Le attenzioni educative, i processi culturali, insieme con le decisioni urbanistiche connotano il rapporto tra bambino e spazi pubblici. La qualità urbana delle nostre città, di cui è indicatore la presenza dei soggetti fragili specie in...
moreLe attenzioni educative, i processi culturali, insieme con le decisioni urbanistiche connotano il rapporto tra bambino e spazi pubblici. La qualità urbana delle nostre città, di cui è indicatore la presenza dei soggetti fragili specie in termini di mobilità e uso degli spazi pubblici e collettivi, deriva da decisioni assunte molti decenni fa, coraggiose e visionarie nei casi più virtuosi, integrate nel tessuto storico della città e sostanziate da scelte più recenti. Proprio questi tempi di esposizione alla pandemia ci hanno consentito di realizzare, per sottrazione, l’indispensabilità degli spazi pubblici esperendo quanto il nostro corpo abbia necessità di muoversi; e di muoversi in sicurezza. Il contributo ripercorre brevemente la storia urbanistica recente di alcune città italiane, connettendola con i movimenti che, in Europa, hanno condotto a una riflessione sulla progressiva negazione ai bambini dello spazio pubblico. Si riflette altresì sulla generale disattenzione della pedagogia nei confronti della città e, in generale, degli spazi pubblici quasi accettando la logica di un’esperienza infantile frantumata in tempi e, soprattutto, spazi sovente istituzionali ed iper-definiti. Eppure, scopriamo proprio oggi quanto un’intenzionalità educativa degli spazi pubblici sia essenziale per riconfigurare i servizi educativi anche nei termini di consentire ai bambini il gioco e una mobilità sicura e indipendente. Vengono infine presentati esempi virtuosi, a partire dagli interventi di Aldo Van Eyck ad Amsterdam nel secondo dopoguerra, fino a disvelare quanto la recente istituzione delle “zone scolastiche” possa costituire un nucleo di sviluppo, in termini progettuali, di una nuova attenzione al tema.