare fu proprio nel corso del secolo XI che il monastero entrò in possesso di significative porzioni di territorio
36. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. VI.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
729
nei pressi delle località di Rapino, Fara e Penne, mentre nel
1043 una donazione di Rainardo figlio di Rainero trasferì a San
Salvatore la proprietà del monastero di San Barbato di Pollutri,
l’ultima acquisizione avvenuta sotto il priorato di Giovanni.
Le donazioni proseguirono del resto anche sotto il successore di Giovanni, il priore Benedetto, subentratogli nel 1044. Nel
1056 Rainerio e Cono donarono il monastero di San Clemente
nel feudo di Comino, mentre nel 1057 i fratelli Tedemar e
Adam offrirono pro eorum redemptionem peccatorum la chiesa di
San Pancrazio, il cui territorio – come si evince dal regesto –
era confinante, nella parte meridionale, con la valle di Rivosecco, già in possesso di San Salvatore, e si spingeva fino al Monte
Piano chiudendosi con la Maielletta. A questo punto il nostro
monastero era ormai in possesso di un territorio abbastanza
esteso: l’intero versante montano di Rapino e di Pretoro e tutta la fascia compresa tra Rocca Montepiano, Fara Filiorum Petri, fino al feudo di Comino. Questo primo periodo, contraddistinto da un lento ma progressivo accrescimento del patrimonio fondiario da parte di San Salvatore, cade non casualmente
in corrispondenza con l’apogeo del monachesimo in regione,
periodo durante il quale le istituzioni monastiche vennero favorite da un numero di pie donazioni mai più registrato dopo
allora 37.
Sotto il priorato di Rainerio (1054-1075?) furono aggregate
al patrimonio monastico anche altre fondazioni ecclesiastiche: il
monastero di Sant’Andrea, nel territorio di Rapino, che annoverava diverse celle (le chiese di San Pietro, San Lorenzo, Santa
Maria, Santa Lucia) e il monastero di Santa Maria dell’Avella,
comprendente a sua volta altre cinque celle, nell’abitato di
Pennapiedimonte (castrum quod vocatur la Penna).
A San Salvatore apparteneva anche, come si legge nella bolla emanata da papa Alessando II nel 1070, il villaggio di Grele
(villa quae vocatur Grele), parte dell’attuale Guardiagrele, che tuttavia nella bolla del 1151 di papa Eugenio III non è più menzionata. Ancora, nel 1141 il conte Tasso, figlio di Ruggero e
37. PIETRANTONIO, Il monachesimo benedettino in Abruzzo e Molise cit. (nota 8); FELCasaux et castra cit. (nota 1), pp. 151-152.
LER,
730
LORENZA IANNACCI
nipote di Taxio Normannus 38, fratello a sua volta del potente
conte Roberto di Loritello 39, donò un vasto possedimento denominato Colle Milone (Collis Milonis, scilicet ipsum Castellare) 40.
I rapporti con San Clemente a Casauria
Il progressivo andamento delle donazioni registrate nel cartulario indica come il monastero accrebbe gradualmente il proprio raggio d’influenza territoriale: sembra quindi abbastanza
naturale che entrasse in concorrenza, anche se non direttamente, con la vicina e potente abbazia di San Clemente a Casauria.
Fondata nell’873 per volontà dell’imperatore Ludovico II, in
prossimità dell’odierna Torre de’ Passeri in provincia di Pescara,
San Clemente era senza dubbio una potenza incontrastata già
nell’XI secolo, nonostante le numerose difficoltà affrontate nel
secolo precedente a causa di due successive distruzioni; l’istituzione monastica godeva infatti di un controllo territoriale e
giurisdizionale molto esteso, tale da entrare in contrasto con il
potere comitale in regione, sempre più indebolito e ormai privo del sostegno imperiale 41.
Come testimoniato dalla ricca raccolta di documentazione
(circa 2000 documenti) tramandata dal Chronicon Casauriense,
San Clemente fu destinataria di 248 donazioni negli anni compresi tra il 1010 e il 1182, cioè nel medesimo arco cronologico
interessato dagli atti trascritti nel cartulario di San Salvatore: e
proprio l’analisi quantitativa e il confronto tra i flussi di donazioni ricevute dai due enti monastici hanno permesso a Feller
38. Cfr. Catalogus baronum. Commentario, a cura di E. CUOZZO, Roma, 1984
(Fonti per la storia d’Italia, 101.2), p. 326 e rif. ad indicem.
39. Per Roberto di Loritello si veda, ad esempio, L. GATTO, Roberto I, conte di
Loritello normanno d’Abruzzo, in Quaderni catanesi di studi classici e medievali, I (1979),
pp. 435-466.
40. Tale toponimo non è da identificare con il castello dell’attuale Melone (che
sarebbe l’allora Sant’Angelo in Trisinio), sotto Guardiagrele, ma con l’attuale modesta
altura detta Colle Meroni, in località Pianibbie, una frazione di Casoli, situata tra
Sant’Eusanio e Laroma: e infatti la donazione dice testualmente apud Casulem. Cfr.
DELLA MORGIA, Il monastero di S. Salvatore cit. (nota 8), pp. 582-584.
41. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), pp. 149-150; ID., Les Abruzzes médiévales cit. (nota 4).
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
731
di evidenziare le motivazioni delle alterne fortune di cui le due
abbazie godettero nel corso dei secoli XI e XII, nell’ambito
delle complesse vicende storico-politiche che interessarono il
territorio abruzzese nell’arco di questi due secoli. La puntuale
analisi dello storico francese ha messo infatti in evidenza come i
flussi di donazioni più consistenti a favore di San Salvatore si
registrino nei decenni 1060-1070 e 1140-1150. I periodi indicati
coincidono rispettivamente con la prima invasione normanna in
Abruzzo, appoggiata dalle famiglie aristocratiche franco-longobarde, e con l’occupazione della regione da parte di Ruggero
II: a quest’ultima, molto più di una semplice promenade militaire 42, seguì la definitiva annessione del territorio abruzzese al
Regno di Sicilia 43. In questo contesto, dunque, si spiega naturalmente il maggior favore accordato dalle famiglie comitali al
piccolo monastero di San Salvatore, a discapito della potente
San Clemente a Casauria, in un preciso momento storico ove
forte si presentava la necessità di cercare nuovi appoggi per l’affermazione del proprio potere ed essenziale diventava creare un
rinnovato sistema di alleanze e di controllo territoriale 44. D’altronde, come sottolinea Feller: « S. Salvatore n’a jamais, en effet, tenté d’établir de véritable seigneurie foncière, de devenir
une force politique: il ne possédait que des terres et des églises,
était dépourvu de toute espèce de force militaire et, par là mê42. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 152
43. Purtroppo non esistono studi recenti veramente soddisfacenti sul passaggio
della regione Abruzzo dalla dominazione imperiale a quella dei sovrani del Regno di
Sicilia, da cui non si sarebbe mai più staccata. Sono certamente degni di nota a questo proposito gli studi di C. RIVERA, Le conquiste dei primi Normanni in Teate, Penne,
Aprutio e Valva, in Bullettino della Regia Deputazione abruzzese di storia patria, ser. III,
16 (1925), pp. 7-94 (per il periodo 1060-1100) e ID., L’annessione delle terre d’Abruzzo
al regno di Sicilia, in Archivio storico italiano, ser. VII, V (85), 1926, pp.199-309, entrambi ora in ID., Scritti sul Medioevo abruzzese, II, a cura di B. PIO, L’Aquila, 2008,
rispettivamente alle pp. 55-128 e 129-225. Interessanti, anche se non del tutto esaurienti, i saggi di L. GATTO, Ugo Mamouzet, conte di Manoppello, Normanni d’Abruzzo,
in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma, 1974, pp. 355-375, e ID.
Roberto I cit. (nota 39).
44. Nel medesimo contesto va collocata la quasi totale assenza di donazioni che si
registra tra il 1080 e il 1140, ovvero negli anni a cavallo tra le due citate invasioni
normanne, in un momento caratterizzato da forti contrasti intestini e dal conseguente riassestamento di equilibri territoriali e politici. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit.
(nota 1), in particolare p. 151 e pp. 158-160.
732
LORENZA IANNACCI
me, contraint de chercher en dehors de lui-même les moyens
de se protéger. La structure de son patrimoine le rendait étroitement dépendant des maîtres du territoire, alors que S. Clemente fut toujours, pour les seigneurs laïcs, un adversaire potentiel ou réel » 45.
Il declino di San Salvatore
Il periodo di massima espansione del monastero di San Salvatore si ebbe dunque attorno alla seconda metà del XII secolo, quando i suoi possedimenti si estendevano lungo la costa dal
territorio di Penne a Spoltore, da Bucchianico a Vacri, San Vito e Lanciano, Atessa, Casoli, Gessopalena, Pollutri, ed ancora
da Manoppello, Roccamontepiano, Pretoro, Fara, Rapino, la
zona di Guardiagrele, fino a Pennapiedimonte. A partire da
questo momento e fino alla fine del secolo, al contrario, si registra una forte diminuzione degli atti di donazione, un fatto
che ben rappresenta la nuova fase di riordino politico e territoriale, dovuta al complesso momento di assestamento e alle problematiche annesse alla successione al trono di Guglielmo II.
La ricchezza del patrimonio fondiario acquisito fino ad allora attirò infatti ben presto le mire di signori e potenti locali,
nel delicato gioco di equilibri e poteri regionali che si era venuto a creare. È il caso, ad esempio, della chiesa di Sant’Andrea
di Rapino (f. 9r) con tutti i suoi possedimenti, sottratti (iniuste
ablatum) da un conte di Manoppello, predecessore di Boamondo di Tarsia e da quest’ultimo restituito nel 1144, per ordine di
Ruggero II (de mandato gloriosissimi regis Rogerii [...]restituo).
Non meno drammatica fu la controversia – risolta solo grazie all’intervento di Petrone, conte di Manoppello – che nel
1183 vide protagonisti Trasmondo, il primo ad avere dignità
abbaziale a San Salvatore, e Rainaldo de Lecto, feudatario di
Comino. La controversia, testimoniata da un documento trascritto per esteso a f. 15v, verteva sull’attribuzione di alcuni diritti e prestazioni in relazione ad alcune chiese poste territorial45. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 161.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
733
mente nel feudo di Comino, ma la cui giurisdizione spettava
alla badia di San Salvatore.
A partire dalla metà del XIII secolo si avvia poi un processo di
inesorabile declino soprattutto dell’autonomia del monastero e si
determina un progressivo stato di abbandono dell’abbazia stessa,
cui dovettero dare un notevole contributo, tra le diverse cause, i
forti contrasti dovuti alle lotte politiche interne fra Svevi e Angioni; declino a cui non corrispose, almeno in una prima fase, una
decisa contrazione del patrimonio fondiario, come mostrano le redazioni inventariali del XIV secolo conservate presso il citato fondo del monastero, che assieme alle bolle di diversi pontefici 46 e ai
diplomi regi 47 rappresentano le fonti utili per conoscere l’evoluzione e lo stato della proprietà monastica in quegli anni.
Emblematico della decadenza di San Salvatore risulta il caso
del casale di Castellare, già motivo di contrasto con il vescovo di
Chieti 48, che nel 1271 San Salvatore fu costretto a concedere in
enfiteusi a Trasmondo di Fara Filiorum Petri, dando contestualmente in pegno buona parte delle proprie ricchezze, a causa delle
difficoltà economiche attraversate dall’istituzione monastica:
Cui domino Transmundo supradictus abbas pro parte, et nomine monasterii supradicti, de consensu et voluntate omnium predictorum monachorum confessus fuit, asse46. Cfr. P. F. KEHR, Italia pontificia sive Repertorium privilegiorum et litterarum a romanis pontificibus ante annum 1198. Italiae ecclesiis, monasteriis, civitatibus singulisque personis concessorum, IV. Umbria, Picenum, Marsia, Berolini, 1909 (reimpressio phototypica
1961), pp. 272-273. Le bolle pontificie a favore di San Salvatore a Maiella sono tutte
edite in MARTINETTI, Collectio bullarum cit. (nota 2).
47. MARTINETTI edita anche un’immunità concessa all’abbazia da Guglielmo II nel
1187 e un privilegio di Federico II del 1222, per cui si v. MARTINETTI, Dissertatio cit.
(nota 2), pp. XXVss. Sulla documentazione relativa al monastero esistono inoltre due
inventari manoscritti del 1599 e del 1618, in consultazione presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, che elencano e descrivono i documenti di pertinenza di San Salvatore. Cfr. G. PANSA, Catalogo descrittivo e analitico dei manoscritti riflettenti la storia d’Abruzzo in Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, XLVII-L (1957-1960),
pp. 21-197, nello specifico pp. 150-151 (che riporta tuttavia le antiche segnature dei
pezzi); G. MORELLI, Manoscritti Abruzzesi della Biblioteca vaticana, in Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, LXII (1973), pp. 7-198, nello specifico p. 141. Su
ulteriore documentazione relativa a San Salvatore utile alla ricostruzione della storia
del monastero si veda anche DELLA MORGIA, Il monastero di S. Salvatore cit. (nota 8),
in particolare, pp. 576-578, nota 6.
48. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), pp. 167-173; cfr. inoltre DELLA MORGIA,
Il monastero di S. Salvatore cit. (nota 8), pp. 582-585.
734
LORENZA IANNACCI
ruit, et firmavit, monasterium supradictum gravatum magne quantitatis pecunie debito sub usuris, in cuius debiti exhoneratione, et in luendis vasis sacris at aliis bonis
dicti monasteri pignore obligati pro debito supradicto, videlicet crucibus argenteis, calicibus, thuribulis argenteis, et testu Euangelii, pro emendo frumento pro alimentis
monachorum, et familia dicti monasterii, ne fame pereant, et reparationem domorum
[...], que reparatione maxima indigebant, ab eodem Transmundo ex supradictis causa, et modo se recepisse dictam pecunie quantitatem sibi solutam, presentialiter
convertendam 49.
Il documento, oltre ad essere una delle citate fonti che attestano la presenza di codici presso San Salvatore, è molto significativo per figurare lo stato di grave indigenza in cui versava il
monastero, costretto a dare in pegno addirittura un Vangelo:
sono lontani i tempi del priore Giovanni e in un tale contesto
« ben poche cure potevano essere dedicate alla biblioteca, se di
biblioteca si poteva ancora parlare » 50.
Nel 1291 San Salvatore venne unita al Capitolo Vaticano da
papa Niccolò IV. Nel 1365 fu redatto (editum) da parte di frate
Giovanni da Comino, coadiuvator dell’abate Stefano di Pennapiedimonte, un Inventarium omnium bonorum mobilium et stabilium del
monastero voluto dal Capitolo 51 e ciò che ne emerge è nuovamente contraddittorio: nonostante le difficoltà degli anni precedenti (l’ordinatio recita testualmente a f. 1v: iura, fructus, redditus et
proventus diminuta sunt et opcupata prope negligentiam et defectum dicti
fratris Stefani abbatis et predecessorum suorum) la consistenza del patrimonio immobiliare del monastero era ancora di gran rilievo. Si
trovavano infatti ancora sotto la giurisdizione di San Salvatore le
chiese di Sant’ Andrea, Santa Lucia, Santa Maria di Carpineto e
San Lorenzo di Rapino. Non è più menzionata la chiesa di San
Pancrazio, divenuta parte del Castello del Colle.
L’abbazia venne quindi definitivamente assoggettata da Giulio III alla Basilica Vaticana nel 1552: il processo di declino era
ormai divenuto inarrestabile e il resoconto degli Acta Visitationis
redatti tra XVI e XVII secolo evidenzia uno stato di grave ab49. Citato da MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. XXXIX; cfr. anche AVESANI,
Nuove testimonianze cit. (nota 8) p. 869.
50. Ibidem.
51. Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Archivio del Capitolo di S.
Pietro, Pergamene, Caps. LXII, fasc. 53, n. 2; cfr. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota
2), pp. XLI-XLIV.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
735
bandono e, a queste date, anche una progressiva diminuzione
dell’ampio patrimonio fondiario 52.
All’attuale stato degli studi non si hanno notizie più certe
dell’ente monastico fino alla sua soppressione avvenuta nel
1808. Oggi nella valle di Rivosecco gli unici elementi superstiti
sono esclusivamente alcune strutture murarie ovvero due portali della chiesa e dei capitelli, riutilizzati all’interno delle chiese
di San Lorenzo e di Sant’Antonio a Rapino, a cui si aggiunge
una campana trecentesca 53.
Il genere cartulario e le cronache-cartulario di area centro-meridionale
Doverosa e necessaria una breve premessa di carattere generale
sull’oggetto del nostro lavoro: una testimonianza varia e complessa
che può essere a ragione ricondotta, come è stato fatto, al genere
delle cronache-cartulario, ovvero ad una tipologia di fonti che nel
tempo ha dato vita ad un nutrito e controverso dibattito storiografico e, più recentemente, anche diplomatistico 54.
52. Per le fasi di vita e di abbandono del monastero rimando a Sabrina Cimini,
che, nell’ambito del suo citato progetto di dottorato, si sta occupando della ricostruzione dei possedimenti di San Salvatore a Maiella attraverso l’utilizzo e la comparazione delle diverse fonti da quelle documentarie a quelle archeologiche disponibili.
53. Cfr. AVESANI, Nuove testimonianze cit. (nota 8), p. 866; DELLA MORGIA, Il monastero cit. (nota 8), p. 586.
54. P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine
du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, I, Roma, 1973, in particolare pp. 77-88; G. ARNALDI, Cronache con documenti, cronache “autentiche” e pubblica storiografia, in Fonti medioevali
e problematica storiografica. Atti del Congresso Internazionale tenuto in occasione del
90° anniversario della fondazione dell’Istituto Storico Italiano (1883-1973), Roma
22-27 ottobre 1973, I. Relazioni, Roma, 1976, pp. 351-374; A. PRATESI, Cronache e
documenti, in Fonti medioevali e problematica storiografica cit., pp. 337-350; G. ORTALLI,
Cronache e documentazione, in Civiltà Comunale: Libro, Scrittura, Documento. Atti del
Convegno (Genova 8-11 novembre 1988), in Atti della Società Ligure di Storia Patria,
n. s., XXIX (CIII) (1989), pp. 507-540, in particolare pp. 513-514; B. GUENÉE, Storia
e cultura storica nell’occidente medievale, Bologna, 1991 (Collezione di testi e di studi. Storiografia), p. 43; A. PETRUCCI, Dalla minuta al manoscritto d’autore, in Lo spazio letterario
del medioevo, I.1. Il medioevo latino, Roma, 1992, pp. 353-372, in particolare p. 356;
FELLER, Les Abruzzes médiévales cit. (nota 4), in particolare pp. 48-49; PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8); P. CAMMAROSANO, Per la storia della tradizione di scrittura nei
monasteri medievali italiani, in Sit liber gratis cit. (nota 25), pp. 249-257, in particolare
p. 254.
736
LORENZA IANNACCI
Per quanto concerne la semplice definizione di cartulario
nel Vocabulaire international de la diplomatique 55 si afferma che:
« Un cartulaire (lat. c(h)artularium) est un recueil de copies de
ses propres documents, établi par une personne physique ou
morale, qui, dans un volume ou plus rarement dans un rouleau, transcrit ou fait transcrire intégralement ou parfois en
extraits, des titres relatifs à ses biens et à ses droits et des documents concernant son histoire ou son administration, pour en
assurer la conservation et en faciliter la consultation ». Pur mettendo in evidenza il duplice obiettivo di qualsiasi cartulario,
ovvero la conservazione, in copia, di documenti che attestino
la materiale potenza dell’ente e la facilitazione alla consultazione del patrimonio documentario, tale stringata definizione offre
semplicemente un orientamento di massima, senza chiarire i
modi e le forme con cui tali oggetti documentali si presentano,
né i luoghi e i diversi momenti storici in cui furono concepiti.
Tali tipologie di fonti, infatti, se da sempre hanno costituito
uno strumento di ricerca privilegiato per lo storico per le informazioni contenute nella documentazione che raccolgono, solo recentemente sono state oggetto di studi anche da parte del diplomatista, nel tentativo di chiarirne forme e funzioni 56. D’altronde solo
55. Vocabulaire international de la diplomatique, a cura della COMMISSION INTERNATIODIPLOMATIQUE, València, 1997, p. 36.
56. Come ricorda Giovanna Nicolaj, infatti, « va tenuto fermo che ‘documento’
e ‘fonte documentaria’ in senso proprio è lo scritto distinto da una qualche giuridicità di contenuto, funzione e forma [...]. La diplomatica, allora, troverà il suo proprio
posto e la sua propria via, insomma la sua identità, nello studio delle forme del documento, consapevole sempre però che quelle forme, per non restare vuote e secche
o per non essere interpretate in chiavi di banalità o per non essere fraintese, devono
essere in primo luogo riferite all’ambito del giuridico », G. NICOLAJ, Fratture e continuità nella documentazione fra tardo antico e alto medioevo. Preliminari di diplomatica e questioni di metodo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo. Atti della XLV Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo
(Spoleto, 3-9 aprile 1997) Spoleto, 1998, pp. 953-984, qui in particolare p. 962, nota
21; si vedano inoltre: ID., Originale, authenticum, publicum: una sciarada per il documento diplomatico, in Charters, Cartularies and Archives. The Preservation and Transmission
of Documents in the Medieval West (Proceeding of a Colloquium of the Commission
Internationale de Diplomatique, Princeton and New York, 16-18 september 1999),
edited by A. J. KOSTO - A. WINROTH, Toronto, 2002, pp. 8-21; ID., Lineamenti di diplomatica generale, in Scrineum, I (2003), http://scrineum.unipv.it/rivista/1-2003/nicolaj.html; ID., Lezioni di diplomatica generale, I. Istituzioni, Roma, 2007.
NAL DE
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
737
negli ultimi anni la storiografia in materia è riuscita a superare la
propria impostazione tradizionale e a guardare al cartulario non
come una somma di atti contenuti al suo interno, ma come oggetto documentario complesso e organico in sé 57.
Tuttavia, nel tentativo di effettuare qualsiasi approfondimento o ragionamento di carattere generale, ci si imbatte in
una situazione alquanto singolare: nonostante i cartulari siano
stati spesso oggetto di precoci studi da parte degli eruditi, e attualmente continuino ad essere al centro di un grande interesse,
sono decisamente carenti gli studi di carattere generale che
prendano in esame il chartularium come fonte storica ben distinta dalle altre e dotata di specifiche e precise caratteristiche.
Mancano insomma, « studi di “raccordo” e di confronto fra i
vari generi all’interno di una visione globale dell’universo cartulari » 58. La causa principale di tale difficoltà sta nei problemi
oggettivi posti da tali fonti, che si presentano estremamente diversificate nello spazio e nel tempo 59, redatte secondo modalità
che variano nelle singole raccolte e organizzate secondo logiche
interne estremamente mutevoli, che spesso risultano sfuggenti o
non sempre immediatamente evidenti allo studioso moderno.
Ad una tale diversificazione di forme si aggiunge la difficoltà da
parte della disciplina di inquadrare e determinare in maniera
univoca le funzioni di questo tipo di documentazione, ed in
particolare il valore “giuridico” da attribuire a tale raccolte, se
considerate come documento diplomatico 60.
57. Per quanto attiene ai cartulari nel loro complesso, fondamentale è il volume
Les cartulaires. Actes de la Table ronde organisée par l’École nationale des chartes,
G.D.R. 121 du C.N.R.S. (Paris, 5-7 decembre 1991), réunis par O. GUYOTJEANNIN L. MORELLE - M. PARISSE, Paris, 1993. Importante anche il successivo Charters, Cartularies and Archives cit. (nota 56).
58. M. MODESTI, Due cartulari notarili bolognesi tra XII e XIII secolo, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, n.s., LV
(2005), pp. 287-314, qui in particolare p. 293.
59. Spia evidente di questa profonda diversificazione sono tra l’altro le numerose
qualifiche terminologiche impiegate indifferentemente accanto a chartularium: liber instrumentorum o preceptorum, registrum, regestum.
60. Sul concetto di documento diplomatico inteso come « scritto a funzione giuridica
redatto secondo certe determinate forme » si vedano NICOLAJ, Fratture e continuità cit.
(nota 56); ID., Lineamenti di diplomatica cit. (nota 56); ID., Lezioni di diplomatica cit.
(nota 56), in particolare pp. 22-27 (qui citata p. 25). Cfr. da ultimo M. MODESTI,
738
LORENZA IANNACCI
All’interno di un panorama già di per sé complesso, si inserisce
poi un nutrito gruppo di opere, ove, a fianco di compilazioni
prettamente documentarie, si trovano frequentemente inserzioni
di parti narrative, cronachistiche e annalistiche accanto alla trascrizione di documenti. Questa caratteristica sembra essere specifica di
un vasto numero di opere prodotte in Europa a partire dall’XI secolo, ma che in Italia trovano un preciso riscontro solo nelle produzioni di Santa Sofia di Benevento, Santa Maria di Farfa, San
Benedetto di Montecassino, San Vincenzo al Volturno, San Clemente a Casauria, San Bartolomeo di Carpineto e, da ultimo, San
Salvatore a Maiella, insomma in un ben preciso momento storico
e in un circoscritto contesto territoriale e culturale. Nel corso del
secolo XII le grandi abbazie benedettine di area centro-meridionale, infatti, furono il luogo di produzione privilegiato della « più rilevante produzione storiografica monastica sviluppatasi attraverso
un complesso intreccio di narrazione e di riproduzioni della documentazione attestante i possessi, le donazioni, i privilegi, le immunità che delle grandi abbazie costituivano oltre che il patrimonio,
anche il segno di una grandezza e, quindi, di una identità nella
storia » 61.
Tali opere, ove alla parte cronachistica o più genericamente
narrativa (annali o biografie) troviamo affiancata e strettamente
intrecciata la trascrizione di privilegi, precetti e atti privati, i
munimina dell’ente, si presentano come una vera e propria
« cronachistica a doppio binario » 62, non facilmente inquadrabili nei tradizionali generi storiografici. Ed è appunto questa difficoltà che ha spinto a formulare l’esistenza di un genere storiografico intermedio e autonomo, quello delle cronache-cartulario, « capace di collocarsi a metà strada tra la storia e la diplomatica e di mettere insieme cronache con raccolte di documenti e raccolte di documenti con appendice cronachistica » 63.
Studi per l’edizione delle carte bolognesi del secolo XII: prosopografia dei notai ed edizione
critica di due cartulari notarili, Bologna, 2012, pp. 143-147, in particolare p. 146.
61. O. CAPITANI, La storiografia medievale, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo
all’età Contemporanea, a cura di M. TRANFAGLIA - M. FIRPO, I.1. Il Medioevo. I quadri
generali, Torino, 1988, pp. 774-775.
62. ARNALDI, Cronache con documenti cit. (nota 54), p. 359.
63. PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 310. Si vedano inoltre R.-H. BAUe
e
TIER, L’historiographie en France aux X et XI (France du Nord et de l’Est) in La storio-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
739
Il valore che tali raccolte assumono risiede principalmente
nello strettissimo rapporto che intercorre tra parte documentaria e parte narrativa e nella funzione giuridica che una assume
in relazione all’altra: infatti « ci troviamo di fronte ad un ribaltamento totale del rapporto tra fonte documentaria e testo narrativo: non sono i documenti ad avvalorare la cronaca ma è la
cronaca ad avvalorare il contenuto giuridico dei documenti » 64.
D’altronde, come sottolinea anche Laurent Feller, la produzione di tali opere è strettamente connessa al problema principale cui
si trovarono di fronte tutte le abbazie, piccole e grandi, tra XI e
XII secolo, cioè la gestione e la salvaguardia dei propri archivi e,
partitamente, del loro patrimonio 65. Un contesto e un sentire comuni, quindi, nell’ambito del quale primaria si affermò la necessità
di difesa dei possessi e dei privilegi acquisiti da un monastero, che
« ne passe pas seulment par une saine gestion des archives, elle requiert aussi le développement d’une propagande affirmant le prestige de l’institution. Le prologue insiste parfois sur ces aspects.
Mais c’est sortout la récit des origines, la fundatio, que joue dans ce
cadre un rôle êminent » 66.
Fra queste, dunque, sono da ricordare le cronache di Santa
Sofia di Benevento 67 e il Chronicon del monaco Giovanni per il
grafia altomedievale. Atti della XVII Settimana di studio del centro italiano di studi
sull’alto medioevo (Spoleto, 10-16 aprile 1969) Spoleto, 1970, pp. 793-855, in particolare pp. 816-822; J. P. GENET, Cartulaires, registres et histoire: l’example anglais, in Le
métier d’historien au Moyen Âge. Études sur l’historiographie médiévale, a cura di B. GUENÉÉ, Paris, 1977, pp. 117-118. Cfr. inoltre B. GUENÉÉ, En guise d’introduction: l’historien par les mots in Le métier d’historien cit., in particolare p. 13.
64. PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 311. Al contrario, secondo la storiografia francese a partire da Toubert, i documenti sono solo un mezzo per la scrittura
della parte cronachistica e narrativa. Cfr. TOUBERT, Les structures cit. (nota 54), p. 86.
65. FELLER, Les Abruzzes médiévales cit. (nota 4), p. 48.
66. B. M. TOCK, Les textes non diplomatiques dans les cartulaires de province de Reims,
in Les cartulaires cit. (nota 57), p. 53. Cfr. anche PETRUCCI, Dalla minuta cit. (nota 54),
che afferma: « Queste compilazioni hanno tutte un alto valore insieme giuridico e
politico, in quanto tendono a rivendicare l’importanza storica, il patrimonio ideale
ed immobiliare dell’istituzione a cui si riferiscono, la sua storia plurisecolare, la sua
dignità [...]. Molto spesso i redattori parlano in prima persona ed espongono con viva partecipazione e consapevolezza le ragioni che li hanno spinti a compiere opere
tanto lunghe e faticose [...] » (p. 356).
67. Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat. 4939) ed. J. M. MARTIN, Roma, 2000
(Fonti per la storia dell’Italia medievale, Rerum Italicarum Scriptores, 3).
740
LORENZA IANNACCI
monastero di San Vincenzo al Volturno 68, alle quali vanno affiancate le opere di Gregorio di Catino per il monastero di Santa
Maria di Farfa 69 e quanto venne realizzato a Montecassino da
Leone Marsicano e da Guido e Pietro Diacono 70. Come esempi
di vere e proprie cronache con cartulario che raggiunsero l’apice
della perfezione nell’ambito di questo genere sono poi da annoverare il Chronicon di San Clemente a Casauria del monaco Giovanni
di Berardo 71 e quello di San Bartolomeo di Carpineto redatto dal
monaco Alessandro 72, illustri precedenti ai quali è stato recentemente affiancato, come già ricordato, anche il libellus prodotto a
San Salvatore a Maiella: compilazioni che con modalità e logiche
fra loro differenti affiancarono parti narrative vere e proprie alla
trascrizione di testi di carattere documentario 73.
68. Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. FEDERICI, Roma, 19251938 (Fonti per la Storia d’Italia, 58-60), con Prefazione pubblicata nel 1940. Cfr. inoltre
A. PRATESI, Il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, in Una grande abbazia altomedievale nel Molise: San Vincenzo al Volturno. Atti del I Convegno di Studi sul Medioevo Meridionale, a cura di F. AVAGLIANO, Montecassino, 1985, pp. 221-231; A. SENNIS, Giovanni di
San Vincenzo al Volturno, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, Roma, 2001, pp. 217218 (con bibliografia ivi citata); si veda inoltre Il Frammento Sabatini: un documento per la
storia di San Vincenzo al Volturno, a cura di G. BRAGA, Roma, 2003.
69. Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, a cura di U. BALZANI, Roma, 1903
(Fonti per la Storia d’Italia, 33-34), al quale vanno affiancati i due cartulari composti
dallo stesso Gregorio di Catino: Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino, a
cura di I. GIORGI - U. BALZANI, Roma, 1879-1914 (Biblioteca della R. Società Romana di Storia Patria). Cfr. inoltre U. LONGO, Gregorio di Catino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 59, Roma, 2002, pp. 254-259 (con bibliografia ivi citata).
70. Chronica monasterii Casiniensis ed. cit. (nota 21); Cfr. inoltre H. HOFFMANN,
Chronik und Urkunde in Montecassino, in Quellen und Forschungen aus italinischen Archivien und Biblioteken, 51 (1971), pp. 93-206.
71. GIOVANNI DI BERARDO, Liber instrumentorum cit. (nota 12); A. PRATESI, In
margine al lavoro preparatorio per l’edizione del « Chronicon Casauriense », in Abruzzo.
Rivista dell’Istituto di studi abruzzesi, XV (1977), pp. 95-114; ID., Il Chronicon Casauriense come fonte storica, in Bullettino della deputazione abruzzese di storia patria, CI
(2010), pp. 5-18. Sull’abate Leonate, committente del Chronicon: U. LONGO, L’abate
Leonate in Dizionario Biografico degli Italiani, 64, Roma, 2005, pp. 459-461.
72. ALEXANDRI MONACHI Chronicorum ed. cit. (nota 11); PIO, Alcune considerazioni
cit. (nota 8), pp. 320-321.
73. Per un excursus sulle diverse modalità di redazione delle cronache-cartulario,
sul significato da attribuire alla parte cronachistica e in generale sull’interpretazione
dell’atteggiamento « che il cronista assume, secondo la propria personalità e la diversa
formazione, di fronte ai documenti »[PRATESI, Cronache e documenti cit. (nota 54), p.
348], si vedano, oltre alle introduzioni alle singole edizione e agli studi citati, TOUBERT, Les structures du Latium cit. (nota 54); O. CAPITANI, Motivi e momenti di storiogra-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
II. IL
741
CARTULARIO
Descrizione e composizione
Venendo finalmente a parlare dell’oggetto specifico del nostro
studio, il libellus (225x140 mm) si presenta estremamente composito al suo interno, oltre che dal punto di vista contenutistico, anche
da quello paleografico-diplomatistico, come già si è detto.
La membrana utilizzata per il manoscritto risulta leggermente erosa ai margini e con piccole macchie di muffa, che raramente compromettono la leggibilità del testo, ad eccezione
dei ff.1r, 37 e 38, dove numerose chiazze di umidità hanno
scolorito, sia nel recto sia nel verso, l’inchiostro in ampie porzioni della pagina. Sporadiche anche le imperfezioni delle pelli 74.
Il manoscritto si compone di 38 carte, numerate in epoca
moderna in cifre arabe sul margine superiore destro del recto 75
e suddivise in cinque fascicoli: un quaternione (ff. 1-8), formato da una membrana più spessa di quella utilizzata per il fascicolo successivo; un secondo quaternione (ff. 9-16), che però in
origine doveva essere un quinione (infatti i ff. 10 e 11 sono
posti dopo due fogli che vennero tagliati ab origine, cioè precedentemente la stesura del testo); i fogli 17 e 18 costituiscono un
bifoglio singolo, a cui seguono due quinioni (ff. 19-28 e ff. 2939). È probabile tuttavia che la posizione originaria del bifoglio
fosse diversa dall’attuale: più esattamente, come mostra una prima analisi materiale del codice, esso doveva essere collocato
dopo f. 8v, dove verosimilmente era stato cucito con l’intenzione di formare un primo quinione 76; è possibile quindi supporre che il bifoglio si sia staccato e successivamente sia stato
ricollocato nell’attuale posizione, e l’analisi del contenuto sembra confermare tale ipotesi, come si vedrà in seguito. La composizione del manoscritto, ad ogni modo, risulta la seguente:
fia medievale italiana: secc. V-XIV, in Nuove questioni di storia medioevale, Milano, 1964,
pp. 729-800, in particolare pp. 765-766; FELLER, Les Abruzzes médiévales cit. (nota 4),
pp. 48-64; PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), in particolare pp. 317-321.
74. Tra le imperfezioni più vistose si segnalano il foro di circa 2 cm di diametro
di f. 20r e il margine inferiore di f. 25r, forse il punto di attacco dello scalfo, comunque preesistenti alla compilazione del cartulario.
75. La successione della numerazione araba presenta due errori ai ff. 10r e 11r.
76. Si noti a questo proposito come la membrana spessa del bifoglio sia più simile
a quella del quaternione iniziale, rispetto a quella dei quaderni successivi.
742
1° fascicolo
2° fascicolo:
3° fascicolo:
4° fascicolo:
5° fascicolo:
LORENZA IANNACCI
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
743
La pergamena non è stata completamente rifilata, dal momento che sono visibile i fori marginali di aggancio del pettine
di rigatura, mentre, in alcuni punti, risulta ancora distinguibile
lo schema di rigatura.
Nel complesso, la fattura materiale del codice rivela una
certa cura formale come mostrano la presenza di un apparato
decorativo, l’accuratezza della mise en page e la regolarità dello
specchio di scrittura, con il testo che si sviluppa, a seconda della tipologia di contenuto e come verrà analizzato nello specifico, a piena pagina o su due colonne, con intercolumnio sempre regolare e lungo 21-22 righe.
Nella stesura del codice, oltre all’inchiostro nero e bruno
per il testo, è stato utilizzato il colore rosso per la decorazione
delle miniature, di alcuni capi-lettera, delle rubricature interne
ai documenti e dei titoli, come vedremo poi nel dettaglio.
Il codice, come si è accennato più volte, è stato utilizzato
come supporto di numerose e diverse forme redazionali, differenti per genere e funzione, e soprattutto è stato oggetto di
svariati riutilizzi successivi. Per comprendere meglio le sue vicende costitutive è necessario quindi procedere ad una più dettagliata descrizione del suo contenuto.
Dopo le carte di guardia, il codice si apre a f. 1r con una
carta, che si sviluppa a pagina intera su 19 righe, ormai quasi
del tutto illeggibile: resta ben visibile ad occhio nudo solo la P
(Pia) di apertura, in inchiostro rosso, decorata da tralci di vite
intrecciati e foglie di acanto, che ricorda da vicino, sebbene qui
vi sia una maggiore stilizzazione, la P di apertura del proemio
del Chronicon Casauriense (f. 1r). Dalle poche tracce di scrittura
che si intravedono alla luce di Wood, si intuisce che la carta
iniziale doveva contenere il prologo dell’opera con le motivazioni ideali della sua composizione, caratteristica abbastanza tipica per questo genere di documentazione: « Pia ..7.. non sunt
oblivioni traden/da sed script[o] et docum(en)to posteritatis ad
memorias transmittenda ». Centrale, in questo caso, il tema della memoria storica 77 e della salvaguardia del patrimonio archi77. Sul tema della conservazione della memoria monastica, in special modo in
relazione alle compilazioni dei cartulari e delle cronache-cartulario si vedano tra gli
altri: A. SENNIS, Tradizione monastica e racconto delle origini in Italia centro-meridionale (secoli XI-XII), in La mémoire des origines dans les institutions médiévales. Table ronde, Ro-
744
LORENZA IANNACCI
vistico accumulato, tematiche che ricorrono pure nei prologhi
dei cartulari di San Bartolomeo di Carpineto 78 e di San Clemente a Casauria 79. Purtroppo il pessimo stato di conservazione della pergamena non permette di ottenere molti altri elementi, primi fra tutti il nome dell’autore e la data di stesura
della raccolta, che presumibilmente dovevano essere contenuti
in questa parte introduttiva al codice vero e proprio.
A f. 1v segue la biografia del priore Giovanni, accompagnata da una miniatura raffigurante il priore stesso, in inchiostro
rosso e nero, concepita sicuramente come la prima di una serie
più ampia. Nella parte inferiore della pagina si trova infatti una
seconda raffigurazione in cui va certamente riconosciuto il
priore Benedetto successore di Giovanni, come si deduce facilma (I), 6-8 juin 2002, Roma, 2003 (Mélanges de l’École française de Rome, 115),
pp. 181-211; U. LONGO, La funzione della memoria nella definizione dell’identità religiosa
in comunità monastiche dell’Italia centrale (secoli XI e XII), in La mémoire des origines cit.,
pp. 213-233; A. SENNIS, ‘Omnia tollit aetas et cuncta tollit oblivi’. Ricordi smarriti e
memorie costruite nei monasteri altomedievali, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il
Medio Evo, 106.1 (2004), pp. 94-138; ID., The power of time. Looking at the past in medieval monasteries, in A. MÜLLER - K. STÖBER, Self-Representation of Medieval Religious
Communities, Berlin, 2009, pp. 307-326.
78. « Cum quaedam instrumenta huius ecclesia vetustas magna pene consumpserit, quaedam vero informis litura calami fecerit ad legendum satis horrenda et decessorum neglectus diversorum eorum contractuum et variorum eventuum scriptis nulla
vel pauca notaverit, nostrorum ideo multos in negotiis huius monasteri scientiae magna dudum coartavit angustia », ALEXANDRI MONACHI Chronicorum, ed. cit. (nota 1),
p. 3.
79. « De possessionibus vero et dignitatibus monasterio collatis, habuit multa regalia precepta, et copiosa cartarum instrumenta. Sed postea, peccatis exigentibus, sicut de possessionibus multa perdidit, sic de regalibus privilegis, et instrumentalibus
cartis multo plura ob culpam et negligentiam quorundam amisit. Nos igitur moderno tempore, licet ingenio et scientia iuniores et imperiti, tamen super hoc divinitus
sollicitati, cum ingenti tedio et labore residuum omne cartarum ipsarum revoluimus
et ad honorem beati Clementis, et munimen, et profectum sancte sue domus, de eisdem cartis tamquam in unum opus librum ordinantes composuimus, ne videlicet
causa vetustatis vel per negligentiam, sicut olim, amittantur; et maxime ut abbatia
Sancti Clementis Casauriensis, quod excellenti et principali iure semper fuerit regalis
atque sublimis, non ignoretur a posteris », GIOVANNI DI BERARDO, Liber instrumentorum cit. (nota 12), f. 1r.
Come si vede, dunque, il tema della conservazione della memoria e del patrimonio
documentario è ricorrente, ma il dettato di tali introduzioni non è formulare. Cfr.
anche PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 316; PRATESI, Il Chronicon Casauriense cit. (nota 71), p. 8.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
745
mente dalle parole che la miniatura stessa sembra pronunciare:
« Benedictus benedicti/[..9..] scriptas laudi Christi/ [..6..] notat
forma scripti ».
Riprendendo la stessa struttura compositiva di f. 1v, la sezione biografica iniziale prosegue quindi a f. 2r, dove si osservano i ritratti, incompleti, di altri due priori o abati non meglio
identificabili (forse Rainerio e Iselberto che succedettero cronologicamente a Giovanni e Benedetto), che dovevano essere
intervallati dalla trascrizione delle rispettive vite.
Dopo questa prima sezione strettamente biografica, del genere gesta abbatum o “catalogo degli abati” (ff. 1v-2r), i ff. 2v,
3r, 3v sono occupati da documentazione eterogenea. Nello specifico si tratta di due brevi censimenti di beni del monastero siti in castro Preturi (f. 2v) e in Fara Filiorum Petri (ff. 3r-inizio f.
3v), l’uno redatto da almeno due mani diverse, l’altro opera di
una terza mano ancora differente, mentre nel prosieguo di f. 3v
è stato trascritto il primo dei documenti che abbiamo definito
“avventizi”, ovvero totalmente extravaganti rispetto al nucleo
originario del codice; più esattamente si tratta di una donazione
del 1263 di Bartholomeus filius quondam Mag(istr)i a favore del
monastero, rappresentato da Iohannes abbas. In fondo a f. 3v è
riportata la dicitura « Inventarium./ Inventarium omnium iurium et privilegium collecta a fratre Rainaldo, anno Domini
M.CC.XX » 80. La stratificazione testuale delle carte appena
esaminate è ulteriormente complicata dalla presenza di un livello inferior eraso, precedente dunque alla scrittura dei censimenti.
Ai ff. 2v e 3r si distinguono infatti, con l’ausilio della lampada
di Wood, i contorni di due miniature, che rappresentano due
figure frontali con un codice posto fra le mani: sembra verosimile pensare che si tratti di due ulteriori raffigurazioni che
completavano la serie dei priori. Questo dunque ci dice che gli
spezzoni di inventari iniziali (lo strato superior) non facevano
parte della struttura originaria del manoscritto, ma si collocano
senza dubbio in una fase di vita del codice successiva.
A questo punto inizia la sezione propriamente documentaria del libellus, cioè il cartulario vero e proprio. Esso si apre ai
ff. 4r-6r con la trascrizione di alcuni documenti pubblici. Anzi80. La mano che verga questa scrittura marginale è la medesima mano cinquecentesca che scrive sulle copertine antiche staccate.
746
LORENZA IANNACCI
tutto la bolla di papa Alessandro III del 1175 81 indirizzata a
Trasmundo abbati heremi Magelle, nella quale il papa conferma i
privilegi concessi dai suoi predecessori e vengono elencati i
possedimenti del monastero. Il testo si sviluppa a piena pagina
su 21 righe, i capilettera e le rubricature, che evidenziano i beni confermati al monastero, sono eseguiti in inchiostro rosso,
così come la sottoscrizione del papa, i signa crucis delle altre sottoscrizioni e la legenda della bolla papale, riprodotte a f. 6r. La
miniatura che apre il testo, l’ultima del codice, è eseguita in inchiostro rosso e nero e raffigura il papa benedicente e verosimilmente lo stesso Trasmondo, con il capo scoperto e inchinato.
A f. 6v segue un diploma di re Ruggero II, con il quale nel
1143 veniva accordata una generica protezione al monastero 82.
A differenza della bolla papale, qui il documento si sviluppa su
due colonne.
Il foglio 7r venne lasciato vuoto forse per ospitare la copia
di successiva documentazione; si intravedono solo alcune tracce
di scrittura quasi totalmente evanita, probabilmente un inventario posteriore.
Al f. 7v è presente, invece, sulla colonna destra della pagina,
un indice in inchiostro rosso che elenca ventidue enti ecclesiastici 83 di pertinenza del monastero di San Salvatore, di cui i primi
quattordici sono affiancati da una numerazione romana crescente.
Pare interessante rilevare la somiglianza tra questo indice e quello
presente a f. 1v del Chronicon Casauriense, che presenta una analoga
numerazione in numeri romani; da sottolineare, inoltre, la spiccata
somiglianza decorativa delle D onciali iniziali (De ecclesia [...]), in
inchiostro rosso, con asta obliqua allungata e maggiormente marcata rispetto agli altri caratteri.
Da f. 8r fino a f. 28v vi è la vera e propria raccolta della
documentazione formata da regesti di documenti non cronologicamente ordinati. Si tratta nella quasi totalità di copie di donazioni di enti ecclesiastici, possedimenti terrieri e mulini rice81. KEHR, Italia pontificia cit. (nota 46), p. 273.
82. Il documento è considerato dalla critica un falso mandato a favore del monastero. Cfr. E. CASPAR, Ruggero II (1101-1154) e la fondazione della monarchia normanna
in Sicilia, con un saggio introduttivo di O. ZECCHINO, Roma-Bari, 1999, n. 147, p.
508; C. R. BRÜHL, Diplomi e cancelleria di Ruggero II, Palermo, 1983, p. 162, nota 38.
83. La rigatura dell’indice è di 21 righe, ma uno degli enti è aggiunto in
interlinea.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
747
vute dal monastero fino al 1196, data che costituisce quindi il
termine post quem per la redazione dell’opera.
Da segnalare la presenza di alcuni documenti “avventizi”, trascritti cioè da mani posteriori e in momenti diversi, su carte originariamente lasciate prive di scrittura; a f. 15v è stata trascritta da
due mani differenti 84 una controversia del 1183 tra il monastero e
Rainaldo de Lecto, completata per mancanza di spazio al f. 13v; a f.
18v è stato redatto invece il regesto di un documento di donazione privo di datazione; a f. 20v trova quindi posto una restituzione
a favore di San Salvatore del 1286 che concerne alcuni beni presenti nel feudo di Fara Filiorum Petri; ancora, la prima parte di f.
23v è occupata da un breve censimento di beni, mentre nella seconda parte è trascritto il regesto di un documento la cui datazione risulta scarsamente leggibile; un ulteriore spezzone di inventario, infine, va a riempire il foglio 24v.
Da f. 29r a f. 38v il codice venne utilizzato per censire i beni di pertinenza del monastero. Il primissimo nucleo inventariale, redatto nel 1220 su istanza, come si è detto, dell’abate
Rainaldo, occupa i ff. 29r-31r; seguono le elencazioni dei beni
posti in Bucclanum (Bucchianico) ai ff. 31v-33r, un foglio lasciato vuoto (f. 33v) e le proprietà e le decime spettanti al monastero in Colle Milonis, redatti successivamente, ai ff. 34r-36r, da
almeno tre mani. Ai ff. 37r-38r, infine, dopo l’elencazione delle
spettanze di Castellare ai ff. 36v-37r (prima metà), chiude il codice l’ultimo censimento di feuda in colle Meroni [...] anno millesimo CC quinquagesimo tertio (1253).
Dall’analisi appena condotta sul manoscritto possiamo dunque riconoscere diverse stratificazioni compositive all’interno
del codice riassumibili come segue:
– l’impianto originario dell’opera era costituito dal prologo,
dalla serie degli abati e dalla parte propriamente documentaria
(i documenti pubblici, l’indice e i regesti degli atti privati);
– al progetto compositivo originario si è precocemente aggiunta l’insieme delle redazioni inventariali, a partire dalla compilazione dell’inventario voluto nel 1220 dall’abate Rainaldo;
– quindi nel corso degli anni si sono progressivamente aggiunte le numerose scritture che abbiamo definitivo “avventizie”, a seguito del reiterato utilizzo del codice da parte dei monaci.
84. La seconda mano subentra alla prima a r. 14.
748
LORENZA IANNACCI
Analisi paleografica
Per quanto riguarda la scrittura del codice, la sua struttura
composita e il fatto che esso fu riutilizzato per molto tempo
anche dopo l’epoca della sua prima redazione rende piuttosto
complesso, ma ancor più indispensabile, il lavoro di identificazione paleografica. È possibile anzitutto distinguere all’interno
del manoscritto tre strati diversi di scritture, contrariamente al
parere, affatto dubitativo, espresso dal Martinetti: « Ceterum libellus universus ab eodem scriptore, eodem charactere exaratus
est, ut patet legenti » 85. Una tale stratificazione grafica, peraltro, corrisponde alle fasi della vita del codice già illustrate:
– la scrittura della sezione biografica iniziale e del cartulario,
corrispondenti al progetto editoriale originario;
– le scritture del primo nucleo inventariale, voluto dall’abate Rainaldo nel 1220, e quelle immediatamente seguenti, posteriori al cartulario di pochissimi decenni (fino al 1253);
– le scritture propriamente avventizie, più tarde.
In questa sede, dunque, ci limiteremo ad analizzare sistematicamente, ai fini di una possibile datazione del codice, la scrittura del primo strato (biografie iniziali e cartulario in senso
stretto), il più antico della raccolta, mettendola in rapporto con
quelle degli inventari del 1220 e del 1253 86.
Per quanto riguarda in particolare il cartulario, l’analisi paleografica ha permesso di individuare al suo interno la presenza
di due mani diverse (che per comodità chiameremo mano A e
mano B), cui una mano più tarda affiancò le numerose annotazioni marginali al testo, le quali, poste al lato dei documenti,
tendono ad individuare il luogo dell’oggetto donato nel documento stesso, oppure per mezzo di notabilia (ad es. a f. 8r) sottolineano passaggi particolarmente significativi del testo. Queste
notazioni “avventizie” e di molto posteriori alla stesura del cartulario, inoltre, sono le medesime che si è potuto riscontrare a
latere dell’inventario di Giovanni di Comino del 1365 e possono essere fatte risalire a circa la metà del XV secolo, grazie al
confronto con un altro inventario databile agli anni Cinquanta
85. MARTINETTI, Dissertatio cit. (nota 2), p. V.
86. Tralasciamo per il momento le scritture più tarde e di minor pregnanza per
gli intendimenti del presente contributo, in particolare le scritture dei documenti
“avventizi”, in attesa di una più approfondita analisi in sede di edizione critica.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
749
del Quattrocento, conservato sempre presso l’Archivio Capitolare di S. Pietro 87; l’estensore di tale censimento di beni quattrocentesco aveva evidentemente proceduto, prima della redazione definitiva, ad un lavoro preparatorio sui modelli precedenti che aveva a disposizione (cioè il Liber instrumentorum e
l’inventario predisposto nel 1365).
Quanto alla scrittura vera e propria del cartulario, le due
mani individuate, pur evidenziando alcune piccole differenze,
presentano entrambe una fattura piuttosto accurata e calligrafica, che rivela la perizia grafica dei due amanuensi che si occuparono della redazione del manoscritto.
La mano A (che verga il prologo, la biografia del priore
Giovanni, la bolla pontificia, il diploma regio, l’indice e i regesti trascritti ai ff. 8r-12r, 16r-18r) mantiene nella costruzione
della pagina una maggiore ariosità e spaziatura sia fra le righe sia
fra le parole, qui particolarmente evidente grazie anche a quel
processo di accorciamento dei tratti verticali che generalmente
caratterizza le scritture avviate verso il gusto gotico. La prima
riga del documento, tracciata per lo più in inchiostro rosso, è
caratterizzata da alcuni artifici di stampo quasi cancelleresco,
come l’allungamento delle aste ascendenti e la presenza di abbreviazioni a “nodulo”. Da sottolineare l’uso generalizzato della
s maiuscola a fine di parola, della d e della m onciali, della r
finale tracciata in forma di 2 dopo o, della v iniziale, ad esempio di venerabilis, tracciata con la v a punta, tipicamente gotica.
Da notare anche l’asta a proboscide, inclinata verso sinistra, della m in fine di parola, e in alcuni casi della h, oltre alla g tracciata con occhiello inferiore abbastanza piccolo e quasi sempre
chiuso. Le abbreviazioni sono le classiche del sistema carolinogotico.
La mano B trascrive invece l’ultimo documento di f. 12r e i
ff. 12v-13r, 14r-15r, 19r-20r, 21r-23r, 24r-28v e si caratterizza
anzitutto per una riduzione dell’alternarsi degli spazi vuoti e
pieni, forse anche dovuta ad una lieve diminuzione di modulo
dello scritto che porta alla riduzione degli occhielli; tuttavia una
maggiore omogeneità e regolarità del modulo stesso nella stesura del documento conferisce alla pagina maggiore ordine e
compattezza. Tra le principali differenze rispetto alla mano A
87. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di
S. Pietro, Pergamene, caps. LXXII, fasc. 53, n. 6.
750
LORENZA IANNACCI
troviamo però l’uso della r finale carolina dopo o (ad es. in
prior) o la m finale minuscola; peculiare di questo scriba è poi
l’uso di rendere l’ego (ad es. ai ff. 12v-13r) che introduce il nome dell’autore all’inizio del testo con uno stilizzatissimo nesso,
che testimonia l’accuratezza e la calligraficità dello scritto. Diverse inoltre, rispetto alla mano A, alcune abbreviazioni, come
quella di tuisq(ue) e fratribusq(ue) non più a ricciolo ma in forma
di punto e virgola. Abbastanza comuni per l’epoca, ma senz’altro di buona fattura, le maiuscole goticheggianti.
Tali scritture dunque potrebbero essere entrambe descritte come minuscole ‘di transizione’ 88, collocabili a cavallo tra XII e XIII
secolo, dove nonostante i caratteri della gotica siano di fatto già
tutti presenti (applicazione delle regole del Mayer, accorciamento
delle aste superiori e inferiori, spezzamento dei tratti, accentuazione del chiaroscuro), essi appaiono smorzati dall’impianto ancora
tendenzialmente tondeggiante della scrittura.
Va detto tuttavia che, nonostante le differenze appena rilevate nel modo di tracciare singoli segni, nell’utilizzo di alcune
abbreviazioni e in generale nella mise en page, fra le due scritture esistono senz’altro notevolissime affinità. Particolarità nel sistema abbreviativo di entrambe le mani è, ad esempio, il doppio trattino orizzontale posto su diverse parole in tutto il testo,
che sta ad indicare il segno generico di troncamento, come ad
es. in ven(erabilis). Si tratta infatti di grafie da inserire all’interno
di un quadro scrittorio generale che vede il passaggio da un canone grafico ad un altro e che tende a cancellare o comunque
ad appiattire gli elementi di forte differenziazione personale,
tanto che a volte risulta complesso distinguere con sicurezza ciò
che è abitudine dei diversi scriventi e ciò che invece è semplicemente ricercatezza formale, volontà di variatio di uno stesso
scriba. Detto questo, nel nostro cartulario le minime differenze
sopra evidenziate ci permettono di individuare mani diverse,
pur simili, che corrispondono ad altre e più sostanziali differenze nel contenuto dei documenti, come si vedrà.
Più netta è invece la differenza che intercorre fra le scritture
con le quali sono vergati biografia e cartulario e la grafia dell’inventario del 1220. Già l’inchiostro, non più nero brillante ma bru-
88. G. CENCETTI, Lineamenti di storia della scrittura latina, ristampa a cura di G. G.
FERRI, Bologna, 1997, p. 184.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
751
no, la differente decorazione dei capilettera, e soprattutto la scrittura a piena pagina anziché su due colonne come nel cartulario,
segnalano lo stacco di mano e il passaggio ad una sezione diversa.
Questa infatti appare chiaramente opera di una terza mano (mano
C), che compila i fogli 29r-31v in una gotica libraria 89, che si caratterizza per l’estrema regolarità e uniformità del modulo, la tipica
riduzione delle aste superiori ed inferiori, la pesantezza del tratto,
il chiaroscuro accentuato, la d onciale con asta corta ed inclinata,
spesso quasi orizzontale, la congiunzione et tachigrafica, la m in fine di parola a forma di tre rovesciato.
Proseguendo, una quarta mano (mano D) compila l’inventario relativo ai tenimenta e alle decimationes di Bucchianico posto ai ff. 31v-33r. La scrittura si presenta come una gotica dai
tratti disarticolati, caratteristica ben evidente, ad esempio, nelle
nasali formate da una serie di tratti verticali slegati l’uno dall’altro. La pagina è più ariosa, le aste superiori sono più alte rispetto alla mano precedente, e ciò è evidente in particolar modo
nella lettera d, con lunga asta inclinata a volte terminante con
un ricciolo nella parte finale, mentre le aste inferiori rimangono
al livello del rigo; le lettere in generale sono più rotonde e
slanciate verso l’alto. Da notare inoltre la ripresa di quel tipo
peculiare di abbreviazione che abbiamo visto ricorrere frequentemente nel cartulario, ovvero il doppio segno orizzontale
sovrascritto.
A partire dal f. 34r almeno altre tre mani (E, F, G) si alternano nella redazione del censimento di beni in Colle Milonis: si
tratta di scritture gotiche librarie come le precedenti, ormai
molto tipizzate, nelle quali, come già detto, è più difficile individuare elementi peculiari dell’una o dell’altra. L’unica scrittura
che nettamente si distingue dalle precedenti è la minuscola notarile usata a metà di f. 36r per trascrivere parte dell’inventario.
I fogli 36v-38v, infine, sono vergati da un ultimo scriba
(mano H) in una gotica di modulo molto piccolo, schiacciata
89. « Quanto all’Italia forse è lecito domandarsi se si possa davvero parlare di
“gotica”, intesa secondo la definizione di Bischoff », dal momento che « il corpo rimane largo e squadrato, mentre la spezzatura delle curve è assai meno pronunciata.
Taluno ha voluto proporre un paragone (calzante solo in linea molto generale) con
le differenze tra l’architettura gotica francese e quella italiana, o meglio tra le cattedrali gotiche d’oltralpe e i palazzi pubblici padani e appenninici [...] più convincente
forse che gli scribi italiani rimangono, in sostanza, fedeli alla ferma plasticità di quella
romanica », ID., Paleografia latina, Roma, 1978, pp. 128-129.
752
LORENZA IANNACCI
sul rigo, caratterizzata da una d dalle aste molto lunghe e oblique e con l’occhiello non perfettamente rotondo, dalle s indifferentemente lunghe anche sotto il rigo o ripiegate a formare
due piccoli occhielli, dalla ripresa del segno doppio d’abbreviazione, da aste sia superiori che inferiori ispessite.
Dunque le scritture delle mani C, D, E, F e G sono tutte
collocabili in un torno di anni che va dal 1220, data dell’inventario dell’abate Rainaldo, agli anni Cinquanta del secolo, termine ante quem fornito dalla mano H, che è certamente databile al
1253, come si evince dal dettato dell’inventario a f. 38r (Hec
sunt feuda in colle Meroni [...] anno millesimo CC quinquagesimo
tertio). A questo stesso periodo andranno quindi graficamente
ricondotti anche quegli spezzoni di inventari che elencano beni
posti in diverse località e che, terminato lo spazio disponibile
nella parte finale del codice, vennero trascritti all’inizio del manoscritto, andando progressivamente a riempire, così come le
scritture avventizie, gli spazi che erano stati lasciati vuoti nel
corso della stesura del cartulario. Queste scritture, dunque, che
riutilizzarono il supporto disponibile, possono essere datate a
partire dalla seconda metà del XIII secolo.
Analisi stilistica
Sembra necessario, prima di procedere all’analisi delle forme
documentarie presenti all’interno del cartulario, spendere qualche parola in più anche sulle rappresentazioni iconografiche e
l’apparato decorativo che, come si è detto, ornano la sezione
iniziale del codice, ovvero il “catalogo degli abati”, che secondo il progetto compositivo originario doveva precedere la parte
prettamente documentaria.
Come si è già accennato, infatti, ai fogli 1v-2r si osservano
una serie di miniature raffiguranti i priori e gli abati del monastero, intervallate dalle rispettive biografie, di cui solo la prima
è stata effettivamente redatta; a queste si aggiungono inoltre le
raffigurazioni erase dei ff. 2v e 3r. Lo schema compositivo è per
tutte sostanzialmente analogo ed è ben illustrato dalla prima figura, l’unica portata a termine: eseguita in inchiostro rosso e
nero, essa ritrae il mezzo-busto del priore Giovanni, il quale
sembra quasi sorreggere la riproduzione di un codice aperto all’interno del quale è inscritta la biografia dai toni encomiastici.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
753
Peculiari le modalità con le quali il miniatore ha fatto “parlare”
il soggetto raffigurato: dalla bocca del priore Giovanni, infatti,
partono delle linee che riportano le sue parole in versi leonini:
« Hic Iohannes eremita/ sanctos patres sequentes vita/ Inter
quos resplendet tota/ Ut celestis margarita/ Scripto notat acquisita ». L’escamotage visivo adottato, oltre a sottendere comunque il buon livello culturale della committenza, risponde a
quella esigenza, così caratteristica di tutta la miniatura e l’arte
della decorazione libraria medievale, di creare continui punti di
contatto tra immagine e scrittura 90. Invero nel nostro caso preciso il desiderio di rendere l’immagine addirittura “parlante” 91
specifica ulteriormente il carattere narrativo di questa prima
parte del codice, destinata a contenere le vite degli abati del
monastero, in linea con gli intenti di rappresentazione storiografica e di fusione di testi narrativi e testimonianze documentarie già presenti nelle altre cronache-cartulario elaborate nell’ambito culturale benedettino dell’Italia centro-meridionale 92.
La figura del priore Benedetto che segue nella metà inferiore della pagina, al di sotto della cornice del “codice”, è realizzata attraverso il medesimo escamotage di raffigurazione “parlante” appena descritto. Lo stesso schema compositivo si ritrova
pure a f. 2r, dove sono disegnate altre due miniature di priori o
90. Sull’interazione tra scrittura e immagini miniate nei codici medievali si vedano, a titolo esemplificativo, gli studi sempre attuali di O. PÄCHT, La miniatura medievale. Una introduzione, Torino, 1987 o più recentemente G. Z. ZANICHELLI, La mise
en page del codice tardo antico e medioevale, in Medioevo: il tempo degli antichi. Atti del
Convegno internazionale di studi, Parma, 24-28 settembre 2003, a cura di A. C.
QUINTAVALLE, Milano, 2006, pp. 220-231. Sulla trasposizione simbolica dei testi in
immagini: M. SCHAPIRO, Parole e immagini: la lettera e il simbolo nell’illustrazione di un
testo, Parma, 1985.
91. Sul concetto di « visibile parlare » e « sul rapporto di disegno e parola quando
questa è inserita in un contesto figurativo », e non viceversa (tematica che certamente meriterebbe un approfondimento anche rispetto alle nostre miniature), si veda
« Visibile parlare ». Le scritture esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a
cura di C. CIOCIOLA, Napoli, 1997 (qui citato a p. 36).
92. Cfr. PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 317. Sull’apparato decorativo
delle cronache-cartulario e sul valore che le tipologie illustrative assumono in rapporto al testo si vedano: G. OROFINO, L’apparato decorativo in Chronicon Sanctae Sophiae, ed. cit. (nota 57), pp. 137-186; ID., La decorazione, in Il frammento Sabatini cit.
(nota 58), pp. 35-43; C. DI FRUSCIA, Storiografia per immagini. Cronache-cartulario illustrate di area centro-meridionale (XII secolo), in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il
Medio Evo, 110/1 (2008), pp. 105-128.
754
LORENZA IANNACCI
abati (forse Rainerio e Iselberto): il primo è ritratto assiso, a figura intera, in atto di benedire con la mano destra, mentre con
la sinistra sostiene un codice, il secondo invece raffigurato solo
in volto, alla stregua dei precedenti. Al di sotto di ciascuna figura stanno quindi i due riquadri fatti a mo’ di libro aperto,
più grande il primo, più piccolo il secondo, entro i quali senza
dubbio doveva essere scritta la vita dei due personaggi, mai
principiata. Una struttura sostanzialmente identica caratterizza
quel che ancora si intravede dei disegni dei ff. 2v e 3r, che presumibilmente completavano la serie.
Se l’impianto illustrativo è chiaramente organico, frutto di
un progetto preciso, tuttavia fra le miniature di f. 1v e quelle di
f. 2r si colgono notevoli differenze stilistiche che vanno senza
dubbio ricondotte all’intervento di due miniatori diversi, che
per comodità designeremo come MI ed MII. È evidente infatti
che le figure dei priori Giovanni e Benedetto (f. 1v), come pure quella di Trasmondo che apre il cartulario (f. 4r), siano realizzate con esiti più modesti rispetto a quelle di f. 2r (Rainerio
e Iselberto?).
Anzitutto, il priore Giovanni, realizzato da MI, è rappresentato
con i classici pomi rossi a simboleggiare le gote, gli occhi grandi e
molto stilizzati e la bocca a forma di omega rovesciato. La figura si
connota immediatamente per l’arcaicità dello stile, conferita dall’accentuata paratassi, dalla fissità statuaria, dalla rigidità delle pose e
dalla foggia arcaica della veste. Tratti, questi, che si ritrovano non
solo nel sottostante disegno di Benedetto, approntato in tutta evidenza contemporaneamente – e del resto anche la scrittura del relativo “fumetto” è opera della stessa mano –, ma anche nelle raffigurazioni dell’abate Trasmondo e di papa Alessandro III che aprono il cartulario a foglio 4r: dato estremamente significativo, perché
dimostra che la sezione biografica iniziale era unita ab origine alla
parte documentaria che segue, che essa nasce cioè come vera e
propria introduzione al cartulario.
La realizzazione della miniatura del f. 2r, con i due ignoti
priori, al contrario, è sicuramente riconducibile ad un artista diverso, che chiameremo MII. La cultura artistica di questo secondo
miniatore risulta infatti più aggiornata e il suo stile maggiormente
curato: lo rivela chiaramente la naturalistica trattazione dei panneggi, mentre il sinuoso allungamento delle mani e l’accurata resa fisiognomica si distaccano notevolmente dai rigidi e stereotipati volti della mano MI. Un gusto vivacemente decorativo si coglie inol-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
755
tre nella trattazione della greca del codice sottostante, meno schematica rispetto alle decorazioni imputabili a MI.
Dalle poche tracce ancora visibili anche le miniature erase
ai ff. 2v e 3r sembrerebbero riconducibili alla mano di MII.
La forte distanza stilistica che si riscontra tra MI ed MII solleva alcuni interrogativi in relazione alla datazione dei rispettivi
interventi all’interno del manoscritto. Infatti lo stile di MI, nonostante una certa rozzezza e immaturità rispetto agli esiti delle
coeve rappresentazioni del Chronicon prodotto a Casauria 93,
sembra comunque riconducibile al medesimo milieu artistico e
più in generale si inserisce appieno nella « produzione artistica
abruzzese del XII secolo e del principio di quello successivo
[che] si ispira infatti a quella cultura meridionale largamente
permeata di forme bizantine, talora interpretata, come nelle illustrazioni a penna o a contorni colorati del celebre Chronicon
Casauriense [...], con un acuto senso decorativo che lega strettamente scrittura e immagine » 94; al contrario MII si connota per
un livello culturale e qualitativo più aggiornato ed esperto, anche rispetto alle miniature di Casauria. Questione dunque di
non facile soluzione e per la quale si richiederebbe senz’altro
un supplemento di indagine, ma rispetto alla quale è possibile
almeno formulare alcune ipotesi preliminari.
Una prima ipotesi è che, nonostante tutto, le due mani siano sostanzialmente contemporanee, databili a cavallo tra XII e
XIII secolo, cioè entrambe coeve alla redazione del cartulario e
che la distanza stilistica sia semplicemente ascrivibile alla ripresa
da parte di MI di modelli precedenti (di cui però non vi è traccia) nella decorazione del cartulario: questi potrebbe insomma
aver copiato da un codice già esistente oppure aver fatto riferimento a modelli pittorici presenti nel monastero e raffiguranti
il “fondatore” Giovanni.
Una seconda ipotesi, forse più convincente, è che le miniature del cartulario non siano contemporanee ma appartengano a
93. Sulle illustrazioni del Chronicon Casauriense si vedano: PRATESI, Prefazione cit.
(nota 12), pp. 8-9; V. LEONARDIS, Le Chronicon Causauriense: problèmes d’illustration
d’un texte historique et juridique, in Manuscrits et enluminures dans le monde normand: XeXVe siècles, Colloque de Cerisy-La-Salle, octobre 1995. Actes publiés sous la direction de P. BOUET - M. DOSDAT, Caen, 1999, pp. 129-150.
94. Presentazione, a cura di G. MATTHIAE in Mostra della miniatura in Abruzzo, L’Aquila, 1959, pp. 5-8, qui citata p. 6.
756
LORENZA IANNACCI
fasi diverse, e precisamente: le miniature di MI sarebbero più
antiche, coeve alla realizzazione del cartulario (ultimi anni del
XII-primissimi anni del XIII), mentre le miniature di MII potrebbero essere ricondotte ad una fase successiva, ovvero quella
delle redazioni inventariali. I monaci, che tra il 1220 e il 1253
si accinsero ad utilizzare il nostro codice per l’elencazione dei
beni e dei possedimenti, potrebbero aver deciso di completare
il catalogo dei priori avviato dai loro predecessori, ben consapevoli dell’importanza di questa prima parte narrativa nell’economia generale del cartulario. Tuttavia una sopravvenuta scarsità di mezzi materiali – il monastero di lì a poco sarebbe inesorabilmente caduto in una definitiva fase di decadenza economica e amministrativa – potrebbe aver nuovamente interrotto l’opera avviata, che addirittura venne in parte erasa per far posto a
spezzoni di redazioni inventariali successive.
Una datazione (sebbene di poco) posteriore delle miniature
dei ff. 2r, 2v e 3r rispetto a quelle del primo e del quarto foglio
spiegherebbe più facilmente la grande distanza stilistica rilevata tra
di esse, consentendoci di collocare la mano MII nella produzione
abruzzese del XIII secolo, quando iniziano a sentirsi in regione gli
« influssi della miniatura d’oltralpe, particolarmente francese » 95.
D’altronde, soprattutto nella trattazione del panneggio della tonaca
del priore Rainerio, MII mostra un certo aggiornamento condotto
sulla scorta dei modelli pittorici e miniatorii federiciani, presenti in
regione nel corso della prima metà del XIII secolo e caratterizzati
da esiti schiettamente naturalistici 96.
Analisi diplomatistica
Passando dall’analisi dei caratteri estrinseci del cartulario a
quella dei caratteri intrinseci della sezione strettamente docu95. Ibidem.
96. A questo proposito si vedano: F. ACETO, La pittura sveva, in Mezzogiorno - Federico II – Mezzogiorno. Atti del Convegno Internazionale di Studio promosso dall’Istituto Internazionale di Studi Federiciani Consiglio Nazionale delle Ricerche, Potenza, Avigliano, Castel Lagopesole, Melfi, 18-23 ottobre 1994, a cura di C. D. COSIMO, Roma, 2000, pp. 749-776; L’Abruzzo in età angioina: arte di frontiera tra Medioevo
e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi, Chieti, Campus universitario, 1-2 aprile 2004, a cura di D. BENATI - A. TOMEI, Cinisello Balsamo, 2005.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
757
mentaria del codice, va ricordato anzitutto che esso risulta formato dalla trascrizione di due documenti pubblici, una bolla
papale, trascritta in forma integrale, e un diploma regio (ff. 4r6v), cui seguono un indice (f. 7v) e 128 documenti privati, soprattutto donazioni in favore del monastero, trascritti in forma
di regesto (ff. 8r-28v).
Per quanto riguarda gli estremi temporali della raccolta va
detto anzitutto che gli atti regestati – per comodità individueremo ciascun documento con una numerazione crescente in
ordine di cartulario da 1 a 128 – non seguono una rigida successione cronologica. Questa è stata però ricostruita nell’edizione del Martinetti, che ha indicato nel 1000-1196 l’arco temporale coperto dalla documentazione. L’erudito commise tuttavia
alcuni errori proprio nella datazione dei singoli atti non avvedendosi di alcuni fatti grafici. Egli indicò come documento più
antico il doc. 16 (f. 11v) datandolo all’anno 1000: nello specifico si tratta della donazione della chiesa di San Procopio effettuata a favore del monastero nella persona di un priore Iselberto. Secondo il Martinetti a questo Iselberto sarebbero succeduti
Oddo, di cui si ha notizia solo dalla biografia del priore Giovanni, e quindi lo stesso Giovanni. Seguono, nella Dissertatio, il
documento n. 2, datato 1010, che riguarda la donazione di una
cospicua dotazione terriera presso Angre in Pinnensi provincia, e
poi come terzo documento il regesto n. 1 datato 1021.
Ad un più attento esame del manoscritto, tuttavia, la sequenza di questi atti va invertita. Infatti il doc. 16 presenta effettivamente la datazione Anno Dominice M° a cui segue però
uno spazio vuoto lasciato appositamente dal copista: espediente
dovuto in tutta evidenza al fatto che questi non era in grado di
completare la datazione, forse perché illeggibile o corrotta nel
documento originale da cui stava copiando. Per quanto riguarda il doc. 2, invece, si nota come l’inchiostro nella datazione
sia stato parzialmente eraso, ma ciò non impedisce, ad una più
attenta visione del codice, di distinguere le cifre « MXL »: e
proprio il 1040, non già il 1010 dell’edizione del Martinetti, è
da considerarsi la data corretta. Ne consegue, evidentemente,
che il documento più antico trascritto all’interno del cartulario
andrà ravvisato proprio nel doc. 1 del 1021, che costituisce verosimilmente la prima acquisizione di San Salvatore, ovvero
l’intera valle di Rivo Secco donata dai fratelli Trasmondo, Tresidio e Giovanni e l’annessa chiesa intitolata a San Salvatore.
758
LORENZA IANNACCI
D’altronde con queste considerazioni collima anche il dato
contenutistico dei documenti in questione. Infatti nel regesto 1,
anno Dominice M° vicesimo primo, il destinatario della donazione
è semplicemente Iohannes sacerdos et anachorita che già nel documento 2, anno Dominice incarnacionis MXL, ha acquisito la dignità di priore, diventando Iohannes Magellane prior, sacerdos et anachorita 97. Nel documento 16, invece, l’Iselberto che riceve la
donazione compare già con la qualifica di prior venerabilis: e un
priore con questo nome si trova nelle carte di San Salvatore tra
il 1106 e il 1128, fatto che ci porta a credere che anche questo
atto vada collocato pressappoco fra questi estremi cronologici.
Il documento 2, inoltre, attesta la donazione di un terreno di
trecento moggi presso Angre facente parte della giurisdizione
territoriale di Penne: acquisizione certamente molto importante
per San Salvatore, ma che, vista la distanza dal luogo di edificazione e di diretta influenza del monastero, appare poco probabile che possa aver costituito oggetto della prima donazione a
suo favore. È assai più verosimile che la prima acquisizione
avesse riguardato la proprietà laica sulla quale sorgeva il monastero (doc. 1), che avrebbe consentito all’umile eremitaggio di
mettersi al riparo da qualsiasi ingerenza esterna. La donazione
di Angre ad monastherium edificando, al contrario, meglio si colloca in un periodo immediatamente successivo (1040) quando i
monaci, ormai acquisita sotto il priore Giovanni una propria
autonomia amministrativa ed economica, iniziavano ad espandere il proprio patrimonio e ad ampliare le strutture edilizie.
Un’ultima nota riguardo alla datazione di questi primi regesti. Il Martinetti rileva giustamente come anche la data del 1021
andrebbe corretta. Oltre all’era cristiana, infatti, viene riportato,
come ulteriore elemento cronologico, anche regnante domno
Chonrado imperatore augusto. Tuttavia Corrado II verrà incoronato re d’Italia solo nel 1026 e imperatore l’anno successivo. È
possibile, dunque, in assenza dell’indicazione indizionale, che
anche in questo caso il copista si sia trovato di fronte un originale corrotto o parzialmente illeggibile. Ipotizzando nell’originale « MXX[X]I » ovvero « MXX[V]I », la data corretta del
97. È vero che tali intitolazioni per quanto riguarda il monachesimo benedettino,
soprattutto a queste date, non avevano un significato fisso e univoco, ma la sequenza
di titoli citati nei documenti sembra abbastanza significativa per indicare qui un reale
cambiamento di competenze e autorità.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
759
documento potrebbe essere 1031, come suggerisce il Martinetti, oppure 1026: entrambe le soluzioni sarebbero comunque
concordi con l’indicazione di regno di Corrado II.
Chiarita l’esatta cronologia di questi primi documenti, resta
da verificare quale sia il criterio di ordinamento interno, la ratio
compositiva che regola la raccolta. Per far ciò è necessario analizzare nello specifico il contenuto e la forma degli atti.
Si noterà in tal modo che essi possono essere suddivisi in
due gruppi distinti per redattore e bene oggetto del negozio
giuridico. Il primo è formato sostanzialmente dai docc. 1-23 (ff.
8r-12r) e dai docc. 46-57 (ff. 16r-18r). Questi regesti sono stati
trascritti dalla mano A e sono quasi tutti relativi a donazioni di
enti ecclesiastici a favore di San Salvatore; fra questi, inoltre, i
docc. 1-22 e 53-56 sono i medesimi individuati dall’indice di f.
7v. Il secondo gruppo, opera della mano B, è composto invece
dai docc. 24-45 (ff. 12v-15r), relativi a donazioni di enti ecclesiastici, non presenti nell’indice, e di possedimenti terrieri, e dai
docc. 58-128 (ff. 19r-28v), che riportano donazioni di terre,
mulini, nonché concessioni di uomini e decime al monastero.
Per quanto riguarda il formulario, i documenti del gruppo
A mostrano le medesime caratteristiche formali: il protocollo
riporta la datazione secondo gli anni di Cristo (Anno Dominice
incarnationis o Incarnationis anno Dominice), seguita dall’indizione
(quando c’è). Solo sporadicamente nella datazione sono presenti
altri elementi (regnante Chonrado imperatore, doc. 1, oppure tempore Ugonis ducis et marcionis, doc. 2). Il testo si limita a regestare
gli elementi essenziali della donazione: l’arenga non si discosta,
se non in rari casi 98, dalle classiche e formulari motivazioni spirituali; l’autore; l’oggetto, ovvero l’ente ecclesistico cum omnibus
possessionis suis localizzato secondo il toponimo o i confini, e di
cui a volte vengono elencate le cellae di appartenenza; il destinatario della donazione, cioè il priore e i monaci (tuisque fratribus) che possiederanno il bene in perpetuum, perpetuo, semper, in
secula. L’escatocollo è costituito da corroboratio, elenco dei testimoni e sottoscrizione del notaio, tranne in alcuni casi in cui
quest’ultima manca 99.
98. Cfr. ad esempio il doc. 4, ove l’arenga è sostituita da una materiale motivazione: de mandato gloriosissimi regis Rogerii.
99. Dal punto di vista grafico e della mise en page i documenti della mano A, co-
760
LORENZA IANNACCI
I documenti concernenti le donazioni di territori, mulini e
altro del gruppo B, da questo punto di vista, non sono di molto differenti da quelli del gruppo A. Anche qui, infatti, in linea
di massima gli elementi regestati sono: una brevissima arenga;
autore; oggetto donato, descritto nella sua quantità, qualità –
nel caso di appezzamenti terrieri cum arboribus, habentem in se vinea [...], nel caso di mulini cum decursibus aquarum – e/o rendimento in semine. Seguono il destinatario, le classiche formule di
perpetuità, l’elenco dei testimoni e la sottoscrizione del notaio.
Rara la presenza di altre clausole nel testo e della corroboratio
nell’escatocollo 100.
Quello che realmente differenzia i due gruppi, dunque, sono le tipologie di beni o diritti acquisiti con le donazioni, cioè
in altre parole l’oggetto degli atti stessi, che consentono di individuare due grossi nuclei compositivi, corrispondenti peraltro
all’intervento dei due citati scrittori A e B.
A questo proposito appare senza dubbio assai significativa la
rilevata corrispondenza tra le donazioni oggetto dei docc. 1-22
e l’elenco delle chiese dell’indice di f. 7v, spia questa di un
progetto compositivo unitario e ben determinato:
De
De
De
De
De
De
De
De
De
tota valle de Rivo Sicco I
ecclesia Sancti Salvatoris de Angre II
monasterio Sancti Barbati III
ecclesia Sancte Agathe IIII
monasterio Sancti Angeli V
ecclesia Sancti Angeli VI
monasterio Sancti Clementis VII
monasterio Sancti Andree VIII
ecclesia Sancti Pancratii IX
me già detto, si presentano con gli elementi della datazione, che occupano solitamente il primo rigo, scritti con l’inchiostro rosso e in modulo maggiore rispetto al
testo, con allungamento delle aste ascendenti e abbreviazioni “a nodulo” e con la A
o la I iniziali decorate con stilizzati motivi floreali e spesso allungate fino al rigo inferiore. Il testo invece è vergato con l’inchiostro nero, a parte la prima lettera dell’arenga, spesso sommariamente decorata. L’escatocollo, infine, si presenta in modulo
minore rispetto al testo, assumendo spesso una particolare forma conica o a grappolo.
100. Questi documenti appaiono però più sobri ed omogenei nei loro caratteri
estrinseci: il modulo di scrittura è uniforme per l’intero documento, solo la A o la I
iniziali della datazione sono più marcate e allungate sul rigo inferiore; vengono vergati in inchiostro rosso la datazione e l’elenco dei testimoni, che a volte, come nel
gruppo A, assumono una particolare forma conica.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
De
De
De
De
De
De
De
De
De
De
De
De
De
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
ecclesia
761
Sancte Cantiane X
Sancti Nicolay XI
Sancti Blasii XII
Sancte Marie de Lavella XIII
Sancti Martini XIIII
Sancte Iuste et Sancte Agnetis <XV>
Sancte Marie, Cristoforis et Nicolay <XVI>
Sancti Procopii et Sancti Nicolay <XVII>
Sancte Marie apud Gissum <XVIII>
Sancti Egidii <XIX>
Sancti Iacobi <XX>
Sancti Blasii <XXI>
Sancte Helene <XXII>
C’è però un’apparente eccezione da rilevare nella corrispondenza indice-cartulario. L’indice inizia correttamente con de tota
valle de Rivo Sicco I / de ecclesia Sancti Salvatoris de Angre II, beni
donati al priore Giovanni effetivamente nei docc. 1 e 2 (ff. 8rv);
segue de monasterio Sancti Barbati III / de ecclesia Sancte Agathe IIII /
de monasterio Sancti Angeli V/, de ecclesia Sancti Angeli VI / de monasterio Sancti Clementis VII, donazioni effettuate sempre a favore del
priore Giovanni, copiate al foglio 17 (docc. 53-57), anziché di seguito a f. 9, come ci si aspetterebbe. L’indice, come si vede, continua con de monasterio Sancti Andree VIII / de ecclesia Sancti Pancratii IX [...] / de ecclesia Sancte Helene, oggetti dei docc. 3-22 (ff. 9r12r), dove quindi si riprende l’articolazione dell’indice. L’ipotizzata
caduta del bifoglio ff. 17-18 dalla sua originaria posizione dopo f.
8, cui abbiamo accennato parlando della composizione dei fascicoli, e la sua successiva errata collocazione nell’attuale posizione dopo f. 16, spiegherebbe questa discrasia fra l’indice e la corretta successione dei documenti.
Va detto inoltre che, nonostante gli atti non siano trascritti in
un ordine cronologico stringente, come si è detto precedentemente, le donazioni di questi enti ecclesiastici sono comunque trascritte rispettando un criterio temporale di massima, essendo scandite dal succedersi dei priori (Giovanni, Benedetto, Rainero, Iselberto, Alessandro) fino a Trasmondo, il primo ad avere dignità abbaziale, che nel documento 23 (f. 12r) riceve l’unico ente ecclesiastico acquisito durante la sua amministrazione.
Questa idea restituisce ai documenti la logica ratio, che certamente doveva sostenere l’elaborazione del cartulario, ovvero:
762
LORENZA IANNACCI
un primo nucleo documentale A costituito dalle donazioni degli enti ecclesiastici più importanti, menzionati tra l’altro nella
prima parte della bolla pontificia, preceduti da un indice che li
ordina non secondo un rigido criterio cronologico ma sommariamente secondo il succedersi dei diversi priori; sempre all’interno di questo gruppo, dopo il documento 23 era stato lasciato
uno spazio vuoto, nell’attesa forse di eventuali donazioni di beni ecclesiastici in favore dell’abate Trasmondo; quindi, da foglio
16 in poi, erano state copiate le donazioni delle chiese (docc.
45-52) che nella conferma pontificia venivano menzionate fra
le ultime, e si potrebbe pensare che anche queste fossero originariamente precedute da un secondo indice.
A questo originario primo gruppo di donazioni di enti ecclesiastici doveva seguire il compatto blocco delle donazioni di
possedimenti terrieri, mulini, uomini e decime copiati dalla
mano B. Ed effettivamente i docc. 58-127 (ff. 19r-28v) riportano donazioni di territori, raggruppati in maniera omogenea per
giurisdizione territoriale.
Rimane da chiarire la presenza dei docc. 24-44, di mano B,
che ai ff. 12r (ultimo documento)-15r riportano donazioni di
enti ecclesiastici minori e di possedimenti terrieri. Probabilmente, al momento della compilazione del gruppo B, venne
riempito lo spazio lasciato vuoto dopo il documento 23 (restituzione della chiesa di San Candido all’abate Trasmondo), con
le donazioni di enti ecclesiastici di scarsa importanza, non menzionati dalla bolla papale del 1175, e con le prime donazioni di
territori già raggruppate, come era nel progetto, per ubicazioni:
a conferma di ciò nel margine superiore di f. 13r si legge il titoletto de possessionibus ecclesie Magelle in comitato pinnense, della
stessa mano B che trascrive i documenti.
Ovviamente questa sommaria descrizione tende a mettere
in luce le analogie, piuttosto che a sottolineare le differenze e
le eccezioni che sporadicamente incontriamo: ad esempio il
doc. 57, l’ultimo che presenta i caratteri estrinseci e intrinseci
tipici della mano A, riporta la restituzione di un possedimento
terriero sempre a favore dell’abate Trasmondo.
L’intenzione sembra insomma quella di disegnare una mappa territoriale del vasto patrimonio monastico, suddivisa per tipologia di possedimento e per zona, facilmente consultabile all’uso. Il cartulario si presenta dunque non come una semplice
giustapposizione di documenti, ma come uno strumento fonda-
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
763
mentale, funzionale allo spirito di gestione e di conservazione
della documentazione per cui è stato prodotto.
CONCLUSIONI
Nuova datazione del cartulario
Come si è accennato all’inizio di questo contributo, sulla
scorta del Martinetti la storiografia anche recente, e da ultimo
Laurent Feller, ha collocato la datazione del cartulario fra i due
termini post quem del 1196 – data dell’ultimo atto regestato – e
ante quem del 1220 – data del successivo inventario –. Si può
forse restringere ulteriormente il lasso temporale di esecuzione
dell’opera al decennio immediatamente successivo il 1196, ovvero fra gli ultimi anni del XII secolo e i primissimi del XIII
secolo. In questa direzione spingono infatti vari elementi.
In primis il dato storico: così cronologicamente collocato, la
produzione del cartulario viene a porsi in coincidenza con l’abbaziato di Trasmondo (anni Settanta del XII sec.- 1196?), ma
soprattutto con una fase di generale assestamento in regione e
di ricerca di nuovi equilibri e alleanze, a seguito della complessa vicenda della successione al trono di Guglielmo II. Inoltre il
monastero era stato qualche anno prima, e precisamente nel
1183 proprio durante la reggenza di Trasmondo, attore nella
citata contesa giudiziaria contro Rainaldo de Lecto.
In un tale contesto di profonda instabilità, lo stesso Trasmondo, l’ultimo per il quale sono registrate donazioni e restituzioni, potrebbe aver sentito la necessità di attestare in via certa, ordinata e definitiva le prerogative e i diritti del monastero 101, facendo comporre una raccolta dei munimina spettanti all’ente ecclesiastico, in perfetta linea con quello che è l’intento
primario di tutti i cartulari medievali, cioè « la salvaguardia degli atti che costituivano la giustificazione legale per il possesso
di terre, diritti e redditi » 102.
101. D’altronde in questo contesto potrebbe anche essere facilmente inserita la redazione del falso documento di Ruggero II (1143), elemento questo che certamente
meriterebbe ulteriori approfondimenti.
102. PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 313.
764
LORENZA IANNACCI
A corroborare questa ipotesi si affianca anche la ricostruzione della struttura del cartulario proposta.
Se per le pagine della biografia iniziale completate successivamente o erase (ff. 2v-3r) ipotizziamo una scansione simile a
quella presente ai ff. 1v-2r, ovvero due ulteriori raffigurazioni
corrispondenti ad altrettante biografie di priori, potremmo pensare che nel progetto originario fosse stato predisposto lo spazio
per le sei biografie di Giovanni, Benedetto, Rainerio, Iselberto,
Alessandro e Trasmondo. Quest’ultimo dunque, nel momento
in cui commissionò l’opera, pensò verosimilmente di inserire
nella parte iniziale i priori che lo precedettero e che acquisirono, a nome di San Salvatore, le più importanti donazioni a favore del monastero abruzzese, cioè quelle attestate nella bolla
pontificia e riproposte nell’indice iniziale 103.
Anche lo spazio lasciato originariamente vuoto dalla mano
A dopo il documento 23 (f. 12v), che riporta l’unica acquisizione di un’istituzione ecclesiastica da parte di Trasmondo, e che
fu successivamente completato con una trascrizione del gruppo
B, sembra un’ulteriore dimostrazione che sotto l’abate venne
avviata la composizione del cartulario, con l’idea che il libellus
potesse accogliere ulteriori possibili acquisizioni di enti ecclesiastici sotto il proprio abbaziato.
Il dato paleografico, purtroppo, non aggiunge argomenti dirimenti per la datazione, in quanto non vi sono elementi grafici
che permettono di differenziare in maniera tanto precisa la
scrittura del cartulario e quella dell’inventario, composti a circa
vent’anni di distanza: entrambe le grafie infatti sono ascrivibili a
quel panorama di scritture librarie già fortemente tipizzate e
ormai goticheggianti nei loro caratteri formali, che dunque non
presentano elementi davvero caratterizzanti per l’una o per l’al103. Nella storia di San Salvatore si succedono in realtà anche altri priori, come
attestato dalle donazioni trascritte all’interno del cartulario, e precisamente: Giovanni
<I>, Benedetto, Gregorio, Rainerio, Giovanni <II?>, Ugo, Iselberto, Alessandro.
Tuttavia solo un approfondito esame diplomatistico e contenutistico permetterà di
stabilire la corretta successione dei reggenti, e dunque della documentazione, che
presenta, a una prima analisi, non poco elementi di difficoltà nella determinazione
dell’esatta datazione. Ad oggi sembra verosimile ipotizzare che nel progetto originario Trasmondo abbia voluto ricomprendere solo i priori del monastero considerati
maggiormente attivi nell’acquisizione di beni.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
765
tra. Forse più significativo, in questo senso, ci pare l’affinità riscontrabile tra il cartulario e il Chronicon casauriense, certamente
datato all’ultimo ventennio del XII secolo, con il quale sono
state individuate numerose somiglianze non solo negli elementi
decorativi del testo (in particolare i capi-lettera), ma soprattutto
nella tipologia scrittoria utilizzata, definita dal Pratesi una “minuscola di transizione” 104 proprio come quella che si osserva nel
Liber instrumentorum di San Salvatore.
In questo senso appaiono coerenti anche le miniature iniziali, che fanno sicuramente parte del nucleo originario del cartulario: lo stile del primo miniatore, in particolare, va ricondotto ad un’epoca non troppo avanzata, collocabile appunto a cavallo tra XII e XIII secolo.
Il Liber instrumentorum di San Salvatore a Maiella: un esempio di
cronaca-cartulario
Alla luce delle analisi appena compiute, dunque, possiamo
inserire a pieno titolo il liber instrumentorum di San Salvatore a
Maiella nella « tradizione di storiografia ibrida » 105 delle cronache-cartulario di area centro-meridionale attestabili tra XI e
XII secolo. In questa direzione ci spingono tutti gli elementi
raccolti: la struttura dell’opera, che vede strettamente correlate
la sezione storico-biografica iniziale e il cartulario in senso proprio, le sue finalità e non da ultimo il contesto di produzione.
Il codice, infatti, non si configura come una semplice raccolta di documentazione, e tanto meno come la semplice giustapposizione di materiali e testi diversi e disomogenei per tipologia e funzione, ma è senza dubbio il frutto incompiuto di
un progetto più ampio, unitario e organico, almeno nelle sue
intenzioni originali, concepito alla stregua delle coeve produzioni di cronache-cartulario. D’altra parte, il valore che l’opera
doveva avere nelle intenzioni della committenza traspare con
immediata limpidezza da quel poco che resta tuttora visibile del
prologo: « Pia ..7.. non sunt oblivioni traden/da sed script[o] et
104. PRATESI, Prefazione cit. (nota 12), p. 10.
105. PIO, Alcune considerazioni cit. (nota 8), p. 319.
766
LORENZA IANNACCI
docum(en)to posteritatis ad memorias transmittenda ». Netta ed
esplicita traspare infatti la volontà dei monaci di non lasciar cadere nell’oblio la memoria documentaria dell’ente, ma l’intenzione di trasmetterla a ricordo (scripto) e a tutela (documento) dei
posteri. Un intendimento, questo, che ricorre spesso nei prologhi dei cartulari medievali, e in specie dei cartulari cronaca, ma
che, lungi dall’essere solo un motivo topico e retorico, nasce
dalla concretissima consapevolezza del rischio di dispersione
della documentazione più antica delle istituzioni ecclesiastiche,
e dal conseguente pericolo di una possibile sottrazione di beni
non più certificabili.
Al proemio segue il “catalogo degli abati”, o perlomeno
quello che nel progetto originario era stato concepito come tale ma che non fu mai portato a termine. Certo questa breve
parte biografica iniziale non può essere paragonata agli esiti di
perfezione formale e al livello di rielaborazione narrativa cui
giunsero le coeve composizioni di San Clemente a Casauria
(1182) e di San Bartolomeo di Carpineto (1193-1194) e si attesta a uno stato compositivo meno avanzato, più simile, per utilizzare una definizione di Ovidio Capitani, alle « memorie documentate » di Farfa o alle « collezioni di documenti legati da
un commento personale », come quella di San Vincenzo al Volturno 106. Pur tuttavia, come già notava Delogu per il Frammento
Sabatini, probabile antecedente e modello del successivo Chronicon
volturnense, il catalogo degli abati, nonostante la sua esiguità,
rappresenta senz’altro « l’ossatura fondamentale di una cronaca
monastica » 107. In questo senso, anche le biografie incompiute
dei nostri priori potrebbero costituire l’abbozzo di una narrazione storica che, nel progetto ideativo originario, doveva contribuire a conferire forza e valore giuridico alla documentazione raccolta, a trasformare in sintesi l’opera che si andava componendo in un « lieu de rencontre du droit et de l’histoire » 108,
facendola divenire non solo strumento funzionale alla salva106. O. CAPITANI, Motivi e momenti cit. (nota 73), pp. 765-766.
107. P. DELOGU, I monaci e le origini di San Vincenzo al Volturno, in P. DELOGU - R.
HODGES - J. MITCHELL, San Vincenzo al Volturno. La nascita di una città monastica, Roma, 1996, pp. 45-61, qui citata p. 47.
108. GENET, Cartulaires, registres et histoire cit. (nota 53), p. 128; cfr. inoltre GUENÉE,
Storia e cultura storica cit. (nota 54), p. 44.
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
767
guardia della memoria documentale dell’ente ma anche traccia
indelebile delle sue prerogative e della sua storia, come scrive
anche Giovanna Nicolaj: « Viene in mente poi l’idea che nei
famosi cartulari con cronaca del XII secolo, se il cartulario ha
un fine probatorio (di prova scritta), la cronaca annessa abbia
anch’essa un fine probatorio (di testimonianza messa per iscritto), e che le due prove, documentaria e testimoniale, si rafforzino reciprocamente » 109.
In quest’ottica generale, la raccolta di atti pubblici e di regesti di donazioni che segue immediatamente la parte biografica
conferma il valore di strumento materiale di conservazione e
utilizzo, per fini pratici o giuridici, che assume la documentazione. Conservazione e utilizzo che potevano essere resi possibili solo da una composizione organica e facilmente consultabile all’uso, come effettivamente suggerisce l’organizzazione degli
instrumenta copiati all’interno del cartulario, prima secondo l’indice e poi secondo una loro suddivisione territoriale.
Ma vi è almeno un altro dato emerso dall’analisi che va
messo in rilievo. L’anonimo autore del Liber instrumentorum,
commissionato da Trasmondo in un preciso momento storico e
quindi con chiare esigenze e finalità, si colloca appieno nel medesimo contesto culturale di produzione delle cronache di San
Vincenzo, San Clemente o San Bartolomeo; se con il Toubert
escludiamo improbabili filiazioni o influenze dirette fra le opere 110, dobbiamo riscontare come le analogie tematiche e formali
evidenti fra le diverse composizioni siano piuttosto riconducibili a momenti significativi delle vicende dei singoli enti ecclesiastici, nell’ambito certamente di una più ampia e omogenea cultura dell’area centro-merdionale di questo periodo 111: le compilazioni di cronache-cartulario, cioè, vengono sempre avviate
quando si avverte come necessaria la difesa della propria fonda109. NICOLAJ, Lezioni di diplomatica cit. (nota 56), pp. 87-88.
110. Cfr. TOUBERT, Le structures du Latium médiéval cit. (nota 54), p. 83. Cfr. anche
ARNALDI, Cronache con documenti cit. (nota 54), p. 356.
111. Soffermandosi in particolare sui rapporti tra la produzione dei codici di San
Sofia, San Vincenzo al Volturno e Sant’Angelo in Formis Chiara Di Fruscia sottolinea
come risulti « difficile ipotizzare un tentativo di emulazione tra le opere anche alla
luce del fatto che esse furono prodotte quasi contemporaneamente [...] Eppure esistono caratteri formali che le accomunano [...] e che possono essere spiegati con
l’influenza della cultura benevantano-cassinese. », DI FRUSCIA, Storiografia per immagini
cit. (nota 92), p. 123.
768
LORENZA IANNACCI
zione monastica, della quale si esaltano le mitiche origini e si
ripercorre l’evoluzione storica, e dunque documentale 112.
Significativa in questo senso, nel nostro libellus, appare la
scelta di aprire l’opera con la biografia, tratteggiata in toni encomiastici, del priore Giovanni: non potendo vantare origini illustri o mitologiche, il compilatore ha identificato l’opera del
priore “ri-fondatore” come il punto di avvio della fortuna e
della ricchezza di San Salvatore, della sua influenza territoriale e
della sua espansione patrimoniale 113. Una committenza matura e
consapevole, dunque, che tuttavia non ebbe a disposizione i
mezzi materiali e i fondi per completare l’opera avviata.
La conferma dell’importanza del piccolo libellus risiede anche
nel reiterato utilizzo che all’interno del monastero se ne fece anche successivamente e nei numerosi rimaneggiamenti avvenuti a
distanza di anni. Esso infatti dovette costituire ancora uno strumento fondamentale per attestare i possedimenti e le prerogative
del monastero, se a distanza di circa vent’anni venne utilizzato per
la stesura degli inventari. In particolare la redazione inventariale
del 1220 si colloca in un preciso momento storico di ritorno all’ordine e di parziale ripresa della produzione documentaria, conseguente al breve momento di stabilità attraversato dalle regioni
del Regno di Sicilia con l’arrivo in Italia di Federico II 114. In una
fase di rinnovata certezza del diritto, il censier di San Salvatore,
esempio di fonte descrittiva e ricognitiva 115, esprime l’esigenza
non più di certificare delle prerogative ma di riorganizzare il
112. A titolo esemplificativo si vedano: per San Clemente a Casauria PRATESI, Il
Chronicon casauriense cit. (nota 71), in particolare p. 9 e per San Bartolomeo di
Carpineto, ALEXANDRI MONACHI Chronicorum, ed. cit. (nota 11), p. XVIII.
113. D’altronde anche le scelte iconografiche adottate, sia per quanto concerne
l’illustrazione dei priori (f. 1v) sia per la raffigurazione dell’abate Trasmondo in apertura della bolla pontificia (f. 4r), appaiono concettualmente coerenti con quanto avviene nelle altre cronache-cartulario dove « gli apparati illustrativi, dominati dalle
reiterate scene di consegna dei diplomi, inglobano le icone abbaziali secondo la formula iconografica attestata per la prima volta nel Catalogo del Frammento Sabatini e
ripresa non solo nel Chronicon di Giovanni, dove essa assume chiaro valore di riappropriazione della gloriosa tradizione autoctona attraverso la celebrazione degli abati,
ma anche nel Chronicon di San Clemente a Casauria », OROFINO, La decorazione cit.
(nota 92), qui citata p. 42.
114. Cfr. FELLER, Casaux et castra cit. (nota 1), p. 150, nota 7.
115. Per una panoramica sul genere degli inventari si vedano, a titolo esemplificativo: R. FOSSIER, Polyptyques et censiers, Turnhout, 1978 (Typologie des sources du
IL LIBER INSTRUMENTORUM DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE
769
quadro della proprietà fondiaria 116, già acquisita e probata dalla
documentazione trascritta all’interno del cartulario.
LORENZA IANNACCI
Moyen Âge occidental, 28); Inventari altomedievali di terre, coloni e redditi, a cura di A.
CASTAGNETTI - M. LUZZATI - G. PASQUALI - A. VASINA, Roma, 1979.
116. A questo proposito sarebbe interessante approfondire, ad esempio, alcune caratteristiche formali dell’inventario, come il giuramento dei sottoposti cui ricorse l’abate Rainaldo (quosdam de colle Sancti Pancratii, et de omnibus castellis, in quibus ecclesia
possessiones habebat, ad sancta Dei Evangelia iurare fecimus, ut falsa reticerent et vera loquerentur), se per un costume abbastanza diffuso [cfr. SENNIS, ‘Omnia tollit’ cit. (nota
77), qui in particolare p.125] o in conseguenza dell’ « irrigidimento indiscutibile del
corsetto giuridico » già alla fine del XIII secolo, soprattutto in paesi d’antica tradizione notarile come l’Italia, l’Avergna e l’Aquitania, per cui si v. FOSSIER, Polyptyques
cit. (nota 114), p. 46.
ABSTRACT: The main subject of the contribution « Il Liber instrumentorum di
San Salvatore a Maiella » is the cartulary of the Abruzzi monastery of San
Salvatore a Maiella, written between XIIth and XIIIth century, and now
stored in the Vatican Apostolic Library.
The manuscript is a very important source in the sector of medieval
Abruzzi documentation, and it has recently become the object of a renewed
interest of scholars, after the eighteenth – century transcription carried out by
the erudite Antonio Martinetti. It represents indeed an interesting historical
account useful for the comprehension of the monastery’s affairs and of the
regional ground, like Laurent Feller underlined in his studies.
Moreover the cartulary has recently been drawn (even if there are many
material and content differences) to the well known “chronicles-cartulary”
realised between XIth and XIIth century in the area of interest of Benedectine
monasteries in the Italy South - Centre region.
So the purpose of this contribution is to analyse the cartulary in a more
exhaustive way and from different viewpoints (historical, paleographic,
diplomatistic, codicological and stylistic), in order to try to understand the
meanings connected to the context of production and the reasons which
brought to its composition.
Besides it has been tried to understand similarities and differences between
the codex and the well known “chronicles-cartularies” from the South Centre area, above all the Chronicon casauriense.
Furthermore, this study wants to be an introductive but necessary approach
for a conclusive and updated edition of the San Salvatore monastery Liber
instrumentorum.
bianca