Sono arrivato a Bologna nel 2004 dopo aver concluso la ricerca per il Dottorato in “Antropologia della Contemporaneità” all’Università di Milano-Bicocca. Ho preso la mia prima stanza in affitto in città durante la campagna elettorale del sindaco Sergio Cofferati. Bologna usciva dalla prima amministrazione comunale di centro-destra dal Dopoguerra e l’atmosfera era festosa, come di liberazione dopo i quattro anni guidati dal sindaco Giorgio Guazzaloca. La ricerca che avevo condotto per il Dottorato dialogava con il contesto di studi legati all’antropologia urbana (Sobrero 1992; Signorelli 1996; Callari Galli 2007; Barberi 2010; Cancellieri e Scandurra 2012) e aveva come oggetto una periferia di Roma, il Pigneto; in particolare, le pratiche di vita quotidiana di un gruppo di uomini e donne membri di un Comitato di Quartiere. La domanda al centro dello studio poteva essere così sintetizzata: esiste ancora, in un mondo che descriviamo sempre più come delocalizzato, una relazione reciprocamente costitutiva tra antropologia e località? (Appadurai 1996). Una domanda centrale anche nella campagna elettorale a cui assistetti in quell’anno a Bologna, in una città allora in lotta tra la voglia di essere metropoli e quella di essere un piccolo paese. Nel 2004 ho iniziato a insegnare antropologia culturale all’università di Bologna e ho iniziato a fare ricerca in città - sulla città è più esatto (Eames, Goode 1977). Non conoscevo Bologna e, per deformazione professionale, non vedevo altro modo di ambientarmi se non studiandola, se non facendola oggetto di o ricerche etnografiche di lunga durata. Questo libro conclude forse questa curiosità, la mia curiosità per questa città. Dopo dieci anni di ricerche ho la sensazione di aver preso molto da questo paese con aspirazioni metropolitane, ma anche di aver dato abbastanza. Ho la sensazione che la voglia di conoscerla, e quindi di studiarla, sia terminata. Quella distanza che all’inizio mi permise di poter osservarla, descriverla, interpretarla - una distanza che, nel far ricerca, si riduceva sempre più familiarizzando con essa - oggi ha acquisito un’altra forma. Ho abitato in molte case in questi dieci anni e ho due figli che parlano bolognese perché in questa città sono nati e forse vi cresceranno, ma credo che il mio rapporto con Bologna sia cambiato, forse esaurito - e di conseguenza il mio rapporto di ricerca. Quando sono arrivato avevo ovviamente delle rappresentazioni su questa città (Fabietti 1999). Nelle classifiche sulla qualità della vita pubblicate su «Il Sole 24 ore» Bologna in quell’anno appariva come prima. Fino al 2004, però, soprattutto durante i tre anni del Dottorato, io conoscevo della città solo il sottopassaggio della stazione centrale, dove ho passato molto tempo ad aspettare i treni che andavano a Roma - dove ho abitato fino al 2004 - e a Milano - dove per l’appunto svolgevo l’attività di Dottorato. In più occasioni, proprio in questo spazio di attesa, più di una volta sono stato oggetto di richieste - sigarette che monetine per lo più - da parte di senza fissa dimora che facevano su e giù tra i binari della stazione. Ogni volta mi sono chiesto che relazione ci fosse tra le statistiche de «Il Sole 24 ore» e la presenza di così numerosi barboni. Questa è stata la mia prima curiosità di ricerca. Nel settembre 2004 fino al dicembre 2005 ho realizzato così un progetto di ricerca finalizzato a produrre una mappa delle realtà riguardanti l’emarginazione sociale a Bologna - dormitori, politiche di accoglienza, storie di vita di senza fissa dimora etc.-, al fine di capire, oggi, che tipologie di persone sono quelle che vivono per strada considerando il fatto che quasi mai si tratta di una libera scelta. Soprattutto, quali sono i circoli viziosi che non permettono a questi attori sociali, nel contesto cittadino bolognese, di cambiare vita (Scandurra 2005). Sempre dentro il contesto degli studi urbani, concentrando però l’attenzione su specifici processi di esclusione sociale (Bergmaschi, Guidicini e Pieretti 2004; Bonadonna 2001, Barnao 2004, Tosi Cambini 2005; Scandurra 2013), ho iniziato a interessarmi alla formazione di nuove povertà e le pratiche di vita quotidiana agite da persone che vivono in strada e rivendicano una “cultura” di strada, la qual cosa mi ha costretto a interrogarmi sulla relazione tra cultura e cittadinanza. Ho studiato le pratiche di un gruppo di senza fissa dimora ospiti del dormitorio pubblico di Bologna “Massimo Zaccarelli”, ampliando poi lo sguardo a specifici territori periferici del capoluogo emiliano-romagnolo, al fine di capire se è possibile parlare in città di fenomeni di impoverimento collettivo; e ancora, se questi processi colpiscono tutti o in particolare determinati attori sociali che vivono nel territorio. Allargando il campo della ricerca ho continuato a indagare questi temi ponendo l’attenzione sulle pratiche di vita quotidiane di un gruppo di immigrati rom romeni senza casa che vivono nella prima periferia bolognese, a sud della città, iniziando a dialogare, sempre dentro il grande contenitore degli studi urbani, anche con il campo di studi dell’antropologia dell’immigrazione. (Antonelli e Scandurra 2008). Inoltre, rivolgendo lo sguardo alle politiche per l’inclusione sociale ho proseguito questi interessi come membro del gruppo di studio “Nuove povertà” dell’Istituto Fondazione Gramsci-Emilia Romagna (Scandurra 2013) e come capofila dell’unità locale di Ferrara che, all’interno di un progetto Prin 2011, si occuperà nei prossimi anni di studiare le politiche di accoglienza e di inclusione sociale promosse dalla regione Emilia Romagna e in particolar modo dalla Provincia di Ferrara . Nel gennaio del 2007 ho iniziato, con la collega Fulvia Antonelli, una ricerca sulle palestre di pugilato di un quartiere periferico di Bologna, Bolognina, al fine di capire che funzione sociale hanno queste palestre e che rapporto c’è tra la strada e lo sport pugilistico. La maggior parte degli iscritti in palestra è costituita da ragazzi di origine straniera, il che mi ha dato modo di studiare gli immaginari, le rappresentazioni, le pratiche di vita quotidiana di un gruppo di adolescenti di «seconda generazione» (Antonelli e Scandurra 2010). Tale ricerca mi ha permesso di dialogare anche con due altri campi di studi su cui ho poi continuato a lavorare, ovvero quello legato all’antropologia dello sport (Satta e Scandurra 2013) e quello legato alle seconde generazioni (Callari Galli e Scandurra 2009). Nell’ultimo anno, infatti, insieme al giornalista Leonardo Tancredi, sto lavorando sulle rappresentazioni e le pratiche quotidiane di un gruppo di tifosi che costituiscono la curva del Bologna calcio. Gli ultras della squadra del capoluogo emiliano ci stanno infatti dando modo di utilizzare tale curva calcistica come finestra per leggere al meglio la città di Bologna e come è cambiata negli ultimi anni (Scandurra e Tancredi 2014). Una volta conclusa la ricerca sulla boxe, ho continuato a condurre studi urbani, attraverso il metodo etnografico, indagando lo spazio pubblico di piazza Verdi a Bologna (Castelli, Scandurra, Tancredi e Tolomelli 2011). L’interesse verso gli spazi pubblici urbani sono continuati quando, La seconda, insieme alla collega sociologa Maria Antonietta Trasforini, ho deciso di iniziare nel febbraio del 2012 una ricerca a Tunisi, al fine di capire il ruolo che la cultura e l’arte stanno svolgendo nel produrre le trasformazioni sociali e politiche che hanno avuto e hanno come teatro la capitale tunisina a partire dalle “Primavere Arabe”. (Scandurra 2013) Più in generale, la passione per indagare temi e questioni legati agli studi urbani è proseguita dando vita, insieme a un gruppo di colleghi, al gruppo transdisciplinare di studi urbani “Tracce Urbane” (Cancellieri e Scandurra 2012) e dirigendo, con il collega sociologo Alfredo Alietti, il Laboratorio di Studi Urbani del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara che, negli ultimi due anni, ha organizzato numerosi seminari invitando studiosi urbani nazionali e internazionali . Per questo volume ho pensato di selezionare, all’interno di questi ambiti di studio, quattro saggi che potessero sintetizzare i campi di ricerca sui cui ho lavorato negli ultimi anni, che così posso riassumere. a) Antropologia Urbana: studio di “comunità urbane”, comunità di quartiere, comitati e associazioni territoriali, nascita di sobborghi e di enclave, trasformazioni delle periferie, processi di gentrificazione, suburbanizzazione, zonizzazione, processi di progettazione partecipata, processi di produzione di “località”; nozione di “spazio pubblico”. b) Antropologia dell’Esclusione Sociale: formazione di nuove povertà, nozione di “degrado” e di “povertà”, politiche sociali e diritti di cittadinanza, raccolta di storie di vita di “esclusi” dal territorio, “nuove povertà”. c) Antropologia dell’Immigrazione e Comunicazione Interculturale: politiche dell’accoglienza, nozione di “cultura”, studi multiculturali, politiche migratorie, studi sulle “seconde generazioni”; politiche per l’’inclusione sociale degli immigrati. d) Antropologia dello Sport: lo sport come attività per costruire identità individuali e collettive e gruppi caratterizzati da intimità culturale, “comunità di pratiche”.