Protagora: quale sapienza?
Εὐφορίων δὲ καὶ Παναίτιος εἰρήκασι πολλάκις ἐστραµµένην
εὑρῆσθαι τὴν ἀρχὴν τῆς Πολιτείας, ἣν Πολιτείαν Ἀριστόξενός φησι
πᾶσαν σχεδὸν ἐν τοῖς Πρωταγόρου γεγράφθαι Ἀντιλογικοῖς.
Euforione e Panezio affermavano che furono scoperte diverse varianti
dell’inizio della Repubblica; e della stessa Repubblica Aristosseno dice
che sta scritta quasi tutta nelle Antilogie di Protagora. (DK 80 B5).
Significativo che uno dei grandi miti di fondazione dello spazio politico e la prima
giustificazione teorica della «democrazia partecipativa»1 risalgano proprio a un
pensatore, Protagora, nella tradizione indicato, a un tempo, come (precoce)
contestatore dell’ontologia di marca eleatica2:
ἐγὼ δ’ οὖν ἧι κατὰ τύχην περιπέπτωκα Πρωταγόρου τὸν Περὶ τοῦ ὄντος ἀναγινώσκων λόγον πρὸς
τοὺς ἓν τὸ ὂν εἰσάγοντας
Mi è per caso accaduto di leggere il discorso di Protagora Sull’essere, rivolto a coloro che
sostengono che l’essere è uno (Porfirio; DK 80 B2),
e tra i primi a valorizzare l’arte retorica:
P. qui sophista fuit longe multiscius et cum primis rhetoricae repertoribus perfacundus…
Protagora fu sofista di vastissime conoscenze e molto versato all’eloquenza, tra i primi inventori
della retorica… (Apuleio; DK 80 A4),
a sottolineare, forse, come l’attenzione specifica alla dimensione politica implicasse sia
la scoperta della centralità del logos, sia l’emancipazione dall’ontologia3.
Secondo quanto attestato da Sesto Empirico, Protagora avrebbe clamorosamente
palesato gli effetti della crisi del modello di comprensione della realtà che il poema
parmenideo aveva proposto:
καὶ Πρωταγόραν δὲ τὸν Ἀβδηρίτην ἐγκατέλεξάν τινες τῶι χορῶι τῶν ἀναιρούντων τὸ κριτήριον
φιλοσόφων, ἐπεί φησι πάσας τὰς φαντασίας καὶ τὰς δόξας ἀληθεῖς ὑπάρχειν καὶ τῶν πρός τι εἶναι
τὴν ἀλήθειαν διὰ τὸ πᾶν τὸ φανὲν ἢ δόξαν τινὶ εὐθέως πρὸς ἐκεῖνον ὑπάρχειν. ἐναρχόμενος γοῦν
τῶν Καταβαλλόντων ἀνεφώνησε· ‘πάντων χρημάτων μέτρον ἐστὶν ἄνθρωπος, τῶν μὲν
ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν’.
Alcuni poi compresero anche Protagora di Abdera nella schiera dei filosofi che eliminano il criterio
[per riconoscere la verità], dal momento che afferma che tutte le rappresentazioni e le opinioni
sono vere, e che la verità è parte dei relativi, perché tutto ciò che appare o sembra a qualcuno, per
lui senz’altro esiste. Al principio dei Demolitori si espresse così: «l’uomo è di tutte le cose misura,
di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono» (Sesto Empirico,
Contro i logici, 1. 60; DK 80 B1).
Abbiamo tradotto il frammento secondo tradizione e nel senso implicito nel contesto
della testimonianza, che suggerisce come la rinuncia (distruzione: ἀναίρησις) a un
κριτήριον comporti di fatto una frantumazione (della rappresentazione) del reale: esso
diventa qualcosa di estremamente complesso, variabile secondo le esperienze,
E.A. HAVELOCK, The Liberal Temper in Greek Politics, New Haven, Yale University Press, 1957, pp. 155 ss.
Ha rivendicato energicamente il rilievo del confronto con Parmenide E. SCHIAPPA, Protagoras and Logos.
A Study in Greek Philosophy and Rhetoric, Columbia, University of South Carolina Press, 20032, pp. 121 ss.
3
Si tratta della tesi sostenuta in B. CASSIN, L’effet sophistique, Paris, PUF, 1995, pp. 152-153.
1
2
1
diversamente determinato in relazione alle prospettive di ciascuno4, come lo stesso
Sesto sottolinea:
καὶ ὁ Π. δὲ βούλεται πάντων χρημάτων εἶναι μέτρον τὸν ἄνθρωπον τῶν μὲν ὄντων
ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν, μέτρον μὲν λέγων τὸ κριτήριον, χρημάτων
δὲ τῶν πραγμάτων, ὡς δυνάμει φάσκειν πάντων πραγμάτων κριτήριον εἶναι τὸν ἄνθρωπον, τῶν
μὲν ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν. καὶ διὰ τοῦτο τίθησι τὰ φαινόμενα
ἑκάστωι μόνα, καὶ οὕτως εἰσάγει τὸ πρός τι ...
Anche Protagora vuole che misura di tutte le cose sia «l’uomo», di quelle che sono in quanto sono,
di quelle che non sono in quanto non sono. Con «misura» intende «criterio», con «cose» i «fatti»,
così da sostenere, in pratica, che l’uomo sia criterio di tutti i fatti, di quelli che sono in quanto sono,
di quelli che non sono in quanto non sono. In questo modo egli ammette solo ciò che appare al
singolo individuo, e così introduce il relativo [relativismo]... (Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 1.
216; DK 80 A14).
Si tratta, in fondo, di una conseguenza logica del paradigma eleatico: abbandonando la
pretesa di un accesso privilegiato alla conoscenza (viaggio e rivelazione divina nel poema
Sulla natura), la Verità (annunciata dalla Dea) che manifesta la natura delle cose cede il
campo alle plurali opinioni, verità relative al soggetto umano, che in esse esprime la
realtà di cui ha esperienza, così come la esperisce. In assenza di una disposizione
oggettivazione garantita, è l’uomo a tracciare limiti e discernere i contorni di ciò che si
presenta ai sensi:
ὅρος καὶ κρίσις τῶν πραγμάτων ὁ ἄνθρωπος καὶ τὰ μὲν ὑποπίπτοντα ταῖς αἰσθήσεσιν ἔστι
πράγματα, τὰ δὲ μὴ ὑποπίπτοντα οὐκ ἔστιν ἐν τοῖς εἴδεσι τῆς οὐσίας.
limite e discrimine tra i fatti è l’uomo, e mentre fatti sono le cose che cadono sotto i sensi, le cose
che non cadono sotto i sensi, invece, non sono tra le forme dell’essere. (Ermia; DK 80 A16).
Discorsi contrapposti
Era così certificata l’impossibilità di fissare un rapporto stabile e condiviso con la realtà:
le opinioni, infatti, manifestano non come stanno le cose, ma l’interazione del singolo
individuo con le cose, in altre parole come esse gli appaiono. In questo senso, opinioni
e giudizi “misurano” e ordinano il mondo dell’esperienza: in assenza di un criterio
indipendente dalla percezione individuale, tuttavia, ogni opinione risulta vera
(esprimendo quanto esperito della cosa), legittimando (a dispetto della logica eleatica)
la compatibilità di giudizi contrastanti, la possibilità di sviluppare e sostenere a un tempo
discorsi opposti sullo stesso oggetto:
πρῶτος ἔφη (Π.) δύο λόγους εἶναι περὶ παντὸς πράγματος ἀντικειμένους ἀλλήλοις.
Per primo Protagora affermò che su ogni cosa esistono due discorsi [argomenti] reciprocamente
contrapposti. (Diogene Laerzio, IX, 51; DK 80 B6a)
Ἕλληνές φασι Πρωταγόρου προκατάρξαντος παντὶ λόγωι λόγον ἀντικεῖσθαι
I Greci sostengono, seguendo Protagora, che a ogni discorso [argomento] si contrappone un
discorso [argomento]. (Clemente Alessandrino; DK 80 A20)
P. ait de omni re in utramque partem disputari posse ex aequo...
A seconda del valore di ἄνθρωπος, genere o individuo: alla luce delle testimonianze, è probabile che
Protagora impiegasse il termine in entrambi i sensi. E. SCHIAPPA, Protagoras and Logos..., cit., p. 120.
4
2
Protagora affermò che su ogni cosa è possibile, con pari legittimità, sostenere posizioni opposte
(Seneca; DK 80 A20).
In una situazione in cui le rappresentazioni della realtà (dei πράγµατα) appaiono
irrimediabilmente relative, non potendo essere smentite da criteri esterni oggettivi, in
cui tutti i punti di vista rivendicano pari legittimità, non tutti sono, tuttavia, altrettanto
opportuni, alcuni rivelandosi chiaramente dannosi per chi li sostenga. Sul piano
puramente teorico, allora, ogni opinione vale quanto le altre; sul piano pratico
dell’efficacia, invece, è possibile distinguere tra opinioni più utili e opinioni meno utili,
migliori o peggiori, come ricorda la cosiddetta “Apologia di Protagora” del Teeteto (166
d ss.) di Platone:
ἀλλ’οἶμαι πονηρᾶς ψυχῆς ἕξει δοξάζοντα συγγενῆ ἑαυτῆς χρηστὴ [sc. ἕξις] ἐποίησε δοξάσαι ἕτερα
τοιαῦτα, ἃ δή τινες [τὰ φαντάσματα] ὑπὸ ἀπειρίας ἀληθῆ καλοῦσιν, ἐγὼ δὲ βελτίω μὲν τὰ ἕτερα
τῶν ἑτέρων, ἀληθέστερα δὲ οὐδέν
Credo che a colui il quale, per una cattiva disposizione dell’anima, abbia opinioni a essa conformi,
una buona disposizione possa far apparire tali cose diverse: rappresentazioni che alcuni, per
inesperienza, chiamano vere; io, invece, dico le une migliori delle altre, ma per nulla più vere.
(Teeteto 167 b; DK 80 A21a).
Il passo potrebbe rivelare la prospettiva corretta per riconsiderare il significato
dell’«uomo-misura», a partire dal valore etimologico (χράοµαι, «utilizzo, mi servo di»)
dell’espressione χρήµατα, tradizionalmente resa con «cose», ma da tradurre
propriamente come «le cose che usiamo [con cui abbiamo commercio]»5. Piuttosto che
avanzare ipotesi sull’intrinseca instabilità del reale, Protagora potrebbe aver rivolto la
propria attenzione, più modestamente, a un orizzonte a “misura d’uomo”, per
richiamare alla centralità di ciò che rappresentano (per noi) le cose con cui abbiamo a
che fare, che “dominiamo”6 nella nostra esperienza quotidiana, il cui valore (per noi) è
inevitabilmente fissato dall’utilizzo che ne facciamo7.
Alla ponderazione degli effetti delle decisioni era votata, nella versione platonica, la
specifica attività educativa rivendicata dal sofista come «professione» (ἐπάγγελµα) e
identificata come «arte [tecnica] politica» (πολιτικὴ τέχνη):
τὸ δὲ μάθημά ἐστιν εὐβουλία περὶ τῶν οἰκείων, ὅπως ἂν ἄριστα τὴν αὑτοῦ οἰκίαν διοικοῖ, καὶ περὶ
τῶν τῆς πόλεως, ὅπως τὰ τῆς πόλεως δυνατώτατος ἂν εἴη καὶ πράττειν καὶ λέγειν
L’oggetto del ‹mio› insegnamento è la capacità di prendere decisioni riguardo agli affari privati come si possa amministrare nel modo migliore la propria casa - e a quelli dello stato [della città]:
L. VERSENYI, “Protagoras' Man-Measure Fragment”, «The American Journal of Philology», Vol. 83, No. 2
(Apr., 1962), pp. 178-184, p. 182. Per una discussione che conclude diversamente per la traduzione
tradizionale W.K.C. GUTHRIE, The Sophists, Cambridge, Cambridge University Press, 1971, pp. 188 ss. Ora
anche G.B. KERFERD-H. FLASHAR, Die Sophistik, in Grudndriss der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie
der Antike. 2/1. Sophistik-Sokrates-Sokratik-Mathematik-Medizin, herausgegeben von H. FLASHAR, Basel,
Schwabe, 1998, pp. 32 ss.; E. SCHIAPPA, Protagoras and Logos..., cit., pp. 118 ss.
6
Secondo la resa – fortemente interpretativa – proposta da M. UNTERSTEINER, I sofisti, Milano, Bruno
Mondadori, 1996 (ristampa della seconda edizione, 1969, dell’opera originariamente pubblicata nel
1949), p. 65:
5
l’uomo è il dominatore di tutte le esperienze, in relazione alla fenomenalità di quanto è reale e alla
nessuna fenomenalità di quanto è privo di realtà.
7
La resa di χρήµατα come «cose in uso» è ribadita anche da CASSIN, L’effet sophistique, cit., pp. 228 ss.
3
come si possa essere massimamente efficaci nel condurre e discutere gli affari dello stato [della
città]. (Protagora 318 d; DK 80 A5).
Allo stesso orizzonte può ricondursi l’abilità che tanto negativamente contraddistinse,
già nell’antichità, la sofistica, motivo di scandalo per i contemporanei, come ricorda
Aristotele:
καὶ τὸ τὸν ἥττω δὲ λόγον κρείττω ποιεῖν τοῦτ’ ἐστίν. καὶ ἐντεῦθεν δικαίως ἐδυσχέραινον οἱ
ἄνθρωποι τὸ Πρωταγόρου ἐπάγγελμα· ψεῦδός τε γάρ ἐστιν καὶ οὐκ ἀληθὲς ἀλλὰ φαινόμενον
εἰκός, καὶ ἐν οὐδεμιᾶι τέχνηι ἀλλ’ ἐν ῥητορικῆι καὶ ἐριστικῆι.
[…] rendere più forte il discorso [l’argomento] più debole. Perciò gli uomini erano giustamente
disgustati dalla professione di Protagora: si tratta, infatti, di cosa falsa, non vera, solo in apparenza
verosimile, e per nessun’altra arte a eccezione di retorica ed eristica. (Aristotele, Retorica B 24.
1402 a 23; DK 80 A21).
Presupponendo che su ogni questione fossero sempre legittimamente sostenibili
discorsi contrapposti, il sofista Protagora offriva l’insegnamento di una tecnica
argomentativa (che da Platone in poi sarebbe stata indicata come «retorica») che
supportasse l’efficacia dell’esame e degli interventi, nel deliberare in merito alla
conduzione degli affari privati (περὶ τῶν οἰκείων) e pubblici (τὰ τῆς πόλεως καὶ πράττειν
καὶ λέγειν). In tali ambiti, in effetti, era ancora giustificato l’appello alla sapienza
(ancorché, dal punto di vista platonico, “illusionistica”):
ἐγὼ γάρ φημι μὲν τὴν ἀλήθειαν ἔχειν ὡς γέγραφα· μέτρον γὰρ ἕκαστον ἡμῶν εἶναι τῶν τε ὄντων
καὶ μή, μυρίον μέντοι διαφέρειν ἕτερον ἑτέρου αὐτῶι τούτωι, ὅτι τῶι μὲν ἄλλα ἔστι τε καὶ
φαίνεται, τῶι δὲ ἄλλα. καὶ σοφίαν καὶ σοφὸν ἄνδρα πολλοῦ δέω τὸ μὴ φάναι εἶναι, ἀλλ’ αὐτὸν
τοῦτον καὶ λέγω σοφόν, ὃς ἄν τινι ἡμῶν, ὧι φαίνεται καὶ ἔστι κακά, μεταβάλλων ποιήσηι ἀγαθὰ
φαίνεσθαί τε καὶ εἶναι.
Affermo in effetti che la verità sta come ho scritto: che misura di tutte le cose è ciascuno di noi, di
quelle che sono e di quelle che non sono, e che siamo infinitamente diversi l’uno dall’altro perché
alcune cose appaiono e sono per uno, altre cose ‹appaiono e sono› per un altro. Sono ben lungi
però dal negare che esistano sapienza e uomo sapiente, e chiamo piuttosto sapiente colui che,
trasformando uno di noi per cui le cose appaiano e siano cattive, sia in grado di farle apparire ed
essere buone. (Teeteto 116 d; DK 80 A21a).
Sapienza “umana”, dell’utile (che discende coerentemente, tautologicamente8, dallo
ἄνθρωπος-µέτρον), dunque, che apertamente reclama per sé uno spazio doxastico: in
questo senso il sarcasmo di Platone:
Τὰ μὲν ἄλλα μοι πάνυ ἡδέως εἴρηκεν, ὡς τὸ δοκοῦν ἑκάστωι τοῦτο καὶ ἔστιν· τὴν δ’ ἀρχὴν τοῦ
λόγου τεθαύμακα, ὅτι οὐκ εἶπεν ἀρχόμενος τῆς Ἀληθείας ὅτι πάντων χρημάτων μέτρον ἐστὶν ὗς ἢ
κυνοκέφαλος ἤ τι ἄλλο ἀτοπώτερον τῶν ἐχόντων αἴσθησιν, ἵνα μεγαλοπρεπῶς καὶ πάνυ
καταφρονητικῶς ἤρξατο ἡμῖν λέγειν, ἐνδεικνύμενος ὅτι ἡμεῖς μὲν αὐτὸν ὥσπερ θεὸν
ἐθαυμάζομεν ἐπὶ σοφίαι, ὁ δ’ ἄρα ἐτύγχανεν ὢν εἰς φρόνησιν οὐδὲν βελτίων βατράχου γυρίνου,
μὴ ὅτι ἄλλου του ἀνθρώπων.
Riguardo alle altre cose, quello che ha detto mi piace moltissimo: che ciò che a ciascuno appare
‹per lui› anche è. Mi meraviglio invece dell’inizio del ‹suo› discorso: che iniziando la Verità non dica
che misura di tutte le cose è il maiale o il cinocefalo o qualsiasi altra più strana creatura dotata di
percezione, così da esordire con grandiosa alterigia, mostrando che noi lo ammiriamo come un dio
per la sapienza, ma che lui, invece, non era migliore per saggezza di un girino di rana, per non dire
di un altro uomo. (Teeteto 161 c; DK 80 b1).
8
Come vuole Versenyi (p. 182).
4
In questa prospettiva – in cui è dissolta l’evidenza della via dell’Essere, e con essa la
Verità (Ἀληθείη) che la Parola (µῦθος) accompagna - è opportuno collocare la
consapevole riflessione su natura e condizioni di possibilità della politica di Protagora (e
rivendicare la dimensione essenzialmente politica della sofistica9). Proprio l’irriverente
accostamento platonico al mondo animale fornisce lo spunto.
Una sapienza che salva
µόνοι γὰρ τόν τε µηδὲν τῶνδε µετέχοντα οὐκ ἀπράγµονα, ἀλλ’
ἀχρεῖον νοµίζοµεν, καὶ οἱ αὐτοὶ ἤτοι κρίνοµέν γε ἢ ἐνθυµούµεθα
ὀρθῶς τὰ πράγµατα, οὐ τοὺς λόγους τοῖς ἔργοις βλάβην ἡγούµενοι,
ἀλλὰ µὴ προδιδαχθῆναι µᾶλλον λόγῳ πρότερον ἢ ἐπὶ ἃ δεῖ ἔργῳ
ἐλθεῖν
Noi soli, infatti, consideriamo il cittadino che non partecipi agli affari
pubblici non inattivo ma inutile; e noi stessi giudichiamo o ponderiamo
correttamente quegli affari, non ritenendo ostacolo all’azione i
discorsi, piuttosto il non essere adeguatamente istruiti con il discorso
prima di procedere con l’azione a ciò che si deve compiere. (Pericle in
Tucidide, II, 40, 2).
Il lungo discorso di Protagora sulle origini della società umana, nell’omonimo dialogo
platonico10, è luogo privilegiato per definire il ruolo culturale e politico che il sofista
rivendicava nel contesto delle poleis greche del V secolo a.C.
Protagora prende la parola dopo aver ascoltato le perplessità espresse da Socrate
sull’effettiva possibilità di insegnare la virtù, e, per illustrare la propria posizione, sceglie,
con l’approvazione dei presenti, di ricorrere a un «racconto» (µῦθος) esemplare, seguito
da un logos esplicativo. L’opzione mitologica, che giustifica l’impianto teologico della
narrazione, non ne deve far perdere di vista la prospettiva essenzialmente politica.
Come noto, apertura e prima parte del racconto, con le imprese dei titani Epimeteo
(colui che pensa dopo aver agito o colui che ha un ripensamento) e Prometeo (colui che
pensa prima di agire, che è previdente), illustrano la strutturale omogeneità naturale tra
i viventi, bestie e uomini: essi, in effetti, condividono matrice materiale e fattura
(impronta) divina:
τυποῦσιν αὐτὰ θεοὶ γῆς ἔνδον ἐκ γῆς καὶ πυρὸς μείξαντες καὶ τῶν ὅσα πυρὶ καὶ γῇ κεράννυται
li modellano gli dei all’interno della terra, da una mescolanza di terra, fuoco e degli elementi che
con fuoco e terra si possono combinare. (Protagora 320 d).
Ai due fratelli è attribuito invece il compito di assegnare alle varie «stirpi mortali» (θνητὰ
γένη), prima della loro effettiva generazione, caratteri e abilità funzionali alla
sopravvivenza: una distribuzione equilibrata, per evitare la reciproca distruzione e
promuoverne la complessiva conservazione. L’improvvida trascuratezza di Epimeteo
(«non del tutto sapiente», οὐ πάνυ τι σοφὸς), tuttavia, destina tutte le «capacità»
(δυνάµεις) disponibili agli «esseri privi di parola» (τὰ ἄλογα), lasciando infine l’umanità
indifesa:
Per questo rimane fondamentale l’intera seconda parte (Du physique au politique) di B. CASSIN, L’effet
sophistique, cit., in particolare il capitolo II (Le lien rhétorique).
10
Discorso che potrebbe ricalcare quanto contenuto in Sulla condizione originaria (Περὶ τῆς ἐν ἀρχῆι
καταστάσεως), opera elencata da Diogene Laerzio nel catalogo dei «libri» (βιβλία) conservati di
Protagora. GUTHRIE, The Sophists, cit., pp. 63-64; G.B. KERFERD-H. FLASHAR, Die Sophistik, cit., p. 31.
9
5
τὸν δὲ ἄνθρωπον γυμνόν τε καὶ ἀνυπόδητον καὶ ἄστρωτον καὶ ἄοπλον
l’uomo era nudo, scalzo, senza giaciglio e inerme (321 c),
priva di disposizioni e risorse naturali per un’efficace condotta conservativa. Per porre
rimedio a tale situazione, prima che anche il genere umano vedesse la luce, e provvedere
alla «salvezza dell’uomo» (σωτηρία τῷ ἀνθρώπῳ) di fronte alla forza degli elementi e
alla concorrenza animale, Prometeo sottrae furtivamente ad Atena ed Efesto la
«sapienza tecnica» (ἔντεχνος σοφία) insieme al fuoco necessario per attivarla, e ne fa
dono agli uomini:
τὴν μὲν οὖν περὶ τὸν βίον σοφίαν ἄνθρωπος ταύτῃ ἔσχεν, τὴν δὲ πολιτικὴν οὐκ εἶχεν
In questo modo, dunque, l’uomo ottenne la sapienza per la vita [indispensabile per vivere], ma non
possedeva la sapienza politica. (Protagora 321 d).
Il furto prometeico dota la natura umana di predisposizioni essenziali per i primi sviluppi
della civiltà: di una forma di razionalità (ἔντεχνος σοφία) che gli dei, da quel momento,
condivideranno con gli uomini. Questa la colpa di cui il titano dovrà rendere conto:
Προμηθέα δὲ δι’ Ἐπιμηθέα ὕστερον, ᾗπερ λέγεται, κλοπῆς δίκη μετῆλθεν
Prometeo, invece, a causa di Epimeteo, come si narra, fu in seguito punito per il furto. (321 e).
All’esercizio di quella razionalità tecnica sono riconducibili le condizioni elementari di
emancipazione dell’umanità, le «risorse per la vita» (εὐπορία τοῦ βίου): in primo luogo
la cura religiosa, segno delle ascendenze divine dei doni di Prometeo:
Ἐπειδὴ δὲ ὁ ἄνθρωπος θείας μετέσχε μοίρας, πρῶτον μὲν διὰ τὴν τοῦ θεοῦ συγγένειαν ζῴων
μόνον θεοὺς ἐνόμισεν, καὶ ἐπεχείρει βωμούς τε ἱδρύεσθαι καὶ ἀγάλματα θεῶν·
Dopo che l’uomo partecipò della condizione divina, dapprima, per questa parentela con il dio [il
divino], unico tra gli animali credette negli dei, e cominciò a erigere altari e statue degli dei. (322
a),
poi la formazione del linguaggio (facilitatore delle relazioni umane), la realizzazione dei
primi strumenti tecnici, le trasformazioni dell’ambiente a proprio vantaggio:
ἔπειτα φωνὴν καὶ ὀνόματα ταχὺ διηρθρώσατο τῇ τέχνῃ, καὶ οἰκήσεις καὶ ἐσθῆτας καὶ ὑποδέσεις
καὶ στρωμνὰς καὶ τὰς ἐκ γῆς τροφὰς ηὕρετο
subito dopo con la tecnica sciolse la voce e articolò i nomi, inventò abitazioni, vesti, calzari e letti,
e scoprì i nutrimenti che si ricavano dalla terra. (322 a).
Nonostante la τέχνη, tuttavia, le creature dei titani continuano a essere esposti
all’aggressione delle bestie e alla reciproca aggressività, a dispetto di tentativi di
associazione:
ἐζήτουν δὴ ἁθροίζεσθαι καὶ σῴζεσθαι κτίζοντες πόλεις· ὅτ’ οὖν ἁθροισθεῖεν, ἠδίκουν ἀλλήλους
ἅτε οὐκ ἔχοντες τὴν πολιτικὴν τέχνην, ὥστε πάλιν σκεδαννύμενοι διεφθείροντο.
Cercavano allora di riunirsi e salvarsi fondando città; ma appena si riunivano commettevano
reciprocamente ingiustizia, dal momento che non possedevano l’arte politica: così, di nuovo
separandosi, perivano. (322 b).
Per costruire la civiltà è richiesta un’ulteriore condizione, non surrogabile da espediente
tecnico: l’umanità prometeica non è ancora adeguatamente “attrezzata” per una stabile
convivenza sociale, risorsa essenziale di fronte alle insidie dell’ambiente naturale e
animale. La sapienza che salva è dunque quella (in origine assente) che conosce i modi
6
per costruire tra gli uomini, nel reciproco rispetto, un saldo legame in vista della comune
sicurezza. Nel racconto platonico essa è effetto del dono divino di Zeus, tramite il
mediatore Ermes: in questo caso, tuttavia, non si tratta di distribuire funzionalmente
abilità (per garantire complessivamente un soccorso efficace e spingere
all’integrazione), piuttosto di creare le condizioni affinché tutti possano, con le proprie
risorse, concorrere pacificamente alla (salvifica) impresa collettiva. Così «rispetto»
(αἰδώς, anche pudore) e «giustizia» (δίκη) sono indiscriminatamente ripartiti tra gli
uomini:
“Ἐπὶ πάντας,” ἔφη ὁ Ζεύς, “καὶ πάντες μετεχόντων· οὐ γὰρ ἂν γένοιντο πόλεις, εἰ ὀλίγοι αὐτῶν
μετέχοιεν ὥσπερ ἄλλων τεχνῶν· καὶ νόμον γε θὲς παρ’ ἐμοῦ τὸν μὴ δυνάμενον αἰδοῦς καὶ δίκης
μετέχειν κτείνειν ὡς νόσον πόλεως.”
“A tutti – disse Zeus – e tutti ne partecipino: non potrebbero nascere città, se pochi partecipassero
di essi [rispetto e giustizia], come avviene per le altre arti. E poni a mio nome la legge di uccidere,
come malattia della città, chi non sia in grado di partecipare di rispetto e giustizia.” (322 d).
A dispetto delle arti, e nonostante il logos, l’umanità prometeica non è ancora
emancipata dalla natura bruta, a causa dell’ignoranza dell’esercizio politico del logos11.
Logos e consenso
Scriptasque fuisse et paratas a Protagora rerum inlustrium
disputationes, quae nunc communes appellantur loci
Da Protagora furono composte e preparate trattazioni su questioni
rilevanti, che ora sono chiamate «luoghi comuni». (Cicerone; DK 80 B6)
Che, almeno nella riproposizione platonica, il mito di Protagora non fosse inteso
propriamente a ricostruire le prime tappe della civilizzazione, ma a determinarne le
condizioni (e dunque, in questo senso, «mito di struttura»12), essenzialmente politiche,
è chiaro da alcuni elementi della narrazione (oltreché dal logos di commento). Alla
dotazione naturale che dispone gli animali alla conservazione è contrapposto l’artificio
– assicurato dalla razionalità tecnica - con cui gli uomini, in concorso, attendono allo
stesso risultato: l’uomo è, in questa prospettiva, animale “razionale”, nel senso che
partecipa, in forza del dono titanico, della (divina) ἔντεχνος σοφία, in pratica della
capacità linguistica e demiurgica (questa distribuita in modo differenziato), e “politico”,
in quanto destinato (per conservarsi) a vivere in comunità con altri uomini, a condividere
lo spazio della polis, in forza del dono divino:
Ζεὺς οὖν δείσας περὶ τῷ γένει ἡμῶν μὴ ἀπόλοιτο πᾶν, Ἑρμῆν πέμπει ἄγοντα εἰς ἀνθρώπους αἰδῶ
τε καὶ δίκην, ἵν’ εἶεν πόλεων κόσμοι τε καὶ δεσμοὶ φιλίας συναγωγοί
Zeus allora, temendo che la nostra stirpe si estinguesse del tutto, inviò Ermes a portare agli uomini
rispetto e giustizia, affinché fossero principi ordinatori di città e legami vincolanti di amicizia. (322
c).
B. CASSIN, L’effet sophistique, cit., p. 218.
Ha insistito, a più riprese, su questo punto Bonazzi: M. BONAZZI, “Atene, i sofisti e la democrazia.
Protagora e i suoi critici”, «Il pensiero politico», 27, 2004, pp. 333-359; I Sofisti, prefazione di F. TRABATTONI,
introduzione, traduzione e note di M. BONAZZI, Milano, BUR Rizzoli, 2007, p. 36; “Protagoras d’Abdère”,
Présentation, traduction et notes par M. BONAZZI, in Les Sophistes I. De Protagoras à Critias, Présentations
et traductions sous la direction de J.-F. PRADEAU, Paris, Flammarion, 2009, p. 470; M. BONAZZI, I Sofisti,
Roma, Carocci, 2010, p. 88.
11
12
7
Le condizioni che garantiscono la vita associata (dunque la salvezza) - αἰδώς e δίκη –
sono a un tempo “morali”, nella misura in cui plasmano i costumi degli uomini,
motivando al rispetto delle regole, e “politiche”, in quanto quel rispetto rende possibile
ordinare le loro relazioni, trasformando la semplice aggregazione in una convivenza
cooperativa. Nell’interpretazione del Protagora platonico, esse sono i presupposti della
peculiare razionalità (politica) di cui partecipa l’umanità:
καὶ διὰ ταῦτα οἵ τε ἄλλοι καὶ Ἀθηναῖοι, ὅταν μὲν περὶ ἀρετῆς τεκτονικῆς ᾖ λόγος ἢ ἄλλης τινὸς
δημιουργικῆς, ὀλίγοις οἴονται μετεῖναι συμβουλῆς [...] ὅταν δὲ εἰς συμβουλὴν πολιτικῆς ἀρετῆς
ἴωσιν, ἣν δεῖ διὰ δικαιοσύνης πᾶσαν ἰέναι καὶ σωφροσύνης, εἰκότως ἅπαντος ἀνδρὸς ἀνέχονται,
ὡς παντὶ προσῆκον ταύτης γε μετέχειν τῆς ἀρετῆς ἢ μὴ εἶναι πόλεις.
e per questo gli Ateniesi e anche tutti gli altri, quando il discorso verte sull’abilità architettonica o
su qualche altro mestiere, riconoscono a pochi di prendere parte alla consultazione [...] quando,
invece, si riuniscono per consultarsi in materia di eccellenza [virtù] politica, che richiede si proceda
esclusivamente secondo giustizia e saggezza, essi naturalmente accettano il consiglio di ognuno,
nella convinzione che a tutti sia dato partecipare di questa eccellenza [virtù], altrimenti non vi
sarebbero città. (322 d-323 a).
Il commento rivela trattarsi di potenzialità che si esprimono nella συµβουλή (consiglio,
deliberazione), quindi nell’esercizio del λόγος (discorso), che richiede preparazione, cura
ed esercizio (ἐπιµέλεια), come sottolinea ancora il Protagora platonico:
Ὅτι μὲν οὖν πάντ’ ἄνδρα εἰκότως ἀποδέχονται περὶ ταύτης τῆς ἀρετῆς σύμβουλον διὰ τὸ ἡγεῖσθαι
παντὶ μετεῖναι αὐτῆς, ταῦτα λέγω· ὅτι δὲ αὐτὴν οὐ φύσει ἡγοῦνται εἶναι οὐδ’ ἀπὸ τοῦ αὐτομάτου,
ἀλλὰ διδακτόν τε καὶ ἐξ ἐπιμελείας παραγίγνεσθαι ᾧ ἂν παραγίγνηται, τοῦτό σοι μετὰ τοῦτο
πειράσομαι ἀποδεῖξαι.
Che [gli Ateniesi] accettino, come cosa naturale, che ogni uomo dia consigli in materia di eccellenza
[virtù] politica, poiché convinti che tutti partecipino di essa, queste cose ti ribadisco. Che siano
convinti che essa non sia per natura, né per caso, ma insegnata e acquisita per esercizio da colui
che l’acquisisce, è ciò che ora cercherò di dimostrarti. (323 c).
Precedentemente (318 d), il sofista aveva rivendicato «l’insegnamento» (τὸ µάθηµα)
della εὐβουλία, cioè della capacità di deliberare efficacemente, in ambito privato e
pubblico, marcando il nesso tra conduzione degli affari della città (τὰ τῆς πόλεως
πράττειν) e discorso (λέγειν). Una conferma in un aneddoto riferito da Plutarco:
πεντάθλου γάρ τινος ἀκοντίωι πατάξαντος Ἐπίτιμον τὸν Φαρσάλιον ἀκουσίως καὶ κτείναντος,
ἡμέραν ὅλην ἀναλῶσαι μετὰ Πρωταγόρου διαποροῦντα, πότερον τὸ ἀκόντιον ἢ τὸν βαλόντα
μᾶλλον ἢ τοὺς ἀγωνοθέτας κατὰ τὸν ὀρθότατον λόγον αἰτίους χρὴ τοῦ πάθους ἡγεῖσθαι.
Avendo un atleta di pentatlo colpito involontariamente con il giavellotto e ucciso Epitimo di
Farsalo, ‹Pericle› trascorse un’intera giornata a discutere con Protagora se, secondo il discorso
[ragionamento] più corretto, fosse da ritenere causa [responsabile] dell’incidente: il giavellotto, o
colui che lo aveva lanciato, o i giudici di gara. (Plutarco; DK 80 A10).
La «virtù politica» (πολιτικὴ ἀρετή), chiaramente ricondotta alla «tecnica politica»
(πολιτικὴ τέχνη) grazie alla quale gli uomini possono, con successo, provvedere
stabilmente alla reciproca sicurezza e assistenza (e dunque al benessere, personale e
sociale), trova, allora, nella disciplina del λόγος il proprio mezzo essenziale13. Come
ricorda Aristotele:
13
E. SCHIAPPA, Protagoras and Logos..., cit., p. 185.
8
ἡ τῶν πιθανῶν λόγων χρῆσις πρὸς κρίσιν ἐστί
l’uso dei discorsi persuasivi è in vista della decisione [ovvero del giudizio] (Retorica 1391 b7).
Concretamente, l’esercizio del discorso mira, partendo dai diversi punti di vista coinvolti
nella discussione, a realizzare consenso, costruire accordi, traducendoli in decisioni
comuni: politicamente, nell’ordine delle leggi, in una dimensione, quindi,
esclusivamente umana (strutturalmente preclusa agli animali).
Altissima la considerazione del contributo politico del «parlare corretto» (ὀρθῶς λέγεν)
nel trattato anonimo Dialexeis (Δισσοὶ λόγοι, Discorsi duplici):
δεῖ δὲ ἐπίστασθαι τὸν μέλλοντα ὀρθῶς λέγεν, περὶ ὅτων κα λέγηι, <τὰ πράγματα>, καὶ τὰ μὲν
ἀγαθὰ ὀρθῶς διδάσκεν τὴν πόλιν πράσσεν, τὰ δὲ κακά τως κωλύειν.
Chi intenda parlare in modo corretto, deve conoscere le cose di cui parla e deve istruire in modo
corretto la città a compiere le azioni buone, dissuadendola dal compiere quelle cattive. (DK 90
B8.6).
Per questo la virtù politica, declinata come «giustizia, temperanza e santità»
(δικαιοσύνη καὶ σωφροσύνη καὶ τὸ ὅσιον), qualità essenziali alla vita associata, è
identificata (325 a) come «virtù umana» (ἀνδρὸς ἀρετή) per eccellenza: apprezzata non
tanto come un bene in sé, ma in quanto utile, efficace per la città14.
A dispetto della tradizione interpretativa, valutata alla luce del grande mito del dialogo
platonico, la posizione di Protagora appare allora diversa da quella del sostenitore di una
forma estrema di relativismo soggettivistico. La rinuncia alla Verità e la rivendicazione
della centralità delle opinioni risultano piuttosto funzionali all’elaborazione di un
modello alternativo di sapienza, fondamentale per la comunità e le sue scelte15. Una
sapienza che si propone come risorsa imprescindibile per la costruzione dello spazio
pubblico, nella misura in cui, senza trascurare la pluralità (anche conflittuale) di obiettivi
e valori, è in grado di fornire uno strumento mirato all’«intersoggettività»16, a un tempo
suscitando interrogativi (promuovendo una riflessione critica) su temi di interesse
generale, e fornendo, con l’educazione al logos, la chiave essenziale per disinnescare
contese e realizzare consenso17.
Dario Zucchello
Como, dicembre 2015
A.W.H. ADKINS, “ἀρετή, τέχνη, Democracy and Sophists: Protagoras 316b-328d”, «The Journal of
Hellenic Studies», Vol. 93 (1973), (pp. 3-12), p. 4.
15
Su questo F. CAIZZI DECLEVA, Protagoras and Antiphon: Sophistic Debates on Justice, in The Cambridge
Companion to Early Greek Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 1999, (pp. 311-331), p.
319.
16
J. MANSFELD, Protagoras on Epistemological Obstacles and Persons, in The Sophists and Their Legacy,
edited by G.B. KERFERD, Wiesbaden, Steiner Verlag, 1981, (pp. 38-53), p. 47.
17
Su questo punto ha insistito, ripetutamente e in modo convincente, Bonazzi. In ultimo BONAZZI, I Sofisti,
cit., p. 38.
14
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