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I PRODROMI DELLA LEX PAPIA POPPAEA: LA PROPAGANDA DEMOGRAFICA DI AUGUSTO IN CASSIO DIONE LVI, 2-9 Ida Mastrorosa Secondo la testimonianza offerta da Cassio Dione, ma non suffragata da ulteriori fonti, a seguito della richiesta di abrogazione della Lex Iulia de maritandis ordinibus1 avanzata fra vibrate proteste dai cavalieri nel 9 d.C., convocati nel foro i cittadini celibi e senza figli nonché quelli sposati e con prole, Augusto avrebbe indirizzato a tutti i presenti un discorso articolato in due sezioni contrapposte ma specularmente concepite a sostegno delle nozze e dell’incremento della natalità. Ricostruito dallo storico nei capitoli iniziali del LVI libro della sua opera e sovente reputato dagli studiosi pressoché fittizio2, esso presen1 Sul provvedimento varato da Augusto nel 18 a.C., inteso a reprimere il celibato per gli uomini nella fascia d’età compresa fra i 25 ed i 60 anni e per le donne fra i 20 ed i 50 (cfr. ULP. Tit. XVI, 1), documentato da SUET. Aug. XXXIV, 1-2, peraltro utile a testimoniare il clima di protesta che dovette accompagnarne l’applicazione nel corso del tempo (... prae tumultu recusantium perferre non potuit nisi adempta demum lenitave parte poenarum et vacatione trienni data auctisque praemiis); CASS. DIO LIV, 16, 1-2; LV, 2, 6, oltre a JÖRS (1894) 1985; cfr. soprattutto ASTOLFI 19953, 1-21. Per un inquadramento complessivo delle misure legislative augustee in campo matrimoniale, oltre ad un contributo ancora significativo in chiave storico-sociale di CALDERINI 1939, si può utilmente ricorrere a CSILLAG 1976; RADITSA 1980; GALINSKY 1981; WALLACE-HADRILL 1981; ANDRÉ 1986; MCGINN 1998, 70-139; MCGINN 2002. 2 Che il contenuto del discorso sia da attribuirsi a Cassio Dione più che ad Augusto era già sostenuto da JÖRS (1894) 1985, 53; per tale posizione prevalentemente condivisa dagli studiosi (cfr. e. g. MARTINELLI 1990, 413-415, ove il discorso non figura nella rassegna ricavata dall’opera dionea) sembra propendere da ultimo SWAN 2004, 227 secondo cui lo storico, essendo a conoscenza della ripresa da parte del principe, in occasione della proposta della Lex Iulia de maritandis ordinibus, dell’orazione de prole augenda di Q. C. Metello ne avrebbe tratto ispirazione per mettere a punto il discorso attribuitogli nei primi capitoli del libro LVI, concedendosi evidentemente una libertà cronologica analoga a quella adottata per il dialogo di Cornelio Cinna (CASS. DIO LV, 14, 1-22, 2), posto che LIV. Per. LIX autorizza a ritenere che la recitatio augustea del discorso di Metello sia avvenuta in occasione del dibattito connesso appunto alla sopra ricordata proposta del 18 a.C. e non a quella della Lex Papia Poppaea del 9 d.C. In tale direzione, va inoltre registrato che sulla scia di MALCOVATI (1928) 19695, XXXIX il testo dell’orazione augustea riportato da CASS. DIO LVI, 2-9 è considerato fittizio e pertanto escluso dalla recente raccolta degli atti e delle opere del principe curata da DE 282 Ida Mastrorosa ta cionondimeno spunti argomentativi che meritano di essere riconsiderati per tentare di far luce sul clima entro cui maturò la proposta della Lex Papia Poppaea da parte dei consoli suffeti Marco Papio Mutilo e Quinto Poppeo Secondo, vale a dire per verificare se ulteriori fattori contingenti oltre a istanze di carattere morale e patrimoniale influenzarono dopo quasi un trentennio dai primi interventi la ripresa di nuove misure di legislazione matrimoniale e, in ultima istanza, per interrogarsi sul significato che in età severiana, per un autore pur incline a introdurre pezzi retorici per dar voce a riflessioni di argomento vario3, poteva avere la riproposizione in chiave più o meno rielaborata di un’orazione incentrata sulla valenza civica delle nozze e su problemi di ordine demografico, che non possiamo comunque escludere sia stata in qualsivoglia forma pronunciata da Augusto, peraltro celebrato per le sue doti di eloquenza coltivate fin dalla prima giovinezza4. BIASI - FERRERO 2003, 54, n. 178. A favore della tesi di un’orazione augustea si è espresso di recente SPAGNUOLO VIGORITA 20022, 69 e n. 301 secondo cui è credibile che nella primavera del 9 d.C. il principe avesse rivolto ai cittadini un discorso del quale non siamo in grado di leggere il testo bensì la rielaborazione costruita da Cassio Dione «su un ordito augusteo», vale a dire sulla scorta del testo originale che tuttavia non era pubblicato o almeno non circolante ai tempi dello storico severiano, posto che «gli storici antichi evitavano di rielaborare discorsi pubblicati e facilmente accessibili»; in quest’ottica, lo studioso non tralascia giustamente di sottolineare la presenza nel discorso di «temi cari al principe». 3 Sui contenuti e le finalità dei discorsi inseriti dallo storico nella sua opera, il più celebre dei quali – come è noto – ospita il dibattito fra Agrippa e Mecenate sulla migliore forma di governo (CASS. DIO LII, 2-40), oltre VAN STEKELENBURG 1971, si vedano MILLAR 1961, 14-15 secondo cui sarebbero legati al bisogno di esprimere retoricamente argomentazioni di carattere morale; MILLAR, 1964, 83 stando al quale non contribuiscono alla conoscenza storica ma rivelano la mentalità di un senatore che scrive sotto i Severi; nonché GABBA 1955, 312 ss.; GIUA 1983, 446 per cui costituiscono un luogo privilegiato dallo storico per esprimere le proprie opinioni; GABBA 1984, 70-71. Per una rassegna sui temi oggetto delle orazioni presenti nell’opera dionea cfr. inoltre MARTINELLI 1990. 4 Avviato fin dall’età giovanile allo studio dell’ars dicendi da Cesare (CASS. DIO XLV, 2, 7), Augusto avrebbe avuto l’abitudine di esercitarsi a declamare anche durante circostanze di guerra, di non parlare mai né al senato né al popolo né ai soldati senza aver approntato un testo per iscritto, di ricorrere alla lettura per scongiurare il rischio di vuoti di memoria, e perfino ad appunti presi in precedenza per evitare di dilungarsi troppo secondo quanto attestato da SUET. Aug. LXXXIV, 1-2 la cui testimonianza lascia altresì intendere che talora usasse rivolgersi direttamente al popolo. Dobbiamo inoltre al biografo (SUET. Aug. LXXXIX, 2) un’interessante notizia sulla sua abitudine I prodromi della Lex Papia Poppaea 283 In via preliminare, a fronte della difficoltà di verificare entro quali limiti la ricostruzione dionea fosse debitrice di notizie di matrice documentaria5 relative ad un discorso realmente tenuto dal principe nel 9 d.C., occorre ricordare l’esistenza di una tradizione annalistica, ripresa dall’estensore delle epitomi liviane6, stando a cui già nel 18 a.C. all’atto di occuparsi della questione del matrimonio tra esponenti di classi sociali diverse egli avrebbe dato lettura in senato dell’orazione nel 131 a.C. pronunciata dal censore Quinto Cecilio Metello Macedonico a favore del decreto con cui obbligava gli uomini a sposarsi ed avere figli7. Notizia analoga ma più puntuale può trarsi dalla biografia augustea di Svetonio stando al quale in tale circostanza anteriore l’imperatore non si sarebbe limitato a far leggere per intero in senato l’intervento di Metello de prole augenda, insieme a quello di Rutilio Rufo de modis aedificiorum, ma ne avrebbe altresì promosso la diffusione attraverso un editto con l’intento di convincere l’uditorio dell’interesse ormai da tempo riservato agli argomenti in essi trattati8. Due testimonianze preziose, che di ricavare dalla lettura di autori in lingua greca oltre che latina esempi ed insegnamenti utili per la condotta politica e privata, nonché estratti da inviare a congiunti o capi militari perché ne traessero insegnamento; sulle testimonianze concernenti i suoi interventi oratori si veda soprattutto BARDON 19682, 25-28. 5 Sebbene sia impossibile identificare le fonti da cui Cassio Dione potrebbe aver tratto materiali per la rielaborazione del discorso augusteo qui esaminato, in linea generale va sottolineato che contro la tesi di MILLAR 1964, 37; 173, l’uso di documenti ufficiali riscontrati in archivio, ovvero il ricorso ad acta publica e ricognizioni nelle raccolte senatorie o imperiali per le sezioni relative a vicende contemporanee allo storico è stato dimostrato da LETTA 1979, 139-148; quanto alla consultazione di materiale documentario concernente invece periodi più remoti si veda LETTA 2003; con particolare riferimento ai libri augustei (LII-LVI) cfr. soprattutto MILLAR 1964, 91-92 secondo cui Dione non avrebbe seguito una fonte esclusiva ma sarebbe ricorso pure a fonti non annalistiche; SWAN 1987; SWAN 1997 che, con riguardo agli ultimi, privilegia la tesi di una composizione fondata su fonti annalistiche. 6 Cfr. LIV. Per. LIX: Q. Metellus censor censuit ut cogerentur omnes ducere uxores liberorum creandorum causa. Extat oratio eius, quam Augustus Caesar, cum de maritandis ordinibus ageret, velut in haec tempora scriptam in senatu recitavit. 7 Figura di spicco dell’opposizione oligarchica antiscipionica, Quinto Cecilio Metello Macedonico fu noto ai suoi tempi per grandi doti oratorie (CIC. Brut. 81); sul personaggio, che secondo PLIN. VII, 59 avrebbe lasciato alla sua morte 6 figli, 11 nipoti, e 27 persone fra nuore, generi e quanti si rivolgevano a lui con l’appellativo di padre, nonché sulla sua orazione contro il celibato e in favore dell’incremento demografico cfr. ERLER - VON UNGERN-STERNBERG 1987. 8 SUET. Aug. LXXXIX, 2: Etiam libros totos et senatui recitavit et populo notos per 284 Ida Mastrorosa però non forniscono stralci del contenuto preciso dell’orazione apprezzata da Augusto alcuni lustri prima dell’episodio ricordato da Cassio Dione, per i quali si può tuttavia far riferimento alla tradizione antiquaria, ammettendo che siano in ultima istanza da ascriversi al Metello censore del 131 a.C. i due frammenti del testo da Gellio tuttavia attribuiti a Metello Numidico (Noct. Att. I, 6, 1). Tralasciando in questa sede i problemi di tale controversa identificazione, foriera di dibattito ancora di recente9, dall’estratto del discorso trasmesso si evince fra l’altro una disillusa ammissione sulla fastidiosa convivenza con la donna implicita nel vincolo coniugale e purtuttavia imprescindibile10: un’osservazione criticata dai partecipanti alla discussione ripresa nel resoconto gelliano ma elogiata dal retore Tito Castricio11, pronto ad evidenziare la franchezza ed il realismo con cui Metello aveva rilevato i limiti delle nozze esprimendo considerazioni da tutti condivise, meritandosi la fiducia dell’uditorio e preparandolo, dunque, nel modo migliore a concordare sulla essenzialità del matrimonio per la sussistenza dello stato: De molestia igitur cunctis hominibus notissima confessus eaque confessione fidem sedulitatis veritatisque commeritus, tum denique facile et procliviter, quod fuit rerum omnium validissimum atque verissimum, persuasit civitatem salvam esse sine matrimoniorum frequentia non posse (Noct. Att. I, 6, 6). Ciò detto, che la strategia adottata dal censore del 131 a.C., evidentemente condivisa da Augusto già al momento della proedictum saepe fecit, ut orationes Q. Metelli de prole augenda ... quo magis persuaderet utramque rem non a se primo animadversam sed antiquis iam tunc curae fuisse. 9 Contro l’ipotesi che si tratti di un semplice errore commesso da Gellio, sostanzialmente abbracciata da HOLFORD-STREVENS 1988, 228 ss. si è espresso con buone argomentazioni MCDONNELL 1987, nonché sulla stessa linea BADIAN 1997. 10 GELL. I, 6, 1-2: Multis et eruditis viris audientibus legebatur oratio Metelli Numidici… quam in censura dixit ad populum de ducendis uxoribus, cum eum ad matrimonia capessenda hortaretur. In ea oratione ita scriptum fuit: Si sine uxore possemus, Quirites, omnes ea molestia careremus sed quoniam ita natura tradidit, ut nec cum illis satis commode, nec sine illis ullo modo vivi possit, saluti perpetuae potius quam brevi voluptati consulendum est. 11 GELL. I, 6, 3-4: Videbatur quibusdam Q. Metellum censorem, cui consilium esset ad uxores ducendas populum hortari, non oportuisse de molestia incommodisque perpetuis rei uxoriae confiteri… Titus autem Castricius recte atque condigne Metellum esse locutum existimabat. I prodromi della Lex Papia Poppaea 285 mozione della recitatio del discorso nel 18 a.C., possa poi aver fornito al principe lo spunto per un proprio intervento autonomo nel 9 d.C. pare in linea di principio almeno ipotizzabile alla luce di un riscontro ricavabile dalla ricostruzione più tardi fornitane dallo storico bitinico secondo cui l’imperatore non avrebbe esitato ad ammettere angustie e fastidi impliciti nelle nozze (CASS. DIO LVI, 8, 2-3)12. Il rilievo, riconducibile ad uno dei due frammenti trasmessi in Noct. Att. I, 6, avrebbe trovato spazio nelle battute finali di un ragionamento sostanzialmente incentrato sulla ripetuta messa a fuoco della dimensione civica del vincolo nuziale, recepita dal testo di Metello in una prospettiva non dissimile da quella suggerita dal dotto interlocutore intervenuto nella disputa intorno ad esso accesasi secondo Gellio nel II secolo d.C., ma d’altro canto finalizzato – per quanto qui interessa – a prospettare a più riprese le minacciose conseguenze che il decremento delle nascite rischiava di recare anche alla durata stabile del predominio romano, evocate fin dal principio del resoconto dioneo. In particolare, è eloquente l’elogio che l’imperatore avrebbe innanzitutto riservato alla schiera dei coniugati, interpretando la loro scelta di non sottrarsi alle nozze come un atto di obbedienza civica ispirato ai bisogni della patria (uJma'" ejpainw' ... o{ti kai; ejpeivsqhte kai; th;n patrivda sumplhquvete), legato ai più antichi costumi che, proprio grazie al matrimonio e alla discendenza assicurata dalla procreazione all’interno di esso, consentirono ai Romani, originariamente poco numerosi, di superare gli altri popoli non soltanto per l’abbondanza di uomini di valore ma anche grazie alla propria consistenza numerica: e[peita gavmwn ejpimelhqevnte" kai; tevkna poihsavmenoi pavnta" ajnqpwvpou" oujk eujandriva/ movnon ajlla; kai; poluanqrwpiva/ uJperevfumen (CASS. DIO LVI, 2, 2). Del resto, ancora in quest’ottica, nel prosieguo del messaggio di apprezzamento rivolto al primo gruppo, arricchito da stilemi narrativi non necessariamente ascrivibili alla rielaborazione dionea13, dopo aver riconosciuto in chiave pri12 Per una posizione diversa si veda MILLAR 1964, 101 secondo cui nulla sembra indicare che il discorso di Augusto fosse “modelled” su quello del censore. 13 Non possiamo escludere, in linea di principio, che il ricorso alla metafora delle fiaccole usate in gara per rappresentare il perpetuarsi delle generazioni necessario per 286 Ida Mastrorosa vata un punto cardine del vincolo nuziale nella capacità di assicurare la trasmissione ereditaria di valori e beni patrimoniali (CASS. DIO LVI, 3, 2), quindi messo a punto un vero e proprio elogio della figura femminile celebrandone il ruolo di amministratrice, compagna e nutrice dei figli (CASS. DIO LVI, 3, 3) e, d’altra parte, identificato nell’atto procreativo la garanzia primaria di una discendenza imperitura (CASS. DIO LVI, 3, 4-5), irrinunciabile nella prospettiva del modello gentilizio peculiare della società romana, tornando a considerare i vantaggi assicurati dal matrimonio sul piano pubblico, secondo il dettato dello storico bitinico Augusto avrebbe ulteriormente insistito sulla opportunità e la necessità di ricavarne, nella dimensione del vivere consociato comunque contrassegnato dal dominio romano, un numero di uomini sufficiente per l’esercizio delle attività lavorative in tempo di pace e per la difesa dei propri beni in circostanze di guerra: tw'/ de; dh; koinw'/, ... pw'" me;n ouj kalo;n pw'" d j oujk ajnagkai'on, ei[per ai{ te povlei" kai; oiJ dh'moi e[sontai kai; uJmei'" te eJtevrwn a[rxete kai; oiJ a[lloi uJmi'n uJpakouvsousi, poluplhqiva e[n te eijrhvnh/ gh'n ejrgavsasqai kai; nautiliva" nautivlasqai tevcna" te ajskh'sai kai; dhmiourgiva" ejpithdeu'sai, kai; ejn polevmw/ tav te o[nta proqumovteron dia; ta; gevnh sw'sai kai; ajnti; tw'n ajpollumevnwn eJtevrou" ajntikatasth'sai… (CASS. DIO LVI, 3, 6-7). Una visione improntata ad una scala di valori non diversi da quella che qualche anno prima Dionigi d’Alicarnasso mostrava di condividere nelle pagine della sua opera sulla storia di Roma arcaica, completata anche grazie al sostegno di un principe generoso nel concedergli opportunità di studio a Roma fin dal periodo immediatasuperare la mortalità della razza umana in CASS. DIO LVI, 2, 3, o ancora l’accenno all’origine divina della divisione fra i due sessi in CASS. DIO LVI, 2, 4, o infine l’uso di una metafora d’impronta medica in CASS. DIO LVI, 6, 1 potessero risalire al testo di un principe cultore delle lettere greche (GELL. X, 11, 5; XV, 7, 3), apprese da Apollodoro di Pergamo, nonché allievo di Ario Didimo (cfr. SUET. Aug. LXXXIX, 1-2) e di Atenodoro (cfr. CASS. DIO LII, 36, 4; GRIMAL 1945; 1946; ZWAENEPOEL, 1948; BARDON 19682, 10 ss.), inoltre cimentatosi nella composizione di hortationes ad philosophiam (cfr. SUET. Aug. LXXXV, 1). Per una posizione diversa cfr. invece REINHOLD-SWAN 1990, 171 secondo cui l’impronta platonico-stoica del passo risalirebbe allo storico, nonché SWAN 2004, 227 e n. 4 ove si insiste sulla disponibilità da parte di Cassio Dione di una ormai consolidata tradizione didattica sull’argomento. I prodromi della Lex Papia Poppaea 287 mente successivo ad Azio e non priva di ammirazione per il Romolo artefice di lungimiranti interventi di regolazione delle istituzioni familiari e di impostazione di una equilibrata prassi civica fondata sulle due uniche occupazioni ammissibili per gli uomini liberi, vale a dire il lavoro dei campi in tempo di pace e l’esercizio della guerra (Ant. Rom. II, 28, 2)14. Ma sulle implicazioni pubbliche della scelta delle nozze e, segnatamente, sull’obbligo di non sottrarvisi con danno della romanità – stando alle affermazioni attribuitegli dalla ricostruzione dionea – Augusto sarebbe tornato in termini ancora più espliciti soprattutto nella seconda parte del suo intervento riservata ai celibi (CASS. DIO LVI, 4-9). In tale contesto, sebbene non specificamente intenzionato – secondo le parole ascrittegli – a stigmatizzare il comportamento di costoro bensì a sottolineare ulteriormente anche per via comparativa la benemerita scelta dei coniugati, l’imperatore avrebbe negato a quanti si fossero sottratti all’impegno nuziale l’appellativo di uomini nonché quello di cittadini e di Romani15, facendo scaturire dall’abbandono sul piano fisiologico della prerogativa maschile della paternità, inusitato per i progenitori oltre che contrario al volere della provvidenza, la mancata tutela della discendenza della nazione romana, della cui estinzione a suo avviso i celibi 14 Sulle implicazioni ed il significato della sezione dedicata da Dionigi alle norme matrimoniali romulee si veda GABBA 1960, 193-194; GABBA 1996, 131-133. 15 Si veda CASS. DIO LVI, 3, 8 ove merita di essere sottolineata la prospettiva di “gender” che connota l’identificazione del ruolo maschile con la paternità adottata, sia pure in funzione negativa, pure in CASS. DIO LVI, 4, 2: w\ tiv a]n ojnomavsaimi uJma`"… a[ndra"… ajllj oujde;n ajndrw'n e[rgon parevcesqe. polivta"… ajll o{son ejf j uJmi'n, hJ povli" ajpovllutai. JRwmaivou"… ajllj ejpiceirei'te to; o[noma tou'to katalu'sai, nonché nelle battute conclusive di Augusto in CASS. DIO LVI, 9 stando alle quali, riepilogando il significato del suo intervento, il principe sarebbe tornato ad insistere sull’ideale di una comunità costantemente rinvigorita dalla stabile vigenza delle istituzioni familiari e dalla fiducia di poter contare sul contributo delle generazioni future, eleggendolo a presupposto irrinunciabile per la sua azione di governo ma anche per il ruolo da lui assolto in omaggio all’appellativo di pater la cui pienezza di significato ambiva evidentemente a condividere con quanti proprio attraverso la scelta delle nozze e la procreazione l’avrebbero meritato per sé e avrebbero mostrato di applicarlo a lui senza farne una vuota formula di adulazione. Ben oltre la possibilità di ascriverlo ad autentiche affermazioni di Augusto merita comunque di essere segnalato in tale contesto il richiamo al titolo di Pater patriae conferitogli nel 2 a.C., ricordato in Res gest. XXXV, 1, nonché da SUET. Aug. LVIII, 1 e CASS. DIO LV, 10, 10. 288 Ida Mastrorosa avrebbero dovuto esser considerati responsabili: ... oi{tine" ... ejpiqumei'te pa'n me;n tov gevno" hJmw'n ajfanivsai kai; qnhto;n o[ n tw" poih` s ai, pa' n de; to; J R wmaiv w n e[ q no" fqei' r ai kai; pau'sai. (CASS. DIO LVI, 4, 4). Costretto tuttavia a constatare il numero non esiguo di questi ultimi, disposti ad una linea di condotta palesemente opposta alla propria politica di incremento demografico, nel seguito dell’intervento, oltre a bollarne apertamente come ingiusto l’operato, in considerazione del rischio che esso potesse tradursi in un più generale incoraggiamento al ripudio del matrimonio, il principe l’avrebbe dichiaratamente giudicato passibile di una punizione conforme all’uso di reprimere anche le azioni illecite compiute da pochi (CASS. DIO LVI, 4, 6). In quest’ottica, il suo discorso avrebbe quindi progressivamente assunto una più spiccata finalità intimidatoria, evocando lo spettro di precise imputazioni addebitabili a quanti avessero evitato le nozze, vale a dire identificando nel ripudio della procreazione il compimento di un vero e proprio delitto, quindi nel disprezzo dei vincoli patriarcali in essa insito un atto sacrilego, e ancora nell’estinzione della famiglia, nel rifiuto della vita umana e nel mancato rispetto dei culti un’azione empia nei confronti degli dei e, infine, nella trasgressione delle leggi dello stato e nella decimazione derivata alla sua popolazione dal decremento delle nascite un vero e proprio tradimento della patria e delle sue più antiche istituzioni (CASS. DIO LVI, 5, 1-3). Ben oltre l’enfatizzazione in chiave paragiuridica del significato del comportamento dei celibi, in definitiva classificato come delittuoso16, il resoconto delle argomentazioni successive lascia comunque intendere che l’accentuazione in chiave pubblica degli effetti derivanti dalla loro scelta dovesse costituire un punto nodale del discorso di Augusto, in verità impegnato in primo luogo a richiamare al rispetto 16 Non può sfuggire che in CASS. DIO LVI, 5, 1-3 l’operato dei renitenti alle nozze, giudicato innanzitutto peggiore dei maggiori ajdikhvmata, sia poi valutato rubricandone singoli aspetti attraverso un lessico che richiama precise tipologie di reato (miaifonei'te; ajjnosiourgei'te; ajsebei'te; ajpolluvnte"; th;n politeivan kataluvete; th;n patrivda prodivdote) e può ritenersi un indizio della dimestichezza dello storico con la sfera del diritto: un dato d’altro canto spiegabile ove si ricordi e. g. la sua presenza in sede processuale, ricavabile da CASS. DIO LXXV, 16, 4. I prodromi della Lex Papia Poppaea 289 dei mores antiqui evocando lo sdegno che di fronte al celibato avrebbero potuto provare personaggi eroici come Romolo, capace di ricorrere al ratto delle Sabine pur di rinsaldare la consistenza numerica della comunità originaria17, nonché Curzio ed Ersilia custodi ad ogni costo del vincolo nuziale (CASS. DIO LVI, 5, 4-5), quindi ricordando le leggi introdotte a favore di esso fin dal primo sorgere delle istituzioni monarchiche (CASS. DIO LVI, 6, 4)18. Accenni significativi, certamente coerenti con la visione di un principe cultore dei modelli dell’età regia e in particolare devoto alla figura del padre fondatore, secondo quanto testimonia fra l’altro la sua decisione di risiedere sul Palatino in prossimità della leggendaria dimora romulea19 e non di meno prova il costante parallelo tra i due stabilito dagli intellettuali del tempo20; accenni, dunque, ascrivibili ad un di17 Già sottolineato da Cicerone (cfr. Rep. II, 7, 12: urbem constituit… et ad firmandam novam civitatem novum quoddam et subagreste consilium sed ad muniendas opes regni ac populi sui magni hominis et iam tum longe providentis secutus est, cum Sabinas honesto ortas loco virgines… Consualibus rapi iussit) tale aspetto sembra acquisire connotazione pregnante in età augustea: cfr. LIV. I, 9, 1-4 ove la procreazione è ritenuta consustanziale alla sopravvivenza dello stato e induce Romolo a chiedere ai Sabini di mescolarsi al sangue romano: Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatium bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent… proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere. 18 Sull’importanza del riferimento ad una legge intesa a regolare il matrimonio risalente ai primordi dello stato romano nel passo del discorso attribuito ad Augusto da Cassio Dione in relazione alle notizie ricavabili da DIONYS. HALIC. Ant. Rom. II, 24-25 richiama l’attenzione GABBA 1996, 133. 19 Testimonianza del valore simbolico della dislocazione della residenza augustea sul Palatino, vale a dire del prestigio derivante dal fatto che il colle rappresentava il luogo dell’antica sede di Romolo, si trae da CASS. DIO LIII, 16, 5; in proposito cfr. inoltre FRASCHETTI 20052, 303. 20 Oltre all’encomio di HOR. Carm. IV, 15, già cantore sul finire del I sec. a.C. dell’operato di Augusto fustigatore della licenza dei costumi e fautore del ripristino delle antiche virtù con benefiche ricadute sul prestigio del nome e della potenza romana (vv. 10-15: frena licentiae iniecit... et veteres revocavit artes, per quas Latinum nomen et Italae crevere vires, famaque et imperi porrecta maiestas...), è significativo il parallelo istituito tra il principe e Romolo da un intellettuale, invero non sempre concorde con le scelte dell’imperatore, come Ovidio comunque pronto nel II libro dei Fasti ad elogiarne la capacità di superare il modello ampliando a dismisura i confini territoriali di Roma, di prescrivere la castità delle spose anziché consentirne il rapimento, di tener fuori dalla patria i malvagi piuttosto che ammetterli nel bosco sacro, infine di promuovere le leggi in luogo dell’uso della forza: Romule concedes... te Tatius parvique Cures Caenina- 290 Ida Mastrorosa scorso realmente pronunciato da Augusto ovvero utilizzabili per sostenere che Cassio Dione possa aver ricavato il suo canovaccio da fonti informate sul contenuto di un testo che d’altro canto dovette probabilmente incentrarsi su una insistita esortazione a reputare il matrimonio e la procreazione funzionali alla difesa della patria. Ciò emerge – mi pare – dal prosieguo del resoconto dioneo, nel quale dopo osservazioni d’impronta moralistica21 analogamente conformi alla linea augustea, o quanto meno indicative della buona conoscenza che di essa ebbe lo storico bitinico, e dopo il richiamo a provvedimenti specifici, come l’abbassamento della soglia minima prevista per l’età di fidanzamento delle donne o la facoltà di matrimonio con liberte concessa agli esponenti dei ceti più elevati esclusi quelli dell’ordo senatorio al fine di regolarizzarne i rapporti di convivenza22, l’imperatore, deplorato il fallimento della sua linea di condotta, si sarebbe quindi spinto a dar voce ai rischi connessi al decremento della natalità, fino a paventare l’estinzione del nome romano e l’ipotesi della caduta della città nelle mani di stranieri, greci o barbari che fossero: ouj mh;n oujd j o{sion h] kai; kalw'" e[con ejsti; to; me;n hJmevteron gevno" pauvsasqai kai; to; o[noma to; JRwmaivwn ejn hJmi'n ajposbh'nai, a[lloi" dev tisin ajnqrwvpoi" {Ellhsin h] que sensit, hoc duce Romanum est solis utrumque latus; tu breve nescioquid victae telluris habebas, quodcumque est alto sub Iove Caesar habet. Tu rapis, hic castas duce se iubet esse maritas; tu recipis luco, reppulit ille nefas; vis tibi grata fuit, florent sub Caesare leges... (vv. 133-141). 21 È indicativo il parallelo che a fine intimidatorio secondo CASS. DIO LVI, 5, 7 Augusto avrebbe stabilito tra il rifiuto delle nozze da parte dei celibi e la scelta delle Vestali, ricordando ai primi che con la loro decisione, ammissibile solo ove finalizzata al rispetto della castità, si sarebbero resi passibili delle medesime punizioni previste per le sacerdotesse che avessero violato l’analogo obbligo: un accostamento che, al di là del fine argomentativo, corrisponde comunque alla grande attenzione riservata dal principe al culto di Vesta, cui aveva consacrato nel 12 a.C. parte della sua casa (cfr. FRASCHETTI 20052, 308-323) e alle sue sacerdotesse, destinatarie di particolari concessioni (cfr. SUET. Aug. XXXI, 3). Conforme alla campagna moralizzatrice portata avanti da Augusto con la Lex Iulia de adulteriis appare anche il giudizio di riprovazione dal principe espresso in CASS. DIO LVI, 6, 6 - 7, 1 a proposito della scelta dei celibi, a suo avviso dettata non dal desiderio di condurre una vita tranquilla, priva di obblighi familiari, né dal gusto della solitudine bensì dall’intento di concedersi maggiore libertà e opportunità di trasgressioni in campo amoroso. 22 Si veda CASS. DIO LVI, 7, 2, nonché LIV, 16, 2 e in merito HUMBERT 1990, 190; MCGINN 2004. I prodromi della Lex Papia Poppaea 291 kai; barbavroi" th;n povlin ejkdoqh'nai (CASS. DIO LVI, 7, 5). Una osservazione emblematica, nella quale possiamo innanzitutto escludere che si riflettessero preoccupazioni per il rischio di una contaminazione del sangue romano, per altro verso da taluni ascritte al principe sulla base di un noto passo della biografia dedicatagli da Svetonio secondo cui Augusto sarebbe stato fermamente convinto dell’opportunità di mantenere il popolo romano puro e incorrotto da qualsiasi mescolanza di sangue straniero e servile sicché, in nome di tale rischio, avrebbe con parsimonia concesso la cittadinanza, posto un limite alle manomissioni e, più in generale, operato attivamente per evitare di sminuire la dignità della civitas romana23. Trascurando di esaminare osservazioni e puntualizzazioni avanzate su quest’ultimo passo24, per la cui valutazione non va comunque tralasciata un’ulteriore notizia fornita dal medesimo biografo stando a cui l’imperatore sarebbe stato d’altro canto prodigo nella concessione della cittadinanza latina o romana alle città che potevano vantare benemerenze verso il popolo romano (Aug. XLVII, 2), basterà considerare il seguito del resoconto dioneo per mettere a fuoco la reale natura dell’argomentazione attribuita dallo storico bitinico ad Augusto, non a caso connessa ad una lucida constatazione dell’effetto opposto sortito dal decremento delle nascite rispetto al fine perseguito con la concessione della libertà agli schiavi e la partecipazione al governo dello stato degli alleati: h] tou;" me;n douvlou" di j aujto; tou'to mavlista, ejleuqerou'men o{pw" wJ" pleivstou" ejx aujtw'n polivta" poiwvmeqa, toi'" te summavcoi" th'" politeiva" metadivdomen o{pw" plhquvwmen (CASS. DIO LVI, 7, 6). In altri termini, l’ordito complessivo della ricostruzione consente di ipotizzare che con la sua esortazione a incrementare la natalità dei cives romani per scongiurare il rischio di una superiorità numerica degli stranieri il principe intendesse 23 Cfr. SUET. Aug. XL, 3: Magni praeterea existimans sincerum atque ab omni colluvione pergerini ac servilis sanguinis incorruptum servare populum, ut civitates Romanas parcissime dedit et manumittendi modum terminavit... civitatem negavit... affirmans facilius se passurum fisco detrahi aliquid, quam civitatis Romanae vulgari honorem.. 24 Sul passo si vedano le puntualizzazioni di COGROSSI 1979; THOMPSON 1981; BRADLEY 1987, 87 ss.; 148-149; GIARDINA 1997, 68. 292 Ida Mastrorosa esprimere non già l’esigenza di preservare la purezza della razza, in verità estranea ai costumi di un popolo fin dai primordi romulei aperto all’accoglienza25, quanto piuttosto il bisogno di assicurarsi una stabilità demografica necessaria per mantenere un ruolo dominante all’interno di un organismo sempre più sovranazionale, sia sul piano territoriale che per effetto di una pragmatica amplificazione del corpo civico ottenuta integrando a vario titolo schiavi e alleati nella res publica. In quest’ottica, adatta pure per comprendere la raccomandazione, invero pressoché analoga a quella tramandata da Svetonio (Aug. XL, 3), che secondo Cassio Dione Augusto avrebbe indirizzato a Tiberio nel suo testamento, consigliandogli di non liberare un elevato numero di schiavi per non favorire la presenza a Roma di una folla variegata di popoli e di non largheggiare nella concessione della cittadinanza per mantenere una chiara differenza tra Romani e popoli assoggettati26, possono forse intendersi anche le critiche dall’imperatore mosse nel seguito del suo discorso contro il disinteresse a preservare la sopravvivenza della propria stirpe di cui i membri delle gentes di più antica tradizione, quali Marcii, Fabii, Valerii, Iulii, avrebbero dato prova con la scelta del celibato (CASS. DIO LVI, 7, 6): pericolosa per la tenuta del sistema gentilizio, essa poteva d’altro canto apparire più in generale rischiosa in una fase storica in cui l’integrazione di realtà etniche diverse andava acquisendo i caratteri di un fenomeno inarrestabile e l’alterazione degli equilibri del tessuto demografico avrebbe potuto mettere a repentaglio la capacità dei Romani di mantenere una posizione di egemonia, di controllo cioè e difesa delle istituzioni, secondo quanto induce a ritenere una battuta successiva del discorso ascritto ad Augusto nel dettato dioneo, per altro verso utile a sottoli25 Basti ricordare l’istituzione dell’asilo attestata da LIV. I, 8, 5-6; DIONYS. HAL. Ant. Rom. II, 15, 3-4; PLUT. Rom. IX, 3; ma sull’apertura che connota la mentalità romana anche nei secoli successivi cfr. pure LIV. IV, 3; nonché il noto passo di TAC. Ann. XI, 24 ove Claudio non esita a celebrare tale linea di condotta; in proposito oltre a WALBANK 1972, si vedano GIARDINA 2000a; MARTIN 2001. 26 Cfr. CASS. DIO LVI, 33, 3: ejpiskhvyei" tw/' Tiberivw/ kai; tw'/ koinw'/, a[lla" te kai; o{pw" mhvt j ajpeleuqerw'si pollouv", i{na mh; pantodapou' o[clou th;n povlin plhrwvswsi, mhvt j au\ ej" th;n politeivan sucnou;" ejsgravfwsin, i{na polu; to; diavforon aujtoi'" pro;" tou;" uJphkovou" h/\. I prodromi della Lex Papia Poppaea 293 neare come accanto alla diminuzione delle nascite pesasse l’aumento del numero di morti per malattie e guerra: logivsasqe h[dh pote; o{ti ajduvnatovn ejsti, pollw'n me;n ejn tai'" novsoi" pollw' n de; kai; ej n toi' " polev m oi" eJ k av s tote teleutwvntwn, swqh'nai th;n povlin, a]n mh; to; plh'qo" aujth'" ejk tw'n ajei; ejpigignomevnwn ajnaplhrw'tai (CASS. DIO LVI, 8, 1). Ben oltre la percezione di un processo di trasformazione dell’identità romana ormai in atto, nella quale si sarebbe indotti a cogliere innanzitutto il riflesso della realtà posta sotto gli occhi di Cassio Dione fra la fine del II ed il principio del III secolo d.C., se non vi fossero tuttavia testimonianze idonee a documentare una anteriore presa di coscienza al riguardo27, tali osservazioni tradiscono la consapevolezza del legame robusto e per certi versi osmotico ormai stabilitosi tra andamento demografico ed eventi bellici. Quanto questi ultimi pesassero sulla consistenza numerica della popolazione era emerso alla fine dell’età repubblicana, epoca in cui la decimazione prodottasi per effetto delle guerre civili sarebbe stata tangibile nonché confermata dai censimenti promossi da Cesare, peraltro adoperatosi mediante l’istituzione di premi a favore delle famiglie numerose (CASS. DIO XLIII, 25, 2) e con ulteriori interventi finalizzati a tenere alto il livello della popolazione (SUET. Iul. XLII). Ma l’effetto delle operazioni belliche sul piano demografico dovette risultare del tutto palese ad Augusto proprio nell’anno in cui secondo lo storico bitinico sarebbe intervenuto con il suo discorso a favore delle nozze e della procreazione: come è noto nel 9 d.C., dopo le difficili campagne sul fronte dalmatico e pannonico che costarono la vita a cittadini romani, a mercanti, oltre che a un gran numero di veterani e resero inoltre necessario imporre ad uomini e donne in base al censo di fornire per l’arruolamento anche i liberti, provocando perfino il timore che il nemico giungesse a Roma28, la terri27 Suona eloquente per l’età augustea il giudizio espresso da DIONYS. HAL. Ant. Rom. IV, 24, 4-8. Sull’atteggiamento dei Romani nei confronti degli stranieri oltre a SADDINGTON 1975; BALSDON 1979; DAUGE 1981; DUBUISSON 1985, fra i lavori più recenti si vedano NOY 2000, 31 ss.; TODISCO 2006. 28 Eloquenti indicazioni sulle perdite iniziali ed il clima con cui furono recepite dal principe si leggono in VELL. PATERC. II, 110, 6 - 111, 1: Oppressi cives Romani, trucidati 294 Ida Mastrorosa bile clades Variana fece registrare un pesante bilancio in termini di perdite umane (CASS. DIO LVI, 14, 2; LVI, 16, 4) che non lasciò indifferente il principe. È appena il caso di ricordare la testimonianza di Svetonio sulla sua disperata reazione alla notizia dell’immane sconfitta di Teutoburgo29, una reazione alla luce della quale si può forse intendere pure il singolare silenzio che in proposito si registra in un preciso luogo delle Res gestae30. Del resto, una percezione significativa della gravità dell’episodio si trae dalla storiografia piò o meno coeva, vale a dire da Velleio Patercolo secondo cui esso sarebbe stato secondo soltanto alla caduta di Crasso in terra partica e avrebbe provocato lo sterminio di un esercito insuperato per disciplina, forza ed esperienza militare31. Quanto la clamorosa sconfitta di Varo, comunque destinata a colpire la memoria storica romana32, avesse impressionato il principe lo si ricava anche negotiatores, magnus vexillariorum numerus... quin etiam tantus huius belli metus fuit ut stabilem illum et firmatum tantorum bellorum experientia Caesaris Augusti animum quateret atque terreret. Habiti itaque dilectus, revocati undique et omnes veterani, viri feminaeque ex censu libertinum coactae dare militem. Audita in senatu vox principis, decimo die, ni caveretur, posse hostem in urbis Romae venire conspectum. Per ulteriori notizie sulle operazioni nell’Illirico che dal 6 al 9 d.C. videro impegnato Tiberio con quindici legioni e fecero temere l’invasione dell’Italia cfr. SUET. Tib. XVI, 2-3; CASS. DIO LV, 30, 1. 29 Cfr. SUET. Aug. XXIII, 1: graves ignominias cladesque duas omnino nec alibi quam in Germania accepit, Lollianam et Varianam, sed Lollianam maioris infamiae quam detrimenti, Varianam paene exitiabilem tribus legionibus cum duce legatisque et auxiliis omnibus caesis. Hac nuntiata excubias per urbem indixit, ne quis tumultus existeret... 30 Si veda Res gest. XXVI, 2: item Germaniam, qua includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis fluminis pacavi e in proposito CRESCI MARRONE 1993, 101 con ulteriore bibliografia ivi citata, secondo cui il silenzio sui fatti militari del 9 d.C. che avevano compromesso l’assoggettamento dell’area fra Reno ed Elba rimane clamoroso anche qualora si ipotizzi una stesura del testo anteriore a tale data, posto che pure il mancato aggiornamento possa essere indicativo della scelta di non voler acuire con un preciso riscontro l’onta subita. 31 Cfr. VELL. PATERC. II, 119, 1-2: Ordinem atrocissimae calamitatis, qua nulla post Crassi in Parthis damnum in externis gentibus gravior Romanis fuit, iustis voluminibus ut alii, ita nos conabimur exponere: nunc summa deflenda est. Exercitus omnium fortissimus, disciplina, manu experientiaque bellorum inter Romanos milites princeps... trucidatus est... 32 Per comprendere quanto fosse forte ancora a distanza di decenni l’attenzione per particolari inerenti all’episodio basti ricordare la descrizione, sia pure connotata in senso patetico, di TAC. Ann. I, 61 puntuale nel rievocare il triste spettacolo di resti umani, animali, armi presentatosi alla vista di Germanico, nell’annoverare la fine dei tribuni e dei centurioni sgozzati nei boschi presso gli altari dei barbari, nonché il ricordo dei superstiti; nella medesima direzione cfr. inoltre FLOR. II, 36. I prodromi della Lex Papia Poppaea 295 da talune precisazioni da Cassio Dione genericamente ascritte alla notizia di taluni secondo cui Augusto, appresi i fatti, si sarebbe strappato le vesti e sarebbe stato colto da grande sgomento per le vite perse ma anche per la preoccupazione di ripercussioni in Gallia e Germania, intimorito dall’eventualità che i barbari marciassero contro l’Italia e Roma, soprattutto in considerazione della mancanza di cittadini in età di arruolamento sui quali poter contare e dell’indisponibilità anche delle truppe alleate a causa di alcuni rovesci: w{" tinev" fasi, perierrhvxato, kai; pevnqo" mevga ejpiv te toi'" ajpolwlovsi kai; ejpi; tw'/ peri; te tw'n Germaniw'n kai; peri; tw'n Galatiw'n devei ejpoihvsato, tov te mevgiston o{ti kai; ejpi; th;n jItalivan thvn te JRwvmhn aujth;n oJrmhvsein sfa'" prosedovkhse, kai; ou[te politikhv oiJ hJlikiva ajxiovlogo" uJpelevleipto, kai; ta; summacikav, w|n ti kai; o[felo" h\n, ejkekavkwto (CASS. DIO LVI, 23, 1). Allo storico bitinico siamo inoltre debitori di puntuali riscontri sugli arruolamenti forzati cui l’imperatore sarebbe stato costretto a ricorrere per avvalersi delle poche forze rimaste e sulle preoccupazioni destate dalla presenza a Roma di un elevato numero di Galli e Germani, alcuni dei quali operanti nella guardia pretoriana, poi relegati in diverse isole o comunque costretti ad abbandonare la città per scongiurare il pericolo di un’insurrezione (CASS. DIO LVI, 23, 2-4). Preziosi per comprendere, in generale, l’effetto rovinoso prodotto dalle operazioni belliche sotto il profilo demografico, tali dati lasciano altresì emergere quali ulteriori ripercussioni potessero in ultima istanza derivare ancora in campo militare da decimazioni di tale origine, consentendoci nello specifico di mettere a fuoco le difficoltà di riorganizzazione originatesi nel 9 d.C. con la perdita di cospicui contingenti. Del resto, che gli eventi di quell’anno avessero creato un’urgenza particolare lo si ricava anche da una notizia di Svetonio secondo cui la difesa della riva sinistra del Reno sarebbe stato uno dei due soli casi in cui Augusto fece ricorso ai liberti come soldati33: una decisione 33 Cfr. SUET. Aug. XXV, 2: Libertino milite, praeterquam Romae incendiorum causa et si tumultus in graviore annona metueretur, bis usus est: semel ad praesidium coloniarum Illyricum contingentium, iterum ad tutelam ripae Rheni fluminis; sul significato del 296 Ida Mastrorosa non facile per un principe impegnato a contrastare la renitenza al servizio militare con ogni mezzo34 e fors’anche a concepire la propaganda a favore delle nozze e della procreazione come un ulteriore strumento attraverso cui assicurare alla patria le necessarie forze difensive. Proprio i ripetuti richiami alla necessità di garantire, attraverso un’adeguata consistenza numerica della comunità romana, la stabilità delle istituzioni e tramite esse il dominio sui vinti, leggibili in CASS. DIO LVI, 2, 2; 3, 6-7; 4, 3; 7, 5-6, autorizzano a ipotizzare che l’orazione attribuitagli dallo storico rifletta un discorso realmente pronunciato e influenzato dalla situazione di emergenza creatasi per effetto dei rovesci subiti in campo bellico nel 9 d.C.: un intervento, in generale, coerente con la condotta di un principe nell’arco di un trentennio interessato a vigilare sull’andamento demografico monitorandolo con ripetuti interventi35, a proporre modelli di rispetto dell’obbligo della procreazione insito nel matrimonio ricavandoli dai membri della sua famiglia36, negando diritti a quanti vi avessero preventivamente rinunciato37, nonché concedendo speciali riconoscimenti individuali a quanti avessero dato prova di prolificità, come documentano passo, indicativo delle "circostanze estreme" che avrebbero indotto l’imperatore a ricorrere al reclutamento anche di persone di condizione bassa, richiama l’attenzione LE BOHEC 20063, 96. 34 Indicativa la notizia di SUET. Aug. XXIV, 1 secondo cui avrebbe ordinato la vendita di un cavaliere romano colpevole di aver fatto amputare i pollici ai suoi due figli per sottrarli al servizio militare. 35 Notizia di tre censimenti promossi da Augusto negli anni 28 a.C.; 8 a.C.; 14 d.C. si ricava da Res gest. VIII. In proposito cfr. inoltre SUET. Aug. XXVII, 11: quamquam sine censurae honore, censum tamen populi ter egit, primum ac tertium cum collega, medium solus; sull’argomento vd. soprattutto LO CASCIO 2000, 39 s. con ulteriori indicazioni bibliografiche. 36 Si veda la testimonianza di SUET. Aug. XXXIV, 2 secondo cui Augusto avrebbe risposto alle richieste di abrogazione della Lex Iulia de maritandis ordinibus facendo apparire in pubblico i figli di Germanico, evidentemente significans ne gravarentur imitari iuvenis exemplum; per la possibile datazione dell’episodio fra la fine del 9 d.C. e la prima metà del 10 o dell’11 d.C. cfr. SPAGNUOLO VIGORITA 20022, 110, n. 61. 37 Ne offre notizia VAL. MAX. VII, 7, 4 secondo cui Augusto, in segno di disapprovazione per la scelta di una donna che, risposatasi in età avanzata, non più fertile, con un uomo attempato, avrebbe escluso dal testamento i due figli delle precedenti nozze, avrebbe stabilito che ad essi spettasse l’eredità materna e che il marito non potesse ricevere la dote della moglie dal momento che il matrimonio non poteva ritenersi celebrato in vista della procreazione: quia non creandorum liberorum causa coniugium intercesserat. I prodromi della Lex Papia Poppaea 297 Tacito38, Svetonio39 e Gellio40, ma, d’altra parte, ispirato dalla preoccupata constatazione della difficoltà di procedere all’arruolamento dopo le gravi perdite di vite umane subite nell’anno della clades Variana e al contempo dalla speranza di poter scongiurare per il futuro rischi analoghi coltivando l’ideale di una alta natalità a ben vedere intriso ed alimentato da istanze militariste. In definitiva, quale che sia il grado specifico di autenticità delle affermazioni augustee riprese dal resoconto dioneo, esse riflettono comunque tensioni e problemi peculiari della realtà storica entro cui vide la luce la Lex Papia Poppaea e in tal senso possono aiutare a chiarire i prodromi ed inquadrare globalmente il significato di un provvedimento non soltanto concepito a complemento di un programma legislativo intrapreso a sostegno delle istituzioni familiari fin dal 18 a.C. con la Lex Iulia de maritandis ordinibus e la Lex Iulia de adulteriis ad essa posteriore, nel contesto del quale sarebbero state altresì previste norme precise in materia di dichiarazione di nascita41, ma anche inteso ad assicurare quel consolidamento demografico della nazione romana di cui gli imprevisti verificatisi in campo militare nel 9 d.C. misero a nudo debolezze strutturali. In particolare, i riferimenti alla necessità di garantire attraverso la procreazione la difesa della patria contenuti nel discorso attribuito da Cassio Dione ad Augusto inducono a sospettare che, sia pure all’interno di una vi38 È indicativo il riferimento in TAC. Ann. II, 37 all’incentivo in denaro da Augusto concesso a Marco Ortalo, discendente del noto oratore Quinto Ortensio, già difensore di Verre contro Cicerone, per consentirgli di ducere uxorem, suscipere liberos, ne clarissima familia exstingueretur, un sostegno peraltro più tardi negato da Tiberio. 39 Si veda SUET. Aug. XLVI secondo il quale il principe avrebbe offerto un premio di mille sesterzi per ogni nato ai plebei che durante le sue ispezioni avessero potuto dimostrare di aver avuto figli e figlie: Ac necubi aut honestorum deficeret copia aut multitudinis suboles ... iis qui e plebe regiones sibi revisenti filios filiasve approbarent, singula nummorum milia pro singulis dividebat. 40 Assume il valore di un indizio utile ai nostri fini la testimonianza di GELL. X, 2, 2 stando a cui Augusto avrebbe impartito l’ordine di erigere un sepolcro lungo la via Laurentina in memoria di una schiava morta dopo il parto di cinque figli. 41 Sulle misure previste al riguardo già dalla Lex Aelia Sentia del 4 d.C., nonché dalla stessa Lex Papia Poppaea del 9 d.C. oltre a WEISS 1948, si veda ASTOLFI 19953, 303-306; nonché da ultimo GERACI 2001, 676 ss; 684 con ulteriori indicazioni bibliografiche; sul complesso della legislazione ‘matrimoniale’ augustea cfr. METTE-DITTMANN 1991. 298 Ida Mastrorosa sione ‘statalista’ del vincolo coniugale, già da tempo elaborata in chiave dottrinaria42 e sotto la spinta di finalità moralistiche e restauratrici, ragioni contingenti, vale a dire la percezione dei limiti imposti alla marcia inarrestabile del dominio romano dalla fragilità di un organismo statuale incapace di poter contare su un ricambio generazionale necessario per assicurarne la difesa, oltre che per fronteggiare in posizione dominante l’impatto di masse sempre più consistenti di stranieri entro i propri confini, costituirono il terreno di coltura entro cui vide la luce la proposta della Lex Papia Poppaea. In quest’ottica non è difficile comprendere come a distanza di quasi un secolo, con l’esperienza delle trasformazioni ormai avvenute nell’equilibrio dei rapporti con le comunità esterne Tacito potesse denunciare il fallimento della misura43, ma non è difficile neppure intendere come soltanto nei secoli successivi la consapevolezza dell’evoluzione della struttura dell’esercito e delle rovinose conseguenze scaturite dall’incapacità romana di mantenere all’interno di esso la prevalenza numerica potesse consentire di scorgere più chiaramente la funzionalità bellica insita nella campagna demografica di Augusto. Di tale aspetto, ovvero del legame esistente tra andamento demografico e necessità difensive, dovette probabilmente rendersi conto Cassio Dione: sulla sua scelta di tradurre notizie relative alla sensibile attenzione prestata dal principe all’argomento nel discorso tenuto nel 9 d.C. in ripetuti accenni da inserire nella rielaborazione quale figura nel libro LVI della sua opera, certamente più ampia del testo originario e a tratti perfino prolissa, potè forse influire anche la conoscenza dei problemi avutisi negli ultimi decenni del II secolo d.C. sulla frontiera danubiana, ove fin dal 42 Già sancita da Aristotele (Polit. 1252a) secondo cui il legame fra l’uomo e la donna finalizzato alla procreazione costituisce la prima espressione della povli", tale interpretazione appare chiaramente enucleata in CIC. Off. I, 54 ove, anche in considerazione del naturale istinto alla procreazione comune a tutti gli esseri viventi, il matrimonio e la comunanza dei beni e della casa rappresentano la prima forma di società preesistente allo stato rispetto a cui fungono metaforicamente da vivaio: prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae. 43 Cfr. TAC. Ann. III, 25: Relatum dein de moderanda Papia Poppaea, quam senior Augustus post Iulias rogationes incitandis caelibum poenis et augendo aerario sanxerat. Nec ideo coniugia et educationes liberum frequentabantur praevalida orbitate. I prodromi della Lex Papia Poppaea 299 166-167 l’esercito ivi dislocato dopo il ritorno dalle operazioni contro i Parti si trovò in difficoltà per effetto della peste che provocò forti assottigliamenti dei ranghi e rese indispensabile un nuovo reclutamento per far fronte agli attacchi dei Marcomanni (OROS. VII, 15, 5-6), ma anche a causa delle gravi perdite subite al tempo del primo dei Severi (CASS. DIO LXXVI, 7, 1). Consolidatasi progressivamente44, la messa a fuoco in chiave militarista del legame esistente tra stabilità demografica ed esigenze di difesa era significativamente destinata a sopravvivere anche dopo il crollo del dominio romano, come dimostra un luogo della Historia ecclesiastica di Cassiodoro secondo cui le leggi matrimoniali degli antichi oltre a porre rimedio alle perdite inflitte dalle guerre civili, nascevano dall’esigenza di rendere popolosa la città e consentire che tutta la terra fosse assoggettata a Roma45. Ma soprattutto avrebbe avuto esito più tangibilmente pragmatico nei tempi moderni: è nota la strumentalizzazione della promozione della natalità condotta in chiave propagandistica dai regimi totalitari nei primi decenni del XX secolo e in particolare da quello fascista, promotore di varie misure di carattere demografico fra cui una tassa sul celibato istituita nel 192746, provvedimenti certamente innervati di ambizioni belliciste di connotazione razzista ed innanzitutto fondati sulla convinzione che la questione della popolazione fosse cruciale per la sopravvivenza e difesa dello stato, una posizione per certi versi non lontana da quella che stando a CASS. DIO LVI, 2-9 avrebbe nutrito Augusto nel 9 d.C. e della quale occorre tener conto per far luce sui prodromi della Lex Papia Poppaea. 44 È emblematica l’interpretazione di un panegirista del IV sec. d.C. secondo cui le leggi matrimoniali avrebbero costituito il fondamento dello stato in quanto foriere di giovani forze pronte a combattere per la patria: Paneg. Lat. VI (7), 2, 4: quare si leges eae quae multa caelibes notaverunt, parentes praemiis honorarunt, vere dicuntur esse fundamenta rei publicae, quia seminarium iuventutis et quasi fontem humani roboris semper Romanis exercitibus ministrarunt... 45 Cfr. CASSIOD. Hist. eccl. I, 9, 16: ... qui vero filios non habuissent, medietatem relictorum sibimet amittebant. Posuerunt autem has leges antiqui volentes Romam esse populosam omnemque subiectam terram et quia non multum ante has leges plurimos in civilibus bellis amiserant. 46 Sulle implicazioni e i caratteri della politica demografica fascista si vedano DAU NOVELLI 1994; IPSEN 1997; TREVES 2001, 117 ss.; più in generale circa il culto della romanità sviluppatosi in età fascista cfr. GIARDINA 2000b. 300 Ida Mastrorosa Bibliografia ANDRÉ 1986 J.M. ANDRÉ, La politique sociale d’Auguste dans sa législation: La famille et le statut servile, in M.G. VACCHINA (a cura di), Problemi di politica augustea, Aosta, 50-73. ASTOLFI 19953 R. ASTOLFI, La Lex Iulia et Papia, Padova (1970). BADIAN 1997 E. BADIAN, Which Metellus? A footnote, in «AJAH», 13, 106-112. BALSDON 1979 J.P.V.D. BALSDON, Romans and Aliens, London. BARDON 19682 H. BARDON, Les Empereurs et les lettres latines d’Auguste à Hadrien, Paris. BRADLEY 1987 K.R. BRADLEY, Slaves and Masters in the Roman Empire. 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