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© Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Articoli/8: Sarah Kofman. Filosofa impertinente, scrittrice senza potere di Paola Di Cori Articolo sottoposto a peer-review. Ricevuto il 15/01/2013 Accettato il 12/02/2013 Abstract: Sarah Kofman (1934-1994) has been one of the most brilliant French philosophers of her generation. She was a highly acclaimed interpreter of Freud and Nietzsche and published more than 30 books and many articles on art, psychoanalysis, literature and the philosophical tradition from Socrates to Derrida. She was reknown for her independent thought, her humorous nature, feminist stance and her ability in drawing and painting. She often lectured in the United States and Switzerland and her books have been translated in several languages. She studied with Hyppolite and Deleuze, and taught at the Sorbonne University in Paris from 1970 onwards. She was close to Derrida, Nancy and Lacoue-Labarthe, and worked with them for 20 years creating an important editorial series – «Philosophie en effet», for the Galilée publisher. She was a child under the Vichy régime in Paris; her father – a rabbi of Polish origins - was deported and died in Auschwitz, her 5 brothers and sisters were dispersed in various refuges in the countryside, while Sarah and her mother spent the years of the nazi occupation in hiding. She wrote on this tragic infancy in her last book – Rue Ordener, rue Labat; soon after the publication of the book she committed suicide. *** Mio padre, un rabbino, è stato ucciso per aver voluto rispettare lo shabbat nei campi della morte; sotterrato vivo a colpi di zappa per aver rifiutato – hanno riportato i testimoni – di lavorare quel giorno; per celebrare lo shabbat, pregando Dio per tutti loro, vittime e carnefici, ristabilendo in questa situazione di impotenza e di violenza estreme un rapporto che sfuggiva ad ogni potere. E questo per loro è stato insopportabile: che perfino nei campi un ebreo, questo parassita, non disperasse di Dio1. […] in apparenza, anatomicamente parlando, sono una donna, e quindi scrivo come una donna. In realtà, io scrivo innanzitutto come ‘filosofo’. Ma come ho dimostrato nel mio libro su Auguste Comte – e anch’io ubbidisco a questa legge – anche in un testo filosofico, un testo cosiddetto puramente razionale e sistematico, indipendente da ogni soggettività empirica e patologica, e quindi di sessualità, non è possibile separare il testo dalla posizione sessuale del suo autore. E non è possibile che quella posizione sia identificabile con il sesso anatomico. Vale a dire che non si è né uomo né donna: queste categorie sono anatomiche e sociali S. Kofman, Paroles suffoquées, Paris 1987, pp. 41-42; trad. it. di E. Manfredotti, Genova 2010, p.45. La traduzione italiana è stata leggermente modificata. 1 351 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia e rinviano alla tradizione metafisica da Aristotele in poi. La tradizione metafisica, essenzialmente maschile, come mossa (messa in moto) da una paura paranoide, ha sempre avuto una gran paura della confusione tra i sessi2. Occorre pensare in un modo diverso le categorie di femminile e maschile. Così anche per la nozione di ‘bisessualità’, se ciò implica un femminile e un maschile intesi come originariamente disgiunti. Occorre pensare in altro modo. Ma come? A mio avviso, nel momento presente, nessuno lo sa, questa non è l’ultima parola, è il primo passo. Ma «Il n’y a que le prémier pas qui coûte»3. Nel concludere questo libro oggi, 25 settembre, giorno di Yom Kippur, non posso evitare di raccontare questa storiella ebraica riportata da Theodor Reik: «due ebrei nemici di lunga data, si incontrano in sinagoga, il giorno del Grande Perdono. L’uno dice all’altro: ‘ti auguro ciò che tu mi auguri’. E l’altro ribatte: ‘ricominci di nuovo?’4. Quale posto per Sarah? In queste citazioni, da testi che risalgono alla piena maturità di Sarah Kofman, si riassumono alcuni temi fondamentali della sua riflessione: l’idea, ripresa da Blanchot, di una scrittura senza potere, indispensabile per far risuonare la voce degli altri, risultato di esperienze estreme come la Shoah, che la filosofa sviluppa nel libro in cui riflette sulla morte del padre ad Auschwitz; la critica alla pretesa di chi cerca di separare la scrittura filosofica dalla posizione sessuale di chi scrive; il superamento dell’idea che esista una essenza della donna, «compito irrealizzabile, metafisico, degno della poesia […] la donna come tale, essenza eterna, non esiste»5; l’impossibilità del perdono e la risata complice che deriva da questa consapevolezza. Nei paragrafi che seguono mi limito a tracciare un breve profilo di questa studiosa, ancora poco nota rispetto ad altre intellettuali francesi di spicco della sua generazione, e suggerire alcuni spunti di lettura ricavati dalla sua ricchissima produzione. Considerata una figura di secondo piano, abitualmente ignorata nelle ricostruzioni intorno allo straordinario rinascimento culturale caratteristico della Francia nel secondo dopoguerra, Sarah Kofman è pressoché una sconosciuta in Italia; anche se possiamo annoverare un importante saggio su Nietzsche pubblicato nel 1976 e la tempestiva traduzione de L’énigme de la femme (1980), in cui viene elaborata una importante lettura critica degli scritti di Freud sulla femminilità. Senza dimenticare che la prima monografia dedicata al suo pensiero è stata scritta da una studiosa italiana6. S. Kofman, in Shifting Scenes. Interviews on Women, Writing, and Politics in Post-68 France, a cura di Alice A.Jardine e Anne M.Menke, New York 1991, pp. 104-112, p. 105. 3 S. Kofman, La question des femmes: une impasse pour les philosophes, in «Les Cahiers du GRIF», n. 46, 1992, pp. 65-74, p.73. 4 S. Kofman, Pourquoi rit-on? Freud et le mot d’esprit, Paris 1986, p. 198. 5 S. Kofman, L’enigma donna. La sessualità femminile nei testi di Freud, trad. it. di Luisa Muraro Milano 1982, p. 109. 6 Cfr. S. Kofman, Baubô (Perversion théologique et fétichisme chez Nietzsche), in «Nuova Corrente», n.68-69, 1975-1976, pp. 648-680, pubblicato in francese e incluso in un numero 2 352 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Passato del tutto sotto silenzio è il fatto che questa filosofa è stata una delle prime, e tra le poche, filosofe francesi che negli anni Settanta parlava di differenza sessuale dall’interno della istituzione accademica, e dentro il proprio lavoro scientifico. Che il sapere non fosse neutro ma sessuato è stato un principio che ha guidato il suo percorso intellettuale e caratterizzato gli scritti e l’insegnamento. Kofman non scrive seguendo i criteri tradizionali del saggio accademico, né si mostra ubbidiente e sottomessa nei confronti di una scuola di pensiero, anche se le sue scelte teoriche la collocano all’interno del gruppo che lavora accanto a Derrida e alla decostruzione. L’impressione che suscita nella lettura è quella di una mente straordinariamente arguta e appassionata ai temi sui quali scrive; che sembra burlarsi degli autori trattati – tutti rigorosamente di sesso maschile – cui è legata da profonda ammirazione, ma dei quali cerca sempre una linea interna nascosta da evidenziare: quella che unisce in forma inestricabile l’argomento trattato con alcuni elementi radicati nella biografia. Se la filosofia ha sempre tenuto accuratamente separate le idee dalla vita dei filosofi, Kofman rovescia questo assunto mostrando quanto le idee siano del tutto incomprensibili senza scavare nei destini personali dei filosofi; ridendone. Il y a pour moi une sorte de jubilation – dice – à montrer chez les philosophes les plus grandes qui croient poursuivre une recherche rationnelle, pure, indipendente de leurs pulsions, qu’ils se trouvent à leur insu menés par elles, même si, évidemment, le destin de la pensée n’est pas réductible au destin des pulsions7. Sarah Kofman parla dall’interno di un’istituzione accademica precisa – la Sorbonne, la più antica e principale università di Parigi; parla dall’interno di una disciplina – la filosofia – che è un luogo tradizionalmente dominato dal sapere maschile neutro, un sapere che non concepisce il corpo, tantomeno quello sessuato. Ma anziché fare come Luce Irigaray, la cui parola suonerà talmente trasgressiva da non consentire né all’istituzione psicoanalitica lacaniana cui appartiene di continuare ad accoglierla, né a lei stessa di rimanervi dentro, Kofman decide invece di non lasciarla e di costruire uno spazio di parola e di scrittura radicalmente autonome. Il gruppo dei filosofi a lei più vicino è d’altra parte un gruppo particolare, dominato dalla presenza di Derrida, vale a dire da qualcuno che è il primo, sul finire degli anni Sessanta a parlare proprio della filosofia come ambito dominato dal potere della parola maschile, e conia il termine fallogocentrismo per caratterizzarlo. speciale dedicato a Nietzsche; cfr. Ead., L’enigma donna, cit.; cfr. A. M. Verna, Le seduzioni del doppio, Torino 2003. Di recente sono uscite, in Inghilterra e in Francia, altre due monografie: J. E. P. Tan, Sarah Kofman as Philosopher of the Uncanny Double: Sarah Kofman’s Appropriation of Nietzsche and Freud, Milton Keynes 2011; M. Frackowiak, Sarah Kofman et le devenir-femme des philosophes, Paris 2012. 7 S. Kofman, La question des femmes: une impasse pour les philosophes, in «Les Cahiers du GRIF», cit., p.65. 353 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia D’altra parte, è bene ricordare che all’interno della accademia e della cultura francese degli anni Sessanta, affrontare i temi relativi alle differenze sessuali è meno trasgressivo ed eversivo di quanto non fosse e non sia ancora oggi in quella italiana. Da un lato si tratta di una cultura dove nel corso del dopoguerra si è andato affermando lo strutturalismo – prevalente in linguistica ma soprattutto in antropologia, con Lévi-Strauss; vale a dire una disciplina che privilegia lo studio della parentela e dei ruoli sessuali. Accanto a linguisti e antropologi, insieme ad essi, troneggia la figura di Jaques Lacan, il grande psicoanalista che rinnoverà la lezione di Freud e che dedicherà alla differenza sessuale alcuni memorabili corsi da lui tenuti, in particolare quello del seminario XX del 1972-73 Encore. E poi c’è Foucault, che dal 1970 in avanti insegnerà al Collége de France, e proprio a metà del decennio avvia il suo progetto di storia della sessualità con la pubblicazione de La volontà di sapere nel 1976. La partecipazione attiva nel dibattito pubblico di brillanti intellettuali vicine o dentro al femminismo – Julia Kristeva, Hélène Cixous, Luce Irigaray, Monique Schneider, il gruppo dei «Cahiers du Grif» di «Questions féministes», e last but not least la presenza di Simone de Beauvoir nel gruppo redazionale di «Les Temps modernes»; per nominare soltanto alcuni dei nomi più cospicui – accompagna e fa da sfondo all’evoluzione intellettuale di Sarah Kofman. La loro presenza, per quanto non dominante, è tutt’altro che secondaria o marginale all’interno del mondo accademico e intellettuale d’oltralpe. Gli interventi alla giornata di omaggio organizzata presso il Collège Internationale de Philosophie da Françoise Collin e Françoise Proust a due anni dalla scomparsa, il 16 novembre 1996, riuniti successivamente in un fascicolo speciale che le dedicano i «Cahiers du Grif», insieme ad alcuni brevi scritti autobiografici inediti, a disegni e autoritratti – a Sarah piaceva disegnare e dipingere, e lo faceva con abilità - cominciano ad apportare alcune correzioni al profilo di pensatrice irrilevante e periferica che l’ha rappresentata per lungo tempo8. I «Cahiers», accanto agli scritti delle curatrici e di alcuni colleghe, comprendono i contributi di coloro insieme ai quali ha curato per oltre un ventennio una collana di filosofia dell’editore Galilée, Jean-Luc Nancy e Jacques Derrida. Quest’ultimo scrive per l’occasione un commosso ed elaborato saggio, omaggio postumo in onore di una amica e interlocutrice per tanti anni, con la quale egli ricorda di aver anche tanto litigato e discusso 9. Sarah Kofman, «Les Cahiers du Grif», 1997. Includono scritti di F. Colline, F. Proust, J.-L. Nancy, M. Schneider, J. Maurel, M.-B.Tahon, F. Duroux, J. J. Hermsen, J. Derrida. I disegni lasciati da Kofman sono molte centinaia, soprattutto di volti privati del corpo; alcuni vengono riprodotti in due numeri recenti della rivista «Fusées», il n.16, 2009 e il n.17, 2010. In occasione dell’uscita dei «Cahiers», il 29 aprile 1998 si è svolto presso l’università di Torino nell’ambito delle attività del CIRSDE (Centro Interdipartimentale di ricerche e studi delle donne), un seminario/conversazione e commemorazione pubblica in ricordo della filosofa scomparsa organizzato da Edda Melon e da chi scrive. Riprendo in queste pagine alcune delle considerazioni discusse durante quell’incontro. 9 Cfr. le prime pagine dello scritto di Derrida in «Cahiers du Grif», cit., pp. 131-165, in particolare alle pagine 134-135. Su questo saggio v. più avanti. 8 354 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Il mondo anglofono, che da decenni ha sviluppato un vivo interesse per la cultura filosofica e letteraria francese, si è mostrato dal canto suo molto ricettivo nei confronti della riflessione kofmaniana. Già all’indomani della morte, un necrologio sul quotidiano inglese Guardian la salutava come «uno dei più eminenti filosofi della 10 sua generazione» . Negli Stati Uniti, intanto, ormai da tempo era andata crescendo una vera e propria area di studi intorno a Kofman, i cui scritti sono pubblicati fin dagli anni ‘70 da riviste come Sub-stance, Social Text e Yale French Studies; un volume di saggi in inglese del 1999 – dal titolo Enigmas, riferito al suo libro su Freud e la femminilità – la consacra come filosofa francese di primo piano11. È di pochi anni fa l’iniziativa della casa editrice dell’università di Stanford di raccogliere una antologia di saggi editi e inediti in inglese, mentre un’ottima raccolta di studi è servita a sottolineare l’originalità dello sguardo critico kofmaniano su arte, filosofia, ebraismo, femminilità e psicoanalisi12. Buona parte delle diverse antologie esistenti intorno alla filosofia delle donne in Francia uscite successivamente alla morte non manca di includerla tra le figure di spicco13; così fanno anche alcuni testi generali sulla filosofia francese contemporanea14. Un impegno di lavoro intellettuale dispiegato in oltre trenta volumi e decine di articoli – molti dei quali concentrati su Nietzsche, Freud, Derrida, oltre a saggi sul pensiero di Sartre, Comte, Kant e Rousseau; su Platone e la filosofia antica; sull’enigma donna in psicoanalisi, in filosofia, nel cinema, La citazione è in apertura della bella voce biografica che Mary Lydon ha scritto per la Columbia History of Twentieth-Century French Thought, a cura di Lawrence D. Kritzman, New York 2006; cfr. Sarah Kofman (1934-1994), ivi, pp. 553-555. 11 Questi ultimi dedicano alla memoria di Sarah, da poco scomparsa, il fascicolo speciale intitolato Another Look, Another Woman: Retranslations of French Feminism; cfr. «Yale French Studies», n. 87, 1995. 12 S. Kofman, Selected Writings, a cura di T. Albrecht, con G. Albert e E. Rottenberg, Stanford 2007; T. Chanter e P. de Armitt (a cura di), Sarah Kofman’s Corpus, New York 2008. 13 Cfr. French Feminist Thought. A Reader, a cura di T. Moi, Oxford 1987; D. Cavallaro, French Feminist Thought, London 2003; C. Howells, (a cura di), French Women Philosophers, London 2004. 14 Cfr. G. Lloyd (a cura di), Feminism & History of Philosophy, Oxford 2002; A. D. Schrift, Twentieth-Century French Philosophy. Key Themes and Thinkers, Oxford 2006 e la voce di M. Lydon per la Columbia History of Twientieth-Century French Thought, cit. 10 355 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia nella storia dell’arte; Rembrandt, Shakespeare, Oscar Wilde, Nerval; antisemitismo e identità ebraica; un’opera, infine, che include due libri autobiografici di forte impatto riguardanti l’esistenza quotidiana e la lotta per la sopravvivenza degli ebrei nella Francia di Vichy: Paroles suffoquées, che è stato pubblicato nel 1987; Rue Ordener, rue Labat, scritto nel corso del 1994 e uscito poco prima che la filosofa si suicidasse. Per chi cerca di approfondire l’opera di Sarah Kofman questo significa dover affrontare una ricchissima produzione disposta su molti piani differenti relativi a letteratura, psicoanalisi e filosofia; un compito arduo dove i confini tra biografia, autobiografia e riflessione teorica si spostano continuamente fino a rivelarsi vere e proprie paratie di carta trasparente. Inoltre, un percorso così multiforme è un invito a interrogarsi sui tanti significati possibili, per nulla scontati, di una vita filosofica femminile nell’Europa del ‘900, e considerare Sarah Kofman alla luce delle numerose ‘riscoperte’ che negli ultimi decenni hanno dato spazio e importanza a filosofe della generazione immediatamente precedente alla sua, di solito considerate marginali rispetto alla tradizione europea dominante, la cui esistenza è stata sconvolta dal nazismo e dalle dittature - da Hannah Arendt a Maria Zambrano, da Simone Weil a Edith Stein e Jeanne Hersch15. Anche nel caso di Sarah, la quale si situa a una certa distanza rispetto ad altre filosofe a lei contemporanee attive in Francia con le quali non condivideva né posizioni politiche né approcci teorici (Irigaray, Cixous, Collin, Agacinski, per fare qualche esempio) è giunto il momento di rovesciare la tendenza che per troppo tempo ha relegato la sua opera come un prodotto di secondo ordine. Ancora una volta si ripropone così la questione di dove collocarla. In maniera simile a quella toccata alle pensatrici sopra ricordate, che hanno condiviso insieme a lei una posizione ritenuta instabile rispetto alla disciplina filosofica e alle sue più affermate ramificazioni, il problema principale rimane invariabilmente quello di una mancata appartenenza accertabile; le loro idee sembrano non acquistare peso, rimanere evanescenti e lievi per aria se non vengono ‘infilzate’, sistemate come insetti nella vetrina dell’entomologo di turno allo scopo di rendere immediatamente visibili e legittimati prestiti, dipendenze e affiliazioni, custodite al sicuro (magari al buio).«Pensare senza balaustre» sono state le parole con cui Hannah Nel volume di A. Cavarero e F. Restaino, Le filosofie femministe, Milano 2002, in un breve paragrafo sulla filosofia femminista francese, Kofman viene sbrigativamente liquidata come «allieva di Lacan», una definizione del tutto errata; nei molti saggi e libri da lei dedicati a Freud, infatti, Lacan è quasi assente, e non è mai stato un riferimento importante della sua riflessione teorica sulla psicoanalisi. Cfr. ivi, p. 49. Altrettanto assente appare nella Filosofia delle donne di P. Garavaso e N. Vassallo, Roma-Bari 2007, dove non è neanche menzionata. 15 356 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Arendt si era espressa riferendosi alla natura irriducibilmente autonoma delle proprie idee; un concetto che aveva ripreso nel carteggio con Gershom Scholem16. Quello stesso anno una assai giovane Kofman pubblicava intanto il suo primo articolo di argomento filosofico17. Più giovane d’età rispetto alle altre filosofe ricordate, e di formazione intellettuale diversa, Sarah era nata a Parigi nel 1934; i genitori erano ebrei polacchi emigrati in Francia nel 1929. Durante l’occupazione nazista – come racconta lei stessa in Rue Ordener, rue Labat – la famiglia Kofman è costretta a lasciare l’appartamento di rue Ordener per andare in cerca di nascondigli sicuri. Nel corso di un rastrellamento del luglio 1942, quando migliaia di ebrei francesi vengono deportati, la polizia arresta il padre, il rabbino Berek; quest’ultimo viene rinchiuso a Drancy per essere avviato ad Auschwitz, dove morirà poco dopo. Mentre gli altri cinque fratelli sono sistemati nella campagna normanna e a Nonancourt, la piccola Sarah, che nel 1942 ha 8 anni, rifiuta di separarsi dalla madre. Dopo aver girovagato alla disperata in cerca di ripari di fortuna e di cibo, entrambe trovano rifugio in rue Labat presso l’alloggio di una donna cristiana, ex-vicina di casa, che la bambina chiama mémé, cui si affeziona come a una seconda madre e che le appare più dolce e permissiva di quella naturale; con alterne vicende trascorre insieme a lei il periodo di smembramento della famiglia fino alla liberazione di Parigi nell’agosto del ‘44. Questa infanzia tormentata e tragica, divisa dall’amore e attaccamento verso l’una e l’altra delle due figure materne presenti, è al centro dell’ultimo libro pubblicato in vita dalla filosofa, intitolato con i nomi delle strade abitate negli anni di guerra, separate soltanto da una fermata di métro18. L’ambivalenza, il doppio, la difficile scelta tra due modelli di madre, rimarranno elementi centrali dell’intera produzione di Kofman, come un’impronta incancellabile: dall’illustrazione scelta per la copertina del primo libro (il dipinto di Leonardo noto come «cartone di Londra», S.Anna, la Vergine e il Bambino), fino all’ultimo testo autobiografico, nel quale subito dopo un capitolo sulle due madri di Leonardo viene richiamato il film da lei molto apprezzato relativo alla scomparsa di una, ma forse due, anziane Nel famoso scambio di lettere con Scholem, il quale l’aveva accusata di antisionismo a proposito del suo libro sul processo ad Eichmann, in un brano molto spesso citato che vale la pena di riportare ancora una volta, Arendt scrive: «ciò che ti confonde è che le mie argomentazioni e il mio metodo sono diversi da quelli cui tu sei abituato; in altre parole, il guaio è che io sono indipendente. Con questo intendo dire, da un lato, che non appartengo ad alcuna organizzazione e parlo sempre solo per me stessa; dall’altro, che credo profondamente nel Selbstdenken [autonomia di pensiero] di Lessing, che né l’ideologia, né l’opinione pubblica, né le ‘convinzioni’ potranno mai sostituire». Lettera a Scholem del 24 luglio 1963, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, Milano 1986, pag. 226. 17 Cfr. S. Kofman, Le problème moral dans une philosophie de l’absurde, in «Revue de l’enseignement philosophique», n.1, October-November 1963, pp. 1-7, ristampato in Ead., Séductions, Paris 1990, pp. 167-181. Cfr. infra, nota 19. 18 S. Kofman, Rue Ordener, rue Labat, Paris 1994, p. 40; trad. it. di L. Ginzburg, Sellerio 2001. 16 357 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia signore – The Lady Vanishes (La signora scompare, 1938) di Hitchcock; quasi un avvertimento sulla prossima sparizione dell’autrice19. Sarah trascorre l’adolescenza sullo sfondo ribollente di tensioni del secondo dopoguerra; e intanto il dibattito filosofico e letterario parigino è ravvivato dall’esistenzialismo, con Sartre e Beauvoir tra i protagonisti della scena e dell’impegno pubblico degli intellettuali. Nei primi anni Cinquanta si iscrive ai corsi di filosofia alla Sorbona, mentre nel frattempo infuriano le polemiche sulla fine del colonialismo e la négritude, si estende l’impegno di molti francesi per l’indipendenza algerina; la vita culturale e politica è animata dalla diffusione dello strutturalismo, seguito dagli esordi folgoranti di Foucault Deleuze Derrida e dalla decostruzione; negli stessi anni si sviluppa il movimento femminista ed esplode mai 68. Appena diplomata, Kofman insegna al Lycée Saint-Sernin di Toulouse negli anni 1960-63 e successivamente a Parigi (Lycée Claude Monet, dal 1963 al 1970). Inizia a scrivere la tesi su Il concetto di cultura in Nietzsche e Freud sotto la guida di Jean Hyppolite e successivamente di Deleuze, subentrato dopo la morte di Hyppolite nel ’68. Poco dopo abbandona il progetto originario e nel 1970 presenta una tesi su L’Enfance de l’art: une interpretation de l’esthétique freudienne. Inizia subito l’insegnamento alla Sorbona, prima come Maître-assistante e poi come Maître de conférences dal 1970 al 1991. Più tardi seguirà anche i corsi di Derrida, che conosce nel ’69 e di cui diventa collaboratrice e amica. Nel 1974, insieme a Nancy, LacoueLabarthe e Derrida, inaugura la collana di testi filosofici «Philosophie en effet» dell’editore Galilée, che pubblicherà molti titoli dei quattro curatori, insieme a scritti di un gran numero di autori francesi emergenti nel periodo20. Insieme a loro, dalla metà degli anni ’70 in avanti, farà parte del gruppo GREPH (Groupe de Recherches sur l’Enseignement Philosophique). Dopo l’articolo su Sartre del 1963, pubblica poco più tardi un saggio su Freud ed Empedocle21, ma è il lavoro di dottorato sull’estetica freudiana (L’enfance de l’art, 1970), a procurarle immediati riconoscimenti; l’importante volume su Nietzsche (Nietzsche et la métaphore, 1972) la rivela come una delle più acute interpreti dell’autore di Così parlava Zaratustra; e intanto il raggio dei suoi interessi, tra i quali Freud e Nietzsche rimarranno riferimenti essenziali dell’intero percorso intellettuale, si amplia fino a comprendere una serie di studi di singolare originalità intorno a testi letterari e opere artistiche di pensatori, scrittori e pittori di epoche diverse. Insegna «[…] uno dei miei film preferiti», scrive Kofman in Rue Ordener, rue Labat, cit., p. 61. Sul significato di questo film nella riflessione di Kofman, cfr. Tom Conley, Sarah Kofman, in Film, Theory, and Philosophy, a cura di Felicity Colman, Durham 2009, pp. 190-200. 19 Inaugurata da Glas di Derrida, su cui Kofman scrive un fondamentale saggio di interpretazione critica – Ҫa cloche, presentato al convegno del 1980 di Cérisy-la-Salle su Derrida e la politica, e successivamente incluso nel volume Les fins de l’homme, curato da J.-L. Nancy e P. Lacoue-Labarthe nel 1981 – la collana pubblica testi di Perec, Marin, Cixous, Virilio, Blanchot, ecc. 21 S. Kofman, Le problème moral dans une philosophie de l’absurde, in «Revue de l’enseignement philosophique», n.1, octobre-novembre 1963, pp.1-7; Ead., Freud et Empédocle, «Critique», n.265, juin 1969, pp.525-550. 20 358 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia per molti anni alla Sorbona come Maître de conferences e ottiene la nomina a professore soltanto nel 1991, a 57 anni. Pur rimanendo fuori da gruppi o iniziative politiche del movimento delle donne, dichiara di considerare la propria scrittura filosofica una chiara dimostrazione della propria militanza femminista: «se fossi anatomicamente un uomo, non dovrei dimostrare di essere capace di una simile scrittura; sembrerebbe del tutto naturale»22. Nel 1978 dava alle stampe Aberrations: le devenir-femme d’Auguste Comte; due anni più tardi L’énigme de la femme la farà conoscere da studiose femministe attive su entrambe le sponde dell’Atlantico e verrà prontamente tradotto in diverse lingue, tra cui l’italiano. In esso Kofman analizza con insolita acutezza le caratteristiche e contraddizioni dell’analisi freudiana intorno alla femminilità. In seguito pubblica un saggio su Rousseau, Kant e le donne (Le respect des femmes, 1982)23. Dopo diversi libri su aspetti diversi e poco conosciuti dell’opera freudiana, negli anni più maturi si concentra nella scrittura di due ponderosi volumi su Ecce Homo di Nietzsche che intitola Explosion I e II, e a una raccolta su Nietzsche e l’antisemitismo24. Una filosofa scomoda Una vita interamente dedicata alla filosofia, alla scrittura e all’insegnamento, senza figli né frequentazioni mondane o matrimoni socialmente influenti, suscita ancora qualche riserva nel milieu culturale apparentemente più spregiudicato d’Europa; le grandi trasformazioni del secondo Novecento non attenuano una tradizione millenaria che disapprova un simile destino per le donne25. Nelle occasioni dedicate a ricordare la figura intellettuale di Kofman e la biografia segnata da una infanzia trascorsa nella Francia occupata dai nazisti, si avverte che la stima e l’affetto sono spesso accompagnati da una lieve esitazione, in patria e in qualche misura anche negli Stati Uniti, dove svolge seminari e conferenze. Gli amici e alcuni tra i principali filosofi francesi accolgono con parole commosse e addolorate la notizia della morte per suicidio di Sarah, avvenuta il 15 ottobre del 1994, nel 150° anniversario della nascita di Nietzsche. Nei necrologi di qualcuno, il tono benevolente non è però completamente esente da un velo di incertezza26. In precedenza la stessa leggera titubanza era presente anche in chi la intervistava a nome di una pubblicazione femminista in inglese27. S. Kofman, in Shifting Scenes, cit., p.106. S. Kofman, L’enigma donna, cit.; la traduzione inglese è del 1985. 24 S. Kofman, Explosion I: De l’«Ecce Homo» de Nietzsche, Paris1992; Ead., Explosion II: les enfants de Nietzsche, Paris 1993; Ead., Le mépris des Juifs: Nietzsche, les Juifs, l’antisémitisme. Tutti e tre sono pubblicati dall’editore Galilée. 25 In una intervista a «Le Monde» del 17-18 aprile 1986, afferma: «Je ne suis pas mère. […] Je n’ai aucun désir de maternité». Apprendre aux hommes à tenir parole. Portrait de Sarah Kofman di R. Jaccard. [Ringrazio Sara Garbagnoli per i riferimenti relativi a questa intervista] 26 Cfr., ad esempio, H. Weinmann, Sarah Kofman. In memoriam, in «Études littéraires», n.1, 1995, pp. 5-6. 27 Si leggano le domande poste da Jardine e Menke (cfr. infra, nota 2), e le risposte irritate di Kofman, in parte anche in quella realizzata da J. Hermsen dell’università di Amsterdam e 22 23 359 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Viene di continuo incalzata dalla richiesta di autodefinirsi (è derridiana?), di situarsi qui o lì (la filosofia o la psicoanalisi?), di schierarsi pro o contro (è femminista?); in poche parole: di porre dei limiti a quanto appare come una autonomia intellettuale eccessiva. Simile a un’ombra permanente, la domanda di definire la propria collocazione accompagna una filosofa che con grande coraggio non ha esitato a individuare ambiguità e ambivalenze nelle interpretazioni classiche dei ruoli familiari e sessuali, ha posto l’aporia alle origini della riflessione filosofica ed eletto il doppio – come le due madri che l’accompagnano fin dall’infanzia – come figura prediletta della scrittura e della critica culturale che pratica. Nonostante la straordinaria produttività e l’impegno nell’insegnamento, Kofman diventa finalmente professore solo pochi anni prima di morire, non essendo sembrati accademicamente accettabili nè i suoi originalissimi studi su Nietzsche e su Freud, nè il prestigio conquistato anche fuori della Francia, o le amicizie con colleghi/e di indiscussa autorità intellettuale28. L’interesse della studiosa che indaga sul rapporto tra vita intellettuale e identità sessuale di grandi esponenti della filosofia e della letteratura, suscita qualche sospetto; l’autonomia femminile si paga a caro prezzo se manca di glamour. Immancabilmente si sottolinea il suo senso dell’umorismo, il fatto che le piace ridere; sembra quasi che il riso, su cui riflette da filosofa, possa compensare una vita spesa soprattutto con i libri, a scriverli e a leggerli con attenzione numismatica; le nuoce senza dubbio la fama di essere una interlocutrice irriverente. Sembra difficile sottrarsi a quella arguta vivacità che la filosofa Françoise Armengaud ha descritto con affetto e ammirazione, non priva di condiscendenza: «Ta vie était si débordante, jaillissante, éblouissante d’intelligence, si fourmillante de curiosité, d’hypothèses, d’indignations, de jubilations…»29. Parole che la descrivono simile a una bambina fin troppo sveglia; altro paragone che è spesso presente a proposito di Sarah30. E dell’infanzia, un tema a lei assai caro, indagato in dettaglio negli autori prediletti, conserva quel misto di energia e di debolezza sottolineate pubblicata nei «Cahiers du Grif». Cfr. Sarah Kofman. La question des femmes: une impasse pour les philosophes, «Cahiers du Grif», n.4, 1992, pp. 65-74. V. anche quella rilasciata a U. Konnertz, della rivista tedesca «Die Philosophin», n.3, dicembre 1990, successivamente tradotta e pubblicata in inglese in «Women’s philosophy review», June 1995, pp. 4-8. 28 Nell’intervista pubblicata in versione ridotta sul n.75, 1988, dalla rivista «Yale French Studies», ripresa in edizione ampliata nella raccolta a cura di Jardine e Menke di cui sopra (cfr. infra, nota 2), Kofman ha aggiunto una nota in cui commenta: «Quest’anno, l’Università di Parigi I – Pantheon-Sorbonne – ha rifiutato ancora una volta di promuovermi alla nomina di ‘professore’. La ‘scandalosa ingiustizia’ di questo rifiuto ha suscitato unanime protesta da parte dei più famosi filosofi contemporanei e dell’intera stampa francese». Cfr. ivi, p.107. 29 Cfr. F. Armengaud, Le rire de Sarah, in «Fusées», n.16, 2009, pp. 12-18, p.13. 30 Cfr. in particolare J. Maurel, Les enfances de Sarah e J.-L. Nancy, Cours, Sarah!, in «Cahiers du Grif», 1997, rispettivamente pp. 55-70 e 29-38; cfr. anche J. Derrida nel saggio ricordato, pp. 137-138. La traduttrice in inglese di rue Ordener, rue Labat – Ann Smock scrive nell’introduzione: «Ho sempre ammirato l’energia irriverente dei suoi libri – la sua nietzschiana malizia eccitata. Prendeva sempre in giro la filosofia», Lincoln (Nebraska) 1997, pp. VII-XIII, p. X. Cfr. anche A. Smock, Sarah Kofman’s Wit, in Sarah Kofman’s Corpus, cit., pp.33-45. 360 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia da un filosofo del diritto finlandese autore di un bel saggio sull’etica della testimonianza in Kofman. Ari Hirvonen ricorda di averla incontrata un’unica volta, nella Brasserie Balzar a Parigi: «Nel corso di questo breve dialogo mi fece una forte impressione. Sembrava estremamente forte e fragile allo stesso tempo»31. Il silenzio mantenuto per cinquant’anni sulla morte del padre ad Auschwitz e i terribili anni di guerra viene improvvisamente interrotto con i due libri del 1987 e del 1994 e con altri brevi scritti autobiografici composti in questi anni; una svolta che in qualche caso sembra porre in secondo piano l’intero impegno intellettuale della filosofa e anziché arricchire di nuove sfumature il suo lavoro teorico, serve a far puntare i riflettori sulla testimone sopravvissuta alla Shoah32. L’infanzia drammatica e la memoria di Auschwitz sembrano quasi servire da giustificazione per un percorso non tradizionale e una vita filosofica ‘impertinente’33. Colpisce dolorosamente il fatto che di quanto ha scritto se ne parli soprattutto dopo la morte, quasi con il rimpianto di non esser riusciti a cogliere in tempo tutta quella intelligenza e arguzia dispiegate con passione per centinaia di pagine. Ma appare chiaro che l’interesse per il suo lavoro indubbiamente si è amplificato in seguito alla pubblicazione dei due libri che raccontano la tragedia degli ebrei francesi vissuti sotto il regime del maresciallo Pétain34. Anche in Germania si è verificato un fenomeno simile, evidente nelle domande che, nel corso di una intervista del 1991, le vengono rivolte dalla rivista di filosofia femminista Die Philosophin. Si vede così come i temi della ricerca filosofica e le pagine di interpretazione sulle donne in Freud slittino per collocarsi in po’ sullo sfondo, mentre il centro si ricostituisce intorno A. Hirvonen, The Ethics of Testimony: Trauma, Body and Justice in Sarah Kofman’s Autobiography, in «No Foundations. An Interdisciplinary Journal of Law and Justice», n.9, 2012, pp. 144-172. Hirvonen ha curato una raccolta di saggi assai interessante sugli aspetti filosofici, psicoanalitici e giuridici riguardanti la questione del male; cfr. Law and Evil. Philosophy, Politics, Psychoanalysis, a cura di A. Hirvonen e J. Porttikivi, London 2010. 32 Il libro Paroles suffoquées va inserito nel momento in cui da diversi anni è in atto un risveglio dell’antisemitismo in Francia e per converso una ripresa della riflessione da parte degli ebrei francesi sugli anni dell’occupazione nazista. Basta ricordare che il film di Claude Lanzman Shoah è del 1986. 33 È la stessa Kofman a servirsi di questo aggettivo – ripreso dalle ricerche sulla pertinenza nella comunicazione sviluppata dalla linguista Armengaud – per applicarla alle storielle ebraiche commentate da Freud nel suo saggio sul Witz, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905), in Id., Opere, vol.5, Torino 1989, a sua volta sottoposte ad analisi dalla filosofa nel libro Pourquoi rit-on? Freud et le mot d’esprit, cit. Per Kofman, «queste storie fanno ricorso a una logica impertinente che rifiuta di adattarsi alla situazione e va incontro, apparentemente, alle intenzioni del soggetto, e che segna ‘il trionfo dell’automatismo sull’opportuno adattamento del pensiero e dell’espressione’»Cfr. ivi, p. 33; corsivo nel testo. 34 Fin dagli anni ’70 numerosi scritti di Kofman vengono tradotti e discussi in ambito accademico anglofono. Cfr. le note bibliografiche che accompagnano le tre raccolte principali di scritti, inediti e saggi critici in inglese. Cfr. Enigmas. Essays on Sarah Kofman, a cura di P. Deutscher e K. Oliver, Ithaca 1999; S. Kofman, Selected Writings,cit.; Sarah Kofman’s Corpus, cit. I due testi autobiografici sono recensiti dalle principali riviste di «French studies» di lingua inglese. 31 361 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia ai risvolti autobiografici descritti in Paroles suffoquées e alla posizione di Kofman nei confronti del nazismo35. La capacità teorica della filosofa si trova in questo modo ridimensionata; la tensione tra vita e speculazione intellettuale è ricondotta all’interno di una gerarchia consolidata, dove le circostanze biografiche tornano ad avere il sopravvento e a fornire la visibile ‘causa’ di una esistenza da cervellotica impenitente e impertinente. Dopo questo libro, la figura della filosofa comincia ad acquistare un’altezza inusitata, considerando anche la sua piccola statura36. Il ritratto di Sarah sembra tuttavia destinato a rimanere senza nitidi contorni ancora a lungo, sempre più simile ad alcune delle centinaia di sembianti da lei disegnati su carta; i cui tratti indistinti sono costituiti da linee simili a delle ferite che tagliano i volti in più direzioni, mentre i lineamenti nel loro insieme appaiono ancora più sfumati per effetto della pressione delle dita sul foglio. «Il suo disegno – osserva Nancy - non è vista ma visione. Non si rapporta ad oggetti […]»37. Anche se si tratta di un percorso filosofico tutt’altro che oscuro e tortuoso, al contrario, fin troppo coerente nella quantità e originalità dei libri che ha scritto, rimane per aria, immancabile, una domanda inespressa su quale posto le debba essere assegnato, come e dove trovare il luogo adatto dove ‘sistemarla’. Il suicidio ha poi bruscamente finito per mandare all’aria il profilo della filosofa burlona. Come già avevano fatto all’inizio del secolo sia Bergson che Freud – entrambi pensatori ebrei come lei – Kofman dedica un libro allo scritto sul motto di spirito nell’autore dell’Interpretazione dei sogni, nel quale vincola indissolubilmente la questione del riso a quella del perdono, divenuta drammaticamente pressante dopo la Shoah; un tema che altri pensatori francesi hanno contribuito ad approfondire38. Nelle prime pagine dedicate all’amica, da poco scomparsa, Derrida riflette: «Ho passato le ultime settimane a rileggere alcuni testi di Sarah, con la sensazione, perfino avendone la certezza, che per me tutto doveva ancora accadere, tutto ancora da capire»39. Intanto, cerca di spiegar(si) come mai non è riuscito a dare un nome al testo della commemorazione, che viene quindi letta e pubblicata con dei puntini in sostituzione del titolo. Al suo posto egli offre diversi titoli possibili, nessuno dei quali lo convince fino in fondo; dal più immediato, che è racchiuso nel semplice nome – Sarah Kofman – , a I doni di Sarah Kofman (il titolo, in fondo, per Derrida, non Cfr. «Die Philosophin», cit. I riferimenti a questa intervista nel paragrafo successivo di questo articolo. 36 L’interesse per Kofman successivo alla morte viene giustamente descritto come rottura «dell’incantesimo negativo nei suoi confronti» da A. M. Verna in Le seduzioni del doppio, cit.; cfr. le considerazioni svolte nella Premessa, p. XI, ivi. Sulla statura di Kofman, cfr. Nancy nell’articolo citato. 37 J.-L. Nancy, Sarah Dessine, «Fusées», 17, 2010, pp. 7-8, p.7. 38 S. Kofman, Pourquoi rit-on? Freud et le mot d’esprit, cit.; oltre a Derrida, fondamentale al riguardo è V. Jankélevich, Perdonare?, Firenze 1987 (ed. originale Paris 1971). 39 J. Derrida, Ogni volta unica, la fine del mondo, trad. it. di M. Zannini, Milano 2005, pp.185-205, p. 192. La versione italiana, ridotta di una decina di pagine, non è molto fedele all’originale. In qualche caso preferisco utilizzare quest’ultimo, pubblicato nel fascicolo citato di «Cahiers du Grif», 1997, pp. 131-165. 35 362 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia è forse un dono?); e altri tre: Qui, là; Libro chiuso, libro aperto; Proteste. Poche pagine più avanti aggiunge un altro eventuale sottotitolo, La posizione di Sarah. E spiega: «Qui e là c’è il corpo, c’è il libro, c’è il libro aperto, c’è il libro chiuso. E delle testimonianze. Tra i due, tra qui e là, tra il corpo e il libro, tra il libro aperto e il libro chiuso ci sarebbe, qui e là, il terzo, il testimone, il testis, la testimonianza, l’attestazione, il testamento, ma in forma di protesta»40. La vita di Sarah rimane poco accessibile, opaca allo sguardo e alla curiosità immediata di altri, come lei stessa aveva scelto. Indissolubilmente coincidente con i libri che ha scritto, come più volte Kofman non si stancava di ripetere, senza dubbio non può essere ‘sistemata’ in maniera definitiva in una posizione unica: né soltanto con i filosofi, né con gli psicoanalisti o i critici letterari, tra uomini e/o tra donne, tra generazioni diverse che hanno vissuto sotto il nazismo, un po’ adulta e un po’ bambina, tra lingue ascoltate e parlate nell’infanzia oltre al francese (il polacco, l’yiddish, l’ebraico) e quelle studiate e utilizzate nella adolescenza e maturità (il greco antico, il tedesco, l’inglese). D’altra parte, che senso avrebbe privarla della sua irresistibile inclinazione verso i punti in cui le polarità si toccano o sovrappongono? Come eliminare dal suo pantheon di antiche divinità il prediletto Giano bifronte, colui che più di qualsiasi altro sembrava così bene rispondere alle geniali circonvoluzioni e svolte del pensiero di Nietzsche e di Freud?41 La copertina di Pourquoi rit-on? Riproduce un affresco della cappella di PritzLaval del XIII secolo dedicato al mese di gennaio, consacrato a Giano, colui che apre l’anno. Kofman sceglieva con grande cura le immagini con cui i suoi libri si presentavano in pubblico, che dovevano visivamente racchiudere in una immagine sintetica di particolare pregnanza il significato del testo. La copertina de L’enfance de l’art (1971) riproduce S. Anna e la Vergine con il Bambin Gesù; i Quattre romans analytiques (1973) la Giuditta di Botticelli; Comment s’en sortir? (1983), il Prigioniero di Goya al museo del Prado; in Un métier impossibile. Lecture de Constructions en analyse (1983) c’è una immagine poco nota di Monsu Desiderio, Asa che distrugge il tempio di Priapo, al Fitzwilliam museum di Cambridge; sul frontespizio delle Lectures de Derrida (1984), prevedibilmente, un papiro aramaico del V-IV secc. a.C.; Le tre Parche di Francesco dal Cossa nel palazzo Schifanoia a Ferrara figurano sulla copertina di Conversions (1987)42. «Una grande filosofa comica» Anche l’oscillazione tra il riso e il pianto va inclusa in questo movimento. Come ha rilevato Derrida con parole che esprimono l’angoscia e il profondo smarrimento di fronte alla morte dell’amica, «rideva molto anche quando non rideva»43. Le risate non sono mai fini a se stesse, ancor meno sono 40 41 42 43 J. Derrida, Ogni volta unica, la fine del mondo,cit., p. 186. Cfr. S. Kofman, Pourquoi rit-on?, cit., pp. 41 e sgg. Superfluo è dire che nessuna immagine figura sulla copertina dei due libri autobiografici. J. Derrida, Ogni volta unica, la fine del mondo,cit., p. 191. 363 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia gesti liberatori; quelle di Sarah sono sempre state risate miste a lacrime. Ridere, come anche l’arte, non sono affatto forme salvifiche di redenzione o di riscatto; al contrario, Sarah rideva come una bambina che ride fino alle lacrime. Immagino che tutta la meditazione compiuta nella sua opera, può assomigliare a una grande reverie su tutti i significati – in francese – dell’espressione «per ridere» e piangere per ridere, dopo l’interpretazione nietzscheano-freudiana del riso, sul bordo dell’angoscia, sul bordo delle finalità coscienti e incoscienti del ridere, di quel che si fa per ridere, in vista del riso, in virtù del riso, in virtù dell’economia apotropaica del riso […] fino alla funzione post-platonica o non metafisica della finzione o del simulacro, cioè di ciò che serve solo «per ridere», ad esempio il simulacro nell’arte e nella letteratura44: Lo stesso nome di Kofman rinvia al ridere. Non è forse la moglie di Abramo, ormai in età avanzata, colei che ride fingendo di non ridere, quando le annunciano che partorirà un figlio? Isacco – Yitsak, ‘colui che ride’45. A partire da un’acuta analisi di Rue Ordener rue Labat in cui si serve dei riferimenti in esso contenuti relativi al film di Hitchcock The Lady Vanishes, lo studioso Tom Conley ha paragonato lo spirito che anima Sarah Kofman a quello dell’anagramma e alter ego di Rabelais – Alcofribas Nasier – studioso e mago, commediante e commentatore, e non ha esitato a definirla «una grande filosofa comica” che ricava la verità dal materiale di base del laboratorio del proprio ingegno»46. Il riso è molto altro ancora per Kofman. Scrivendo a proposito del Freud che analizza il «rusé coquin» delle storielle ebraiche, il briccone che ne sa una più del diavolo, la filosofa osserva che egli è assimilabile a un Giano bifronte; ha una natura duplice, buona e cattiva, ottimista e pessimista. Come Giano, è il guardiano di tutti i ponti, i passaggi e i transiti47. Quando Freud parla del «coquin» come di uno esperto in sotterfugi, un oratore irresistibile, che riesce ad attirare tutti dalla propria parte, non è forse a sé stesso che sta pensando, osserva maliziosamente Kofman? Non è forse come un Giano bifronte proprio Freud, colui che possiede la chiave per entrare nell’inconscio, e che grazie a questa capacità vorrebbe raggiungere un potere illimitato? Freud, che detiene la chiave che apre le Porte delle Madri, sorveglia, con la sua attenzione fluttuante, le entrate e le uscite delle profondità dell’inconscio; non dimentica mai di guardare né davanti né dietro di sé, e vorrebbe ottenere, grazie al suo metodo – anche se non lo ammette – un controllo senza limiti. Lui che, soprattutto, mostra senza problemi un doppio volto48. Ivi, p. 187. Ivi, p. 204. 46 T. Conley, Sarah Kofman, cit., pp.191-192. 47 S. Kofman, Pourqueoi rit-on, cit. pp. 41-42. 48 Ivi, p. 44. Nella nota 64, Kofman osserva che anche Nietzsche si è implicitamente identificato con Giano, «in ragione del suo metodo vigile di filologo probo e rigoroso». 44 45 364 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia E come sarebbe possibile dimenticare il lungo saggio dedicato alla figura mitologica di Baubo, trattata da Nietzsche, un doppio di Dioniso; colei che trasforma la disperazione di Demetra in una risata sollevando le proprie gonne?49 Non è stata forse attribuita a Sarah una impertinenza analoga quando interpella colleghi e filosofi di altri secoli? Una foto probabilmente risalente agli anni ’80 ritrae Sarah sorridente accanto a una caricatura del prediletto Nietzsche, la stessa in formato ridotto che figura sulla sua tomba, fotografata dalla psicoanalista Rachel Rosenblum, la quale ha studiato il rapporto tra scrittura e trauma in Primo Levi e Kofman, e a lei ha dedicato diversi saggi50. Potere senza potere Die Philosophin, una rivista tedesca di filosofia e teoria femminista l’aveva intervistata nel 1991, interrogandola su alcune questioni fondamentali per la cultura europea in quel periodo: la scrittura dopo Auschwitz (siamo negli anni in cui infuria in Germania il dibattito noto come Historikerstreit tra gli storici tedeschi a proposito del nazismo), le donne e il potere, le donne e la filosofia. Nel riproporla all’indomani della morte, l’inglese «Women’s Philosophy Review» la fa precedere da una pagina dello storico della letteratura svizzero Michel Jeanneret che ricorda il carattere passionale di Kofman, l’intensità del suo rapporto con le idee e i testi su cui lavorava. Il dialogo si avvia a partire dal libro Paroles suffoquées, che Kofman ha pubblicato nel 1987, e si concentra intorno alla tesi sostenuta da Blanchot ne L’infinito intrattenimento a commento della Condition humaine di Robert Antelme intorno al potere di chi è senza potere, come i deportati nei campi Per il saggio di Kofman su Baubo il riferimento, cfr. infra, nota 6. Ecco come Freud riassume il mito in un breve scritto del 1916: «Secondo la leggenda greca, mentre andava in cerca della figlia rapita, Demetra era giunta a Eleusi, ivi era stata ospitata da Disaule e dalla moglie di lui Baubo, ma nella sua profonda afflizione non aveva voluto toccare né cibo né bevande. Al che la sua ospite Baubo la fece ridere, alzando improvvisamente la veste e scoprendo il corpo nudo». Cfr. S. Freud, Parallelo mitologico con una rappresentazione ossessiva plastica, in Id., Opere, vol. 8, Torino 1989, pp.617-618, p.618. 50 Cfr. R. Rosenblum, In more favourable circumstances: ambassadors of the wound, in Ferenczi of our Time, a cura di J. Szekacs-Weisz e T. Keve, London 2012, pp. 117-145; la fotografia è alla pag. 123. Rosenblum ha tracciato un parallelo tra Primo Levi e Sarah Kofman in una serie di contributi che pur non essendo pienamente convincenti, sono senza dubbio di grande interesse. Secondo Rosenblum, la scrittura costituisce sia per l’uno che per l’altra un mezzo per costruire uno schermo di protezione dal trauma; al tempo stesso, la scrittura ha significato avviare un pericoloso avvicinamento alla morte. Entrambi muoiono suicidi poco dopo aver pubblicato libri nei quali hanno cercato di confrontarsi direttamente, a distanza di oltre 40 anni dalla fine della guerra, con l’orrore dello sterminio e la persecuzione nazista, I sommersi e i salvati viene pubblicato da Levi nel 1987, e Rue Ordener, rue Labat di Kofman, esce nel 1994. Per Levi si tratta di tornare al tema centrale del suo primo libro – Se questo è un uomo (1947) – dopo una lunga ‘deviazione’ durata più di quarant’anni; per la filosofa costituisce l’unica testimonianza scritta sulla propria infanzia trascorsa a sfuggire ai rastrellamenti nazisti nella Francia occupata. Cfr. R. Rosenblum, Peut-on mourir de dire? Sarah Kofman, Primo Levi, in «Revue Française de Psychanalyse», 64, 2000, pp. 113-137; Ead., Postponing Trauma: the Dangers of Telling, in «The International Journal of Psychoanalysis», 90, 2009, pp.1319-1340; Ead., Distancing Emotions. Surviving the Account of Catastrophe, in «Passions in Context», n.1, 2011, pp.119-150. 49 365 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia di concentramento di fronte ai loro aguzzini: «questa potenza onnipotente ha un limite; colui che non può più letteralmente nulla si afferma di nuovo al limite dove la possibilità cessa». Se chi è potente pensa di poter dominare tutto il possibile, un limite si presenta nel rapporto che non dipende dal dominio, «quel rapporto senza rapporto in cui si rivela ‘un altro’»51. Qui si rivela il potere di chi non ha potere, poiché è da quest’ultimo che sorge «la presenza dell’Altro come presenza di un Altro». E all’esercizio del bisogno di esercitare la parola incessantemente dopo Auschwitz, Kofman affianca l’esigenza di scrivere incessantemente. Su questo punto, risponde a «Die Philosophin» che il carattere sublime del libro di Antelme è quello di rispondere alla più alta esigenza etica. La sua scrittura, «priva di potere, può farci sentire il silenzio di coloro che non hanno potuto parlare»52. Per Kofman c’è un indissolubile legame tra la più alta domanda etica, che ci chiede il silenzio per consentire all’altro di parlare, invece di ucciderlo, e la più alta richiesta della scrittura, quella di «scrivere senza potere»53. Dopo Auschwitz è stato dimostrato che l’essere umano è indistruttibile, ma al tempo stesso che non ci sono limiti alla distruzione degli essere umani. E questo, ragiona Kofman, significa che dobbiamo tener conto di due forze inestricabilmente legate: 1) il potere di uccidere, di dimenticare l’Altro; 2) il potere di riconoscerlo e di consentire la voce dell’altro. Il nostro compito, prosegue, «il nostro ‘dovere’, è quello di agire per far sì che quest’ultimo trionfi sul primo, tenendo sempre presente che il potere che ha reso Auschwitz possibile può tornare in ogni momento»54. In lei, «la gioia irresistibile e la risata incontrollabile sull’orlo delle lacrime» erano sempre insieme. Nel sottolineare questo tratto paradossale nella riflessione di Kofman, Hirvonen analizza la scrittura autobiografica della filosofa come profondamente ispirata a una idea di giustizia, che si muove tra un’etica paterna che invita a scrivere, leggere e mangiare anche i cibi vietati se ne va della propria vita, da un lato; e dall’altro, a osservare ciecamente le prescrizioni alimentari secondo i dettami di una madre che scoraggia sistematicamente la lettura e gli studi della figlia55. L’ingiunzione paterna a scrivere diventa, negli scritti autobiografici degli ultimi anni, ingiunzione a scrivere sempre56. M. Blanchot, L’infinito intrattenimento. Scritti sull’insensato gioco di scrivere, trad. it. di R. Ferrara, Torino 1977 [ed. or. 1969], p. 178. 52 S. Kofman, Parole soffocate, cit., p. 51. 53 Cfr. «Die Philosophin», cit., p.5. 54 Ivi, p.7. Secondo B. Stone, che si occupa del rapporto tra autobiografia e follia, la concezione di Kofman intorno alla scrittura senza potere un magnifico esempio di aggirare l’autorità, la pretesa della tradizione filosofica di elargire verità definitive. Cfr. B. Stone, Towards a Writing without Power: Notes on the Narration of Madness, in «Auto/Biography», 2004, pp.16-33. Cfr. anche V. Liska, Parricidal autobiographies. Sarah Kofman between theory and memory, in «The European Journal of Women’s Studies», 7, 2000, pp. 91-102. 55 Nella citata intervista a «Le Monde», cit., Kofman si sofferma su questi divieti materni per tutti gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. 56 Cfr. su questo L. Iyer, ‘Write, Write’. Testimony, Judaism and the Infinite in Blanchot, Kofman and Lévinas, in «Journal for Cultural and Religious Theory», n.1, December 2003, pp. 58-83. 51 366 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia Tutte le testimonianze di amici e colleghi concordano nel descrivere Sarah Kofman impegnata lungo gli anni di vita adulta impegnata a insegnare e a scrivere, e anche a insegnare a scrivere. I suoi corsi erano tutti scritti; i suoi libri (oltre la trentina) erano spesso frutto delle sue lezioni. La scrittura era la sua vita: viveva per scrivere e ha scritto incessantemente per tutta la vita, raccogliendo l’eredità del padre, del quale le rimaneva per l’appunto la penna, tenuta in vista per tutta la vita sulla scrivania. Non aveva figli né li desiderava, ma i suoi figli erano i libri che partoriva uno dopo l’altro. Nella totale contemporaneità e sovrapposizione tra vita, lettura, scrittura, insegnamento, Kofman accentuerà soprattutto il carattere interminabile di questa attività ininterrotta di mescolanza dei vari piani del corpo, dello scrivere, del parlare e del pensare. Come ha sottolineato Derrida, in lei «il libro prende il posto del corpo», diventa corpus una volta che si trasfigura in una grande quantità di libri (e qui pensa anche a se stesso naturalmente). Kofman torna di continuo sugli stessi testi, scrive e riscrive su Freud e Nietzsche, a partire da Freud e Nietzsche, mimetizzandosi con l’uno e con l’altro, cercando in entrambi chiavi di lettura di sé, e della femminilità. Quest’ultima è analizzata come un gigantesco enigma che i suoi numi tutelari non riusciranno mai a sciogliere completamente. Dei due pensatori, oltre ai testi maggiori e più noti, sceglie di approfondire scritti brevi e poco conosciuti – come Il motivo della scelta dei tre scrigni di Freud, uno dei suoi preferiti57. Oppure pagine non ancora sviscerate a fondo di Nietzsche, come quelle riguardante l’analisi della divinità dionisiaca Baubo, dall’Inno a Demetra. Come scrive Françoise Douroux, Kofman è tra le poche a non seguire le regole del gioco. Non contrappone un altro sistema filosofico a quello dominante; non si limita a rileggere e commentare i grandi filosofi del passato. Non fa neanche come Simone de Beauvoir, che a un certo punto abbandona la filosofia (Sartre è meglio di me, che se ne occupi lui) e sceglie la letteratura e la scrittura di saggi e di memorie. Kofman legge in modo trasversale, o per meglio dire, entra fin nelle viscere dei testi della tradizione filosofica che analizza – siano Rousseau, Kant, Socrate, Comte, o altri – li rivolta da dentro a fuori, ed è proprio questo a infastidire la comunità accademica, che la punisce congelandole la carriera. È lei stessa a descrivere in che cosa consiste il suo modo di procedere. In un fascicolo del 1992 dei «Cahiers du Grif» spiega come cerca di confrontarsi con i mostri sacri della tradizione filosofica maschile. Cerca di capire cosa Freud, Nietzsche o Comte, pensavano e come vivevano; non separa sistema di pensiero e vita; oggettivazione nel lavoro e biografia. I sistemi elaborati da questo o quell’altro sono da Kofman sempre ricondotti a esperienze di vita precise. Non si tratta mai di ‘pensatori puri’, ma di uomini in carne ed ossa, con le loro debolezze, sentimenti, ambivalenze. Ciascun aspetto del ‘sistema’ che essi finiscono per rappresentare viene collegato a Cfr. S. Freud, Opere, vol. 7, Torino 1977. Questo scritto è utilizzato da Kofman nella sua disamina del Mercante di Venezia di Shakespeare in Conversions. Le Marchand de Venise sous le signe de Saturne, Paris, Galilée, 1987. 57 367 © Lo Sguardo - riviSta di fiLoSofia - iSSn: 2036-6558 n. 11, 2013 (i) - vite dai fiLoSofi: fiLoSofia e autobiografia contesti biografici specifici; modalità a prima vista grossolana, ma che solo in apparenza è banale. Questi personaggi, le autorità scientifiche, la legge intellettuale degli accademici, appaiono umanizzati, ricondotti a una loro condizione desacralizzata. Kofman ride di questi signori, e ride di gusto quando gioiosamente ne coglie le incongruenze e le contraddizioni. Non risparmia amici e mentori. L’imponente saggio Ҫa Cloche – dettagliato commento a Glas di Derrida, presentato al convegno di Cérisy-laSalle intitolato Les fins de l’homme – è di incredibile sarcasmo. Comincia con una descrizione parodistica del testo derridiano, costruito tipograficamente su una pagina divisa in due parti irregolari (l’una dentro l’altra), la destra dedicata a Genet, la sinistra a Hegel; descrive le due colonne affiancate che come due immensi falli occupano la pagina58. Leggendo questo saggio si ha quasi l’impressione di sentir risuonare sullo sfondo la risata di Kofman mentre pensava e scriveva quelle frasi. Anche Freud è incessantemente messo alla gogna, come si può capire da L’enigma femmina. Anziché accusare il fondatore della psicoanalisi con argomenti ideologici, Kofman sottopone gli scritti a una rigorosa analisi, e intanto scava nella biografia, nelle parentele e nelle amicizie; il capitolo riguardante il narcisismo – uno dei migliori e più convincenti dell’intero libro – è analizzato tenendo presente l’intenso rapporto che legava Freud a Lou Salomè: La donna sarebbe narcisistica – ironizza Kofman beffardamente mentre segue lo psicoanalista che annaspa e torna sulle proprie affermazioni precedenti relative alle défaillances femminili – non più per effetto di qualche ‘originaria inferiorità’, di una qualche mancanza, ma al contrario per la sua autosufficienza narcisistica e la sua indifferenza; non è più lei che invidia l’uomo per il suo pene, è lui che l’invidia per la sua posizione libidica inafferrabile, per aver saputo conservare integro il proprio narcisismo, mentre l’uomo – ci sarebbe da chiedere perché – si è impoverito, si è svuotato di quel narcisismo originario in favore dell’oggetto amato59. Con la sua concezione di cosa significhi per una donna fare filosofia, vale a dire mostrando quanto inutile sia lo sforzo della complicità, la sua ferma coerenza, la radicalità delle proprie scelte professionali, Kofman ha aperto una via del tutto originale intorno al vivere filosofico; senza condividere, ma senza neanche rigettarli completamente, i modelli indicati da Pierre Hadot e dall’ultimo Foucault nel corso sul Coraggio della verità. 58 59 S. Kofman, Ҫa Cloche, in Ead., Lectures de Derrida, Paris 1984, pp. 115-161. Sarah Kofman, L’enigma donna, cit., p. 46. 368