Marta Abba
0 Followers
Recent papers in Marta Abba
Il “volontario esilio” di Luigi Pirandello consiste nel suo prolungato soggiorno all’estero, prima a Berlino e poi a Parigi, negli anni di tra il 1928 e il 1932. La locuzione, originata da dichiarazioni dello stesso Pirandello e ripresa,... more
Il “volontario esilio” di Luigi Pirandello consiste nel suo prolungato soggiorno all’estero, prima a Berlino e poi a Parigi, negli anni di tra il 1928 e il 1932. La locuzione, originata da dichiarazioni dello stesso Pirandello e ripresa, all’epoca, in funzione di polemica antipirandelliana, dalla stampa degli ultras di regime, divenne poi, nella testimonianza di scrittori a lui vicini, biografi e studiosi, una sorta di lasciapassare a discolpa della sua dichiarata e ben nota compromissione col regime. Lasciapassare ottenuto in parte a torto e in parte a ragione, per una serie di vicende non ancora completamente note e chiarite ma prepotentemente emerse, col passare degli anni e con la pubblicazione dei principali epistolari dell’Agrigentino: quello con Marta Abba e con il figlio Stefano. Centrale, in tali vicende, la figura di Telesio Interlandi, che, prima di divenire direttore de «La difesa della razza», fu il potente direttore del quotidiano «Il Tevere», alleato del conterraneo Pirandello in molteplici vicende che li videro protagonisti e che vengono qui ricostruite.
Dopo una Premessa che si sofferma sulle ragioni del tabù del fascismo di Pirandello, tra gli eredi e tra gli studiosi (o una parte di essi), l’Introduzione affronta la questione storiografica del rapporto col regime fascista, negli anni della sua trasformazione totalitaria, di intellettuali e scrittori e di Pirandello tra di essi, individuando nella pirandelliana difesa a oltranza dell’autonomia della creazione artistica il punto di irriducibile e crescente attrito col regime agli albori dell’odierna civiltà dello spettacolo. Il libro entra poi nel vivo della ricostruzione del “volontario esilio”. Se esso, da un canto, corrispondeva a una forma di filosofia dell’esistenza che prescindeva dal fascismo ed aveva altre motivazioni legate, soprattutto, al rapporto di Pirandello con Marta Abba e al desiderio di lei di divenire una star cinematografica; d’altro canto, tuttavia, aveva innegabili ragioni di polemica con il proprio Paese: con l’organizzazione della vita teatrale, il mondo della cultura e dell’informazione e le gerarchie politiche responsabili delle loro sorti.
Gli anni del “volontario esilio” di Pirandello coincidono con quelli della sua nomina all’Accademia d’Italia: la più importante istituzione culturale del regime, di cui si seguono le vicende iniziali e in cui si individua la ragione del vero interesse di Pirandello nel recupero, da parte del teatro, del milionario fondo dei diritti d’autore che il regime volle destinare, invece, a una corruttiva politica premiale del ceto intellettuale. L’intera Parte I si sofferma su personaggi e vicende della Reale Accademia d’Italia e sul paradosso di un accademico d’Italia fuori d’Italia, in volontario esilio dal proprio paese. In polemica, come si ricostruisce, con Bottai, che stava avviando la Corporazione dello spettacolo, avvalendosi della collaborazione di Silvio d’Amico e proteggendo i nemici di Pirandello, tra i quali, in primo luogo l’impresario Paolino Giordani, quintessenza, per Pirandello, di un teatro dai fini esclusivamente commerciali.
La polemica con Bottai e i profittatori del teatro e del regime, e con la schiera dei nazionalisti, è sottesa a quella, molto più esplicita, con d’Annunzio e l’Italia dannunziana, nel discorso su Verga che Pirandello tenne in Accademia d’Italia alla fine del 1931, con grande e sia pur soffocato scandalo in sala e, dopo, sulla stampa e in ambito culturale e politico. L’intera parte II del libro è dedicata al discorso su Verga: al suo contesto, al suo testo e alla storia delle sue correzioni rispetto al precedente discorso del 1920 (a Catania, per l’ottantesimo compleanno di Verga e la sua nomina a senatore), al suo significato di poetica nella storia di Pirandello e nella storia della letteratura e della cultura italiana in un periodo di perdurante dominio dannunziano.
Bersaglio della polemica pirandelliana, con Verga in funzione antagonista, fu Gabriele d’Annunzio ovvero l’ Idolo mondano e letterario, feticcio «gonfiato dalla mostruosa macchina del giornalismo» in passato (nella stroncatura che Pirandello gli dedicò nel 1894) e, allora, altresì da quella della propaganda di regime. Il discorso da critico militante di Pirandello è, in definitiva, un’interpretazione del fascismo come malattia dello stile degli italiani, ovvero del loro carattere di italiani; un’interpretazione antropologica del fascismo a partire dal linguaggio, dal campo che Pirandello praticava da scrittore (e da docente di Stilistica in quel campo accademico in cui vantava altresì una formazione da filologo). L’analogo di quanto avrebbe fatto poi, negli anni Settanta, Pier Paolo Pasolini con l’omologante e omologata società dei consumi. Un’interpretazione del fascismo non dissimile da quella che ne diede Savinio.
Ragione per cui l’iniziale e rituale atto di omaggio a Mussolini del discorso, se letto come chiave del discorso e del fascismo di Pirandello, diventa chiave di una misinterpretazione, come quella di Gian Franco Vené, volta a leggere nel discorso un ripudio del mondo verghiano dei vinti. Su quel mondo e sulla continuità, viceversa, dell’opera di Pirandello con quella di Verga, sia pur ovviamente, in tutt’altro contesto, si soffermano alcuni capitoli di questa seconda parte, in riferimento a opere come "I muricciuoli, un fico un uccellino", "Uno, nessuno e centomila" e "I giganti della montagna".
Ai "Giganti della montagna" e all’anticipazione del suo primo atto, "Fantasmi", coeva al discorso su Verga, è dedicata la parte III e conclusiva del libro che riprende, così, un filo che percorre continuamente le parti precedenti: quello della genesi ideativa dell’opera, seguita passo passo nelle lettere, nelle interviste e in ogni possibile occorrenza. Si segnala qui, ad esempio, la fonte onomastica del nome Buronzo (affacciatosi tra quello dei giganti in un’intervista) in un gerarca candidato all’Accademia d’Italia e reale emblema del mondo utilitaristico, produttivo, costruttore raffigurato da essi quali reali e fantasticati nemici del donchisciottesco sogno dell’arte di Ilse nel mito pirandelliano dell’arte. Mito testamentario e inconcluso perché contenente in sé le sempre più evidenti contraddizioni della politica culturale del regime, ma anche le irrisolte contraddizioni del Pirandello scrittore e capocomico, aspirante direttore del Teatro di Stato, non più cercatore ma impossibile costruttore dell’infinito che ogni uomo ospita in sé: quello, divino, della creazione che si realizza nell’arte.
Dopo una Premessa che si sofferma sulle ragioni del tabù del fascismo di Pirandello, tra gli eredi e tra gli studiosi (o una parte di essi), l’Introduzione affronta la questione storiografica del rapporto col regime fascista, negli anni della sua trasformazione totalitaria, di intellettuali e scrittori e di Pirandello tra di essi, individuando nella pirandelliana difesa a oltranza dell’autonomia della creazione artistica il punto di irriducibile e crescente attrito col regime agli albori dell’odierna civiltà dello spettacolo. Il libro entra poi nel vivo della ricostruzione del “volontario esilio”. Se esso, da un canto, corrispondeva a una forma di filosofia dell’esistenza che prescindeva dal fascismo ed aveva altre motivazioni legate, soprattutto, al rapporto di Pirandello con Marta Abba e al desiderio di lei di divenire una star cinematografica; d’altro canto, tuttavia, aveva innegabili ragioni di polemica con il proprio Paese: con l’organizzazione della vita teatrale, il mondo della cultura e dell’informazione e le gerarchie politiche responsabili delle loro sorti.
Gli anni del “volontario esilio” di Pirandello coincidono con quelli della sua nomina all’Accademia d’Italia: la più importante istituzione culturale del regime, di cui si seguono le vicende iniziali e in cui si individua la ragione del vero interesse di Pirandello nel recupero, da parte del teatro, del milionario fondo dei diritti d’autore che il regime volle destinare, invece, a una corruttiva politica premiale del ceto intellettuale. L’intera Parte I si sofferma su personaggi e vicende della Reale Accademia d’Italia e sul paradosso di un accademico d’Italia fuori d’Italia, in volontario esilio dal proprio paese. In polemica, come si ricostruisce, con Bottai, che stava avviando la Corporazione dello spettacolo, avvalendosi della collaborazione di Silvio d’Amico e proteggendo i nemici di Pirandello, tra i quali, in primo luogo l’impresario Paolino Giordani, quintessenza, per Pirandello, di un teatro dai fini esclusivamente commerciali.
La polemica con Bottai e i profittatori del teatro e del regime, e con la schiera dei nazionalisti, è sottesa a quella, molto più esplicita, con d’Annunzio e l’Italia dannunziana, nel discorso su Verga che Pirandello tenne in Accademia d’Italia alla fine del 1931, con grande e sia pur soffocato scandalo in sala e, dopo, sulla stampa e in ambito culturale e politico. L’intera parte II del libro è dedicata al discorso su Verga: al suo contesto, al suo testo e alla storia delle sue correzioni rispetto al precedente discorso del 1920 (a Catania, per l’ottantesimo compleanno di Verga e la sua nomina a senatore), al suo significato di poetica nella storia di Pirandello e nella storia della letteratura e della cultura italiana in un periodo di perdurante dominio dannunziano.
Bersaglio della polemica pirandelliana, con Verga in funzione antagonista, fu Gabriele d’Annunzio ovvero l’ Idolo mondano e letterario, feticcio «gonfiato dalla mostruosa macchina del giornalismo» in passato (nella stroncatura che Pirandello gli dedicò nel 1894) e, allora, altresì da quella della propaganda di regime. Il discorso da critico militante di Pirandello è, in definitiva, un’interpretazione del fascismo come malattia dello stile degli italiani, ovvero del loro carattere di italiani; un’interpretazione antropologica del fascismo a partire dal linguaggio, dal campo che Pirandello praticava da scrittore (e da docente di Stilistica in quel campo accademico in cui vantava altresì una formazione da filologo). L’analogo di quanto avrebbe fatto poi, negli anni Settanta, Pier Paolo Pasolini con l’omologante e omologata società dei consumi. Un’interpretazione del fascismo non dissimile da quella che ne diede Savinio.
Ragione per cui l’iniziale e rituale atto di omaggio a Mussolini del discorso, se letto come chiave del discorso e del fascismo di Pirandello, diventa chiave di una misinterpretazione, come quella di Gian Franco Vené, volta a leggere nel discorso un ripudio del mondo verghiano dei vinti. Su quel mondo e sulla continuità, viceversa, dell’opera di Pirandello con quella di Verga, sia pur ovviamente, in tutt’altro contesto, si soffermano alcuni capitoli di questa seconda parte, in riferimento a opere come "I muricciuoli, un fico un uccellino", "Uno, nessuno e centomila" e "I giganti della montagna".
Ai "Giganti della montagna" e all’anticipazione del suo primo atto, "Fantasmi", coeva al discorso su Verga, è dedicata la parte III e conclusiva del libro che riprende, così, un filo che percorre continuamente le parti precedenti: quello della genesi ideativa dell’opera, seguita passo passo nelle lettere, nelle interviste e in ogni possibile occorrenza. Si segnala qui, ad esempio, la fonte onomastica del nome Buronzo (affacciatosi tra quello dei giganti in un’intervista) in un gerarca candidato all’Accademia d’Italia e reale emblema del mondo utilitaristico, produttivo, costruttore raffigurato da essi quali reali e fantasticati nemici del donchisciottesco sogno dell’arte di Ilse nel mito pirandelliano dell’arte. Mito testamentario e inconcluso perché contenente in sé le sempre più evidenti contraddizioni della politica culturale del regime, ma anche le irrisolte contraddizioni del Pirandello scrittore e capocomico, aspirante direttore del Teatro di Stato, non più cercatore ma impossibile costruttore dell’infinito che ogni uomo ospita in sé: quello, divino, della creazione che si realizza nell’arte.
analisi di alcuni rapporti epistolari e classificazione socioletteraria degli stessi (Rilke e Lou, Anais Nin e Henry Miller)
Le narrazioni – si legge in Narrated Communities-Narrated Realities (Blume, Leitgeb, Rössner) – sono essenziali per lo sviluppo e la comunicazione dell’identità, della conoscenza e dell’orientamento in un contesto socio-culturale.... more
Le narrazioni – si legge in Narrated Communities-Narrated Realities (Blume, Leitgeb, Rössner) – sono essenziali per lo sviluppo e la comunicazione dell’identità, della conoscenza e dell’orientamento in un contesto socio-culturale. L’essere comunità e il perpetuarsi come tale si realizza dunque attraverso racconti, mediante i quali si condividono le stesse storie, in riferimento a un immaginario comune. Il racconto di una storia – aggiunge Jedlowski (2009) – è anche frutto di reinterpretazione e adattamento dei contenuti a seconda del contesto in cui si svolge, poiché le comunità narrative sono organismi in continuo movimento, in cui la memoria condivisa ‘locale’ interagisce con la memoria del contesto altro con cui entra in contatto. Le trasposizioni cinematografiche rielaborano la narrazione originale che al pari di un organismo biologico deve adattarsi al nuovo habitat, decontestualizzando e ricontestualizzando il messaggio di partenza (Hutcheon). Sono partita da questi presupposti metodologici per analizzare le transcodificazioni di Come tu mi vuoi (1929) e Trovarsi (1932) ovvero As you desire me (1932) di George Fitzmaurice e i due soggetti mai realizzati composti dallo stesso Luigi Pirandello Trovarsi I o I due mari (1933) e Trovarsi II (1936).
Il problema dell’identità presente in Come tu mi vuoi e Trovarsi acquisisce, infatti, rinnovato interesse nell’analisi comparata delle versioni cinematografiche dei due drammi. L’identità, la recitazione, la memoria e la narrazione, rompendo gli argini della pagina letteraria, smettono di essere meri elementi tematici per investire la memoria storico-culturale e l’identità collettiva dei contesti di riferimento. Marta Abba, musa ispiratrice del Come tu mi vuoi e di Trovarsi e Greta Garbo, interprete di As you desire me e punto di riferimento ideale nella stesura del soggetto di Trovarsi, contribuiscono a ridefinire il problema identitario dimostrando di essere maschere di se stesse e dell’altra e chiamando in causa i modelli del cinema americano degli anni Trenta e l’immaginario collettivo degli spettatori ‘pirandelliani’.
Identità – Memoria – Narrazione – Marta Abba – Greta Garbo
As stated in Narrated Communities – Narrated Realities (Blume, Leitgeb, Rössner), narratives are essential for the development and transmission of identity, knowledge and positioning within a given socio-cultural context. The essence and the perpetuation of a community are therefore realised through narrative acts that allow stories to be shared, by referring to a common imagery. Storytelling – as Jedlowski (2009) suggests – is also the result of a reinterpretation, as well as an adaptation, of contents based on the context in which this occurs, for narrated communities are constantly moving organisms where the ‘local’ shared memory interacts with the memory of another context coming into contact with it. Film adaptations re-elaborate an original narrative that, just like a biological organism, has to adjust to a new habitat, as it decontextualizes and re-contextualizes the original message (Hutcheon). I started from these methodological premises to analyse the transcodifications of Come tu mi vuoi (1929) and Trovarsi (1932): As you desire me (1932) by George Fitzmaurice, and the two unrealised film scripts written by the same Luigi Pirandello, Trovarsi I or I due mari (1933) and Trovarsi II (1936).
As a matter of fact, the issue of identity as featured in Come tu mi vuoi and Trovarsi enjoys a renewed interest in a comparative analysis of the film versions of both plays. As they break their literary boundaries, topics such as identity, acting, memory and narration are no longer mere thematic elements, but rather involve the historical and cultural memory of the context in question, as well as its collective identity. Both Marta Abba, the muse of Come tu mi vuoi and Trovarsi, and Greta Garbo, who performed in As you desire me and became the ideal reference in the script writing of Trovarsi, help redefine the issue of identity: not only do they prove to be, at the same time, both the masks of themselves and of the other, but they also call into question the models of American cinema from the Thirties, along with the collective imagery of ‘Pirandellian’ viewers.
Identity – Memory – Narration – Marta Abba – Greta Garbo
Il problema dell’identità presente in Come tu mi vuoi e Trovarsi acquisisce, infatti, rinnovato interesse nell’analisi comparata delle versioni cinematografiche dei due drammi. L’identità, la recitazione, la memoria e la narrazione, rompendo gli argini della pagina letteraria, smettono di essere meri elementi tematici per investire la memoria storico-culturale e l’identità collettiva dei contesti di riferimento. Marta Abba, musa ispiratrice del Come tu mi vuoi e di Trovarsi e Greta Garbo, interprete di As you desire me e punto di riferimento ideale nella stesura del soggetto di Trovarsi, contribuiscono a ridefinire il problema identitario dimostrando di essere maschere di se stesse e dell’altra e chiamando in causa i modelli del cinema americano degli anni Trenta e l’immaginario collettivo degli spettatori ‘pirandelliani’.
Identità – Memoria – Narrazione – Marta Abba – Greta Garbo
As stated in Narrated Communities – Narrated Realities (Blume, Leitgeb, Rössner), narratives are essential for the development and transmission of identity, knowledge and positioning within a given socio-cultural context. The essence and the perpetuation of a community are therefore realised through narrative acts that allow stories to be shared, by referring to a common imagery. Storytelling – as Jedlowski (2009) suggests – is also the result of a reinterpretation, as well as an adaptation, of contents based on the context in which this occurs, for narrated communities are constantly moving organisms where the ‘local’ shared memory interacts with the memory of another context coming into contact with it. Film adaptations re-elaborate an original narrative that, just like a biological organism, has to adjust to a new habitat, as it decontextualizes and re-contextualizes the original message (Hutcheon). I started from these methodological premises to analyse the transcodifications of Come tu mi vuoi (1929) and Trovarsi (1932): As you desire me (1932) by George Fitzmaurice, and the two unrealised film scripts written by the same Luigi Pirandello, Trovarsi I or I due mari (1933) and Trovarsi II (1936).
As a matter of fact, the issue of identity as featured in Come tu mi vuoi and Trovarsi enjoys a renewed interest in a comparative analysis of the film versions of both plays. As they break their literary boundaries, topics such as identity, acting, memory and narration are no longer mere thematic elements, but rather involve the historical and cultural memory of the context in question, as well as its collective identity. Both Marta Abba, the muse of Come tu mi vuoi and Trovarsi, and Greta Garbo, who performed in As you desire me and became the ideal reference in the script writing of Trovarsi, help redefine the issue of identity: not only do they prove to be, at the same time, both the masks of themselves and of the other, but they also call into question the models of American cinema from the Thirties, along with the collective imagery of ‘Pirandellian’ viewers.
Identity – Memory – Narration – Marta Abba – Greta Garbo