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I cronotopI del volto a cura di Elsa Soro, Cristina Voto, MassiMo Leone contributi di silvia BarBotto, niCola Carrara, rEMo GramiGna Marilia Jardim, valEntina manChia,GabriElE marino antonio SantanGeLo, Carlos a. SCoLari, MarCo VioLa © isbn 979–12–218–0270–2 prima edizione ROMA 31 ottobre 2022 I cronotopi del volto ISBN 979-12-218-0270-2 DOI 10.53136/97912218027021 pp. 9-13 (ottobre 2022) prefazIone Elsa Soro, Cristina Voto, Massimo Leone Riconoscibile nonostante la sua mutevolezza, singolare benché costantemente soggetto al cambiamento, ogni volto è la traccia dei tempi e dei luoghi che lo hanno prodotto. Del resto, ogni esperienza di riproduzione così come ogni dinamica di fruizione che intratteniamo con il nostro proprio volto o con il volto altrui ci mette a confronto con una dimensione situata. Questo posizionamento installa un confine tra prospettiva biologica e prospettiva culturale, una frontiera dove la riflessione sui processi fisiologici che sottostanno alla natura organica del volto — una lettura necessaria alla visualizzazione del tessuto interconnettivo che ci accomuna con altre specie — si intreccia con la pluralità e la discontinuità che caratterizzano la sua significazione culturale. La variabilità nel tempo si embrica allora con la variabilità nello spazio: ogni volto tradisce le modalità temporali e spaziali che gli conferiscono senso ma, allo stesso tempo, è da queste stesse modalità che viene tradito per mezzo dei discorsi che lo occultano o ritraggono, delle tecnologie che lo cancellano o potenziano, degli artefatti che lo mascherano o magnificano. La diversità culturale diventa allora un aspetto fondamentale per la comprensione fenomenica del volto come risultato di complesse interconnessioni spazio–temporali. È sulla base di queste riflessioni preliminari che il presente volume tratta delle coordinate cronotopiche del volto e del volto come cronotopo del senso. Utilizzare il concetto di cronotopo e associarlo 9 10 Elsa Soro, Cristina Voto, Massimo Leone al dispositivo per eccellenza dell’identità significa evocare il lavoro di Michail Bachtin, una proposta teorica ed euristica capace di garantire l’individuazione di una interconnessione spazio–temporale che favorisce il passaggio dalle strutture semio–narrative alle strutture discorsive (Estetica e romanzo). Nel suo studio sull’estetica del romanzo, l’autore russo definisce il cronotopo come la modalità attraverso cui un’opera assimila ed elabora la percezione del tempo e dello spazio, non tanto come entità trascendenti ma come categorie ideologiche situate in un determinato contesto socioculturale. Pensiamo alla figura della strada nell’epos greco, alla piazza nella produzione latina, al castello nel romanzo cavalleresco, al salotto nel romanzo decimonono e alle figure della soglia o dell’anticamera nei romanzi di Dostoevskij: secondo Bachtin, la discorsivizzazione spazio–temporale determina l’immagine che i testi incarnano nel mondo e del mondo, condensando un’espressione cronotopica senza la quale anche il pensiero più astratto sarebbe impossibile. Da una prospettiva semiotica, parlare di cronotopi significa evocare quelle strategie enunciazionali dei livelli figurativo e plastico–figurale capaci di garantire la circolazione del senso e, nel nostro caso specifico, di quelle strategie formali sul piano dell’espressione che fanno del volto un supporto dell’identità. Tutti i contributi contenuti in questo volume, allora, identificano nel volto un cronotopo, una strategia di condensazione spazio–temporale, uno strumento di studio dell’enunciazione in atto e di aspettualizzazione spazio–temporale. Per l’esplorazione di queste coordinate spazio–temporali dell’identità il volume segue tre rotte significative, tre diversi percorsi di lettura che danno forma ad altrettanti criteri di classificazione e pertinentizzazione differenziali del volto come spazio enunciativo del senso in termini espressivi, identitari e tecnologici. Il dominio dell’arte, nella sua dimensione espositiva, performativa e interpretativa si articola sul volto e nel volto nella prima sezione del volume, dedicata ai cronotopi espressivi. Il contributo di Antonio Santangelo, Volti del nostro tempo: L’opposizione tra self–made women e vagabonde, mette a fuoco i volti di alcuni personaggi del cinema e del mondo dello spettacolo. Analizzando i volti delle protagoniste dei film La vie d’Adèle: Chapitres 1 & 2 (Abdellatif Kechiche, Francia, 2013), Prefazione 11 Jeune femme (Léonor Sérraille, Francia, 2017) e Chiara Ferragni — Unposted (Elisa Amoruso, Italia, 2019), Santangelo cerca di mostrare come i volti e le storie delle protagoniste costruiscano un sistema di senso, gettando luce su alcuni modelli culturali di cui le società contemporanee si servono per assegnare un senso all’esperienza della vita quotidiana. Segue il contributo di Silvia Barbotto, Volto di cenere e suono: Cronotopi, semiotica implicata e teatro contemporaneo, che ricerca nel teatro il motore propulsore di cronotopi altri. S’indaga la categoria di tempo incorporato attraverso una riflessione sulla semiotica del corpo e della cultura. Il testo offre un esercizio di meta–semiotica applicata nell’analisi della drammaturgia di Volto di cenere e suono, una produzione di Terra Galleggiante, inserita all’interno della XXVII edizione del Festival “Immagini dell’interno 2021”. Quest’opera è occasione di una ricerca per sperimentare l’ibridazione tra lo spazio reale e immaginato, tra la multimedialità sensoriale da un lato e, dall’altro, il corpo e il volto come istanze crono–situate e co–abitate. Chiude questa sezione il contributo di Nicola Carrara, Il volto in mostra: Due esempi di esposizioni temporanee, dove si tratta del volto umano quale fenomeno sovente oggetto di strategie curatoriali in ambito artistico. È il caso delle due mostre “FACCE: I molti volti della storia umana” e “IMAGO ANIMI: Volti dal passato”, entrambe curate dal Museo di Antropologia dell’Università di Padova. L’autore ripercorre i due progetti espositivi, legati alle ricostruzioni facciali forensi, per comprendere l’effetto di realismo prodotto da queste tecniche. Nello specifico, si attarda su alcune specifiche sezioni delle mostre: “Guardiamo in faccia la diversità umana”, dedicata alla prospettiva evolutiva della specie umana; “Una faccia, una razza? Non proprio”, sull’inconsistenza scientifica delle cosiddette categorie razziali; “Volti dal passato”, sulle ricostruzioni di volti di personaggi storici legati alla città di Padova; “Lo specchio del viso”, sugli studi scientifici o presunti tali sul volto umano a partire dall’antichità; e infine “Dalla faccia alla maschera: Il viso simbolico”, sugli aspetti culturali di questo tratto distintivo umano. La seconda sezione del volume, dedicata ai cronotopi identitari del volto, raccoglie quattro contributi che mettono in luce la dimensione socio–identitaria veicolata dagli artefatti che coprono o allestiscono i volti. Il contributo La nostra vita (sociale) con la mascherina, di Marco 12 Elsa Soro, Cristina Voto, Massimo Leone Viola, apre la sezione con un intervento che riflette sul “baratto semiotico dell’artefatto” durante la pandemia da Covid 19. La mascherina è infatti analizzata come artefatto che da una parte inevitabilmente sottrae, mentre dall’altra aggiunge potenzialità espressive in quanto superficie di comunicazione. Nel tentativo di tracciare una fenomenologia sociale della mascherina o, più precisamente, del volto mascherato, l’articolo ne fornisce un inquadramento storico–filosofico come oggetto sanitario; passa poi in rassegna alcuni studi psicologici su ciò che la mascherina compromette a livello di comprensione linguistica, riconoscimento dell’identità e delle emozioni, con importanti ricadute sull’empatia; per proseguire successivamente con alcuni spunti di natura antropologica, sociologica e semiotica su ciò che la mascherina comporta nell’operare una significante alterazione delle modalità con cui l’identità è percepita. The Niqab and the Surgical Mask. Beyond Given Binaries: Visual Semiotics, Figurativisation, and Discursive Interactions of Covered Faces, di Marilia Jardim, adotta un approccio vicino a quello della semiotica generativa ed esamina l’opposizione tra mascherina chirurgica e niqab, che l’articolo considera una relazione di contrarietà artificialmente costruita dai media occidentali. Il lavoro parte dal livello superficiale dei due artefatti, concentrandosi sulle relazioni visive e plastiche che si creano nell’interazione tra volto e maschera, per passare poi ai meccanismi di tematizzazione e figurativizzazione a livello discorsivo. In questa prospettiva, la mascherina chirurgica e il niqab vengono analizzati come forme di copertura del volto capaci di svelare i meccanismi culturali soggiacenti. Segue il contributo di Gabriele Marino, Hitler dalla prosopostasi alla prosopocalissi, dove l’autore analizza l’iconico volto di Adolf Hitler in quanto oggetto culturale unico, il quale, nonostante il tabù che lo accompagna, non ha abbandonato l’immaginario visivo occidentale. Nel saggio l’autore s’interroga sulle ragioni della persistenza di questa icona dell’epoca della riproducibilità tecnica che ha cannibalizzato l’iconografia di un’intera nazione diventando allo stesso tempo universalmente riconosciuta e amaramente disprezzata. L’analisi verte sulle immagini di propaganda finalizzate a rendere Hitler una presenza sempre più atmosferica e astratta e sul baffo come unica costante e “logo” di Hitler. Chiude questa seconda sezione il contributo di Remo Gramigna, Volti senza volto. Dalla damnatio Prefazione 13 memoriae alla cultura della cancellazione, saggio che ha per oggetto la relazione tra segno e vuoto nella produzione di Umberto Eco, il problema della dimenticanza nella semiotica della cultura di Juri Lotman, il tema della memoria in Francis Yates e Paolo Rossi, per poi soffermarsi sulla damnatio memoriae in riferimento agli interstizi del volto e affrontare così il problema dei volti cancellati, silenziati, repressi, ostracizzati, dimenticati, stigmatizzati, sfigurati e marginalizzati. La terza e ultima sezione ha per oggetto il dominio della tecnologia ed evidenzia la dimensione tecno–cronotopica del volto. Il contributo di Valentina Manchia, Ricambiare lo sguardo delle macchine: Dietro gli impliciti della face recognition attraverso le training images, adotta una prospettiva vicina a quella dei Visual Studies e propone il recupero del concetto di operational images che il videoartista Harun Farocki aveva coniato nel 2005 per riferirsi alle immagini prodotte dalle telecamere di sorveglianza. Dopo aver tracciato una breve storia della visione macchinica, l’autrice guarda a quelle esplorazioni artistiche, come ImageNet Roulette (2019) e From “Apple” to “Anomaly (2019), entrambe di Trevor Paglen, le quali aprono un vertiginoso spaccato sulla visione artificiale, non privo di implicazioni culturali, sociali, politiche e non da ultimo semiotiche. Chiude il volume il contributo di Carlos Scolari, The Law of the Interface. Richiamandosi a una vasta serie di discipline e prospettive teoriche, dell’Interaction Design all’Actor–Network Theory (ANT) passando per l’interazione uomo–macchina (HCI), la semiotica e la sociologia, l’autore offre un tentativo di comprensione dell’ecosistema evolutivo delle interfacce. Il testo ripensa il concetto di interfaccia, analizzandolo oltre i paradigmi di iscrizione della tecnologia digitale, e analizzando questo oggetto dal punto di vista di un modello eco–evolutivo mirato a identificare una serie emergente di leggi. La finalità ultima dello studio è quella di proporre un modello di cambiamento tecnologico in dialogo con quello biologico che possa essere applicato alla sfera sociale, politica ed educativa.